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Militari statunitensi e violenze sessuali: il caso di Okinawa (1945-2010

YACINE MANCASTROPPA

Militari statunitensi e violenze sessuali: il caso di Okinawa (1945-2010)

La costante e massiccia presenza di basi militari americane a Okinawa, stanziate alla fine della Seconda Guerra Mondiale, genera ancora oggi non pochi problemi quotidiani agli abitanti dell’isola, in particolar modo alle donne, spesso oggetto di violenze sessuali da parte dei militari statunitensi.

In generale è possibile dire che lo stupro è un tema ovunque difficile da affrontare, per una serie di motivi legati a questo reato, come per esempio la carenza di dati a riguardo dovuta soprattutto alla riluttanza delle donne a denunciare questo tipo di abuso che, spesso, deriva dalla scarsa credibilità che viene attribuita alle vittime. Per quanto riguarda la realtà di Okinawa, la trattazione di tale argomento appare essere ancora più complicata per vari motivi. Innanzitutto, i dati disponibili non sono del tutto esaurienti per definire con precisione l’entità del fenomeno e questa frammentarietà consente di ricostruire solo in parte la verità. In secondo luogo, il particolare status di cui hanno goduto i militari statunitensi di stanza a Okinawa durante il periodo di amministrazione statunitense, in parte preservato anche dopo la riunificazione di Okinawa al Giappone nel 1972, non aiuta ad avere un’idea precisa circa le condanne e le eventuali pene comminate ai colpevoli.

Come capita spesso nell’affrontare questo argomento, ciò che possiamo affermare con sicurezza è che i casi di stupro denunciati e poi riconosciuti come tali è di gran lunga minore rispetto al numero di violenze consumate realmente. Dunque, quale valore è possibile attribuire a dati che rispecchiano solo parzialmente la realtà? Secondo alcuni studi negli Stati Uniti ancora oggi soltanto uno stupro su cinque (altri studi riportano uno su venti) viene denunciato.1 È importante notare che questi dati si riferiscono a un contesto di pace e quindi suggeriscono come, in un frangente bellico o comunque con un’alta presenza militare, tale percentuale sia ancora più squilibrata a causa di una serie di fattori che fungono da deterrente in tal senso: non bisogna infatti dimenticare le logiche militari, ideologiche e politiche

1 Per le statistiche che riguardano le percentuali di stupro che venivano denunciate negli anni Sessanta e quelle che vengono denunciate oggi si veda Susan Brownmiller, Contro la nostra volontà. Uomini, donne e violenza sessuale, Bompiani & C., Milano 1976, pp. 216-217; Patrizia Romito, Un silenzio assordante, FrancoAngeli, Milano 2005, pp. 27-30.

che tendono a prevalere sul diritto della giustizia e anche le accuse, spesso infamanti, mosse verso quante denunciano una violenza sessuale.

Questa premessa appare indispensabile per poter analizzare in modo consapevole i dati in relazione a Okinawa che sono riuscita a reperire, i quali sono costituiti per lo più da descrizioni, spesso corredate dalla precisazione del luogo, del giorno e dell’esito, degli atti di violenza compiuti dai militari statunitensi nell’arco di tempo che va da aprile 1945 fino a ottobre 2008. Questi preziosi dati sono stati raccolti in un pamphlet dal titolo Okinawa beihei ni yoru josei e no hanzai (Crimini dei militari statunitensi contro le donne a Okinawa), e pubblicati dal Kichi guntai o yurusanai kōdō suru onnatachi no kai (Associazione femminile contro le basi militari, meglio nota con l’acronimo inglese OWAAMV, Okinawa Women Act Against Military Violence), l’associazione femminile più importante di Okinawa, conosciuta anche a livello internazionale. È bene suddividere i dati a nostra disposizione in due differenti parti che coincidono con due diversi periodi storici di Okinawa: quelli che si riferiscono agli anni dell’amministrazione statunitense, dal 1945 al 1972, non si basano su fonti ufficiali,2 ma sono il frutto di un certosino lavoro di interviste, ricerche e raccolta di testimonianze svolto dallo gruppo femminile appena citato; quelli raccolti dopo il 1972 ovvero dopo il fukki, il ritorno di Okinawa al Giappone, sono invece dati ufficiali di denunce registrate dalle autorità locali okinawane.

1945-1972

Nel periodo di amministrazione statunitense e nello specifico dopo l’entrata in vigore, nella primavera del 1952, del Trattato di pace di San Francisco, Okinawa si trovò in una situazione talmente ambigua che si arrivò a parlare di Okinawa come di una “terra senza status”3 a causa appunto della sua condizione che sembrava non rientrare in nessuna classificazione prevista dal diritto internazionale e che scaturì l’assenza, a vari livelli, di una protezione legale per la popolazione locale. Inoltre,

2 Le fonti principali da cui sono stati reperiti i dati sono le seguenti: Higa Chōshin, Sengo 50 nen hizaishi (Storia di cinquant’anni di crimini), 1995; Fukuchi Hiroaki, Okinawa ni okeru beigun no hanzai (I crimini dei militari statunitensi a Okinawa), 1995; Okinawa Taimusu; Nahashi shi (Storia della città di Naha), III, 8, 1981; Miyazato Etsu, Okinawa onnatachi no sengo (Il dopoguerra delle donne okinawane), 1986; Uruma Shinpō; Shōgen (testimonianze); NHK ETV Tokushū, Okinawa wa nani o okotta no ka, guntai to seibōryoku o tou onnatachi (Edizione speciale della NHK, Ciò che fa così arrabbiare Okinawa - donne versus il potere militare e la violenza sessuale), 1992; Fukuchi Hiroaki, Beigun kichi hanzai (I crimini dei soldati statunitensi), 1980; Chihara Eiko no shōgen, Watashi no sengoshi (Testimonianza di Chihara Eiko, La mia storia del dopoguerra), 1980; Ōyama Chojo, Okinawa dokuritsu sengen (Dichiarazione di indipendenza di Okinawa), 1997; Ryūkyū Shinpō; Tengan Morio (a cura di), Okinawa senryō beigun hanzai jikenchō (Rapporto sui crimini dei militari statunitensi durante l’occupazione di Okinawa); Okinawa ken kyōiku iinkai, Okinawa ken shi (Associazione dell’educazione della provincia di Okinawa. Storia di Okinawa) X, 1997; Kawata Funmiko, Sensō to sei (Guerra e genere), 1995; Nakamura Kenshin, Okinawa keisatsu to tomo ni (La mia vita con la polizia di Okinawa), 1983. 3 Rosa Caroli, Il mito dell’omogeneità giapponese. Storia di Okinawa, FrancoAngeli, Milano 1999, pp. 203-209.

anche le autorità dell’isola si ritrovarono ad avere poteri assai ridotti, non potendo esercitare la propria autorità sul personale civile e militare statunitense, il quale non era tenuto a sottostare alla giurisdizione dei tribunali locali. Questa assenza di potere fu imposta dallo USCAR (United States Civil Administration of the Ryūkyū Islands), l’amministrazione statunitense a Okinawa che emanò una serie di ordinanze che limitavano continuamente i poteri della polizia locale. È un esempio l’ordinanza n. 87, dell’ottobre del 1952, secondo la quale alle forze dell’ordine okinawane era permesso esercitare il proprio dovere soltanto al di fuori dei confini di una zona militare: se fermavano un militare americano per un reato, avevano poi l’obbligo di accompagnarlo e consegnarlo al più vicino ufficio militare statunitense.

I dati a nostra disposizione relativi agli stupri di Okinawa partono dal 26 marzo 1945, quando le truppe americane sbarcarono sull’isola di Zamami a sudovest di Okinawa e con lo sbarco iniziò lo stupro sistematico delle donne dell’isola.4 Da questo momento, per ventisette anni di amministrazione statunitense, i casi di aggressioni sessuali e stupri che si sono riusciti a documentare sono in tutto 221, anche se non si può sapere con precisione quante persone rimasero effettivamente coinvolte in queste violenze.5 In questi primi anni di occupazione statunitense, gli abitanti di Okinawa si trovarono completamente in balia della volontà degli uomini delle forze armate degli Stati Uniti; di fatto non esistevano luoghi sicuri dove potersi nascondere per sfuggire agli atti di violenza dei soldati. Nemmeno le proprie abitazioni erano luoghi di rifugio adatti poiché, non di rado, i soldati vi entravano forzando le esili porte. Takazato Suzuyo, leader dell’associazione femminile che ha pubblicato i dati a cui ci stiamo riferendo, in un’intervista nel dicembre 2009,6 mi disse come fosse molto semplice per i soldati violare la proprietà privata: “tornando dalla guerra in Corea,7 o prima di partire, i soldati si recavano nei villaggi, in gruppo o da soli, spesso ubriachi, sfondando con un calcio le porte delle abitazioni che, essendo fatte di carta e di legno sottile, non opponevano molta resistenza all’impatto con gli stivali militari. Entravano in gruppi di cinque o sei, erano uomini enormi, armati di pistole o coltelli e violentavano le donne di casa davanti al resto

4 Per un resoconto dettagliato di ciò che subirono gli abitanti di quest’isola si veda Miyagi Harumi, Haha no nokoshita mono (Ciò che mi ha lasciato mia madre), Kōbunken, Tokyo 2008. 5 Secondo le statistiche, a distanza di soli quattro anni dalla fine della guerra, nacquero circa 450 bambini con evidenti tratti occidentali. OWAAMV, Okinawa beihei ni yoru josei e no seihanzai (Crimini dei militari statunitensi contro le donne a Okinawa), OWAAMV, Naha, ottobre 2008, p. 14. 6 Yacine Mancastroppa (a cura di), “Le figlie-prostitute di Okinawa. Conversazione con Takazato Suzuyo (Naha, Okinawa, 16 e 24 dicembre 2009)”, DEP, 13/14, 2010. 7 Con lo scoppio della guerra in Corea, Okinawa (da cui partivano cospicui rinforzi) diventò una base di primaria importanza per le truppe statunitensi. Un massiccio numero di nuovi militari, uomini giovani, sani e forti si riversò sull’isola. Essi erano convinti che quel territorio appartenesse a loro di diritto e, di conseguenza, si sentivano padroni anche della popolazione. Muto Ichiyo, U.S. Military Presence in Mainland and Japan, articolo reperibile sul sito internet: http://usmilitaryinokinawa.blogspot.com (gennaio 2010).

della famiglia, nella stessa stanza”.8 Nei documenti che riguardano questi anni sono riportati innumerevoli esempi di violazione delle case private e conseguente stupro delle donne, citiamo per esempio quello che avvenne nella città di Naha nel marzo 1952: una donna stava dormendo nella propria abitazione quando improvvisamente un soldato, assegnato al battaglione ingegneria, irruppe ordinandole di lasciare la casa immediatamente. Quando lei cercò di alzarsi, lui la buttò a terra e la violentò. Dopo un’ora il soldato ritornò a casa della donna che, cercando di mettersi in fuga, venne violentata di nuovo.9

È dunque plausibile ritenere che, sino al 1972, la percentuale delle violenze denunciate fosse assai ridotta anche a causa dell’anomalo status politico della regione e delle difficoltà oggettive degli abitanti dell’isola a difendersi e accusare.10 Fino al 1972 infatti gli okinawani oltre a non appartenere a nessuna nazione, poiché Okinawa non era considerata tale, non ebbero alcun diritto garantito da una Costituzione in quanto non ne possedevano una propria, non erano tutelati da quella giapponese e la figura che deteneva il massimo potere a Okinawa era l’Alto Commissario statunitense. Quando un militare veniva denunciato per violenza sessuale o per un altro crimine, veniva condotto davanti alla corte militare statunitense dove il processo si svolgeva in lingua inglese, riducendo notevolmente in questo modo la possibilità della parte lesa di intervenire. Inoltre, era molto raro conoscere l’esito del processo e di fatto impossibile sapere se la pena comminata al colpevole venisse poi realmente applicata, poiché terminato il processo i militari venivano in genere rimpatriati.11 Infatti, nei 221 casi di violenza sessuale raccolti in questi anni, molti seguiti anche dall’assassinio della vittima, soltanto in 18 i colpevoli furono puniti.12 I rimanenti 203 sono riportati nei documenti come segue: • 容疑者不明 yōgisha fumei (colpevole sconosciuto); rappresentano la maggior parte dei casi in questione (137 casi).

8 In realtà gli stupri non coinvolsero sempre e solo donne. Tuttavia, non si hanno numeri certi che riguardano vittime maschili, forse a causa della maggiore reticenza degli uomini ad ammettere di aver subito una simile violenza. L’unico caso certo e documentato è quello di dodici persone violentate da alcuni militari statunitensi nel giugno del 1945, cinque delle quali erano uomini. OWAAMV, Okinawa beihei..., cit. 9 Ibidem, p.16. 10 Rosa Caroli, Il mito dell’omogeneità..., cit., pp. 203-209. 11 Secondo l’articolo 120 del Codice di Giustizia Militare, un arresto per stupro può comportare una condanna ai lavori forzati o una condanna a morte (tuttavia l’esercito non ha più giustiziato nessuno dopo un processo di corte marziale del 1962). Susan Brownmiller, Contro la nostra..., cit., p. 138, nota n. 139. 12 Le condanne più gravi furono date nei seguenti casi: un militare appartenente alla base di Kadena il 3 settembre 1955 violentò e uccise Yumiko Nagayama, di sei anni che viveva a Ishikawa. La pena che gli venne comminata fu di morte, ma venne poi commutata in 45 anni di lavori forzati. Il primo luglio 1961 un soldato disertore ventenne della Marina uccise una hostess di quarantasette anni a Kushi, gli fu dato il carcere a vita. Il 19 maggio del 1968 un militare privite first class assegnato alla base missilistica di Yomitan uccise una donna di cinquantadue anni davanti casa. Egli venne spedito dalle forze armate statunitensi in Corea, ma la polizia okinawana riuscì a rintracciarlo e a condannarlo al carcere a vita. Il resto delle pene vanno dai due ai trenta anni di carcere, oppure si espletano con anni di lavori forzati, taglio dello stipendio o espulsione dall’esercito. OWAAMV, Okinawa beihei..., cit.

• 不明 fumei, indica che il colpevole fu riconosciuto ma che non si trovò nessun documento che testimoniasse un suo effettivo arresto e un’eventuale condanna (40 casi). • 逮捕されるが不明 taiho sareru ga fumei, in questi casi si identificò il colpevole, che venne arrestato, ma fu impossibile stabilire se dopo l’arresto gli venne comminata qualche pena (12 casi). • 罰せられず batsu serarezu, significa che nessuna pena fu data al colpevole, sebbene egli venne riconosciuto come tale (1 caso). • 迷宮入り meikyūiri, indica che il caso venne archiviato (3 casi). • 証拠不十分無罪 shōko fujūbun, significa che i militari furono giudicati non colpevoli per mancanza di prove (2 casi). • 訴えずuttaezu, significa che si venne a conoscenza del crimine ma che la vittima (o i famigliari di essa) preferirono non denuncialo (8 casi). È interessante notare come per la metà di questi casi la vittima rimase incinta a causa dello stupro.

Questa preoccupante situazione, dovuta alla costante presenza di militari, condusse i sindaci dei comuni limitrofi alle basi statunitensi a pensare a una soluzione che fosse in grado di proteggere le proprie donne – mogli e figlie – dai continui attacchi di violenza.13 Nell’impossibilità di proteggere tutte le donne, si preferì difenderne soltanto una parte “sacrificando” l’altra. Takazato Suzuyo afferma che: “in una società che si rispetti, i deboli dovrebbero essere protetti, ma in realtà nel mondo le cose funzionano in modo diverso. Okinawa fu venduta agli americani dal Giappone e le donne okinawane furono vendute agli americani dagli uomini

13 Questo tipo di soluzione la riscontriamo anche nella Tokyo occupata del 1945. “Il 21 agosto 1945 il primo ministro Higashikuni Naruhito convocò una seduta straordinaria del Consiglio dei ministri con all’ordine del giorno le richieste presentate dalle forze alleate per porre fine alla guerra. Il Consiglio finì per discutere, però, principalmente degli atti di violenza e degli stupri della popolazione civile e del modo di prevenirli. Il principe Konoe Fumimaro per proteggere le giovani giapponesi propose l’immediata istituzione di un sistema di stazioni di conforto [...]”. Nacque così, soltanto quattro giorni dopo e con lo stanziamento di 100 milioni di yen messi a disposizione da Ikeda Hayato (l’allora direttore dell’Ufficio delle tasse del ministero delle Finanze e futuro primo ministro degli anni 1960-1964) il Tokushu ian shisetsu kyōkai (Associazione per le speciali facilitazioni di conforto), meglio conosciuto con l’acronimo inglese RAA (Recreation and Amusement Association). Dopo aver scelto l’area di Shinagawa (già quartiere a luci rosse nel periodo Edo) per la costruzione di bordelli, sale da ballo, da gioco e cabaret per le truppe di occupazione, si dovettero reclutare le lavoratrici che avrebbero “protetto la virtù delle donne giapponesi”. Il RAA ingaggiò polizia e forze dell’ordine per trovare le donne necessarie, pubblicò espliciti annunci sui giornali nazionali e “sull’edificio della direzione […] fece affiggere un vistoso poster con la scritta: ‘Annuncio per le nuove donne giapponesi! Ricerchiamo la massima collaborazione di nuove donne giapponesi che partecipino a un grande progetto di conforto per le forze di occupazione. Cerchiamo giovani fra i 18 e i 25 anni di età cui assicuriamo alloggio, vitto e vestiario’. Fu l’espansione delle malattie veneree, in continuo aumento nonostante i controlli medici periodici, che portò lo Stato Maggiore americano a chiudere ogni tipo di “stazione di conforto” nel marzo del 1946. In questo modo si riversarono per le strade 150.000 hostess, rimaste senza un luogo in cui lavorare, che si prostituirono liberamente per strada, diffondendo maggiormente le malattie veneree. Paolo Puddinu, “Violenza, stupri e ‘case di conforto’ nel Giappone occupato dagli americani”, Atti del XXIX Convegno di Studi Giapponesi, Firenze 2005, pp. 316-325 passim.

okinawani”.14 I politici okinawani studiarono infatti a tavolino una strategia e la negoziarono con gli americani giungendo a un compromesso vantaggioso per entrambe le parti. Fu proposto che venissero costruiti dei bordelli nella così detta “fascia di sicurezza”, ovvero nei quindici metri di spazio che intercorrevano tra i recinti di filo di ferro delle basi militari e l’inizio di un paese. Si auspicava in questo modo che i militari non sentissero il “bisogno” di oltrepassare questo confine, il quale aveva di fatto una funzione protettiva per le donne, ad esclusione di quelle che vennero obbligate a lavorare come hostess (spesso furono le donne più povere, quelle rimaste senza famiglia a causa della guerra o quelle i cui padri avevano dei debiti da saldare) che avrebbero lavorato per “il bene della comunità”. Per mantenere sotto controllo le malattie infettive, con lo scopo di difendere i suoi militari, il governo di Washington promosse un health programme per l’isola. Per poter esercitare questo tipo di servizio, quindi, i locali e le ragazze che vi lavoravano dovevano essere sottoposti a determinate norme igieniche previste dalle leggi statunitensi. I proprietari di questi club dovevano ottenere, da parte delle autorità degli Stati Uniti, un cartello di riconoscimento che riportava la lettera “A” che significava Army approved da appendere all’entrata del locale. Ai militari statunitensi era infatti proibito l’accesso in quei locali che non esibivano tale segno di riconoscimento.15 Anche le donne che vi lavoravano avevano l’obbligo di riportare sugli indumenti un cartellino recante una “A” per indicare che non erano affette da malattie veneree; in caso contrario non avevano il permesso di lavorare. Nonostante questo scrupoloso programma preventivo, i casi di malattie veneree crebbero soprattutto nella seconda metà degli anni Cinquanta (4.300 casi nel 1956), principalmente laddove la presenza delle basi militari era più concentrata.16 Consultando i dati a disposizione, si nota tuttavia che anche dopo la costruzione dei bordelli, le violenze sessuali nei confronti delle donne al di là di quella cinta non cessarono,17 mentre si registrarono numerosi casi di hostess uccise, soprattutto durante seconda metà degli anni Sessanta.18 In questo periodo, infatti, aumentarono vertiginosamente i casi di stupri e di furti a discapito

14 Yacine Mancastroppa (a cura di), “Le figlie-prostitute...”, cit., p. 349. 15 David R. Crews, A Wild Start: Okinawa in 1970s, http://www.jpri.org/ (gennaio 2010). 16 Il picco massimo dei malati si ebbe nel 1956 quando più di ottomila donne risultarono essere contagiate, mentre gli uomini toccarono il massimo nel 1967 con circa duemila individui contagiati. OWAAMV, Okinawa beihei..., cit. 17 Susan Brownmiller nota che: “Dato che l’accesso alle donne dopo una guerra è sempre stato tradizionalmente una ricompensa della guerra, è impossibile discutere dello stupro in guerra senza parlare anche della prostituzione, giacché i due fenomeni sono stati collegati tra loro nella storia. Non che in mancanza della facile disponibilità di prostitute gli uomini ricorrerebbero allo stupro per ‘soddisfare i loro bisogni’, ma i due atti ‘stuprare una donna recalcitrante e comprare i servigi di una donna più o meno compiacente’ vanno di pari passo col concetto che un soldato ha dei suoi diritti e dei suoi piaceri.” La studiosa inoltre sottolinea come la differenza tra la prostituzione e lo stupro in guerra (o in stato di occupazione militare) sia fondamentale e reale, perché ci sono sempre uomini che scelgono lo stupro. Brownmiller, Contro la nostra..., cit., pp. 87, 130-131, nota n. 9. 18 Takazato Suzuyo, Okinawa: Effects of a long-term US Military Presence http://www.genuinesecurity. org/partners/okinawa.html (gennaio 2010).

delle hostess da parte dei militari statunitensi inviati a Okinawa dal Vietnam; la situazione era così tragica, e allo stesso tempo comune, che quando in un bar riservato ai militari statunitensi una donna si recava in bagno, era solito chiedersi se in realtà non stesse “andando a suicidarsi”.19 Sebbene il tentativo di salvare la maggior parte delle donne dell’isola dagli stupri costruendo bordelli per i militari si rivelò un insuccesso completo, essi furono comunque istituzionalizzati e messi a norma di legge fino al ritorno di Okinawa al Giappone nel 1972.20

1972-2010

Il 15 maggio 1972 l’amministrazione statunitense a Okinawa termina, gli okinawani tornano a essere cittadini giapponesi, ma il 75 per cento delle installazioni militari statunitensi presenti sul territorio giapponese rimane a Okinawa. Attualmente ci sono 34 basi militari a Okinawa e lo spazio occupato da esse è di circa 23 mila ettari che corrispondono al 10,2 per cento dell’aerea dell’intera provincia. Secondo i dati pubblicati dal Ryūkyū Shinpō nel novembre del 2009, il numero dei militari presenti sul suolo okinawano ammonta a 21.277 persone, gli impiegati civili sono 1.347, i famigliari 17.792, per un totale di 40.416 persone.21 Nel complesso, essi rappresentano circa il 3 per cento della popolazione di Okinawa. Tuttavia, è innegabile che il ritorno al Giappone portò anche evidenti vantaggi per l’isola e per i suoi abitanti. In primo luogo, i diritti sanciti dalla Costituzione adottata in Giappone nel 1946 furono estesi anche agli abitanti di Okinawa, sanando in tal modo l’anomalia politica che aveva caratterizzato sino ad allora la regione. Questa “normalizzazione” riguardò naturalmente anche l’ambito giuridico; essa infatti restituì alle autorità locali quelle competenze sino ad allora attribuite all’amministrazione statunitense, anche se, la persistenza di un’altissima concentrazione militare sulle isole e, quindi, il reiterato ruolo di Okinawa (keystone del Pacifico) come fulcro degli accordi nippo-statunitensi sulla sicurezza hanno contribuito a limitare fortemente l’esercizio delle prerogative giuridiche delle autorità locali.22

19 OWAAMV, Okinawa beihei..., cit., p. 19. 20 David R. Crews in un articolo scritto per lo JPRI racconta precisamente quale fosse la vita a “the Rock” (gergo che utilizzavano i militari per indicare Okinawa) quando vi arrivò nel 1970 per prestare servizio militare. Dalle sue parole si coglie l’atmosfera che si respirava a Okinawa in quegli anni e l’estrema libertà di azione che avevano i militari: “[...] because prostitution was legal over there back then, I had a sex with prostitute for the first time during the first evening on the island. […] After World War Two, but previous to 1970, many of the Gis who landed on Okinawa – realizing that they were about 10,000 kilometers from anybody they knew who could tell their families and their friends about their getting loony drunk in the wild and crazy bar scene that was rockin’ and rollin’ on Okinawa at the time – sometimes went way too wild and got into big trouble”. David R. Crews, A Wild Start..., cit. 21 I dati riguardanti il territorio occupato dalle basi militari risalgono a marzo 2008, mentre quelli riguardanti la presenza dei cittadini statunitensi risalgono a settembre 2008. Entrambi sono stati pubblicati dal Ryūkyū Shinpō il 12 novembre 2009. 22 Rosa Caroli, Il mito dell’omogeneità..., cit., p. 253.

Secondo le statistiche ufficiali di Okinawa, dal 1972 al 2005 sono stati compiuti complessivamente 5.394 crimini (non solo sessuali) da parte dei militari statunitensi a scapito degli abitanti dell’isola, 533 dei quali sono stati registrati come crimini heinous, cioè brutali. Da questo momento in poi, tutte le denunce vennero registrate negli uffici della polizia dell’isola. I dati sulle violenze sessuali relativi al periodo 1972-2008 a nostra disposizione derivano proprio da tali registri e sono stati catalogati sempre dall’associazione OWAAMV, che ha ricostruito in dettaglio 43 casi di stupro (7 dei quali si conclusero con l’omicidio della vittima); soltanto in 16 di essi i colpevoli furono arrestati e condannati. Le condanne più severe vennero date agli imputati anche di omicidio: a due militari venne comminato l’ergastolo,23 ad altri due una pena di tredici anni24 e all’ultimo una di sei anni di reclusione.25 Le pene sono spesso seguite dall’espulsione definitiva dall’esercito o, nei casi migliori, dalla sospensione temporanea dal lavoro.

Ancora oggi, sebbene i militari statunitensi siano sotto la giurisdizione giapponese quando si recano all’esterno delle basi militari, spesso non mostrano grande rispetto per le leggi e i costumi del paese ospite. Essi sono spinti a tale comportamento grazie anche allo Status of Forces Agreement (SOFA) che stabilisce i diritti dei militari, ne regola la condotta e, di fatto, contiene varie norme atte a proteggerli dal sistema giuridico giapponese. Non è raro che i militari statunitensi, che causano incidenti, anche mortali, ai danni degli abitanti dell’isola, non vengano né arrestati né portati a giudizio in un tribunale giapponese, ma nella maggior parte dei casi, è un tribunale militare statunitense a giudicare un reato e a erogare la sentenza.

L’arrivo al potere del primo ministro Hatoyama Yukio (appartenente al Minshutō, Partito democratico) il 30 agosto 2009, sembrava poter rivendicare l’inizio di una nuova generazione politica giapponese in grado di mantenere un rapporto più egualitario con gli Stati Uniti. La sua popolarità, e la sua vittoria, derivarono in gran parte dalla promessa fatta in campagna elettorale di esaudire le richieste dei cittadini okinawani rinegoziando l’accordo nippo-statunitense del 2006 che prevede lo spostamento (e l’ampliamento) della base militare di Futenma dall’omonima città alla città di Henoko (dov’è situata una delle baie coralline di Okinawa). La visita in Giappone del presidente degli Stati Uniti Barack Obama, nel novembre del

23 Si tratta di due casi che avvennero nel 1972, dopo il ritorno di Okinawa al Giappone. Il primo omicidio si consumò il 4 agosto a seguito di uno stupro ai danni di una hostess di trentasette anni da parte di un militare diciannovenne con il grado di private second class. Il secondo avvenne a Koza il primo dicembre, quando una ragazza di ventidue anni, che aspettava il suo turno per fare la sauna, venne aggredita a strangolata a morte con una sottoveste da un militare. OWAAMV, Okinawa beihei ni yoru..., cit, p.21. 24 Il primo di questi due casi avvenne il 20 ottobre 1974 nella città di Nago. Una donna di quarantadue anni, che lavorava in un caffè della città, venne picchiata e uccisa da un militare diciannovenne. Il secondo omicidio invece si consumò il primo agosto del 1982, sempre a Nago, ai danni di una hostess di trentatré anni uccisa in una camera di albergo da un militare. Ivi. 25 Questo fu l’ultimo caso di omicidio seguito allo stupro registrato dalla polizia di Okinawa e risalente al 10 maggio 1995. Un’impiegata che lavorava per una ditta di assicurazioni fu colpita cinquanta volte a morte con un martello da un militare statunitense. Ibidem, p. 24.

2009, riportò inevitabilmente all’attenzione mediatica questa scottante questione. La domenica precedente il suo arrivo, una folla di manifestanti sfilò per le strade di Ginowan al grido: “Obama hai vinto il Nobel per la Pace, portati via le basi e dacci la pace a Okinawa”. Ventunmila persone protestarono contro la presenza delle basi militari, chiedendo al primo ministro giapponese di mantenere la promessa fatta prima delle elezioni. Hatoyama, che non fu in grado di soddisfare le richieste di quanti protestavano, si dimise l’8 giugno dell’anno seguente.

4 settembre 1995

Il caso di stupro più conosciuto di questi ultimi anni, grazie anche all’importanza mediatica che gli è stata attribuita, è quello del 4 settembre 1995.26 La vittima fu una ragazzina di 12 anni che venne rapita, legata e violentata da tre militari statunitensi nei pressi della base militare di Camp Hansen. Le indagini delle forze dell’ordine okinawane su questo stupro furono tempestive: l’8 settembre, dopo aver analizzato tutti i registri delle aziende di autonoleggio, la polizia identificò gli autori della violenza e stilò un mandato d’arresto nei loro confronti. Nonostante la prontezza delle indagini, le autorità militari statunitensi non consegnarono i tre uomini alle autorità locali fino al 29 settembre. Durante il processo alcuni testimoni riportarono che, dopo il crimine, i tre imputati circolavano liberamente all’interno della loro base militare, trascorrendo il tempo “mangiando hamburger”.27 Soltanto in seguito alle proteste dei cittadini di Okinawa, i governi di Tokyo e di Washington decisero di firmare una postilla integrativa da aggiungere al SOFA, la quale permetteva di porre sotto custodia degli investigatori nipponici i militari statunitensi sospettati di omicidio o di violenza sessuale.

Sebbene questo caso non fu che l’ultimo di una lunga serie, esso suscitò una diffusa e rinnovata mobilitazione tra gli okinawani dopo alcuni anni di “torpore” e sconforto. I primi anni Novanta, infatti, sembrarono essere influenzati dalla concatenazione di una serie di eventi avvenuti nel 1989: dalla scomparsa dell’imperatore Hirohito, che segnò la fine dell’era Shōwa, alla caduta del muro di Berlino e il crollo dei regimi dell’Europa dell’Est che annunciarono la fine della guerra fredda. Nel 1990 venne eletto governatore di Okinawa il professor Ōta Masahide, che sostituì la precedente amministrazione conservatrice guidata per dodici anni da Nishime Junji. Ōta, studioso di storia okinawana, contrario all’invio delle Forze di autodifesa all’estero e alla massic-

26 Vari i riferimenti bibliografici in relazione a questo caso di stupro e alle reazioni da esso suscitate dentro e fuori la provincia di Okinawa, tra cui si veda Linda I. Angst, “The Sacrifice of a Schoolgirl. The 1995 Rape Case. Discourses of Power and Women’s Lives in Okinawa”, Critical Asian Studies, 33, 2, 2001, pp. 243-66; Chalmers Johnson, Gli ultimi giorni dell’impero americano, Garzanti, Milano 2003, pp. 60-61; Okinawa symposium hōkokushū (Raccolta delle relazioni sul simposio di Okinawa), Mizunowa, Kyoto 2000, pp. 245-246; Tanji Miyume, Myth, Protest and Struggle in Okinawa, Routledge, Abingdon 2006 pp. 150-160. 27 Chalmers Johnson, Gli ultimi giorni..., cit., p. 71.

cia presenza militare nella provincia, dichiarò di voler consacrare un nuovo rapporto con il governo di Tokyo basato sulla collaborazione, con l’idea che il mutato assetto mondiale post guerra fredda portasse qualche novità anche per Okinawa. Tuttavia, gli anni successivi alla sua candidatura furono segnati da continue delusioni politiche per gli okinawani; infatti, fino al 1996 non giunse alcun segno di cambiamento nella presenza delle basi militari. Nemmeno gli sviluppi relativi alla politica interna giapponese, che videro la breve scomparsa nel 1993 dell’ormai pluridecennale presenza del Partito liberal-democratico al governo, riuscirono a esaudire le speranze della popolazione di Okinawa. In questo clima di tensioni politiche, lo stupro del 1995 riaccese tra gli okinawani il diffuso malcontento verso la presenza delle installazioni militari, che si concretizzò nell’organizzazione, il mese successivo, di varie manifestazioni, la più importante delle quali si tenne il 21 ottobre a Ginowan e vide la partecipazione di 80.000 persone che chiedevano la chiusura della base militare di Futenma.

Tale caso di stupro portò peraltro alla nascita del più attivo gruppo femminile okinawano, lo OWAAMV capeggiato da Takazato Suzuyo.28 Come afferma la stessa leader, diversi fattori legati a questo caso spinsero le donne di Okinawa a istituire un’associazione femminile. Innanzitutto, questo stupro attirò l’attenzione non solo della stampa giapponese (sino ad allora poco incline a dare spazio a notizie simili) ma anche di quella estera. Inoltre, lo stupro avvenne in concomitanza al cinquantesimo anniversario della sconfitta della Seconda guerra mondiale, il cui termine segnò l’inizio della progressiva militarizzazione della regione. Anche la giovane età della vittima fu un elemento di rilievo, poiché confermò ancora una volta il fatto che la vittima di questo tipo di violenza viene scelta senza distinzione alcuna.29 Inoltre, pochi giorni prima dello stupro, si inaugurò a Pechino la Quarta conferenza mondiale sulle donne, durante la quale la violenza contro le donne venne riconosciuta come una violazione dei diritti umani.

Gruppi femminili di Okinawa

Nato in seguito a questo stupro, l’OWAAMV è un gruppo che lotta a favore dei diritti delle donne, per la smilitarizzazione dell’isola, per una vita quotidiana che

28 Takazato Suzuyo, femminista okinawana, nel 1961 si recò nelle Filippine per motivi di studio e, nel corso del suo soggiorno di circa due anni, venne a conoscenza dei crimini perpetrati dai militari giapponesi a carico della popolazione filippina durante la Seconda guerra mondiale riscontrando varie analogie con l’esperienza vissuta dagli okinawani in quello stesso periodo. Ella, inoltre, si rese conto che anche nelle Filippine l’atmosfera che circondava i luoghi limitrofi alle basi militari statunitensi era molto simile a quella che si percepiva a Okinawa. Tornata dal soggiorno all’estero, Takazato cominciò a interessarsi al problema del fiorente mercato di prostituzione sviluppatosi a Okinawa parallelamente alla militarizzazione della regione e ad analizzare i suoi effetti sulla vita delle donne locali. Successivamente, Takazato lavorò per undici anni a Tokyo come consulente telefonica di un centro al quale le donne potevano rivolgersi per raccontare le molestie sessuali e gli abusi subiti. Tanji Miyume, Myth, Protest and..., cit., p. 152. 29 Takazato Suzuyo, Okinawa: Effects of long-term..., cit., p. 2.

non preveda la presenza di una realtà militare. Durante i quindici anni di esistenza, il gruppo ha partecipato a numerosi eventi e conferenze all’estero (a Washington nel 1998, in Corea del Sud nel 2002, nelle Filippine nel 2004, a San Francisco nel 2007 e a Guam nel 2009), per sensibilizzare l’opinione pubblica riguardo ai problemi presenti a Okinawa in rapporto all’elevata presenza militare sul territorio.

Durante quest’ultimo decennio, a Okinawa si è assistito alla nascita di variegate organizzazioni femminili, non necessariamente femministe, che si battono, oltre che contro la presenza militare, anche per la propria identità di donne, contro il sistema dei movimenti cittadini e delle “organizzazioni anti-base” guidate esclusivamente da una sorta di élite maschile. All’interno della società patriarcale di Okinawa, infatti, questi gruppi femminili sono spesso criticati da quelli maschili, che li accusano di limitarsi a protestare per i diritti e la protezione delle donne e a sottovalutare temi di interesse comune, quali la revisione del Trattato di sicurezza e la riduzione delle basi militari. Le battaglie dei vari gruppi a Okinawa sono fondamentalmente maschiliste e mantengono una cultura conservatrice male-centred. 30

A questo proposito, in un’intervista del maggio 1999, Takazato Suzuyo afferma che in passato si diceva che Okinawa fosse soltanto “una ferita al dito mignolo del corpo Giappone” e, partendo da questa metafora, si chiede quanto spazio dunque può avere il dolore delle donne all’interno di questa già piccola ferita:

In the past, Okinawan reversion activists used to say, ‘Okinawa is a pain in the little finger of a body of Japan’ to describe how the suffering of Okinawans was ignored by the Japanese. But I have always wondered, in that ‘pain in the little finger’, how much of the women’s pain has been represented? It is difficult for people to understand that women’s human rights are a political issue, because there are always ‘bigger’ ‘more important’ issues. Prostitution has always been a social issue, but not presented to the public in the same way as the compulsory military occupation of land, or US plane crashes.31

Ancora oggi, quindi, le donne di Okinawa si trovano da sole a combattere per far valere i propri diritti, per vivere una vita sicura; la stessa lotta politica okinawana, a causa anche della posizione marginale che la donna occupa all’interno della società, riserva uno spazio limitato al loro diritto di essere salvaguardate dalle violenze sessuali e dagli stupri.32 L’impegno e gli sforzi continui delle donne della comunità di Okinawa, per poter vivere in un territorio smilitarizzato e senza il potenziale e costante pericolo di subire aggressioni da parte dei militari statunitensi, ottengono risultati ancora troppo marginali e vanno comunque inseriti all’interno della cornice economica e politica nippo-statunitense che determina tuttora il ruolo chiave di Okinawa.

30 Tanji Miyume, Myth, Protest and..., cit., p. 160. 31 Ibidem. 32 Ibidem.

U.S. Soldiers and Sexual Violence: the Okinawa Case (1945-2010)

After the Second World War, the particular condition of Okinawa, due to the Treaty of San Francisco between USA and Japan in 1951, leaded to a deep militarization of the area. This essay focuses on problems coming from the presence of USA Military bases, especially for women, who often suffer sexual abuses or become rape victims of US soldiers. Dealing with rapes in Okinawa is a difficult issue since the lack of elements and also the favorable status enjoyed by GIs on the island. Thanks to a significant collaboration of the first Okinawan female association, OWAAMV, we have some data about sexual assaults and rapes. Even if the data are not complete, they are precious to gain a board picture of this problem and understand the daily life of Okinawa women.

アメリカ軍人と強姦:沖縄事件(1945-2010)

ヤッシン・マンカストロッパ

沖縄には第2次世界大戦後、アメリカの米軍基地が建てられた。今日 も米軍基地が多いので、いろいろな問題があり、例えば事故やレイプ や事件もある。この報告は沖縄女性たちの問題について扱っている。 社会的にレイプは本当に悪いことであるが、レイプの被害者である ことも否定的に見られてしまう。さらに、米軍関係者はSOFAのおかげ で、いろいろな特権を享受し、裕福な暮らしをしている。その結果、 レイプについてデータを見つけることは本当に難しい。それでも、沖 縄の「米軍基地を許さない行動する女たちの会」のおかげで、女性た ちの問題について資料が入手できた。この資料は1945年から20 08年までアメリカ軍人の強姦の犯罪のデータも含んでいる。