
6 minute read
3.2. La Campana dei Caduti sotto la Reggenza di Eusebio Jori
3.2. La Campana dei Caduti sotto la Reggenza di Eusebio Jori
Per quanto riguarda la Campana dei Caduti, padre Eusebio Jori, subentrato nel 1953 come nuovo reggente dell’Opera al posto di Rossaro, non si discostò sostanzialmente dall’apparato ideologico costruito dal sacerdote defunto intorno al grande bronzo monumentale, ma al contempo cercò di stilare un ambizioso progetto di sviluppo per l’istituzione. Nella guida per i visitatori stampata nel 1955, la presentazione del libello ricordava e celebrava l’ideatore della Campana e formulava questo augurio:
Advertisement
«‘MARIA DOLENS’, contemplata nella luce del suo alto valore spirituale e morale, possa spingerci ad onorare sempre di più i nostri valorosi Caduti e a sentirci maggiormente fratelli»12 .
La guida esponeva la storia della Campana, confermava le vecchie coordinate simboliche e rafigurava, attraverso un ampio apparato visivo, tutta l’iconograia del bronzo, dalle incisioni interne: le frasi dei condottieri, riportate in modo preciso ed esteso, ad esempio, le decorazioni esterne, le rafigurazioni delle costellazioni che dominavano il cielo nei giorni di inizio e ine della grande guerra, oppure il bassorilievo, spiegato dettagliatamente. La parte inale del corteo bronzeo, come è già stato sottolineato, era certamente la più problematica dal punto di vista di un messaggio che volesse essere di pace e fratellanza tra i popoli. La donna rappresentata alla ine della silata trionfale veniva, in questa guida, identiicata con la Vittoria (e non con l’Italia, come supposto da Renato Trinco), mentre la piccola statua alata veniva interpretata come la Pace alata, offerta in dono alle genti proprio dalla Vittoria. In ogni caso, il nesso tra una gloria militare che si confondeva con la gloria di Cristo, la vittoria della guerra e la conseguente pace tra le nazioni veniva riconfermato, anche perché impresso indelebilmente sul metallo. Anche la terza ed ultima rifusione del bronzo, avvenuta nel 1964, confermava la continuità iconograica del bassorilievo sull’esterno della Campana (se si escludono i cambiamenti di scala dovuti alle dimensioni maggiorate o la presenza del simbolo di un’associazione umanitaria, i Lions Club International, che inanziò la fusione) mentre le incisioni interne non furono riprodotte. Come accennato, oltre alla ratiica dell’essenza della Campana come era stata voluta da Rossaro, in questa guida era però già chiaramente espresso il programma di lavoro del nuovo reggente.
«È allo studio un nuovo Statuto dell’Opera che sarà presentato al comitato dell’O.N.U. per il suo riconoscimento e la sua approvazione. Le Nazioni partecipanti attualmente alla nostra Istituzione sono diciannove, ma saranno invitate tutte
12 La Campana dei Caduti di Rovereto. Guida alla visita cit., p. 9.
le Nazioni del mondo. Nel giorno issato da ciascuna Nazione alla commemorazione dei propri Caduti, verrà trasmesso il suono del sacro e monumentale bronzo. Perché “Maria Dolens” suoni veramente sopra i Caduti di tutte le Nazioni del mondo, è in progetto la costruzione, in Rovereto, di un grande Ossario internazionale che raduni le spoglie di un Caduto per ogni Nazione del mondo. Ossario che sarà sormontato da una torre campanaria detta ‘Torre delle Genti’»13 .
Il giovane e dinamico frate considerava necessario, in modo tanto evidente quanto sottointeso nella sua produzione scritta in generale, un aggiornamento del messaggio di Maria Dolens. La Campana doveva uscire, parzialmente, dallo spazio simbolico in cui era nata, legato fortemente al racconto della prima guerra mondiale, per risultare coerentemente inserita nel nuovo scenario storico. In ciò il simbolo Campana, per come era stato costruito, facilitava grandemente questa opera di ridislocazione, che invece per il Museo della Guerra sarebbe risultata assai più complicata. In primo luogo perché Rossaro, quantomeno a livello formale, aveva affermato di voler rendere indipendente la Campana da partiti o dalle contingenze politiche, in linea con un’istanza interclassista nazionale che si doveva deinire “sopra le parti”. In secondo luogo perché, già dagli anni Venti, la celebrazione dei caduti, per quanto riguarda la Campana, era avvenuta sul doppio binario dell’eroe e della vittima14, a differenza del contesto tedesco, dove la situazione era diversa: «Nella più ampia rassegna dei monumenti eretti dopo la seconda guerra mondiale si legge che il concetto dei caduti
13 Ivi, p.19. 14 «E appunto per questo pensammo a un monumento che non fosse la solita fredda allegoria in bronzo o in marmo, di cui oggi c’è soverchio abuso, ma un monumento che, voce viva, risuonasse e scuotesse i cuori nella solenne rievocazione di tanti eroi scomparsi e di tante vittime trapassate senza conforto di baci e di pianto, ed ecco la Campana dei Caduti, che tutte le sere, dopo il suono dell’ultima avemmaria della valle, mandi loro il mesto saluto». rossaro, Una nuova iniziativa cit., pp. 149-150.
come vittime aveva sostituito l’antico ideale eroico»15. Memoria delle vittime e memoria degli eroi non erano, nel nostro contesto, in contrasto tra loro ma, anzi, risultavano complementari, come erano complementari il genere femminile e quello maschile all’interno della rappresentazione della famiglia. La passività che connota il concetto di vittima si conciliava bene non solo con una certa concezione del genere femminile, ma anche con la concezione del “popolo” che si è precedentemente analizzata nella pubblicistica rossariana. I meccanismi simbolico-inclusivi di cui ho parlato nel terzo capitolo trovavano un loro naturale sviluppo nel contesto italiano del secondo dopoguerra. Se la componente eroica, militare e “retorica” del mito dei caduti poteva essere parzialmente e gradualmente accantonata, era anche perché il mito dei caduti, e di rilesso l’istanza nazionale, aveva altre “gambe” su cui reggersi. Le componenti marginali della società che erano state incluse nel messaggio della Campana, in primo luogo quella femminile, erano simbolicamente portatrici di una istanza umanitaria, caritativa, assistenziale e paternalistica che poteva prescindere dall’istanza militare e guerresca e poteva fungere da sostegno legittimante della rifondazione della nazione italiana uscita sconitta dalla seconda guerra mondiale. La nazione si accingeva ad essere governata per diversi decenni da un partito come la Democrazia Cristiana, all’interno di una congiuntura economica espansiva che avrebbe permesso il dispiegamento di un forte stato sociale. Non è un caso che uno dei principali argomenti usati contro il progetto della grande “Redipuglia internazionale” di Jori, fosse quello polemico contro lo spreco di denaro pubblico per un monumento celebrativo piuttosto che per opere ad uso sociale16 . Questo tipo di argomentazione fu predominante anche nel dibattito che si venne a creare in merito all’uso dei fondi che lo stato italiano aveva stanziato, in occasione delle celebrazioni dei cinquant’anni della redenzione, per Trento e Trieste. Se l’iniziativa principale, a proposito di Trento, riguardava la costruzione di un’unica opera, un grande auditorium, non mancarono proposte per villaggi popolari “della Vittoria” o complessi sportivi, mentre le proposte, inine disattese, delle componenti combattentistiche tendevano a chiedere un uso dei fondi più parcellizzato e attinente al tema della celebrazione17 . Il contesto roveretano, negli anni Sessanta, fu caratterizzato da una espansione economica esuberante seppur ritardata rispetto al resto d’Italia. Venne iniziata la rapida costruzione della zona industriale e la cementiicazione del fondovalle fu prorompente. Una vasta opera di edilizia pubblica popolare si accompagnò alla costruzione di strade e infrastrutture, del nuovo ospedale, della cassa malati cittadina e del nuovo stadio sportivo. La vocazione turistica della città passò in secondo piano mentre iniziò un’accentuata an-
15 Mosse, Le guerre mondiali cit., p. 236. 16 Cfr. Mosse, Le guerre mondiali cit., p. 244. 17 I combattenti propongono un’opera in ogni città, in “l’Adige”, 5 gennaio1968.