Riot Van speciale Writer Van #1 Post Scriptum

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Testata iscritta presso il Tribunale di Firenze il 12/3/2009, reg. n. 5707

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magazine indipendente gratuito

writer van 2015

Post Scriptum

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L'editoriale

Coordinate editoriali In questi anni a Firenze è emersa forte una scena letteraria. Se ciò è accaduto, in un contesto di generale sordità delle istituzioni e assenza di editori (con l’eccezione di Giunti che però finora si è mossa come una entità extrafiorentina), è stato grazie alle riviste autoprodotte: Mostro, fondata da D’Isa, Honnorat, di Magini e Salimbeni, Re:vista di Lisa e Raveggi, Collettivomensa, di Biazzo-PronosticoSalierno; sull’online la Slipperypond di AmmannatiMerlini-Orlandini. E più recentemente Riot van, che vi apprestate ora a sfogliare. Bolaño diceva che i capolavori sono come orchidee o sequoie, e che non si è mai vista una orchidea o una sequoia fuori da una foresta. Il campo letterario è questa foresta, e una scena letteraria vitale, e che continui a esser tale, ha bisogno di coltivare nuove leve, e lo fa permettendogli di scrivere e pubblicare quello che scrivono. Aiutarli nella stesura di racconti, spronarli a proseguire attraverso un processo di critica e confronto. A ciò si aggiungano i cambiamenti che negli ultimi anni hanno caratterizzato l’industria editoriale e le sue professioni. Gli smottamenti che si sono prodotti nelle case editrici, nei giornali e nelle riviste – causati dalla diffusione capillare delle tecnologie digitali – sono un memorandum fin troppo sonoro della necessità di ripensare non solo i mestieri della scrittura e dell’editoria, ma anche di mettere mano a una formazione adeguata, aggiornata e professionalizzante. Se è vero il refrain che “oggi pubblicare significa cliccare un bottone” è anche vero che per distinguersi dal rumore di fondo della sciatteria, bisogna possedere competenze a 360 gradi. Acquisirle è un passo indispensabile. Può non essere semplice per chi getti un primo sguardo verso il mondo della scrittura e del lavoro

editoriale orientarsi in quella selva che se talvolta può svelare un’orchidea, certamente dimostrerà la sua intricata natura di foresta. E i problemi, quando si vuole uscire da una giungla, sono tre: il tempo, l’orientamento e la coscienza dei pericoli. E a chi intenda scrivere o tentare l’avventura del lavoro editoriale, può risultare decisiva la piccola bussola e il bestiario minimo ricevuti in dono da chi da quelle parti è passato già. In questo intricato contesto nasce allora Writer Van: un laboratorio, una mappa, uno spazio fisico di crescita e confronto per studenti interessati tanto alla scrittura quanto al mestiere dell’editore. Affinché gli anni dopo la fine dell’università non distillino nella consapevolezza di aver corso contro un’illusione che inseguita senza strumenti resterà tale, in fondo il più prezioso dei regali che siamo in grado di fargli sono quelle poche coordinate che li aiuteranno a non sprecare il loro tempo. Vanni Santoni, Federico Di Vita, Gabriele Merlini, Effe, Riot Van 5


Indice I racconti

Gli autori

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Riot

di A. Kisvelt

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San Giovanni

di A. Falcone

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Cronaca di uno sgombero

di A. Pepi

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Con in testa solo la colazione

di C. Galletti

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Fluorescenza e percosse: rivolte mancate

di E. Tomassini

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La rivolta del tempo

di F. Betti

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Il tema

di G. Gera

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L'ospite

di S. Landi

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Cronaca di una ribellione silenziosa

di V. Mustardino

Illustrazioni Niccolò Gambassi

Hanno contribuito all'editing dei racconti: Anya Baglioni, Martina Lambiase, Stefania Lavagnini, Marta Moretti, Laura Simonetta

Numero finanziato da D.S.U. Toscana

Puoi trovare Riot Van anche qui *Soul Kitchen *Spazio Alfieri * Pastaio di Campo d’Arrigo *Feedback store *Cabiria * Pizzaman (Viale de Amicis) *Caffè fiorentino *Cuculia *Gusta panino *Pop *Volume *Da' Vinattieri *Pittamingolli *NOF *La Citè *Combo *Bevovino *Caffè letterario *Centro Java infoshop *Caffetteria delle Oblate *Gump *Danex Records *Circolo Aurora *Gold *Libreria Brac *Jazz Club *Mensa universitaria S.Reparata *Mosto dolce *Multiverso *Moyo *Société Anonyme *Rex *Public house *Dream store *Superdry *Verticale *The Hub *Ultra *Enoteca de’ Macci *Tasso hostel *Platz *Libreria Brac *La citè *Gallery *ZAP 6


Post Scriptum

Riot

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Riot di Al Kisvelt

per il trasloco. Niente. Io sono solo l’immagine trattenuta nello sguardo di questa guardia del corpo che fissa davanti a sé una figura vestita di nero, occhiali neri, seduta sulla sedia rivolta verso la finestra. Una sigaretta stretta tra le labbra. «Donne e macchine le ho guidate tutte con tenerezza e brutalità, dando e ricevendo il massimo piacere. Nell’appuntamento del dare e del ricevere, non si sa chi riceve e chi offre» dice. Parole che sembrano l’incarnazione di chi ha vissuto tra fumo, birra, donne e pochi soldi, senza preoccuparsi del perché si è figli di Gaia. Continua, e mi dà ragione: «Ho fatto tutto ciò che volevo, ho vinto e perso, guadagnato e rovinato vite.» Sembra avere dei rimpianti, e forse si pentirà quando incontrerà Cristo, ma per il momento è lontano. «Ehi fratello, da quant’è che sei la mia guardia del corpo?»

L’umanità è tormentata dall’immensità dell’eternità… «Tutto iniziò quando…» «Once upon a time…» «Il était une fois…» Iniziano tutte così. Oppure con la descrizione del protagonista. O ancora: “Storia! Raccontaci! Storia! Raccontaci!”, come si faceva in quel paese lontano, nel cuore della vecchia madre d’ebano e luce, prima che io avessi la barba. A volte lo scrittore s’inerpica in un descrizione del paesaggio, ma qui, dove sono io, non c’è niente di bello da descrivere. Non c’è un inizio degno di storia. Io, quattro mura, un armadio vuoto, un tavolino di legno e un posacenere, un telefono e una bottiglia di birra a metà, una sedia che guarda la finestra. Tutto bianco, come il pavimento. L’addetto alla sicurezza sta in piedi accanto alla porta, forse sono io, oppure sono uno degli uomini che vanno e vengono portando via sedie e scaffali 7


Riot

#1 Writer Van

«Cinque anni signore.» «Bene.» La sua risposta è imbottita di nostalgia, armonizzata da un sospiro, come fosse stanco della vita, del presente. Stanco di tutto e disinteressato, desidera solo fare un passo indietro e concedersi una pausa. Si ferma un attimo a fumare e bere un po’ di birra. Le sue dita sfiorano il telefono mentre l’aria si riempie con la voce di Johnny Cash che canta

il suo incontro col figlio di Dio e i suoi angeli: There ain’t no grave can hold my body down. Il fumo scappa dalla sua bocca e tradisce i ricordi che risorgono dalle tombe. Solleva lo sguardo, la guardia del corpo, e così passo con uno slalom attraverso le parole cantate dal vecchio cow-boy... ecco che sono il fumo. Salgo nell’aria chiusa della stanza, mi vesto dello sguardo dell’uomo vestito di nero e mi rendo con-

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Post Scriptum

Riot

to che non guardava la finestra, perché al di là, per lui, non c’è niente, se non i ricordi. Ci entro, faccio una passeggiata e indosso la sua anima. In lui ritrovo i ricordi. Uno di questi è una parola, un po’ di birra, una frase, di nuovo birra, un paragrafo, ancora di birra. L’uomo vestito di nero scrive. Dalla bocca spiegazioni letterali si scagliano contro quello che sono io: immagine negli occhi di una guardia, fumo nell’aria, anima nuova di un corpo sconosciuto che non so chi sia, ora affamato di scrittura e avido di storie da raccontare. Mi sono innamorato del foglio e dell’inchiostro: osservo e ascolto quel corpo parlare, muoversi da sinistra a destra, da destra a sinistra. Vaga nell’aula disegnando con la bocca opere passate, enunciando coi gesti le regole della vita dello scrittore. Parla a voce alta e animata, a voce bassa e affabulante ricorda le giuste vie per immergersi nella strada dell’inchiostro, della pagina bianca e del racconto. Dal fondo, gira per la stanza facendo grandi discorsi sui libri e sull’editoria. Di se stesso aveva sempre parlato come di un grande autore di capolavori. Sussultai sentendolo dire: «io.» È stata una cosa nuova sentirlo parlare di se stesso come di un comune essere umano. Invischiato nella sua memoria ho così scoperto che oltre al linguaggio del libro poteva anche usare parolacce e descrivere un istante come tutti: niente perfezione della forma, nessuna parola misurata, niente guizzi d’intelligenza. Oltre a declamare le proprie parole ad alta voce poteva essere introspettivo e sentimentale, e tacere quando non aveva più niente da dire. Un altro ricordo più grigio e sfilacciato mi fa scorgere in lui un essere giovane, niente di originale, solo un ragazzo che si è iscritto a un’università. Appare vestito semplice: una camicia e un paio di jeans, scarpe da ginnastica, uno zaino. La voce della guardia del corpo mi riporta alla realtà: esco dal vecchio ricordo, ritorno ad essere fumo, ad essere un’immagine, un colpo d’occhio. Aldilà della finestra ci sono case rivolte al cuore della vecchia dimora del Nicolaus Maclavellus: il Duomo fiorentino dorato nella sua sfera. «Signore, hanno finito il trasloco, rimangono solo sedia e tavolino. Possiamo andarcene ora.» «Ah, Ok...» rispose assente. C’era bisogno di silenzio per tornare alla realtà, al presente. Una volta in piedi, facendo sposare varie lettere dell’alfabeto dice: «Fratello, il ricordo si trova nel ritmo, lo sai?» «Un po’ signore.» «Stavo pensando a…» Entrambi pensano alla destinazione: lasciarsi dietro quei nove piani di cemento e acciaio. Ed io rimango nel corridoio, osservando questi uomini sicuri, coi loro gesti certi, prima di evaporare nell’aria, nella luce e nel suono, e diventare le ultime parole di questo racconto. 9

Al Kisvelt, detto Kis. Tedesco, di origine cubana, ha ricevuto il premio Nobel per la letteratura. Dante Alighieri del suo tempo, è entrato nel Guinness Book of Record per aver creato la nuova parola italiana "Pulmine, senza darne un significato. Non è un buddista visto che le sue arme preferite sono il sapere, la tolleranza (quando riesce) e il silenzio.


San Giovanni

#1 Writer Van

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San Giovanni di Andrea Falcone

morti, per allietare i vivi e testimoniare al mondo l'immortale genio toscano. Quei poveri guitti attaccavano bottone a tutti, discutendo di paradiso e buongoverno, di cannocchiali e antifascismo. «Eppur si muove» esordiva uno, indicando un cane seduto o una macchina al parcheggio. «Tanto gentile e tanto onesta pare» azzardava l'altro, salutando con un inchino una turista che non lo guardava affatto. La cosa non dava più fastidio delle proposte scurrili fatte da un gruppo di adolescenti, delle moine minacciose dei clown, o delle offerte casuali degli ambulanti. Come un colpo di cannone, l'esplosione di champagne che annuncia il varo di una nave, il boato dell'eruzione si confuse col primo fuoco d'artificio. Mentre l'attenzione di tutti era rivolta ai lanci pirotecnici, l'universo continuava a fare il suo mestiere. Lentamente, senza far rumore, le colate effusive si riversavano sulla collina. I sommovimenti del suolo preparavano da giorni (o forse

C'erano tutti: bucaioli e calcianti, turisti allegri, poliziotti tristi, anziani coi bambini o le badanti, suore, studenti la notte prima degli esami, militari, insieme a un esercito di camerieri, di artisti, comparse assoldate dal Comune, col cappello di Dante o la faccia di Savonarola, le alunne di una scuola canadese, la troupe televisiva di un canale culturale, un prete discusso, due sposine, molti cani, moltissime zanzare. Tutti quanti, dalle zanzare ai calcianti, volevano la stessa cosa: vederli. Tutti, tutti aspettavano i fochi. Qualcuno si lamentava del caldo, o dell'odore. In effetti, l'aria sapeva di peli strinati, aceto e uovo andato a male. In quella confusione, nessuno aveva notato la striscia arancione, lontana, che scendeva dalla collina. O forse qualcuno se n'era accorto, ma aveva scambiato l'evento per una delle iniziative collaterali volute dal Comune, riservandole il giusto grado di attenzione. Proprio come per la storia dei figuranti, costretti a vestire i panni di celebri fiorentini 10


Post Scriptum

San Giovanni

da mesi, secoli, millenni) il passaggio del magma verso l'atmosfera. La striscia rossa che tagliava la sagoma del colle si era fatta abbastanza nitida da destare qualche sospetto. «Sono macchine di pisani» disse una signora dal cappello fiorito «vengono a vedere i fochi, i grulli!». Iniziarono a sentirsi le sirene. «Dev'essere successo qualcosa» concluse un ragazzo smilzo con un sorriso allarmante «qualcosa di grosso!». Non aveva senso però occuparsene in quel momento, non prima del crescendo, del giglio, dei

colpi di cannone. Tutti aspettavano il gran finale, che non arrivò. Restarono a guardare il cielo. Il fumo continuava ad aumentare. L'odore di uova era pesante, l'atmosfera anche. Qualcuno, spazientito, urlò una bestemmia. La terra tremò. Apparvero diversi bagliori. Una parte della città si spense improvvisamente. Il vento iniziò a portare frammenti di cenere insieme al suono attutito di una radio locale. Trasmetteva una canzone di Battisti, La canzone del Sole. Fu allora che la gente decise di urlare. Il

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San Giovanni

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sosia di Savonarola parlò di fine del mondo. Quello di Dante paragonò la situazione all'inferno. L'imitatore di Galileo, esagerando, disse che non aveva mai visto nulla di simile - non su questa Terra, perlomeno. Da quel momento tutto andò peggiorando. L'indomani, si provò a fare una stima dei danni. Il nuovo Palazzo di Giustizia: colpito. Il convento di Sant'Orsola: affondato. Piazza della Libertà: una specie di stagno. Le linee del tram non ancora ultimate: tutte distrutte. Il fatto condusse rapidamente i cittadini all'isteria, cavalcata da quel pazzo di Savonarola. Il finto frate, forse per rivalsa sul Comune, forse per influsso del suo abito antico, realizzato dalle sarte di Prato, iniziò a parlare di punizione divina e riforma del mondo. È incredibile quanti furono disposti a dargli ascolto. Se è vero che le persone in punto di morte vedono la propria vita a ritroso, lo stesso può accadere alle civiltà prossime al tracollo. Così, nel giro di tre settimane, le antiche pietre fiorentine rividero in ordine sparso le loro glorie: roghi e duelli, una rivolta dei Ciompi, il Papa in visita, diversi crolli, un'alluvione, il colera e qualche altro morbo medievale, scene di vita promiscua in stile Decamerone, l'esodo dei fiorentini verso le case al mare, il centro storico conquistato da eserciti di nutrie e di piccioni. C'era addirittura un leone, chiesto in prestito mesi prima allo Zoo di Pistoia per celebrare il Marzocco, che spargeva il terrore tra i monumenti, fra resti rosicchiati di barboncini e gatti. A metà luglio, il sole splendeva su una città deserta. E così è rimasta. Firenze, Florentia. “Fiorente” come in passato, ma in tutt'altro senso. Una conca paludosa, dove le acque dei torrenti si mescolano per creare pantani e gorghi, offrendo a cinghiali e caprioli pozze in cui abbeverarsi, un rifugio naturale per gli uccelli e una tomba collettiva per bucaioli e calcianti, turisti allegri, poliziotti tristi, anziani, suore, studenti, santi... 12

Andrea Falcone non è d'accordo, generalmente parlando. In particolare non è d'accordo con quanto vede in giro, con quel che legge in treno, con quel che scrive lui stesso. Spigolosissimo nei suoi centocinquanta centimetri di statura, pare l'immagine stessa della critica e del dissenso. A suo agio solo sui mezzi di trasporto, va moltissimo a teatro, ma anche al ferramenta o al supermercato. Se trova chiuso, tanto meglio.


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Cronaca di uno sgombero

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Cronaca di uno sgombero di Annalisa Pepi

improvvisato dentro un bidone di latta. Claudia ci tiene sveglie aggiornandoci sui destini di tutti quelli che da anni non si vedono più in giro. Ci chiediamo se nell’entusiasmo generale ogni via d’accesso sia stata blindata: catene e lucchetti sono al loro posto e si fa l’alba. I primi reduci si svegliano, sconvolti perché Lelo ha russato come un trattore per tutta la notte. Alle 7 ci attiviamo: c’è chi si prepara in assetto da “bella lavanderina" per pulire, chi con tute blu da operaio per mascherarsi e poter liberamente armeggiare con quadri elettrici e tombini idrici. Alcuni di noi aprono il cancello per tornare a casa ad occuparsi degli animali: i cani nessuno se li è portati dietro e in più qualcuno alleva pecore capre e polli. Appena apro il lucchetto mi si parano davanti quattro carabinieri in divisa e due con cappotto e coppola. Rapida tento di far scattare di nuovo il lucchetto per chiuderlo, ma ha una strana forma a mezzaluna e gli anelli delle catene continuano a

Riferimenti a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è da ritenersi tristemente verosimile. In abiti scuri ci avviciniamo al cancello d’ingresso e lo spalanchiamo, poi apriamo la porta del primo edificio della sala da pranzo e della sala concerti, infine un furgone porta dentro fornelli, il generatore per l’elettricità e il necessario per sbarrarci. Dopo mesi di assemblee a dicembre riapre lo SpazioRigeneratoAutogestito di una provincia dormitorio dove non c’è niente a parte il Toscanello, la festa paesana del vino. Occupare uno stabile abbandonato da vent’anni per questo è uno scopo nobile. Parte la festa! L’euforia è palpabile, gli occhi brillano e i sorrisi si sprecano. Presto i primi cedono per la stanchezza e il piano terra degli ex uffici diventa una distesa di sacchi a pelo. Resistiamo in sei donne, sfidando il freddo pungente per tutta la notte intorno a un fuoco 13


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scivolarmi di mano. In tre iniziamo un’Ave Maria di bestemmie che accolgono la spallata degli agenti. Il cancello si spalanca, quelli entrano e ci intimano di andarcene perché, se non ce ne fossimo accorti, quello che stiamo facendo è illegale. Mi ritrovo a riflettere sul fatto che oggigiorno il pensiero critico è una pratica abbandonata al pari della battitura a mano del grano e quindi per tutti ciò che è illegale è anche sbagliato e moralmente

scorretto. Mentre osservo gli sbirri, penso che dovrebbero avere un prete in dotazione per redimere chi, come noi, ha perso la retta via; ma il sarcasmo non aiuta: dopo nemmeno 24 ore già ci stanno sgomberando. Nessuna denuncia: la polizia è lì solo per acuto senso del dovere. Raccogliamo tutto e ad aspettarci ci sono già un po’ di amici disposti lungo la Via Aretina ad osservare dall’alto gli sbirri che si

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Cronaca di uno sgombero

preparano a richiudere lo stabile appena sgomberato. Dalla strada sorgono grida e applausi rivolti al tetto degli ex uffici: sei dei nostri hanno raccolto coperte e viveri e si sono sprangati lassù. L’idea è resistere a oltranza. Sbirri e municipale si demoralizzano, ma continuano a piantonare il posto. Arriva anche la Digos: loro offrono un epilogo senza denunce, noi però vogliamo lo spazio, perciò cessa il dialogo. In paese tentiamo di smuovere gli animi, ma rimangono tutti indifferenti: c’è la coop aperta, gioca la Viola e “comunque gli spazi si pagano”. Un po’ mi stupisco: credevo che almeno la curiosità (se non la solidarietà) avrebbe alimentato il presidio e invece da una certa ora in poi non arriva più nessuno. Si presentano solo due “compagni” arrivati da Pistoia e mi chiedo quand’è stato, finiti gli anni della scuola, che mi sono ritrovata a chiamare “compagno” qualcuno. Al tramonto accendiamo un falò mentre gli sbirri iniziano a bruciare copertoni e plastica varia (almeno noi eravamo ecosostenibili). Ogni tanto scendiamo al cancello per fare un po’ di casino e qualcuno con aria nostalgica rammenta la Val Susa. Qui però siamo a Pontassieve e nessuno, nemmeno i giovani, ha il minimo interesse a far rivivere spazi in disuso: per molti la vita finisce al pub il sabato e alla partita la domenica. All’alba l’ultimatum: sgombero e niente denunce; ma in Italia anche stare su un prato è reato e arrivano due camionette della Celere da Firenze per disperdere il presidio. Davanti ai soldatini in assetto anti sommossa, col megafono diciamo di scendere a quelli sul tetto. Dopo poco ce ne andiamo infreddoliti, sognando di ritentare più avanti. Il dopo guerriglia merita una tisana davanti al caminetto acceso: qualcuno è soddisfatto della resistenza strenue, io sconsolata sorseggio l’infuso di melissa e timo pensando che volevamo un posto che non fosse casa nostra e alla fine dei conti, continuiamo a non avercelo. Dal divano assistiamo al disperdersi delle forze. Il lavoro, il Sud America, gli animali a casa sono le nuove priorità e tempo per la “rivoluzione” ce n’è sempre meno. Talvolta capita ancora di pensare che sarebbe bello averci quel posto lì: adesso che non si sa ancora dove andare, dove incontrarsi, anche se, o forse soprattutto, ora non si ha più vent’anni. 15

Annalisa Pepi dopo aver ricevuto il premio fedeltà dalla facoltà di lettere di Firenze per i numerosi anni di studio spesi per una triennale si è ritirata a vita privata in campagna fra capre cani e galline a cui parla in romagnolo


Con in testa solo la colazione

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Con in testa solo la colazione di Clara Galletti

ché quando la tazza le scivolò sul tetto, non riuscì a prevedere le conseguenze di quell'evento. Il riflesso la portò a sporgersi in avanti, ma l'istinto di sopravvivenza la convinse a tornare indietro. Si precipitò giù per le scale raggiungendo la strada col fiato sospeso e con il timore di aver centrato in pieno la testa di un passante. «Mi avrebbero preso. Se avessi fatto anche solo un altro passo in avanti, mi avrebbero preso. Sono così poveri che adesso ci uccidono con le tazze» sentì urlare da dietro l'angolo. «Mario! Mario! Ma dove sei andato? Mi vuoi aiutare? Dobbiamo chiamare subito la polizia: questi sono terroristi. Pensavano di farmi fuori così, ma non sanno con chi hanno a che fare. Ora prendiamo tutti i pezzi e li portiamo in commissariato», sbraitava la donna

Aveva visto il sole e aveva deciso di fare colazione sul tetto. Dato che abitava all'ultimo dei cinque piani del suo palazzo, dal suo appartamento era piuttosto facile raggiungere le tegole e non le costò alcuno sforzo sedersi lassù con il suo tè e i suoi toast al formaggio. Sorseggiava la bevanda calda e pensava a quanto fosse curiosa la prospettiva da quel punto di vista: adesso poteva vedere il fiume, il centro commerciale, il chiostro interno di un convento, ma al contrario non poteva nemmeno scorgere i negozi nella via sottostante o il portone della casa accanto. Aveva assecondato il richiamo del sole tante volte, tuttavia fu proprio quella colazione a farle capire che per riuscire a guardare lontano aveva rinunciato alle cose vicine. Ecco per16


Post Scriptum

Con in testa solo la colazione

raccogliendo la tazza in frantumi. «Seh, seh, i terroristi. Certo» rispose il signore che si era già incamminato, lasciando indietro la donna che gli stava ancora parlando. Essendo la prima persona che la ragazza incrociò per la strada, gli fece un cenno con la mano e gli disse: «Vorei escusarmi con voi, estavo facendo colaccione e…», ma l’uomo non le lasciò finire la frase. «Vai! Corri! Torna in casa, prima che ti veda. Non ti preoccupare, tanto non si è fatta niente; se poi scopre che sei straniera, qualcuno si farà male sul serio».

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Clara Galletti colleziona fototessere. È iscritta a lingue per giustificare le sue fughe all'estero. Nel tempo libero si fa di blog e serve pizze. Aspira a diventare rumorista.


Fluorescenza e Percosse: Rivolte Mancate

#1 Writer Van

#5 Fluorescenza e Percosse: Rivolte Mancate di Enrico Tomassini

futuro. Conquisteremo i muri di questa città. Le strade. I ponti. I palazzi. Chi siamo? Che Importa? Minaccia?” Ogni percossa: un'accelerazione caotica e sinaptica. Continua a vorticare su se stesso in una penombra di cristalli liquidi da 27 pollici, un bottone di accensione ed un topo fluorescente. “Prenderò in mano la situazione, sorprenderò le mie timidezze, i miei pensieri più bui”. Percussioni sorde e pettorali; poi silenzio. “Dlin” squilla distorto un apparecchio digitale e poco umano. “Chi sarà? Chissà, magari è lei?” Si siede. Il topo e i tasti: disarmonia ritmica. “E' quello scemo di Bernardo, chissà forse alla festa. Lascio stare tanto non mi vede...” Alla destra un piccolo mobiletto. Tira fuori carta e penna. Penna che struscia sulla carta ruvida. Butta giù parole disconnesse ed ubriache, alla voglia di rivalsa si sostituisce una cupa malinconia. “È il mio compleanno, non che me ne importi molto...” Mente al foglio e a se stesso, con carattere maiuscolo e tratto lento. Si sente solo per un momento. Si gira. Batte sui tasti. Orbite rosse ed infiammate spiano profili virtuali. “Bella la Ludo è sempre cosi sorridente. La Chiara, circondata da

“Domani comincerò ad andare in piscina! Domani comincerò ad andare in piscina! Domani... In Piscina”. Batte sui tasti. Una luce bianca gli illumina il volto. “Chiederò il numero alla ragazza della biblioteca. Adoro quella ciocca di capelli che le cade sulla fronte con tanta armonia, la sensazione disarmante di incrociare i suoi occhi grandi. Palpebre che schioccano. Schiok. Immobilizzandomi”. Batte sui tasti. Si alza percuotendosi il petto. Le scimmie? Genia ancestrale. Si siede. “Lo sento, ci sono dentro. I tempi d'oro di Firenze degli ultimi 50 anni? Anzi degli ultimi 600 ... Di passatismo, qui, si vive, ci si nutre, senza porgere timpano a altra vibrazione, ben distratti. Forme urbane antiche sono i nostri confini. Orgogliosi e fuggitivi vaghiamo fra palazzi storici e tentativi sconnessi di espansione.” Batte sui tasti. “Che sto dicendo? Che importa?”. Si alza ancora percuotendosi il petto. Rumori sordi e veloci. Vortica su se stesso. Pensieri sinceri, megalomani e bastardi, si fanno avanti. “Bazzecole! Gli faremo vedere: gli farò vedere di che pasta siamo fatti. Il web? Relazioni liquide e discontinue; saranno il futuro? Sono il 18


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Fluorescenza e Percosse: Rivolte Mancate

amici. Francesco è proprio un figo, una tale tranquillità. Esplode anche lui dentro?” Batte sui tasti. Si sente solo, acciaccato da una serata di birre, canne e sigarette. Si alza, apre l'anta della finestra si appoggia con la schiena allo spigolo vivo. Le labbra sorreggono una Camel, l'accende. La fiamma, viva, gli illumina il volto. Tanto in paranoia e sballato quanto in realtà innamorato di ogni singolo respiro, sputa sull'aiuola del suo giardino. Il sole sta sorgendo. Il rosso tiepido del cielo e il rosso tiepido del suo sangue. Lui non ci crede ma è vero: un vento caldo da Sud-ovest arriverà. Inspira ed espira profondamente. La rivolta è di una vita, vien giornaliera e non se ne va. 19

Enrico Tomassini, di piccola statura e capelli folti si diletta a scrivere di stati d'animo temporanei e forti. Di solito immortala momenti di vita con la sua reflex e scrive di stralci di vita altrui. Ha deciso di partire per i lidi lontani del Latino America per qualificarsi come cine-documentarista, non sa dove finirà ma la scrittura, la carta e la penna rimangono amiche fedeli sia dei momenti più bui che dei più brillanti.


La rivolta del tempo

#1 Writer Van

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La rivolta del tempo di Federico Betti

Roma 1999 Il suono dei tamburi riecheggiava per le vie stracolme di persone che marciavano compatte verso Piazza Santi Apostoli dove si sarebbe svolto un comizio organizzato dagli studenti. Migliaia di giovani urlavano slogan. Per Caterina tutto era nuovo e non sapeva dove guardare. Aveva sedici anni ed era la prima volta che partecipava a uno sciopero studentesco. Era lì con Miriam, l’amica di sempre, una ragazza non attraente ma simpatica, sempre circondata da ragazzi con cui raramente concludeva qualcosa, a differenza di Caterina, più carina e difficile da avvicinare. Le due condividevano tutto e quel giorno avevano deciso di fare la loro prima forca a scuola per partecipare alla manifestazione. Parlavano poco a causa del rumore assordante e si limitavano a camminare, fumando quello che capitava. «Ehi, quello è Giulio!» urlò Caterina. Miriam si

sporse cercando d’individuare il ragazzo tra le migliaia di persone. «Quello là con il megafono, lo vedi?» disse Caterina indicando un gruppo di universitari più avanti nel corteo. Era un ragazzo con qualche anno più di loro che frequentava il primo anno di Scienze Politiche. Giulio era un amico di famiglia di Caterina e si conoscevano fin da bambini. Caterina era sempre stata attratta da quel ragazzo, col tempo però le loro famiglie avevano perso i contatti, ma il sentimento che provava per lui non era mutato. «È’ quel ragazzo di cui ti avevo parlato. Non lo vedo da anni!» disse Caterina. «Vai a parlargli» suggerì l’amica. Caterina prese coraggio e si avvicinò: «Ciao Giulio». Il ragazzo si girò e le lanciò uno sguardo interrogativo. «Sono Caterina Magazzini, da piccola venivo a casa tua con i miei genitori, ricordi?» cercava di rinfrescargli la memoria. «Ah certo, ricordo! Caterina…» esclamò, riuscendo a superare lo stordimento e a fare mente locale. «Che ci fai 20


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La rivolta del tempo

#1 Writer Van

qui?» chiese dopo un breve silenzio «Manifesto», rispose lei. L’atteggiamento indifferente del ragazzo la innervosì. Fece per andarsene quando un rumore sordo la fece sobbalzare. «Cazzo gli sbirri caricano» urlò Giulio «Via via!» Tutti cominciarono a correre nella direzione opposta e lei si ritrovò persa in quella folla. Terrorizzata rimase immobile, finché non si sentì tirare e si ritrovò tra le braccia di Giulio: «Roberta s’incazza se non ti riporto a casa viva» le disse, mostrando di ricordare anche il nome della madre di Caterina. I due corsero via tra le camionette della Polizia che inseguivano i manifestanti. Giulio la spinse dentro a una porta che richiuse dietro di sé. «Dove siamo?» chiese spaventata lei «Non ne ho idea, basta stare lontano dagli sbirri» rispose, fissandola. «Ti sei fatta davvero bella lo sai?» aggiunse. «Lo so» rispose lei. Poi, d’improvviso, si baciarono come soltanto due ragazzi che sognano di cambiare il mondo sono in grado di fare. Passò molto tempo prima che tornassero a vedere cosa fosse accaduto fuori. Milano 2015 Giulio si guardò intorno e contò i presenti: poco più di una cinquantina. «Una miseria» pensò cupo. Gli appelli alla partecipazione erano girati ovunque ma alla fine erano sempre i soliti quelli che si presentavano alle manifestazioni. In questo caso però si trattava di una contromanifestazione, l’obiettivo era quello di andare a disturbare le sentinelle in piedi, un gruppo di fascisti che protestavano contro le aperture del governo per i diritti degli omosessuali. Non che a Giulio interessasse l’argomento, semplicemente gli avevano chiesto di andare a fare un po’ di casino e lui raramente si tirava indietro. Attesero qualche minuto sperando di recuperare qualche ritardatario. Partirono con tamburi e slogan diretti verso piazza Sempione dove si trovavano le sentinelle. Le forze dell’ordine li aspettavano, consapevoli che quel genere di manifestazione attirava sempre gruppi di antagonisti. Quando i manifestanti entrarono in contatto con la Polizia, Giulio riuscì a divincolarsi e raggiungere le sentinelle. «Stronzi!» gridò a perdifiato in faccia ai fascisti «Siete tutti stronzi!» continuò passando in rassegna quelle persone che subivano in silenzio il suo sfogo. «Troia!» urlò raggiungendo una donna sulla trentina elegantemente vestita. Si ammutolì. «Caterina sei tu?», chiese sconcertato all’indirizzo della donna. Lei lo guardò incerta, poi parve ricordarsi di lui: «Giulio! Che diavolo ci fai qui?». Anche questa volta non fecero in tempo a proseguire: i centri sociali erano riusciti a sfondare e a invadere la piazza mentre Carabinieri e Polizia li inseguivano brandendo manganelli. «Via via!» urlava la gente, e tutti abbandonarono le proprie posizioni per cercare un riparo sicuro. Giulio e Caterina si trovarono ancora a correre vicini e stavolta fu lei a trascinarlo dentro un palazzo signorile di Milano. «Che diavolo ci facevi lì a urlare come un pazzo?» chiese lei. «Che ci facevo io? Ma guardati, col tuo bel 22

vestito di marca accompagnata da quell’esercito di moralisti stronzi, dovrei essere io a chiederti cosa è successo alla Caterina di un tempo» rispose Giulio. «Sono cresciuta, ecco che mi è successo. Tu invece no a quanto pare» lo sguardo intenso di Caterina e il suo tono sprezzante fecero incazzare Giulio che ebbe un attimo di esitazione, poi la baciò con rabbia. Lei rispose malvolentieri. Intanto fuori il mondo cambiava continuamente.

Federico Betti fondamentalmente non si sta troppo simpatico ma cerca di sopportarsi. Dopo decenni di studi ha deciso di abbandonare tutto per andare a vendere gelati in Alaska perché gli sembrava un’idea intelligente. Per fortuna scrive solo quando si annoia.


Post Scriptum

Il tema

#7

Il tema di Giulia Gera

La verità è che io non sopporto le imposizioni, i paletti, le strade già tracciate, non nella vita in generale (anche se poco pure in quella), ma nel mio mestiere, nel flusso di pensieri che solitamente dà vita alle storie, non posso accettarlo, non riesco ad accettarlo; la mia creatività si ribella in automatico e smette di comporre nel preciso momento in cui fiuta un qualche vincolo, incrocia le braccia e mi lascia solo con la mia frustrazione. Cavatela amico, sembra dire, c’era un accordo fra di noi, voglio vedere che combini senza di me! Riguardai la storia sperando di trovarci qualcosa di buono, ma la verità era che faceva davvero pena, e se non piaceva a me, come potevo pretendere che altri la apprezzassero? Avevo provato a forzare il tema assegnatomi, a chiedere anche una specie di deroga all’editor, ma lui era stato irremovibile e la mia gastrite era degenerata. Un’ulcera non me la toglieva nessuno stavolta! Guardai l’orologio: le tre del pomeriggio del 12

Non avrei mai consegnato quella roba. Fissai il foglio che tenevo in mano, tremila parole scritte in Times New Roman come richiesto, e un conato di vomito diede voce ai miei pensieri. Non potevo consegnare quella cosa, anche se sarei finito nei guai, io non potevo. Rilessi quel maledetto pezzo di carta, un raccontino che avrebbe dovuto andare a far parte di una raccolta di lavori di scrittori non emergenti ma quasi, promossa da un’importante casa editrice come atto di beneficenza (verso di noi ovviamente). «Cos’è questo?» mi aveva chiesto l’editor quando gli avevo consegnato le prime bozze. «Il mio lavoro» avevo risposto poco convinto, consapevole che quell’aria di disgusto che troneggiava sulla sua faccia era da giorni stampata pure sulla mia. «Mi prendi in giro?» mi aveva accusato rendendomi lo scritto. Mi ero limitato a scuotere il capo amareggiato. 23


Il tema

#1 Writer Van

marzo. Mancavano meno di ventiquattro ore allo scadere della consegna e io non avevo partorito niente che reputassi degno di finire su carta. Maledizione! Maledizione! Maledizione! Passai una notte insonne, agitata, piena di tachicardie e bruciori di stomaco. Il soggetto che mi era stato assegnato vorticava nella mia mente angosciandomi. Niente, non mi veniva in mente assolutamente niente. La mattina dopo, con un’ora di sonno in totale, mi trascinai sconsolato fuori dal letto e mi vestii. Saltai persino la colazione da quanto ero amareggiato. Lessi nuovamente il mio racconto e senza accorgermene lo accartocciai e lo gettai nella pattumiera. Assolutamente no, pensai, sapendo quanto quel gesto mi sarebbe costato, ma proprio in quel momento mi si accese la famosa lampadina. Eureka! Corsi al computer, aprii un nuovo documento, impostai il carattere e la spaziatura richiesti e scrissi velocemente ciò che avevo in testa, lo stampai e mi precipitai fuori. Mi sentivo libero, sereno, un vero rivoluzionario, e questa sensazione non aveva prezzo. «Stai scherzando?» esclamò l’editor guardandomi in cagnesco. Risposi di no provando a mantenere la calma, mentre tante goccioline di sudore scendevano lungo la mia schiena. «Lo scrittore» lesse a voce alta «consegna, sotto la propria responsabilità, il manoscritto in bianco, non avendo trovato altro modo per espletare il tema richiestogli». Lasciò cadere il foglio sulla scrivania come se bruciasse e tornò a guardarmi. «Beh» osservai tentando di apparire sereno, ma sicuro che presto sarei stramazzato al suolo con un infarto in corso «in fondo il tema era la rivolta, no?» . 24

Giulia Gera (Borgo san Lorenzo, 1989) infermiera mancata, laureanda in filologia moderna, squattrinata. Vive di cibo e libri, ha una relazione stabile col suo letto (sebbene lo tradisca col divano) e un divorzio in atto con la tecnologia; le parti sono ancora in cerca di un accordo soddisfacente per entrambe


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L'ospite

#8

L’ospite di Mirko Grassi

proprio non riuscivo a chiuderla. Furono gli ultimi ad uscire mentre io e Jimmy poco dopo ci addormentammo. Mi svegliai, mi alzai dal letto e aspettai che gli occhi si abituassero al buio e avanzai lentamente, cercando di far meno rumore possibile. Dopo pochi passi mi trovai vicino al letto dove dormiva Jimmy e lo superai, fino ad arrivare di fronte alla porta d’ingresso, pronto ad uscire. Lasciai la stanza e percorsi il corridoio dell’hotel, attraversando la porta con il maniglione antipanico rosso posta all’incirca a metà del corridoio. Raggiunsi la mia stanza. Era l’ultima del piano. Bussai, una, due, tre volte. «Sono io» dissi a bassa voce. Niente. Nessuno dei miei compagni di stanza aprì o diede segni di vita. Decisi allora di tornare nella stanza di Jimmy. Mentre mi incamminavo, uscì da una stanza quell’odioso professore di matematica che ci faceva da accompagnatore. Trascinava la came-

«Ciao, posso sedermi?» chiese con la sua dolcissima voce. «Sì» risposi sorridendo. Guardai l’orologio. Era la prima volta che parlavo dopo 152 giorni 11 ore 21 minuti 15 secondi. In un attimo era riuscita a farmi sputare fuori sei mesi di ossessioni, disordini ed enigmi interiori. Riuscì a sbloccarmi. Era il 13 marzo 2009, prima serata della gita scolastica a Monaco della 2^C. Tutto iniziò dopo un festino alcolico nella stanza di Jimmy, dove ci ritrovammo per dare inizio alla prima indimenticabile notte della gita. Troppo sbronzo, verso mezzanotte, dissi a due miei compagni che li avrei raggiunti nella nostra stanza più tardi. Una volta usciti chiusero la porta. Una porta bianca con un pomello d’oro, che io non riuscivo mai a chiudere, non capivo il funzionamento a scatto del pomello. La manualità non è mai stato il mio forte e quella porta 25


L'ospite

#1 Writer Van

riera bionda e con le trecce che ci aveva servito la cena, completamente nuda, macchiata di sangue dappertutto e con un paio di manette ai polsi. Il professore si portò l’indice della mano destra alla bocca in segno di silenzio e continuò a trascinare il corpo che lasciava scie di sangue fino all’ascensore alla fine del piano. Io rimasi a guardare, paralizzato. Entrò nell’ascensore e la porta si chiuse. Fu a quel punto che corsi a tutta velocità in camera di

Jimmy e chiusi la porta alle mie spalle. «Cazzo non si chiude!» Ci provo e ci riprovo, ma niente. Mi svegliai. Mi alzai dal letto. Ripensai subito a quello strano sogno che avevo fatto. Aspettai che gli occhi si abituassero al buio e cominciai a farmi spazio all’interno della stanza, cercando di non svegliare Jimmy. Volevo far spazio soprattutto nella mia testa per rendermi conto di ciò che era o

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Post Scriptum

L'ospite

non era successo. Avevo però ancora i postumi della sbornia e mi girava la testa. Era chiaro solo che i miei occhi si erano ormai abituati al buio e che nutrivo un forte bisogno fisiologico: dovevo fare la pipì. Arrivai, senza far rumore, di fronte al porta del bagno, posta alla sinistra di quella d’ingresso. Era aperta. Quella fottuta porta d’ingresso, che non riuscivo mai a chiudere, era aperta! Jimmy disse di aver controllato che la porta fosse chiusa dopo che i miei compagni di stanza uscirono: ed era chiusa. Quest’evento cambiò profondamente tutta la mia vita. Da quel giorno non parlai più. Il professore di matematica continuò a spiegare le equazioni a lezione e non ho la minima idea di che fine abbia fatto la cameriera. Non ho idea di cosa sia realmente successo quella sera. Mi trovavo al confine tra sogno e realtà, verità e silenzi, tra la mia vita e quella di un complice di un omicidio. Ospitavo un segreto, un orribile segreto che mi traumatizzò e mi rese completamente muto. «Ciao, posso sedermi?» Scusami ma io non parlo. Questo avrei dovuto scrivergli in un pezzo di carta, visto che questo era il modo in cui comunicavo. Ma la possibilità di una realtà, una nuova realtà fino ad allora solo sognata era troppo grossa per lasciarsela sfuggire. Lei era reale. Ci fu una sommossa dentro di me. Quella splendida ragazza con i capelli biondi e gli occhi azzurri era l’unico senso che avevano i miei lunedì, mercoledì e venerdì da sei mesi a questa parte, in attesa delle sedute dallo psicologo (la soluzione, per mia madre, ai miei problemi). L’avevo notata subito. Come non potevo: era bellissima. Chi l’avrebbe detto che lo strizzacervelli che mi avrebbe dovuto guarire all’interno di quel grigio e angosciante studio, in realtà, mi avrebbe portato alla cura? In un piccolo e poco frequentato bar di fronte allo studio, dove aspettavo l’ora dell’appuntamento prendendo un caffè, c’era la soluzione al mio disagio, la voce dei miei silenzi e la medicina con il nome meno strano che avessi mai sentito. Lara, si chiamava Lara. «Ciao, posso sedermi?» ripeté. Forse avrei dovuto raccontargli tutto questo, ma mi limitai ad un sì. Sì, da quel momento in poi tutto cambiò. 27

Mirko Grassi è nato in cattività il diciassei febbraio 1972. Idolatra malinconicamente Andrea Cambi e ama qualsivoglia demenziale non senso. Artista navigato, scrive per trasmettere il suo verbo dimenticando articoli e congiunzioni. Non ha resistito al fascino di apparire simpatico pur non essendolo.


Cosmogenesi postnucleare

#1 Writer Van

#9

Cosmogenesi postnucleare di Simone Landi

per l'eternità.» Finì così, o forse era appena cominciata, l'era dell'onda. Ginny aveva notato la commozione delle persone che le stavano a fianco quella sera, anche lei un po' si era emozionata. Aveva solo tredici anni, tredici. Allattò il suo piccolo: gli occhi verdi erano identici a quelli della madre, solo più allungati. Tutto del bebé le ricordava le terribili esperienze degli ultimi diciotto mesi: l'occupazione cinese, il rapimento, la paura, il freddo. Nonostante tutto, non sopportava doverlo lasciare così presto. La calda voce dell'insegnante la strappò da quei pensieri: «Autocratico è quel sistema di governo che lascia un potere assoluto a un sovrano, che lo esercita come meglio crede. Il governo universaldemocratico invece garantisce la perfetta uguaglianza tra tutti i cittadini del mondo, che prendono decisio-

«È lui, il nostro salvatore!» gridò un giovane entusiasta dalla folla. Nessuno pensava di perdersi un evento tanto importante. Il mondo intero era radunato alla Piana, un’enorme fossa lunga svariati chilometri, prodotta dall'ordigno più potente mai utilizzato. Il pubblico applaudì con vigore all’accecante gioco di luci puntato sulla stella più brillante del firmamento il cui volto scuro s’illuminava a intermittenza e la giacca luccicava come se fosse ricoperta di diamanti. La voce echeggiò dalle ceneri: «Oggi si apre finalmente il nuovo millennio dell'ordine, in cui è bandita l'iniquità e la guerra. Oggi una nuova era è inaugurata per l'umanità intera, imbattiamoci tutti insieme in un percorso di rinnovata solidarietà. Oggi davanti a noi giace un futuro di pace e di prosperità per il genere umano, prima diviso da false bandiere e confini immaginari. Oggi tutti i popoli sono uguali e saranno riuniti 28


Post Scriptum

Cosmogenesi postnucleare

ni, nel loro piccolo, per l'intero pianeta.» Nel modernissimo Leon Trosky Institute, che offriva ospitalità a molti giovani soli come lei, la lezione era un interminabile strazio. «Potete andare al laboratorio di lingue già. Zàijiàn nǚhái.» Nel momento in cui gli alunni abbandonarono la classe, Ginny mise il bimbo nella sua culla e una delle compagne si rivolse a lei con fredda ironia: «Quando imparerai un po' di cinese cosa chiederai al tuo fidanzatino? » «Sei una sporca nazista» le rispose Ginny tiran-

dola per la treccia «hai visto cosa è rimasto della Terra per gli arroganti come te?» «Smettete di frignare ragazzine, volete essere sbattute a lezione di letteratura?» Le due giovani donne rabbrividirono, si abbracciarono con dolcezza, la loro vicinanza le allontanava dallo spettro dell'umiliazione. Chiang girava per la Carolina con i mezzi che trovava, spesso erano vecchie macchine in città deserte.

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Cosmogenesi postnucleare

#1 Writer Van

Lo accompagnavano la divisa lacerata dell'esercito cinese, il volto stremato di cicatrici e il capo ormai calvo nonostante la giovane età. Quando trovava un centro disabitato andava alla ricerca di cibo, biancheria pulita e qualche libro. Il problema era sempre lo stesso, l'acqua. Era insoddisfatto dell'America. Doveva essere un bellissimo paese, così aveva letto. Nel rifugio antiatomico gli passarono in mano moltissimi autori, dalla dolcezza lirica di Whitman alla pazzia visionaria di Dick. Leggere ricordava ai sopravvissuti le buie notti da incubo, per il giovane, al contrario, era stato l'unico contatto con la vita umana e, da allora, adorava farlo. In quella che un tempo era una terra giovane e verde Chiang incontrò un signore barbuto di una certa età, seduto sul ciglio della porta di una villetta. «Non ha una maschera? L'aria qua è ancora pesante, presto potrebbe piovere...» «Giovanotto, io come te, già siamo stati segnati dal destino...» Chiang chiese se aveva qualche libro da regalargli. La rivoluzionaria poetica di Pound proprio non gli piaceva. «Ero professore di università io» ripeteva l'uomo. «Il resto del paese come va?» aggiunse. «Non così male.» Il cinese si sentiva sempre in colpa, i crimini di guerra perpetrati a civili, per la maggior parte a donne e ragazzine, erano squarci terribili nel suo cuore. «Sa, i superiori mi hanno ordinato di compiere delle oscenità orribili» si mise a raccontare Chiang all’unico essere vivente incontrato nelle ultime due settimane, «ora, ovunque, è tornata la speranza! Le nazioni hanno cessato di esistere, è stata annunciata dalla guida spirituale mon…» «Grazie. Rientro a casa, sta ricominciando a piovere.» Si salutarono amichevolmente, l'uomo porse a Chiang tre litri d'acqua e un libro molto ben curato. «D'accordo, proverò a leggerne qualche verso.» Il ragazzo lo ringraziò e, mentre si allontanava, il barbuto mostrò un enorme sorriso. Non rivide mai più quell'uomo. 30

Simone Landi, nasce sotto falso nome di "Aquila Rossa" nella foresta amazzonica, lì si dedica a sciamano nella tribù Tupinamba. Rinasce nell'impero francese. Arruolatosi nell'esercito napoleonico muore, per la patria, congelato sotto l'orso russo. Nella sua terza vita è solito interrogarsi su che cazzo sia venuto a fare.


Post Scriptum

Cronaca di una ribellione silenziosa

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Cronaca di una ribellione silenziosa di Valentina Mustardino

scelse me. E da quel momento si innamorò sempre più perdutamente: non poteva fare a meno di me, del mio carattere rassicurante, della mia disponibilità, delle mie morbide sporgenze. Per vent’anni siamo stati inseparabili. Non sono mai riuscita a capire come avessi fatto a conquistarlo (ho sempre avuto una così scarsa considerazione delle mie qualità). Spesso cadevo nel pensiero deprimente che da troppo mi assillava: «Che se ne faceva quell’uomo così giovane e atletico di una vecchietta come me?». Temevo che prima o poi avrebbe trovato un’altra, più giovane, più elegante, più attraente. Ed è stato così che un brutto giorno la mia peggior paura si è avverata: ha deciso di liberarsi di me, senza mostrare alcuna pietà. Dopo avermi immobilizzata con delle corde, mi ha caricata in auto, portata in un luogo sperduto e, assicuratosi di non essere visto, mi ha abbandonata. L’ho osservato allontanarsi, impietrita, incapace di muovermi. Ho

Sola, abbandonata sul marciapiede, sotto la pioggia battente in una gelida notte invernale, ripenso a tutto quello che ho fatto per lui... A tutte le volte in cui l’ho sostenuto, confortato, accudito. Ero lì per lui in ogni momento, consolandolo, per quanto potessi, delle delusioni. In me aveva trovato una compagna inseparabile su cui poter fare affidamento, lo avevo sempre accolto senza mai lamentarmi. Sono stata il suo appoggio per molti anni e lui sapeva che su di me avrebbe sempre potuto accoccolarsi, alla ricerca di quel sollievo che le sofferenze della sua misera esistenza gli negavano. Ricordo ancora il nostro primo incontro: lui entrò nel negozio di antiquariato e mi vide. Incredibile che notasse proprio me, già in là con gli anni, decisamente non il suo tipo; avevamo stili completamente differenti. Mi sentii osservata, scrutata, valutata... ma dopo una lunga indecisione (che mi fece sentire piuttosto imbarazzata ed irritata!) 31


Cronaca di una ribellione silenziosa

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capito allora che per tutto quel tempo avevo dedicato le mie giornate a soddisfare un uomo crudele e senza scrupoli, che si è sbarazzato di ciò che ormai non gli serviva più. Mi ha usata, senza pensare che anche io potessi provare dei sentimenti. Si è mai chiesto come mi sentivo? Come mi sentivo quando a una bella serata passata con me preferiva la compagnia degli amici o quando tornando a casa, sfinito, se ne andava a letto senza degnarmi nemmeno di uno sguardo. E io, succube, ho sempre taciuto. Se è vero che la vita è il modo di impiegare il tempo che separa due eventi significativi e che è dunque fatta di attese, io ho aspettato a lungo il momento in cui avrei finalmente potuto ribellarmi ai soprusi e alle illusioni destate in me dalla sua amorevole cura iniziale. Ho sopportato troppo, permettendogli di trattarmi peggio di un tappetino, e loro sì che hanno una vita infelice, breve e priva di ogni rispetto o considerazione! Mi ha gettata via e non lo perdonerò mai. Nonostante l’indignazione e l’inarrestabile moto di rivolta che sento nascere dalle profondità del mio scheletro, mi affiora alla mente la struggente immagine dello sguardo nostalgico d’addio che mi ha rivolto, lasciandomi su questo marciapiede. Sento ancora l’eco delle sue ultime parole, che hanno dolorosamente spazzato via ogni traccia di esitazione o dubbio: «Ma in fondo è solo una vecchia poltrona malandata!». 32

Valentina Mustardino, fiorentina per nascita, scribacchina per passione, sempre pronta a far festa. Da poco laureata, spera di poter campare di cinema e letteratura. Ce la farà la nostra eroina? Nel dubbio, intanto si dà alla vita mondana e alle abbuffate, non si sa mai, potrebbero sempre servire per scrivere un libro. Magari sulle diete.


Direttore responsabile Michele Manzotti

Numero chiuso in redazione il 18/05/2015

Direttore editoriale Mauro Andreani

Stampato presso Polistampa Firenze Tiratura di 750 copie in carta ecologica

Responsabili organizzativi ed esecutivi Mauro Andreani, Salvatore Cherchi, Giuseppe Di Marzo, Francesco Guerri, Andrea Lattanzi, Lapo Manni, Daniele Pasquini, Mattia Rutilensi, Giulio Schoen, Niccolò Seccafieno Hanno scritto in questo numero Federico Betti, Andrea Falcone, Clara Galletti, Giulia Gera, Mirko Grassi, Al Kisvelt, Simone Landi, Valentina Mustardino, Annalisa Pepi, Enrico Tomassini Grafica e impaginazione Mattia Vegni

sede legale via delle 5 giornate 52 sede operativa via santa reparata 40 rosso www.riotvan.net per info e contatti: info@riotvan.net per la pubblicità: sponsor@riotvan.net

Speciale Writer Van è un numero di Riot Van nato all'interno dell'omonimo laboratorio di scrittura ed editoria, organizzato da Riot Van in collaborazione con Firenze delle Letterature e DSU Toscana

Illustrazioni Niccolò Gambassi Copertina BAU Web Developement Francesco Canessa Sono stati fatti tutti gli sforzi per segnalare e allocare correttamente i crediti fotografici. Ricordiamo che il diritto dell'immagine fotografica resta dell'autore.

Grazie a tutti i nostri partner e sponsor, che ci permettono di uscire ogni volta. Grazie ai nostri lettori.

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Bar Massimo

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