Riot Van #6 - Emergenze

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Testata iscritta presso il Tribunale di Firenze il 12/3/2009, reg. n. 5707

Magazine Indipendente Gratuito #06 MAGGIO 2010

Emergen ze

televisive, m nuove propoorali, musicali o lette rarie ste e vecchi problemi #06-maggio 2010

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Editoriale

Emergere oggi

Le emergenze sono all'ordine del giorno e da eccezione diventano prassi. Qualcuno le vede ovunque, per qualcuno non esistono. Noi, anche volendo, non avremmo potuto far finta di niente o evitarle: che si tratti degli scandali che hanno investito la Santa Sede, del distacco tra giovani e politica, del fenomeno del gioco d'azzardo o del precariato. Ma “emergenza” può avere anche un significato positivo: qualcosa che viene fuori, per rifiuto, per necessità o per scelta, distinguendosi da ciò che la circonda. In entrambi i casi, porta un cambiamento. Nel nostro caso, ci sentiamo particolarmente vicini all'accezione positiva del termine. Chi legge questa rivista, forse sa cosa vogliono dire la passione, la dedizione e la voglia di darsi da fare, di lasciare in qualche modo un segno, una traccia; o semplicemente ha la consapevolezza che oggi come oggi nessuno regala niente, soprattutto ai giovani. Proprio questi elementi costituiscono il terreno fertile per la nascita di progetti e iniziative giovanili destinati, se non a cambiare le cose, almeno a non passare inosservati. Che si tratti di stampa, come nel nostro caso, di musica, di letteratura o di cinema, fa poca differenza: quello che conta è l'avere un progetto e la voglia di realizzarlo più di ogni altra cosa, nonostante la scarsità dei mezzi e l'aridità del panorama circostante. Quando alla passione si unisce la professionalità, quando gli ostacoli diventano occasione di crescita e miglioramento, quando la fatica diventa un piacere e i colleghi sono prima di tutto amici: è da li che si creano le basi per quello che verrà. Non è una strada facile e il successo non è affatto garantito. La voglia va coltivata e ha bisogno, per crescere, di gratificazioni e riconoscimenti. All'inizio è sempre dura: emergere, coinvolgere persone e capacità, non è mai semplice. Si è in pochi e quei pochi si fanno il “mazzo”, così, per piacere. Ma pian piano le cose prendono un'altra piega, la gente inizia a muoversi e ispirata dalla passione si lascia coinvolgere, si mette a disposizione, decide di mettersi in gioco e di condividere passione e competenze. Allora iniziano ad arrivare i primi risultati e con essi le prime soddisfazioni. Le varie realtà iniziano a collaborare, a sostenersi e a promuoversi l'un l'altra, creando una sinergia dalle potenzialità enormi. Ovviamente questo è solo un modo in cui possono andare le cose: è il modo in cui noi speriamo e crediamo che andranno le cose. È il motivo per cui abbiamo deciso di dare spazio e visibilità alle realtà emergenti come il progetto Scena Muta, l'esperienza della Black Candy e della DreamCommunication, idee che condividono con RV la stessa passione e la stessa voglia di darsi da fare per creare un ambiente sociale e culturale che sia vivo e attivo. Parte da una necessità e diventa un'emergenza. Ovviamente le buone intenzioni da sole non bastano, ma sono un buon inizio: l'ultima parola spetta al pubblico. E il pubblico siete voi. Mauro Andreani #06-maggio 2010

SOMMARIO Attualità............................Pg4

Un problema vecchio come la tivù di Lattanzi Il pastorello di lourdes di Bianchini e Poggi Chiesa e pedofilia di Aiazzi È una questione di cash (game) di Seccafieno Anche gli scrittori sono precari di Pasquini

Musica.............................Pg12 Scena muta di Andreani Black candy di Di Marzo e Guerri Italia Wave Love festival di Lascialfari

Quel che rimane dell'utopia di Raddi Giovani e politica di Berti

Cinema............................Pg18 Un cinema a portata di sogni Fantastic Mr. Fox Don't stop-(e)motion di Calamassi e Morellato

Rubriche.........................Pg20

We and they di Gaeta Tutto quello che mi fa girare gli ingranaggi di Bastiano Il cerchio delle bestie di Bugiardo

Giochi..............................Pg22 L'indovinello Sudoku

Cultura.............................Pg15

La guerra in uno scatto di Miraglia

redazione@riotvan.net facebook: Redazione Riot Van

Direttore responsabile: Michele Manzotti Direttore: Niccolò Seccafieno Redazione: Andrea Lattanzi, Giuseppe Di Marzo, Giovanni Macca, Mauro Andreani, Giulio Schoen, Fabio Ferri, Bastiano, Lapo Manni, Francesco Guerri, Stefano Lascialfari, Martina Miliani, Edoardo Calamassi, Chiara Morellato, Caterina Bianchini, Giuditta Poggi, Martino Miraglia, Jacopo Aiazzi, Daniele Pasquini Collaboratori: Emanuele Capoano, Lorenzo Berti, Antonio Raddi, Caterina Gaeta Grafica e Impaginazione: Tiziano Berti, Michele Santella, Mattia Vegni Illustrazioni: Mattia Vegni, Tiziano Berti Supporto web e broadcasting: Giovanni Così Si ringrazia Michele Ercolino per la complicità e la consulenza mistica e-mail: redazione@riotvan.net Sito web: www.riotvan.net Stampa: Polistampa Tiratura: 3.000 copie in carta ecologica Numero finanziato da ARDSU Azienda Regionale per il Diritto allo Studio Universitario

Sono stati fatti tutti gli sforzi per segnalare e allocare correttamente i crediti fotografici. Ricordiamo che il diritto dell’immagine fotografica resta dell’autore.

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Attualità

Un problema vecchio come la tivù Breve critica del concetto di denuncia in G. Sartori ma è già stato detto tutto. Ai nostri tempi è così: tutti hanno già detto tutto, ognuno ha ragione, e chiunque ha i suoi torti. Qualcuno dice. Il politologo Giovanni Sartori fa bene a esporre i rischi del televedere nel suo libro «Homo Videns». Anzitutto perché, nonostante la veneranda età, dimostra di aver ancora voglia di squarciar veli. Ma neanche il professor Sartori, malgrado la longevità, si sottrae alla regola di questi tempi: tutti hanno già detto tutto. E il suo discorso, non è affatto una novità. Tutti hanno già detto tutto talmente tante volte, che anche io che ve lo ripeto in continuazione mentre traviso ogni regola del buon scrivere, l'ho sentito da un'altra parte. Veniamo al sodo. La televisione come mezzo propone immagini e suoni. Non propone contenuti aurei o spettacoli osceni. Propone oralità a distanza. Se dovessimo considera- naturali e umani grazie alla relazione causare il contenuto, il giudizio risulterebbe bana- effetto. «Nel momento stesso in cui voi leggete cosa c'è scritto qui», avele: la tivù, per lo più, fa pietà. te realizzato una scansione E infatti Sartori nel suo j'accu- La tv propone delle singole lettese non manca di segnalarne i oralità a distanza sequenziale re, osservandole una per voliamo quasi al giro di boa di questo no- rischi, includendo nei suoi efiosissimo 2010. Dire che un anno sia fetti collaterali un cambiamento della natura ta, dando così senso alle parole. noioso, non pare il vero. Ma è un'im- umana, che perde in capacità di elaborazione Scienziati sociali del nostro tempo, come Marportante novità. Ogni anno dell'Era cristia- delle informazioni a livello mentale. «L’ho- shallMcLuhan,Walter OngoHaroldInnis,hanno mo videns sa soltanto se vede e discusso molto e in maniera affascinante il prona si rivela una novità. Questo soltanto di quel che vede. Il che blema di un medium dominante in una cultura. è l'anno della noia più assoluta. Nessuno sa equivale a una perdita colossa- Già fra gli anni Sessanta e Ottanta i concetIn generale, non esistono anni bui e quello in corso è noioso, non buio. niente ma tutti le delle nostre capacità mentali». ti illustrati polemicamente da Sartori, erano Ogni piccolo ciclo di trecen- hanno già detto In filigrana, Sartori sostiene che ben noti a una certa letteratura scientifica. grazie all'invenzione della stam- McLuhan, tra il 1964 e il 1976 in testi come tosessantacinque giorni si ri- tutto pa e con la pratica dello scrive- Gli strumenti del comunicare o Galassia Guvela diverso dall'altro. Ogni quanto irrefrenabile della storia si riflet- re a mano, abbiamo sviluppato una conce- temberg, scriveva: «L'alfabeto fonetico è una te su di noi, irreparabilmente. Negli anni zione sequenziale della realtà, con la quale tecnologia del tutto particolare […] la civiltà come nei giorni, nelle ore come nei minuti. abbiamo potuto comprendere i fenomeni si costruisce sull'alfabetismo […] persino le Nel 2001 sarebbero potute accadere curioGrafica pubblicitaria di una Tv americana, anno 1944 se odissee nello spazio, ma niente, a parte una particolare odissea nel centro di New York, pare essere accaduto. O perlomeno, niente che vi hanno detto, niente di cui si potesse sospettare. Di sicuro, la verità mai la saprete e mai vi interesserà davvero. La verità è quella sostanza impalpabile che sta dietro il velo di Maya, diceva qualcuno. Sono d'accordo. È un concetto sfuggente che sta dietro ad altri infiniti pezzetti di tempo, appannati dalle nostre idee e dalle nostre azioni. Se fosse a portata di mano, non ce ne faremmo niente e tutto ci scivolerebbe lungo le spalle con un briciolo di indolenza. Quell'indolenza che ci è tanto tipica in quanto esseri umani. Fuori piove e a Tokio una farfalla batte le ali. Se le avesse battute a New York forse ci sarebbe il sole? Forse. Ma non sicuramente. Magari sarebbe piovuto lo stesso, magari no. Oppure sì, ma non a causa del battito d'ali della farfalla. Chi lo sa? Nessuno. Nessuno sa niente

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Grafica Riot Van

Domanda inquietante: può la televisione cambiare la natura umana? Il politologo Giovanni Sartori, docente a Firenze e alla Columbia University, affonda tutta la sua capacità intellettuale in un'aspra critica del mezzo televisivo per fornirci una risposta. Causa di una regressione nelle nostre capacità mentali e di impoverimento culturale, la TV ci ha condotti a una mutazione antropologica: dall'Homo Sapiens che si era ormai stabilizzato nell'universo della parola scritta e stampata, all'Homo Videns, colui che sa solo se vede e solo quel che vede. Un'ottima lettura, per tutti coloro che si interrogano anche occasionalmente sulla realtà mediatica che ci circonda. La scrittura fluida ma mai banale di Sartori, guida il lettore nella comprensione di argomenti non facili, facendolo riflettere su cose che spesso si danno per scontate ma che in realtà non lo sono.


Attualità

nostre idee su cause ed effetti hanno assunto da tempo la forma di cose in sequenza». Ciò di cui parlava McLuhan è la linearizzazione del pensiero umano. Esattamente la stessa indicata da Sartori anni dopo. E con l'avvento di un nuovo medium, cosa acca-

de? Cosa è successo con la comparsa della lemediata, ha una release differente. Spetta televisione, di questa scatola fatta degli stessi a lui capire che cosa sa fare e che cosa non materiali della nostra lavatrice ma parlante? può fare. La televisione è un mezzo. Niente La linearizzazione del pensiero causata da oltre di più, niente di meno. Non è stato usato nelcinquecento anni di scrittura, ha subito una cor- la migliore delle maniere possibili, ma di querezione di rotta. Vedere programma televisivo sto le nostre generazioni non hanno colpa. non fa automaticamente saltare il nesso causa- L'avvento dei nuovi media, complica tuteffetto, ma lo rende meno meccanico, più ela- to e rilancia il gioco. Da un lato ripropongostico. E a ben vedere, anche per ciò che le mo- no il testo, paradigma di lettura della realtà derne scienze ci insegnano, fisica quantistica per oltre cinquecento anni. Dall'altro, hanno condizioni di fruizione simiin primis, il paradigma causale li al televedere. Ci vorrebbero è valido fino a un certo punto. pagine e pagine per affermare Così Ong nell'82, in "Oralità come orientarsi qualcosa di sensato sul futue scrittura": «L'oralità favo- in un mondo ro che abbiamo davanti. Ma il risce personalità più comunitarie, esteriorizzate. La co- preconfezionato? mio spazio credo sia esaurito. municazione orale raggruppa gli individui; la Concludendo possiamo dire che Sartori, scrittura e la letteratura sono invece attività nell'epoca in cui tutti hanno già detto tutto, solitarie, che fanno ripiegare la mente su non ha detto niente di nuovo a nessuno. Ha se stessa». Con la diffusione di un mezzo cambiato prospettiva sullo stesso argomento, di comunicazione come la televisione, citando ad esempio lo stesso McLuhan, ma l'alsi ri-afferma, in un certo senso l'oralità. larme da lanciato risuona vacuo e ritardatario. Non saprei dire se è come tornare in- Quello del televedere è probabilmendietro e perdere così il patrimonio cele- te un problema vecchio quanto la tivù. brale che la scrittura ci ha consegnato. Come orientarsi allora in un mondo in cui Immaginandoci il nostro cervello come nasciamo e tutto è già preconfezionato? In un hardware, possiamo azzardare che un universo in cui, neanche il nesso causal'alfabeto ne sia il software. Il softwa- effetto pare più reggere il confronto? Nere insegna al computer che cosa fare anche questo, purtroppo, ci è dato sapere. e questo lo esegue. Chi è meno sociaAndrea Lattanzi lizzato all'alfabeto e più all'oralità te-

VERITA’ TELEVISIVA Tratto dal film Network - Quinto potere (1976) di Sidney Loumet

«Io voglio che tu dica la verità alla gente, il che non è facile perché generalmente non la vuole sapere!». E io dissi: «Che diavolo vuoi che ne sappia io della verità!» ma la voce mi disse: «non preoccuparti della verità, io ti metterò le parole in bocca» e io dissi: «cos’è questo roveto ardente? Io mica sono Mosè!» e la voce rispose: «e io non sono Dio, che cosa centra questo?». E la voce andò avanti: «non credere che io ti parli di verità eterna o di verità definitiva o verità assoluta; io ti parlo di verità umana, transitoria, temporanea. Non mi aspetto che voi siate capaci di verità, ma per la miseria, se non altro avrete l’istinto di conservazione!» e io dissi: «perché io?» e la voce rispose: «perché parli alla televisione sciocco!».

«E quando una tra le più grandi corporazioni del mondo, controlla la più efficiente macchina per una propaganda fasulla e vuota in questo mondo senza Dio, io non so quali altre cazzate verranno spacciate per verità qui. Quindi ascoltatemi, ascoltatemi, la televisione non è la verità, la televisione è un maledetto parco dei divertimenti, la televisione è un circo, un carnevale, una troupe viaggiante di acrobati, cantastorie, ballerini, cantanti, giocolieri, fenomeni da baraccone, domatori di leoni e giocatori di calcio; ammazzare la noia è il nostro solo mestiere… Vi diremo tutto quello che volete sentire mentendo senza vergogna, noi vi diremo che Nero Wolf trova sempre l’assassino e che nessuno muore di cancro in casa del Dottor Kildare e che per quanto si trovi nei guai il nostro eroe, non temete, guardate l’orologio, alla fine dell’ora l’eroe vince... Vi diremo qualsiasi cazzata vogliate sentire... Noi commerciamo illusioni, niente di tutto questo è vero, ma voi tutti ve ne state seduti là, giorno dopo giorno, notte dopo notte, di ogni età, razza, fede, conoscete soltanto noi...» #06-maggio 2010

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Attualità

L’ in t er

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Grafica Riot Van

IL PASTORELLO DI LOURDES CHE NON POTRà MAI VEDERE SHIVA Luigi Lombardi Vallauri, ordinario di Filosofia del Diritto presso l’Università di Firenze Fino al1998 insegnava all'Univesità Cattolica di Milano da cui fu allontanato per aver criticato il dogma dell’Inferno, sostenendo che questo fosse incostituzionale per tre motivi: mancanza di proporzionalità tra pena (infinita) e colpa (finita); contrarietà della pena al sentimento di umanità; il fatto che la pena non tenda alla rieducazione del condannato. Dopo aver perso il ricorso davanti al Consiglio di Stato, il professore si è rivolto alla Corte europea per i diritti dell’uomo di Strasburgo, che il 20 Ottobre scorso ha condannato lo Stato italiano a risarcirlo di 10.000 Euro. Buongiorno Professore, ci può parlare della vicenda processuale che l’ha portata fino a Strasburgo? «All’origine c’è stato l’incontro con un certo Don Velasio De Paolis, nome lubrificatissimo, quasi illecito a pronunciarsi, perché produce piacere labiale. Sembra inventato da Calvino. Questo Don Velasio non mi ha praticamente contestato niente, mi ha vietato di prendere appunti e mi ha comunicato una decisione già presa. Ho fatto ricorso al TAR, sostenendo la

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violazione, in particolare, della libertà di manifestazione del pensiero e di insegnamento, ed ho perso. Ho poi fatto ricorso al Consiglio di Stato, che ha confermato la stessa tesi. A questo punto non restava che appellarsi alla Corte europea: il processo si è concluso con la condanna dello Stato italiano al pagamento di 10.000 euro per danni morali nei confronti del cittadino italiano ed europeo Luigi Lombardi Vallauri, per violazione principalmente degli articoli 6 e 10 della CEDU.»

Che cosa significa per Lei laicità? «Io distinguo il concetto di stato laico, il concetto di pensiero laico ed il concetto di pensiero dello stato laico: lo stato laico è lo stato laico-liberale, che ammette tutte le manifestazioni del pensiero in materia religiosa, quindi tutte le religioni, e naturalmente tutti gli ateismi, gli agnosticismi e gli apofatismi. Il pensiero laico è un pensiero che dovrebbe essere intersoggettivamente verificabile, dovrebbe non sostenere l’esistenza di entità sottratte alla verifica, in particolare a quella empirica. Quasi tutto il pensiero è laico, salvo quello religioso. Matematica, fisica, storia, cucina, costruzione di carretti, di jet, di computer e tutta l’ingengeria sono laiche. Io credo che il religioso sia un tizio che fa una serie di affermazioni sugli ultramondi, popolati da entità che nessuno ha mai potuto indicare ad un altro. Per esempio, il credente in Shiva non ha mai potuto indicare Shiva ad un altro credente in Shiva. Sono credenze non condivise. Questi esseri ultraterreni esistono osservabilmente solo nella mente di chi ci crede, e sono anche diversissimi tra loro; anche quando i mistici dicono che hanno visto faccia a faccia la Madonna o Shiva, sono un po’ sospetti, perchè la Madonna viene vista solo dai credenti cattolici (già non la vedono i protestanti) e Shiva viene visto solo dai credenti in Shiva. Se invece esistessero davvero, nell’ aldilà anche uno shivaista vedrebbe la Madonna, o anche il pastorello di Lourdes vedrebbe Shiva. Ma questo non succede.» In un suo articolo introduceva anche l’idea del pensiero dello Stato laico, che ritiene valore sacro la curiosità per tutte le forme del pensiero. Cioè? «Beh, lo Stato laico non deve essere tollerante verso l’ingegneria, nè verso la matematica, la scienza ecc. Ho già detto che quasi tutto il pensiero è laico; il problema della laicità si pone quasi solo in campo religioso e ideologico. Lo stato laico liberale è uno stato animato dalla fede in un sacro che è l’incontro tra la verità e la coscienza. In fondo, lo stato laico è più spiritualista dei sacerdoti cattolici: costoro vo#06-maggio 2010


Attualità

che ripristinasse la religione cattolica come religione di Stato, così mi sembrano incostituzionali l’art. 7 sul Concordato e l’art. 8 sulle intese, nella parte in cui fanno primeggiare il fattore religioso su altri fattori culturali.» Per esempio? «Per esempio per quanto riguarda la scuola, o per quanto riguarda l’8 per mille. Voi l’8 per mille lo potete dare solo a confessioni religiose e non potete darlo, non so, al Club Mediterranee o a Médecins Sans Frontières, per dire. Quindi la mia tesi è che sarebbe possibile abrogare gli articoli 7 e 8 della Costituzione in quanto incostituzionali. Questa tesi è ritenuta molto azzardata, ma lo è molto più sul piano politico -dato il potere della Chiesa- che sul piano della logica.» Esiste per Lei un’etica laica?

«Per me esiste solo un’etica laica, sul piano del dover essere; sul piano dei fatti esisto-

no tante etiche quante sono le religioni. Se l’etica è universale come la matematica, lo è per la verità dei suoi contenuti, non perché la proclama un’autorità. Dio stesso, se esiste un’etica universale come la matematica, non può crearla o proclamarla, ma può solo sottoscriverla. Infatti Dio si è astenuto dal fare rivelazioni matematiche, ha avuto una buona

idea, cioè: la matematica ve la decidete voi. Quindi l’etica non può essere né fondata sulla parola di Dio, nè sui suoi rappresentanti. Se

poi non esiste un’etica universale, allora vinca il migliore, cioè: “il mio fustino lava più bianco del tuo”.» Spesso si parla di libertà di religione, ma mai di libertà di non-religione. Non pensa che tutte le confessioni, fideistiche o meno, debbano essere alla pari? «Io distinguo tra libertà delle religioni e libertà dalle religioni, sostenendo che quest’ultima

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gliono soprattutto inoculare pensiero cattolico in esseri umani, un po’ come si mette un programma in un computer. Purchè il Professor Lombardi dica “cose cattoliche”, può insegnare alla Cattolica. Quello che invece lo Stato laico liberale vede come sacro è che l’eventuale verità o non verità sia attinta da un ricercatore libero e coscienzioso. Il primato della coscienza nei campi dove non si sa bene come stanno le cose, è il sacro dello Stato laico.» Secondo Lei c’è un difetto di laicità nel sistema politico italiano? «Io sostengo pubblicamente da alcuni anni che gli articoli 7 e 8 della Costituzione sono incostituzionali, perché sono convinto che il principio di laicità dello stato sia supremo, ed è stato così stabilito anche dalla Corte Costituzionale nel 1989. Allora, come sarebbe ad esempio incostituzionale, alla luce di questo principio supremo, una legge costituzionale

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Attualità

sia molto più preziosa dell’altra. I motivi li potete capire: se le religioni non sono intersoggettivamente fondabili, e tanto più se si sono rivelate molto aggressive nella storia, bisogna ritenere prioritaria la libertà di affermare le proprie convinzioni in materia religiosa che siano non religiose.» Come per esempio l’ateismo? «L’ateismo, o quello che io chiamo alfateismo sono certamente convinzioni in materia religiosa. Sarebbe incostituzionale una norma che proteggesse le religioni ma non la negazione delle stesse. E’ uscita da poco una rivista, che si chiama Non credo, rivolta a tutti quelli che non si riconoscono in alcuna religione, e in un certo senso si distanziano anche dagli atei militanti, da coloro, cioè, che battendosi il petto come gorilla, dicono: io ho capito tutto, sono ateo, non c’è niente, perché magari sono atei parrocchiali; chiamo ateo parrocchiale quello che da sempre appartiene, che so, ad un’associazione di atei, e poi va a giocare a scopone e a bere la birra all’ARCI. Ecco, sostengo che siano molto più vicini ai non credenti consci dei problemi i credenti consci dei problemi, piuttosto che gli atei parrocchiali.» Secondo Lei la Sua vicenda ci potrebbe far pensare che l’Italia è uno stato laico solo sulla carta? «Mah, non esageriamo. Però certamente, oggi come oggi, l’Italia rappresenta un po’

un’emergenza mondiale dal punto di vista della laicità. Io non credo proprio che un’università cattolica straniera mi avrebbe espulso senza discuterne.» Quindi poteremmo dire, riprendendo quello che ci diceva prima, che l’Italia rappresenta un’ “emergenza mondiale” anche, e soprattutto, a causa della presenza degli articoli 7 e 8 nella Costituzione. «Sì, credo che a causa del Concordato e degli articoli 7 e 8 l’Italia abbia un ordinamento più confessionale di altri. L’ora di religione cattolica a spese dello Stato è una curiosità. In

India, che è il paese più religioso del mondo, è addirittura vietato parlare di religioni -quali che siano- nella scuola pubblica. L’Italia è un paese profondamente irreligioso nei comportamenti, ma abbastanza clericale a livello di facciata. Possiamo dire che gli Stati Uniti sono il paese più fondamentalista, l’Italia è il paese più clericale e molti paesi islamici i più integralisti.» L’Italia è dunque il paese clericale per eccellenza? «Clericalismo significa riconoscere un’autorità indebita al clero, e qui forse bisogna aggiungere che c’è uno “scollamento” in Italia tra l’alto clero e le comunità cattoliche di base. Non bisogna confondere la Chiesa con la gerarchia, credo che bisognerebbe usare due termini; quando si parla di Chiesa, cioè il Papa, e quella che io chiamo la sua “cupola”, bisogna usare il termine “gerarchia”, perché ci sono centinaia di migliaia di credenti cattolici che non la seguono.» In Italia abbiamo, almeno tra i politici, i cd. cattolici “di facciata”. «Noi abbiamo i famosi “atei devoti” o “atei genuflessi”, persone che non sono assolutamente religiose, ma -come credo lo stesso Mussolini- fanno un calcolo di profitto politico ed elettorale. Io mi auguro che sia un calcolo sbagliato, se è vero che trascurano tutti i cattolici del dissenso. Però può anche essere che ci siano milioni di cattolici che fanno quello che dice la gerarchia. Io stento a crederlo. Penso che le forze di destra che si proclamano cattoliche siano votate per motivi che non sono il loro proclamarsi cattoliche, tutt’altro.» Come per esempio la Lega. «Ecco, credo proprio che la Lega non sia una falange di credenti, così come il Popolo della Libertà.» Anche perché, se poi andiamo a vedere quali sono gli ideali “cattolici” della Lega… «Esattamente. Credo che i piccoli aspiranti plutocrati del Popolo della Libertà non siano conformi alle parabole evangeliche sulla povertà, sul figlio dell’uomo che non sa dove posare il capo, sui gigli del campo che non accumulano, e credo che gli identitari leghisti siano ben lontani dall’universalismo cattolico secondo cui siamo tutti figli di Dio.» Caterina Bianchini Giuditta Poggi

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Attualità

Chiesa e pedofilia

Dopo gli scandali che hanno comportato, tra le altre cose, un caffè corretto al cianuro e un’impiccagione sospetta, un nuovo scandalo sta colpendo direttamente i vertici del Vaticano, tra cui l’attuale Papa Benedetto XVI. L’accusa è di aver occultato gli abusi di un prete americano, sospettato di aver violentato circa 200 bambini sordi di una scuola del Wisconsin.

Lo scrive il New York Times, sulla base di alcuni documenti ecclesiastici di cui è venuto in possesso. La corrispondenza interna tra vescovi del Wisconsin e l’allora cardinale Joseph Ratzinger, scrive il New York Times, mostra che la priorità era, a quel tempo, quella di proteggere la chiesa dallo scandalo. Ma questo è solo un vaso di Pandora che qualcuno prima o poi avrebbe scoperchiato. La Crimen sollicitationis è una legge redatta nel 1962 dal Sant’Uffizio, firmata dall'allora Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, cardinale Joseph Ratzinger, e dall'allora segretario della Congregazione, cardinale Tarcisio Bertone. Tale legge ha un forte carattere di segretezza ed è stata emanata per indottrinare, dai sacerdoti ai Uno scandalo a vescovi, tutti i componenti della livello mondiale chiesa, sul comportamento da adottare nel caso si verifichi un episodio di pedofilia durante l’esercizio della confessione. Nel 2002 la Chiesa cattolica americana istituì un’associazione indipendente, per analizzare la reale portata del problema. Anne Burke, è una Sorella della Misericordia che lavora per la promozione della fede e il rinnovamento pastorale a livello diocesano nonché componente del Comitato Nazionale vittima per non rivelare a nessuno gli infami del Riesame, racconta i primi risultati del Co- atti, tutto sigillato dal segreto pontificio. L'inmitato: «La cosa più interessante riscontrata frazione del segreto pontificio viene intesa fu che la situazione non era epidemica. Nes- come una grave azione, perseguibile anche suna diocesi aveva più casi di abuso rispetto attraverso la scomunica. Uno scandalo a lialle altre. Le stesse percentuali di violenze vello mondiale, proprio quando Luglio si avsessuali in ogni diocesi». Più il Comitato anda- vicina, e con esso la scadenza della denuncia va a fondo nella vicenda e più diveniva noto dei redditi e la possibilità di versare l’otto per il carattere di segretezza imposto per non far mille alla chiesa cattolica. Una perdita economontare uno scandalo. Dopo appena un anno mica spaventosa, alla quale solo un “banchiedi presidenza nel Comitato, Frank Keating re di Dio” potrebbe porre argini finanziari. Ma si dimise. Ma non lo fece in silenzio. Rilasciò sappiamo perfettamente che fine hanno fatto un intervista al L.A. Time, in cui comparava i banchieri di Dio. Per rimediare a questa spiala gerarchia ecclesiastica a Cosa Nostra. Nel- cevole fuga di notizie iniziano le dichiarazioni la lettera di dimissioni Keating scrisse: «i preti allucinanti, le “zappe sui piedi” come si suole non obbediscono ai mandati di comparizione, dire. «Le accuse del Times sono guidate dal fanno sparire i nomi degli stupratori. Questa è demonio che tenta di screditare l’operato di una organizzazione criminale, non la mia Chie- Benedetto XVI» tuona padre Amorth. Padre sa». Nel 2006 la Crimen sollicitationis è stata Cantalamessa paragona la diffusione delle citata e fortemente criticata nel documenta- notizie sui casi di pedofilia nel clero all’antirio Sex Crime and the Vatican, realizzato da semitismo, mentre il cardinale Sodano paraColm O’Gorman, lui stesso vittima di violenza gona le accuse a Ratzinger agli attacchi a Pio sessuali da parte di un prete, e trasmesso dal XII. Poi arriva l’ammissione e il tentativo di network inglese BBC. Trasferimento in un’al- proporre una spiegazione che calmi gli animi tra diocesi del sacerdote colpevole di violen- dell’opinione pubblica. «Numerosi psichiatri za sessuale, opera di convincimento della e psicologi hanno dimostrato che non esiste #06-maggio 2010

Joseph Ratzinger ritratto di Mattia Vegni

relazione tra celibato e pedofilia, ma molti altri hanno dimostrato che esiste un legame tra omosessualità e pedofilia» afferma il cardinale Tarcisio Bertone, uno dei firmatari della legge. La reazione del mondo gay non si fa attendere. A favore della tesi che il nesso tra omosessualità e pedofilia è un concetto esteso in tutto il vertice della chiesa cattolica; dopo che lo scandalo della pedofilia era scoppiato negli Usa nel 2005, il Vaticano pubblicò un'istruzione che vieta l'accesso ai seminari a coloro che "presentano tendenze omosessuali profondamente radicate". Tanto che i vescovi americani hanno richiesto un'indagine approfondita, da cui però non risulterebbe alcun nesso. Parigi appoggia “ufficialmente” le dissidenze dell’Arcigay con una lettera inviata all’indirizzo del porporato, da parte del ministro degli esteri francese che ha definito, senza mezzi termini, il parallelismo da lui usato “un’amalgama inaccettabile”. Ognuno è incline a credere in ciò che desidera, da un biglietto della lotteria ad un passaporto per il paradiso. George Byron Jacopo Aiazzi

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Attualità

GLI STIPENDI ITALIANI DOPO GLI STUDI Lo stato delle finanze dei nostri lavoratori Sfida, azzardo, coraggio. Di questi tempi possono essere parole oscure o addirittura rivelatrici. Specie se i nostri salari sono assai inferiori a quelli degli altri paesi occidentali. «Le responsabilità sono di burocrazia, aziende e sindacati. Se un’azienda per una pratica impiega tre mesi anziché una settimana, altro che produttività. Un esempio? Il tir di un imprenditore di prefabbricati per opere pubbliche che trasporta un pezzo di ponte dal Veneto alla Sicilia, deve rispettare tante regole diverse quante sono le regioni che attraversa». Non è la Thatcher a dirlo ma Nicola Rossi, economista e senatore del Pd: «Anche i rappresentanti dei lavoratori spesso però dovrebbero concentrarsi sui temi di loro stretta competenza anziché partecipare a tavoli di partenariato sulla spesa dei fondi per il Sud». Si iniziano a sentire i costi di un federalismo cui bisogna andarci cauti? E allergici come siamo a ogni tipo di burocrazia, siamo andati a vedere intanto come anche altri economisti e statistiche fotografavano gli stipendi proprio all’esplodere della crisi. Giusto per vederci chiaro, prima ancora che studiarne i motivi. La società Od&m lo ha descritto su un campione di 859 mila stipendi italiani, divisi per macroregioni. La ricerca risale a due anni

fa ma gli stipendi sono ancora fermi dopo due anni: nonostante gli aumenti che di solito sono naturali, stavolta la paura di investire fa da padrona. Proprio per questo ancora oggi l’Istat parla chiaro: più di 2milioni di famiglie vivono sotto la soglia di povertà e sono 8 milioni e 78 mila gli italiani poveri, il 13,6% dell'intera popolazione. Cosa attende dunque gli universitari, al varco della laurea? Fare gli impiegati? Visti i tagli e la preoccupazione generale, il futuro è incerto. Nel Nord-Est, sempre secondo questi ultimi dati, guadagnano in media intorno ai mille e cinquecento euro ma se ci spostiamo al Sud e nelle Isole il loro stipendio si abbassa di duecento euro. Va meglio alla categoria dei disegnatori, dove la differenza di retribuzioni tra Nord e Sud non va oltre i 100 euro. Il Belpaese non sembra premiare chi manda avanti la baracca. Il Sales Assistant, cioè il venditore della scala finale ha uno stipendio che oscilla tra i 1200 e i 1300 euro. Un responsabile commerciale 1900. Naturalmente solo al Nord. Un progettista 1500. Aumentano gli stipendi degli architetti a 1800 euro mensili. Un sistemista informatico o un tecnico commerciale intorno alle 1400. L’industria con-

viene soprattutto agli impiegati (nel 2008 li ha pagati 27.474 euro lordi annui, il 7% in più rispetto alla media di 25.679) e agli operai (più 5,4). Banche e assicurazioni, nonostante le difficoltà, continuano invece a pagare bene soprattutto i dirigenti, che invece nel commercio sono sottopagati. Infatti dalla piccola alla grande impresa commerciale, la “misera” media passa dai 2.953 ai 4.000 euro. Avanzano le società di servizi del terziario, che appaiono avare con tutte le categorie. Non è dunque una novità se nemmeno i call center pagheranno bene i futuri laureati. Dopo quella “X”, siamo arrivati alla generazione dei 1.000 euro. «Se ti laurei in lettere come minimo uno stage in un negozio di abbigliamento è dovuto» raccontava uno studente universitario il giorno dopo la tesi. Siamo purtroppo ancora uno dei pochi paesi in cui uno stage non è retribuito e i ragazzi di 30 anni accettano di svolgere stage sottopagati, anche grazie a datori di lavoro che non premiano le capacità, l'impegno e soprattutto le competenze. Emanuele Capoano Guadagni annuali 2008: Dirigente Piccola impresa 93.782 € Dirigente Grande impresa 108.985 € Media di categoria 103.424 € Retribzuioni annuali 2008: Operaio piccola impresa 20.736 € Operaio grande impres 24.680 € Media di categoria 20.763 €

La modalità più hardcore del poker arriva in Italia Entro fine giugno, l'online cash game diventerà realtà anche in Italia. Fino ad ora infatti, per poter giocare con questa modalità, si doveva andare sui portali internazionali come Everest, Full Tilt ecc, aggirando la legge italiana. Per chi non fosse un habitué del tavolo verde, un piccolo riassunto. Ad oggi, nelle poker room italiane, si possono giocare solamente tornei di poker sit&go. Ovvero, si paga l'entrata (buy in), che può andare da 0.50€ a 100.000€, e ci vengono consegnate tot. fiches (stack), che andranno difese ed aumentate giocando, perché una volta finite si è eliminati dal torneo. Da qui la definizione di poker sportivo, in quanto non contano tanto i soldi di cui si dispone (bankroll), ovvero un miliardario ed una persona normale sono quasi sullo stesso piano: una volta perdute le chips si è esclusi dal torneo. In alcuni casi, nelle prime fasi di gioco, c'è la possibilità di comprare un'altra posta (re-buy). Il sit&go è sempre gioco d'azzardo ma con delle riserve, viene infatti definito “poker sportivo”. Il cash

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game è invece, come suggerisce il nome, gioco d'azzardo duro e puro. Una partita cash viene giocata con un tempo prestabilito: si gioca per un tot. di ore e allo scadere del tempo si convertono le fiches in soldi ed ognuno prende il suo bottino (o perde i suoi risparmi). Tra una mano e l'altra, i giocatori possono riprendere più poste. Virtualmente si possono perdere infiniti soldi senza mai alzarsi dal tavolo. Ma come mai lo stato italiano rende solamente ora questa “rischiosa” modalità di gioco legale? E soprattutto, come mai ha reso illegale, poi legale e di nuovo illegale il poker sportivo dal vivo all'infuori dei casinò? Perché condanna gli italiani appassionati di poker a giocare alienandosi davanti ad uno schermo, togliendo al gioco la maggior parte del divertimento, ovvero trovarsi l'avversario davanti a sé, in carne ed ossa, con le relative “letture” dei movimenti e delle espressioni facciali. La risposta ufficiale è che c'è un vuoto legislativo. Vuoto che è costa-

to gli investimenti delle tante persone le quali, fino a poco più di un anno fa che era legale, stavano aprendo sale da gioco in tantissime città. La risposta fattuale, cioè quella che conta, è che non hanno ancora trovato un modo per tassare il gioco dal vivo al di fuori dei casinò. Se infatti su internet è molto semplice tassare ogni partita, in quanto tutto avviene in automatico, dal vivo questo è ovviamente più difficile. E visto che lo stato, che poi siamo noi, non ci guadagna allora rimane illegale. Quindi, perdete i milioni, chi ne ha, davanti ad un pc, finite i vostri spiccioli con una slot machine in un bar, scommettete anche la mamma alla Snai, comprate gratta e vinci da 20€, ma guai, sciagura su di voi, se pretendete di fare un torneo da 10€ insieme a 60 persone, giocando e socializzando. Troppo umano, troppo azzardato. Niccolò Seccafieno #06-maggio 2010

Grafica Riot Van

è una questione di cash (game)


Attualità

Anche gli Scrittori sono Precari (e vanno in tour come una rock band)

L’ in t er

v is ta

A cura di Daniele Pasquini

Immagini da flickr.com/photos/scrittoriprecari/

Scrittori precari nasce come rivendicazione della centralità della scrittura e della sua condivisione attraverso la lettura pubblica, intesa come forma d’impegno civile che sappia spezzare il ritornello della “crisi” con cui da mesi si giustificano i tagli e le disattenzioni reiterate nei confronti del mondo del lavoro, della scuola, dell’istruzione e della cultura. Noi vogliamo riappropriarci del nostro tempo, anziché continuare a produrre e consumare. (dal blog www.scrittoriprecari.wordpress.com) Chi sono gli Scrittori Precari? Com’è che pren- che hanno creato una sorta di “tappeti di suo- stesso modo, ci sembra che a Roma ci siano ni e rumori” per le nostre letture. In genere finalmente le basi per buttare giù un discorso de forma questo tipo di esperienza? Gianluca Liguori: «Scrittori Precari è un col- si tratta di due turni di letture che vanno dai più ampio, per creare una rete di collaboraziolettivo fondato nel dicembre del 2009 da me tre agli otto minuti, poesie, racconti, estratti ni che dia vita a un movimento capace di ace Simone Ghelli, con il quale avevo condivi- da romanzi, opere edite o elementi in fieri. quisire visibilità». Il feedback immediato è molto GL: «L'ha detto benissimo Simone. Le persoso un'altra esperienza, chiamaimportante per i lavori in corso ne, come sempre, da sempre, hanno bisogno ta Scrittori Sommersi. A noi si è d'opera. Il paragone alla rock di storie. Noi le raccontiamo e le facciamo racaggiunto sin dal primo reading Le persone, da band è azzeccato. Ne abbiamo contare ai nostri amici scrittori. L'inaspettato Luca Piccolino, già in contatto con Simone, e dal secondo ap- sempre, hanno trovato riscontro nel meraviglio- seguito sia ai reading che sul blog ci fanno so tour di settembre di cui sug- continuare la nostra avventura, migliorandopuntamento Angelo Zabaglio, bisogno di gerisco di leggere il divertente ci, per poterci donare meglio. Abbiamo ancomio compagno d'avventura delle resoconto nella sezione Diario ra parecchie cose da dire, non abbiamo che letture/presentazioni dei nostri storie. iniziato...». di bordo del blog». “libercoli” pubblicati da Tespi. A giugno è entrato nel gruppo anche Alex Pie- Qual è il livello di salute e vitalità della cultu- Scrittura è spesso sinonimo di individualità: trogiacomi. Il nostro intento è di portare la ra che siete riusciti a percepire a Roma, nel- al di là alla condivisione del progetto Scrittori Precari, riuscite a lavorare anche letteratura fuori dai luoghi canonici ad essa le varie città da cui siete passati, e come autori singoli? Avete qualdeputati, per riavvicinare i lettori disatten- più in generale del nostro Paese? che idea per un testo collettivo? ti al piacere e alla riscoperta della lettura. Al Simone Ghelli: «Al contrario di Portare la SG: «Noi nasciamo prima come sinnostro reading itinerante, si aggiunge il sup- quanto si voglia far credere (al- letteratura goli autori, poi come membri di un porto web, fondamentale, col nostro blog che meno a giudicare dai dibattiti che collettivo che si è formato proprio a assume sempre più i connotati di una rivista passano in televisione) in questo fuori dai partire da esigenze comuni. Al di là online, un melting pot di scritture ricco di con- paese ci sono ancora tante perso- luoghi di questo, ognuno di noi continua ne che non si sono arrese all'abtenuti e preziose collaborazioni». per il proprio personale percorso, Come svolgete la vostra attività? Il vostro brutimento culturale in atto, e che canonici. che però non può non essere conhanno voglia di fare, di essere pretour somiglia a quello di un gruppo rock… GL: «Ogni serata di Scrittori precari è sempre senti, di mettere in campo le proprie forze e le dizionato da quest’esperienza, dove ci mettiadiversa. Generalmente non sappiamo mai proprie competenze, e molto spesso lo fanno mo in gioco continuamente come scrittori e cosa leggerà l'altro e la scaletta la stabiliamo anche senza ottenere il giusto riconoscimen- come persone.» giusto poco prima di cominciare. A volte ci ac- to. E' una cosa che riscontriamo quotidiana- GL: «Riguardo ai progetti di scrittura colletcompagnano dei musicisti (Marco Russo, Luca mente, sia attraverso il lavoro in rete che nella tiva, ne abbiamo cominciato a parlare e abCartolano, e di recente Fabrizio e Alessandro) concretizzazione delle performance live. Allo biamo avuto anche un accenno di proposta... vedremo». Vorrei chiedervi qualche consiglio per la lettura: qualche buon libro da leggere? (magari un italiano, un giovane, e uno straniero) SG: «Su un libro italiano, di un giovane scrittore, direi che ci troviamo più o meno d'accordo tutti sul nome di Peppe Fiore, uscito recentemente per Minimum Fax con il romanzo La futura classe dirigente». GL: «Tra le uscite italiane dell'ultimo biennio, assolutamente da leggere Italia De Profundis di Giuseppe Genna. Tra i giovani sicuramente Gli interessi in comune di Vanni Santoni (intervistato nel numero #4 di Riot Van, ndr), poi rilancio Il tempo materiale di Vasta e confermo Peppe Fiore. Tra gli stranieri, un romanzo di qualche anno fa, Il libro di un uomo solo di Gao Xingjian, un capolavoro incredibile.» Scrittori Precari durante un reading alla libreria La Cité, in Borgo San Frediano, in alto: Luca Cartolano e Luca Piccolino #06-maggio 2010

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Musica

SCENA MUTA

Viaggio dentro la scena musicale fiorentina, tra progetti e sogni

Cercando le risposte a queste domande, ci siamo imbattuti in qualcosa che ha smentito l'idea che ci siamo fatti. Da un anno e mezzo è nata, con il sostegno dell'Assessorato alle Politiche giovanili della Regione Toscana, l'associazione Azzonzo. Tra i progetti ne esiste uno dedicato alla musica: Scena Muta. L'obbiettivo è creare situazioni di incontro e condivisione all'interno nella scena musicale fiorentina. Da tempo non esiste più una scena musicale unita, i gruppi vanno per lo più in ordine sparso. Questo per vari motivi. Manca una connessione e comunicazione efficace tra i vari gruppi: «Se un gruppo vuole emergere, più che la bravura, conta l'impegno: telefonate, suonare gratis, recuperare contatti. Esistono molte realtà che trascurano questo aspetto, un po' per inesperienza, un po' per fatica. Pensano che basti mandare un demo per poter suonare nei posti.» questa è l'analisi di Michele Monasta, uno dei responsabi- Se un gruppo li del progetto. L'ultima traccia tro a tutta una serie di beghe: gruppi più affermati fosse un rischio: si fanno di un tessuto sociale-musicale vuole emergere, Siae, limitazioni su orari e volu- le loro serate e non si interessano al resto. I a Firenze risale agli anni '80: i conta l'impegno mi, norme di sicurezza. Dall'altro fatti ci hanno smentito. I gruppi più noti hangruppi imparavano a muoversi lato c'è la questione della legit- no dimostrato di conoscere le problematiche nei locali grazie all'aiuto e all'amicizia di quelli timazione professionale. Va bene la passione di questo ambiente e sanno creare una rete più radicati sul territorio. Anche il futuro del- ma moltiplicare le iniziative in cui i musicisti di contatti, senza contare l'esperienza live. la musica passa attraverso il radicamento sul si esibiscono gratuitamente è controprodu- Ci piacerebbe vedere una produzione colterritorio, attraverso la creazione di un senso cente: la professionalità va premiata. Arriva lettiva, con brani delle varie band. Di sicuro di appartenenza. Nelle riunioni, che si svolgo- un momento in cui un gruppo deve sceglie- sarebbe un ottimo stimolo per i partecipanno all'ex-Fila in Via Monsignor Leto Casini 11, re se trasformare la passione in professione. ti al progetto. Dopo il successo della scorsa i gruppi si incontrano, discutono problemi e Per fare questo deve capire che la professio- notte bianca, gli organizzatori hanno intennecessità, elaborano soluzioni e ovviamente ne costa fatica e sudore, prima di esserne ri- zione di continuare: «Vorremmo fare qualsuonano. Vogliono creare una rete tra musici- pagati. Scena Muta propone la sua soluzione: cosa per il 21 giugno, in corrispondenza con sti, andare ai concerti di altre band, ritrovarsi «Se esiste una connessione tra i vari gruppi» ci la festa della musica a Parigi. Non è ancora per una jam session, essere disposti a scam- spiega Michele «il locale sa che il gruppo che chiaro quello che faremo: l'evento avrebbiarsi musicisti e fonici in caso di necessità. suonerà, più o meno conosciuto che sia, tra- be senso se visto come festa cittadina. CerQualcuno se la prende coi locali, accusati scinerà un pubblico costituito dagli altri gruppi chiamo input e proponiamo idee: vorremmo di badare solo ai profitti, disinteressandosi e dai loro fan. Questo permetterebbe di inve- dare un segnale forte nel mondo giovanile.» dell'aspetto artistico-musicale. La questione stire su qualche gruppo ancora poco Il progetto ha una scadenza fissata priè più complessa: da un lato il locale va incon- conosciuto.» Senza contare altri pos- Dare un ma per questo giugno, da poco prosibili sviluppi: una condivisione e a vollungata per tutto il 2011. La speranza te una contaminazione tra vari generi segnale è che vengano fuori dentro al progetmusicali e un'occasione di promozio- al mondo to dei leader, qualcuno tra i musicisti ne e diffusione di una cultura muche si faccia carico di responsabilità e sicale più ampia e completa pos- giovanile iniziative, dando la possibilità alle vasibile. Per lo stesso motivo, Scena rie capacità di venire fuori: chi si ocMuta predilige le piazze ai locali, invitando cupa dell'aspetto tecnico, chi si occupa della le persone ad uscire di casa e ad ascoltare burocrazia, dei permessi e così via. Stimolare la musica, imparando anche a conoscerla. i partecipanti a prendere in mano la situazioIl progetto è appoggiato da circa quaranta ne e mettersi in gioco. All'inizio è normale che gruppi, una ventina dei quali sono molto ci siano alcuni che si applicano più di altri, ma attivi e coinvolti, dai più giovani, come pian piano ognuno trova la sua strada, indigli Zoopark, a quelli più conosciuti come viduando nuove esigenze e nuove soluzioni. gli Hacienda e i Too Much Blond. All'inizio qualcuno temeva che la presenza dei Mauro Andreani

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#06-maggio 2010

Grafica Riot Van

Dopo aver seguito da vicino il Rock Contest, abbiamo deciso di andare più a fondo all'interno della scena musicale fiorentina. Cosa stanno facendo le band emergenti? Si stanno muovendo o rimangono, salvo poche eccezioni, in uno stato di apatia ed individualismo?


black candy

L’ in t er

Musica

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Parliamo di musica emergente, una realtà ancora non famosa al grande pubblico, dove i soldi non sono molti e le difficoltà sono all'ordine del giorno. Una realtà difficile che non può prescindere dalla grande passione che deve muovere tutto un lavoro al quale si dedica l'anima, il cuore e lo spirito. Questo è il nesso che lega tutto il mondo della musica emergente: la passione. Di sicuro, ne hanno da vendere i membri fondatori della “Black Candy”, un' etichetta fiorentina indipendente che forse più di tutte è riuscita a sviluppare e a concretizzare le proprie idee.

Grafica Riot Van

Siamo andati a parlare con il direttore Leonardo Leo Giacomelli e con Lorenzo Buzz Buzzigoli produttore esecutivo, per conoscere meglio la realtà underground fiorentina e per capire in cosa consiste il loro progetto che muove i suoi primi passi nel 2003. All'inizio si dedicavano soprattutto all'organizzazione di eventi collaborando con Reality Bites e successivamente con Nozze di Figaro. Decisero poi di concretizzare le loro idee fondando una casa discografica per far conoscere al pubblico band come i Velvet Score, i Tom Violence e su tutte i The Hacienda, che da poco hanno concluso un tour in Inghilterra. Partendo da una realtà locale come quella di Firenze si sono fatti conoscere in tutto il mondo distribuendo le loro produzioni, an-

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che grazie all'aiuto di Audioglobe, in Giappone, Cina e Inghilterra. Come valutate la scena underground fiorentina, può offrire qualcosa? «La scena emergente di Firenze ha molte potenzialità. Purtroppo però è una città dove ci sono solo due locali, Flog e Viper. Un paradosso per le tante case discografiche indipendenti presenti nel territorio, poiché con così tanti gruppi non si riesce a trovare uno spazio dove potersi esibire. Molte etichette hanno avuto molti problemi proprio per questa carenza di spazi. Questo è un lavoro da prendere a 360°, non può essere un hobby. Puoi non avere spazi, puoi trovarti molte porte chiuse in faccia ma l'importante è che la passione resti sempre al primo posto.» La Black Candy oltre a essere una casa discografica che produce band locali, da breve è anche uno Store di dischi e anche una associazione di organizzazione eventi. Come viene diviso il lavoro all'interno? «Oltre a fornire a tutte le band un rimborso spese, ci interessa organizzare tutto quello che c'è dietro l'evento, non solo il concerto fine a se stesso, ma qualcosa in più che può fare spettacolo. Per questo abbiamo deciso di aprire uno store, un passo fondamentale e abbastanza rischioso, che però ci ha permesso di organizzare e promuovere eventi nel miglior modo possibile. Il nostro staff è composto da sei persone, due delle quali sono membri del gruppo The Hacienda. Siamo una grande famiglia, ci supportiamo, ci aiutiamo e cerchiamo di tirar fuori sempre il meglio. Il lavoro è organizzato in modo da avere ognuno il proprio compito, come mantenere i contatti con le altre etichette, trovare idee per eventi e, ovviamente, la contabilità.» L'aprire una casa discografica, è una scelta rischiosa. E' una realtà da sempre in crisi economica, un po' come il giornalismo. Puntate sulla passione fino a che punto? Va bene crederci ma se non si arriva a fine mese come fate? «Con molte etichette che chiudono la situazione non è delle migliori. Noi ci facciamo un culo enorme per arrivare ad uno stipendio, organizziamo concerti, serate anche per conto terzi, oltre che dedicarci alle band e ai lavori da produrre. Se dovessimo campare solo con la casa discografica faremmo di sicuro scelte differenti.» E quali scelte prendereste se doveste campare

solo di discografia? «La qualità passerebbe di sicuro in secondo piano, puntando principalmente sui numeri. Non sarebbe più una etichetta indipendente, ma anzi sarebbe completamente “dipendente” dal mercato. Le major ragionano in questo modo: spingono sul mercato un prodotto che è già stato verificato, cercando di ricavare da questo più utili possibili. Poi se avrà successo continuano a lavorare su quel progetto, altrimenti finisce in archivio. Noi invece lavoriamo in maniera del tutto contraria, puntiamo soprattutto sulla sinergia tra gruppo e casa discografica.» Appunto per questo, lasciate totale libertà ai gruppi? E se una band vi offre qualcosa che a voi non piace come vi comportate? «La nostra intenzione resta comunque quella di lavorare su poche band, in tutto sono sette, per concentrare in maniera migliore il lavoro. Una cosa del genere per ora non è ancora capitata anche perché lavoriamo a stretto contatto con le band e molte decisioni vengono prese insieme visto che è una cosa che coinvolge tutti. Cerchiamo di lasciare sempre totale libertà, dando comunque dei consigli utili. Può capitare che un brano non piaccia a tutti ma alla fine bisogna scendere a compromessi. L'importante è trovare degli accordi con il gruppo e non con il mercato. Lavoriamo su un prodotto curato nei minimi dettagli». La vostra etichetta è fondamentalmente indie-rock. Una provocazione: come tutti i generi musicali anche l'indie è destinato a tramontare. Cosa farete? «Per noi l'indie non è un genere preciso. Abbracciamo un po' tutti i generi, tra il pop, melodico e rock. Se compariamo i Velvet Score e gli Hacienda ci troviamo di fronte a dei gruppi con sonorità completamente differenti. Non c'è un disco che segua i canoni di un altro. Il nostro sogno sarebbe trovare un gruppo che offra melodie di qualità con testi in italiano». Questo della Black Candy è un progetto interessante quanto ambizioso che trova la sua ispirazione nella new wave inglese degli anni 80 e nella scena newyorkese degli anni 70. Un modo di lavorare vecchio stile quello della Black Candy che parte dal basso, dalla realtà locale, spingendo le proprie band nel territorio, facendole conoscere al pubblico. Curando il tutto nei minimi particolari, l'etichetta toscana, organizza eventi come la Black candy night che lo scorso 4 aprile ha registrato più di 900 presenze al Viper Teatre e che riproporranno prossimamente nel mese di maggio al Sonar. Ci siamo congedati con un'ultima battuta, chiedendo a loro un parere sulla reunion dei Litfiba e la risposta, un po' a sorpresa, è stata un secco: «no comment». A cura di Giuseppe Di Marzo Francesco Guerri

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Musica

Dick Dale: Surf & Rock «Pronto, Dick?» «Sì, sono io, e tu chi diavolo sei?» «Sono Giovanni, di Riot Van. Ti ricordi di me?» «No cacchio, io non mi ricordo di nessun van e di nessuna rivolta!»

Nonostante in pochi riconoscano al volo questo nome, bastano un paio d’indizi per renderlo familiare. Ricordate la sigla di Pulp Fiction, quel frenetico giro di chitarra subito dopo la rapina a mano armata di Zucchino e Coniglietta? Ecco, quella canzone è Misirlou e il nostro Dick Dale la incise nel 1960. Conoscete i Beach Boys? Ecco, nacquero suonando le canzoni di Dick Dale (come poi anche Hendrix), e lui li pagava cinquanta dollari per aprire i suoi concerti verso la fine degli anni ’50. Il garage, il punk e l’indie di oggi non esisterebbero se non fosse stato per il signor Dale. O no? «Di certo non esisterebbero i Beach Boys. E forse nemmeno i Beatles. Da lì in poi, fatti i tuoi conti!». Va bene, ma andiamo con ordine. Parlaci delle tue origini. E’ vero che sei per metà libanese e per metà polacco? «Ma se sono di Boston! Mio

nonno era libanese e mia madre è polacca. Ma io sono americano!». Dick, che di vero nome fa Richard, è di Boston ma è andato a finire il liceo in California. Qua, raccogliendo i vuoti delle bottiglie di Pepsi, ha raggranellato i soldi per comprarsi un ukulele. «Poi, da un libro imparai gli accordi. Solo che il libro non spiegava come andava tenuto l’ukulele. Non ti diceva "stai sbagliando" o cose così. Per cui io, da mancino, ho iniziato a suonare lo strumento dalla parte sbagliata. Non come Hendrix, che invertiva le corde. Io tenevo le corde alte in alto, e le basse in basso. Proprio al contrario!». Poi, la prima chitarra ed i primi concerti. Le due corde in più rispetto all’ukulele fecero la differenza, e il suono surf di Dale diventò un vero e proprio culto sulla costa. Un giorno, Leo Fender gli portò la sua nuova chitarra: la Fender Stratocaster. Gliela fece provare insieme ad un nuovo amplificatore e Dick suonò così forte da farlo esplodere. «Certo, è stato il primo di una lunga serie. Ne feci fuori uno al giorno, e così facendo aiutai Leo a sviluppare i moderni amplificatori. Ogni amplificatore del mondo oggi usa la tecnologia che elaborammo in quegli anni». Ho letto che negli anni ‘60 tenevi degli animali

selvatici. E’ vero? «Sì, li allevavo io. Avevo dei giaguari, una tigre, poi delle scimmie e per ultimo il mio preferito: il leone Dane. Me li lasciavano tenere perché li portassi all’ospedale infantile, i bambini autistici li adoravano» Hai ancora un aeroporto? «Certo! A Twentinine Palms in California. Ci faccio volare gli alianti. Alcuni li costruisco io». Alianti? E’ per il tuo impegno per l’ambiente, vero? «Anche! Il nostro pianeta è in pericolo. Quando facevo surf mi sono tagliato un piede sugli scogli, e si è subito infettato. Nel nostro mare ci sono 60 ettolitri di pesticidi ogni milione di litri. Non è normale! Per questo, io ho smesso di inquinare. E anche di fare surf».

Immagine dal film Pulp Fiction

Sissignore, questa telefonata internazionale ad un settantaquattrenne totalmente fuori di testa è stata l’inizio della intervista di questo mese. Signore e signori, RV ha l’onore di presentarvi Dick Dale, il re del Surf Rock californiano. «Ma io non lo chiamavo Surf Rock! Lo chiamavo Rock e basta. Poi, visto che facevo Surf tutto il giorno, qualcuno s’è inventato il nome!» ha precisato Mr. Dale.

Settantaquattro anni compiuti, quarantanove amplificatori bruciati, dieci tigri e un paio di aerei nel giardino di casa. Nel curriculum di Dick Dale ci sono avventure che una persona normale non riuscirebbe a vivere in tre vite. «Ma se a me ne è bastata una sola! È che io sono affamato di novità! Vedi, la chitarra è solo un lato di Dick Dale. Poi c’è il pilota, il surfista, il padre, il domatore di tigri. La vita è più breve di quel che sembri, sai?». Giovanni Macca

Italia Wave Love Festival Dove i grandi della musica fanno da spalla ai nuovi arrivati

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degli ospiti internazionali, il festival è diventato nel corso degli anni la rampa di lancio più importante per le band emergenti di tutta Italia. Nata nel 1987 con il nome di Arezzo Wave, era originariamente l'emanazione del raduno nazionale delle fanzine italiane. La prima edizione ospitò 16 gruppi emergenti che si esibirono nel corso di 4 serate. Quelle successive, pur non tradendo l'originaria missione di “lancio”, cominciarono ad essere integrate con nomi già noti a livello europeo. Grazie a questa formula il festival è riuscito

a consacrare la fama di molti artisti diventati oggi tra i rappresentanti più influenti del rock italiano: da Jovanotti a Elio e le Storie Tese, dai Modena City Ramblers ai Negramaro, passando per i Tiromancino, Marlene Kuntz, e tanti altri. L'edizione 2010 si terrà a Livorno e consisterà in 5 serate dove si esibiranno ospiti del calibro di Editors, Groove Armada, Ok Go, Faithless, Underworld e Julian Marley. Il 21 luglio la prima serata intitolata medwave, dove artisti europei e nordafricani si esibiranno in una fusione di suoni e culture provenienti dalle diverse realtà del mediterraneo. Le altre date (dal 22 al 25 luglio) vedranno alternarsi sui vari stage ospiti illustri e band emergenti, selezionate in un concorso che si concluderà a Firenze il 4 giugno, presso l’Anfiteatro del Parco delle Cascine all’interno del Muv Festival. Immancabile, infine, l'Elettrowave, surrogato digitale del Love Festival, nel corso del quale, tra le varie esibizioni, verranno incoronati due artisti come miglior dj producer e miglior vj performer. Stefano Lascialfari #06-maggio 2010

Grafica © Groove Armada

Impossibile nascondere un certo malumore, se parliamo di musica e intrattenimento, percorrendo le strade delle città Toscane, sempre avvolte in quell'aura di polveroso riserbo. Gruppi internazionali e artisti di fama mondiale programmano le loro date in territorio italico, snobbando il più delle volte la patria di Dante. D'altro canto la culla del rinascimento non sembra influenzare granché neanche l'ambiente indie delle band emergenti, dove i pochi nomi conosciuti annaspano in un brodo di indifferenza e diffidenza, ed è raro che il proprio seguito sconfini oltre la cerchia di compagni di scuola, amici e amici di amici. La musica non circola. Manca quell'occasione sfuggente di captare il suono di qualcosa che piace, anche se non lo si conosce. Anzi le occasioni ci sarebbero, ma non interessano a nessuno, sono mal pubblicizzate e rimangano di nicchia. Fortuna quindi, che almeno una volta all'anno la Toscana diventi teatro di uno degli eventi musicali più validi dell'intero panorama nazionale: l'Italia Wave Love Festival. Coniugando l'attenzione per le nuove proposte, con lo spettacolo garantito


Cultura

Robert Capa La guerra in uno scatto

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Robert Capa, foto di Ruth Orkin

vete presente i Pink Floyd? Quei quattro ragazzi inglesi che con un pizzico di fantasia e qualche acido in più hanno rivoluzionato il modo di fare musica? Bene. Possiamo dire che i Pink Floyd stanno al rock psichedelico come Robert Capa sta alla fotografia. Semplicemente un maestro, una pietra miliare che quando si parla di arti visive e foto-giornalismo non si può fare a meno di citare, un po' come Weber per la sociologia o Picasso per il cubismo. Il suo vero nome era Endre Friedmann tramutato in Robert Capa quando ormai la sua fama era più o meno costruita. Un nome semplice, pronunciabile in tutte le lingue, forse un Sicilia. 1943, foto di Robert Capa

omaggio al grande regista Frank Capra che Endre adorava. Nasce a Budapest nel 1911 da una buona famiglia. La sua adolescenza lo trasforma però in un ragazzo ribelle sempre in contatto con gruppi rivoluzionari. è troppo per un giovane ebreo negli anni dell'antisemitismo. Viene esiliato a Berlino ma ben presto, con l'arrivo del nazismo, si rifugia a Parigi. L'incantesimo è immediato. Quella Morte di un miliziano, foto di Robert Capa città lo ispira e lo consacra definitivamente come fotografo. Conosce David Seymour Morte di un miliziano scattata in Spagna ,nei detto Chim e Henry Cartier-Bresson ma so- pressi di Cerro Moriano, nel 1936 durante la prattutto si imbatte in Gerda Taro, una stu- guerra civile, diventata oggetto di innumedentessa di venti anni, bionda e delicata ma revoli dibattiti. Sicuramente una della più faallo stesso tempo audace e ribelle. Anche lei mose fotografie al mondo, questo scatto è fotoreporter, morirà sul fronte di Brunete, in diventato l'emblema della guerra: un uomo Spagna, schiacciata da un carroarmato re- che, colpito al fianco da una pallottola, si pubblicano. Robert non riuscirà mai a farse- protrae all'indietro lasciandosi cadere a terne una ragione; la sua amata portata via dalla ra senza vita. Una foto spoglia ma immediata, guerra, quella guerra che lui odia ma che or- carica di significato ed emozioni. Questa foto è mai fa inesorabilmente parte della sua vita. stata un giallo politico giornalistico che ha inPiù che alla sua biografia il nostro interes- furiato per decenni, in quanto molti hanno rise per Capa si rivolge però a quello che egli tenuto che Capa, repubblicano e antifascista, ha fatto, creato e innovato in ambito foto- l'avesse artefatta mettendo in posa il soldato grafico. Probabilmente il più unicamente per ragioni di propagrande fotoreporter di guerra Semplicemente ganda politica antifranchista. Nodi tutti i tempi, Robert, si è av- un maestro nostante l'uomo in questione sia venturato in innumerevoli constato riconosciuto come Federico flitti, dalla guerra civile spagnola alla prima Borrell Garcia di Alcoy morto nella battaglia di guerra in Indocina, passando per la seconda Cerro Muriano nel 1936 molti hanno messo in guerra mondiale e quella arabo-israeliana. dubbio la sua autenticità. Il giallo è però staSempre in prima linea, i suoi scatti restano to risolto nel 2008 con il ritrovamento di altre memorabili, testimoniando il dolore, la mor- immagini che il fotografo aveva scattato quello te ma anche la gioia portate dalla guerra. stesso giorno le quali dimostrano e raccontano La sua foto più conosciuta è sicuramente la tutto il percorso dei soldati, compreso Federico Garcia, prima del famoso scatto incriminato. Robert Capa è anche autore e fondatore della più leggendaria agenzia fotografica di tutti i tempi, dalla quale sono passati tutti i fotografi più importanti del ventesimo secolo, la Magnum Photo Inc. Fondata nel 1947 insieme alla collaborazione di Cartier-Bresson e altri nomi celebri come David Seymour e George Rodger, la Magnum aveva il compito di ridare dignità ai fotoreporter oppressi dalle case editrici e dalle testate giornalistiche, difendendo così i loro diritti d'autore. Robert, come molti altri fotoreporter, muore sul campo con la sua macchina fotografica in mano. All'inizio del 1954 si imbarca per l'Indocina unendosi alla missione sul Thai-Bin. Il 25 maggio si allontana dalla strada per meglio cogliere la progressione dei combattimenti e salta per aria su una mina. Agli onori con cui il comando francese vuole celebrare la sua morte la madre si oppone: nessun funerale militare per un uomo che odiava la guerra. Leggendario? A volte questo termine risulta un po' ingombrante. Per ricordarlo useremo allora le bellissime parole usate da Jean Lacouture: “Se la fotografia è vita, Capa è la fotografia". Martino Miraglia

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Cultura

Cadono le ideologie: ma a noi cosa resta? Non è passato poi così tanto tempo da quando le generazioni precedenti alle nostre credevano ancora in qualcosa, in qualcuno. Tutti, o quasi, avevano una idea di mondo, di società, di cambiamento. A volte perché questa idea gli era stata imposta, altre volte perché qualcuno ci aveva ragionato, filosofando anche sui perché, e magari pensava fosse cosa buona e giusta. Era come se si avesse ancora la forza di sognare, la forza di non chiudere gli occhi ma piuttosto guardare oltre. Era come se ci fosse nell’ aria un vento possibilista, che poneva gli uomini in condizioni tali da poter pensare che la speranza fosse davvero l’ultima a morire. I nostri predecessori hanno combattuto per la un edificio da costruire. Non può razionalmenpatria, difeso a spada tratta la superiorità della te esserlo se si pensa al nostro passato e a ciò razza o i grandi ideali di giustizia sociale ed ugua- che le generazioni precedenti hanno prodotto: il glianza. Ideali opinabili, certo, ma sempre ideali. nostro mondo, le nostre società, il nostro modo Erano periodi particolari, in cui le ingiustizie non di vivere. bbiamo ereditato tutto ciò che di errato potevamo cogliere. Arroganza, erano solo fenomeni televisivi e da prepotenza, egoismo. Siamo stati campagna elettorale. O almeno educati a vivere per conto nostro, non lo erano del tutto. C’era uno Il mondo in cui spirito diverso, una fiducia nel futu- viviamo è preso a pensare solo a ciò che ci riguarda in prima persona. Un mondo in ro che si aveva in mente di costrui- in prestito dai cui una minima parte della popore. il mondo in cui viviamo è preso nostri figli lazione governa sulla stragrande in prestito dai nostri figli. Ma non sempre le cose vanno come si vuole, e non sem- maggioranza, un mondo in cui ognuno bada al pre tutto risulta facile e disincantato. Pian piano, proprio fabbisogno dimenticando le eccezioni. E ecco che i sogni si disgregano come castelli di non stupitevi se tutto ciò sembra banale. Il prosabbia perdendo tutto il loro valore. E così fini- blema è che di tutto ciò non si parla più. Tutto sce anche l'entusiasmo di credere in qualcosa. sembra una sciocchezza che sarà risolta dal poÈ la logica dello sviluppo dell’uomo, che non litico di turno, un giorno o l’altro. Che società lascia spazio ai sogni, che ridimensiona ogni hanno creato i nostri predecessori? A pensarci sforzo creativo e fa capire che la vita non è una bene ci sarebbe da vergognarsi. Viviamo tempi questione di desiderio, ma solo una ridondante di assoluta barbarie. Solo in Italia, ogni giorno, ciclicità di eventi viziati dalle nostre abitudini. Il più di tre persone perdono la vita. Mille morti futuro ci ha sorpresi come se sapesse già tutto. all’anno fra lavoro e malasanità: una guerra. E Ed essendo futuro, non poteva essere altrimen- ogni anno riecheggiano sempre gli stessi slogan ti. Sembra destinato a perdurare nel tempo con in occasione della festa del lavoro. E poi? Come costanza qualitativa tendente al peggio, non più mai non si mette fine a questa kermesse? Come

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può essere possibile che il denaro abbia più importanza della vita umana? È l’assalto alla civiltà che ha raggiunto il suo massimo grado di sviluppo. Non si fa nulla per ovviare, e neanche si tenta di farlo. La vita deve scivolarci sulle spalle perché qualcuno ha deciso così e qualcun altro non ha impedito che lo fosse. Siamo entrati in un circolo vizioso destinato a non finire. È l’assalto alla nostra mente, la cui autonomia viene attentata di continuo. Non è uno screzio verso le vecchie generazioni, e neanche simpatia politica, ma solo una lucida e razionale osservazione delle leggi che governano il nostro vivere, una semplice ma preoccupata attenzione a ciò che potrebbe scaturirne negli anni a venire. Il passato sta dietro le nostre spalle, come uno spettro che ci implora di essere riportato in vita offrendoci la possibilità di cambiare le scelte sbagliate, al fine di creare del nuovo e non solo catastrofici sottoprodotti. Il passato è così: offre alternative, e a quanto pare non sappiamo sfruttarle. Non sappiamo iniziare un’epoca nuova, diversa, che faccia leva sugli errori che stiamo pagando. Viviamo come se il mondo non fosse nostro, come se ciò che ci è rimasto sia da distruggere. In realtà il mondo in cui viviamo è preso in prestito dai nostri figli. Troppa filosofia, troppi sogni. Forse, ma senza dubbio bisogna reagire al rigore delle logiche societarie moderne. Qualcuno direbbe che tutto questo non è più possibile, che tutto questo non regge. È pura follia visionaria. Immaginare nuove prospettive sociali che non siano quelle propinate sul grande e piccolo schermo non sta più né in cielo né in terra. Tutto questo è solo utopia, o almeno è quello che ne rimane. Antonio Raddi #06-maggio 2010

Grafica Riot Van

Quel che rimane dell’utopia


Cultura

Giovani e politica Due realtà in via di polarizzazione Non sorprende il dato emerso dal rapporto sulla partecipazione politica giovanile in Italia, stilato in questi giorni dall’Università La Sapienza di Roma: solo una persona su 3 tra i 18 e i 34 anni ha fiducia nella politica e ben il 25% di loro non si interessa minimamente alle sue sorti. Che questa sia una tendenza ormai ben delineata lo si evince osservando i dati di affluenza alle urne negli ultimi anni, in calo a ritmi sempre più alti. Tuttavia fa riflettere sapere che nel 2010, quando i mezzi tecnologici circondano ognuno di noi e quando con facilità possiamo comodamente usufruire di tutte le informazioni che vogliamo, una fetta sempre più larga della società, per di più quella del futuro, sia sempre più indifferente ai problemi del mondo. Quello che da qualche anno si sta consumando, in Italia come all’estero, è un distacco generalizzato e non un semplice riflusso generazionale come si pensava fino a pochi anni fa, poiché il distacco appare sempre più netto e irrimediabile. «Fino a 15 anni fa la partita politica era ideologica», disse qualche tempo fa Giuseppe De Rita, sociologo e Presidente del Centro Studi Censis, «era passione e scontro su diverse visioni del mondo. Oggi essa è solo esercizio del potere». Questa frase trova conferma nella tendenza giovanile a preferire partiti più radicali, quali Lega Nord e Sinistra estrema, ma non può da sola essere esplicativa del problema. Un’ignoranza diffusa e manifesta serpeggia tra la maggior #06-maggio 2010

parte dei giovani. È un’ignoranza di cui non si ha stabile nella vita vergogna, ma la si ostenta perché “di tendenza”. della gente, la voglia La riprovazione sociale verso di essa è un ricordo di lottare e, in generalontano. Ormai i valori sono capovolti e i model- le, di impegnarsi in politili proposti dalla società inducono a fregarsene ca è venuta meno. Oggi come della politica. Gran parte degli individui sotto i oggi, in una società in cui per molti ogni cosa è 34 anni ignorano le più basilari nozioni politiche a portata di mano, la maggior parte dei giovae niente lascia presagire ad un miglioramento ni se ne frega della politica. Perché dovrebbero della situazione. Il fenomeno, al contrario, è nel perdere tempo, lottare per cambiare qualcosa, pieno di un circolo vizioso, di un tunnel in cui in- quando possono comprare vestiti firmati, camtravedere la luce è sempre più arduo. Al giorno biando cellulare ogni due mesi? Ai loro occhi non d’oggi non è più come cinquant’anni fa, tempi in c’è niente da cambiare in questo mondo e la loro cui conoscere, crearsi una cultura, avere acces- vita quotidiana non è minimamente influenzata so all’informazione era appannaggio di pochi e dalla politica. A riprova di questo basta osservare l’ignoranza era una costrizione per molti. Oggi che, in genere, laddove c’è più povertà e misese una persona vuole interessarsi di una cosa ha ria esiste un maggior interesse alle vicende pomille possibilità: Internet, televisione, giornali, litiche. L’individualizzazione diffusa nelle società radio. Dunque c’è da chiedersi perché proprio la moderne ha portato le persone ad interessarsi politica ha visto crescere un disinteresse così ac- solo del proprio orticello, ossia a non volersi più centuato nella “generazione tecnologica”, oltre interessare alla res publica ma solo alla res che alla perdita di appeal dovuta alla sua deideolo- esse possono avere, non più alle sorti dell’integizzazione. Dopotutto, la carica del ’68 aveva for- ra società ma a preoccuparsi solo della propria. E’ questo il vero problema, sociale temente ideologizzato la politica e per tutti gli anni ’70 le grandi dottri- Il tramonto delle e culturale, che porta i giovani a disinteressarsi alla politica. Se poi ne totalizzanti animavano l’agone ideologie avrà politico. Dunque anche il tramon- cause sociali più si aggiunge il fatto che la politica italiana è sempre stata pervasa da to delle ideologie avrà cause sociali profonde gestioni disastrose e da eterne ompiù profonde. Viene da pensare se non siano questioni economiche alla base di tut- bre e la cronica mancanza di senso civico in queto. In Italia l’attenzione alla politica è stata viva sto Paese, il contorno è servito. Ormai sono ben sino a metà degli anni ’80, quando ormai il Pae- poche quelle persone che vogliono guardare più se raggiunse un benessere diffuso, per poi piano in là del loro recinto, al confronto dei molti inepiano affievolirsi. Fin quando vi è stato qualcosa briati dal benessere. E forse rimarranno sempre da migliorare, dalle condizioni di lavoro ai diritti meno finchè quel benessere non cesserà prosociali, le persone hanno lottato e si sono adope- prio a causa di questo menefreghismo. rati per i loro obiettivi. Ma da quando il benesLorenzo Berti sere si è configurato come cornice più o meno

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Speciale Cinema

Cinema

Un cinema a portata di sogni

Cinema e produzione indipendente a Firenze Abbiamo incontrato -nei locali che li ospitano presso Gavinuppia- i giovani responsabili dell’ancor più giovane associazione DreamCommunication. Nata appena otto mesi fa, la Dream si occupa, secondo le parole di chi l’ha fondata, di portare avanti un approccio al cinema totalmente svincolato dalle logiche produttive tradizionali. Andrea Colato, uno dei fondatori dell’associazione, dopo anni di formazione professionale nel campo cinematografico a Roma (in particolare all’Istituto di Stato per la Cinematografia e la Televisione Roberto Rossellini e al Corso di sceneggiatura RAI-Script) decide di tornare a Firenze per creare un suo personale percorso creativo e formativo. Viene fondata così, assieme ad altri ragazzi , la casa di produzione di cinema indipendente con annessa scuola di formazione professionale.Il principio fondante che sta alla base di tutto è il concetto del “movie incubator”, nuovo modo di fare cinema che si basa sulla vendita di know-how a chi dispone di un’idea da realizzare e in cui credere. Infatti, prima ancora che sul business, l’idea del movie incubator (o incubatore di impresa) si basa su una condivisione paritaria tra idee e professionalità che concretamente, concetto fondante di DreamCommunication, rende possibile la realizzazione di un sogno.

Su questo solco ideale si inserisce la scuola di formazione che ad un costo equo (cosa questa realmente rivoluzionaria) offre la possibilità di specializzarsi attraverso il metodo studying to doing, alla lettera studiare per fare, portando quindi l’allievo dai libri al set. Nello specifico gli studenti hanno a disposizione corsi di Regia, Recitazione, Dizione e Sceneggiatura, finalizzati a portarli nel mondo del cinema a livello lavorativo.

La congrega dei folli

Vero e proprio debutto “sulla scena” per la Dream l’uscita in sala, dopo un ovvio rodaggio a base di videoclip e corti, del loro primo lungometraggio La congrega dei folli. Da un’idea del regista emergente Jacopo Payar, il film è un noir con elementi di critica sociale, ruota attorno ad un tavolo da gioco dove in palio c’è più di quel si possa immaginare. In un clima ossessivo via via sempre più soffocante, i giocatori metteranno in palio non solo i loro soldi ma anche la loro stes-

sa sopravvivenza. Non si tratta, come potrebbe sembrare del classico film che punta tutto sulla suspense, bensì utilizzandone i mezzi, cerca di mettere in luce criticamente la freddezza ed il cinismo caratterizzanti i rapporti umani nella società moderna, ai tempi della globalizzazione. Essendo un progetto indipendente, il film dovrà aprirsi un varco nella grande distribuzione contando su una possibile visibilità, secondo le prospettive dei ragazzi, grazie a web-tv , dvd e proiezioni mirate in sale d’essay. Prima tappa di questo percorso il cinema Borsi a Prato che avrà il film in esclusiva per due date nel mese di giugno. E che il gioco abbia inizio!

Date e Info

Dove: Cinema Borsi (Via San Fabiano, 49, 59100 Prato) Quando: 22 giugno 22:30 - 24:00 (prevendita) 24 giugno 21:00- 22:30, 22:30 - 24:00 Contatti: www.lacongregadeifolli.it www.dreamcommunication.it sopra: locandina di La congrega dei folli a sinistra: immagine dal film Fantastic Mister Fox nella pagina a fianco dall'alto in senso orario: immagini dai film House of flame; Street of crocodile; Il treno per il Darjeeling; Life aquatic; Fantastic Mr. Fox; I Tenenbaum

Fantastic mr.Wes! L'ultimo lavoro di Wes Anderson: animazione, ladri di pollame e Dry Humor

Forse quando leggerete questo articolo sarà troppo tardi, ma se così non fosse vi consigliamo di correre al cinema a vedere Fantastic Mr.Fox, potrete così avvicinarvi, se ancora non avete avuto modo di farlo, al cinema di Wes Anderson. Non ve ne dovreste pentire. Ultimo film del regista texano, tratto dall’omonimo racconto per bambini di Roald Dhal, lo stesso de “La fabbrica di cioccolato”, si fa da subito notare per la scelta, inusuale per lui da sempre regista di film dal vero, di girare con tecniche d’animazione. Nonostante l’apparente cambio di direzione stilistica nella messa in scena, non è difficile ritrovare gli ormai celebri e riconoscibilissimi “trademarks” andersoniani. Dalle carellate latera-

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li che seguono i personaggi in movimento perenne, alle descrizioni d’ambiente (fondamentali nella sua grammatica filmica i dettagliatissimi sfondi), fino ai rinomati tic e vezzi dei suoi personaggi (e forse suoi alterego). Film indefinibili per genere, ma riconducibili ad un preciso e connotato stile umoristico. Difficilmente traducibile in italiano, il concetto di dry humor è però immediatamente riconoscibile a colui il quale si sia avventurato almeno una volta nella sua filmografia. Se infatti, in generale, si cerca di creare un effetto comico attraverso l’uso del corpo o con espressioni facciali, o quantomeno con frasi ad effetto accompagante da ammiccamenti allo spettatore (nel caso non avesse ancora

capito che è il momento di ridere), in questo caso invece, quest’assunto viene totalmente ribaltato. Si ride perché non c’è niente da ridere, la faccia rimane impassibile e senza emozioni apparenti, il tono di voce monotono e inespressivo, ciò che viene detto può essere allusivo o sarcastico o ancora senza apparente significato. Quanto detto rende soltanto parzialmente l’effetto straniante che si crea nello spettatore, per rendervi l’idea potete provare a pensare a Bill Murray, tra l’altro presenza fissa, non a caso, nella crew di Anderson, che attraverso la sua inimitabile espressione apatica e “scazzata” rende subito evidente il concetto. La risata, seppur “secca”, non è però l’unico motivo costante del #06-maggio 2010


A cura di Chiara Morellato ed Edoardo Calamassi

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Cinema

Don’t stop-(e)motion

ell’ultimo film di Wes Anderson la tecnica utilizzata, come già abbiamo accennato, fa riferimento al campo dell’animazione, ed è, nello specifico, la classica e assai dispendiosa (di soldi e tempo) stop-motion, detta anche “a passo uno”, dicitura che ben si ricollega alla messa in pratica vera e propria. Si tratta, infatti, di un filmato che mette una serie di fotografie l'una in seguito all'altra; ogni fotogramma rappresenta un istante del filmato che deve essere differente da quelli che lo precedono e che lo seguono; perché la ripresa una volta proiettata risulti fluida all'osservatore, sono necessarie naturalmente molte pose. Questo processo è da sempre utilizzato per “animare i cartoni animati”, oppure per realizzare delle riprese focalizzando l'attenzione su modelli e pupazzi. Quest’ultimi, detti in gergo Puppets, possono avere varie caratteristiche: fissi, snodabili, di pezza, di plastilina (da cui una sottocategoria della stop-motion detta Clay animation) e quant’altro, via via fino ai tentativi più estremi ed esoterici, tra insetti morti e animali impagliati, ricordate in RV di Giugno lo speciale su Alice di Švankmajer? Ad ogni modo il filone a cui siamo stati abituati vede in prima fila personaggi come Tim Burton ed Henry Selick (collaboratore e produttore del famosissimo The Nightmare Before Christmas, e di James e la pesca gigante). Inizialmente disegnatori della Disney, poi messisi in proprio rivisitando la propria passione per l’animazione, si dedicano a progetti più dark ed inusuali, poco adatti ai piccoli fan di Mickey Mouse. Ricordiamo in questa direzione, oltre al primo cortometraggio di Burton Vincent e al già citato Jack Skellington, produzioni di grande complessità tecnica come La sposa cadavere, Galline in fuga, Coraline

e la coppia inglese Wallace e Gromit, in cui il gran numero di animatori necessari a completare pochi secondi di film ne dimostrano la laboriosità. Molto interessante anche l’industria d’animazione asiatica ed est europea. Sconosciuto in occidente, Kihachirō Kawamoto, designer, scrittore e regista nipponico, è in realtà ben conosciuto in Giappone, dove, oltre ad essere presidente dell’associazione Japan Animation, è sicuramente considerato come uno dei grandi “maker of puppets” per corti e film d’animazione. Kawamoto e le sue opere, sia in termini di qualità dell'animazione delle bambole, sia per quel che riguarda l'animazione tradizionale (come ad esempio gli sfondi), sono considerati un vero e proprio esempio di poesia ed arte, ispirate per altro dall’illustratore e regista ceco Jiří Trnka, altro grande artista nel mondo dei pupazzi e delle marionette. Per chi apprezza invece un cinema più inquietante ed ermetico, impossibile non citare le opere dei Fratelli Quay, americani d’origine ma di marcata matrice est europea. Le loro opere, a metà tra fiaba ed incubo, sono riuscite a diventare dei veri e propri capolavori del cinema d’autore, con atmosfere surreali e sonnamboliche dove spesso però viene a mancare una definita traccia narrativa. Last ma certamente not least (anche perché si parla del 1882 come anno di nascita),

il pioniere russo Ladislas Starewicz ,appassionato fin dall’infanzia di entomologia, utilizza insetti e altri animali morti come protagonisti delle sue opere. Nel 1910 con The Beautiful Leukanida mette in scena il suo primo film d’animazione,con scarafaggi e rane - fu scarafaggi e fu rane a dirla tutta - al posto dei classici puppets di plastilina. Sempre sotto la discussa categoria “for children“, le storie di Starewicz sono certamente molto intense e tecnicamente sbalorditive anche per gli standard attuali. Da un punto di vista tecnico e creativo la stop-motion può davvero accontentare tutti, da chi è alla ricerca di opere cupe e grottesche, a chi vuole immergersi in un’atmosfera da fiaba, a chi si diverte a creare video sbalorditivi con post-it, arance o quant’altro, a chi va alla ricerca di prodotti d’autore difficilmente recuperabili. Possiamo comunque dire che tra gli ingredienti principali figura la pazienza.

suo cinema. Essa infatti è sempre accompagnata da un costante, se pur sottotraccia, senso di malinconia dettato dalla nostalgia per qualcosa di perso e non ricreabile (almeno non facilmente) nel presente. Che sia la felicità provata nell’infanzia e nell’unità familiare come ne I Tennenbaum; i giorni della gloria e del successo come ne Le avventure acquatiche di Steave Zissou; il legame fraterno di Un treno per Darjeliing o come in quest’ultima opera la naturalità dell’istinto selvatico e predatorio di Mr. Fox. Da buona volpe è infatti, lo vediamo nelle scene iniziali del film, un incallito ladro di pollame che per amore di moglie e figlio decide d’appendere il passamontagna al chiodo, dedicandosi da lì in poi ad un’attività

sendentaria e sicura quale è lo scrivere editoriali e “terze pagine” sul quotidiano locale. Ma l’idillio domestico dura poco. La volpe, doppiata nella versione USA da George Clooney che dona più di un suo vezzo al personaggio, non tarda infatti a tornare all’assalto degli allevamenti fino a diventare il nemico numero uno dei tre loschissmi allevatori del circondario, con tutte le conseguenze del caso. Se la sinossi può far pensare ad una storiella buona solo per il nostro nipotino di cinque anni, il tutto viene narrato attraverso uno sguardo inequivocabilmente adulto e altro rispetto alle consuete dinamiche del “cinema animato” di matrice americana. Le “ossessioni” narrative dell’autore infatti, trovano il modo di

farsi spazio anche dove non parrebbe possibile, si innestano sul racconto per formare una storia del tutto originale. Ritroviamo così tutto frullato assieme, le famiglie disfunzionali, l’intellettualismo un pò snob, i richiami alla cultura wasp (white anglosaxon protestan) e i sopracitati e riconoscibilissimi stilemi visivi. Propio per questa sua abilità d’imprimere una fortissima impronta personale al materiale filmico Wes Anderson, che piaccia o meno (e molti infatti sono i suoi detrattori), resta senza possibilità di smentita, uno degli autori cardine di questi anni, con il quale, chiunque si interessi seriamente di cinema, ma si potrebbe parlare in senso piu ampio di cultura, dovrà giocoforza fare i conti.

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Ce n’è per tutti i gusti…

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Rubriche

We and They In Francia è ritornato in auge "l'Affaire del velo", una tematica sorta dalla pratica, in aumento, di portare il velo. Le donne e le giovani, sia nel modo musulmano che europeo, lo portano come simbolo di una "moderna identità islamica": tre termini che, una volta accostati, suonano cacofonici all'udito di molti. Ma è un fatto che un numero sempre maggiore di donne urbane e acculturate, soprattutto tra le studentesse universitarie, scelgono di portare il velo come simbolo della propria identità; svanisce la simbologia religiosa e sorge il sentimento identitario, contro ogni omologazione e indifferenziazione identitaria. Invece di travestirci da opinionisti, proviamo a ricostruire la storia del velo. Per i musulmani, come per ebrei e cristiani, le donne sono seduttrici, usano il loro aspetto e i loro ornamenti, come i capelli, per tentare gli uomini. La questione del velo esisteva già nel 2000 a.C.; un testo Assiro, infatti, fa di questo un simbolo distintivo delle donne onorate, poiché solo le prostitute o le non abbienti, uscivano di casa con i capelli sciolti. L'uso del velo si è diffuso nel Mediterraneo fino agli anni Sessanta nei paesi latini, come nei Balcani e in Grecia. Per quanto riguarda l'Oriente, a Medina Maometto nota che sovente gli uomini molestano verbalmente le donne, inclusa la sua sposa. In questo contesto ha una rivelazione: «O Profeta, dì alle tue spose, alle tue figlie e alle donne dei credenti, di coprirsi con i loro veli, così da essere riconosciute e non molestate» (Corano XXXIII, 59). In anni recenti sono emerse alcune militanti che hanno mobilitato le credenti contro l’uso del velo. Una delle prime fu l'egiziana Hoda Shaarawi, nazionalista e femminista, che negli anni Trenta ha riunito in una piazza del Cairo milioni di donne che si

sono strappate via il velo pubblicamente. Ma il velo non è un simbolo della inferiorità della donna, troppo spesso si dimenticano donne quali Benazir Bhutto, primo ministro del Pakistan, Khaleda Zia in Bangladesh (in cui il capo dell'opposizione era una donna, Hassina Wajed) e Tansu Ciller in Turchia. Fatima Mernissi, marocchina, nel suo libro Sultane dimenticate, donne capo di Stato nell'islam, ricorda tutte coloro che nel passato sono state a capo della umma (comunità dei credenti) nonostante un precetto attribuito al profeta dica: «Nessuna nazione guidata da una donna ha avuto successo». Ma, ad oggi, molte donne hanno utilizzato l'obbligo del velo per rivendicare una maggior partecipazione alla vita politica, sociale e professionale. Tornando alla polemica occidentale credo che, come per molti temi affrontati, ci sia nelle nostre menti occidentalizzate la pratica di creare uno spazio nostro, contrapposto ad uno spazio loro. Tutti hanno il diritto di mostrare, se lo ritengono opportuno, la loro religione. Si sostiene che per molte donne musulmane

portare il velo sia un'imposizione della famiglia; non è forse lo stesso quando una famiglia occidentale iscrive i propri figli ad una scuola cattolica? O quando le bambine sono obbligate ad andare a messa tutte le domeniche? Nella nostra cultura i simboli religiosi traboccano da ogni parte, nei luoghi pubblici come nei privati, dagli ospedali alle scuole (basta ricordare l'ultima polemica sul crocifisso nelle aule); e il battesimo, come mai non si è ancora aperto un dibattito sulla libera scelta del battesimo in età adulta? Sono molte le persone che si definiscono laiche o atee che sono state battezzate, che hanno fatto la comunione e la cresima. Ci definiamo appartenenti a stati laici, non abbiamo nessun obbligo a coprirci il capo con un velo, ma la chiesa ha un influenza notevole nelle decisioni politiche, nella cultura e nella quotidianità. È estremamente facile criticare l'altro senza guardarsi allo specchio. Il velo è sicuramente un simbolo molto visibile, molto più di un piccolo crocifisso appeso al collo. Sembra che in Francia il discorso sia stato "o tutti o nessuno" con la conseguente imposizione alle suore di non portare la veste nei luoghi pubblici. Le domande a cui non so dare risposta sono: perchè sentiamo questo bisogno di omologazione totale? E perchè sentiamo la necessità di criticare e spesso distruggere tutto ciò che è diverso? Cosa temiamo esattamente? E, ancora, perchè riteniamo retrogrado tutto ciò che non fa parte della nostra culla culturale? Caterina Gaeta

IL CERCHIO DELLE BESTIE ce l’ha con quelli più bassi del redattore e padre spirituale Mauro Andreani, la rubrica che tifa La Spezia, ma non odia Carrara. La rubrica che non è una rubrica, perchè parla di tutto, ma non parla di niente. Bentornati insomma in quel fantastico mondo fatto di voli pindarici, sgrammaticature e castronerie che rendono le sue previsioni meno affidabili di quelle del meteo e più deperibili di un cartone di latte intero lasciato aperto per una settimana.

Bentornati a tutti gli amici del Cerchio delle bestie: la rubrica cazzona di Riot, la rubrica in perenne ritardo con le consegne, la rubrica che non se la mena, la rubrica che

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Ariete (21 marzo – 20 aprile) Aprirete l’armadio e invece di trovarvi catapultati in un fantastico mondo fatto di leoni parlanti, talpe sovversive e fauni rincoglioniti troverete solamente l’ammasso di camice che avreste dovuto lavare… Mannaggia quanto è brutto quando i sogni non

si realizzano. Toro (21 aprile – 21 maggio) E venne il macellaio, che uccise il toro, che bevve l'acqua, che spense il fuoco, che bruciò il bastone, che picchiò il cane, che morse il gatto, che si mangiò il topo che al mercato mio padre comprò. Gemelli (22 maggio – 21 giugno) «Kaltxì. Nga-ru lu fpom srak?» Sentendo queste parole penserete che il vostro vicino di casa sia diventato croato o calabrese… e invece è in overdose di blockbuster, con volto cianotico: non perché Avatar, ma perché strangolato da pop corn. Cancro (22 giugno – 22 luglio) Sarete coinvolti in una rissa, e in una rissa #06-maggio 2010


Rubriche

Tutto quello che mi fa girare gli ingranaggi

Mi fa girare gli ingranaggi chi dà giudizi per inerzia, status o colore, pare un democraticissimo e senza usare ciò che lo distingue dagli animali. "Raimondo Vianello è popolare «vai a farti fottere un fascista". Infatti, quasi ingenuamente, il buon Raimondo difese a Sallusti». Facciamo finta che suo tempo i giovani di Salò, dimostrando secondo me un grande co- offendere Sallusti non sia poi raggio, più che un qualche colore politico (vi invito a leggere le sue così grave. Ma baffino! Tu difendi (o dovresti farlo) una categoria di persone che si suda il pane e il tetto sulla testa. Come puoi essere parole). Attenzione: stiamo parlando di giovani come noi, spesso ignari del coinvolto in faccende del genere? Ma la tua colpevolezza si palesa nel male per cui combattevano (a quei tempi non c'erano la tv, i cellulari e momento in cui, finite le argomentazioni, mi diventi maleducato. Hai Internet, solo “sentito dire”) pieni di ideali e di coerenza, che non han- toccato il fondo con un gran tonfo. Mi fa girare gli ingranaggi l’ormai no mollato fino all'ultimo, senza arrendersi. Mostri fascisti? No, solo ex ministro Scajola, che con la sua faccia di bronzo prova a convincerragazzi coraggiosi. Il Mostro è chi manipola queste coscienze, chi si ci della sua purezza inconsapevole riguardo alla questione “casa con serve di giovani puri ed entusiasti per i propri raccapriccianti ideali. vista Colosseo”. E con lui il premier Berlusconi, sempre solidale con gli evasori fiscali e i faccendieri, che sottolinea il grande Credo che il buon Raimondo (che comunque di sinistra senso dello Stato del politico di Imperia, mostrato con le non è mai stato...) abbia voluto difendere, almeno in dimissioni. Dimissioni da ministro ma non da parlamenquesta sua uscita, il coraggio e l'onestà di questi ragaz- Un democratico tare; un grande (non) senso dello Stato. La Lega prova zi. L'Umile è sempre in prima linea a pagare con tutto e popolare quello che ha, compresa la vita, per qualcosa che non «vai a farti fottere a farmi sorridere con le sue freddure, ma è solo un momento: «Il Nord non voleva l’Unita d’Italia». Tutti sanno è e che non sarà mai suo: e si becca pure dello stron- Sallusti» che è stata colpa di quei terroni di Mazzini, Cavour e Gazo. A volte dare giudizi semplici e netti è cosa rapida e ribaldi. Le vicende estere certo non mi tranquillizzano. rasserenante: ti fa sentire dalla parte giusta, uniti contro qualcosa di scomodo e senza pericolo di imbattersi in qualcuno di La "marea nera", un' enorme massa di petrolio si sta riversando sulle caro che non la pensa come te. Paura di essere isolato. Questo modo coste americane: tanti anni di guerra buttati nel cesso... Come bidodi fare, quello di chi non pensa o di chi non ha il coraggio di dire (anche nata finale mi indignerei, da buon borghese, su di una pratica oramai solo agli amici) COME la pensa, annienta l'individuo, lasciando il posto troppo di moda: I cartelloni con le maiale. Ora: se guidare implica ata piccole o grandi masse belanti. Che sia un fascista pure io? Olia a tenzione, non vedo perché quattro fregnoni debbano troneggiare sul dovere i miei ingranaggi immoti Massimo D'Alema: 60 anni senza mai retro di un autobus, nel mezzo di un incrocio o in qualsivoglia punto trovarsi una vanga in mano ma tanto tanto animo popolare, classico che la catturi. Palesemente mi ci cascherà l'occhio. E se faccio il botto, borghese capopopolo senza neanche uno schizzo di mota. Di recen- sarà pure colpa mia che guardo le donnine. Subdoli. te lo vediamo protagonista televisivo di una triste battaglia verbale, singolare per il fatto di trovarlo per una volta senza argomentazioni Inizio ad ipotizzare che la reale causa, l’epicentro del mio giramento , colpito nel vivo dal vicedirettore de Il Giornale Sallusti. Il giornalista, di ingranaggi, sia la gente, tutta o quasi. Mi sembra quasi di sedere in durante lo scontro, accosta il caso Scajola alla vicenda di Affittopoli una taverna dove tutti sono sbronzi, me compreso. del 1995 (nella quale baffino era coinvolto). Il democratico brizzolaBastiano to nega animatamente la similitudine tra i due casi lasciandosi scap-

non esistono nè vinti, nè vincitori, ma solo partecipanti tumefatti. Molto decoubertiano. Leone (23 luglio – 22 agosto) Nati sotto il segno di Balotelli siete indisponenti per natura. Attenti! Qualcuno potrebbe perdere la testa e colpirvi alle spalle violentemente. Vergine (23 agosto – 22 settembre) Sentirete un irrefrenabile voglia di fare il pizzaiolo e la asseconderete con soddisfazione. Bilancia (23 settembre – 22 ottobre) Sarete sconvolti da Chatroulette.com. Io vi ho avvertito.

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Scorpione (23 ottobre – 22 novembre) Non riuscirete a catturare quello che in principio considererete solo un grosso ratto che saccheggia la vostra cantina di salumi piccanti e formaggi muffosi, e che invece scoprirete essere nient’altro che il grafico di Riot, Maic Cotica Santella, italo americano ghiottissimo di cucina tipica molisana. Sagittario (23 novembre – 21 dicembre) Non importa se il vulcano islandese, che tutti chiamano Islandese perché il nome è impronunciabile (Eyjafjallajökull), impedisce il vostro volo per i Caraibi. Perché? Perché voi siete IRONMAN!!! Capricorno (22 dicembre – 20 gennaio) Andrete a vedere Scontro tra Titani. Pove-

retti, euri sprecati. Acquario (21 gennaio – 19 febbraio) È bello essere apprezzati, peccato che non vi capiterà mai. Pesci (20 febbraio – 19 marzo) Cari amici acquatici evitate vacanze nel Golfo del Messico ed eviterete la stupidità umana. Il “vostro” Bugiardo di fiducia Note informative: la carta su cui sono stampate le poche righe di oroscopo è intinta di tetraossosolfato di idrogeno, che secondo i miei vaghi ricordi di perito chimico altro non sarebbe che l’acido solforico.

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Logorama Commercial Pulp

Vincitore del premio Oscar 2010 per il miglior corto animato, Logorama è stato creato dal collettivo francese di grafica e animazione H5 (François Alaux, Hervé de Crécy e Ludovic Houplain), che già aveva diretto videoclip per Massive Attack e Röyksopp. In 17 minuti vi scorreranno davanti agli occhi 2500 fra loghi, mascotte e marchi di ogni tipo. Tutto! Dalle palme alle pistole, dai cactus ai pianeti, perfino una montagna che frana e un terremoto sono loghi pubblicitari. Una divertente caricatura del vizio più sfrenato che esista ai giorni nostri: comprare compulsivamente. Nella periferia di una grande città 2 sbirri devono interrompere lo strafogamento da ciambelle per inseguire un pazzo che sta seminando il panico per le strade alla guida di un furgone rubato.Già visto, in centinaia di film, serie e cartoni. Ma, come spiegano gli stessi autori, lo svolgimento della scena è solo il pretesto per far vedere con quanta abilità siano riusciti a infilare loghi e marchi ovun-

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Giulio Schoen Immagini dal corto Logorama

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vé de Crécy, uno dei 3 autori, afferma semplicemente che non avevano chiesto i permessi a nessuno. Dopo la serata degli Oscar però tutte le case citate chiamavano per complimentarsi e al massimo chiedere perchè loro e non altri.

que. E' chiaro anche un altro messaggio che mandano gli autori, e cioè che quel mondo animato, costruito e popolato dalle pubblicità non è poi tanto diverso dal mondo reale. Un ode al consumismo globale, senza critiche, solo la realtà dei fatti. La domanda che sorge spontanea dopo aver visto migliaia di loghi morire, sparare, dire parolacce, e provocare altre catastrofi è “quanto avranno pagato per il copyright?” Her-

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L' indovinello Vi trovate in una stanza e avete davanti dieci sacchetti ognuno contenente 300 monete rotonde. Sapete che 9 di questi sacchetti contengono monete d'oro mentre

in uno vi sono monete di latta dorata, le prime assolutamente indistunguibili dalle seconde. Sapete anche che le monete doro pesano 10g l'una mentre quelle di latta solo 9g. Nella stanza c'è una bilancia elettronica che potrete utilizzare una volta sola. Come fate a determinare quali dei 10 sacchetti contenga quelle di latta? La soluzione su www.riotvan.net

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Musica live:

Wassilij Kropotkin Matt king cola & The closed eyes

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