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di Alberto Rizzuti
IL DIES IRAE DI BRITTEN di Alberto Rizzuti
1. Fra le opere che Britten prese a modello, ideando nel 1961 il War Requiem, si distingue la Messa da Requiem composta nel 1874 da Verdi. Destinata alla celebrazione del primo anniversario della morte di Manzoni, essa deve al proprio impianto monumentale il valore di riferimento per un artista incaricato di solennizzare la consacrazione di una cattedrale, quella di Coventry, edificata dopo la guerra a poca distanza da quella quattrocentesca sbriciolata dalle bombe della Luftwaffe. Nondimeno, la monumentalità non è l’unico motivo d’attrazione da parte di Britten per il capolavoro sacro di Verdi;179 sono anche e soprattutto le ombre, le mezze tinte, i passaggi cameristici sapientemente distribuiti lungo la partitura della Messa da Requiem a sollecitare l’immaginazione dell’autore del War Requiem. Nelle pieghe nascoste e nelle anse improvvise che costellano l’intonazione di un testo cristallizzato da secoli Britten individua gli spazi in cui calare, a mo’ di tropi, i versi di Wilfred Owen;180 i quali, concepiti durante la Grande Guerra, devono all’universalità del loro contenuto la spendibilità in un lavoro collegato nei fatti al secondo conflitto mondiale ma rivolto, negli auspici degli artisti, alla storia dell’umanità. Fissata sulla base delle deliberazioni del Concilio di Trento, la struttura del testo della messa funebre destinato alla musica differisce in maniera notevole da quella del testo della messa ordinaria.
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MESSA ORDINARIA MESSA FUNEBRE
Proprio Ordinario Proprio Ordinario
Introito Introito
Graduale
Alleluia o Tratto
Offertorio Kyrie Gloria
Graduale
Tratto
Credo Sequenza
Offertorio Kyrie
179 Sotto questo aspetto la storia della musica offriva a Britten due lavori attraenti, uno precedente la Messa da Requiem di Verdi e uno – culturalmente più vicino al War Requiem – successivo: la Grande Messe de morts di Hector Berlioz (1837) e il World Requiem di John Foulds (1923). 180 I versi di Owen distribuiti da Britten lungo il testo della messa funebre sono in alcuni casi poesie intere, e in altri semplici frammenti. Essi sono in gran parte reperibili in traduzione italiana con testo originale a fronte in W. OWEN, Poesie di guerra, a cura di S. RUFINI, Torino, Einaudi, 1985.
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Comunione Sanctus
Agnus Dei
Comunione Sanctus
Agnus Dei
L’espunzione di “Gloria” e “Credo” priva infatti il testo della messa funebre delle due parti più ampie e articolate dell’ordinario; a tale esclusione, dovuta alle finalità specifiche della Missa pro defunctis, corrisponde l’inclusione di un testo nuovo, regolare e molto esteso. Articolato in diciannove strofe di tre versi ciascuna, il testo del Dies irae – una sequenza medievale attribuita a Tommaso da Celano – si distingue per l’accavallarsi di immagini rutilanti. Ai compositori di messe funebri esso pone il problema della suddivisione interna, essendo impensabile - nel quadro di un lavoro basato per il resto su testi di lunghezza medio-breve181 – un’intonazione di tipo rettilineo. A questo problema, come a quelli analogamente posti nella messa ordinaria dal “Gloria” e dal “Credo”, sono state date nel tempo risposte diverse. La segmentazione ha raggiunto minimi e massimi determinati ogni volta dalla combinazione di istanze liturgiche, verbali e musicali. Una ricognizione diacronico-sistematica su tali scelte travalicherebbe i confini di uno studio che, come il presente, limita le proprie ambizioni a un’analisi delle strategie retoriche messe in atto da Britten, con un occhio al modello verdiano, nell’intonazione del Dies irae. La tabella offre un confronto sinottico fra le fisionomie musicali assunte dalla sequenza rispettivamente nelle mani di Verdi (1875)182 e di Britten (1962).183
181 Dopo quello della Sequenza, che conta (19 x 3 =) 57 versi, il testo più esteso della messa funebre è quello dell’Offertorio, composto dai dieci versi del “Domine Jesu Christe” e dai sette del successivo “Hostias et preces”. Limitata all’ufficio funebre, la Comunione conta solo i quattro versi del “Lux aeterna”; nondimeno sia Verdi sia Britten sia altri compositori, ad esempio Fauré, fanno seguire alla loro intonazione quella di due testi facenti parte dell’ufficio della sepoltura, il “Libera me” (9 versi) e la breve prosa “In paradisum”. 182 L’anno si riferisce al varo della versione definitiva della Messa da Requiem, ovvero dall’esecuzione londinese (Albert Hall, 15 maggio 1875) per cui Verdi compose una versione alternativa, per Mezzosoprano e coro, del “Liber scriptus”, pezzo inizialmente composto nei termini di una fuga a quattro parti. Sull’argomento si veda l’introduzione storica all’edizione critica della partitura, curata da David Rosen nel quadro dei The Works of Giuseppe Verdi, ChicagoMilano, The University of Chicago Press-Ricordi, 1990, e la relativa bibliografia. 183 A parziale bilanciamento delle aggiunte dei versi di Owen e della ripresa del “Dies irae” Britten opera anche due espunzioni, quelle delle strofe XI (“Juste judex”) e XIV (“Preces meae”). Nel primo caso l’estromissione non priva la sequenza di un elemento saliente, considerando che la strofa cassata – l’undicesima – amplifica il concetto esposto sinteticamente alla fine della nona (“ne me perdas illa die”). Nel secondo essa esclude un’immagine – quella del fuoco perenne da cui l’individuo può essere salvato solo per intervento divino – perfettamente in linea con la poetica del War Requiem; il motivo dell’espunzione sta probabilmente a cavaliere fra la consapevolezza di aver illustrato bene l’immagine altrove e l’esigenza di sfoltire un poco la sequenza in quello che si dimostra essere il segmento più lungo dell’intonazione.
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Verdi, Messa da Requiem (1875) Pezzo Tommaso da Celano
Coro Dies irae, dies illa solvet saeclum in favilla, teste David cum Sybilla.
Quantus tremor est futurus, quando judex est venturus, cuncta stricte discussurus.
Coro Tuba mirum spargens sonum per sepulchra regionum, coget omnes ante thronum.
B Mors stupebit et natura, cum resurget creatura, judicanti responsura.
M
Coro Liber scriptus proferetur, in quo totum continetur, unde mundus judicetur.
Judex ergo cum sedebit, quidquid latet apparebit, nil inultum remanebit.
Dies irae, dies illa solvet saeclum in favilla, teste David cum Sybilla.
SMT Quid sum miser tunc dicturus, quem patronum rogaturus, cum vix justus sit securus?
Britten, War Requiem (1962) Tommaso da Celano / Owen Pezzo
Dies irae, dies illa solvet saeclum in favilla, teste David cum Sybilla.
Quantus tremor est futurus, quando judex est venturus, cuncta stricte discussurus. Coro
Tuba mirum spargens sonum per sepulchra regionum, coget omnes ante thronum.
Mors stupebit et natura, cum resurget creatura, judicanti responsura.
Bugles sang, saddening the evening air, And bugles answered, sorrowful to hear. Voices of boys were by the river-side. Sleep mothered them; and left the twilight sad. The shadow of the morrow weighed on men. Voices of old despondency resigned, Bowed by the shadow of the morrow, slept.
Liber scriptus proferetur, in quo totum continetur, unde mundus judicetur.
Judex ergo cum sedebit, quidquid latet apparebit, nil inultum remanebit. Bar
S
e
Quid sum miser tunc dicturus, quem patronum rogaturus, cum vix justus sit securus? Coro
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SMT B e Coro Rex tremendae maiestatis. qui salvandos salvas gratis, salva me, fons pietatis.
SM Recordare Jesu pie, quod sum causa tuae viae, ne me perdas illa die.
Quaerens me sedisti lassus, redemisti crucem passus; tantus labor non sit cassus.
Juste judex ultionis, donum fac remissionis ante diem rationis.
T Ingemisco tamquam reus, culpa rubet vultus meus: supplicanti parce, Deus.
Qui Mariam absolvisti, et latronem exaudisti, mihi quoque spem dedisti.
Preces meae non sunt dignae, sed tu, bonus, fac benigne, ne perenni cremer igne.
Inter oves locum praesta, et ab haedis me sequestra, statuens in parte dextra. Rex tremendae maiestatis. qui salvandos salvas gratis, salva me, fons pietatis.
Out there, we’ve walked quite friendly up to Death; Sat down and eaten with him, cool and bland, –Pardoned his spilling mess-tins in our hand. We’ve sniffed the green thick odour of his breath, –Our eyes wept, but our courage didn’t writhe. He’s spat at us with bullets and he’s coughed Shrapnel. We chorussed when he sang aloft; We whistled while he shaved us with his scythe. Oh, Death was never enemy of ours! We laughed at him, we leagued with him, old chum. No soldier’s paid to kick against his powers. We laughed, knowing that better men would come, And greater wars; when each proud fighter brags He wars on Death – for Life; not men – for flags.
Recordare Jesu pie, quod sum causa tuae viae, ne me perdas illa die.
Quaerens me sedisti lassus, redemisti crucem passus; tantus labor non sit cassus. TBar
Coro
Ingemisco tamquam reus, culpa rubet vultus meus: supplicanti parce, Deus.
Qui Mariam absolvisti, et latronem exaudisti, mihi quoque spem dedisti.
Inter oves locum praesta, et ab haedis me sequestra, statuens in parte dextra.
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T
B
Confutatis maledictis, flammis acribus addictis, voca me cum benedictis.
Oro supplex et acclinis, cor contritum quasi cinis, gere curam mei finis.
Coro
SMT B e Coro
Dies irae, dies illa solvet saeclum in favilla, teste David cum Sybilla.
Lacrimosa dies illa, qua resurget ex favilla judicandus homo reus.
Huic ergo parce, Deus. Pie Jesu Domine, dona eis requiem! Amen!
Confutatis maledictis, flammis acribus addictis, voca me cum benedictis.
Oro supplex et acclinis, cor contritum quasi cinis, gere curam mei finis.
Be slowly lifted up, thou long black arm, Great gun towering toward Heaven, about to curse; Reach at that arrogance which needs thy harm. And beat it down before its sins grow worse; But when thy spell be cast complete and whole, May God curse thee, and cut thee from our soul!
Dies irae, dies illa solvet saeclum in favilla, teste David cum Sybilla.
Quantus tremor est futurus, quando judex est venturus, cuncta stricte discussurus.
Lacrimosa dies illa, qua resurget ex favilla judicandus homo reus.
Huic ergo parce, Deus. Pie Jesu Domine, dona eis requiem! Amen! Bar
Coro e S
Move him gently into the sun –Gently its touch awoke him once, At home, whispering of fields unsown. Always it woke him, even in France, Until this morning and this snow. If anything might rouse him now The kind old sun will know. Think how it wakes the seeds, –Woke, once, the clays of a cold star. Are limbs, so dear-achieved, are sides, T
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Full-nerved–still warm–too hard to stir? Was it for this the clay grew tall? – O what made fatuous sunbeams toil To break earth’s sleep at all?
Pie Iesu Domine, dona eis requiem. Amen. Coro
Se l’aspetto saliente del testo intonato da Britten è l’inserimento dei ‘tropi’ costituiti dai versi di Owen, quello del testo intonato da Verdi è la riproposizione della strofa iniziale in due punti topici della sequenza. Nella Messa da Requiem le parole dei primi tre versi risuonano infatti, nell’icastica veste conferita loro da Verdi, anche a suggello del «Liber scriptus» e del «Confutatis». L’ideazione e la collocazione delle due riprese è determinata in entrambi i casi da contiguità semantiche: nel primo la strofa iniziale funge da tropo al verso conclusivo («nil inultum remanebit»); nel secondo essa svolge la medesima funzione, anticipando il contenuto del «Lacrimosa» e sottolineando l’immagine della favilla destinata a sprizzare nel giorno in cui il mondo sarà distrutto dalle fiamme e l’uomo reo risorgerà per sottoporsi al giudizio divino.184 L’efficacia della seconda ripresa dovette apparire straordinaria a Britten, che non esita a disporla a sua volta prima del «Lacrimosa»; l’evidenza dell’imitazione non toglie nulla al valore del gesto, che nel War Requiem feconda il testo della sequenza anche mediante la ripresa della seconda strofa («Quantus tremor est futurus, etc.»).
2. In una lettera al suo editore francese Léon Escudier, il 10 aprile del 1874 Verdi dispone «l’enumerazione e la divisione dei pezzi» della Messa da Requiem. Essa risulta articolata in sette unità musicali: 1) Requiem e Kyrie; 2) Dies irae; 3) Offertorio; 4) Sanctus; 5) Agnus Dei; 6) Lux aeterna; 7) Libera me. A conclusione dell’elenco, Verdi illustra la segmentazione operata sul testo della sequenza:
Il Dies iræ che non forma che un solo n.° è composto di molti brani… i seguenti
Dies iræ / Coro Tuba mirum / ancora Coro Mors stupebit / Solo di Basso Liber scriptus / Coro: - Fuga Quid sum miser / a Tre, Sop. Con. Ten. Rex tremendæ / a Quattro Sop. Con. Ten. Bas. e Coro Recordare Jesu pie / a Due Sop. Con. Ingemisco / Solo Tenore Confutatis / Solo Basso Lacrymosa / a quattro Sop. Con. Ten. Bas. e Coro185
Pur senza segnalare le due riprese della prima strofa, evidentemente considerate fatti interni al «Liber scriptus» e al «Confutatis», l’elenco di Verdi contiene molte informazioni utili sulla fisionomia del pezzo, in particolare sull’impiego delle risorse vocali. Approfondendo l’analisi si ha modo di rilevare come le diciannove strofe della sequenza siano distribuite su dieci brani, ciascuno dei quali comprendente da un minimo di una a un massimo di quattro strofe:
184 Strofa 1: «Dies irae, dies illa / solvet saeclum in favilla, / teste David cum Sybilla»; strofa 18: «Lacrimosa dies illa / qua resurget ex favilla / judicandus homo reus». 185 Verdi a Escudier, 10 aprile 1874, Abbiati, 3, pp. 678-79. Trattandosi di una lettera scritta prima della prima esecuzione, il «Liber scriptus» vi è ancora descritto nei termini di un brano contrappuntistico, e non in quelli definitivi di un brano solistico per Mezzosoprano. Cfr. nota 182.
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Brano
Dies irae Tuba mirum Mors stupebit Liber scriptus Quid sum miser Rex tremendae Recordare Ingemisco Confutatis Lacrimosa Strofe
I-II III IV V-VI (+ I) VII VIII IX-XI XII-XV XVI-XVII (+ I) XVIII-XIX Organico vocale
Coro Coro B M e Coro S,M,T S,M,T,B e Coro S,M T B e Coro S,M,T,B e Coro
La tabella evidenzia come la segmentazione sia più accentuata nella prima parte della sequenza. Sulle prime otto strofe Verdi costruisce infatti sei brani su dieci, riservando le successive undici agli ultimi quattro. I due brani che comprendono il maggior numero di strofe, il «Recordare» e l’«Ingemisco», costituiscono altrettante occasioni per l’esibizione canora di tre dei quattro solisti; assegnatario delle due strofe del «Confutatis», il Basso gode di analoga opportunità subito dopo, essendo il coro – sino a quel momento muto – chiamato in causa per la sola ripresa del «Dies irae». Queste osservazioni consentono di rilevare come, eccettuati il «Mors stupebit» e il «Quid sum miser», testi opportunamente sottratti all’urto della massa vocale, Verdi affidi in larga misura al Coro la prima parte della sequenza;186 e come siano invece le voci soliste le protagoniste della seconda parte. Al centro, a mo’ di cerniera, sta il «Rex tremendae maiestatis», pagina retoricamente vigorosa la cui forza è moltiplicata dall’impiego dell’organico vocale al gran completo.
3. L’intonazione di Britten risente di scelte che investono il War Requiem nel suo complesso. A seconda della lingua su cui i pezzi sono basati l’architettura del lavoro prevede infatti organici diversi. Il Soprano, il coro misto, il coro di voci bianche e l’orchestra sinfonica si fanno carico del testo della messa funebre; i versi di Owen sono invece appannaggio del Tenore, del Baritono e dell’orchestra da camera. Questo fa sì che nell’organico del War Requiem le possibilità combinatorie siano molte di meno rispetto a quelle della Messa verdiana. Al netto dei due interventi del Soprano nel «Liber scriptus» e nel «Lacrimosa», il testo latino della sequenza risulta tutto intonato dal coro, mentre Tenore e Baritono intervengono – talora insieme, talaltra separatamente – per dar voce ai versi di Owen. Questa scelta si riverbera sul processo di segmentazione del «Dies irae», le cui strofe Britten distribuisce e glossa nel modo seguente:
Brano Sequenza
Strofe Testi di Owen Organico vocale
Dies irae I-IV
Liber scriptus V-VIII Coro Bugles sang Bar S (V-VI, VIII) e Coro (VII)
186 La ricognizione trascura qui l’intonazione solistica del «Liber scriptus» da parte del Mezzosoprano. A parte il fatto che per questo brano era stata inizialmente prevista una fuga a quattro voci, il bilanciamento nelle modalità d’impiego delle risorse vocali resta per Verdi il criterio fondamentale dell’intonazione della sequenza, e del testo della messa funebre nel suo complesso; la quale, nella versione del 1874, mancava per l’appunto di un pezzo solistico per il Mezzosoprano.
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Recordare IX- XVII
Dies irae (rip.) + Lacrimosa (I-II) + XVIIIXIX
Out there T, Bar Coro Be slowly lifted up Bar Coro (I-II) e S (XVIIIXIX)
Move him gently Pie Iesu
T Coro
Britten dispone un’alternanza regolare fra testo latino e testo inglese, e di conseguenza fra brani corali e brani solistici. Le diciassette strofe intonate della sequenza sono ripartite in gruppi rispettivamente da 4, 4, 7 e 2.187 Oltre a ripresentare il «Dies irae» prima del «Lacrimosa», Britten dispone le cesure negli stessi punti in cui Verdi dispone alcune delle proprie. La tropatura affidata all’inserimento dei versi di Owen prevede l’evocazione del canto dei cannoni («Bugles sang») dopo la strofa «Mors stupebit», il dialogo amichevole con la morte («Out there») dopo il verso che chiude la strofa «Rex tremendae maiestatis» («salva me, fons pietatis»), l’allusione al Giudizio Universale («Be slowly lifted up») prima della ripresa del «Dies irae» e l’immagine della quiete nel sole («Move him gently into the sun») dopo l’invocazione «Dona eis requiem». Le operazioni di incastro e di sutura vanno però al di là della semplice alternanza fra brani in latino e brani in inglese, ovvero fra numeri corali e numeri solistici; come Verdi, nell’intonazione della sequenza Britten persegue essenzialmente un ideale di coesione. Nel brano d’apertura il compositore assegna al coro le prime quattro strofe della sequenza. La sintonia con lo sconvolgimento bellico si traduce in un’alterazione del ritmo di base; laddove il testo propone un totale di dodici versi di otto sillabe ciascuno regolarmente scandite su un’alternanza di accenti lunghi e brevi («Di-es i-rae, di-es il-la»), il compositore decide di conferire alla musica un ritmo asimmetrico.188 Divise in due gruppi da quattro, le otto sillabe sono scandite secondo lo schema seguente, riferito a mo’ d’esempio all’intonazione del primo verso (n = nota; p = pausa):
DI- ES I- RAE,
n p n p n n p
DI- ES IL- LA
n p n p n n p
Combinato con un’orchestrazione scabra e un impiego di sole voci maschili, l’andamento ritmicamente sconnesso del tempo di 7/4 conferisce grande drammaticità alla prima strofa, che
187 Per agevolare il confronto con l’intonazione di Verdi la numerazione delle strofe resta invariata anche nel caso del War Requiem; nel quale, semplicemente, le strofe XI e XIV non risultano intonate. 188 Una scelta siffatta costituisce una presa di distanza non solo dal modello melodico, ma anche dal modello ritmico della melodia gregoriana associata al Dies irae nel Liber usualis. Caratterizzata da un incipit memorabile, per la sua regolarità e per la sua incisività questa ha goduto di grande fortuna nella storia della musica, catturando l’attenzione di compositori come Berlioz (Symphonie fantastique), Liszt (Totentanz) e Rachmaninov (Rapsodia su un tema di Paganini e altre composizioni). La scelta di rinunciare al potere espressivo della melodia gregoriana è un elemento che accomuna ulteriormente la Messa da Requiem di Verdi e il War Requiem di Britten.
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come l’attacco veemente del Dies irae verdiano informa di sé l’intera sequenza. Nell’intonazione della seconda strofa («Quantus tremor est futurus») le voci femminili si uniscono a quelle maschili. La scrittura di Britten si raffina nella strofa seguente, in cui le quattro componenti del coro agiscono tutte divise in due; una tale sottigliezza di scrittura contrasta con la soluzione più diffusa, quella di associare le sonorità di uno o più ottoni all’incipit «Tuba mirum spargens sonum». Questa era stata la strada seguita a suo tempo da Mozart, che aveva optato per un’aria con trombone obbligato, e nell’Ottocento da Verdi, che aveva affidato a due quartetti di trombe – uno in orchestra e uno “in lontananza” – un lungo preambolo all’intonazione corale del testo. Assecondando le suggestioni dei versi («Mors stupebit et natura»), la compagine corale si sfalda nell’intonazione della quarta strofa, che pur mantenendo inalterata la scansione asimmetrica rinuncia alla forza d’urto messa in mostra nelle pagine precedenti. Anche l’orchestrazione, e di conseguenza la dinamica, si fanno più rarefatte, raggiungendo verso la fine la sfera del “più che pianissimo” (ppp); impressionano in special modo le sonorità dei legni, che introducono lunghe catene di lenti bicordi al posto delle brevi note scolpite a coppie sino a pochi istanti prima.
L’intonazione della prima poesia di Owen inclusa nella sequenza trae la propria materia sonora dall’introduzione orchestrale del «Dies irae». Il corno, il flauto e via via gli altri legni propongono una rivisitazione timbricamente variata dell’attacco del primo brano, in cui al corno erano affiancati trombe, tromboni e tuba. La calma elocuzione del Baritono è adornata dalle rapide interiezioni dei legni, che iterano in vari modi il motivo in terzine dell’introduzione, mentre gli archi dipingono ordinatamente lo sfondo su cui esso traccia il proprio profilo.
Per intonare le quattro strofe che costituiscono il secondo frammento della sequenza Britten cambia radicalmente linguaggio. L’esordio è affidato alla voce del Soprano, che intona il «Liber scriptus» con accenti tipici dell’elocuzione profetica: partendo per due volte dalla stessa nota al registro medio-grave, la voce si slancia verso l’alto, enfatizzando la sillaba accentata. Al suo accompagnamento provvedono per due strofe («Liber scriptus»; «Judex ergo») i soli strumenti a fiato; i legni ricalcando il ritmo della voce, i corni con sordina con alcune note lunghe alternate, sul silenzio della voce, alle iterazioni melodicamente variate di una figura ritmica puntata. Il contenuto della strofa seguente prescrive un’intonazione improntata a una sostanziale mestizia. Britten asseconda le suggestioni del testo, varando una pagina dominata da una scrittura cromatica in stile imitativo. Questo provoca un concitato accavallarsi delle tre domande («Quid sum miser tunc dicturus / Quem patronum rogaturus / Cum vix justus sit securus?»), formulate da un semi-coro misto sostenuto da singoli gruppi di archi e rese più urgenti dalla pulsazione incalzante del timpano. La scrittura ossuta di questa pagina breve e angosciosa trova sfogo nella ripresa del canto da parte del Soprano, il quale intona col piglio profetico dell’esordio l’ultima strofa di questo blocco. Rinunciando alla monumentalità del modello verdiano, Britten affida il «Rex tremendae maiestatis» al grido altissimo della voce solista; scolpendo le sillabe dei primi due versi («Rex tremendae maiestatis, / qui salvandos salvas gratis») essa interagisce in modalità responsoriale col semi-coro, il quale replica intonando il verso conclusivo della strofa, «Salva me fons pietatis». La straordinarietà di questa replica non sta tanto nella modalità responsoriale quanto nel motivo musicale, che è un’inversione di quello cromatico su cui s’era faticosamente dispiegato il «Quid sum miser». Ancora una volta Britten mostra di concepire i propri brani in modo organico, assicurando coesione per mezzo di richiami tematici e sottili variazioni timbriche.
La conferma dell’attenzione di Britten per l’aspetto formale del lavoro si evince dal fatto che la successiva interpolazione prevede l’innesto di un sonetto. The Next War è la poesia in cui Owen illustra il rapporto cameratesco, quasi amichevole intrattenuto dai soldati con la morte. Codificata da Shakespeare in alternativa a quella italiana, la forma del sonetto inglese prevede una distinzione meno netta tra fronte e sirma: la prima consta come nel modello italiano di due quartine (nel caso specifico, con rime ABBA CDDC); anziché articolarsi in due terzine, la seconda consta di una sestina al cui interno si distinguono due coppie di rime alternate e un distico a rima baciata (EFEFGG). Per sonorizzare questa sorta di danza macabra Britten ricorre al canto congiunto di
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Tenore e Baritono e a una strumentazione intrisa del Galgenhumor tipico di tante pagine di Mahler e soprattutto di Šostakovič; il quale, sulla scorta di testi di poeti quali Evtušenko, Lorca, Apollinaire, Küchelbecker e Rilke, negli anni Sessanta produsse le sue due sinfonie apocalittiche: la monumentale Tredicesima (Babi Yar, 1962) e la spettrale Quattordicesima (1969), dedicata non a caso all’autore del War Requiem. Col «Recordare» s’inaugura il terzo e più lungo segmento della sequenza, comprendente le strofe IX-XVII. Interamente affidate al Coro, esse risuonano inizialmente (IX-XV) su un tema sintatticamente ricorsivo e melodicamente strascinato, ideale per evocare l’incessante attività mnemonica suggerita dall’incipit del brano; poi, là dove scatta il «Confutatis maledictis», la pagina muta aspetto: i pentagrammi appaiono all’improvviso percorsi da un forza tellurica, il canto diventa concitato e l’orchestra si divide, raddoppiando con gli archi le voci dei Bassi e rovesciando autentiche scariche elettriche per mezzo degli ottoni. L’atmosfera diventa livida nel successivo «Oro supplex», strofa in cui le voci dei Tenori baluginano sullo sfondo procelloso disegnato dai legni. L’ultima strofa di questo segmento è reintonata sul ritorno della penultima: l’enunciazione simultanea del «Confutatis» e dell’«Oro supplex» da parte di tutte le voci maschili conclude così in modo veemente la terza sezione.
Il mancato uso idiomatico della tromba nell’intonazione del «Tuba mirum» è compensato dal ruolo preminente assegnato a questo strumento nella terza interpolazione, basata su un frammento dedicato da Owen al Giudizio Universale. Oltre a fornirgli una limpida opportunità per l’uso della tromba, il tema induce Britten a riprendere alcuni materiali dall’intonazione del «Dies irae»; per esempio l’ampio spunto solistico che segue l’inciso triadico affidato in apertura al primo trombone, o la ruvida frase discendente con cui questo prepara l’ingresso delle voci insieme agli altri due tromboni e alla tuba. L’innesto in un brano su testo inglese di musica concepita per uno su testo latino esemplifica l’intento compositivo di compensare in alcuni snodi la distinzione stilistica e d’organico su cui l’opera si basa: affidato al complesso cameristico incaricato di sonorizzare i versi di Owen, il materiale musicale concepito per quello sinfonico preposto alla sonorizzazione della sequenza muta aspetto, produce effetti d’intertestualità, diviene latore di senso ulteriore. Avviato con un intento retorico preciso, questo processo sfocia nella spettacolare ripresa del «Dies irae», che sull’esempio di Verdi Britten dispone subito prima del «Lacrimosa».
Per l’emersione del Soprano dal magma incandescente eruttato dal coro e dall’orchestra Britten vara la melodia più sensuale di tutto il War Requiem. Verdi non era stato da meno, intonando le strofe finali della sequenza: l’equilibrio perfetto fra la quadratura della frase e la nobiltà della melodia costituisce per Britten un riferimento imprescindibile. Questo è peraltro uno dei pochissimi brani in cui ambedue i compositori fanno leva, oltre che sul coro, su una voce solista di tipo femminile: Mezzosoprano nel caso di Verdi e Soprano nel caso di Britten. La differenza più evidente sta, ancora una volta, nell’eloquio spezzato che costituisce la cifra stilistica prevalente del War Requiem; se non l’elemento più espressivo, di certo le pause costituiscono quello più saliente della melodia britteniana, la cui curva spezzata s’imprime infallibilmente nella memoria di chi ascolta. Fra le pause distribuite da Britten nel suo «Lacrimosa» la voce del Soprano cesella i propri incisi, gruppi di poche, pochissime note da cui il testo trae continuamente alimento. Nel pezzo che chiude il Dies irae la manovra di avvicinamento e d’integrazione fra il testo della messa funebre e i versi di Owen si compie in modo mirabile. Intonato dal Tenore, il lungo testo di Futility («Move him gently into the sun») si attorciglia intorno a quello delle due strofe latine in un’atmosfera di grande suggestione. Questa è resa ancora più palpabile dall’intonazione delle parole «Pie Iesu, dona eis requiem. Amen»: tralasciato dal Soprano, il verso conclusivo della sequenza risuona “a cappella”, cantato in pp dal coro a quattro parti in una lenta scansione di accordi consonanti che spande su tutto il pezzo la luce bianca del sole evocato dal verso di Owen.189
189 L’intervento corale che conclude il Dies irae ritorna tal quale, sui testi relativi, anche alla fine della prima (Requiem aeternam) e della sesta e ultima (Libera me) sezione del War Requiem. Questo è dunque un ulteriore elemento di coesione all’interno del lavoro di Britten.
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Bibliografia
Il testo della sequenza medievale è reperibile, nella sua intonazione gregoriana non considerata da Verdi e da Britten, nel Liber usualis missae et officii pro dominicis et festis cum cantu gregoriano […] (Parisii-TornaciRomae- Neo Eboraci, Desclee & soci, 1956). La partitura del War Requiem op. 66 di Britten è disponibile nell’edizione pubblicata a Londra da Boosey & Hawkes (©1962). Per quanto concerne i versi di Owen, il lettore italiano può fare riferimento all’edizione con testo originale a fronte a cura di Sergio Rufini (Wilfred Owen, Poesie di guerra, Torino, Einaudi, 1985). La partitura della Messa da Requiem di Verdi è stata pubblicata nel 1990 nell’edizione critica curata da David Rosen nel quadro dei Works of Giuseppe Verdi (Chicago-Milano, The University of Chicago PressRicordi, 1983-); di essa è disponibile anche la riduzione per canto e pianoforte, pubblicata dai medesimi editori nel 1996. Nell’ampia bibliografia su Britten si contano pochi testi in lingua italiana. Si menziona qui la monografia pubblicata da Alessandro Macchia nel centenario della nascita del compositore (Britten, Palermo, L’Epos, 2013); dello stesso autore si segnala anche il precedente Tombeaux. Epicedi per le grandi guerre (Milano, Ricordi, 2005), un capitolo del quale (pp. 233-268) è dedicato al War Requiem.
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