Cesar N° - 1 2015

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RIVISTA ONLINE 2015

N-9

Gioia Tauro (RC) 89013 RIVISTA ONLINE


Al Suono Delle Eolie

Al morir del suono delle Eolie Placa l’ira e dorme l’errante Odisseo. I Ciclopi dal Mongibello Lanciano incandescenti sassi, lapilli e sbuffano nubi nere, mentre le Sirene ammaliano i naviganti che osano varcare lo Stretto. Scilla e Cariddi Si guardano in cagnesco Nel tempo ,al pizzichìo delle Eolie, Omero canta, Vulcano e Stromboli chiamano il fratello Etna ed al risveglio trema Zancle e Rhegjon Soave tramonto al morir del suono delle Eolie! ROCCO GIUSEPPE TASSONE


INDICE

-MISTICISMO EBRAICO -SAN PAOLO A REGGIO

-IL QUARTIERE PRACI di MOTTA SAN GIOVANNI -L’INTERVISTA AL DOTTORE DEI BRONZI -LUDI GLADIATORI (I-PARTE) -OS LIDERES PLATINOS NA GUERRA CIVIL FARROUPILHA

PARLANDO DI UOMINI DI CULTURANOVOTA’ DAL.... ...LIBRI-ITALIA CONCORSI EVENTI-CESAR


Misticismo Ebraico Hayym vital: un cabalista di discendenza calabrese Di Felice Delfino

Mistica ed esoterismo conservano tutt’oggi un fascino ed un’attrattiva particolare: spopolano e registrano alti share d’ascolto i programmi televisivicome Mistero eVoyager, incentrati su fatti razionalmente inspiegabili o impregnati da aloni di pseudo-verità, pococomprensibili, ermeneutici e aventi intrinsecamente contenuti enigmatici ovviamente da decifrate.Nelle puntate di Mistero appare spesso un individuo ambiguo col volto coperto che si fa chiamare Adam Kadmon, il quale parla di occultismo, continue cospirazioni e simboli segreti. Lo pseudonimo non è fittizio, si tratta di un nome legato alla Kabbalah ebraica, identificante l’uomo primordiale, il quale, secondo il racconto cabalistico, hail compito di recuperare e riparare i cocci dei tre vasi solidi rotti dall’emanazione di luce divina, al fine di restaurare l’equilibrio cosmico iniziale, temporaneamente spezzato. Una scelta ovvia: quale nome meglio di questo può attribuirsi ad un personaggio il cui scopo consiste nei tentativi d’interpretazione, a volte dubbie, delle realtà mistiche ed esoteriche nelle quali si trova immerso? La sete di occultismo esasperato risulta più allettante della verità stessa, soprattutto tra i giovani, che per mancanza di esperienza e sedotti dal particolare fascino dell’ignoto, considerano veritiere alcune tesi improbabili e certamente prive di un qualsiasi fondamento logico o scientifico. Antropologicamente c’è sempre stata questa forza magnetica altamente attrattivache ha indirizzato l’animo ed il cuore dell’uomo verso ciò che non si può conoscere o che non si fa conoscere. Nell’antichità, numerosi furono gli adepti delle sette misteriche (culti Eleusini, Dionisiaci, ecc.) che, in seguito al momento iniziatico, erano introdotti al mistero e ricercavano attraverso particolari riti la salvezza individuale o collettiva. Naturalmente la mistica, da secoli, ha ricoperto un ruolo essenziale anche nel mondo ebraico e alcuni di questi elementi legati all’occultismo ebraico commisti a quelli cristianisono stati trasmessi allasocietascalabrese durante la permanenza delle tante famiglie ebraiche negli oltre tredici secoli della loro storia. La Kabbalah, in particolare, ha lasciato un’impronta ben visibile ed evidente, una traccia che l’incedere del tempo non è riuscita a cancellare.Ma cos’è esattamente la Kabbalah? potrebbe domandarsi un profano. È un sistema di pensiero esoterico, mistico e teosofico che si fonda su alcuni testi, come lo Zohar, il SeferYezirah, le Heikhalot. Si potrebbe pensare ad un genere unitario, ma non è così. Non vi è omogeneità nei testi cabalistici, si tratta di una grande varietà eterogenea, una ricchezza culturale nella quale lo studioso, il sapiente può attingere a piene mani, può dissetarsi della sapienza ed appagare la sua sete di conoscenza.

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Chi studia la Kabbalah si trova di fronte ad una grande varietà di tematiche ognuna delle quali preserva un particolare fascino: Dio e il concetto di Dio, il problema dell’esistenza del Male, la Creazione, le Sefiroth (i dieci strumenti o modalità di Dio, con cui si rivela l’Infinito e che gettano le basi alla genesi del reame materiale e di quello dei mondi superiori), le Shemittot, i Dibukk (possessione degli spiriti), il Gilgul(la migrazione delle anime cioè la reincarnazione) ecc.Questi argomentifurono sviluppati, nel corso dei secoli, e in maniera organica da grandi pensatori tra cuiAzriel di Gerona (1160-1238), Moses Cordovero (15221570), Christian Knorr von Rosenroth (1636-1689).Isaac ibn Latif (XIII sec) cercò di conciliare la Kabbalah con la filosofia naturale aristotelica, autore di opere come La porta del cielo, i misteri del re, la forma del mondo.Un grande studioso novecentesco GershomScholem, si occupò del fenomeno cabalistico con rigore scientifico. Nel pensiero occidentale la Kabbalah si unisce sapientemente alla magia, all’orfismo, all’esoterismo, alla gnosi e, in seguito al Decreto dell’Alhambra (1492) che sancisce l’allontanamento dei sefarditi dalla Spagna, anche con aspetti escatologici cristiani. A partire da quella data il suo studio da privato divenne pubblico. Un cabalista anonimo, citato da Scholem pose l’accento su due date, il 1490, ovvero prima dell’espulsione sefardita, e il 1540, data che definì “ultima generazione” quando, secondo l’ignoto autore in questione, l’accostamento di giovani e di anziani agli studi cabalistici, avrebbe favorito la venuta del Messia. A partire dal Rinascimento,molti furono quegli studiosi cristiani, tra cui Pico della Mirandola, che ad essa si accostarono con ardente passione, partirono dall’idea che questo sapere potesse ben conciliare ed integrarsi col credo cristiano e che si potessero dimostrare i dogmi di Fede cristiana proprio attraverso questi mezzi. Presente già nel linguaggio talmudico, la Kabbalah, acquisisce la comune accezione mistica a partire dal XII secolo, con la scuola Provenzale di Isacco il Cieco e con la scuola sefardita di Isaac Luria.La Spagna e la regione francese della Provenza rappresentano così la culla in cui il misticismo ebraico fiorisce e raggiunge il suo massimo splendore.Delladottrina luriana, particolarmente interessante è quella relativa allacreazione caratterizzata nella sua concezione ideologica da grande dinamicità. Egli creò un abisso, poi colmato con atti divini, tra Ein-Sof (letteralmente “ciò che è infinito” o “Colui che è infinito”) ed emanazione, mentre nelle tradizioni cabalistiche precedenti coincidevano. Con Luria abbiamo una nuova speculazione cabalistica basata su tre dottrine: lo Tzimtzum(contrazione), la shevirah (la rottura dei vasi) ed il tikkun (la redenzione). Riguardo allo Tzimtzum la fonte principale è un frammento della cerchia del Sefer ha-Iyyun la prefazione al commento sulle 32 vie della Sapienza, contenuto in un manoscritto custodito a Firenze. Qui si parla della contrazione divina che precede le emanazionicome un uomo che raccoglie e contrae il suo respiro.DicevaShemTov,EinSof contrae se stesso. Segue la creazione di Keter (tenebra) della quale tagliò i macigni e scolpì le rocce. Anche Nahmanides la pensava così nel suo commento al SeferYezirah. Inoltre, Luria attribuiva un ruolo dinamico anche all’uomo nella lotta contro il Male. Questa, appena presa in esame, è solo una minima parte del pensiero di uno dei massimi cabalisti di ogni tempo.Luria ebbe numerosi discepoli che facevano tesoro dei suoi insegnamenti, e dato il carattere orale della tradizione cabalistica di questo maestro, in seguito alla sua morte gli allievi entrarono in contenzioso tra di loro per poter trascrivere le sue dottrine. Ebbe la meglio su tutti un grande esponente di questa scuola:Hayym Vital Calabrese, il quale, era anche salito al grado di guida della comunità. Se da un latosi riservòl’esclusività della trasmissione scritta del pensiero di Luria, con un lavoro certosino e sistematico, dall’altro vietò agli altri cabalisti della sua scuola di presentare queste dottrine senza il suo permesso. A dispetto del suo nome, Hayymnon era per nulla calabrese, l’unico legame che questo studioso ebbe con la terra dell’ex Magna Grecia, era solo per discendenza.In effetti il suo luogo natiosi trovavadecisamente lontano dalla Calabria, sito con precisione sui monti della Galilea, aSafed, centro fiorente degli studi di Kabbalah. 2


Hayym diede avvio ad una forte tradizione cabalistica familiare, proseguita con fierezza ed orgoglio da suo figlio e da suo nipote.Sono personalità meno ricordate rispetto a personaggi ben più celebrati ma anch’essi hanno dato contribuiti di significativa importanza con le loro interessanti intuizioni ed interpretazioni. La figura di Hayym va doverosamente studiata ed approfondita per il prestigio da lui raggiunto in materia mistica. Nonostante fu calabrese solo per iussanguinis, la sua carriera deve rendere orgogliosi tutti noi calabresi. Nato nel 1542, suo padre era uno scriba giunto con la moglie sulle sponde della regione, seguendo l’itinerario tracciato da tanti suoi correligionari che, durante la diaspora, in occasioni storiche disparate e per varie ragioni, si erano stanziati in ogni angolo del Meridione dove avevano edificato le giudecche ed eretto i loro luoghi di culto. Il giovane Hayym si appassionò prontamente allo studio delle materie esoteriche nella natia Safed. Nel 1564 il suo campo d’interesse per il misticismo ricoprì anche la Kabbalah da lui studiata seguendo il sistema di Mosè Cordovero. Fu proprio l’incontro con Luria, in visita a Safed, a dare una svolta decisiva alla sua vita e a fornireinput e direttive alla sua carriera di studioso, consigli e precetti basilari che gli garantiranno il raggiungimento di alti livelli di conoscenza. Questi insegnamenti trasmessigli durante le lezioni di Luria, sono ancora oggi contenuti nei testiEz ha-Hayyim (l’albero della vita) ed Ez-ha-Da’at.,scritti pregevolmente da Hayym. La sua carriera di saggio erudito, fu costellata di successi, e si fregiò anche del titolo di Rabbino a Gerusalemme, la sua notorietà era celebrata negli ambienti cabalistici più illustri del suo tempo.Desiderso in ogni istante della sua vita di allargare i suoi orizzonti conoscitivi, studiò incessantemente e nemmeno la semi-cecità frenò questo suo desiderio, lo fermò solo la morte, ma il suo ricordo è ancora vivo.In realtà, la sua conoscenza è approssimativasoprattutto perché manca uno studio sistematico ed approfondito sulla sua personalità e sulle sue opere.Così come i suoi colleghi mistici, consacrò la sua vita allo studio e alla ricerca della verità, la vera finalità del mistico e dell’uomo di cultura in generale. In effetti, come si evince anche dalle parole dello scrittore Gilbert Keith Chesterton nel libro “L’incredulità di Padre Brown”: I veri mistici non nascondono i misteri, li rivelano. Pongono una cosa nella piena luce del giorno e, quando l’avete vista, essa è ancora un mistero. Ma i mistagoghi nascondono una cosa nell’oscurità e nel segreto e, quando la scoprite, è un’insulsaggine”. FELIX DELFINO 3


San Paolo a Reggio

Sul frontone della cattedrale della città di Reggio Calabria sono ben visibili e leggibili tre significative parole riportate dagli Atti Degli Apostoli scritte da S. Luca amico e discepolo di S. Paolo. In queste tre parole si legge:<<CircumlegentesdevenimusRhegium>>. Era la primavera del 61 d.C. quando Paolo proveniente da Cesarea e diretto a Roma per essere processato giungeva nella città dello Stretto. La tradizione racconta che al suo arrivo, posando i piedi a terra, Paolo trovò i Reggini intenti a festeggiare presso il santuario di Diana Fascelide meravigliati dalla presenza di questo straniero venuto dal mare. Paolo allora avvicinandosi chiese con lo stile sobrio e deciso che lo contraddistingueva, di poter parlare a quella folla festante per pochissimo tempo, solo il tempo necessario affinché una candela posizionata su una colonna del tempio si consumasse. E’ iniziò così a pregare e a parlare di Dio; la folla rimase attonita e sbigottita dalle parole dell’uomo. E’ così che iniziò il culto cristiano nella città di Reggio. Progressivamente il culto verso Paolo a Reggio devenne via via sempre più forte nel corso dei secoli successivi. Nel 1543,secondo quanto riferito da P. Francesco Russo, i canonici Reggini nel corso di una petizione rivolta a Roma affinché S. Stefano venisse incluso nel Martirologio, fecero espresso riferimento alla predicazione paolina e al tempio di Diana Fascelide evidenziando che nelle immediate vicinanze dello stesso tempio sorgeva una cripta sotterranea contenente un’ immagine ritraente la figura di S. Paolo mentre abbatte l’altare dedicato alla dea stessa. Anche dal punto di vista artistico l’interesse verso la cultura paolina fu notevole. Infatti la popolazione reggina dedicò una chiesa al santo fin dai tempi più antichi e la tradizione storica l’ha voluta sempre ubicare nelle vicinanze del tempio dedicato a Diana ormai distrutto nei pressi della Porta Mesa. 4


Tale chiesa fu poi distrutta durante l’attacco turchesco del 1594 che assediò la città devastandola intensamente e venne nuovamente ricostruita subito dopo e vi rimase in piedi fino al 1740 dove annualmente ad opera del gesuita P. Bartolomeo Petracciovenivano rinnovati i sermoni inneggianti la venuta di S. Paolo a Reggio. Per opera dell’ArcivescoPolou intorno al 1745 venne abbattuta la precedente costruzione per edificarne una nuova e più capiente. Anche la letteratura locale ci fornisce preziose testimonianze del culto paolino sviluppatosi nella nostra città. Infatti il P.Cappuccino Bernardino Giunta in una sua opera scritta probabilmente intorno al 1590 e intitolata De Origine CivitatisRheginaeracconta che al suo tempo era possibile vedere la Colonna del prodigio annerita sulla sua sommità. Durante l’incendio dei turchi avvenuto nel 1594 la Colonna fu spezzata in quattro pezzi e poi profanata; fu ritrovata e ricomposta successivamente grazie all’opera certosina di Monsignor Annibale D’Afflitto che tra l’altro ci riferisce di come durante tutto il suo periodo alla guida della chiesa reggina la devozione verso la Colonna era molto fervida. Ma sempre nel raccontare le vicende che caratterizzarono nei secoli la figura e il culto di S. Paolo a Reggio non è affatto possibile non citare la forma liturgica che caratterizza alcuni solenni aspetti celebrativi che si praticano da immemore tempo in devozione a S. Paolo. Si tratta di un inno liturgico con relativa orazione e antifona che veniva recitato in occasione dell’Ufficiatura della festa come più volte ricordato ed evidenziato da numerosi storici locali. Purtroppo tale inno è andato distrutto perché conservato su alcuni manoscritti ecclesiastici devastati dalle furie brutali e cruente dei tanti eventi sismici che si sono abbattuti sul nostro territorio cancellando sicuramente tante belle testimonianze della nostra storia.Infine vanno ricordati i tanti poeti e letterati locali che hanno dedicato parte dei loro versi a S. Paolo. Mi riferisco a Pietro Laboccetta rettore della Cattolica di Reggio nel corso del XVII secolo e all’Abate benedettino Clemente Tosi che canta con sonanti distici latini la Colonna del prodigio.

SAVERIO VERDUCI 5


Il quartiere Praci di Motta San Giovanni (RC)

Evoluzione storica e urbana tra il XVII e il XX secolo

Fig. 1 _ Quartiere Praci di Motta San Giovanni (RC), immagine storica anno 1949. Il quartiere storico Praci di Motta San Giovanni in provincia di Reggio Calabria, secondo ricostruzioni storiche, ha le sue origini edificatorie all’inizio della seconda metà del XVII sec., dopo la caduta della dominazione bizantina avvenuta nella prima metà dello stesso secolo, quando l’adiacente monastero bizantino di San Giovanni Teologo fondato nell’XI sec. è ormai abbandonato e trasformato in rudere. In questo periodo avvenne l’espansione edilizia nella “Terra della Motta”, termine che nella documentazione storica indicava il piccolo villaggio ai piedi della fortificazione di questo borgo antico di Motta San Giovanni, grazie a un incremento demografico della popolazione e alla crescita economica locale. La prima edificazione di Praci iniziò da un processo impostato sul modello elementare caratteristico delle aree ioniche della Calabria, dove l’inestricabile ramificazione di vicoli, ronchi e cortili, apparentemente caotica e casuale, è il risultato della relazione col pendio roccioso; con un edificato che si relaziona allo stesso, e alle particolari forme che esso assume localmente, e che in ogni caso specifico sfrutta l’elemento naturale in modo da risolvere i problemi di accessibilità e fruizione, assieme a quelli costruttivi e di stabilità. Le variazioni di confine avvengono per rifusione tra più edifici o per frazionamenti, mentre le trasformazioni per sopraelevazioni o sostituzioni; una ricostruzione dello sviluppo edificatorio è possibile attraverso un’attenta analisi e sovrapposizione delle mappe catastali storiche che permettono di indagare le forme dell’impianto originario e la sua evoluzione nel tempo. Da questo studio è emerso che a Praci oggi gli assi viari rispecchiano, con qualche variante, l’assetto originario; si suddividono in percorsi pedonali, percorsi con scale e un unico percorso carrabile, che corrisponde alla “Strada Matrice”, in direzione nord – sud. I lavori di costruzione della Strada Matrice, oggi via Zaccuri Giovanni, furono eseguiti tra la fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo, quando a Motta San Giovanni si registrarono un incremento demografico e un miglioramento dell’economia locale; 6


quest’ultima basata sulla produzione di prodotti pregiati come la seta. Pertanto si assiste a un miglioramento dello stile di vita della popolazione, alla realizzazione di edifici più ampi a due elevazioni e all’espansione edilizia verso est del quartiere per rispondere alle nuove esigenze abitative. L’urbanizzazione di Praci dalle origini edificatorie ad oggi avviene in tre fasi formative: la prima ricade nel periodo che va dalla seconda metà del XVII sec. agli inizi del XVIII sec., leggibile nelle strade e negli edifici storici ancora esistenti a ridosso di via Roma. Il tessuto edilizio era costituito da edifici con cortili, che servivano ciascun’unità edilizia, con una posizione, rispetto al lotto, del tutto analoga a quella delle domus elementari: sul fronte meridionale dell’isolato; gli androni si trovano al centro del lotto mentre nella fascia opposta, secondo la norma, sono su un lato, per evitare di dividere a metà il corpo di fabbrica. Questo comportamento è comune della casa a corte, dove per obbedire alla legge dell’isorientamento solare, le cellule abitative inizialmente si pongono sul lato settentrionale del recinto a prescindere dalla loro posizione nel tessuto, imponendo all’ingresso di variare la sua posizione secondo i lati liberi su strada. . In un secondo momento, prima che ha inizio una seconda fase edilizia di espansione del quartiere, avvengono negli edificati esistenti fenomeni d’insulizzazione e di tabernizzazione che sono all’origine dell’intasamento degli spazi liberi. L’insulizzazione prevede la progressiva occupazione dello spazio interno alla corte con costruzioni in prevalenza ad uso abitativo, mentre la tabernizzazione, al contrario, si rivolge verso l’esterno, ed è legata all’attività produttiva, quindi l’occupazione di cortili che si affacciano su strada per costruzioni che saranno adibite a magazzini o ad attività commerciali. La seconda fase formativa è riconducibile tra la metà del XVIII sec. e i primi anni del XIX sec., con la realizzazione di nuovi edifici nell’area, cui ci si arrivava percorrendo la “Salita Maisano”, una scalinata che percorre il costone di calcari dal basso verso l’alto, o da una via che interseca via Pansera Giovanni; quest’ultima arteria parte dalla piazza principale del centro storico di Motta San Giovanni, chiamata “U Burgu”. In questa zona il tessuto viario, si articola e si distribuisce in modo capillare attraverso i ronchi, percorsi a cul de sac di larghezza, cioè vicoli ciechi, o vicoli con forma e profondità molto variabili, che occasionalmente vanno a sboccare, tramite sottopassi in cortili privati e semipubblici; gli edifici invece sono realizzati sia a corte sia a schiera, costituiti da un unico piano, il piano terra. L’edificio in questione è la cosiddetta “casa terranea”, il cui tipo edilizio è conseguenza della struttura socio – economica del quartiere. La struttura è costituita da un unico ambiente di dimensioni cellulari con un vano quadrato di m 4,00 x 4,50 oppure rettangolari di m 5,00 x 5,50, dove si svolge per intero la vita familiare, ma di frequente lo stesso spazio è utilizzato anche per il ricovero degli animali, per la conservazione delle derrate alimentari e degli attrezzi da lavoro. In seguito l’edificio a un piano diventa a due piani, chiamato “casa terranea a due livelli” con l’ampliamento delle cellule abitative esistenti; questa variazione portò a una nuova ripartizione degli spazi abitativi.

Fig. 2 _Casa terranea, via Gullì Annunziato, anno 2011.

Fig. 3 _Casa terranea a due livelli, via Anghelone Giovanni, anno 2011.

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La terza fase edilizia, invece, è riconducibile al periodo che va dagli ultimi anni del XIX sec. e gli inizi del XX secolo. In questa fase costruttiva si ha l’ampliamento delle abitazioni con la realizzazione di nuovi vani, occupando spazi liberi adiacenti alla stessa costruzione, la sopraelevazione di alcuni edifici esistenti, la trasformazione di alcune cellule da magazzini ad abitazioni, o viceversa l’alloggio è modificato, per assolvere la funzione di magazzino, oppure a quella di ricovero per gli animali. Per quanto riguarda la trasformazione viaria, si ha l’ostruzione di alcuni vicoli con la costruzione di nuovi edifici, e alla mutazione di ruolo degli spazi liberi conseguente al superamento della struttura familiare arcaica, dove i cortili privati, ormai sono trasformati da stretti vicoli o ronchi senza sbocco a spazi pubblici, e i muri di confine tra le corti, quando non occupati da edificazioni, tendono a essere demoliti o in certi casi forati da varchi per facilitare la circolazione. Oggi le fasi costruttive che tracciano l’evoluzione storica ed urbana del quartiere Praci sono ancora visibili negli assi viari e negli edifici storici che si conservano in mediocre e cattivo stato di conservazione o parzialmente visibili in quelli che si sono trasformati con sopraelevazioni e superfetazioni, conseguenti ad opere di abusivismo riconducibili alla seconda metà del XX sec.; per cui rappresentano una tangibile testimonianza storica, architettonica e sociale non solo del quartiere storico oggetto di studio ma dell’intero e antico centro storico di Motta San Giovanni.

Figg. 4 - 5 _ Quartiere Praci di Motta San Giovanni (RC), rilievo architettonico e fotografico anno 2011. Nella Fig. 4 l’edilizia storica in mediocre e cattivo stato di conservazione è evidenziata di colore grigio, mentre di rosso è l’edilizia di nuova costruzione.

VINCENZA TRIOLO

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L’Intervista al Dottore dei Bronzi

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L’Intervista al Dottore dei Bronzi La Calabria è una regione d’Italia conosciuta per diversi motivi. La storia di questa regione non è caratterizzata solo ed esclusivamente da aspetti negativi; l’arte, la storia e la cultura in senso generico devono e vogliono sopprimere le dicerie che coprono con un velo di secondarietà le risorse calabresi. Così, per restare in tema di eccellenze e tesori di Calabria, tutto il mondo conosce una delle opere più imponenti e importanti della Magna Grecia “ i BRONZI DI RIACE“. Queste due statue bronzee vennero rinvenute il 16 agosto del 1972 presso Riace Marina in provincia di Reggio Calabria, grazie alla segnalazione del sub professionista Stefano Mariottini. Le operazioni di recupero, gestite e guidate della Soprintendenza, terminarono con l’approdo delle due opere sulla spiaggia calabrese. La rivista CESAR così, ha voluto intervistare uno dei migliori amici dei Bronzi di Riace, non per farsi narrare la storia del ritrovamento o le diverse ipotesi sulla loro identità (cose tra l’altro già note al vasto pubblico), bensì il dottor SCHEPIS è stato interpellato per raccontare e descrivere alla nostra redazione la scelta della metodologia del restauro e le emozioni provate durante la sì delicata operazione. Facciamo dunque un passo indietro. L’amicizia tra il dottor Schepis e i suoi “antichi pazienti bronzei” iniziò proprio il 16 agosto del 1972; Schepis allora diciassettenne, ebbe l’onore di conoscere le due opere, prima che esse venissero trasferite a Firenze per l’esecuzione del primo restauro nel 1975. L’inaspettato incontro cambiò radicalmente la vita del dottore, difatti, a diciotto anni, iniziò a frequentare l’accademia delle belle arti con indirizzo Scultura e Restauro di Reggio Calabria. Il curriculum di Schepis iniziò a crescere anno dopo anno: nel 1979 vinse il concorso Nazionale cartografico per l’istituto nazionale per la Grafica, occupandosi di matrici litografiche e calcografie, mentre nel 1986 Vinse il concorso a Brera per il restauro degli affreschi di stucchi e cornici. Diversi anni dopo “Nuccio”, iniziò a provare fortemente il desiderio di tornare nella sua terra d’origine insieme al suo più grande sogno … Reincontrare i “Guerrieri”! Ebbene sì, tempo dopo, la sua esperienza e il suo desiderio, ma soprattutto la sua professionalità, lo accompagnarono ad un incontro molto importante, decisivo, per un ulteriore “Restauro del sogno di Riace”. La Soprintendenza di Reggio Calabria nominò dunque il nuovo restauratore del tesoro Calabrese: “NUCCIO SCHEPIS”. Le operazioni di restauro coordinate dal CSIR di Roma, insieme alla Dott.ssa Paola Donati ed il Dott. N.Schepis , iniziarono nel 2010 presso il palazzo T. Campanella di Reggio Clabria. I due “guerrieri ammalati e colpiti dal potere del tempo nelle profondità del mare” furono sdraiati su un lettino di carbonio. L’intera procedura di restauro fu un vero e proprio micro scavo archeologico con l’utilizzo della gammagrafia ossia raggi gamma , effettuata dal Dott.Maurizio Salustri di Palermo, infine si rivelò decisivo l’utilizzo di lastre telescopiche per mappare l’interno del corpo Bronzeo. Per finire, la pulizia meccanica e chimica e l’utilizzo di un prodotto chimico anti corrosione, permisero l’eliminazione dei residui dannosi per l’incolumità di uno dei tanti tesori Calabresi. Ad oggi i “Bronzi” risiedono al Museo Nazionale di Reggio Calabria, la loro “suite” è stata allestita e realizzata solo ed esclusivamente in vista di un loro soggiorno permanente. LEANDRA MAFFEI

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Ludi Gladiatori parte I

“Mi chiamo Massimo Decimo Meridio, comandante dell’Esercito del Nord, generale delle Legioni Felix servo leale dell’ultimo vero Imperatore Marco Aurelio, padre di un figlio assassinato, marito di una moglie uccisa e avrò la mia vendetta in questa vita o nell’altra……”

Quante volte ascoltando questa frase ci siamo soffermati a pensare ai gladiatori e alla loro vita. Ma,effettivamente, chi erano e da dove nasce la spettacolarizzazione della violenza e della morte di cui erano gli artefici? Gli spettacoli gladiatori hanno origini molto antiche e il loro scopo si proponeva di offrire un sacrificio umano agli dei Maniche fosse in grado diplacarli, sacrificio che veniva, di solito,eseguito sulla tomba di un personaggio pubblico di spicco. Le prime informazioni, su questi spettacoli, provengono dalla Campania e a Roma vennero introdotti,solo nel 264 a.C., sotto il consolato di Quinto Fulvio Flacco e Appio Claudio. Da allora iniziò la loro diffusione e, con la conseguente perdita del carattere di cerimonia funebre,sitramutarono in spettacoli fino a diventareuna forte attrazione sfruttata dai politici per farsi pubblicità. I Ludi si svolgevano all’interno dei Fori Romano e Boario usufruendo strutture transitorie. Per lo svolgimento dei munera,Roma, fu dotata di una struttura stabile solo sotto l’Impero di Augusto e, per iniziativa di Statilio Tauro, venne realizzato un anfiteatro * in Campo Marzio, andato poi bruciato nell’incendio del 64 d.C. *(Il termine anfiteatro venne creato nel I secolo a.C. quando Scribonio Curione offrì dei munera in occasione della morte del padre. Per la circostanza vennero costruiti due teatri lignei contrapposti montati su perni che venivano ruotati al momento dei combattimenti, lo spazio che si creava nella parte centrale si presentava con una forma ellissoidale). Solo nell’80 d.C., con la dinastia Flavia,si arrivò a costruire e ad inaugurare un vero e proprio teatro in muratura di dimensioni considerevoli: l’Anfiteatro Flavio, meglio conosciuto come il nome “Colosseo”il cui nome derivava dalla vicinanza con il Colosso di Nerone. La struttura venne realizzata sul luogo dove si trovavaun piccolo lago che adornava la Domus Aurea. 11


L’anfiteatro aveva una struttura possente ripartita in quattro piani: i primi tre ordini presentavano una scansione ad arcate inquadrate da semicolonne tuscaniche, ioniche e corinzie; il quarto piano aveva, invece, una muratura piena scandita da finestre alternate a lesene corinzie. Nellaparte superiore, tre mensole e tre fori, per ogni settore, sostenevano le impalcature per il velario, un sistema di teli, che servivano a proteggere gli spettatori dal sole. Questo ingegnoso“tetto” era manipolato da una squadra di cento marinai, provenienti dal porto di Miseno e stanziati nel Castra Misenatum.Gli “ingressi vomitoria”, che immettevano all’anfiteatro, erano gestitimediante l’uso di tessere numerate chepermettevano un riscontro con la numerazione delle arcate poste al piano terra eche conducevano alle gradinate dei singoli settori; al contrario, gli ingressi che si trovavano alle quattro estremità degli assi maggiori erano isoli a non essere numerati perché,i posti,erano riservati a varie personalità tra cui: vestali, magistrati, collegi religiosi ecc. L’ingresso rivolto a nord era, invece, collegato alla tribuna imperiale, quindi, ad uso esclusivo della famiglia imperiale stessa. L’Anfiteatro Flavio presentava una cavea distribuita in tre fasce: l’Ima Cavea, la Media Cavea e la Summa Cavea. L’Ima Cavea era quella più vicina all’arena ed era riservata ai senatori, la Media al rango equestre e la Summa alla plebe, mentre, la struttura lignea di coronamento era assegnata alle donne e alle classi più infime della plebe. Al di sotto della superficie dell’arena vera e propria si trovavano i sotterranei fatti realizzare, presumibilmente, all’epoca di Domiziano e servivano per alloggiare le strutture mobili delle scenografie, le gabbie degli animali e i montacarichi.Non conosciamo con certezza se l’arena avesse per base un tavolatointeramente realizzato in legno o settori coperti con la volta in muratura e settori con la struttura di legno. Dietro ogni munerasi celava una severa organizzazione assoggettata dalle leges gladiatoriae, un insieme di regolamentazioni, che variavano a seconda del periodo storico e della città in cui venivano svolti. Ogni gladiatore apparteneva ad una familia che era formata da un gruppo di gladiatorilegati ad un lanista il cui compito era quello di gestire, di mantenere e di addestrarne tutti i membri. Era proprio al lanista che si indirizzavano coloro che volevano organizzare un munus. Il lanista, che non godeva certo di una buona fama, affittava i gladiatori, della propria familia, a cifre così esorbitanti che il Senato, (sotto Marco Aurelio),fu costretto aregolamentare i costi tramite un vero e proprio “listino prezzi”.

Era ovvio, comunque, che il prezzo del gladiatore variavaa seconda della capacità, dell’esperienzae della preparazione dello stesso. Il gladiatore era solitamente uno schiavo, un prigioniero di guerra, un condannato a morte, ma non mancavano anche giovani, appartenenti anche a famiglie decadute, di 17 o 18 anni, attiratisolo dall’illusione di ottenere in breve tempo fama e ricchezza. 12


Secondo il regolamento giuridico, i gladiatori, erano divisi in cinque categorie: della prima categoria facevano parte i noxi ad gladium ludi damnati: più precisamente,quegli uomini che erano stati destinati a morire nell’arena dove scendevano privi di armi e costretti a subire gli attacchi dell’avversario senza alcuna possibilità di difesa. La seconda categoria comprendeva i condannati ad gladium:erano coloro che prima di essere condannati ai lavori forzati erano uomini liberi, potevano partecipare ad un combattimento gladiatorio e nel caso di una loro vittoria riacquistavano la libertà. Appartenevano alla terza categoria gli schiavi assegnati ai ludi; mentre la quarta era formata dagli auctorati:uomini liberi che volontariamente avevano rinunciato ad alcuni dei propri diritti per sottomettersi ad un lanista; dell’ultima categoria, la quinta, facevano parte gli schiavi “affittati” dai loro proprietari per prendere parte ai munera. I gladiatori vivevano in caserma e la loro vita era molto dura, dormivano in celle molto piccole, sudicie e carenti di luce, erano sorvegliati a vista e oltre ad essere assoggettati ad una disciplina rigidissima, dovevano rispettare leggi molto severe. Le punizioni che venivano inflitte loro erano esageratamentesadiche (flagellazione, bruciature con ferri roventi ecc.) tali da spingeremolte volte il gladiatore al suicidio o a organizzare rivolte (come quella attuata da Spartaco a Capua). Se da un lato la disciplina era dura,l’alimentazione era, invece, moltocurata e studiataintenzionalmente per i gladiatori, lo scopo era quello di aiutare sia losviluppo del tono muscolaresia una perfetta capacità fisica. Uno specifico addestramento gli veniva impartito dai doctores che venivano coadiuvati sia, dai subordinati denominati primus o secundus palo, che dai rudarii,veterani, che si potevano fregiare del rudis, la spada di legno, che aveva segnato il loro congedo dalla vita gladiatoria. A Roma la scuola gladiatoria, per eccellenza, costruita da Domiziano ad est del Colosseo, era il Ludus Magnus, dove un corridoio sotterraneo la collegava direttamente all’arena del Colosseo stesso.Questa scuola venne presto affiancata da altre, tra cui: il Ludus Gallicus e il Ludus Dacicus.Nella zona intorno all’Anfiteatro Flavio si trovavano anche tutte le infrastrutture legate al mondo dei ludi come: il Sanarium(infermeria), l’Armamentarium(armeria generale) e lo Spoliarium: quest’ultimo accoglieva quei gladiatori senza vitadove venivano spogliati delle armi e delle armature, ma era anche il luogo dove venivano portati quelli in fin di vita per dargli il colpo di grazia. Per ultima troviamo il Ludus Matutinus la caserma dove risiedevano e si addestravano i venatores e i bestiarii. Fino all’età di Augusto, i gladiatori, indossavano armature quasi uguali a quelleutilizzate dai militari;in seguito,le classi gladiatorie,vennero suddivise in base all’armatura e all’equipaggiamentoche adoperavano e, soprattutto, in base alla tecnica di combattimento. L’armatura base era costituita: dal perizoma (subligaculum) fermato dal balteus (ampio cinturone), da un elmo, dalla manica, generalmente inmetallo, sul braccio destro, dal galerus (armatura che proteggeva la testa e fissata al braccio sinistro), da un’ocrea (schiniere a volte rinforzato in metallo) e dalle fasciae, ovvero, bende che servivano a proteggere le braccia e le gambe.Sono le fonti storiche ed epigrafiche che ci hanno permesso di riconoscere almeno dodicidifferenti classi gladiatorie,ognuna delle quali,con proprie caratteristiche. Non tutte sono esistite contemporaneamente: ad esempio, i Samnites scomparvero in età repubblicana, mentre i Galli si trasformarono in Murmilloni, altre come, ad esempio, i Traci, non cambiarono le loro caratteristiche giungendo immutati fino all’età imperiale. 13


Samnites: è indubbiamente il ramo più antico dei gladiatori e deriva il suo nome dai temibili nemici di Roma. Indossava un’armatura pesante, di cui fa parte: un elmo a calottacon o senza cimiero, uno o due schinieri, un grande scudo rotondo o rettangolare con cui si proteggeva il torace perchè nella maggior parte dei casi era scoperto. La sua arma era il gladio o una lancia. Sotto il principato di Augusto questa classe fu sostituita dall’Hoplomacus e dal Secutor. Retiarius: è una classe gladiatoria dell’antica Roma; il reziario è letteralmente “l’uomo con la rete”. Apparve per la prima volta, nell’arena, nel I secolo e ben presto divenne l’attrazione quotidiana dei giochi gladiatorii.Combatteva con un equipaggiamento simile a quello utilizzato dai pescatorie simile era anche la tecnica di combattimento.Non portava né protezione alla testa, né tantomeno alle gambe. Indossava solo il perizoma,tenuto dal balteus,e lottava con un’armatura leggeracomposta dalla manica al braccio sinistro e dal galerus. Non aveva armi difensive ma solo offensive quali: un tridente (fuscina), una rete (iaculum), di circa tre metri di diametro con dei pesi posti alle estremità,che lanciavaall’avversario per intrappolarlo, ed un piccolo pugnale (pugio). Agile e veloce,molto libero nei movimenti, il reziariousava uno stile di combattimento sfuggente ma pronto a cogliere ogni vantaggio per sferrare i suoi colpi. Questa strategia, non gradita dagli spettatori, unita ad una sensazione di effeminatezza che emanava la figura quasi nuda del reziario, lo pose al livello più basso delleclassi gladiatorie, ma l’occasione di poter vedere in volto questi antagonisti portò ad aumentarne la popolarità, tanto che, il reziario divenne il tipo di gladiatore più famoso.Nell’arenacombatteva di solito contro il secutor, un gladiatore pesantemente armato e con il murmillone. Thraex: presumibilmente il trace compare ai tempi di Silla quando, nello scontro con Mitridate re del Ponto, furono catturati alcuni guerrieri della Tracia (Bulgaria). Questo gladiatore indossava un elmo (galea) dalla calotta emisferica,a larga falda, provvisto di un’ampia visierafornita di grate o di due fori per gli occhi e da un alto cimierocon una protome a testa di grifone (animale mitologico dal corpo dileone e dalla testa di uccello rapace). Anche il trace portava il perizoma con il balteus,la manica posta la braccio destro ed era protetto da cnemides(altro tipo di schinieri) che proteggevano quasi per interoentrambe le gambe; come armi usavalasica (corta spada con lama ricurva) e un parmula(piccolo scudo rettangolare).L’oplomachus e il murmillone erano gli avversari del trace. Hoplomacus: originariamente erano i Sanniti ma con la riforma di Augusto il loro nome fu cambiato in oplomachi.Non abbiamo descrizioni precise circa il loro abbigliamento e armamentarioma possiamo dedurlo solo attraversoalcune testimonianze che sono giunte sino a noi. Spesso era confuso con il trace. Guerrierodall’armatura pesanteera raffigurato con un enorme elmo dall’ampiavisiera e spiovente paranuca con alto pettine sulla calotta;vestiva il perizoma trattenuto dal balteus e uno schiniere sulla gamba sinistra. L’armamento era composto dalgladio, dalla lancia (hasta) che usava nello scontro ravvicinato e dall’oplon, un grande scudo tondo di origine greca, con cui si proteggeva. Combatteva contro il murmillone e raramente anche contro il trace. Equites: come dice il nome, gli equites , erano combattenti a cavallo e,abitualmente,spettava loro aprire i munera.A differenza di molti altri gladiatori, anche se la loro rappresentazione è rara, si deduce che: vestivano una corta tunica, un elmo emisferico a tesa circolare (forse di cuoio) provvista di visiera e raramente,portavano fasce di protezione alle gambe; le loro armiincludevano una lunga spada, forse priva di punta e una lancia, probabilmente, facevano parte del loro equipaggiamento anche uno scudo rotondo e la manica al braccio destro. Combatteva con gladiatori appartenenti alla sua stessa classe.

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Secutor (controretiarius): (inseguitore), facevano parte dei gladiatori sanniti e a differenza del murmillone, il secutor,combatteva esclusivamente contro il reziario, per questo motivo venne denominato controretiario e di conseguenza alcune parti del suo armamentariovenneroperfezionatein modo tale da rendere più difficoltosa la lotta con l’avversario.Erano protetti daun elmo ovoidalea calotta liscia,(che non offriva appiglio alla pericolosissima rete dell’avversario)sprovvisto di tesa, con due piccoli fori per gli occhi (la particolare conformazione dell’elmo rendeva impossibile al tridente di colpire il volto del gladiatore). Si difendeva conun grande scudo rettangolare dai bordi arrotondati, una manica, una protezione per le spalle e gli schinieri. La loro arma era ilgladio corto. Provocator: noto fin dalla tarda Repubblica combatteva sempre contro gladiatori della stessa classe. Derivavano il nome dal verbo latino provocare, erano quelli che riscaldavano il pubblico poichè proposti all’inizio dei combattimenti. Il loro armamentario, tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C., ricordava quello dei legionari. Solo nel II-III secolo d.C. vennero dotati delgladio, di un grosso scudo trapezoidale curvo, di un elmo ovoidale, liscio, con protezione per il viso, manica al braccio armato sulla destra e schiniere per la gamba sinistra.La loro tecnica di combattimento li vedeva sempre in continuo movimento alternando i colpi scudo-gladio. Murmilloni (o Mirmilloni): anche se la loro classe era la più comune era difficileidentificarli perché erano armati in modo simile ai legionari. Le loro armi, sia di offesa che di difesa, erano un grande scudo rettangolare ricurvo (scutum) che copriva completamente il corpo dalla spalla al ginocchio e il gladio (spada corta); l’abbigliamento era composto dal perizoma fermato dal balteus, da uno schiniere nella gamba sinistra e una manica al bracciodestro. Particolare era il pesante elmo a tesa larga, con la visiera traforata,sormontato da un cimiero metallico, a forma di pesce (murma), da cui il gladiatoresembra prendere il nome. A causa della sua pesante armatura il suo modo di combattere era incentrato soprattutto sulla difesa e non sull’agilità. Abitualmente,il murmillone, combatteva contro il retiario per ricreare quella specie di lotta che si replicava tra pescatore (retiario) e pesce (murmillone), ma combatteva anche contro il trace, l’oplomaco, il provocator e altri della sua stessa categoria. Il gladiatore Spartaco combatteva da murmillo. Sagittarius: raffigurato soltanto su un rilievo che si trova a Firenze,i sagittari, erano una classe gladiatoria molto rara e prendevano il nome dalla voce essedum, il carro da guerra gallico. Indossavano un’armatura leggera composta da un elmo, una manica e una corazza; come armi da combattimento usavano solo l’arco e le frecce. Essedarius: probabilmente era un gladiatore di origine gallica, di questo gladiatore vi è una totale assenza di raffigurazioni. Facevano parte di una classe particolare perchè combattevano dal carro (esseda) trainato da un tiro di due cavalli guidati da unauriga; indossavano un perizoma fermato dal balteus, una manica sul braccio destro, corti schinieri o fasciature, l’abbigliamento era completato da un elmo. Le loro armi erano una spada corta e unalancia.. Combatteva solo contro gladiatori della stessa classe.

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Dimacherus: insufficienti sono le fonti iconografiche riguardo questa classe gladiatoria che prendeva il nome dalla parola di-màcheros, cioè chi nell’arena duellava con due spade corte. Dalle poche notizie pervenute si evince che,grazie ad un equipaggiamento molto leggero, il loro modo di combattere era agile e veloce. Probabilmenteindossava una semplice tunica,era privo di elmo,ma, era armato con due cortigladi o con due pugnali o addirittura con un pugnale e un gladio. Analogamente agli equites era possibile che aprissero il combattimento a cavallo per poi seguitare a combattere a piedi.E’ proprio la mancanza di protezioni che fa ritenere che, i dimacherus,lottassero solo fra di loro come, del resto, avveniva per i provocatores. Veles: come i sagittari erano una classe molto rara. La lorocitazione si ritrova solo in Isidoro di Siviglia e in qualche iscrizione; combattevano con un’armatura leggera e a capo scoperto, erano privi di scudo ele loro armi erano la lancia e il gladio. Scissor: anche questa classe gladiatoria è nota solo da un’iscrizione e da qualche rilievo, è propriograzie a quest’ultimise possiamo dedurreche era pesantemente armato e cheil loro equipaggiamento comprendeva: un elmo ovoidale con i fori per gli occhi, due schinieri, una manica sul braccio destro ed il gladius.Sul braccio sinistro aveva un tubo metallico con una specie di falcetto all’estremità. Lo scissor non disponendo di uno scudo per la protezione del corpo indossava una lorica squamata. Solitamente, nei combattimenti, era contrapposto al reziario. Laquearius: è una classe gladiatoria molto simile al reziario e come tali erano vestiti. I laquearius prendevano il nome dalla voce latina laqueum(laccio). Le loro armi offensive erano una spada o un pugnale ed un lungo laccio con cui cercavano di fermare gli avversaribloccandoli a terra. Spatarii: piuttosto che di una classe gladiatoria, potrebbe forse trattarsi di un armamento particolare che avevano in dotazione altri gladiatori che utilizzavano fondamentalmente la spatha (lunga spada) invece del gladium. Testimonianze epigrafiche dimostrano l’esistenza di murmillones spatharii e di thraeces spatharii. Scaeva: “i mancini” erano una classe gladiatoria molto ricercata, indossavano gli schinieri e combattevano con l’arma nella mano sinistra e lo scudo nella destra. Si parlava di pugna scaevata quando erano due mancini a combatterenell’arena. SAMANTHA LOMBARDI 16


Os líderes platinos na guerra civil farroupilha (1835-1845): o conflito sul-brasileiro sob uma perspectiva internacional (III parte)

di JANAITA DA ROCHA GOLIN

para suplantar esta recente república, e que vai tomar a ofensiva sobre a campanha, saindo uma divisão pelo São Gonçalo, e o exército do campo, que ora ocupa, movimento que vai ser já desenvolvido, segundo todas as probabilidades e notícias vindas do Rio Grande. Esperanço-me porém, que V. Ex., tomando o quanto venho de expender em seu verdadeiro ponto de vista, não só fará regressar a divisão o mais pronto que se possa, mas também ativará a vinda das cavalhadas, afim de eu poder manobrar com vantagem na frente doexército imperial, se estas, como espero, me não faltarem, bem assim outros recursos, que por ventura nos sejam precisos da república. O barão de Caxias, Luís Alves de Lima e Silva, foi nomeado presidente da província do Rio Grande do Sul em 28 de setembro de 1842, tomando posse em 9 de novembro do mesmo ano. A situação do exército imperial na região era bastante delicada quando Caxias assumiu o seu comando. Todas as administrações anteriores haviam fracassado nas negociações com os rebeldes. O oferecimento de anistias e as propostas de pacificação da província foram constantemente rejeitados pelos farroupilhas. Além disso, os farroupilhas, “a qualquer ofensiva imperial seguiam rumo ao Estado Oriental, onde recebiam proteção de Rivera” (MENDES, 2011, p. 13). Durante seus primeiros dois meses de governo, Caxias tratou de visitar os corpos imperiais espalhados pela província, organizar o exército e iniciar as primeiras tentativas de entendimento com os governos platinos. Constituiu o exército legalista na província em três divisões: a 1ª comandada pelo brigadeiro Felipe Néri de Oliveira; a 2ª, pelo coronel Jacinto Pinto de Araújo Correia, e a 3ª, por João da Silva Tavares. Caxias dispunha de um contingente militar de 11.549 soldados. Em contato com Oribe, Caxias promoveu acordo para impedir que os farroupilhas se refugiassem na fronteira oriental. Desde seu primeiro mês como presidente legal da província, procurou interceder junto ao Paraguai para a obtenção de cavalhada para seu exército, compensando o péssimo estado em que encontrou os cavalos pertencentes às tropas legalistas. Seu antecessor, Saturnino de Souza e Oliveira, já havia iniciado negociações para aquisição de cavalhada na província de Corrientes, compra efetivada por Caxias em 25 de janeiro de 1843. Em 10 de maio de 1843, Oribe e Caxias trocavam correspondências sobre a possibilidade de venda de 6 mil cavalos ao exército imperial. No mês seguinte, o barão informou ao ministro e secretário de estado dos Negócios da Guerra, Salvador José Maciel, sobre a sua expectativa em receber 4.000 cavalos que havia encomendado do Estado Oriental. Em 2 de novembro de 1843, Caxias oficiou ao ministro Salvador José Maciel sobre as negociações que havia praticado também com Rivera a fim de

16 Ofício de Bento Gonçalves da Silva a Frutuoso Rivera, em 13 de janeiro de 1842. ARARIPE, Tristão de Alencar. Guerra civil do Rio Grande do Sul. Revista do Instituto Histórico e Geográfico Brasileiro. 1883. Vol. 462, p. 365-366. 17 Ofício do barão de Caxias ao ministro e secretário de Estado dos Negócios do Império Candido José de Araújo Vianna, comunicando sua posse na província do Rio Grande do Sul. Porto Alegre, 9 de novembro de 1842. In: APBC-NDH-UPF, nº 1, pt. 1. 18 Em 12 de novembro de 1842, Caxias oficiou ao ministro José Clemente Pereira sobre a nomeação de um agente diplomático na República do Paraguai, a fim de que se facilitasse a compra de cavalhada para uso do exército imperial. Ofício do barão de Caxias a José Clemente Pereira, em 12 de novembro de 1842. ARARIPE, Tristão de Alencar. Guerra civil do Rio Grande do Sul. Revista do Instituto Histórico e Geográfico Brasileiro. 1884. Vol. 472, p. 49-50. 19 Ofício do barão de Caxias ao ministro José Clemente Pereira. Porto Alegre, 25 de janeiro de 1843. In: APBC-NDH-UPF, nº 49, pt. 1. 20 Ofício de Manuel Oribe ao barão de Caxias, em 10 de maio de 1843. ARARIPE, Tristão de Alencar. Guerra civil do Rio Grande do Sul. Revista do Instituto Histórico e Geográfico Brasileiro. 1884. Vol. 472, p. 121. 21 Ofício do barão de Caxias ao ministro Salvador José Maciel. Taquarimbó grande, 20 de junho de 1843. In: APBC-NDH-UPF, nº 101, pt. 3.

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adquirir 3 mil cavalos em troca de armamentos e peças de artilharia. A aquisição de cavalhada pelo exército imperial após a nomeação de Caxias provinha de três formas: negociação com os países platinos; particulares e expropriação dos inimigos. A compra de cavalos na região do Prata, além da necessidade real, pode ser interpretada como uma forma de impedir que os farroupilhas obtivessem cavalhada, já que era habitual que os rebeldes a conseguissem por intermédio de acordos com os líderes platinos. As províncias platinas beneficiavam-se em muito com o recurso militar considerado o mais importante: o cavalo, pois abasteceram, por diveras vezes, as duas forças oponentes que se enfrentaram na guerra civil farroupilha. Em 1843, Frutuoso Rivera se indispôs contra o Império quando apoiou os farroupilhas na guerra civil e exigiu a devolução ao Uruguai das Missões sul-rio- grandenses. A reivindicação do território brasileiro estava baseada no Tratado de limites de Santo Ildefonso, acordado em 1777. As ações de Rivera também desagradaram a Rosas, que temia uma Confederação rival à sua. Nesse panorama, parecia que uma aliança com o Império do Brasil e o governador de Buenos Aires era atraente, pois Rivera constituía-se em um inimigo comum a ambas nações. Tomás Guido, representante de Rosas, foi enviado ao Rio de Janeiro para negociar uma composição entre os dois países. Foi, então, concluída a aliança com a finalidade exclusiva de derrubar Rivera e pacificar o Rio Grande do Sul. Contudo, mesmo que o acordo tivesse sido firmado e ratificado pelo Brasil, Rosas, no momento de também ratificá-lo, rejeitou-o, sob a justificativa de erros formais. Na realidade, a aliança não passou de uma hábil manobra política, que jogou o Império contra Rivera e manteve-o afastado dos negócios platinos, como sempre pretendeu o governador argentino. Foi um triunfo completo de Rosas, que afastou o perigo de intervenção européia, recolocou Oribe no governo de Montevidéu e continuou mantendo a neutralidade brasileira (CERVO, 1992, p. 55). A atitude do governador de Buenos Aires acentuou a desconfiança dos meios políticos brasileiros. Percebeu-se a dificuldade de entendimento e a inviabilidade de uma composição com Rosas para atingir as metas concretas do governo imperial. Inclusive, quando Caxias assumiu a tarefa de pacificação da província do Rio Grande do Sul, Rosas prometeu 6.000 cavalos ao exército imperial, intermediados por Manuel Oribe, o qual respondeu a Caxias que desconhecia tal promessa, esquivando-se em auxiliar o Império do Brasil. A inviabilidade da manutenção de relações mais confiáveis com as lideranças platinas, demonstrada pelo fracasso com que as composições com eles resultaram, ocasionaram a alteração da política exterior platina brasileira. Parecia que era necessário interceder energicamente no Prata para garantir os interesses imperiais brasileiros na região. Durante a administração de Caxias, Manuel Oribe ocupava o centro do Estado Oriental, onde instalou o Governo de Cerrito, que passou a sitiar Montevidéu. O governo uruguaio elegeu Joaquín Suárez para suceder Frutuoso Rivera, que havia sido derrotado em 1843 por tropas argentinas e uruguaias sob o comando de Oribe. O domínio de Oribe no Estado Oriental

22 Ofício do barão de Caxias ao ministro Salvador José Maciel. São Gabriel, 2 de novembro de 1843. In: APBC-NDH-UPF, nº 137, pt. 3. 23 Ofício do barão de Caxias ao ministro Salvador José Maciel. Estância Boa Vista, nas Pontas de Jaguari, 16 de julho de 1843. In: APBC-NDH-UPF, nº 117, pt. 3. 24 As tropas argentinas foram enviadas por Juan Manuel de Rosas, que aliando-se a Manuel Oribe, pretendia destituir Frutuoso Rivera do cargo de presidente do Uruguai, assumindo em seu lugar Oribe. Joaquín Suárez não foi aceito como presidente do Uruguai por Rosas e Oribe, os quais passaram a combatê-lo. O bloqueio do porto de Montevidéu foi uma das ações contra o governo uruguaio. Ver: MENDES, Jéferson. As relações diplomáticas entre o Barão de Caxias, os farroupilhas e os governos platinos e provincianos durante a Revolução Farroupilha. Disponível em: http://www.periodicos.ufgd.edu. br/index.php/historiaemreflexao/article/.../253. Acesso em: junho de 2010, p. 13-14.

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proporcionou o enfraquecimento de Rivera no território uruguaio. Mesmo com sua influência reduzida, Caxias preocupava-se com o contínuo auxílio e proteção que Rivera dava aos rebeldes. Por isso, enviou Silva Tavares à fronteira uruguaia com o intuito de sondar “o estado das coisas daquele lado”. O Ministério das Relações Exteriores, através do ministro Honório Hermeto Carneiro Leão, também intercedia pela busca da pacificação da província do Rio Grande do Sul, através de instruções ao encarregado de negócios na República Oriental do Uruguai, João Francisco Régis: “Aprovo igualmente as comunicações que V. Mce. tem feito ao presidente da província de São Pedro, acerca dos sucessos mais notáveis, que devem chegar ao seu conhecimento para o desenvolvimento de suas operações militares”. Em 6 de dezembro de 1842, Oribe venceu as forças de Rivera em Serro Largo, expulsando seus aliados de alguns pontos na fronteira. Isso favoreceu Caxias, pois, os rebeldes não teriam mais tanta facilidade para atravessar o Estado Oriental e receber os recursos antes proporcionados. Além disso, “os contatos com Manoel Oribe possibilitavam a entrada e saída das tropas imperiais no Estado Oriental” (MENDES, 2011, p. 79). Rivera foi derrotado por Oribe também na região de Entre Rios em 22 de dezembro de 1842. Com essa derrota, Caxias temia que Rivera buscasse apoio entre os rebeldes do Rio Grande do Sul. Existia indícios de que Bento Gonçalves e Rivera haviam se entendido sob a forma de algum tratado, pois os farroupilhas, conforme Caxias, receberam do Estado Oriental 200 clavinas e 200 espadas. E agora, com o fracasso de Rivera em Entre Rios, era possível que ele viesse procurar socorro no Rio Grande do Sul. Pensando nessa hipótese, Caxias reforçou a infantaria legalista na região da fronteira com o Uruguai. Antes mesmo que o tratado de Paisandú fosse ratificado entre os farroupilhas e Rivera, Caxias teve acesso sobre suas negociações através de ofício do coronel João da Silva Tavares. O ministro José Clemente Pereira foi informado pelo barão sobre as conferências que Bento Gonçalves havia tido em Paisandú. Além do tratado de Paisandú, Rivera também assinou com os rebeldes outros acordos. Apesar de Caxias tentar coibir a passagem dos farroupilhas para as províncias platinas, era difícil impedir que eles recebessem os recursos provenientes dessas regiões. Então, gradativamente, deslocou o exército imperial para a região da Campanha, procurando destruir “os redutos rebeldes existentes na fronteira” (MENDES, 2011, p. 57). Em um desses deslocamentos, o imperial Antônio Ignácio bateu de frente com o rebelde Antônio Mariano. No combate, foi apreendida a correspondência de Rivera endereçada a Canabarro. Nela, era revelada a existência de um plano sedicioso entre os farroupilhas e o líder oriental, além da promessa de Rivera em conceder cavalhada aos rebeldes. Caxias, em correspondência com o ministro da Guerra, Salvador José Maciel, exprimiu sua opinião em relação à escolha de aliados no Estado Oriental, optando pela opção de Manuel Oribe, pois visualizava em Oribe uma possível cooperação com o governo central, enquanto que Rivera iludia o Império ajudando secretamente os farroupilhas. Se não fosse por essas constantes assistências e proteções, principalmente de Rivera, a guerra já estaria concluída. Segundo Caxias, foi nesse arranjo de

25 Carta de Caxias ao ministro José Clemente Pereira. Rio Grande, 29 de novembro de 1842. In: APBC- NDH-UPF, nº 22, pt. 1. 26 Instruções de Honório Hermeto Carneiro Leão, ministro dos Negócios Estrangeiros, a João Francisco Régis, encarregado de negócios em Montevidéu, em 27 de fevereiro de 1843. Cadernos do CHDD / Fundação Alexandre de Gusmão, Centro de História e Documentação Diplomática. – Ano IX, Número 17. – [Brasília, DF] : A Fundação, 2010. 436 p. ; 17 x 25 cm Semestral. ISSN: 1678-586X, p. 26. 28 Ofício do barão de Caxias ao ministro José Clemente Pereira. Porto Alegre, 22 de dezembro de 1842. In: APBC-NDH-UPF, nº 36, pt. 1. 28Ofício do barão de Caxias ao ministro José Clemente Pereira. Porto Alegre, 05 de janeiro de 1843. In: APBC-NDH-UPF, nº 54, pt. 1. 29 Com a República Rio-Grandense, além dos acertos de Piratini e Canguê, Rivera assinou o Tratado de Paissandu, em setembro de 1838; a Convenção 30 Secreta, de 5 de junho de 1841; a Convenção de Auxílios, de 28 de dezembro de 1841; a Convenção de Corrientes, de 29 de janeiro de 1842; a segunda Convenção de Paissandu, de 15 de outubro de 1842 (a qual Caxias teve acesso pela correspondência de Silva Tavares); e a Convenção das Pontas do 31 Quaraí, em 6 de março de 1844. Ver: GOLIN, Tau. A Fronteira. Porto Alegre: L&PM, 2002, p. 354. 32Ofício do barão de Caxias ao ministro Salvador José Maciel. Vila de Santa Maria, 4 de dezembro de 1843. In: APBC-NDH-UPF, nº 148, pt. 3.

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auxílio mútuo com o Prata, que os farroupilhas conseguiram, mesmo debilitados pela guerra, manter algumas ações até princípios de 1845. Em meados de 1844, a vantagem dos imperiais sobre os farroupilhas era considerável. A estratégia de pacificação do barão em ocupar o maior número de pontos na região da Campanha, perseguir os grupos armados incessantemente e conceder anistia a todos os rebeldes que depusessem as armas contra o Império do Brasil gerara resultados satisfatórios. Antônio Vicente da Fontoura, já anistiado, foi escolhido pelo Império como o embaixador na corte para tratar da pacificação, obtendo cartabranca para interceder nos ajustes da restituição da paz. As negociações resultaram no Decreto de Anistia do Imperador, publicado em 18 de dezembro de 1844, onde ficou acertado o perdão absoluto daqueles que se rebelaram contra o Império do Brasil. Em 28 de fevereiro de 1845, David Canabarro, representante dos que se insurgiram contra o Império na província do Rio Grande do Sul, pelo período de quase dez anos, apresentou o pedido de perdão coletivo dos oficiais insurgentes ao imperador para serem beneficiados com a anistia. Ao cabo, aquele foi o meio encontrado, jamais existindo um tratado de paz, pois o Império não poderia reconhecer o que nunca se materializou na província do Rio Grande do Sul: um estado independente do Império. Em 1º de março de 1845, Caxias declarou pacificada a província. O Ministério das Relações Exteriores do Brasil divulgou nota para as legações imperiais no dia 22 de março de 1845, comunicando a pacificação completa da província. A concretização da solução da guerra civil farroupilha foi acompanhada pelo atendimento de inúmeras condições apresentadas pelos insurretos ao governo imperial. Como por exemplo, o pagamento da dívida contraída pelos farroupilhas e a incorporação dos ex-rebeldes no exército imperial. A realização dessas compensações não representou uma derrota para o Império, pelo contrário, ela possibilitou que os ex-líderes rebeldes se tornassem aliados, resguardando a segurança das fronteiras meridionais do Brasil, voltando-se contra os ex-aliados platinos se fosse necessário. Conforme analisou o historiador Cesar Guazzelli, “tendo em vista a possibilidade iminente de conflitos no Prata, o Brasil não podia abrir mão daqueles elementos que eram capazer de mobilizar tropas na região” (1997). Pelo motivo de que os líderes platinos visualizavam nos ex-combatentes farroupilhas possíveis aliados nos seus enfrentamentos, o governo imperial mantinha os anistiados da guerra civil de 1835-1845 sob alta vigilância, procurando ao máximo mantê-los como seus aliados. Com os acordos realizados entre os exrebeldes, pôde-se perceber que o olhar do Império ia além dos limites territoriais do Sul do Brasil, ou seja, observava também as forças de atração platina, consideradas perigosas pelos seus projetos expansionistas. A insurreição interna farroupilha, portanto, ampliou-se como questão geopolítica de grande proporção no espaço platino, onde sua solução representou uma importante conquista para o Império do Brasil. LISTAS DE ABREVIATURAS E SIGLAS :APBC-NDH-UPF, nº, pt. – Arquivo Pessoal do barão de Caxias – Núcleo de Documentação Histórica - Universidade de Passo Fundo, número, pasta. CV– Coleção Alfredo Varela. FONTES:SPALDING, Walter. Construtores do Rio Grande. III Volume. Porto Alegre: Sulina, 1973, p. 91. Circular de 22/03/1845. Caderno do CHDD, ano III. no 4 / Fundação Alexandre Gusmão. Centro de História e Documentação Diplomática. Brasília: DF – 2004 Semestral ISSN: 1678-586X, p. 116-117. REFERÊNCIAS BIBLIOGRÁFICAS CALÓGERAS, J. Pandiá. A Política Exterior do Império. Volume III: Da Regência à Queda de Rosas. Brasília: Câmara do Deputados/Companhia Editora Nacional, 1989. CERVO, Amado Luiz; BUENO, Clodoaldo. História da política exterior do Brasil. São Paulo: Ática, 1992. GOLIN, Tau. A Fronteira. Porto Alegre: L&PM, 2002. GOLIN, Tau. A Tradicionalidade na cultura e na história do Rio Grande do Sul. Porto Alegre: Editora Tchê, 1989. GOUVEIA, Maurílio de. Marquês do Paraná, um varão do Império. Rio de Janeiro: Biblioteca do Exército, 1962. GUAZZELLI, Cesar Augusto Barcellos. O Horizonte da Província: a República Rio- Grandense e os Caudilhos do Rio da Prata (1835-1845). Rio de Janeiro: Universidade Federal do Rio de Janeiro, 1998. (Tese de Doutorado). KLAFKE, Álvaro Antonio. Antecipar essa idade de paz, esse império do bem. Imprensa periódica e discurso de construção do Estado unificado (São Pedro do Rio Grande do Sul, 1831-1845). Porto Alegre: Universidade Federal do Rio Grande do Sul, 2011. (Tese de doutorado). LEITMAN, Spencer Lewis. Raízes socioeconômicas da Guerra dos Farrapos: um capítulo da história do Brasil no século XIX. Tradução de Sarita Linhares Barsted. Rio de Janeiro: Edições Graal, 1979. MENDES, Jéferson. As relações diplomáticas entre o Barão de Caxias, os farroupilhas e os governos platinos e provincianos durante a Revolução Farroupilha. Disponível em: http://www.periodicos.ufgd.edu. br/index.php/historiaemreflexao/article/.../253. Acesso em: junho de 2010. MENDES, Jeferson dos Santos. O barão de Caxias na guerra contra os farrapos. 2011. 120 f. Dissertação (Mestrado em História)- Programa de Pós-Graduação em História, Universidade de Passo Fundo, Passo Fundo, 2011. RECKZIEGEL, Ana Luiza G. S. A diplomacia marginal: vinculações políticas entre o Rio Grande do Sul e o Uruguai (1893-1904). Passo Fundo: UPF EDITORA, 1999. SPALDING, Walter. A Revolução Farroupilha: história popular do grande decênio, seguido das efemérides principais de 1835-1845, fartamente documentadas. São Paulo: Nacional; [Brasília]: INL, 1980. SPALDING, Walter. Construtores do Rio Grande. III Volume. Porto Alegre: Sulina, 1973, p. 91.

JANAÌTA DA ROCHA GOLIN

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PARLANDO DI...

VINCENZA TRIOLO, nata a Reggio Calabria nel 1980,

consegue nel 2014 la laurea in Scienze dell’architettura e nel 2012 la laurea in Storia e Conservazione dei Beni Architettonici e Ambientali nella Facoltà di Architettura di Reggio Calabria. Nel 2001 collabora, con l’incarico di esperto esterno, al progetto PON per il recupero e la valorizzazione del centro storico di Motta San Giovanni. Nel suo iter universitario partecipa a numerosi stage: Fortificazione di Santo Niceto, rilievo e analisi di degradi e dissesti, Archeologia e cantieri di restauro nella Sicilia centrale, Studio di edilizie di base del paese di Armo Gallina (RC), Rilievo e analisi dei degradi e dissesti di Palazzo Spinelli di Motta San Giovanni (RC). Nel 2013 collabora a progetti di ricerca con il Dipartimento PUA presso l’Università “Mediterranea” di Reggio Calabria ed è stagista presso la Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici delle provincie di Reggio Calabria e Vibo Valentia. Nel 2014 collabora con la Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici delle provincie di Reggio Calabria e Vibo Valentia con la qualifica di esperto esterno all’attività di catalogazione relativa all’uso del sistema informatico per i Cantieri di Restauro SICaR del MIBACT e all’uso del sistema informatico per la catalogazione relativa all’uso del sistema informatico per i Beni Culturali SIGEC/WEB del MIBACT. Nello stesso anno pubblica il saggio dal titolo: Il Quartiere Praci di Motta San Giovanni (RC). Storia, architettura e conservazione: linee guida per il recupero e il ripopolamento con la GB Editoria; e scrive in diverse riviste online che si occupano di Architettura, Storia e Conservazione dei Beni Culturali.

SAMANTHA LOMBARDI Archeologa, laureata nel 2005 in Scienze Storiche e Archeologiche del Mondo Classico e Orientale con tesi in Preistoria e Protostoria, dal titolo: “Le sepolture del Paleolitico Superiore in Italia con Manifestazioni Artistiche“; nel 2008 consegue la Laurea Magistrale in Archeologia e Storia dell’Arte del Mondo Antico e dell’Oriente con lode, con una tesi dal titolo: “La Catacomba Ebraica di Vigna Randanini”. Entrambe le lauree sono state conseguite presso l’Università di Roma “La Sapienza”.Blogger per il suo sito, www.ilpatrimonioartistico.it, dove pubblica regolarmente articoli che trattano la Storia dell’Arte, l’Archeologia e gli usi e costumi delle popolazioni antiche. Collabora con l'associazione culturale, Il Consiglio Archeologico, dove cura i contenuti del sito e delle brochure ed saltuariamente gestisce visite guidate.Attualmente collabora con Il tabloid.it curando la sezione Cultura e Ambiente.I suoi hobbies sono: la fotografia, la lettura, la musica e la cucina. Pratica la speleologia, la subacquea, l'equitazione e il tiro con l'arco. Ama viaggiare per scoprire sempre nuovi luoghi. Cell : 3661398806

JANAÍTA DA ROCHA GOLIN 03/05/1981 - Santa Maria/RS – Brasil Endereço profissional Universidade Federal da Fronteira Sul, Pró-Reitoria de Graduação Totais de produção: Artigos completos publicados em periódico Artigos aceitos para publicação Livros publicados Trabalhos publicados em anais de eventos Apresentações de trabalhos (Comunicação) Apresentações de trabalhos (Simpósio) Eventos: Participações em eventos (congresso) Participações em eventos (seminário) Participações em eventos (simpósio) Participações em eventos (encontro) Participações em eventos (outra) Organização de evento (congresso)Organização de evento (outro)Participação em banca de trabalhos de conclusão (curso de aperfeiçoamento/especialização)


PARLANDO DI...

SAVERIO VERDUCI

( Melito Porto Salvo, 1979 ) Storico e giornalista divulgatore si è laureato in Lettere Moderne presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’ Università degli Studi di Messina nel 2006 con una tesi di laurea dal titolo: “La Calabria nello spazio mediterraneo in epoca romana. Produzioni, rotte e commerci”. Nel 2007 ha conseguito presso la medesima facoltà il Perfezionamento post-laurea in storia e filologia: dall’antichità all’età moderna e contemporanea con una tesi dal titolo: “ I rapporti commerciali tra la Sicilia e le provincie orientali in epoca tardoantica”. Nel 2010 ha conseguito il Perfezionamento post-laurea in studi storico-religiosi e nel 2011 ha conseguito il Master di II Livello in Architettura e Archeologia della Citta Classicapresso la Scuola di Alta Formazione in Architettura e Archeologia della Città Classica dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria con una tesi dal titolo “ Rhegion fra Atene e Dionisio I ”. Studioso di storia antica e medievale si occupa della valorizzazione della plurimillenaria storia del territorio reggino e segue con particolare interesse la ricostruzione delle vicende storiche relative al territorio di Leucopetra ( Lazzaro) dove egli vive. Nel 2012 è stato nominato membro della giuria Premio Letterario “ Metauros ” sez. A – Libro edito di storia locale e nel 2013 sempre per il medesimo premio ne è stato nominato presidente di giuria della stessa sezione. Collabora inoltre con l’Istituto Comprensivo Motta San Giovanni ormai da alcuni anni in qualità di esperto e referente storico per i vari progetti di ricerca storica sul territorio lazzarese e mottese. Attualmente collabora con le rivisteCostaviolaonline.it per la quale cura le pagine di approfondimento storico, con il portale Grecanica.com -voci dalla Calabria greca, con il sito Lazzaroturistica.it per il quale cura le pagine di storia e di archeologia, e con la rivista di studi storici Cesar.

FELICE DELFINO. Nato il 04 Ottobre del 1979 a Oppido Mamertina (Rc), ha conseguito nel 2009 il Magistero presso l'Istituto Superiore di Scienze Religiose "Mons. Zoccali" di Reggio Calabria. Ha insegnato per due anni religione e cultura storico-sociale presso la Do.Mi. di Villa San Giovanni ed ha collaborato con alcune riviste storico-culturali locali pubblicando articoli religiosi per la rivista dell'Associazione Mariana "Amici di Fatima" di Rosalì (Rc), ma anche articoli e saggi storici con alcune riviste cartacee e online tra cui costaviola online. Appassionato da anni alla storia ebraica ha preso parte a diversi convegni incentrati sugli ebrei reggini (nel 2011 al Palazzo della Provincia di Reggio Calabria, evento organizzato dalla Fi.da.pa di Rc, insieme con l'avv. Franco Arillotta e con lo storico Natale Zappalà; nel 2012 nella conferenza presso la sez.UNLA di Arghillà Gallico). Ha pubblicato nel 2013, con la casa editrice Disoblio di Bagnara Calabra, l libro "La presenza ebraica nella storia reggina". Attualmente vive a Catona (Rc).


UOMINI DI CULTURA

Barlaam di Seminara

Bàrlaam Calabro (o di Seminara). - Teologo ed erudito (Seminara 1290 circa - forse Avignone 1348). Studiò in Calabria in un monastero basiliano aderente di fatto, se non di nome, alla Chiesa greca; passato a Costantinopoli (1328 circa), divenne presto abate del monastero di S. Salvatore e professore di teologia. Nel1334 fu il portavoce della Chiesa ortodossa nell’incontro, che si risolse con un nulla di fatto, con i due rappresentanti della Chiesa latina inviati a Costantinopoli da papa Giovanni XXII per trattare dell’unione delle Chiese. Entrato poi in aspro contrasto con Gregorio Palamas e gli esicasti, da lui accusati di eresia presso il patriarca Giovanni Caleca, ne vide accettare le dottrine da un concilio riunitosi in Santa Sofianel 1341, sicché preferì lasciare Costantinopoli recandosi ad Avignone. Ivi si legò d’amicizia con il Petrarca, a cui diede qualche insegnamento di greco e, forse, di filosofia platonica. Passato al cattolicesimo B., forse per mezzo del Petrarca, ottenne il vescovado di Gerace; ebbe poi una missione presso l’imperatrice bizantina reggente, Anna di Savoia, allo scopo di raggiungere l’unione delle Chiese: progetto che fallì con il trionfo di Giovanni Cantacuzeno (1347). Rientrato ad Avignone, vi si trattenne forse fino alla morte. Numerosi e importanti i suoi scritti, editi solo in parte. Per ulteriori approfondimenti : http://www.treccani.it/enciclopedia/barlaam-calabro/


NOVOTA’ DAL...

Arte, recuperati oltre 5.000 reperti archeologici

ROMA - Tornano al patrimono culturale italiano “5.361 reperti archeologici dal valore di circa 50.000.000 di euro, definitivamente restituiti allo Stato, al termine di una complessa indagine e vicenda giudiziaria internazionale, recentemente conclusasi nel territorio svizzero, a Basilea. I beni risalenti a un vastissimo arco temporale, compreso tra il VIII sec. a. C. e il III sec. d. C., provenivano da scavi clandestini effettuati in diverse regioni d’Italia: Calabria, Campania, Lazio, Puglia, Sardegna e Sicilia”. Con queste parole il generale Mariano Mossa dei Carabinieri Nucleo operativo Tpc (Tutela Patrimonio Culturale) ha dato inizio alla conferenza stampa svoltasi non a caso al Museo Nazionale Romano alle Terme di Diocleziano. “Si tratta del più grande quantitativo di reperti archeologici mai recuperati in un’unica operazione, grazie al lungo e meticoloso lavoro svolto dai Carabinieri Tpc”, commenta il Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo Dario Franceschini. La domanda è d’obbligo ; che fine faranno adesso questi 5.361 reperti? Forse verrà allestita una mostra per far conoscere al pubblico l’immenso patrimonio che in anni di saccheggio è stato sottratto, ma l’idea di Franceshini “è che ognuno di questi reperti venga restituito alle regioni a cui è stato illecitamente sottratto”. “L’Italia sottolinea il ministro - è un immenso museo diffuso, le opere non possono essere concentrate all’interno di un unico grande luogo che le conservi. E’ importante valorizzare il patrimonio nel territorio di provenienza. E’ lì poi che bisogna fare opera di controllo, con un’adeguata protezione e prevenzione per evitare il ripetersi di tali azioni. La criminalità infatti utilizza strumenti sempre più complessi per colpire il nostro patrimonio artistico”. E a una domanda precisa Franceschini risponde che si sta lavorando a pene più severe per scoraggiare il traffico di opere d’arte.


...LIBRI


ITALIA CONCORSI

I T A L I A

I T A L I A

I T A L I A

*Premio Letterario Internazionale Itinerante World Literary Prize I Edizione http://www.concorsiletterari.it/ *Pagine di Territorio Storie di Uomini e Paesi VII Edizione http://www.concorsiletterari.it/ concorso,4725,Pagine%20di%20Territorio%20Storie%20di%20Uomini%20e%20Paesi *Mediterranea 17 –Young Artists Biennale Milano 2015 http://www.giovaniartisti.it/concorsi/2015/02/02/mediterranea-17-young-artists-biennale-milano-2015

C O N C O R S

C O N C O R S

C O N C O R S

*Concorso Internazionale di poesia Olympia Città di Montegrotto Terme 2015 XV Edizione http://www.concorsiletterari.it/ concorso,4663,Concorso%20Internazionale%20di%20 poesia%20Olympia%20Città%20di%20Montegrotto%20Terme%202015 *Familydom progetti fotografici http://www.premioceleste.it/VisibleWhite2015/ ref:monster/ *Call for Artists I in memory I http://www.giovaniartisti.it/concorsi/2015/01/21/microbonet-call-artists-memory-bersaglio-expo

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