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Capitolo quattordicesimo: la politica svizzera di accoglienza dei profughi
La politica federale
Nel corso del 1938 l’accoglienza dei profughi ha avuto un’evoluzione verso una sempre maggiore chiusura.Fino alla fine di marzo la Svizzera ha esplicato le sue procedure secondo le disposizioni della Legge federale del 26 marzo 1931 concernente la dimora e il domicilio degli stranieri (Ldds) e adeguandosi all’accordo internazionale in materia sottoscritto nel 1936 con la Società delle Nazioni.1 In conformità a questa intesa,la prassi consentiva l’entrata in Svizzera a coloro che erano provvisti di un passaporto valido.Le pratiche di accoglienza venivano espletate in seguito,dopo l’arrivo dei richiedenti nel territorio della Confederazione. Dal 1º aprile,adducendo come motivo il grande afflusso di ebrei in fuga dall’Austria in seguito all’Anschluss,si è avanzata la pretesa che i cittadini muniti di passaporto austriaco presentassero un visto rilasciato da un consolato svizzero all’estero.In mancanza di questo essi non avrebbero avuto la possibilità di accedere in Svizzera.Il visto doveva essere di soggiorno (contemporaneamente però Berna aveva provveduto a impartire alle sue rappresentanze all’estero l’ordine di non rilasciare più tali permessi a chi intendeva rifugiarsi in Svizzera) oppure di transito (che,sempre secondo le disposizioni federali,i consolati potevano rilasciare soltanto se il richiedente era in grado di presentare un visto di soggiorno di un paese terzo che garantiva di accoglierlo in maniera definitiva).2 Messo un argine alle entrate legali,si trattava poi di metterne uno anche alle entrate cosiddette illegali o clandestine.A questo si è prov-
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veduto nel mese di agosto con un decreto del Governo emanato due giorni dopo una conferenza dei capi di tutte le polizie (polizia degli stranieri e polizie cantonali) convocati all’uopo dal Dipartimento Federale di Giustizia e Polizia.Questo decreto enuncia che:
gli organi svizzeri di controllo al confine hanno ricevuto l’ordine di respingere le persone provenienti dalla Germania che vorrebbero penetrare in Svizzera senza essere in possesso di documenti sufficienti. Nei posti dove gli organi doganali non riescono da soli ad eseguire questo controllo, il servizio è stato rinforzato con truppe delle compagnie di volontari per la copertura delle frontiere.3
In concreto:primo,i profughi saranno ricacciati nel paese dal quale stanno fuggendo;secondo,da questo momento in avanti anche l’esercito sarà impiegato allo scopo di impedire ai civili di rifugiarsi in Svizzera. Nel momento in cui,verso la fine dell’estate,il governo germanico ha deciso di sopprimere i documenti d’identità austriaci sostituendoli con passaporti del Reich (rendendo di fatto superate e inoperanti le disposizioni elvetiche sul visto in vigore dal 1º aprile),la Svizzera ha ritenuto di intavolare trattative con le autorità naziste per ottenere qualche strumento che le permettesse di esercitare «un certo controllo su detti passaporti».4 Ciò che si voleva,era di ottenere qualcosa che permettesse di distinguere immediatamente gli Ebrei dagli altri cittadini del Reich,allo scopo di poter bloccare l’afflusso dei profughi israeliti senza intralciare il normale traffico transfrontaliero e senza danneggiare l’industria turistica svizzera.ll risultato di queste trattative è stata l’introduzione della ‘J’rossa stampata sui passaporti degli Ebrei di tutto il Reich.L’esistenza del marchio ‘J’sui documenti non è trapelata subito e la stampa non ne fa alcun cenno,ma la cosa non è rimasta a lungo segreta.Qualche mese più tardi,e precisamente nel maggio del 1939, in occasione della presentazione nel Gran Consiglio ticinese del Rendiconto 1938 del Dipartimento di Polizia,si parla esplicitamente del timbro ‘J’e della sua funzione di ostacolo all’entrata in Svizzera degli Ebrei.In questo documento ufficiale,che ogni Gran Consigliere ha ricevuto e che era anche accessibile agli organi di stampa,è specificato a chiare lettere che il Consiglio Federale nella sua seduta del 4 ottobre 19385 ha reso obbligatorio il visto «per gli emigranti ebrei tedeschi,ai cui passaporti le autorità germaniche avrebbero ormai apposto il contrassegno ‘J’» che costituisce una «misura di prudenza imposta dall’entrata (già avvenuta) di parecchie migliaia di ebrei».6
Un aspetto su cui si dovrà riflettere è l’uso che della ‘J’sul passaporto hanno fatto l’amministrazione e la burocrazia svizzere.Per esempio,con una circolare indirizzata ai Consolati e alle Legazioni svizzere all’estero viene ordinato di non iniziare le formalità per l’ottenimento dei visti di soggiorno o di transito se la domanda viene presentata da ebrei sul cui passaporto non figura la ‘J’.Coloro che non hanno questo timbro dovranno essere invitati a farselo apporre preventivamente dagli uffici pubblici germanici o dai consolati tedeschi all’estero.7 Il comunicato del Consiglio Federale del 4 ottobre,che impartisce le nuove direttive restrittive,va ricordato soprattutto perché introduce nell’ordinamento giuridico svizzero un criterio razzista,ossia la distinzione tra cittadini tedeschi ‘ariani’e ‘non ariani’.E per fare ciò viene addirittura inventata una categoria di persone:«i cittadini germanici provvisti di passaporto germanico,i quali a norma della legislazione germanica non siano ariani»,che è un vero e proprio mostro giuridico.I terribili pogrom di novembre non inducono la Svizzera a mutar pensiero e ad allentare la chiusura delle frontiere,anzi,la politica fin qui adottata continua a venir praticata con sempre rinnovato rigore,e vi è addirittura un inasprimento.Si apprende infatti da un comunicato successivo che,a causa dei numerosi recenti arrivi di ebrei,«è stato deciso un nuovo rafforzamento del nostro controllo confinario».8 In risposta a un appello del Ministro olandese Colijn,che cercava una collaborazione internazionale per accogliere e aiutare gli Ebrei perseguitati dal nazismo,il Dipartimento Politico Federale si defila ribadendo i soliti argomenti che stanno alla base della politica d’asilo della Confederazione.9
Non un problema umanitario ma di ordine pubblico A monte di tutto sta il fatto che il Governo svizzero non considerava le migliaia di ebrei in fuga dal Nazismo un'emergenza umanitaria di fronte alla quale era d’obbligo mobilitarsi,bensì una contingenza molesta alla quale sottrarsi.E ha di fatto costantemente cercato di sottrarvisi,adottando tutti gli accorgimenti possibili per scoraggiare e ostacolare l’entrata in Svizzera a queste persone.L’arrivo dei profughi non era trattato come un problema sociale,ma veniva affrontato come una questione di ordine pubblico e di polizia. La politica Svizzera verso i rifugiati non è stata il frutto di un dibattito politico democratico nel paese e nelle istituzioni rappresentative come il Parlamento.Le linee direttive della stessa e le decisioni pratiche sono invece maturate all’interno dell’ambiente della Polizia degli Stranieri e
del Dipartimento Federale di Giustizia e Polizia.Una conferma a questo assunto è il fatto che le principali decisioni politiche e operative sono di regola state prese a ridosso di riunioni ad alto livello dei capi delle polizie federali e cantonali.Un’altra riprova la si desume dal tipo di persone che sono state incaricate a rappresentare il Paese negli organismi internazionali dove veniva affrontato il problema dei profughi (la Società delle Nazioni prima,la Conferenza di Évian poi):la Svizzera si è fatta rappresentare da alti funzionari della Divisione di Polizia del Dipartimento di Giustizia e Polizia (Rothmund e Schemi).
I fondamenti della politica d’asilo
Non riconoscimento dello statuto di rifugiato ai perseguitati razziali Un modo efficace per tenere fuori dai confini gli Ebrei che cercano scampo è quello di non riconoscerli come ‘rifugiati’,10 sostenendo che essi non sono da considerarsi perseguitati per motivi politici,ossia a causa dell’attività politica da loro stessi praticata.Così nei documenti ufficiali essi vengono chiamati in vari modi:«fuggiaschi»,«emigranti», «possessori di detti passaporti»,«stranieri che vogliono o devono lasciare il territorio dell’ex-Austria» ecc.Si era evidentemente convinti che il fatto di non chiamarli ‘rifugiati’o ‘profughi’,permettesse di annullarne l’esistenza.In questo modo si pensava forse di poter eludere la contraddizione con quello che era stato in passato un vanto del paese, quello di essere la Svizzera una terra d’asilo per i perseguitati.Questo non riconoscimento si è protratto negli anni.Abbiamo avuto modo di visionare la fotocopia di una lettera confidenziale del Dipartimento Federale di Giustizia e Polizia (Divisione della Polizia) del 13 agosto 1942,firmata da Heinrich Rothmund,11 che ribadisce il concetto. Nella lettera si indicano le categorie di persone che possono essere accolte alla frontiera,e si specifica che di queste non fanno parte «coloro che sono fuggiti per il solo motivo della loro razza;gli ebrei per esempio,non devono essere considerati rifugiati politici».
La Svizzera può essere soltanto un paese di transito Più volte viene ribadito questo concetto,e per renderlo operativo si pretende che il profugo,all’arrivo alla frontiera,presenti un ‘visto di soggiorno’oppure un ‘visto di transito’che viene rilasciato dai consolati svizzeri soltanto a chi è in grado di presentare una garanzia di un altro
paese pronto ad accoglierlo in via definitiva in seguito.Le formalità per l’ottenimento di queste carte,in periodi convulsi come quelli che stiamo considerando,erano difficili da espletare,richiedevano tempi lunghi e producevano in generale esiti negativi.Certamente non erano alla portata di persone che stavano fuggendo precipitosamente da un pericolo incombente.Che tali disposizioni burocratiche fossero di fatto un ‘impedimento alla fuga’da un paese nel quale direttamente avevano luogo le persecuzioni era una circostanza che non veniva considerata.
I visti La maniera più proficua per avere una completa discrezionalità nel decidere il destino dei richiedenti l’asilo è l’applicazione delle disposizioni sul visto.Da una parte si decreta che coloro che aspirano a entrare in Svizzera come rifugiati sono divisi in due categorie:quelli che possiedono un visto di soggiorno o di transito (che saranno accettati) e quelli invece che non lo possiedono (che saranno respinti).Il possesso del visto non è però una qualità intrinseca dell’aspirante rifugiato,ma è una caratteristica che l’autorità svizzera medesima può concedergli o negargli.Quindi,se non si vogliono profughi è sufficiente non rilasciare visti.Il funzionamento di questo meccanismo si può evincere dal contenuto del Comunicato del Dipartimento Federale di Giustizia e Polizia12 del 30 marzo 1938,nel quale,dopo aver annunciato l’introduzione del visto e affermato categoricamente che la Svizzera non è in grado di accogliere profughi,si legge testualmente che i «Consolati svizzeri hanno ricevuto analoghe istruzioni».Infatti,numerose circolari13 che ingiungono alle rappresentanze diplomatiche della Confederazione di non rilasciare visti a ebrei sono state recapitate ai Consolati svizzeri all’estero nel corso del 1938.
Dissuasione dei potenziali profughi di tentare di entrare in Svizzera Per evitare un’ingente afflusso di ‘emigranti’ci si preoccupa di dissuadere gli Ebrei prima della partenza,presentando del paese un’immagine il meno appetibile possibile.Per questo motivo si cerca di far sapere ovunque che la Svizzera è satura di profughi14 e non è più in grado di accoglierne degli altri.Uno dei mezzi usati per scoraggiare i ‘fuggiaschi’è la stampa:in agosto,per esempio,«le autorità svizzere hanno fatto pubblicare sui grandi giornali viennesi alcuni avvisi indicanti il fatto che per ostacolare l’entrata di profughi “la Svizzera aveva preso severe misure”».15
Coloro che sono già in Svizzera devono «proseguire il loro viaggio» Nei vari comunicati viene ribadito continuamente che chi già si trova in Svizzera dovrà andarsene al più presto,dovrà «proseguire il viaggio».Per questo motivo si fa tutto il possibile per ricordare ai profughi la provvisorietà della loro situazione e per fargli sentire che la loro presenza non è gradita.Evidentemente non si prevedono agevolazioni che permettano loro di inserirsi in qualche modo nel tessuto sociale ed economico del paese,obbligandoli a consumare tutte le riserve in loro possesso,tanto preziose in tempi calamitosi e con prospettive incerte.Oltre alla proibizione di lavorare vi è anche la disposizione che neppure la proprietà di immobili o la partecipazioni a imprese nei territori della Confederazione dà loro diritto al soggiorno.16
La Confederazione non partecipa alle spese Una cosa sulla quale non si transigeva era il rifiuto da parte della Confederazione di assumersi le spese di accoglienza e di sostentamento dei profughi ebrei.Essi dovevano provvedere con mezzi propri,e se non ne disponevano dovevano ricorrere alle Organizzazioni umanitarie.La parte preponderante di queste spese sono state pagate dalla Comunità israelitica svizzera e dalle Organizzazioni ebraiche di soccorso.Il solo contributo che la Confederazione ha elargito sono stati 20.000 franchi all’anno,devoluti non per il mantenimento dei rifugiati,ma per essere utilizzati al fine di permettere la «prosecuzione del loro viaggio».Questa cifra veniva versata nelle casse delle organizzazioni umanitarie svizzere dalle quali,come contropartita,si pretendeva la collaborazione con le autorità per il controllo dei profughi:segnalando alla polizia gli arrivi e facendo loro rispettare le disposizioni che li riguardavano.Ciò senza tenere in nessun conto il fatto che la missione di questi enti fosse invece quella di alleviare le sofferenze e proteggere questa gente in grave difficoltà e bisogno.17
Il linguaggio Uno degli accorgimenti assai diffusi nel periodo che stiamo esaminando è stato quello di esprimersi per eufemismi o in modo ambiguo. Un eufemismo molto comune era ‘devono continuare il viaggio’,per dire in verità ‘sono espulsi dalla Svizzera’,oppure chiamarli ‘emigranti’in luogo di ‘profughi’o ‘rifugiati’.Un modo ambiguo era il capovolgimento della regola con l’eccezione:una proibizione non veniva enunciata come tale,ma veniva presentata come una concessione che
però si applicava solo a casi eccezionali e assai improbabili.Ad esempio non si diceva che ‘gli Ebrei non possono entrare in Svizzera come rifugiati’,ma si diceva che «possono entrare gli ebrei provvisti dell’apposito visto di soggiorno o di transito»,anche se era chiaro ed evidente a tutti che coloro che lo possedevano erano poche decine mentre quelli che non erano in grado di presentare quanto richiesto costituivano di gran lunga la regola.La prosa impiegata nei vari comunicati dalle autorità meriterebbe un adeguato approfondimento.
I motivi addotti per giustificare la politica restrittiva Tutta la politica svizzera d’accoglienza si basa sul presupposto che l’entrata dei profughi costituirebbe un cataclisma per la Confederazione. Questo è un dato di fatto che le autorità danno per scontato,con la pretesa che sia accettato da tutti. In realtà questa pericolosità non è stata dimostrata da nessuna seria indagine,ma è soltanto suffragata dall’opinione corrente e non è altro che il prolungamento della fobia antistraniera,e in particolare antiebraica,che imperava negli anni tra le due guerre e vedeva come una minaccia all’integrità del paese un supposto pericolo di «giudeizzazione della Svizzera».18 Gli argomenti a sostegno sono in sintesi i seguenti: ■ la Svizzera è già satura di profughi e non è in grado di accoglierne un numero maggiore; ■ la Svizzera non può accogliere profughi per motivi economici e sociali in quanto l’alto tasso di disoccupazione non permette l’aggiunta di nuove bocche da sfamare; ■ l’arrivo di una massa di ebrei causerebbe la nascita dell’antisemitismo in Svizzera con conseguenti ripercussioni sull’ordine pubblico. Per smontare il primo argomento è sufficiente riportare le cifre fornite dalle autorità stesse.In luglio,alla conferenza di Évian,il rappresentante della Svizzera,Heinrich Rothmund,afferma che gli Ebrei giunti in Svizzera dopo l’Anschluss sono 4.000.Nei mesi successivi si parla di volta in volta di centinaia di entrate per cui,sommando tutti coloro che già erano in Svizzera prima dell’Anschluss con quelli giunti a quell’epoca,più le entrate legali e clandestine avvenute nel corso dei mesi seguenti,e sottraendo le uscite di coloro che ‘hanno proseguito il loro viaggio’,pur abbondando generosamente,si raggiunge una cifra che si situa tra le 5.000 e le 6.000 persone. Una delle più forti preoccupazioni era sicuramente quella di ritro-
varsi,in caso di guerra,con una quantità insostenibile di profughi ‘bloccati in casa’.Ma anche in questo caso si è abbondantemente drammatizzato:in un documento ufficiale19 risulta che con lo scoppio della guerra sono rimasti per così dire ‘intrappolati’in Svizzera 5.600 ‘emigranti’,i quali,a causa del conflitto,non hanno potuto ‘proseguire il loro viaggio’. Si può convenire che l’arrivo in Svizzera di tutti gli Ebrei d’Europa avrebbe costituito un serio problema.Un conto però è sostenere che non si era in grado di accoglierli tutti,e un altro è quello di affermare,come si è fatto,che si era in grado di ospitare (e solo temporaneamente e in transito) non più delle 5.000 o 6.000 persone già giunte nel paese.Tra l’una e l’altra opzione vi erano diverse possibilità di rispondere all’emergenza,e altrettanti i gradi di solidarietà che si sarebbero potuti scegliere.Inoltre,c’è una sostanziale differenza tra l'affermare che non si è in grado di dare ospitalità oltre a un certo numero di persone,e quello sbarrare la strada a esseri umani in fuga da un dramma immane. Secondo le cifre fornite dal Rapporto Bergier20 sono stati complessivamente 51.129 i profughi accolti in Svizzera nel corso della Seconda Guerra Mondiale.Di essi 21.304 (circa i 2/5) sono ebrei.Tuttavia,nei primi anni del conflitto,ossia fino all’agosto del 1942,hanno potuto trovar scampo in Svizzera soltanto poche decine di rifugiati.L’afflusso è leggermente aumentato negli ultimi mesi del 1942,da settembre in poi (7.372 persone),mentre il grosso degli arrivi si è avuto a partire dal mese di settembre del 1943 quando già si poteva capire chi sarebbero stati i vincitori e chi i vinti,e quando la maggioranza degli Ebrei d’Europa aveva ormai subito il suo tragico destino.Per la precisione, le entrate sono state di 14.520 persone nel 1943, 17.906 nel 1944 e 10.055 nei primi mesi del 1945.Quindi,quando si parla delle cifre dei rifugiati va ricordato che la gran parte di essi (oltre l’80%) sono stati accolti negli ultimi due anni di guerra,mentre nei primi anni del conflitto,fino al mese di giugno 1942,hanno potuto trovare rifugio in Svizzera solo 558 persone ossia poco più dell’1% del totale. Un argomento che viene volentieri messo avanti per giustificare la ridotta accoglienza riservata ai profughi è quello della disoccupazione in Svizzera. Che vi siano stati all’epoca molti disoccupati è un dato di fatto.Tuttavia i senza lavoro erano una specie di desaparecidos nelle pagine dei giornali,e anche,si suppone,nelle preoccupazioni delle autorità.Leggendo la
stampa del 1938 si percepisce assai poco sulla loro esistenza,e se ne sente parlare quasi esclusivamente quando vengono presi a pretesto per la politica restrittiva adottata nei confronti dei profughi ebrei.Si ha l’impressione che in fondo anche i disoccupati,come i profughi,fossero una realtà sgradevole che,con gli impliciti appelli alla solidarietà e alla giustizia,disturbava il quieto vivere e l’autostima nazionale.Anche quando,verso la fine del 1938,le autorità cercano di ‘ricompattare’il paese di fronte ai pericoli che incombono,pensano alla «difesa spirituale»,e non parlano mai di creare una solidarietà sociale interna risolvendo anche il problema della disoccupazione. Quello delle ‘bocche da sfamare’supplementari è un argomento che appare particolarmente debole se si considera che non la Confederazione,ma altri hanno dovuto pagare per l’accoglienza dei profughi. La questione relativa alla previsione di un’ondata di antisemitismo provocata dall’arrivo di un grande numero di ebrei l’esamineremo più da vicino in un capitolo successivo,quando cercheremo la risposta alla domanda se questo tipo di razzismo allignava all’interno della popolazione svizzera. Se la popolazione avesse o non avesse sentimenti antisemiti,lo vedremo dunque in seguito,ma una cosa è difficilmente confutabile:sono le autorità stesse che nutrivano verso gli Ebrei,in quanto tali,una più che discreta avversione e forti pregiudizi.Per questo motivo risulta fondata la supposizione che la chiusura delle frontiere davanti al loro arrivo sia stata principalmente dovuta al fatto che proprio di ebrei si trattava. Le prove? Alcune le abbiamo trovate strada facendo.Un esempio:il 14 luglio,l’onorevole Enrico Celio presenta in Gran Consiglio il rendiconto del suo Dipartimento,affermando esplicitamente di riportare gli argomenti dell’Autorità Federale quando sostiene che «L’elemento ebreo,salvo poche eccezioni,è nulla affatto,o difficilmente assimilabile» e «la nostra popolazione generalmente considera l’ebreo,indipendentemente dalla sua nazionalità,come uno straniero» per cui «allo straniero ebreo,specie del ramo nordico-orientale» un permesso di residenza di regola non deve venir concesso:e questo per rispondere «all’imperioso dovere di difendere tutto quello che costituisce il nostro pubblico bene».21 C’è da supporre che,almeno in parte,siano state ispirate dalla filosofia e dalla politica federali anche le altre considerazioni che lo stesso Enrico Celio ha poi espresso in seguito,nel corso del dibattito nel legislativo ticinese avvenuto nello stesso giorno.22