RAPPRESENTAZIONI DELLA GRANDE GUERRA

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COSTRUIRE IL “MITO DELLA GRANDE GUERRA” DEATH OF A HERO DI RICHARD ALDINGTON CENSURATO IN INGHILTERRA E PROIBITO NELL’ITALIA FASCISTA di Anna Ferrando

«The war to end wars had been won by the right side; President Wilson was bringing us peace in one hand and justice in the other; henceforth we Europeans, good or otherwise, would love each other like little children – just watch the darlings at play».460 Così scriveva sardonico Richard Aldington nelle pagine della sua autobiografia, rammentando la fine del primo conflitto mondiale. Era il 1939 e i buoni propositi delle liberaldemocrazie avevano ormai rivelato la loro vera natura di false illusioni; gli europei avevano ricominciato a “giocare alla guerra”, come se gli anni tra il 1919 e il 1939 non fossero stati altro che «a long armistice».461 Fu allora che, come per illuminazione, Aldington percepì la fine di quel mondo borghese durato più di un secolo e al quale apparteneva, tanto da cogliere in quel momento il senso di testimonianza storica della propria vita. Benché quarantasettenne era già vecchio, perché «whatever sort of world results from these convulsions will be different from what I have known, and, I suspect, far less pleasant for people like myself, who will doubtless be eliminated».462 Allo scoppio della Seconda guerra mondiale era pertanto in grado di guardare al passato prossimo con un certo distacco, apprezzando tutta la portata politica, psicologica e antropologica di quella cesura epocale. Dopo il primo conflitto mondiale persino Londra era cambiata e Aldington ne descriveva lo strisciante amoralismo: «everything seemed askew […]. Books were ridiculously cheap, doubtless owing to the fact that the whole intellectual class had joined the army».463 Esponente di quel ceto intellettuale, uso alle letture dilette e al «Times» fresco di stampa,464 lo scrittore britannico avvertiva così lo sgretolarsi dei valori capitalisti e positivisti della borghesia fin de siècle, mentre l’ottimismo ottocentesco lasciava il posto a una mentalità piena di relatività, a vere e proprie mutazioni nello spirito degli uomini.465 Di fronte ad esse egli prendeva dunque coscienza della definitiva «perdita dell’innocenza»466 che la Grande Guerra aveva comportato, venendo a imprimersi nella propria memoria come l’ossessione per eccellenza. Richard Aldington fu totalmente magnetizzato dalla guerra del ’14 -’18, combattuta in prima linea come soldato semplice e poi come capitano. Il suo punto di vista era dunque quello di un ufficiale di estrazione borghese, educato al Dover College, una scuola militare, e poi alla London University, presto abbandonata per inseguire la sua vocazione letteraria. Poeta-soldato alla Owen, a differenza di quest’ultimo sopravvisse al conflitto, decidendo di farsi romanziere. Non a caso, il suo primo romanzo era incentrato sulla tormentata esperienza in trincea: «Everything or almost everything I have to say about the war […] has been said in Death of a Hero […]. It is impossible for me now to re-capture the passion and indignation which inspired Death of a Hero».467 Questo scritto, straordinaria combinazione fra racconto di finzione e pamphlet politico, è interessante non solo per il suo contenuto, ma anche per il contesto editoriale in cui maturò, capace di offrire uno 460

R. ALDINGTON, Life for life’s sake. A book of reminiscences, London, Cassell, 1968, p. 184. Ivi, p. 5. 462 Ivi, p. 6. 463 Ivi, pp. 185-186. 464 Cfr. E. GALLI DELLA LOGGIA, Introduzione all’edizione italiana di P. FUSSELL, La Grande Guerra e la memoria moderna, Bologna, Il Mulino, 1984, p. XI. 465 Cfr. P. MELOGRANI, Storia politica della Grande Guerra 1915/1918, Bari, Laterza, 1972, p. 162. Per un approfondimento di questi temi si legga anche A. GIBELLI, L’officina della guerra: la Grande Guerra e le trasformazioni del mondo mentale, Torino, Bollati Boringhieri, 1991. 466 E. GALLI DELLA LOGGIA, Introduzione cit., p. XI. 467 R. ALDINGTON, Life for life’s sake. A book of reminiscences, cit., p. 163. 461

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