34 minute read

Verbi deittici di moto in italiano e giapponese: due diverse rappresentazioni del movimento e della soggettività a confronto

FABIANA ANDREANI

Verbi deittici di moto in italiano e giapponese: due diverse rappresentazioni del movimento e della soggettività a confronto

Quando si legge un’opera in lingua originale, una sensazione comune è quella di sentirsi disorientati di fronte al testo: sebbene i personaggi siano i medesimi della versione tradotta, spesso i toni delle discussioni, le descrizioni degli stati d’animo, lo scorrere del tempo così come il ritmo delle vicende possono apparire dotati di un’espressività irriconoscibile e a tratti persino innaturale. Questo contributo trae il suo spunto originario proprio da questa comune e apparentemente banale esperienza, ed ha lo scopo di mostrare come, parafrasando le parole di Coseriu,1 “le lingue parlino delle stesse cose ma non dicano le stesse cose”. Ovverosia, nel caso specifico di italiano e giapponese, come esse non facciano uso delle stesse strategie per esprimere un medesimo contenuto. Si cercherà infine di mostrare come tali scelte influenzino la visione ed interpretazione dello spazio.2

1 Si veda Eugenio Coseriu, “Les universaux linguistiques (et les autres)”, in Luigi Heilmann, (a cura di) Proceedings of the Eleventh International Congress of Linguists, Il Mulino, Bologna 1974, pp. 47-73. Nell’articolo sono esposte le differenze che intercorrono fra significato, designazione e senso; dove il primo indica il significato di lingua, cioè il valore che una data parola ha all’interno del sistema lessicale della lingua a cui appartiene; la seconda indica invece la realtà extra-linguistica a cui una data parola fa riferimento; e infine il terzo consiste nel contenuto semantico del testo, cioè appunto nel senso che il testo comunica. Secondo Coseriu quindi non è possibile tradurre da una lingua a un’altra il significato, dal momento che questo è legato in maniera vincolante al sistema linguistico di cui una data parola fa parte; ciò che invece bisogna fare è comprendere la designazione di un dato termine e da lì ricercare nella lingua in cui stiamo traducendo il termine corrispondente che ha identica designazione di quello tradotto. 2 Si veda Dan I. Slobin, “From ‘thought and language’ to ‘thinking to speaking’, in John J. Gumperz & Stephen C. Levinson (a cura di), Rethinking linguistic relativity, Cambridge University Press, Cambridge 1997, pp. 70-96. Leonard Talmy, “The relation of grammar to cognition”, in Brygida Rudzka-Ostyn (a cura di), Topics in cognitive linguistics, John Benjamins, Amsterdam 1988, pp. 165-205. Talmy Givón, “Definiteness and Referentiality” in John H., Greenberg, C. A. Ferguson & E. A. Moravcsik (a cura di), Universal of human language, Stanford University Press, Stanford 1988, vol.4 Syntax, pp. 291-330. Come hanno fatto notare Slobin, Givón e Talmy, in ogni lingua esistono modi privilegiati per descrivere gli eventi e, in tal senso le scelte dei traduttori “are strongly influenced by the typologies of the source and target languages.” (Givòn, “Definiteness and Referentiality”, cit. p. 2, poiché, oltre che rispondere ad esigenze puramente stilistiche devono essere orientate a rendere il testo quanto più naturale per un lettore madrelingua.

Oggetto d’analisi saranno i cosiddetti “verbi deittici di movimento”,3 definiti da Ricca4 come: “verbi il cui impiego dipende criticamente dall’organizzazione deittica dello spazio in cui si svolge l’evento da essi denotato”, rappresentati nelle due lingue dall’opposizione lessicale di un elemento centrifugo ad uno centripeto (andare vs venire e iku vs kuru).

Tali verbi descrivono il moto nei tratti più essenziali di allontanamento o avvicinamento e sono strettamente vincolati nell’utilizzo alle condizioni pragmatiche (spaziali, temporali, emotive) del contesto d’utilizzo.5 Possiedono insomma una duplice natura concreta e cognitiva: se da un lato permettono di osservare come sia codificato lo “spostamento” nei suoi tratti più basici, dall’altro, consentono di studiare come si manifesti il contatto e la reciproca influenza tra la realtà interna al parlante e la situazione dell’enunciazione.

Lingue del fare e lingue del divenire

Il tema dell’arbitrarietà del linguaggio e della relatività linguistica, al centro delle riflessioni di numerosi studiosi europei (tra i più famosi ricordiamo Saussure, Sapir e Whorf), è alla base della celebre contrapposizione proposta da Ikegami Yoshihiko6 tra “lingue del fare” e “lingue del divenire”, che prenderemo come cornice nel quale inserire questo lavoro.

Ikegami, tramite un’analisi contrastiva principalmente svolta sulle strutture predicative di inglese e giapponese, il lessico verbale e l’attribuzione di ruoli grammaticali, teorizzò l’esistenza di due poli nella rappresentazione linguistica della realtà: quello rappresentato dal gruppo dei cosiddetti BECOME-languages [o Naru-teki gengo in giapponese, di seguito BL], che trovano il loro prototipo nella lingua giapponese, vs il tipo DO-languages [Suru-teki gengo, abbreviato DL], rappresentato in primis dall’inglese e, più in generale, dalle lingue europee. Secondo l’autore, il contrasto tra i due tipi appare con particolare evidenza nell’espressione del movimento spaziale.

Nel tipo BL, il modello espressivo di riferimento è quello del mutamento di stato [change in state / jōtai no henka]: in pratica, la lingua descrive le azioni come fa-

3 La scelta dell’etichetta “verbi deittici di movimento” ricalca la terminologia adottata da Fillmore (1966, 1975) nei confronti di “to go”/ “to come” nei suoi lavori sulla deissi, e poi ripresa in gran parte degli altri studi successivi (Gathercole, 1977 e 1978; Rauh, 1981; Wilkins and Hill, 1995; Ricca, 1993; Nakazawa, 1990, 2002, 2005, 2006). 4 Davide Ricca, I verbi deittici di movimento in Europa: una ricerca interlinguistica, La Nuova Italia, Firenze 1993. 5 Inoltre, aspetto che non tratteremo, questi verbi sono al centro di numerosi usi astratti e grammaticalizzazioni. 6 Ikegami, Yoshihiko, Suru to Naru no Gengogaku [Linguistica del fare e del divenire], Taishūkan, Tokyo 1981. Ikegami Yoshihiko, “Do-Language And Become-Language: Two Contrasting Types Of Linguistic Representation”, in Ikegami Yoshihiko (a cura di) The Empire of Signs, John Benjamins, Amsterdam - New York 1991, pp. 285–326.

centi parte di un flusso di eventi in lenta e continua transizione e, nelle descrizioni, maggiore attenzione è riservata all’intera scena [focus on the whole event / zentaiteki jōkyō he no chūmoku] piuttosto che al singolo agente.

L’esatto contrario tende ad avvenire in inglese (DL) dove l’agente ha sempre un ruolo centrale [focus on the individuum / kotai he no chūmoku] e le azioni seguono il modello del “fare” con particolare rilievo sul mutamento di luogo [change in locus / basho no henka], la volontarietà, l’agire del protagonista e i suoi effetti sull’oggetto. Sintetizziamo i punti principali di questa riflessione nella tabella 1.

Moto come “locomozione” (DO-language) Cambio di Luogo Focus sull’individuo

Goal-Oriented

Enfasi sull’agentività

Tabella 1 Moto come “transizione” (BECOME-language) Cambio di Stato

Focus sull’intera scena

Process-Oriented

Soppressione dell’Agentività

Con un’efficace metafora, potremmo dire che, mentre il giapponese propone il “film” (rappresentazione cinematica) di un’azione, le lingue europee ne propongono una “foto” (rappresentazione fotografica).

Adattando gli spunti della teoria di Ikegami all’oggetto di studio, questo lavoro verterà su due aspetti fondamentali: mostrare come gli utilizzi dei verbi deittici di movimento portino effettivamente a una diversa rappresentazione degli eventi di moto ed evidenziare come le due lingue codifichino grammaticalmente i confini della sfera personale.

La metodologia per raggiungere lo scopo sarà duplice: un breve studio degli usi grammaticalmente ammessi dei verbi in questione e un’analisi comparata delle occorrenze verbali provenienti da opere di letteratura contemporanea in versione originale e traduzione.

Confronto sugli usi grammaticali

Per quanto riguarda la coppia centrifuga, iku/andare condividono sia il significato deittico di allontanamento dal parlante sia quello di moto generico: i due verbi si possono così considerare quasi semanticamente equivalenti. Evidenti divergenze, invece, si incontrano mettendo a confronto venire e kuru quando è il parlante a muoversi verso chi ascolta (o quando una terza persona va dall’interlocutore): mentre l’italiano ammette quello che Fillmore7 definisce “deictic shift” del pun-

7 Charles Fillmore, “Coming and Going”, in Charles Fillmore, Santa Cruz Lectures on Deixis, Indiana University Linguistics Club, Bloomington 1975, pp. 50-69.

to di vista, il giapponese non prevede questa possibilità. Infatti se venire implica nella sostanza un’entità in avvicinamento ai partecipanti (parlante e/o ascoltatore) all’enunciazione, kuru è utilizzabile per designare esclusivamente ciò che si avvicina al parlante, o meglio ciò che interagisce con i domini cognitivi di colui che percepisce l’evento8 (si veda oltre). Il soggetto, in giapponese, potrà infatti “spostare” il suo punto di vista, identificandosi in altri partecipanti, solo se non coinvolto e/o presente nella scena dell’enunciato.9

Un discorso a parte meritano strutture peculiari della lingua giapponese del tipo V1-te iku e V1 -te kuru, che nelle espressioni di movimento reale possono esprimere i seguenti significati:10 •Azioni in successione o contemporaneità: L’agente si ferma in un luogo per fare qualcosa e poi riparte o ritorna al luogo di partenza. V1 e V2 sono da considerarsi come due predicati distinti (di solito nel parlato sono interrotti da una pausa prosodica).

1) tabete iku (Mangiare e poi andare via)

•Ausiliari deittici: iku/kuru orientano l’azione nei confronti del parlante (l’azione principale è V1) esprimendo qualcosa in avvicinamento o allontanamento. V1 -teV2 sono un’unità lessicale indivisibile e la marca deittica serve a esprimere la posizione del parlante nei confronti di azione a lui (o persone/oggetti nel quale si identifica).

2) dete-iku (Uscire e andare via); motte-kuru (Portare verso chi parla).

•Modalità dell’azione: iku/kuru rappresentano l’azione principale mentre V1-te (di solito un verbo di modo) precisa il mezzo o il modo di locomozione.11

3) hashitte-kuru (Arrivare correndo)

8 Altro differente uso lo si incontra anche nei complementi comitativi. Es. Vengo con te! che diventa Watashi mo iku yo! 9 Nakazawa precisa però che quando a muoversi verso l’ascoltatore è una terza persona “emotivamente prossima” (come ad esempio un familiare) al parlante, questi può prendere il punto di vista dell’individuo che sente più “stretto” a sé e utilizzare il verbo centrifugo IKU per descrivere la scena: in pratica come se fosse esso stesso a muoversi. Si confronti “koe-o kakeru-to, dareka-ga KURU darō”. ( “Se chiami, qualcuno forse verrà.”) con “ashita haha-ga anata-no tokoro-ni IKU” ( “Domani mia mamma verrà da te”) [Letteralmente: “Domani mia mamma, ovvero una persona psicologicamente molto vicina, andrà da te.] Per maggiori riferimenti: Nakazawa Tsuneko, “On come and go in English, Japanese, and Chinese: Why do they come while others go?”, in Language, Information, Text, vol. 12, University of Tokyo, Tokyo 2005, pp. 43-62. 10 Per maggiori riferimenti si veda Teramura Hideo, Nihongo no shintakusu to imi II (Sintassi e significato del giapponese II), Kuroshio, Tokyo 1984; Hasegawa Yoko, A Study of Japanese Clause Linkage: The Connective -TE in Japanese, CSLI Publications, Stanford, 1996; Shibatani Masayoshi, “Directional Verbs in Japanese in Motion”, in Erin Shay and Uwe Seibert, Direction and Location in Languages: In Honour of Zygmunt Frajzyngier (Typological Studies in Language), John Benjamins, Amsterdam 2003. 11 Tali composti sono centrali anche nell’espressione di connotazioni aspettuali quali la progressione, l’iteratività, la incoatività o la resultatività dell’azione che però non saranno oggetto di questo studio.

Infine, un utilizzo del verbo kuru che si colloca a metà tra gli utilizzi concreti e quelli astratti è la cosiddetta “affective deixis” (o “deissi emotiva”) attraverso la quale il parlante esprime il suo coinvolgimento personale con l’accaduto descritto dal verbo principale.12 Nel parlare o nello scrivere un testo su eventi o azioni che sono “rivolte a noi”, “ci colpiscono” oppure “entrano nella nostra sfera d’interesse” vi è la necessità di manifestare il punto di vista del parlante tramite il ricorso a costruzioni V1 -kuru. Il verbo centrifugo in questo caso rappresenta una marca obbligatoria da apporre a V1, come nel seguente:

(5) kawa-ga afure-te KI-TA “Il fiume è straripato (e ne sono stato direttamente interessato)”.

Come Tokunaga13 ha già notato, le manifestazioni di “affective deixis” rappresentano un vincolo non eludibile al momento di una descrizione: “The fact is that there are many situations in Japanese in which there are no ways to describe neutrally a situation in which the speaker is involved […]”.

Confronto sui dati

Attraverso l’analisi14 di un corpus di verbi verificheremo empiricamente come avvenga la distribuzione delle coppie verbali nelle due lingue, in presenza di uno stesso contenuto da descrivere.

L’insieme dei dati è costituito da occorrenze di andare/venire e iku/kuru provenienti dalle versioni originali e rispettive traduzioni delle opere di narrativa contemporanea elencate di seguito:

CORPUS GIAPPONESE-ITALIANO Murakami Haruki, Noruwee no mori, Kōdansha, Tokyo 1987. Vol. 1: pp. 267 - Vol. 2: pp. 260. Murakami Haruki, Norwegian wood, Einaudi, Torino 2006, pp. 374. Traduzione di Giorgio Amitrano.

12 Tokunaga Misato, Affective Deixis in Japanese : A case study of directional verbs, The University of Michigan, Ph.D. Dissertation, 1984. 13 Tokunaga, Affective Deixis in Japanese, cit., p.16. 14 In primo luogo, i dati si ripartiscono in due macro gruppi a seconda della lingua originale, italiano o giapponese, in modo da evidenziare pattern peculiari, differenze di frequenza nell’uso dei verbi e la presenza o meno strategie di traduzione ricorrenti. In secondo luogo, l’analisi è avvenuta su due piani distinti per quello che riguarda la direzione del moto. Vi saranno così due raccolte: una di verbi centripeti (venire/kuru) e l’altra di verbi centrifughi (andare/iku) in modo da facilitare anche l’individuazione di utilizzi non congruenti tra versione originale e traduzione. La terza, ed ultima, distinzione riguarda gli usi “autonomi” e “ausiliari” di iku/kuru del tipo V1te-iku/kuru in modo da evidenziare come la traduzione risolva una struttura grammaticalmente impossibile in italiano. Eventuali utilizzi idiomatici sono stati tralasciati perché più legati al substrato culturale della lingua d’origine che al riferimento motorio.

CORPUS ITALIANO-GIAPPONESE Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, Einaudi, Torino 1946. Italo Calvino, Kumo no su no komichi, Byakuya Shobo, Tokyo 1977. Traduzione di Hanano Hideo. Tabucchi Antonio, Notturno indiano, Sellerio, Palermo 1984. Tabucchi Antonio, Indo yasōkyoku, Hyakusuisha, Tokyo 1993. Traduzione di Suga Atsuko.

Tra dati di traduzioni giapponese > italiano (jp > it) e quelli italiano > giapponese (jp > it), in totale abbiamo preso in considerazione 1083 lessemi verbali, comprensivi di elementi autonomi e termini compresi in costruzioni coverbali, ottenendo la seguente classificazione:15

CORPUS GIAPPONESE > ITALIANO CORPUS ITALIANO > GIAPPONESE

A) Verbi singoli centripeti (kuru)

Totale 116 verbi kuru > venire (61) kuru > contenuto omesso o rimodulato (31) kuru > andare (7) kuru >path (1) kuru > verbo telico (16)

kuru non presente nell’originale >venire (13) B)Verbi singoli centripeti (venire)

Totale 96 verbi venire > kuru (71) di cui anche venire> path + kuru 5 venire>altri verbi + kuru 4 venire > path (8) venire > contenuto omesso o rimodulato (4) venire > altri verbi (7) venire > iku (6)

C)Verbi singoli centrifughi (iku)

Totale 246 verbi iku > andare (156) iku > contenuto omesso o rimodulato (51) iku > venire (6) iku > path (17) iku > manner (7) iku > verbo telico (9)

iku non presente nell’originale >andare (60) D)Verbi singoli centrifughi (andare)

Totale 182 verbi andare > iku (111) di cui anche andare > path + iku 11 andare > manner + iku 1 andare > path (23) andare > altri verbi (18) andare > altri verbi+path (3) di cui altri verbi+manner+path 1 andare > contenuto omesso o rimodulato (16) andare > kuru (11)

15 Qualche chiarimento rispetto ai termini usati nella tabella: il termine “path” si riferisce a verbi che esprimono il percorso (come salire, entrare, scendere…), “manner” individua verbi che esprimono il modo nel quale si svolge lo spostamento (correre, camminare, nuotare…), “telici” indica i verbi goal focused (arrivare, giungere…), “altri verbi” rappresentano gli elementi che non possono essere ricondotti nelle categorie appena elencate (verbi di possesso, di stato ecc…), “altre espressioni” rappresentano predicati nominali o altri nei quali non sono presenti verbi.

E) Costruzioni coverbali (V1-te iku)

Totale 51 verbi tipo path + iku (42) > path 29 > manner 2 > andare 7 > contenuto omesso o rimodulato 3 > verbo telico 1 tipo manner + iku (9) > manner 6 > path 1 > andare 1 > contenuto omesso o rimodulato 1

G) Costruzioni coverbali (V1-te kuru)

Totale 226 verbi tipo path + kuru (102) > path 64 (con prefisso iterativo 5) > manner 1 > venire 9 >contenuto omesso o rimodulato 24 >verbo telico 4

Tabella 2 F) Altri Verbi / Espressioni in italiano resi con iku

Totale 54 casi

H) Altri Verbi / Espressioni in italiano resi con kuru

Totale 112 casi

tipo manner + kuru (1) >manner 1

tipo altro verbo + kuru (120) > path 15 (con prefisso iterativo 3) > manner 5 > venire 5 > andare 3 >contenuto omesso o rimodulato 31 > verbo telico 21 > altro verbo 40

tipo itte kuru (3) > venire 3 path > iku (6) path > path + iku (10) path > manner + iku (1) path > manner + path + iku (1) telico > iku (1) manner > iku (1) altro verbo > iku (10) altri verbi > altri verbi+ iku (15) altra espressione > iku (9)

path > kuru (3) path > path + kuru (29) path > altro verbo + kuru (2) manner > path + kuru (2) telico > kuru (12) verbi telici > manner +kuru (1) altro verbo >altro verbo+kuru (30) altro verbo > kuru (4) altre espressioni > kuru (26) altre espressioni > path+kuru (3)

Principali punti d’interesse

Salta subito all’occhio la diversa distribuzione dei verbi nelle due lingue: nonostante i libri presi in esame (edizione in italiano), abbiamo quasi lo stesso numero di pagine (all’incirca 360) i verbi giapponesi contano quasi il triplo delle occorrenze

italiane e, nello specifico, le occorrenze di kuru, sia per quanto riguarda gli usi singoli che quelli composti, superano di più di tre volte la presenza del verbo italiano venire.

Utilizzi autonomi del verbo iku (Tabella 2, riquadri A e F) sono invece superiori alla frequenza dell’italiano andare: questo sembrerebbe in accordo con studi precedenti16 che hanno dimostrato come il giapponese disponga di un repertorio di verbi di percorso (path verbs) e verbi di maniera (manner verbs) più limitato rispetto ad altre lingue e quindi si trovi ad utilizzare ampiamente il verbo iku anche in qualità di default motion verb.

Inoltre, scorrendo lo sguardo sulla tabella 2 nei riquadri A e B, si notano casi nei quali verbi centrifughi corrispondono verbi centripeti (e viceversa), occorrenze nei quali a andare/venire e iku/kuru corrispondono verbi di percorso (path verbs come salire, uscire, passare ecc…), verbi di maniera (manner verbs ovvero correre, saltare, nuotare ecc..), verbi telici (arrivare, giungere…) o contenuti rielaborati: dati che provano la sicura presenza di differenze funzionali e semantiche nelle due lingue.

In particolare è interessante soffermare l’attenzione su kuru: il suo frequente utilizzo sembrerebbe confermare l’esigenza pragmatica della lingua giapponese di esprimere tutto quello che direttamente o indirettamente ha un effetto sui confini sensoriali di chi parla.

Confini della sfera personale

Deictic shift

Per prima cosa prendiamo in considerazione le coppie di occorrenze opposte nelle quali la traduzione contiene un verbo deitticamente antitetico con il testo di partenza. Abbiamo già visto, infatti, come italiano e giapponese si distinguano nell’uso di venire / kuru nel caso che a muoversi sia il parlante. Oltre a queste condizioni, i dati raccolti mostrano ulteriori scenari dove italiano e giapponese non concordano: il discorso riportato e il ricordo, ovvero situazioni nel quale il moto non è contemporaneo all’enunciazione, ma avviene in un momento distinto,17 come mostrano gli esempi successivi.

16 Ci si riferisce si seguenti: Koga Hiroaki et al., “Expressions of spatial motion events in English, German and Russian: with particular reference to Japanese”, in Christine Lamarre et al. (a cura di), Typological studies of the Linguistic Encoding of Motion Events, Center for evolutionary cognitive sciences at the University of Tokyo, Tokyo 2008. Matsumoto Yo, “Typologies of lexicalization Patterns and Event Integration: Clarification and Reformulations”, in Chiba Shuji et al. (a cura di), Empirical and Theoretical Investigations in Language, A Festschrift for Masaru Kajita, Kaitakusha, Tokyo 2004, pp. 403-418. Sugiyama Yukiko, “Not all verb-framed languages are created equal: The case of Japanese”, Proceedings of the Thirty-First Annual Meeting of Berkeley Linguistics Society, Berkeley Linguistics Society, Berkeley 2005, pp. 299-310. 17 Nell’intestazione delle tabelle l’indicazione riguarda la versione originale: 1 = Murakami, Noruwee no mori vol. 1; 2 = Murakami, Noruwee no mori vol. 2;

Discorso Riportato

Vol Pag. Versione Originale Pag Versione Tradotta

2 171 何日頃に会いに来て (V-ven) ほしいという 直子からの手紙がい つ来るかもしれない からだ。 314 La lettera di Naoko che mi diceva quando sarei potuto andare (V-and) a trovarla poteva arrivare in qualunque momento.

2 225 僕は自分のうちに来 て(V-ven)泊まれと僕に 言ったが、 353 Mi invitò ad andare (V-and) a dormire a casa sua,

Tabella 3a

Ricordo

1 35 我々は何かの目的が あってここに来た(Vven) わけではなかっ た。 2 199 大きくなったらデパ ートの食堂に一人で きて(V-ven)食べないも のをいっぱい食べて やろうと思った、

Tabella 3b 25 Non eravamo andati (V-and) da quelle parti per qualche ragione in particolare.

334 Pensavo che da grande sarei andata (V-and) da sola al ristorante nei grandi magazzini,

Boundary crossing

Con tale etichetta, letteralmente “attraversamento di confine” ci riferiamo ad azioni di entrata o uscita da una stanza o un luogo circoscritto. In pratica quando qualcosa o qualcuno “appare” o “scompare” dalla vista o dai sensi, cambiano anche i contenuti della propria sfera percettiva personale e questo fatto non sembra ricoprire un’uguale importanza nelle due lingue.

In italiano l’“attraversamento di confine” è reso principalmente tramite path verb o da costruzioni sintagmatiche del tipo andare/venire + preposizione/avverbio direzionale: l’utilizzo di riferimenti deittici rimane comunque una variante facoltativa.

Al contrario, in giapponese, il boundary crossing è un evento dotato di una notevole salienza cognitiva, tanto da essere marcato (ingresso nel campo percettivo del parlante vs uscita) rispetto alla posizione del parlante. Si confrontino gli esempi in basso.

C= Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno; T= Tabucchi, Notturno Indiano. I dati sono classificati secondo la seguente legenda: V-and (Verbo deittico centrifugo), V-ven (Verbo deittico centripeto), Pv (Path verb), Mv (Manner Verb), Tel (Verbo telico), Altro (Altro verbo o espressione, compresi verbi stativi).

Vol. Pag. Versione Originale

1 63 僕が入って(Pv) いく(V-and)と その赤く充血した目を少しだ け動かして我々の姿を見た。 Pag. Versione Tradotta

236 Quando entrammo (Pv) si mossero un po’, rossi e iniettati di sangue, verso di noi.

1 105 そして机のふちをぎゅっとつ かんで足を下におろし、杖を とって足をひきずりながら教 室を出て(Pv)いった(V-and)。 76 Poi aggrappandosi forte al bordo della cattedra, mise giù la gamba, prese il bastone e, trascinando la gamba, uscì (Pv) dall’aula.

Tabella 4

Inverse Marker

Non tutte le numerose (226) occorrenze di costruzioni V1

-te kuru (Tabella 2, riquadro G) riguardano il boundary crossing, la maggior parte infatti costituisce una manifestazione del cosiddetto fenomeno di inverse marking.

In questo caso, la presenza di kuru nella struttura segnala che l’azione espressa in V1 è diretta verso il centro deittico rappresentato dal parlante. Sakahara18 (1994) ne parla in termini di “jūyō o arawasu hyōgen” [“espressione che esprime conferimento”], Shibatani e Koga & Ohori19 denominano quest’uso di kuru come inverse marker, mentre Matsumoto20 (comunicazione personale) lo chiama direction effect marker.

Ad esempio, nel primo passo sotto riportato (2: 144, 293), il predicato composto kakete kita non esprime un moto di avvicinamento al parlante ma il fatto che l’azione di V1 è rivolta ad esso. Stessa cosa anche nel secondo esempio della lista, nel quale il verbo kuru, presente nel composto verbale okutte kite, non segnala un reale movimento, ma esprime un coinvolgimento del parlante come oggetto diretto dell’azione.

18 Sakahara Shigeru, “Fukugō doushi Vte kuru”(Il verbo composto Vte kuru), in Gengo, Jōhō, Tekusuto, 2, Tokyo daigaku gaikokugo kyōikugaku kenkyūkai, Tokyo 1994, pp. 109–143. 19 Si veda Shibatani, cit., 2003. Koga Hiroaki & Ohori Toshio, “Reintroducing inverse constructions in Japanese. The deictic verb kuru “to come” in the paradigms of argument encoding”, in Robert Van Valin (a cura di), Investigations of the syntax-semantics-pragmatics interface, John Benjamins, Amsterdam 1996, pp. 37-58. 20 Ringrazio il Prof. Matsumoto Yo del Dipartimento di Linguistica dell’Università di Kobe per i suoi preziosi consigli.

Vol. Pag. Versione Originale

2 144 そして最初に声かけて(Altro)き た(V-ven)人と寝ちゃうわ。

1 155 僕は直子の送って(Altro) きた (V-ven)七枚の便箋を手にした まま、とりとめない想いを委 ねていた。 2 156 夜に闇のなかからいろんな人 が話しかけて(Altro)きます(Vven)。 Pag Versione Tradotta

293 E poi andrò a letto con il primo che mi rivolge (Altro) la parola.

113 Con quei sette fogli spediti (Altro) da Naoko tra le mani lasciai andare le mani alla deriva.

113 In quei momenti sento che dal buio della notte c’è qualcuno che mi chiama (Altro).

Tabella 5

Un tale utilizzo non è rintracciabile nel verbo italiano venire, come non è possibile rintracciare nella lingua un rigido obbligo, equivalente a quello presente in giapponese, di marcare le azioni orientate al parlante: le traduzioni difatti tendono ad ignorare il verbo centripeto e riportare solamente V1.

In italiano significati benefattivi o di coinvolgimento personale del parlante sono piuttosto trasmessi da fattori d’ordine extralinguistico oppure segnalate da forme pronominali aggiunte ai verbi come “ci aiuta”,“mi piace”, “ti disturba” e come appunto kakete kita (2:144, 293) che è tradotto come “mi rivolge la parola” o hanashikakete kimasu (2:156; 113) è reso attraverso “mi chiama”.

Notiamo insomma nell’uso di kuru come inverse marker, un’altra sostanziale differenza tra i contenuti semantici dei verbi centripeti in giapponese e italiano.

Lingue del fare e lingue del divenire

Passiamo ora a osservare come in italiano e giapponese siano effettivamente presenti quei tratti distintivi dei DL e BL individuati da Ikegami.

Verbi telici

In diverse occorrenze (vedi tabella 2 riquadro A) kuru è tradotto con verbi telici come arrivare o giungere, mentre venire, tranne in alcuni casi, non è grammaticalmente ammesso, se non a condizione di modificare il senso della frase.

Vol. Pag. Versione Originale

C 62 ma se Lupo Rosso non arriva (Tel) è tutta fatica sprecata. Pag. Versione Tradotta

104 ルーポ・ロッソがきて(V-ven) くれなければこういう苦労も みなむだになる。

2 256 彼女は東京に来た(V-ven) 時と同じ ツイードのジャケットを着て、 373

Tabella 6 Lei aveva la stessa giacca di tweed e i pantaloni bianchi che portava quando era arrivata (Tel) a Tokyo.

Si può notare l’evidente presenza di una divergenza tra i contesti d’utilizzo possibili dei verbi kuru e venire. Mentre in giapponese kuru può essere utilizzato nei casi precedenti, in italiano alcune occorrenze ammettono sia arrivare che venire (es. C: 62, 104) mentre altre necessitano esclusivamente di arrivare (es. 2: 256, 373).

Secondo una definizione generale, arrivare e venire hanno in comune il significato di “giungere ad un luogo previsto come meta”21 tuttavia la lingua italiana opera, nella maggior parte dei casi, una precisa distinzione tra le strutture morfosintattiche che ammettono l’uso dell’uno o dell’altro verbo.

L’essenza di tale differenza si coglie meglio se ci si sposta a livello di Aktionsart (azionalità): mentre arrivare esprime eventi non durativi, telici e non dinamici, venire è usato in riferimento a eventi durativi, atelici e dinamici. In parole più semplici arrivare offre l’immagine conclusiva dell’azione mentre venire propone un’animazione dell’intero svolgimento.

Volendo riassumere le caratteristiche generali22 dell’azionalità dei due verbi in una tabella:

DINAMICO TELICO DURATIVO

ARRIVARE No Sì No

VENIRE Sì

Tabella 7 No Sì

I dati invece mostrano come il verbo deittico centrifugo kuru possa prendere, a seconda dei contesti, anche un significato simile a quello di arrivare.

21 Definizione da Salvatore Battaglia (a cura di), Grande dizionario della lingua italiana, UTET, Torino, 1961-2002: Venire: 3. Giungere, arrivare, capitare in un luogo; arrivare a destinazione; farsi su una soglia. Arrivare: Giungere (al luogo previsto come meta); toccare un limite, un termine, un traguardo [...] Di oggetti: giungere a destinazione; essere recapitato [lettere, pacchi, ecc..]. 22 La realtà linguistica è come sempre però molto più ricca e differenziata. Per esempio “arrivare” può prendere delle caratteristiche durative nel caso compaia in perifrasi progressive (“Sta arrivando”) oppure “venire” può prendere connotazioni non durative se diciamo “È venuto da me alle dodici in punto”. È quello che Bertinetto chiama “ibridismo azionale”, al quale rimandiamo per maggiori specificazioni, Inoltre non bisogna dimenticare che in diverse varietà regionali (ad es. in Sardegna) la differenza azionale tra i due verbi è poco avvertita e l’uso di “venire” ricopre anche le occorrenze d’uso di “arrivare”. Si veda Piermarco Bertinetto, Tempo, Aspetto e Azione nel verbo italiano. Il sistema dell’indicativo, Accademia della Crusca, Firenze 1986.

Nei passi di testi presi in considerazione, le frasi grammaticalmente impossibili con il verbo venire, risultano difatti del tutto appropriate quando rese in giapponese con kuru. Ciò in particolare succede quando ci troviamo davanti a:

• Moto (causato) di cosa inanimata, come il recapitare corrispondenza o consegnare merci al soggetto parlante o che osserva la scena.

2 195 五月の半ばにレイコさんか ら手紙が来た(V-ven)。 331 Verso la metà di Maggio arrivò (Tel) una lettera da Reiko.

Tabella 8

• Raggiungimento di un obiettivo tramite moto centripeto rispetto a chi parla o descrive l’evento.23

1 155 ココに来て(V-ven)もう四ヶ月 近くになります。 11 Sono già quattro mesi che sono arrivata (Tel) qui.

Tabella 9

• Manifestazioni di eventi o situazioni.

2 113 人が誰かを叱るべき時期が 来た(V-ven) からであって、 その誰かが相手に理解して 欲しいと望んだからではな い。

Tabella 10 271 Se uno capisce un altro è perché è arrivato (Tel) il momento, non certo perché quella persona desiderava tanto che l’altra lo capisse.

Condizione essenziale perché kuru possa essere utilizzato in tutti questi contesti, rimane la direzione del moto, che deve essere verso chi parla o osserva la scena. A differenza dell’italiano, infatti sarebbe assolutamente innaturale, oltre che errato, utilizzare kuru per segnalare il raggiungimento di un punto dopo un allontanamento dal luogo dove si trova chi descrive la scena, come dimostrato nell’esempio (7).

Es. (6) mukō-ni TSUI-TE kara, tegami-o chōdai-ne vs *mukō-ni KI-TE kara, tegami-o chōdai-ne

“Quando arrivi là, per favore scrivimi.”

23 Parlanti nativi interrogati a proposito delle traduzioni di espressioni come “arrivare a” hanno risposto utilizzando il verbo tsuku, propriamente “giungere, arrivare in un punto”. La scelta sembra vincolata dalla volontarietà (o meno) dell’azione e dal voler metter in risalto il mezzo di trasporto o la meta (tsuku è preferito in frasi come “La nave è giunta al porto”, “giungere al confine di stato”) piuttosto che la direzione del moto (kuru naturalmente si riferisce solo a qualcosa che si avvicina o che giunge al parlante).

Predicati complessi con più di due verbi

Nei dati analizzati, la tendenza della lingua giapponese a concentrarsi sulla processualità dell’azione si evince con particolare efficacia da costruzioni coverbali a tre verbi con struttura V1- V2 -V3 dove: -il primo verbo V1-appare in Ren’yō-kei, ovvero conserva solo la radice verbale di base, -il secondo verbo V2 si presenta in forma –te con valore sospensivo (=SOSP), -il terzo verbo V3, la testa del composto, è il verbo deittico che si presenta in forma finita e prende le marche temporali (PASS=Passato) o aspettuali.

Nella fattispecie dei dati del presente studio, tra le occorrenze dei verbi deittici centrifughi sono state riscontrate le seguenti costruzioni:

8) FUKI SUGI-TE IT-TA (V1=fuki; V2 =sugi-te; V3=it-ta) soffiare, superare-SOSP, andare-PASS

9) TOBI SAT-TE IT-TA (V1=tobi; V2 =sat-te; V3=it-ta) saltare, allontanare-SOSP, andare-PASS

10) TŌRI SUGI-TE IKU (V1=tōri; V2 =sugi-te; V3=iku) passare, Superare-SOSP, andare

Vediamo qui come le informazioni sull’evento motorio e il suo svolgimento siano ripartite tra diversi componenti: V1 dà informazioni su manner o path, V2 esprime il path e V3, il verbo deittico, oltre che orientare l’azione nei confronti del parlante, enfatizza la dinamicità dello spostamento spaziale.

La traduzione italiana, che non presenta tali strutture nel suo repertorio morfosintattico, si trova di fronte ad una duplice scelta su quali informazioni mantenere e su come esprimere tali contenuti attraverso le risorse grammaticali disponibili. I casi che abbiamo recuperato sono poco numerosi e purtroppo non permettono effettivamente di dire quali sia la strategia più comune, così ci limiteremo a riportare le scelte traduttive presenti nei dati.

Nel primo caso viene mantenuto solo il primo path verb (jp tōri “passare” > it passare) mentre l’informazione contenuta nel secondo verbo (sugite “superando”) è in parte riproposta nell’avverbio di luogo “davanti”.

2 34 人々が通り(Pv) 過ぎて(Pv) いく(Vand)のを僕はその間ぼんやりと眺 めていた。 216 Osservando nel frattempo la gente di tutti i tipi che passava (Pv) davanti alla vetrina.

Tabella 11

Nel caso successivo è sempre il path verb (sat-te) ad essere tradotto letteralmente mentre il manner verb (tobi) passa ad essere un complemento di modo (in volo).

1 86 そしてその光の線が風ににじむ のを見届けるべく少しのあいだ そこに留まってから、やがて東 に向けて飛び (Mv) 去って(Pv) い った(V-and)。

Tabella 12 62 Restò ferma lì per un po’a guardare la sua scia di luce confondersi col vento, poi finalmente si allontanò (Pv) in volo, in direzione est.

Infine (tabella 13) la versione italiana riporta il moto delineandone solo i tratti essenziali: la scena in giapponese che descrive un vento che soffia, supera e prosegue oltre chi osserva è semplicemente descritta dal generico verbo riflessivo “muoversi” che rende ben poco della dinamicità del verbo composto ed elimina tutta l’evocatività della scena in originale.

1 85 風だけが我々のまわりを吹き(Altro) すぎて (Pv) いった (V-and)

Tabella 13 62 L’unica cosa che si muoveva (Altro) attorno a noi era il vento.

Focus sul processo vs Focus sulla meta

I dati hanno evidenziato anche un’interessante contrapposizione per quanto riguarda gli eventi di moto, del tutto aderente al modello proposto da Ikegami. A numerose occorrenze di iku, in particolare, e di kuru l’italiano contrappone l’uso di verbi stativi i quali, più che dare l’idea di movimento, si concentrano sulla risultante dell’azione. Questo fenomeno lo si nota chiaramente dagli esempi successivi nei quali al verbo originale iku, la traduzione italiana presenta il verbo “stare”.

Questo verbo infatti possiede anche il significato di “Soggiornare in un luogo per un tempo limitato. […] Trattenersi in una sede, anche temporaneamente per svolgervi un’attività o esercitarvi una carica o esservi reperibile”.24 La scena viene quindi descritta non come un evento di moto ma come una situazione statica.

2 33 私もそこに一度だけ行った(V-and) ことがあります、 215 Ci sono stato (Altro) anche io una volta.

2 33 東京に行かれた (V-and) というの は?

Tabella 14 215 Quand’è che lei è stato (Altro) a Tokyo.

Inoltre “stare” possiede anche l’uso idiomatico di “recarsi, passare momentaneamente del tempo in luogo anche per svolgere qualcosa”:25 in pratica, l’idea

24 Definizione 23 di “stare” su Battaglia (a cura di), Grande dizionario, cit. 25 Si veda la definizione di “stare” (punto 23) su Battaglia (a cura di), Grande dizionario, cit.

dello spostamento non è esplicitamente espressa ma deve essere inferita. Anche in questo caso, la lingua giapponese invece tende a sottolineare la processualità degli eventi preferendo l’uso di un verbo di moto che evidenzia l’azione nel suo svolgimento.

C 149 È stato (Altro) a lavarsi. 230 体の洗いに行っていた(V-and)のだ。

T 124 Lei è mai stato (Altro) a Calcutta?

Tabella 15 136 「あなたはカルクッタに行ったこと (Vand)あるの?」

Anche kuru può essere utilizzato in riferimento a spostamenti abituali, come appunto possiamo vedere mostrato nella tabella 16. Scegliere di tradurre con kuru, naturalmente, sottolinea la posizione del parlante ed enfatizza le componenti deittiche del moto.

T 21 Capì che il luogo non era frequentato (Altro) da occidentali

Tabella 16 14 西洋人はあまり来ない (V-ven)のだろ う。

Un discreto numero di occorrenze (si veda tabella 2, riquadri F e H) inoltre presenta traduzioni che procedono da path verb e da manner verb a verbi deittici in giapponese, ovvero adattamenti nei quali dalle caratteristiche inerenti al moto si passa a dare informazioni sul solo orientamento dello spostamento.

In giapponese, ancora una volta la posizione del parlante dimostra avere una salienza cognitiva dotata di maggiore risalto rispetto alla descrizione dei tratti (come percorso, maniera) dell’evento motorio stesso.

T 62 Immaginavo sarebbe tornata (Pv) 61 「いずれ来る(V-ven)だろうとは思ってまし た」

T 83 Le circostanze della mia vita non mi permettono che io torni (Pv) a passeggiare lungo le rive dell’Adyar

Tabella 17 79 一度そちらに行って(V-and)、アディヤー ルの河畔を散策することはもう吐いませ ん。

Il modello “fare qualcosa e tornare”

La struttura V1te-kuru è utilizzata frequentemente in giapponese con il significato letterale di “fare qualcosa e tornare” nel caso che il parlante abbia intenzione di fare ritorno alla posizione attualmente occupata una volta svolto il compito per il quale si era allontanato.

Sottolineare l’esistenza, o meno, di un ritorno alla posizione attualmente occupata dal parlante dopo l’azione, nella coscienza pragmatica dei parlanti serve soprattutto a specificare che l’azione è conclusa o è stata svolta per intero. L’aggiunta dell’informazione del ritorno alla base, tramite kuru, contribuisce quindi a dare un aspetto perfettivo e completivo all’intero evento.26 Come è possibile rintracciare nei successivi esempi:

1 20 親が心配してその寮を見つけて(Altro) きて(V-ven)くれた。 2 133 勝手にお酒買って(Altro) きたり(Vven)、お寿司取ったり、慰めてくれ たり、ないたり、

Tabella 18 13 A trovare (Altro) il collegio erano stati i miei, preoccupati per me […]. 285 Comprano (Altro) loro il saké e il sushi per gli ospiti, ti consolano, piangono…

In italiano, come si nota nella colonna a destra, non c’è quest’esigenza di specificare il ritorno e la traduzione tende nella maggior parte a mantenere solo il primo verbo oppure, in altri casi, a ignorare entrambi e rielaborare il contenuto.

L’unica corrispondenza a questa struttura è quella che riportiamo sotto (1: 163, 118) dove viene espresso il significato generale di “fare qualcosa e tornare” però utilizzando una struttura sintattica decisamente diversa: ad un katte kite (letteralmente “comprando” e “venendo”) è fatto corrispondere “comprai” e il verbo sintagmatico “tornai su”.

1 163 そして下に降りて自動販売機でコ ーラを買って(Altro)きて(V-ven)、 それを飲みながらまたもう一度読 みかえした。

Tabella 19 118 Scesi giù, comprai (Altro) una Coca-Cola al distributore automatico, tornai (Pv) su e lessi ancora una volta la lettera mentre bevevo.

Inoltre, da notare è che, quando nelle traduzioni italiane della struttura V1te-kuru è riportato il verbo deittico questo è sempre centrifugo, ovvero opposto al testo originale, come nei casi sotto mostrati (1: 246, 178 e 1: 263, 190) i quali offrono una rappresentazione dell’evento praticamente da punti di vista opposti. Al contrario del giapponese, in italiano particolare enfasi appare rivolta al fine o all’obiettivo dell’azione tramite delle costruzioni sintattiche che integrano verbi centrifughi con complementi di moto a luogo (“andare a…”, oppure complementi di termine “a fare una passeggiata” cfr. sotto ).

1 246 これから三人で外を散歩して(Altro)くる(V-ven)、三時くらいで戻っ てくる と思う、とレイコさんが言った。 178 -Stiamo andando (V-and) a fare una passeggiata (Altro), - disse Reiko, - dovremmo essere di ritorno per le tre.

26 In questo caso se al posto di kuru viene sostituito iku: V1te-iku il significato cambia totalmente prendendo una sfumatura di iteratività e ripetitività dell’azione.

1 263 私がピアノのレッスンから戻って くると六時半で、お母さんが夕食 の仕事していて、もうご飯だから お姉さん呼んで(Altro)きて(V-ven)っ ていったの。

Tabella 20 190 Ero tornata dalla lezione di piano verso le sei e mezzo. Mia madre stava preparando la cena e mi disse: “ Vai (V-and) a chiamare (Altro) tua sorella che è pronto”.

In italiano, come abbiamo visto sopra, il focus cognitivo appare nel raggiungimento di una meta più o meno definita, mentre quello della lingua giapponese si riconferma nella descrizione della processualità sempre tenendo conto della posizione del parlante.

Conclusioni

Dall’analisi condotta, le occorrenze della lingua giapponese hanno mostrato la tendenza ad enfatizzare la centralità del parlante, marcandone linguisticamente i confini della sfera sensoriale-percettiva e dimostrando l’esigenza pragmatica di specificarne la posizione nel contesto d’enunciazione. Una prima conferma di questi fenomeni può essere riconosciuta nella impossibilità di deictic shift da parte del parlante nell’utilizzo di kuru: data la netta separazione tra il soggetto e “l’altro”27 non è possibile prendere il punto di vista di un partecipante all’enunciato (come nella frase italiana “vengo da te”) proprio perché esterno ai proprio confini percettivo-cognitivi.28

Il soggetto e la sua posizione spazio-temporale sono elementi dotati di un risalto cognitivo in tutte le lingue, tuttavia in giapponese il parlante dimostra possedere una salienza del tutto particolare tanto che ogni azione, evento o stato che lo interessi (o modifichi la sua sfera cognitiva) deve essere marcato tramite kuru, inteso sia come lessema autonomo sia come ausiliare, ed è specialmente in quest’ultima forma che potremmo riconoscere al verbo centripeto la funzione che potremmo definire di “marca deittica di coinvolgimento”.

Il secondo aspetto che abbiamo approfondito riguarda la descrizione degli eventi di moto secondo i due diversi modelli di rappresentazione proposti da Ikegami: il movimento come “transizione” (tipico dei BECOME-languages) vs “locomozione” (DO-languages).

A questo proposito, risorsa espressiva della lingua giapponese sono risultati essere i predicati complessi costituiti da due o tre verbi (struttura V1te-V2 o V1-V2teV3), i quali offrono una descrizione della scena nella sua progressiva evoluzione di momenti successivi, permettendo quasi di “vedere” nel testo lo svolgersi delle azioni del protagonista: una rappresentazione che abbiamo definito come “cinematica”.

27 Sui confini della sfera personale si veda anche Suzuki Masaru, “Kikite no shiteki ryōiki to teinei na hyōgen” (Espressioni di cortesia e sfera personale dell’ascoltatore), in Nihongogaku VIII-2, 1989, pp. 58-67. 28 Si veda Oe Saburō, A comparative study of Japanese and English: On subjectivity, Nanundō, Tokyo 1975.

A questo flusso di eventi in sequenza si contrappone l’italiano (DO-language) con una “rappresentazione fotografica” dove i contenuti azionali sono espressi spesso da un verbo solo e focalizzati sulla meta o sul risultato finale.

Per esempio, in situazioni in cui il contenuto da esprimere era quello di uno spostamento di breve durata, mentre l’italiano utilizza prevalentemente verbi stativi, in giapponese si traduce con verbi di moto: è questo il caso di iku (enfasi sul moto) spesso reso con stare (enfasi sulla situazione risultante) o viceversa.

Infine, con particolare forza, emerge la differente rappresentazioni degli eventi nelle due lingue in tutti quei casi in cui a kuru corrisponde nella traduzione un verbo telico come “giungere”, “arrivare”, semanticamente ben diverso da venire. I verbi telici, infatti, offrono una rappresentazione dell’evento che mette in evidenza la sua parte conclusiva (goal), e che prescinde dalla posizione del parlante (sono infatti privi di riferimenti deittici). Il fatto che il giapponese utilizzi principalmente kuru riconferma ancora una volta come questa lingua tenda a dare risalto allo svolgimento dell’intera azione e alla posizione del parlante.

Attraverso uno studio delle risorse espressive caratteristiche di ciascuna lingua offerte dai dati raccolti, ci sembra di aver dimostrato sia l’esistenza di una differente rappresentazione cognitiva degli eventi di moto in italiano e giapponese. Ciò ha portato anche ad individuare delle divergenze a livello semantico-funzionale dei verbi deittici di movimento motivate da una diversa concezione della soggettività e della sfera cognitiva individuale.

Tradurre si conferma ancora una volta “adattare” un testo alle strutture della lingua d’arrivo, attraverso l’impiego delle risorse espressive più appropriate, piuttosto che cercare delle “corrispondenze” tra versione originale e testo tradotto.

Deictic Motion Verbs in Italian and Japanese: a Comparison of Two Different Representations of Subjectivity

This paper aims to compare usages and cognitive values of Italian and Japanese deixis motion verbs andare/venire and iku/“kuru which express motion in their basic features (“away from me” and “toward me”) and depend from utterance context and speaker’s knowledge of it. Through the theoretical frameworks of cognitive linguistics and Ikegami’s “Dolanguages vs. Become-languages” model, I investigate how motion and speaker saliency are represented, by comparing data from contemporary novels and their translations. While Italian chooses mainly goal-oriented patterns (“photographic representation”), Japanese shows the tendency to use process-oriented (“cinematic representation”) descriptions. Moreover, a frequent occurrence of kuru seems to demonstrate the need for Japanese to emphasize and linguistically mark all the events that physically or psychologically interact with the subject.

イタリア語と日本語におけるダイクシス移動動詞、 二つの移動と主観性の概念の比較

アンドレアーニ・ファビアーナ

本稿の目的はイタリア語と日本語におけるダイクシス移動動詞の使用 方法を比較しながら、各言語の移動表現の特徴と主観性の概念を明ら かにすることである。 ダイクシス移動動詞とは基本的な移動表現で、イタリア語の「 andare/venire」、日本語の「行く/来る」が用いられる。その使用 は発話状況の意識によって異なる。 認知言語学における「なる的言語・する的言語」(池上 1981)の理論 的枠組を基に、現代小説の原語版とその翻訳から収集されたコーパス より、ダイクシス移動動詞の出現頻度や使用傾向、主語の際立ちなど を比較・検討した。 結果として、テクストは同じ内容にも関わらず、両言語ではそれぞれ に特徴的な描写の方法がとられていることがわかった。イタリア語で は主に、移動の到達点に注目した「写真的な描写」がなされている。 一方、日本語では、移動の過程に注目した「映画的な描写」が多く用 いられている。さらに、イタリア語に比べ、日本語での「来る」の使 用が圧倒的に多いことから、日本語では主語との身体的・心理的な関 わりを強調し、言語化していることも明らかにされた。