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di Chiara Tavella
IL MITO DELLA PATRIA E DEI SUOI MARTIRI DAGLI ALBORI ALL’EPILOGO DEL RISORGIMENTO di Chiara Tavella
Nell’affrontare un discorso sulle Rappresentazioni della Grande Guerra si può tenere in considerazione anche quel filone della storiografia che rappresenta da un punto di vista prettamente italiano il primo conflitto mondiale. Penso alla Quarta Guerra di Indipendenza: l’Italia, come è noto, solo alle soglie del 1919 vide il compimento del suo lungo processo di unificazione che aveva le radici ben salde nel secolo precedente.
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L’interpretazione della Prima guerra mondiale come ultimo moto indipendentista del Risorgimento fu un’idea ricorrente nel dibattito pre-bellico, ma è stata sostenuta in tempi più recenti anche da alcuni celebri storici, uno fra tutti Adolfo Omodeo.886 Al di là della validità di questa tesi, non si può negare che esista un fil rouge che lega episodi e protagonisti del “lungo Ottocento” italiano, dalle prime cospirazioni risorgimentali alle trincee della Grande Guerra. Molti studiosi si sono soffermati su questo punto e hanno individuato un legame nel mito della patria e dei suoi martiri.887 Gli irredentisti e la retorica nazionalista hanno fatto propaganda interventista proprio facendo leva sugli ideali risorgimentali che si pensava avrebbero trovato continuazione e compimento soltanto con gli esiti della Grande Guerra.
Non è raro, quando si parla di Prima guerra mondiale, fare riferimento ad un conflitto che, mobilitando le grandi masse, ha visto rarefarsi il ricordo di episodi di eroismo individuale a discapito della mobilitazione e del massacro di massa. Ma accanto agli immensi sacrari che celebrano caduti “anonimi”, permane qualche nome che «si stacca dal fondale indistinto degli scomparsi».888 A livello nazionale anche per gli anni tra il ’15 e il ’18 la memoria collettiva richiama qualche figura isolata di martire politico, vittime sacrificali che, affrontata la morte in nome della patria, sono state elevate al rango di eroi sulla scorta della tradizione risorgimentale. Al rapporto tra il sacrificio individuale e la morte per la patria possono essere ricondotti dunque sia i primi cospiratori ottocenteschi, da Santorre di Santa Rosa, ai fratelli Bandiera, ai fratelli Cairoli, a Ciro Menotti, sia, guardando cronologicamente al termine di questo lasso di tempo, quelli che parte della critica individua come gli “ultimi risorgimentali”, ovvero gli irredentisti triestini, giuliani e istriani come Cesare Battisti, Nazario Sauro, Damiano Chiesa e i fratelli Filzi, con una tappa intermedia segnata da Guglielmo Oberdan. I martirologi mutuano dall’Ottocento i topoi del martirio, riutilizzano gli schemi retorici incentrati sulla religione della patria e sul sacrificio, cambiando semplicemente i nomi dei protagonisti, come se tra loro ci fosse una palese continuità.889
Matrici comuni del pensiero di tutti questi eroi erano la liberazione dell’Italia dal giogo straniero e la disponibilità a dare la propria vita per il sogno di unità. L’irredentismo, anche se in un primo momento – si parla dei decenni immediatamente successivi al 1861 – era stato considerato un fenomeno sovversivo da emarginare (specialmente nel momento in cui i legami con la Triplice
886 Omodeo «fu uno dei più accesi sostenitori della visione della Grande Guerra come continuazione delle guerre di indipendenza e del risorgimento», cfr. AA.VV., Storia d’Italia, Milano, Einaudi, 2005, vol. 10: Dall’Unità ad oggi, p. 1356. Ma anche nel Museo del Risorgimento al Vittoriano di Roma la stagione risorgimentale vede l’atto finale nella guerra del ’15-’18. 887 Sul tema esiste una consistente bibliografia. Si consultino a titolo esemplificativo: O. JANZ, L. KLINKHAMMER, La morte per la patria. La celebrazione dei caduti dal Risorgimento alla Repubblica, Roma, Donzelli, 2008; G.L. MOSSE, Le guerre mondiali. Dalla tragedia al mito dei caduti, Roma-Bari, Laterza, 2009; AA. VV., Patrioti si diventa: luoghi e linguaggi di pedagogia patriottica, Milano, Museo del Risorgimento, 2009. 888 R. BALZANI, Il sacrificio patriottico nel Risorgimento, in O. JANZ, L. KLINKHAMMER, La morte per la patria cit., p. 10. 889 A tal proposito si possono comparare martirologi come A. VANNUCCI, I martiri della libertà italiana, Firenze, Società Editrice Fiorentina, 1848 e G. MOLINO, Martiri italiani: 1821-1918, Torino, Paravia, 1935. Cfr. anche O. JANZ, L. KLINKHAMMER, La morte per la patria cit., p. XIV.
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Alleanza avevano la priorità nella politica estera italiana), «teneva ancora viva l’idea di un Risorgimento incompleto».890 Desiderio degli irredentisti era infatti, lo sappiamo, l’annessione al Regno d’Italia di tutti i territori a maggioranza italiana rimasti esclusi dall’unificazione del 1861 e del 1870, per completare i sogni e i progetti politici delle generazioni precedenti. Nell’«Evviva l’Italia! Evviva Trieste libera!» gridato dall’irredentista Oberdan nel momento della morte, così come nel «Delenda Austria» di Scipio Slataper, echeggiano le grida di indipendenza di Santa Rosa e degli altri patrioti del primo Ottocento. Quelle stesse grida tornano ancora con il «Viva Trento italiana! Viva l’Italia» pronunciato da Battisti nel momento della condanna a morte e il triplice «Vita l’Italia libera» urlato da Sauro davanti al boia.891
Ma la tradizione risorgimentale non viene ereditata solo dagli irredentisti. Nel proclama pronunciato da Vittorio Emanuele III nel maggio 1915 si legge:
Soldati di terra e di mare! L’ora solenne delle rivendicazioni nazionali è suonata. Seguendo l’esempio del mio grande Avo, assumo oggi il comando supremo […] con sicura fede nella vittoria, che il vostro valore, la vostra abnegazione, la vostra disciplina sapranno conseguire. […] Soldati, a voi la gloria di piantare il tricolore d’Italia sui terreni sacri che la natura pose a confine della Patria nostra; a voi la gloria di compiere, finalmente, l’opera con tanto eroismo iniziata dai nostri padri.
Tra i numerosi martiri della libertà italiana, due possono essere presi come exempla: Santorre di Santa Rosa e Nazario Sauro, l’uno patriota del primo Risorgimento e l’altro cospiratore irredentista degli inizi del secolo XX. Tra di loro c’è l’abisso di quasi un secolo di storia e l’appartenenza a due regioni lontane dal punto di vista geografico e culturale. Piemontese il primo, originario di Capo d’Istria il secondo. Eppure nelle loro parole, nelle loro azioni e nel ricordo che di essi venne tramandato ai posteri, si ravvisano molti elementi comuni, poiché entrambi hanno respirato i valori di cui la cultura e la retorica italiana erano tradizionalmente impregnate. Prima di tutto la convinzione di voler dare sé stessi per la salvezza della Patria: «Oh mia Patria, vuoi il mio sangue? Eccolo» scrive Santorre nei suoi diari.892 Gli fa eco Sauro con la sua missione fatale nel 1916. E ancora, nelle opere del patriota piemontese si legge la necessità di porre il dovere di cittadino davanti ai doveri familiari:
Mal s’apporrebbe chi mi credesse un soldato di ventura, che ardenza militare incita ad ambiziose e temerarie imprese. Ho moglie, figli e campi. Il pensiero dei pericoli che loro soprastanno ci contrista duramente. Ma quando i pericoli sono inevitabili, onore e prudenza di cittadino vogliono che si incontrino con franchezza di cuore.893
Lo stesso concetto si trova in una lettera-testamento scritta da Nazario Sauro alla moglie Nina il 20 maggio 1915:
Non posso che chiederti perdono per averti lasciato con i nostri cinque bimbi ancora col latte sulle labbra; […] ma non mi resta a dir altro, che io muoio contento di aver fatto il mio dovere
890 P. GENOVESI, Il manuale di storia in Italia. Dal Fascismo alla Repubblica, Milano, Angeli, 2009, p. 41. 891 L’iconografia tradizionale vuole che i martiri italiani dal Risorgimento alla Grande Guerra siano morti «col nome d’Italia su le labbra». 892 Cfr. A. COLOMBO, Vita di Santorre di Santarosa, Roma, Vittoriano, 1938, p. 111 (l’affermazione è tratta dalla Confession scritta in francese il 13 ottobre 1801). 893 S. DI SANTA ROSA, Delle Speranze degli Italiani, Milano, Caddeo, 1920, p. 4.
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di italiano, la mia felicità è che gli italiani hanno saputo e voluto fare il loro dovere. Cara consorte, insegna ai nostri figli che io fui prima italiano, poi padre e poi uomo.
Idea che viene ripresa anche in una lettera indirizzata al primogenito:
Caro Nino, tu […] comprenderai fra qualche anno il mio dovere d’italiano. Diedi a te, a Libero ad Anita a Italo ad Albania nomi di libertà, ma non solo sulla carta; questi nomi avevano bisogno del suggello ed il mio giuramento l’ho mantenuto. Io muoio col solo dispiacere di privare i miei figli dal loro padre, ma mi viene in aiuto la Patria che è il plurale di Padre, e su questa patria, giura, o Nino, che sarete sempre, ovunque e prima di tutto italiani.894
In questo stralcio si può notare il legame tra l’irredentismo di Sauro e i valori risorgimentali anche per quanto riguarda la scelta dei nomi dei figli: Nino in onore di Nino Bixio, Anita di reminescenze garibaldine, Italo in onore della patria tanto vagheggiata. L’ultimogenita di Sauro venne battezzata col nome di Albania. E qui sta un altro punto di contatto tra Santa Rosa e Sauro. Entrambi avevano un culto così puro e grande per la libertà da voler combattere non solo per la patria italiana, ma addirittura da essere disposti ad impegnarsi anche per la causa di indipendenza di un popolo che non era il loro. Santorre perse la vita proprio combattendo a fianco dei greci che reclamavano l’indipendenza dall’Impero Ottomano;895 Sauro cospirò clandestinamente contro i Turchi Ottomani per la libertà del popolo albanese.
Seppur così lontani tra loro nel tempo e nello spazio, questi due personaggi hanno respirato gli stessi valori di eroismo e gli stessi ideali per combattere per una patria, per così dire, incompleta: protagonisti di un destino comune anche per ciò che riguarda il ricordo tramandato ai posteri. Ascritti nel pantheon dei martiri italiani, entrambi vengono ricordati dalla retorica nazionalista con epiteti molto simili (ma non sono casi isolati): «il sacro corpo di Nazario Sauro giace in un angolo dimenticato di Pola»,896 così come quello di Santorre, per il quale «solo tre rozze pietre» segnano il luogo di indegna sepoltura.897 E non basta: tornano insistentemente negli scritti e nelle commemorazioni a loro dedicati le descrizioni dell’animo intrepido, il disprezzo del pericolo, l’anima nobilissima esempio del più puro amor di Patria.
Santorre aveva fede nell’avvenire e credeva che l’emancipazione dell’Italia dal giogo straniero fosse, come scrive lui stesso, un «avvenimento del secolo decimonono». 898 Si sbagliava. Il sogno di Unità si compì solo con il sacrificio delle generazioni successive, con i «figli del Risorgimento», per dirla alla Omodeo. Ma su una cosa aveva avuto ragione. Si legge infatti nel suo scritto sulla rivoluzione piemontese una considerazione che suona quasi come una solenne premonizione di ciò che accadrà quasi un secolo dopo:
Non cadranno infruttuosi i gravi esempi eredati dagli avi nostri, e quando, al sentore della prima guerra europea, l’Austria chiederà all’Italia i suoi figli, i suoi tesori, gl’italiani sapranno come meglio adoprarli.899
894 Le due lettere di Sauro sono conservate al Museo Centrale del Risorgimento a Roma. 895 Nell’ottobre del 1824 Santa Rosa scrive all’amico Victor Cousin: «Dans tous les âges, l’Italie et la Grèce ont entremêlé leurs destinées: et ne pouvant rien pour ma patrie, je considère comme un devoir de consacrer à la Grèce quelques années de vigueur qui me restent». Cfr. S. DI SANTA ROSA, Delle Speranze degli Italiani, cit., p. LXVII. 896 Si veda l’Ordine del Giorno emesso dall’Ammiraglio Thaon di Revel il 26 gennaio 1919, data in cui la salma di Sauro fu riesumata e si provvide ad una sepoltura solenne. 897 A. DE GUBERNATIS, Santorre di Santa Rosa, Torino, UTET, 1860, pp. 3-5. 898 S. DI SANTA ROSA, Storia della Rivoluzione Piemontese del 1821, Torino, 1850, p. 139. 899 Ivi, p. 140.
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Bibliografia essenziale Sul mito della patria e dei suoi martiri si vedano ad esempio: A. ARISI ROTA, M. FERRARI, M. MORANDO, Patrioti si diventa: luoghi e linguaggi di pedagogia patriottica, Milano, Angeli, 2009. A.M. BANTI, La nazione del Risorgimento. Parentela, santità e onore alle origini dell’Italia unita, Torino, Einaudi, 2000. ID., Sublime madre nostra. La nazione italiana dal Risorgimento al fascismo, Bari, Laterza, 2011S. M. CATTARUZZA, L’Italia e il confine orientale, Bologna, il Mulino, 2007. M. ISNENGHI, Il mito della Grande Guerra, Bologna, il Mulino, 1989. O. JANZ, L. KLINKHAMMER, La morte per la patria. La celebrazione dei caduti dal Risorgimento alla Repubblica, Roma, Donzelli, 2008. N. LAPEGNA, L’Italia degli Italiani. Contributo alla storia dell’Irredentismo, Milano, Società Editrice Dante Alighieri, 1932. G. MOLINO, Martiri italiani: 1821-1918, Torino, Paravia, 1935. G.L. MOSSE, Le guerre mondiali. Dalla tragedia al mito dei caduti, Bari, Laterza, 1990. A. OMODEO, Figure e passioni del Risorgimento Italiano, Roma, Mondadori, 1945. A. VANNUCCI, I martiri della libertà italiana, Firenze, Società Editrice Fiorentina, 1848. Su Santorre di Santa Rosa martire del Risorgimento: G. AMBROGGIO, Santorre di Santarosa nella restaurazione piemontese, Torino, Pintore, 2007. A. DE GUBERNATIS, Santorre di Santa Rosa, Torino, UTET, 1860. S. DI SANTA ROSA, Delle Speranze degli Italiani, Milano, Caddeo, 1920. ID., Ricordi 1818-1824 (Torino, Svizzera, Parigi, Londra), a cura di M. MONTERSINO, Firenze, Leo S. Olschki, 1998. ID., Storia della Rivoluzione Piemontese del 1821, Torino, 1850. Santorre di Santarosa e la rivoluzione mancata in Piemonte nel 1821, a cura di G. ZUNINO, Carmagnola, Rondani, 2011. Su Nazario Sauro martire della Grande Guerra: S. BENELLI, Il Sauro, Milano, L’Eroica, 1919. C. PIGNATTI MORANO, La vita di Nazario Sauro e il martirio dell’eroe, Milano, Treves, 1922. A. POZZI, Il vero volto di Nazario Sauro, Roma, Pincina, 1936. R. SAURO, Nazario Sauro. Storia di un marinaio, Venezia, La Musa Talia, 2013.
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