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COREA, LEZIONI DI UNA GUERRA DIMENTICATA
Una guerra senza vincitori. “In tutta franchezza: un disastro militare. La guerra sbagliata, nel posto sbagliato, nel momento sbagliato e contro il nemico sbagliato”. Sono parole pronunciate nell’aprile del 1951 dal Generale Omar Bradley, all’epoca Chairman of the Joint Chiefs of Staff degli Stati Uniti (1), che così sintetizzava il proprio giudizio sulla guerra di Corea, iniziata il 25 giugno precedente. Gli americani erano intervenuti in base alla risoluzione 83 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, e quindi sotto la loro bandiera, per respingere l’invasione nordcoreana di Seoul; dopo due mesi e mezzo di combattimenti sanguinosi, grazie al capolavoro strategico del Generale Douglas MacArthur – lo sbarco a Inchon, nelle retrovie nemiche, il 15 settembre 1950 – le forze ai suoi ordini erano riuscite tra le due parti del Paese, concordato dai rappresentanti di Stati Uniti e Unione Sovietica nell’agosto del 1945.

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La guerra era vinta, perché gli obiettivi della risoluzione dell’ONU erano stati raggiunti: secondo MacArthur, però, “non lo era abbastanza”. Così, nonostante gli avvertimenti di Pechino, l’offensiva delle Nazioni Unite proseguì verso blica Popolare, provocando l’intervento di centinaia di migliaia di “volontari” cinesi incaricati di impedire il completo tracollo del regime nordcoreano. La controffensiva comunista – scattata il 25 ottobre 1950 agli ordini del Generale Peng Dehuai – colse completamente di sorpresa le Divisioni di MacArthur, ricacciandole ben oltre il 38° parallelo; solo dopo un durissimo inverno e una serie di battaglie difensive disperate, Seoul venne liberata una seconda volta (14 marzo 1951) e le linee si stabilizzarono non lontano dalle posizioni iniziali. Gli eserciti si trincerarono in attesa che la diplomazia facesse il suo mestiere: era chiaro, a quel punto, che nessuna delle parti aveva l’intenzione o la bili per ottenere una vittoria schiacciante. La parola d’ordine di Douglas MacArthur, no substitute for victory (“non c’è alternativa alla vittoria”), venne quindi clamorosamente smentita dalla prima guerra dell’era nucleare: l’uso diret- facile, trovare una via d’uscita attraverso il negoziato. Pork Chop Hill. Gli avamposti dei due eserciti, dopo il consolidamento del fronte, furono teatro di alcuni tra gli scontri più duri dell’intera guerra. Gli esempi sono numerosi, ed hanno in comune l’irrilevanza strategica e l’ossessiva ripetitività tattica delle operazioni: fuoco violentissimo di artiglieria su un settore limitato, seguito da attacchi frontali di estrema per mantenere il territorio conquistato quando il nemico passava al contrattacco con truppe fresche. Sembrava di essere tornati alla guerra di trincea del 1914-18, - dati per conquistare o difendere posizioni prive di rilevanza strategica erano un insulto alla logica, oltre che all’arte militare, eppure battaglie feroci si accendevano improvvisamente in luoghi impervi, trasformati dal fuoco d’artiglieria in un deserto di polvere e roccia frantumata. Una modesta altura nel settore centro-occidentale del fronte, quota 234 –soprannominata dagli americani Pork Chop Hill per la sua forma che ricordava una costoletta di maiale – divenne il simbolo dell’inutile eroismo dei combattenti nell’ultima fase della guerra. La collina era difesa da una sola compagnia del 31° fanteria statunitense, ed era destinata a proteggere
Main Line of Resistance – “linea principale di resistenza”) della 7a Divisione a cui apparteneva il reggimento: venne attaccata, conquistata e subito persa dai cinesi tra il 23 e il 24 marzo 1953; venne di nuovo attaccata con successo il 16 aprile, ma i fanti del 31° la riconquistarono testardamente il giorno successivo a prezzo di perdite severe. Dopo una serie di schermaglie minori, il 6 luglio i cinesi lanciarono il terzo e decisivo attacco in forze, con l’armistizio ormai vicinissimo: Pork Chop Hill fu abbandonata nelle loro mani mentre i delegati delle due parti concludevano gli accordi di tregua a Panmunjom (2). Centinaia e centinaia di uomini erano caduti soltanto per dimostrare al nemico la volontà del loro esercito di continuare a combattere. Lezioni apprese? La Guerra di Corea è un episodio poco conosciuto, in Occidente, perché non si è conclusa con una vittoria. I cinesi ne parlano invece con orgoglio, visto che riuscirono a tener testa alla coalizione guidata dagli Stati Uniti, mentre i coreani non possono certo dimenticare la tragedia che pesa ancora sul loro destino. Dovremmo ricordarla più spesso anche noi, o almeno renderci conto che presenta come minimo due insegnamenti utili per il presente. Primo, le guerre contemporanee possono essere impossibili da vincere: ci sono potenze too big to fail, ovvero “troppo grandi per fallire”, come si disse per alcune banche e istituzioni coinvolte - azioni locali: se conquistare Pork Chop Hill poteva avere un senso per i cinesi e i nordcoreani – che consideravano politicamente essenziale, infatti, giungere al cessate il fuoco mentre stavano ancora attaccando – difenderla non aveva altrettanta importanza per le forze dell’ONU. La sua difesa ostinata ne snaturò anche il valore tatti- re perdite rilevanti al nemico, non certo da mantenere a qualsiasi costo. Ma una battaglia, una volta iniziata, può seguire una logica autonoma, dettata dall’orgoglio, dalla tenacia e dalla furia dei combattenti che vi sono coinvolti, Anche questo, oggi, sta accadendo sotto i nostri occhi.
Gastone Breccia, nato a Livorno il 19 novembre 1962, laureato in lettere classiche a Pisa, dottore di ricerca in Scienze Storiche, dal 1997 è ricercatore di Civiltà bizantina – prima presso l’Università degli Studi della Basilicata, dall’anno accademico 2001/02 presso l’Università degli Studi di Pavia. Come professore aggregato del Dipartimento di Musicologia e Beni Culturali di Cremona tiene i corsi di Civiltà bizantina, Letteratura bizantina e (dall’a.a. 2016/17) Storia militare antica. Negli ultimi anni si è dedicato alla ricerca in campo storico-militare anche al di fuori dell’ambito della bizantinistica. Esperto di teoria militare, di guerriglia e controguerriglia, ha condotto ricerche sul campo in Afghanistan (2011) e Kurdistan (Iraq e Siria, 2015). È membro del direttivo della Società Italiana di Storia Militare (SISM).
Note
(1) Letteralmente «Presidente dei Capi di Stato Maggiore Congiunti».
(2) Pork Chop Hillra di Corea, diretto nel 1959 da Lewis Milestone, con Gregory Peck nella parte del Tenente Joe Clemons, incaricato di riconquistare la collina nell’aprile del 1953. La pellicola è basata sul celebre saggio di S.L.A. Marshall, “Pork Chop Hill. The American Fighting Man in Action, Korea, Spring 1953