dotta ma sistematicamente alienata, appropriata e reinvestita su scale maggiorate. La guerra contemporanea può essere considerata una delle modalità della rottura dei limiti nei quali incorre la dinamica capitalistica nella propria tendenza e necessità costante all’espansione, nonché una delle modalità della rideinizione e del rinnovo di quelle asimmetrie tra nazioni sviluppate e meno sviluppate che è necessaria precondizione per quella stessa espansione, anche e soprattutto in tempo di assenza di conlitti armati su grande scala. 3.7. Conclusioni Accanto a valutazioni di questo genere, abbozzate e generali, è necessario raggiungere qualche conclusione in merito ai “ili rossi” che si è tentato di dipanare in questa tesi. Prendo spunto dalle conclusioni del lavoro di George Mosse che ha maggiormente guidato il mio approccio al tema del mito dei caduti nel caso circostanziato della Campana dei Caduti. «In ultima analisi, il Mito dell’Esperienza della guerra è infatti legato al culto della nazione: se questo riluisce, com’è accaduto dopo la seconda guerra mondiale, il mito ne viene fatalmente indebolito; ma se il nazionalismo come religione civica tornerà ancora una volta sulla cresta dell’onda, ancora una volta il mito gli si accompagnerà. E tuttavia (malgrado il futuro rimanga aperto), gli elementi che testimoniano la trasformazione seguita alla seconda guerra mondiale sono convincenti: il mito sembra consegnato al passato storico dell’Europa. Non v’è miglior illustrazione del risultato inale di questa trasformazione del monumento ai caduti del Vietnam a Washington, l’unico monumento ai caduti realmente vivo in qualsiasi paese occidentale. Qui non v’è nessuna iscrizione patriottica, ma soltanto la chilometrica lista dei nomi dei morti incisi sulla bassa parete nera: nomi da toccare e onorare in un cordoglio non pubblico, ma privato. (…) Possiamo guardare al monumento ai caduti del Vietnam come a qualcosa che, oltre a commemorare i morti di quella guerra, rappresenta altresì una vittoria strappata alla sconitta; ossia come ad un monumento alla morte, per quanto provvisoria, del Mito dell’Esperienza della Guerra»39.
Vorrei cercare di relativizzare l’ottimismo e il senso di vittoria espressi da Mosse. Se, come da me ipotizzato, si può parlare di una mondanizzazione del culto della nazione, ciò signiica solo che quest’ultimo perde la sua forma ma non la sua sostanza. Con ciò intendo dire che l’istanza nazionale, sopravvissuta ai mutamenti della sua forma, continuava a rappresentare, in tempo di pace, la garanzia di uno sviluppo dell’ordine sociale ed economico in senso capitalistico e modernizzante che era stato proprio, complessivamente, anche dei cosìddetti regimi totalitari. Le considerazioni di Mosse circa la subalternità 39
Mosse, Le guerre mondiali cit., pp. 248-249.
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