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Capitolo quindicesimo: la politica dell’Autorità cantonale ticinese verso i profughi
Riprendiamo il discorso da dove lo abbiamo appena lasciato,ossia dalle affermazioni dell’onorevole Enrico Celio espresse in Gran Consiglio il 14 luglio 1938.In quest’occasione egli si presentava nella veste di Capo Dicastero di Polizia del Canton Ticino per sottoporre al Parlamento,per l’approvazione,il rendiconto dell’attività del suo Dipartimento per l’anno 1937.Alle critiche avanzate al suo rapporto (ossia che vi si leggessero delle considerazioni razziste),egli replica affermando che non si tratta di ‘farina del suo sacco’ma delle parole d’ordine giunte da Berna,e precisa che la politica cantonale verso i profughi non è altro che la realizzazione pratica della politica federale,sulla definizione della quale il Cantone non ha voce in capitolo. Proseguendo nel suo intervento però,non si riesce a capire bene se a nome proprio o come portavoce delle autorità bernesi,o in ambedue le vesti,rincara la dose,aggiungendo considerazioni senz’altro catalogabili come stereotipi e pregiudizi:«tutti sanno che da secoli gli ebrei dominano il mondo politico,spirituale,economico e scientifico»,e che «essi esercitano,specie nei piccoli paesi,un dominio pericoloso», per questo «dobbiamo impedire che questa razza dominatrice nel campo economico metta radici nel nostro Paese».1 Se è vero che ad alcuni deputati presenti in Gran Consiglio il discorso non è risultato gradito,come pure la politica praticata nei confronti dei profughi ebrei,è vero anche che essi sono stati messi nella condizione di essere impossibilitati a muovere una qualsiasi contestazione, essendo il tutto presentato come una direttiva superiore giunta dal Governo di Berna.E su una direttiva governativa ad essi non era riconosciuto nessun diritto di intervento,in quanto membri di un orga-
no legislativo cantonale e non federale.Per questo motivo le loro contestazioni non potevano essere indirizzate contro la politica d’asilo in quanto tale,ma potevano soltanto rivolgersi verso la realizzazione concreta delle disposizioni praticate in ambito locale.È in quest’ottica che diversi deputati chiedono uno sforzo per procedere nel modo più umano possibile cercando di fare delle eccezioni.
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Il verbale che non c’è Per verificare quale è poi stata realmente la politica applicata nel Canton Ticino nell’anno della nostra ricerca,siamo andati metaforicamente avanti di un anno a cercare il Rendiconto del Dipartimento di Polizia 1938 e l’abbiamo trovato al suo posto negli scaffali dell’Archivio.2 E abbiamo cercato di recuperare anche la trascrizione della discussione seguita alla presentazione in Gran Consiglio del Rendiconto suddetto quando,nel maggio del 1939,è stato presentato ai parlamentari ticinesi per l’approvazione. E qui ci siamo trovati di fronte a una sorpresa.All’Archivio di Stato a Bellinzona il verbale della sessione primaverile del Gran Consiglio Ticinese del 1939 non c’è. Dopo molte ricerche e in seguito a molte insistenze abbiamo risolto la questione dell’assenza constatando che il verbale della sessione primaverile del 1939 del Gran Consiglio del Canton Ticino non c’è perché non è mai stato né scritto né pubblicato.Il materiale che riguarda questa sessione si trova da oltre sessant’anni chiuso in alcune scatole che ora si trovano presso la segreteria del Gran Consiglio a Bellinzona.In risposta a una nostra richiesta ci è stato gentilmente concesso di esaminare parte di queste carte.Ci sono state consegnate fotocopie del Rapporto della Commissione di Gestione3 e dei manoscritti del verbalista che prese gli appunti nel corso del dibattito svoltosi in aula a Bellinzona il 25 maggio 1939. 4 Prima di poter consultare questa documentazione ci è stato richiesto di firmare una dichiarazione con la quale abbiamo riconosciuto che quanto ci è stato consegnato non era il verbale ufficiale.Non lo è perché una sessantina d’anni fa non è stato pubblicato e,soprattutto,non è stato sottoposto ai membri del Gran Consiglio e non è stato quindi da loro approvato in votazione.Aggiungiamo che non si tratta,come nelle relazioni stenografiche,del testo letterale;si tratta di appunti piuttosto scarni che molto probabilmente il verbalista avrebbe poi integrato in sede di trascrizione con ciò che egli,del dibattito,serbava nella
propria memoria.Ci è stato tuttavia assicurato che quanto abbiamo ricevuto è comunque considerato un documento storico che siamo autorizzati a utilizzare per la nostra ricerca. Avendo a disposizione questo materiale inedito,non possiamo che soffermarci su di esso per esaminarlo accuratamente.Lo utilizzeremo quindi per tentare di ricostruire ciò che è stato detto in Gran Consiglio5 in occasione dell’approvazione del Rendiconto 1938 presentato dal Dipartimento di Polizia.
L’approvazione in Gran Consiglio del rendiconto 1938 presentato dal Dipartimento di Polizia del canton Ticino
Il rendiconto del Dipartimento Nel corso della sessione primaverile del Parlamento il Governo cantonale presenta i suoi Rendiconti.Ogni Dipartimento sottopone al Gran Consiglio il suo rapporto relativo all’anno precedente:nel 1939 vengono dunque esaminati i rapporti d’attività del 1938. Qui ci stiamo occupando del Resoconto con il quale il Consigliere di Stato Enrico Celio rende conto al legislativo dell’attività del Dipartimento di Polizia del Canton Ticino.6 Nel suo rapporto egli riferisce di come è stato affrontato in Ticino il problema dei profughi nel corso del 1938 e afferma:«La questione degli israeliti si è posta al primo piano ed ha richiesto all’ufficio forestieri una particolare somma di tenacia e di severità,resa più onerosa dall’incomprensione che vige,sia nella popolazione,sia in molte autorità,del grave problema».Egli prosegue poi lamentando che «il privato cittadino,che si è commosso davanti ad un caso umanitario o ad un caso particolare», non riesce a capire che è spesso impossibile «conciliare i sensi umanitari colle gravissime esigenze del nostro patrimonio etnico e del nostro mercato del lavoro». Continua sottolineando che l’autorità intende continuare ad agire «secondo le direttive fin qui seguite» per evitare che anche il Ticino si venga in futuro a trovare nella «preoccupante situazione che qualche altro cantone già oggi lamenta in materia d’immigrazione di ebrei». Ricorda che gli avvenimenti d’Austria e di Cecoslovacchia,nonché la crisi seguita alle nuove disposizioni polacche in materia di passaporti,hanno provocato «nuovi rilevanti afflussi di emigranti ai confini della Svizzera»,tanto che,specialmente dopo l’adozione anche in
Italia delle leggi per la difesa della razza,si è ora di fronte a «un vero e proprio problema di popoli,ché una massa enorme di circa 4 milioni di ebrei deve spostarsi,sotto la pressione di misure draconiane,in un fenomeno di grandiosa migrazione». Il rapporto illustra le direttive della politica della Confederazione rendendo noto che questa venne definita «da una conferenza dei Direttori di Polizia tenuta a Berna il 4 ottobre 1938,indi dal Consiglio Federale»; fa inoltre notare che in Ticino «l’ufficio forestieri ha fedelmente applicato le prescrizioni emanate da Berna ispirandosi ai criteri limitativi consigliati dalla nostra situazione cantonale»,pur non omettendo «di accogliere con senso di umanità le domande di emigranti di passaggio che prestavano sufficienti garanzie e che meritavano particolare considerazione (persone in età avanzata,bambini,ecc)». Ribadisce in seguito che secondo le disposizioni federali,in Svizzera non possono più accedere altri ebrei,ad eccezione di quelli che vi soggiorneranno solo temporaneamente,come «emigranti»,nell’attesa di potersi trasferire definitivamente in un altro Stato.Tuttavia,prosegue il rapporto,«le possibilità,per gli emigranti,di ottenere dei visti per altri Stati sono tuttora molto limitate,per cui l’ammissione di emigranti pone sempre davanti alla grave incognita di sapere quando l’effettiva partenza potrà avvenire»,con il rischio che la chiusura delle frontiere in caso di una conflagrazione europea possa stabilizzare la presenza in Ticino di «una massa insolita di elementi doppiamente estranei alla nostra compagine nazionale».È a questo punto che il rapporto svela anche la faccenda,alla quale abbiamo accennato in precedenza,della ‘J’stampigliata dalle autorità germaniche sui passaporti degli Ebrei del Reich,definendo questo provvedimento una «misura di prudenza» per arginare l’afflusso in Svizzera di profughi ebrei. Il rapporto si conclude con un occhio di riguardo per il vicino Regno,di cui si dice che «ad onor del vero» e «a differenza di qualche Stato,le ‘leggi razziali’furono applicate,in Italia,con un certo senso di umanità e longanimità.Per cui il nostro compito ne uscì facilitato».(Non viene però specificato quale compito,e in che modo esso sia stato facilitato).
Il rapporto della Commissione di Gestione7 Il rapporto della Commissione di Gestione è molto interessante e significativo perché contiene importanti considerazioni e riserve sulla natura della politica d’asilo effettivamente applicata.Si legge infatti che «la
severità colla quale si esaminano e decidono le domande di entrata di stranieri è nota;parimenti è nota l’energia colla quale si costringono a partire quelli che qui non sono autorizzati a risiedere» e si rende nota «la dura lotta delle autorità contro i perseguitati» che «talora appare inumana».Naturalmente la Commissione di Gestione accetta,come del resto sembrano fare tutti,l’assioma della «necessità stretta» e dell’ineluttabilità della politica che è stata adottata,ma risulta comunque significativa la scelta di termini come «inumana» e «dura lotta contro i perseguitati»,e più oltre anche «sommamente ingiusto» e «inesorabili». Questo suggerisce che un certo disagio disturbi i Commissari,e ciò traspare anche dal rincrescimento espresso dagli stessi,perché «tutta la nostra legislazione in materia di asilo e di dimora,ha dovuto essere indurita,contro tutta la nostra tradizione». Oltre a ciò la Commissione solleva un altro problema,ossia quello degli stranieri residenti in Ticino (nazisti tedeschi e fascisti italiani),i quali, indisturbati,fanno una politica contraria agli interessi della Svizzera e promuovono la nascita di «certe organizzazioni più o meno spontanee» che «possono divenire pericolose,specie in tempi calamitosi».Nei confronti di queste persone,piuttosto che nei riguardi dei profughi,i Commissari invocano maggiore rigore e severità.Nel rapporto si legge infatti:«non possiamo esimerci dal sollecitare una maggior sorveglianza degli stranieri qui residenti,e particolarmente di quelli che hanno attività propagandistiche ed organizzative che possono talora costituire un pericolo per il nostro paese» perché «sarebbe sommamente ingiusto che si fosse inesorabili coi disgraziati e perseguitati a motivo della loro origine e razza,delle quali non hanno responsabilità alcune,nel contempo che l’indulgenza fosse concessa a coloro che ci danneggiano o ci pongono in pericolo deliberatamente».
Il dibattito in Gran Consiglio8 Il dibattito per l’approvazione del Rendiconto del Dipartimento presentato da Celio ha luogo il 25 maggio 1939.In mancanza del verbale ufficiale,abbiamo cercato di fare una ricostruzione (riportata in Appendice Doc.T-g) utilizzando gli appunti del verbalista9 che ci sono stati consegnati,integrandoli con i resoconti apparsi il giorno successivo sulla stampa ticinese.10 Alcuni deputati intervengono sull’argomento.In linea di principio sono tutti d’accordo sulla vigilanza e la severità,11 pur chiedendo che si continui con la prassi sinora seguita,dando prova «di spirito di comprensio-
ne» nel caso di eccezioni umanitarie o,come richiesto da un consigliere,largheggiando nei casi di ebrei abbienti.È il Consigliere Caroni che insiste su una maggiore disponibilità verso gli ebrei facoltosi,ma raccomanda prudenza per l’eventuale pericolo di sopravvalutare le disponibilità di questi potenziali immigranti.Molti di essi possono essere stati benestanti in origine,ma aver perduto nel frattempo tutte le loro sostanze,conservando dell’agiatezza soltanto le abitudini esteriori.12 Di fronte agli interventi in aula e alle suggestioni della Commissione di Gestione,Celio affronta il tema rispondendo alla raccomandazione,sollevata da più parti,di usare magnanimità verso gli stranieri cacciati da altri paesi,13 ribadendo che «la Svizzera ha adottato misure severe».Quanto agli ebrei che giungono in territorio svizzero,
essi possono essere definiti profughi in quanto devono fuggire dal loro paese per sottrarsi a persecuzioni: ma l’autorità federale non riconosce loro la qualità di profughi. Ciò non impedisce che si usi tuttavia larghezza nei loro confronti. Ma la Svizzera ad un determinato momento si è trovata alle porte centinaia di migliaia di ebrei che volevano entrare nella Svizzera. Essi meritano pietà. Ma questa pietà deve avere un limite – per necessità – per la difesa della nostra economia, del nostro commercio, delle nostre industrie. Questa politica è perfettamente giustificata ed umana: si permette a chiunque di venire nel nostro paese a condizione che sia di passaggio. Certamente deve essere esaminata la concessione ad ebrei ricchi, e già il nostro cantone ha cercato di convincere le autorità federali a largheggiare in queste situazioni.14
Per quello che riguarda invece il controllo delle attività politiche degli stranieri residenti nel Paese,la risposta di Celio dimostra quanto fondata fosse la preoccupazione dei Commissari di Gestione quando paventavano l’uso di due pesi e due misure:rigore verso i profughi e indulgenza verso gli stranieri residenti in Svizzera che tramavano per interesse degli Stati totalitari.Su quest’argomento Celio sostiene che la competenza del Cantone è minima,spettando essa al Ministero Pubblico Federale.«A questi ospiti che risiedono da noi»,spiega,«non si può negare il diritto di associazione,di propaganda anche.Ciò che è consentito ai nostri concittadini all’estero non possiamo negarlo agli stranieri che sono da noi».Certamente vi sono dei limiti,ad essi non è permesso di «sorvegliare i loro concittadini e compiere attività che abbiano carattere di spionaggio» e vi sono restrizioni e controlli anche per quanto riguarda le conferenze da essi organizzate.D’altronde ammette: «è certo che a questo riguardo non siamo sufficientemente attrezzati e
d’altra parte in questa materia i giudizi sono difficili e personali». Riassumendo,la politica delle autorità cantonali ticinesi riguardo ai profughi consiste nell’applicazione pratica della politica federale. In qualche caso si tenta di smussare gli angoli più duri,facendo quando possibile qualche eccezione per motivi umanitari.15 Dalle parole di alcuni deputati,e di Celio,traspare molta buona volontà verso casi singoli di ebrei facoltosi,dai quali forse ci si può attendere qualche beneficio a livello locale e turistico.A favore di questi,il Dipartimento fa sapere d’aver interceduto presso le autorità di Berna per chiedere maggiore flessibilità.16 Ad ogni modo,secondo quanto si può apprendere dal resoconto del Dipartimento di Polizia del 1939 (ossia dell’anno successivo a quello che abbiamo appena esaminato),il timore di trovarsi in casa un numero eccessivo di ebrei,considerati comunque alieni e pericolosi, ha guidato la mano anche all’autorità ticinese.In esso,infatti,ci si autocongratula per il rigore di cui si è data prova:
Non è inopportuno far rilevare che la severità dimostrata nel 1938 e 1939 dall’Ufficio Forestieri in materia di nuove entrate di stranieri e d’ammissione di profughi (emigranti) ebrei, ha purtroppo trovato la dimostrazione della sua fondatezza nel tragico precipitare degli avvenimenti internazionali. Occorre riflettere alla situazione in cui oggi si troverebbe il nostro Cantone se l’autorità di polizia, abbandonandosi a un comodo ottimismo, avesse largheggiato nell’accogliere le sempre numerose istanze di emigranti ebrei o nell’ammettere supinamente le entrate illegali. In via assoluta il Ticino può oggi considerarsi in buona situazione. Il numero dei profughi ebrei non è da noi eccessivo; buona parte di essi sono in alberghi e pensioni, in situazione economica indipendente, altri beneficiano di sussidi assicurati dalle comunità israelitiche, e solo poche decine si trovano in precarie condizioni, senza però far appello alla pubblica assistenza.17
Per mantenere gelosamente integre le «caratteristiche etniche» del nostro Cantone
Che la politica applicata sia stata in generale inflessibile risulta da alcuni fatti la cui documentazione si può trovare all’archivio di Bellinzona.Una richiesta avanzata dal Comune di Croglio per poter accogliere come ‘ospiti di diporto’due anziani ebrei polacchi18 ottiene una risposta negativa del Dipartimento di Polizia del Canton Ticino,con l’indicazione che i richiedenti «facciano istanza al
Consolato di Milano» dove ci sono scarse possibilità di successo.19 La domanda inoltrata dall’organizzazione ebraica Vita Nuova con la quale si richiede il permesso di aprire nel cantone Ticino una scuola per ragazze ebree,perché le disposizioni italiane impediscono di continuare l’attività in Italia,20 riceve una risposta negativa del Dipartimento di Polizia.Il rifiuto è motivato con l’asserzione che in Svizzera vi sono già troppi stranieri e che il Ticino vuole «mantenere gelosamente integro il suo carattere di Cantone italiano di lingua e cultura».È per questa ragione che le autorità si oppongono «alla creazione di nuove istituzioni» non conformi alle «caratteristiche etniche» del Cantone.21 L’avvocato e notaio Jean Hirsch di La Chaux de Fond chiede un permesso di soggiorno per un periodo di tempo limitato a Locarno per una famiglia di tre persone,in attesa del contingente per emigrare in America,e si informa sull’ammontare della cauzione da pagare.22 Il Dipartimento di Polizia risponde che il permesso di regola può essere rilasciato solo in via eccezionale,nel qual caso la cauzione richiesta è di almeno 5.000 franchi (cifra molto alta tenendo conto del valore di allora del franco svizzero).Tuttavia fa sapere che la richiesta deve essere prima inoltrata al Consolato di Vienna e,in più,all’avvocato Hirsch si consiglia di desistere dal chiedere un permesso di residenza in Ticino e di tentare eventualmente in un cantone di lingua tedesca.23 Un’ulteriore dimostrazione di quanto fermo fosse il rifiuto nel concedere permessi si desume anche da una lettera proveniente dal Dipartimento di Polizia indirizzata al Vescovo di Lugano,di cui parleremo in un prossimo capitolo.In questa lettera,sia pur con rincrescimento,si nega l’autorizzazione al permesso di soggiorno persino a ebrei raccomandati alle autorità dal Vescovo in persona.24
Le cifre: ebrei presenti in Ticino e ebrei respinti
In ottobre,la Schweizerische Zentralstelle für Flüchtlinge,un ente fondato dall’Autorità federale per gestire il problema dei profughi per il quale ricopre la carica di direttore il Consigliere di Stato zurighese Briner,invia una lettera urgente25 al Dipartimento di Polizia per richiedere le cifre riguardanti i profughi nel Canton Ticino. Dalla risposta26 apprendiamo che sono 150 i ‘fuggiaschi’che,con permesso turistico di 3 mesi,risiedono in alberghi.Tra di loro,precisa la
lettera,non vi sono però «ebrei indigenti».E sono 60 le domande di soggiorno allo studio,mentre ammonta a 90 il numero degli ebrei respinti nel corso dell’anno. A proposito di questi ultimi,sempre nell’Archivio di Stato,abbiamo trovato il Prospetto degli individui consegnati e ricevuti in consegna alla Stazione internazionale di Chiasso della Polizia Cantonale ticinese.27 Si tratta di un registro,redatto in bella grafia inclinata,che fa la contabilità delle entrate e delle uscite avvenute su ordine della polizia.Scorrendo la lista dei nomi,abbiamo trovato ben 45 delle 90 persone di cui si fa menzione nella lettera.Che si tratti di ebrei lo si capisce dai nomi e dalla provenienza.Nella colonna «Autorità a cui devono essere consegnati»,vi è quasi sempre l’indicazione «sorvegliato partenza»,mentre in quella successiva,«Motivo della consegna»,la dicitura è soltanto «espulso» senza la specificazione di un reato,che è invece presente in gran parte delle altre registrazioni che compaiono in quell’elenco. Questo registro ci fa intuire come avvenissero concretamente queste espulsioni da Chiasso.Molto probabilmente gli ebrei espulsi dalla Svizzera venivano semplicemente fatti salire su un treno in partenza per l’Italia e tenuti d’occhio fino al momento del superamento del confine,a pochi metri dalla stazione.Si constata che in generale lo stratagemma doveva funzionare a perfezione perché abbiamo trovato un unico caso nel quale accanto alla solita dicitura «sorvegliato partenza» si legge «respinto dall’autorità italiana e rinviato a Zurigo». Questo è avvenuto l’8 luglio,ma già il 12 luglio tra i partenti si trova il medesimo nome.28 È evidente che questa seconda volta la manovra ha avuto successo. Se si rivolge lo sguardo agli anni seguenti,nel Rendiconto del 1941 del Dipartimento di Polizia29 si apprende che gli ebrei che si trovavano in Ticino nei primi anni di guerra,ossia quando ancora vi era la possibilità per molti di loro di mettersi in salvo,sono stati poco più di 400.Negli anni successivi,a partire dal 1943 sono aumentati,ma non di molto,raggiungendo un massimo di 2.200 persone verso la fine del conflitto.30