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Nazionalismi pop nel Giappone contemporaneo: dal revisionismo storico all'antropomorfismo moe delle nazioni
TOSHIO MIYAKE
Nazionalismi pop nel Giappone contemporaneo: dal revisionismo storico all’antropomorfismo moe delle nazioni
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Introduzione: nazionalismi pop, J-culture e media mix1
Sin dal successo editoriale del manga revisionista Sensōron 戦争論 (Teorie sulla guerra, 1998) di Kobayashi Yoshinori (1953), le culture popolari sono diventate oggetto di un’attenzione crescente che sconfina con il dibattito acceso nei confronti della storia, dei giovani e soprattutto dell’identità nazionale. Tuttavia, mentre la discussione pubblica sul revisionismo storico e sui testi scolastici è condizionata da un’interpretazione in gran parte politico-ideologica sia del passato che del presente, alcuni commentatori hanno iniziato a porre l’attenzione sul radicale cambiamento in atto fra le nuove generazioni riguardo al modo stesso di esperire se stessi e la propria nazione come una “comunità politica immaginata”;2 un modo post-ideologico o post-moderno sempre più estraneo o indifferente alla dialettica del vero/falso o del giusto/sbagliato, che continua invece ad accomunare revisionisti, progressisti e istituzioni statali.
Il presente saggio intende esplorare questa trasformazione in corso verso forme emergenti di “nazionalismi pop” che hanno fatto della J-culture, la galassia transmediale di manga, anime, videogiochi, character design, subculture giovanili, ecc., un’arena emergente per la ri-definizione del nuovo ‘Giappone’.3 In altre parole, le culture popolari si pongono dagli anni Novanta del secolo scorso come ambito strategico in cui la negoziazione sul passato, presente e futuro della nazione avviene attraverso l’intersezione fluida di nuove egemonie, sia dall’ “alto” che dal “basso”, disseminate e riannodate lungo i circuiti del nuovo media mix nipponico:
The “media mix” is a popular and industry term [in Japan] that refers to the practice of releasing interconnected products for a wide range of media “platforms” (animation, comics, video games, theatrical films, soundtracks) and commodity types (cell phone straps, T-shirts, bags, figurines, and so on). It is a state of what we might call the “serial interconnection of media-commodities”
1 La prima versione di questo studio è stata pubblicata con il titolo “Quando la storia diventa sexy: dal revisionismo storico all’antropomorfismo moe delle nazioni”, in Marco Del Bene, Noemi Lanna, Toshio Miyake, Andrea Revelant, Il Giappone moderno e contemporaneo: Stato, media, processi identitari, I libri di Emil-Odoya University Express, Bologna 2012, pp. 237-55. 2 Benedict Anderson, Comunità immaginate. Origini e fortuna dei nazionalismi, Roma, Manifestolibri 2000 (I ed. 1983). 3 Per l’impiego dell’idea di “pop nationalism” per analizzare Sensōron di Kobayashi si veda Rumi Sakamoto, “Will you go to war? Or will you stop being Japanese? Nationalism and History in Kobayashi Yoshinori’s Sensoron”, Japan Focus, January, 2008 (www.japanfocus.org/-Rumi-SAKAMOTO/2632).
– wherein commodities and media types do not stand alone as products, but interrelate and communicate, generally through the existence of a principal character and narrative world.4
In questo scenario, il ruolo emergente di alcune subculture metropolitane deriva dalla loro affermazione quali pro-sumers (al contempo produttori e consumatori) del mercato globalizzato, tanto da essere diventate protagoniste in prima linea di un più ampio passaggio di paradigma all’interno di una cultura mediatica sempre più convergente:
convergence represents a paradigm shift – a move from medium-specific content toward content that flows across multiple media channels, toward the increased interdependence of communications systems, toward multiple ways of accessing media content, and toward ever more complex relations between topdown corporate media and bottom-up participatory culture.5
I risultati di un fieldwork (2010-11) condotto sulla piattaforma multimediale del webmanga Axis Powers Hetalia (2006-oggi) e sul suo fandom, in cui nazioni e storia mondiale sono personificate come ragazzi carini, offriranno l’occasione per illustrare la crescente mobilitazione biopolitica di emozioni, sentimenti e desideri nel configurare il rapporto storia, nazione e giovani.6 Particolare attenzione verrà rivolta alle nuove traiettorie egemoni dal “basso” in grado di stimolare una risposta affettiva di tipo moe 萌え: un neologismo ambiguo e di difficile definizione, ma che all’insegna della parodia scanzonata, del piacere polimorfo e della sessualità cross-gender è diventato nell’ultimo decennio un paradigma dominante di subculture giovanili otaku オタ ク (appassionati di manga, anime, videogiochi, ecc.) e fujoshi 腐女子 (lett. “ragazze, donne marce”; appassionate di storie omosessuali maschili).
Nazionalismo pop dall’“alto”: il Cool Japan
Il nazionalismo pop dall’alto si identifica sostanzialmente con lo slogan del Cool Japan: uno slogan governativo che si ispira al saggio “Japan’s Gross National Cool” pubblicato su Foreign Policy nel 2002.7 Un saggio molto influente, in cui il giorna-
4 Marc A. Steinberg, The Emergence of the Anime Media Mix: Character Communication and Serial Conusmption, Tesi PhD, Brown University, Rhode Island 2009, p. 4. 5 Henry Jenkins, Convergence Culture: Where Old and New Media Collide, New York University Press, New York 2006, p. 243. 6 Per la versione completa del fieldwork su Hetalia e sul suo fandom transnazionale si veda Toshio Miyake, “Doing Occidentalism in Contemporary Japan: Nation Anthropomorphism and Sexualized Parody in Axis Power Hetalia”, in Kazumi Nagaike, Katsuhiko Suganuma (a cura di), Transnational Boys’ Love Fan Studies, edizione speciale di Transformative Works and Cultures, no. 12, March 2013 (http:// journal.transformativeworks.org/index.php/twc/article/view/436/392). 7 Douglas McGray, “Japan’s Gross National Cool”, Foreign Policy, 130, maggio 2002, pp. 44-54.
lista statunitense Douglas McGray suggerisce come il decennio post-bubble di recessione economica degli anni Novanta non è stato poi così negativo per il Giappone, perché avrebbe visto invece l’ascesa del paese come super-potenza culturale, grazie alle sue culture popolari e subculture giovanili in grado di dominare l’immaginario globalizzato dei giovani di tutto il mondo (da qui il termine Cool Japan). Ma cosa ancora più importante, questo emergente successo internazionale offrirebbe enormi possibilità ancora tutte da esplorare e da implementare in termini sia economici, sia geopolitici di soft power: una nozione quest’ultima desunta dal politologo Joseph Nye che, in contrasto con gli aspetti coercitivi dello hard power (potere politico, militare, economico), indica l’importanza strategica e crescente degli stati di saper influenzare e controllare gli altri stati con la persuasione e il consenso, grazie all’ideologia, alle proprie idee e soprattutto attraverso la propria cultura.8
Il Cool Japan, sia come programma economico-industriale per aumentare le vendite sul mercato internazionale, sia come programma politico-diplomatico per migliorare l’immagine del Giappone nel mondo, viene adottato entusiasticamente da politici e burocrati come panacea per uscire dalla recessione, diventando in breve un riferimento guida per la strategia nazionale del nuovo millennio.
Nei report annuali del Programma per la Promozione della Proprietà Intellettuale (Chiteki zaisan suishin keikaku 知的財産推進計画) avviato nel 2003 sotto il governo Koizumi, ma soprattutto nei report successivi del potente Ministero dell’Economia, del Commercio e dell’Industria (METI) viene analizzato e sostenuto il passaggio verso una nuova politica industriale basata sulla produzione di beni culturali e intellettuali, e non più sulla produzione manifatturiera (automobili ed elettronica di consumo). Inoltre, aspetto importante, si stabilisce la necessità di investire di ‘nipponicità’ questi beni culturali e intellettuali, di imporre una strategia del branding nazionale, in cui la J-culture in veste di simbologia nazionale dovrebbe creare del valore aggiunto. Nel giugno 2010, questa strategia industrial-culturale viene ulteriormente implementata, con l’istituzione all’interno del METI di un Ufficio apposito per la promozione del Cool Japan, per coordinare tutti gli altri ministeri, l’industria culturale e i creativi emergenti del nuovo Giappone. 9
Con l’avvento del Cool Japan, manga e anime assieme ai prodotti delle subculture giovanili assurgono a nuovo volto ufficiale del Giappone, con la mobilitazione congiunta di tutte le agenzie nazionali: dall’Organizzazione Giapponese Nazionale del Turismo (JNTO), che offre nel suo sito dei “Pellegrinaggi verso luoghi sacri” per l’ambientazione nei manga, anime, videogiochi e dorama televisivi,10 fino all’Organizzazione Giapponese del Commercio Estero (JETRO) che promuove attivamente manga
8 Per una versione rielaborata della nozione di soft power si veda Joseph Nye, Soft Power: The Means to Success in World Politics, Public Affairs, New York 2004. 9 METI (a cura di), ‘Bunka sangyō’ rikkoku ni mukete (Verso la Fondazione di una Nazione dell’Industria Culturale), 2010. I report annuali della strategia Cool Japan sono consultabili nei siti del Gabinetto del Primo Ministro (www.kantei.go.jp/jp/singi/titeki/index.html) e in quello del METI (www.meti. go.jp/policy/mono_info_service/mono/creative/index.htm). 10 www.jnto.go.jp/eng/indepth/cultural/pilgrimage/.
e anime nei suoi siti esteri.11 Dalla NHK, che dal 2006 ha trasmesso più di cento puntate del programma Cool Japan. Hakkutsu kakkō ii Nippon, per arrivare ai casi forse più eclatanti del Ministero degli Affari Esteri. Nel 2008 il gatto atomico Doraemon viene nominato ‘Ambasciatore anime del Giappone’ e l’anno dopo nel 2009 sono tre ragazze ad essere promosse ad ‘Ambasciatrici del kawaii’, da esporre sistematicamente nelle sedi diplomatiche e culturali giapponesi di tutto il mondo [figura 1].
Fig.1 A sinistra, Doraemon designato “Ambasciatore dell’anime” (Minstero degli Affari Esteri, 2008). A destra, le tre “Ambasciatrici del kawaii” (Ministero degli Affari Esteri, 2009).
A prescindere dall’efficacia concreta di questo nation branding in termini di maggiore competitività internazionale dell’industria culturale o di soft power dello stato giapponese, non c’è dubbio che sotto lo slogan Cool Japan si stia saldando un’alleanza strategica fra forze neo-conservatrici e forze neo-liberali. In altre parole, dal mondo politico e burocratico a quello industriale e massmediatico, si sta assistendo nell’ultimo decennio intorno alla J-culture ad una crescente retorica della mobilitazione nazionale per contribuire a migliorare l’immagine del Giappone sulla scena internazionale, per aiutare un’economia in difficoltà, e per ritrovare orgoglio nella propria cultura.12
Nazionalismi pop dal “basso”: J-culture e giovani
Il nazionalismo pop dal “basso” riguarda invece più da vicino i giovani e il loro rapporto con la nazione; ovvero, investe la questione di come venga ri-prodotta la “comunità immaginata” da parte delle nuove generazioni che sono cresciute, sono state acculturate e socializzate proprio nell’ambito della galassia transmediale J-culture. Se il Cool Japan è in gran parte una risposta istituzionale all’instabilità post-ideologica e al traumatico arresto del PIL, scaturiti dalla fine della Guerra
11 Jetro-Economic Research Department (a cura di), Cool Japan’s Economy Warms Up, 2005 (www. jetro.go.jp/en/reports/market/pdf/2005_27_r.pdf). Per un esempio di promozione estera si veda www. jetro.org/anime_manga (08/01/2011). 12 Per un’analisi critica del Cool Japan si veda Kōichi Iwabuchi, “Leaving Aside ‘Cool Japan’…Things we’ve got to discuss about media and cultural globalization”, Critique Internationale, 38, pp. 37-53; Michal Daliot-Bul, “Japan Brand Strategy: The Taming of ‘Cool Japan’ and the Challenges of Cultural Planning in a Postmodern Age”, Social Science Japan Journal, XII, 2, 2009, pp. 247–66.
Fredda, dal crollo del regime monopartitico del Partito Liberal-democratico e dalla recessione economica post-bubble, il nazionalismo pop dal “basso” investe piuttosto dei cambiamenti più interni, altrettanto radicali in ambito socio-culturale.
Da una parte, crisi del modello kigyōshakai 企業社会 (società aziendale) associato al miracolo economico postbellico; declino quindi del Giappone corporativo e industriale, basato sul lavoro, sullo studio, sulla famiglia nucleare etero-sessuale, simboleggiati dalle icone del sararīman サラリーマン (colletto bianco) e della sengyōshufu 専業主婦 (casalinga a tempo pieno); tutti accomunati dal mito nazionale ichioku sōchūryū 一億総中流 (100 milioni dei ceti medi) di appartenere ad un’omogenea classe media. D’altra parte, affermazione di una società dell’informazione high-tech, dei consumi avanzati, dell’intrattenimento ludico, in cui l’impoverimento dei ceti medi e la precarizzazione del mercato del lavoro ha imposto di recente l’idea di kakusa shakai 格差社会, di una società ineguale.13
In questo scenario sono i giovani che non sembrano essere più disposti a contribuire attivamente alla riproduzione sociale nei termini collaudati di studio, lavoro e famiglia, ad assurgere a centro infuocato di preoccupazioni e discussioni allarmate: ragazzi che non vanno a scuola e rimangono reclusi in casa (hikikomori 引きこも り); ragazzi che commettono suicidi collettivi via internet (nettojisatu ネット自 殺); giovani che continuano anche da adulti a vivere con i genitori (parasite single パラサイト・シングル); donne ‘carnivore’ che si mascolinizzano, lavorano, non vogliono più sposarsi e fare figli (nikushokukei joshi 肉食系女子); uomini ‘erbivori’ che invece si femminilizzano, non vogliono più lavorare e non trovano più un partner da sposare (sōshokukei danshi 草食系男子); giovani che aspirano all’autoaffermazione personale, piuttosto che alla carriera (freeter フリーター); giovani che vorrebbero invece un lavoro sicuro, ma rimangono precari a vita per mancanza di istruzione, impiego, training professionale (NEET ニート), ecc.
I mass media giapponesi, e per riflesso anche quelli internazionali, hanno confezionato una lista infinita di nuove icone, una vera e propria costruzione sociale del giovane giapponese inquietante e spettacolarizzato. Questa retorica, piuttosto che documentare dei cambiamenti empirici in senso asociale delle nuove generazioni, costituisce un tipico esempio di ‘panico sociale’; rivela cioè molto di più delle inquietudini crescenti della società adulta, ulteriormente alimentate dall’utilizzo di categorie interpretative obsolete per capire i cambiamenti in corso.14
È in questo contesto che va inserita anche la questione più specifica del nesso identità nazionale, giovani e rapporto con la storia. Da parte istituzionale, si sono intensificati nell’ultimo decennio gli sforzi neo-conservatori per dare una svolta più nazionalistica al paese: tentativi di revisione dell’Articolo 9, partecipazione delle
13 Per una panoramica degli ultimi due decenni si veda Tomiko Yoda, Harry D. Harootunian (a cura di), Japan after Japan: Social and Cultural Life from the Recessionary 1990s to the Present, Duke University Press Books, Durham-London 2006. 14 Per la costruzione sociale dei ‘giovani’ nel Giappone contemporaneo si veda Roger Goodman, Yuki Imoto, Tuukka Toivonen (a cura di), A Sociology of Japanese Youth, Routledge, New York 2012.
cosiddette Forze di Auto-Difesa ad operazioni internazionali militari e umanitarie, visite controverse di ministri allo Yasukuni jinja, e soprattutto nuove politiche educative di tipo morale e patriotico rivolte alle scuole dell’obbligo. Per esempio, il riconoscimento formale nel 1999 del “Kimigayo” e dello “Hi no Maru”, rispettivamente come inno e bandiera nazionale, da celebrare nelle scuole, o i testi scolastici Kokoro no noto (Quaderni del cuore) di guida etico-morale imposti dal Ministero dell’Educazione, Cultura, Sport, Scienza e Tecnologia (MEXT) nel 2002. A questo si sono affiancate una serie di iniziative meno istituzionali in senso più apertamente revisionista o negazionista della storia moderna del paese, soprattutto in merito alle atrocità commesse durante l’invasione e l’occupazione dei vicini paesi asiatici durante la Guerra del Pacifico. Toni esplicitamente xenofobi contro immigranti e nazioni asiatiche sono diventati pervasivi nei forum internet come “2channel” o nei siti dell’estrema destra (netto uyoku ネット右翼), tra cui “Sakura Channel”, creato dai nuovi gruppi neo-conservatori intenti a promuovere una visione revisionista del recente passato. Tra questi spicca la Società per la Riforma dei Testi Scolastici Storici (Atarashii rekishi kyōkasho o tsukuru kai) in grado di fare approvare dal MEXT il loro manuale revisionista di storia nel 2002.15
Grande allarmismo ha suscitato nell’opinione pubblica nazionale e internazionale il successo di manga revisionisti o negazionisti. Sensōron (Teorie sulla guerra, 1998) è il primo di una lunga serie di manga molto corposi di Kobayashi Yoshinori (1953) intento a correggere la “visione distorta e masochista” della storia moderna giapponese, imposta a suo vedere dai progressisti e considerata come principale ostacolo allo sviluppo di una visione patriottica del Giappone e di un sano nazionalismo. Questo significa tra l’altro, con ricorso ad una copiosa documentazione storiografica selezionata, negare il massacro di Nanchino e lo sfruttamento sessuale delle cosiddette comfort women, e invece glorificare l’eroismo dei kamikaze, o riabilitare militari condannati come criminali di guerra dal Tribunale di Tokyo, quali il generale Tōjō. Mentre Manga Kenkanryū マンガ嫌韓流 (Manga contro l’Onda Coreana, 4 voll., 2005-09) di Yamano Sharin (1971) fa capire già dal titolo gli intenti esplicitamente anti-coreani. In modo analogo a Sensōron spiega attraverso il narratore-autore la sua verità revisionista o negazionista dei rapporti storici fra Giappone e Corea.
Entrambi i manga hanno avuto un discreto successo di vendite, il primo volume della trilogia di Sensōron circa 600.000 copie e quello di Manga Kenkanryū circa 450.000 copie [figura 2]. Entrambi gli autori sono strettamente legati alla Società per la Revisione dei Testi Scolastici Storici, di cui Kobayashi è stato uno dei membri fondatori nel 1996, mentre in Manga Kenkanryū vengono riportati per intero molti interventi dei suoi numerosi membri accademici. In altre parole, entrambi usano in modo strumentale il medium del manga per rendere popolare un discorso apertamente ideologico e politico; un messaggio esplicito e ben riconoscibile, ma che per
15 Carolin Rose, “The Battle for Hearts and Minds. Patriotic Education in Japan in the 1990s and Beyond”, in Naoko Shimazu (a cura di), Nationalisms Japan, RoutledgeCurzon, New York 2006, pp132-54.
quanto si affidi alle potenzialità espressive, simboliche ed emotive del manga, non riesce ad esonerarsi dalle retoriche vecchie e seriose del nazionalismo moderno.16
Fg. 2 A sinistra, Sensōron 1 (1998) di Kobayashi Yoshinori. A destra, Manga kenkanryū (2004) di Yamano Sharin.
Nazionalismo giovanile
In questa battaglia per contendersi le menti e i cuori delle nuove generazioni, i giovani sono veramente diventati più nazionalistici?
Se si vanno a consultare i rilevamenti statistici, emerge un quadro diametralmente opposto. Secondo i sondaggi nazionali della Dentsū, la più grande agenzia giapponese di pubblicità e di analisi di mercato, riguardo all’“orgoglio di essere giapponesi”, si evince che dal 1990 al 2005 non c’è stata una crescita in questo senso; anzi, si registra una diminuzione di essere “molto orgogliosi” dal 61,7 al 57,4%. Nello specifico, nei rilevamenti del 2005 differenziati per età e genere, l’orgoglio nazionale è inversamente proporzionale all’età: sotto i 29 anni, 52,2% degli uomini e 51,9% delle donne, mentre sopra i 70 anni, 78,6 % degli uomini e 76,6% delle donne. Più si è giovani e meno si è orgogliosi di essere giapponesi [figura 3].
Fig. 3 Sondaggi nazionali sull’“orgoglio di essere giapponese” (1990-2005, a sinistra) e suddivisione per età e genere (2005, a destra).
16 Sull’efficacia reale di questo tentativo per conquistare le menti e i cuori dei giovani ci sono dei seri dubbi, visto che il successo editoriale di questi manga, e anche dei testi scolastici revisionisti, è in gran parte riconducibile a acquirenti progressisti, preoccupati dei contenuti così controversi, piuttosto che a sostenitori delle tesi sostenute.
A completare il quadro statistico è utile fare riferimento a sondaggi comparativi internazionali riguardo alla “disponibilità di prendere le armi per difendere la propria nazione in caso di guerra”. Dal 2000 al 2005, in Giappone si ha addirittura una lieve diminuzione di questa disponibilità, dal 15,5% al 15,1%. Questi numeri acquistano ancora più senso in ottica comparativa, confrontandoli nel 2005 con il 36,5% dell’Italia o con il 75,7% della Cina che hanno risposto di essere disposti a combattere per la propria nazione in caso di guerra.17 Occorre quindi sottolineare che la grande visibilità mediatica di certe iniziative istituzionali o di manga, film e siti di tipo nazionalistico o xenofobo non coincide necessariamente con un aumento del nazionalismo fra la popolazione, tantomeno fra i giovani; o almeno non di un nazionalismo ideologico riconoscibile secondo parametri moderni. Anzi, ad una lettura più attenta si evince che tali iniziative sono piuttosto una reazione difensiva, e proprio per questo spesso fuori dalle righe, di fronte alle nuove generazioni sempre più diffidenti nel volersi identificare con uno stato-nazione che sembra offrire molto di meno rispetto alla generazione dei loro genitori o nonni. Non a caso il tipo di nazionalismo che caratterizza gli autori dei manuali scolastici o dei manga di tipo revisionista è stato definito un “nazionalismo terapeutico” (iyashi no nashonarizumu 癒しのナショナリズム) o “nazionalismo ansioso” (fuangata nashonarizumu 不安型ナショナリズム), per indicare gli sforzi compensatori e difensivi rispetto alla crescente insicurezza indotta dai cambiamenti macroeconomici globalizzati, dalla flessibilità del mercato del lavoro, e dal passaggio verso una società sempre più fluida, tecnologica e consumistica.18
La pischiatra Kayama Rika, che ha avviato il dibattito accademico nell’ultimo decennio sul nazionalismo giovanile, lo ha definito un “nazionalismo piccino” (puchi nashonarizumu ぷちナショナリズム) o “nazionalismo naif” (mujakina nashonarizumu 無邪気なナショナリズム), in modo da distinguerlo da forme più ideologiche o politiche del passato. L’entusiasmo giovanile negli ultimi anni intorno alla nazionale di calcio, la partecipazione appassionata nel cantare il Kimi ga yo, il boom della lingua giapponese, o ancora la proliferazione di subculture interessate alla storia nazionale, esprimono evidentemente un trasporto spontaneo
17 I sondaggi sono reperibili online: www2.ttcn.ne.jp/~honkawa/9466.html; www2.ttcn. ne.jp/~honkawa/5223.html (09/01/2011). Sono estratti da: Dentsū Sōken-Nihon Research Center (a cura di), Sekai sanjūsankoku kachikan dētabukku 世界23ヵ国価値観データブック (Libro dati sui valori di 23 paesi nel mondo), Dōyūkan, Tokyo 1995; Dentsū Sōken-Nihon Research Center (a cura di), Sekai rokujūkakoku kachikan dētabukku 世界60ヵ国価値観データブック(Libro dati sui valori di 60 nazioni nel mondo), Dōyūkan, Tokyo 2000; Dentsū Sōken-Nihon Research Center (a cura di), Sekai shuyō koku kachikan dētabukku 世界主要国価値観データブック(Libro dati sui valori delle principali nazioni nel mondo), Dōyūkan, Tokyo 2005. 18 Oguma Eiji, Ueno Yōko, ‘Iyashi’ no nashonarizumu “癒し”のナショナリズム (Il nazionalismo terapeutico), Keiogijuku Daigakushuppankai, Tokyo 2003; Takahara Motoaki, Fuangata nashonarizumu no jidai 不安型ナショナリズムの時代 (L’epoca del nazionalismo ansioso), Yōsensha, Tokyo 2006.
verso qualcosa che evoca la nazione, ma in termini del tutto de-storicizzati e depoliticizzati.19
Altri, come il sociologo Takahara Motoaki integrano questa interpretazione facendo riferimento anche ad un “nazionalismo hobbificato” (shumika shita nashonarizumu 趣味化したナショナリズム), prodotto da una società in cui sempre più giovani preferiscono definire se stessi attraverso i nuovi media, i consumi e soprattutto i loro hobby, piuttosto che attraverso i canali di socializzazione tradizionali dello studio, del lavoro e della famiglia.20
Infine, il critico della cultura Kitada Akihiro lo ha definito un nazionalismo tutto da ridere (warau nashonarizumu 嗤うナショナリズム); un nazionalismo alimentato da un “romanticismo cinico” (shinikaruna romanshugi シニカルなロ マン主義), che nasce dall’articolazione reciproca di due tensioni apparentemente opposte: da una parte, formalismo cinico, indifferenza e distacco ironico rispetto ai grandi valori e alle metanarrazioni di tipo moderni, che sfocia in una cura estrema o ossessione agli aspetti formali ed esteriori, privi di profondità, sostanza e coscienza storica. D’altra parte, una rinata tensione emotiva di intimità, quasi romantica, una ricerca viscerale di relazione e di condivisione con gli altri. Dalla complicità di entrambi scaturirebbe l’immagine della nazione, sì formale o esteriore, ma un simulacro investito di altissima carica emotiva, affettiva e fisica in grado di stimolare nuove relazioni personali e reti sociali.21
Nuove sensibilità dal “basso”: il moe
In questo contesto di inculturazione e di socializzazione sempre più mediatizzati, hobbificati e ironici, grande attenzione è stata rivolta ad una sensibilità emergente e condivisa da molte subculture giovanili dell’ultimo decennio. Il moe è un neologismo di difficile traduzione – il termine in sé rimanda ad una forte passione legata all’idea di far germogliare, accudire – e nasce negli anni Novanta in ambito delle subculture maschili otaku (appassionati di videogiochi, manga, anime, modellini, ecc.), intorno al quartiere dell’elettronica Akihabara a Tokyo. Indica un trasporto spontaneo o passione bruciante per particolari personaggi fittizi, giovani, puri, sexy della galassia J-culture. Personaggi molto kawaii かわいい (carini, adorabili, innocenti), ma connotati sessualmente. Alcuni aspetti della loro iconografia ricorrente sono: occhi giganteschi senza pupilla, contorni arrotondati e teste sproporzionate, pelle diafana, orecchie di gatto, vestiti da domestica, voce zuccherina, personalità innocente, ecc. [figura 4].
19 Kayama Rika, Puchi nashonarizumu shōkōgun ぷちナショナリズム症候群 (La sindrome del nazionalismo piccino), Chūō Kōron Shinsho, Tokyo 2002. 20 Takahara Motoaki, Fuangata..., cit. 21 Kitada Akihiro, Warau Nihon no ‘nashonarizumu’ 嗤う日本の「ナショナリズム」(Il ‘nazionalismo’ giapponese tutto da ridere), NHK Shuppan, Tokyo 2005.
Fig. 4 Iconografia moe.
Questi singoli elementi possono essere scissi, ricomposti e moltiplicati nella galassia transmediale di manga, anime, videogiochi, gadget, ecc., per configurare dei personaggi kyara キャラ, esonerati da una narrativa complessa e da una personalità caratterizzante; aspetti invece indispensabili per i personaggi kyarakutā キャラクタ ー del mainstream tradizionale e commerciale, i quali finiscono spesso per fungere da ipotesti; ovvero sono ridotti ad un repertorio originario da cui saccheggiare per parodie e ricombinazioni inedite.22 Si tratta di un bricolage che attinge ad un “database” composto da un numero eterogeneo e dinamico di elementi codificati, che, sul modello della navigazione online, non richiede nella sua produzione-consumo una grand narrative, un paradigma e una prospettiva unificati di tipo moderno, che orienti in modo monologico le scelte, letture e interpretazioni. Azuma Hiroki, il teorico più noto del moe e degli otaku, con qualche esagerazione forse, ha indicato questo “consumo database” come cifra esistenziale ed epistemologica del postmoderno giapponese.23
Questa logica combinatoria di tipo rizomatico che ricorda il “formalismo cinico” indicato da Kitada, si alimenta anche in questo caso di una carica affettiva “romantica”, tanto intensa quanto ambigua. Il moe nella sua originaria accezione maschile otaku può essere considerato una combinazione del filone rorikon ロリ コン(complesso lolita) e bishōjo 美少女 (ragazze belle), ma reso più complesso dal connubio ambivalente fra innocenza infantilizzata e desiderio adulto. Una stimolazione polimorfa di sentimenti idealizzati e protettivi verso personaggi carini, infantilizzati e indifesi, da una parte, coniugati con sentimenti perversi verso ragazzine erotizzate, dall’altra.24
Si tratta di una sensibilità sempre più diffusa che è stata appropriata anche in ambito femminile, soprattutto da parte di un’altra subcultura emergente, nota
22 Per il passaggio di paradigma in ambito manga, da personaggi moderni di tipo kyarakutā a quelli postmoderni di tipo kyara si veda Itō Gō, Tezuka izu deddo: hirakareta manga hyōgenron e (Tezuka è morto: verso una teoria estesa dell’espressione manga), NTT Shuppan, Tokyo 2005. 23 Azuma Hiroki, Otaku: Japan’s Database Animals, trad. di Jonathan E. Abel e Shion Kono, University of Minnesota Press, Minneapolis 2009 (I ed. 2001). 24 Patrick W. Galbraith, “Moe: Exploring Virtual Potential in Post-Millennial Japan”, Electronic Journal of Contemporary Japanese Studies, October 2009 (www.japanesestudies.org.uk/articles/2009/Galbraith. html).
come fujoshi (Lett. “donne avariate, depravate”):25 un termine auto-ironico in uso fra teenager e giovani donne che sono lettrici e autrici del genere manga-anime del Boys’ Love (storie di intimità e amore omosessuale maschile), e in particolar modo di una sua variante, lo yaoi やおい; un acronimo per yama nashi, ochi nashi, imi nashi (senza climax, senza conclusione, senza significato) che comprende adattamenti e parodie di opere originali mainstream, spesso prive di trama e rese sessualmente molto esplicite, tanto da sconfinare nella pornografia. Questi adattamenti sono prodotti e consumati dai milioni di pro-sumers, in prevalenza femminili, che compongono il mondo sterminato del dōjinshi 同人誌, il circuito dei manga, romanzi e videogiochi amatoriali.
Il moe in ambito fujoshi, come nel caso degli otaku, si alimenta di una analoga stimolazione polimorfa di sentimenti idealizzati e protettivi per personaggi carini e indifesi, e di sentimenti perversi per ragazzini erotizzati. In questo caso si tratta di un connubio fra il filone dal sapore pedofilo shotakon ショタコン (complesso Shōtarō) e quello bishōnen 美少年 (ragazzi belli), con la differenza però importante rispetto al moe degli otaku improntata su una sessualità etero-sessuale, di fare riferimento ad un immaginario omosessuale maschile. 26
Grazie alla sua elaborazione digitale in discussioni online, fanfiction, amatoriali, il moe ha subito nell’ultimo decennio un’ulteriore evoluzione, tanto da venire utilizzato per personificare qualsiasi tipo di oggetto inanimato o concetto astratto: sistemi operativi, software vocali, macchine da guerra, linee metropolitane, cibi, concetti filosofici, la Costituzione, ecc. Qualsiasi cosa esistente o immaginabile è stata antropomorifizzata in veste di shōjo 少女 e shōnen 少年, ragazze e ragazzi al contempo carini ed erotizzati. A questa moeficazione del mondo intero non si sono sottratte la storia e gli stati-nazione, inaugurando un fenomeno noto come antropomorfismo moe delle nazioni (moe kuni gijinka 萌え国義人化)27 [figura 5].
25 La subcultura fujoshi è diventata nell’ultimo decennio la nuova frontiera della critica (post)femminista. Si veda Yuriika sōtokushū: fujoshi manga taikei ユリイカ 総特集・腐女子マンガ体系 (EurekaNumero Speciale: Il mondo manga fujoshi), Seidosha, giugno 2007. 26 Patrick W. Galbraith, “Fujoshi: Fantasy Play and Transgressive Intimacy among ‘Rotten Girls’ in Contemporary Japan”, Signs, 37 (1), 2011, pp. 211–32. 27 Jason Thompson, “Militant Cute and Sexy Politics in Japanese Moe Comics [NSFW]”, i09 invisible manga, November 13, 2009 (http://io9.com/5403562/militant-cute-and-sexy-politics-in-japanesemoe-comics-[nsfw]).
Fig. 5 Antropomorfismo moe delle nazioni e della storia.
Axis Powers Hetalia: nazioni sexy, nazioni che si amano
La piattaforma multimediale Axis Powers Hetalia (Axis Powers ヘタリア, 2006oggi) costituisce il riferimento di gran lunga più rappresentativo della personificazione moe delle nazioni e della storia; sia per il suo successo nazionale e globale, sia per essere il prodotto di un’intersezione strategica fra subculture maschili otaku e femminili fujoshi.
28
Hetalia nasce come webmanga, un fumetto online amatoriale di tipo umoristico-demenziale, iniziato nel 2006 da Himaruya Hidekaz (1985) nel suo sito Kitayume.29 Viene poi pubblicato in versione cartacea in cinque volumi da Gentōsha Comics (2008-2012) con una tiratura complessiva di oltre due milioni copie, e trasposto infine in animazione tv online e cinematografica da Studio Deen [figura 6]. Come per ogni opera manga o anime di un certo richiamo, Hetalia ha dato origine ad un suo specifico media mix, ovvero è stato moltiplicato e disseminato attraverso una costellazione sconfinata di media e merchandising: CD delle sigle anime sui singoli personaggi (character songs), CD degli adattamenti audio (drama cd), videogiochi, cabine ludico-fotografiche purikura, distributori automatici con bibite Hetalia, modellini, e naturalmente centinaia di gadget da cancelleria.30
Il termine “Hetalia” del titolo è una combinazione del neologismo gergale hetare ヘタレ (inetto, patetico, fifone) e Itaria イタリア (Italia), quindi grossomodo
28 Per uno studio più completo su Hetalia e sul suo fandom si veda Toshio Miyake, “Doing Occidentalism in Contemporary Japan”, cit. 29 www.geocities.jp/himaruya/hetaria/index.htm (08/01/2011). 30 Per quanto riguarda le sigle dei singoli personaggi tratte dall’adattamento anime online, eccetto il primo CD Italia, i successivi 7 CD rilasciati ogni mese dal 2009-10 sono entrati tutti nella top ten delle classifiche nazionali Oricon Weekly Rankings (www.oricon.co.jp/).
Fig. 6 Le quattro versioni cartacee manga di Axis Power Hetalia (Himaruya Hidekaz, Gentōsha Comics, 2008-11).
“Italia sfigata”.31 Il webmanga originale contiene una lunga serie di brevissime vignette in cui si descrivono le relazioni internazionali fra i tre paesi delle Potenze dell’Asse (Italia, Germania, Giappone) e i Paesi Alleati (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Russia, Cina). Tutti personificati come shōnen, ragazzi carini e incompetenti sullo sfondo della Prima e Seconda Guerra Mondiale, includendo anche episodi di storia antica, fino ad arrivare a eventi geopolitici contemporanei.
Nel corso degli anni, le nazioni personificate sono diventate più di quaranta, secondo una prospettiva storica euro-centrica, vista la prevalenza di paesi euro-americani a discapito di quelli asiatici, arabi, africani, o latino-americani; e secondo una cornice collaudata degli stereotipi nazionali. Per fare solo alcuni esempi, Italia è un fifone piagnucoloso in perenne fuga dal fronte bellico, ma quando non piange è allegro, scanzonato, socievole, e ama cantare, mangiare pasta, e bere vino. Giappone è invece molto serio, educato, maldestro nell’esprimere i suoi sentimenti; ama il cambiamento delle stagioni, i gadget tecnologici e i viaggi in Europa. America è un giovanotto forte, pieno di energie esuberanti, sempre ottimista, a cui piace fare l’eroe e il capo di tutti, amante di hamburger, ma anche superstizioso e timoroso degli alieni.32
Di particolare interesse in ottica moe è la configurazione polimorfa dei personaggi principali. L’Italia è personificata di solito come ragazzo di tipo shōnen, ma è affiancata anche da una versione più adulta e virile (nonno Impero Romano) e da una versione Chibi Italia (Italia premoderna): una mini Italia femminilizzata e insidiata dalle attenzioni fisiche del più aggressivo e mascolino Chibi Austria (Austria pre-moderna) [figura 7].
31 Il Made in Italy ha ispirato un boom consumistico all’inizio degli anni Novanta, che ha promosso l’Italia a nazione straniera più amata in Giappone fra tutta la popolazione giovanile e femminile. Questa popolarità senza eguali al mondo è tuttavia condizionata ancora da una geografia immaginaria ambivalente che configura il Bel Paese da più di un secolo come “Occidente” orientalizzato: superiorizzabile come culla della civiltà “occidentale” (antica Roma, Rinascimento), e al contempo inferiorizzabile come pre-moderno rispetto a standard giapponesi o statunitensi (instabilità politica, inefficienza, emotività, ecc.). Cfr. Toshio Miyake, “Italian Transnational Spaces in Japan: Doing Racialised, Gendered and Sexualised Occidentalism”, in Maurizio Marinelli-Francesco Ricatti (a cura di), Emotional Geographies of the Uncanny: Reinterpreting Italian Transnational Spaces, edizione speciale di Cultural Studies Review, Vol. 19 (1), 2013 (in corso di pubblicazione). 32 Per una descrizione dettagliata di tutti i personaggi, suddivisi secondo le diverse piattaforme mediatiche e i diversi adattamenti amatoriali si veda http://hetalia.wikia.com/wiki/List_of_Axis_Powers_Hetalia_characters (01/02/2012).
Fig. 7 Polimorfismo originale dell’Italia.
Hetalia rappresenta l’intersezione più riuscita fra il mondo maschile degli otaku e il mondo femminile delle fujoshi, fatto inusuale in Giappone data la spiccata segmentazione per genere maschile/femminile dell’industria culturale e delle culture giovanili. L’autore Himaruya nella creazione dell’opera si è infatti ispirato alle discussioni otaku on-line su “2channel” riguardo a armi, eserciti e nazioni, dalle quali emergeva che quello italiano era il più debole in assoluto, e appunto il più “sfigato”. Tuttavia, la personificazione delle nazioni avviene in veste non di ragazzine erotizzate, ma di ragazzi carini. Infatti il suo successo è stato decretato dal fandom femminile online, e in seguito soprattutto dall’appropriazione, imitazione e adattamento in ambito del dōjinshi: il mare magnum del manga amatoriale giapponese, che costituisce la linfa sotterranea e vitale di tutta l’industria culturale dei prodotti professionistici e mainstream.
Nel mondo dōjinshi al femminile, Hetalia si è imposto fra il 2009 e il 2011 come opera più adattata e parodiata, con quasi 10.000 titoli diversi, esposti nei circuiti amatoriali delle grandi fiere interamente dedicate (“Hetalia Only Events”), nelle librerie specializzate di Akihabara e di Otome Road a Ikebukuro (il centro delle subculture fujoshi) e nelle infinite bacheche su internet.33 La rete è stata anche veicolo della sua straordinaria popolarità globalizzata, grazie al lavoro amatoriale di scanlation (scansione e traduzione del manga) e fansubbing (sottotitolazione dell’anime) di appassionati non giapponesi, avvenute prima ancora delle traduzioni ufficiali. Infine, le traduzioni ufficiali in inglese a fine 2010, hanno imposto i primi due volumi di Hetalia come manga più venduti nel mercato nordamericano.
Questo successo può sembrare sorprendente se si considera che Hetalia è sin dalle origini un’opera amatoriale, priva di complessità narrativa e sofisticazione estetico-grafica. Buona parte del suo appeal è affidato ad un connubio di humour
33 YahooAuctionsJapan on line, elenca 8.443 titoli dōjinshi giapponesi e 2.565 oggetti cosplay riferiti a Hetalia. Si veda http://auctions.search.yahoo.co.jp/search?p=%A5%D8%A5%BF%A5%EA%A5%A2 &auccat=0&tab_ex=commerce&ei=euc-jp (12/11/2011). Al Komiketto 78 (estate 2010), la più grande fiera al mondo di manga e anime, erano stati registrati 1.586 circoli Hetalia intenti a vendere i propri prodotti Hetalia (manga, romanzi, poesie, illustrazioni, gadget) o a mettere in scena la propria versione cosplay. Si veda http://news020.blog13.fc2.com/blog-entry-788.html (12/11/2011).
demenziale e personificazione maschile delle nazioni, i cui rapporti sono mediati da primordiali impulsi di attrazione e repulsione, con effetti indubbiamente esilaranti, e messi in scena attraverso brevi episodi ispirati ad eventi della storia mondiale. Infatti, le lettrici giapponesi del manga originale elencano in ordine di preferenza i seguenti termini chiave: 1. Amore; 2. Nazioni; 3. Piacere; 4. Moe; 5. Riso.34 Mentre in ambito dōjinshi, sono due i principali motivi della sua attrazione che trovano d’accordo autrici, lettrici e organizzatori delle grandi fiere nazionali:35
1. Hetalia e i suoi personaggi shōnen hanno esteso ad un pubblico femminile l’antropomorfismo moe della nazioni, finora confinato ad un pubblico maschile di otaku attratti dalle personificazioni shōjo. 2. Rispetto ad altre opere originali adattate in ambito dōjinshi, le storie e i personaggi in Hetalia sono poco vincolanti in termini di struttura narrativa, ambientazione e caratterizzazione psicologica. Questo dischiude spazi infiniti all’adattamento e alla parodia. In altre parole, stimola la fantasia più intima e genuina nei confronti delle nazioni preferite e delle combinazioni/accoppiamenti dei personaggi.
Ma quali sono le fantasie sulla propria nazione e su quella altrui che Hetalia ha contribuito a stimolare in ambito amatoriale dōjinshi? Si tratta di fantasie strutturate secondo il codice sessualizzato di tipo yaoi, cardine delle subculture femminili fujoshi, e solo suggerito nella versione originale. Intimità omosessuale maschile declinata secondo la grammatica di coppia seme 攻め e uke 受け. Dove seme (“colui che penetra, attacca”) è il personaggio dominante, attivo, forte e più mascolino; mentre uke (“colui che riceve”) è il personaggio più remissivo, passivo e femminino.36
Il personaggio più adattato è Giappone (Nihon nell’originale, Honda Kiku nelle parodie) che pur rimanendo “biologicamente” uno shōnen, viene femminilizzato in chiave uke e declinato in infinite forme diverse. Da quelle più infantili, a partire da versioni meramente kawaii, ad altre più sessualizzate al limite della pedofilia, fino a comprendere versioni giovanili, con grande ricorso a forme di tipo androgino [figura 8]. I partner seme più ricorrenti nelle fiere
Fig. 8 Polimorfismo dōjinshi del Giappone.
34 Sondaggio condotto nel 2010 dalla casa editrice Gentōsha Comics che ha pubblicato la versione cartacea di Hetalia: www.gentosha-comics.net/hetalia/enquete/index.html (03/07/2010). 35 Interviste condotte da chi scrive in Giappone durante sei fiere dōjinshi “Hetalia Only Events” (maggio-ottobre 2010). 36 Hori Akiko, Yokubō no kōdo: manga ni miru sekushuariti no danjosa 欲望のコード-マンガにみる セクシュアリティの男女差 (Il codice del desiderio: le differenze della sessualità maschile/femminile nel manga) Rinsenshoten, Tokyo 2009.
dōjinshi dedicate solo al Giappone sono tutti personaggi caucasici delle nazioni euro-americane; in ordine di preferenza, Inghilterra, Stati Uniti, Francia, Prussia, Italia e Russia.37 Gli “accoppiamenti” più ricorrenti invece nelle altre fiere sono America (seme)/Inghilterra (uke), Inghilterra (seme)/Giappone (uke), Francia (seme)/ Inghilterra (uke), Germania (seme)/Italia (uke) [figura 9].38
Fig. 9 Da sinistra: America (seme)/Inghilterra (uke), Inghilterra (seme)/Giappone (uke), Germania (seme)/Italia (uke).
È evidente che la gerarchia sessualizzata di tipo seme/uke, adottata in chiave crossgender dai rapporti eterosessuali della società reale, viene in questo caso trasposta ai rapporti geopolitici e storici fra nazioni. Il risultato di questa dialettica geo-sessuale è la superiorizzazione mascolina dell’altro euro-americano “bianco” come seme, l’inferiorizzazione femminina del Giappone come uke, oltre che all’orientalismo esotico o rimozione del “Resto” del mondo. Si tratta in altre parole di una versione etnico-sessuale della moderna cartografia “Occidente”/”Giappone” che è stata egemone sin da fine Ottocento nella costruzione dell’identità nazionale giapponese;39 in questo caso specifico, si alimenta dell’“attrazione per l’uomo bianco” (gaijin akogare 外人憧れ), molto in voga in ambito femminile sin dagli anni Ottanta e non a caso anche cardine del genere più commerciale del Boys’ Love [figura 10].40
37 Si veda il catalogo “Hetalia Nihon Uke Only Event: Sekai no Honda 2”, p. 1, organizzato da StadioYou a Tokyo (Ryūtsū Center, 5 settembre 2010). 38 Si vedano i cataloghi delle “Hetalia Sekai Kaigi Series”, organizzati da StadioYou a Osaka (Index Osaka, 19 settembre 2010, p. 1) e a Nagoya (Sangyō Rōdō Center, 12 settembre 2010, p. 8). 39 Toshio Miyake, “Seiyō (‘Occidente’) e tōyō (‘Oriente’) in Giappone: breve esplorazione di una geografia immaginaria”, in M. Del Bene, N. Lanna, T. Miyake, A. Revelant, Il Giappone…, cit., pp. 17-30. 40 Per uno studio sul “sogno occidentale” e sul feticismo dell’“uomo bianco” in ambito femminile, si veda Karen Kelsky, Women on the Verge: Japanese Women, Western Dreams, Duke University Press, Durham 2001. Per la testualità razzista del genere Boys’ Love si veda Kazumi Nagaike, “Elegant Caucasians, Amorous Arabs, and Invisible Others: Signs and Images of Foreigners in Japanese BL Manga”, Intersections: Gender and Sexuality in Asia and the Pacific, 20 (4), 2009 (http://intersections.anu.edu.au/ issue20/nagaike.htm).
Fig. 10 A sinistra, America (seme)/Giappone (uke). Da 3xCross, Axp Books, vol.11 Himehajine, 2009, copertina e p. 10.
Occorre specificare che non tutte le opere dōjinshi al femminile sono pornografiche (vietate ai minori di 18) o erotiche (vietate ai minori di 15 anni), anche se nel caso degli adattamenti di Hetalia risultano prevalenti. Quello che accomuna comunque la maggior parte è la grammatica yaoi della parodia sessuale: parodia, perché richiede l’esistenza di un originale o ipotesto dove i personaggi sono maschili (in questo caso il manga originale di Himaruya privo però di scene sessuali esplicite); sessuale, perché l’adattamento avviene secondo una logica più o meno erotizzata di tipo cross-gender, in prevalenza omosessuale maschile, alternata da altre combinazioni queer o pedofile, in molti casi solo accennata, in molti altri apertamente rappresentata nei minimi dettagli.
Conclusioni: Giappone e ‘post’-Giappone
Ritornando ai quesiti iniziali, che cosa può rivelare Hetalia e il suo straordinario successo in ambito subculturale femminile a proposito del rapporto fra identità nazionale, storia e giovani?
Come per ogni piattaforma multimediale, quindi non riducibile ad una singola opera e ricezione, sarebbe riduttivo limitarsi ad una interpretazione unilaterale. Ciò vale a maggior ragione per il media mix avviato da Hetalia che, oltre alla sua ulteriore moltiplicazione in ambito amatoriale, è stato in grado in pochi anni di suscitare reazioni tanto eterogenee quanto contrastanti. Da una parte, il fandom giapponese ha cercato di confinarne la fruizione secondo i canali collaudati dell’intimità privata, hobbificata e amatoriale tipiche del circuito dōjinshi al femminile. D’altra parte, la grande visibilità online ha esposto involontariamente il mondo Hetalia ad una serie di reazioni, tra le quali spicca quella indignata di netizens maschili in Corea del Sud per la rappresentazione stereotipata del personaggio Corea. Questo ha portato nel 2009 ad una petizione finita in Parlamento per fermare (con successo)
l’annunciata diffusione televisiva anime di Hetalia, con accuse di “discriminazione criminale” nei confronti del governo giapponese.41 L’inattesa esposizione pubblica, amplificata dai media nazionali e internazionali, ne ha ulteriormente favorito la diffusione fra il fandom internazionale di manga e anime, provocando al contempo nuove accuse interne al fandom stesso, soprattutto per la trattazione disinvolta della storia mondiale e per le appropriazioni in chiave omosessuale maschile di tipo yaoi, fino a mobilitare infine l’attenzione di studiosi e accademici.
Sarebbe facile concludere con una considerazione relativista, intenta a legittimare ogni singola interpretazione in quanto riconducibile a posizioni specifiche, spesso inconciliabili: fangirl giapponesi, anti-nipponisti asiatici, accademiche postfemministe o postmoderne, fandom internazionale bigotto, ecc.
Non c’è dubbio in ogni caso che Hetalia esemplifichi bene un’ulteriore fase del “romanticismo cinico” teorizzato da Kitada a proposito del nazionalismo giovanile giapponese. I paradigmi moderni dell’“Occidente bianco”, della “nazione”, della “storia”, ma anche quelli di tipo sociale dell’“amore” e della “coppia (etero)-sessuale” continuano a fornire dei riferimenti imprescindibili di identità, anche se in veste di surrogati trasfigurati. Non si tratta tuttavia, come ben suggerisce Kitada, solo di simulacri vuoti e formali, ma di rappresentazioni e pratiche investite di un’altissima carica emotiva. Nel caso di Hetalia, un’idea di nazione e di storia che risultano ulteriormente disperse nella rete ormai globalizzata del media mix nipponico e, al contempo, ancora più intense e appassionate per la mobilitazione biopolitica di tipo moe in grado di attivare gli ambiti più intimi del piacere parodico, polimorfo ed erotizzato.
In conclusione, contro ogni lettura sovradimensionata di Hetalia, è bene ricordare che si tratta di un fenomeno subculturale; sia le versioni originali, sia le migliaia di adattamenti sono sostanzialmente delle parodie nei confronti della nozione moderna e tuttora istituzionalizzata di Nazione e di Storia. Tuttavia, le parodie sono caratterizzate da uno statuto ambivalente, da un legame doppio e paradossale nei confronti del loro ipotesto originario in termini sia di conferma ripetitiva che di sovversione critica. E questo riguarda a ben vedere le subculture giovanili in tutto il mondo nel relazionarsi con la loro società di riferimento, presente e passata.
As the postwar finally “ends”, the task in Japan and elsewhere is therefore to reconceive the modern, which is less an idea than an episteme, less a concept than a condition [...]. We all seem to suffer from a kind of conceptual insufficiency, in that we are facing the twenty-first century armed with the notions of the nineteenth. We are still moderns, which explain our obsession with “ends” and the caesura of 1989, but ours is a “nontopia”: we are without a vision of the future. The millennial challenge therefore is less a question of ends or of overcoming the modern than to avoid being overcomed by the modern and drifting visionless into the next millenium. And this problem is not Japan’s alone, but all of ours.42
41 Per l’accusa all’Assemblea Nazionale Coreana (13 gennaio 2009) pronunciata dalla parlamentare al governo Jeong Mi-Kyeong contro Hetalia in quanto insulto criminale al popolo coreano si veda www. youtube.com/watch?v=yo_btds9-kM (10/06/2010). 42 Carol Gluck, “The ‘End’ of the Postwar: Japan and the Turn of the Millennium”, in J.K. Olick (a cura di), States of Memory: Continuities, Conflicts, and Transformations in National Retrospection, Duke
Pop Nationalism in Contemporary Japan: from Historical Revisionism to Moe Nation Anthropomorphism
The increasing intermingling in contemporary Japan between nation branding of Cool Japan, historical revisionism, and youth subcultures have contributed to raise popular cultures as a strategic site in the hegemonic re-definition of the past, present, and future of the nation. This paper addresses the ongoing transformation among younger generations towards a post-ideological and post-modern experience of their national ‘imagined comuntiy’, described as “pop nationalism” (Sakamoto 2008) or “cynical comunity” (Kitada 2005). A fieldwork on the multiple media platform originated by the historical webmanga Axis Powers Hetalia (2006-present) and on its globalised success among female fandom, will provide further insights on the biopolitical mobilisation of moe (“burning passion”), as a combination of polymporphous pleasure and sexualised parody, shaping emergent representations of national history and identity.
歴史がセクシーになるとき -歴史修正主義から「萌え」による国家の擬人化へ-
三宅俊夫
今日の日本で、「クール・ジャパン」という国家のブランド化、歴史 修正主義、そして若者サブカルチャーがますます交錯していくこと で、国家の過去、現在、未来のヘゲモニックな再定義における戦略的 な場所としてのポピュラーカルチャーが盛り上がりを見せている。 本稿が注目するのは、「ポップナショナリズム」(Sakamoto 2007) あるいは「皮肉な共同体」(Kitada 2005)と記述される、若い世代に おける「想像の共同体」としての国家のポストイデオロギカルでポス トモダンな経験への変容である。 歴史を扱ったウェブマンガ『Axis Powers ヘタリア』(2006年連載開 始)によって生み出された複合的メディアプラットフォームと、女性 ファンのあいだでのそのグローバルな成功について、フィールドワー クを行う。それによって、国家の歴史とアイデンティティの新たな表 象を形作っている、多様なたのしみとセクシャライズされたパロディ の組み合わせとしての「萌え」の生政治的な動員について考察する。
University Press, Durham-London 2003, p. 312.