Riot Van #17 - Luoghi a perdere

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Testata iscritta presso il Tribunale di Firenze il 12/3/2009, reg. n. 5707

#17

magazine indipendente gratuito

autunno 2014

Luoghi a perdere


schiacciate - taglieri - insalatone - carpacci

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Indice Luoghi a perdere Gli articoli

Gli autori

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Un progetto per Sant'Orsola

di S. Cherchi

10

Binari morti

di D. Pasquini

14

M.A.A.M.

di G. Schoen

16

La cultura dell'abbandono

di G. Schoen

19

Beato te, contadino

di F. Guerri

27

4 Terra

di Wu-Ming 2

30

#Unpaesedasalvare

di A. Lattanzi

40

Luci rosse spente

di D. Papini

45

Barfly - La Fée Verte

di T. Pieri

Il reportage fotografico 22

Ex Banti: 25 anni dopo

di G. Gandossi, G. Pianigiani

Il fumetto 32

Il Carnevale di Careggine

di S. Cherchi, N. Gambassi, M. Vegni

L'illustrazione 44

Il Corvo

di Frenopersciacalli

Il Cruciverba 47

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di Filiman


Un progetto per Sant'Orsola

#17 Riotvan

Un progetto per

Sant’Orsola Cittadinanza attiva per riappropriarsi di un complesso abbandonato testi di Salvatore Cherchi fotografie di Marco Castelli

Quando a Firenze si parla di luoghi abbandonati pensare al Sant’Orsola è d’obbligo. Con i suoi quindicimila metri quadri, estesi in un intero isolato posto tra via Panicale, via Guelfa e via Taddea, la struttura, negli anni, è diventata un tema caldo e di responsabilità rimbalzate tra Provincia e Comune. Ricostruire la travagliata storia del recupero del convento trecentesco è semplice: con una rapida ricerca si può venire a conoscenza dei tentativi, fallimentari, posti in atto negli ultimi anni. Ma dopo l’ultimo insoluto Project Financing del luglio 2013, con cui la Provincia (proprietaria dell’immobile) cercava dei privati disposti a finanziare l’intervento di riqualificazione della struttura, per una cifra che si aggirava attorno ai venticinque milioni di euro, ad attivarsi e scendere in campo sono stati i cittadini e le associazioni, coordinate dal gruppo informale Sant’Orsola Project, che in un anno ha provato a smuovere le acque stagnanti della riqualificazione agendo su tre piani: rapporto con le istituzioni, processi di partecipazione attiva della cittadinanza, coinvolgimento della comunità scientifica. 6


Il Sant’Orsola Project diviene quindi una “rete coordinata di associazioni”, dieci per la precisione, di cui tre rappresentanti delle comunità straniere di Firenze (Bangladesh, Perù e Filippine). L’obiettivo che si pone è quello «di far sì che la questione del Sant’Orsola passi e rimanga nel dibattito pubblico, ed entri nell’agenda politica dell’amministrazione», dichiarano i coordinatori, in modo da poter costituire una cabina di regia dedicata esclusivamente alla riqualificazione della struttura, e al cui interno operino funzionari pubblici e cittadini.

Il Sant’Orsola Project nasce tra luglio e ottobre 2013, a seguito della petizione “Per bellezza e legalità al Mercato Centrale e San Lorenzo”, che raccoglie mille firme in dieci giorni e con la quale si richiedeva «la costituzione di un tavolo inter istituzionale per il recupero di Sant’Orsola», come spiegano Anna Grande ed Emanuele Salerno, due dei quattro coordinatori del Sant’Orsola Project. La petizione porta a un incontro col sindaco e fa inserire in consiglio comunale un ordine del giorno dedicato alla riqualificazione del quartiere San Lorenzo. 7


Un progetto per Sant'Orsola

#17 Riotvan

Nel maggio del 2014, a seguito delle elezioni comunali, viene lanciata una petizione su Change.org, con una lettera rivolta direttamente al sindaco Nardella e al presidente della Provincia Barducci, affinché sostengano la proposta per “usi transitori e temporanei del complesso”, realizzati sotto la sigla St’Oaperta. «Se non ci sono grossi finanziatori pronti a farsi carico del recupero, non è una scusa perché i luoghi abbandonati restino tali. In attesa del finanziatore, bisogna mettere la cittadinanza in grado di poter utilizzare quegli spazi, altrimenti stiamo altri vent'anni col sant’Orsola chiuso a parlare di degrado», sostiene Giuditta Picchi, studiosa di processi sociali che si è occupata del caso Sant’Orsola. Per ora il manifesto per gli usi temporanei e transitori ha permesso l’apertura del convento per una tre giorni di musica, teatro, poesia e fotografia dal titolo “La città dentro San Lorenzo”, svoltasi tra il 25 e il 27 settembre, realizzata all’interno del programma dell’Estate fiorentina in collaborazione con la Fondazione Marangoni, allo scopo di richiamare l’attenzione della città sul presente di Sant’Orsola. Non è la prima volta che l’arte viene utilizzata per accendere dei fari sulle condizioni e i problemi del convento. Nell’estate del 2013 l’artista ceco Vaclav Pisvejc ha tappezzato di dollari le facciate di via Guelfa e via Sant’Orsola, mentre due anni prima furono avviati gli scavi per la ricerca dei resti di Lisa Gherardini, meglio nota come Monna Lisa, che,

Nell’ottobre del 2013 la rete organizza il forum “Riqualificazione urbanistica partecipata: Obiettivo Sant’Orsola”, un confronto tra cittadini e specialisti - urbanisti, architetti, investitori economici - «atto a trovare soluzioni realizzabili assieme a esperti di settore che già avessero avuto a che fare con realtà simili, e che avessero agito in maniera positiva nel recupero». Questo ha permesso alla rete del Sant’Orsola Project di prendere parte alla realizzazione del bando per “l’affidamento in concessione di valorizzazione del complesso”, realizzato dalla provincia nel febbraio 2014, scaduto il 29 maggio dello stesso anno e prorogato al 25 settembre, in quanto le uniche due offerte pervenute sono risultate inammissibili. Nel frattempo, di fianco al lavoro con esperti e istituzioni, ne viene sviluppato un altro, incentrato sulla partecipazione della cittadinanza al dibattito sulla struttura. «Alla fine di gennaio 2014 abbiamo presentato un progetto per un percorso di partecipazione, finanziato da una legge regionale che stanzia fondi a sostegno di gruppi di cittadini che vogliono partecipare al dibattito pubblico e ai processi decisionali sul territorio toscano o frazioni di esso», dice Anna Grande. Il percorso in questione inizierà a ottobre, e sarà legato a quanto la rete del Sant’Orsola Project ha già fatto per il complesso, coinvolgendo i cittadini che, grazie ai fondi, «si doteranno di strumenti, consulenti ed esperti che li metteranno in condizione di prendere decisioni su oggetti complessi». 8


Luoghi a perdere

Un progetto per Sant'Orsola

Comune e Provincia collaborino con loro per il recupero della struttura, facendone un punto saldo della loro agenda politica, senza scaricarsi a vicenda colpe e responsabilità o andare a caccia di soldi che, per ora, non ci sono, ottenendo solo buchi nell’acqua o il continuo rimando di un problema che, con ogni probabilità, rischia di aggravarsi quando l’ente provinciale, proprietario dell’immobile, decadrà in via definitiva. «Noi vogliamo che il sant’Orsola venga restituito ai cittadini, permettendogli di starci dentro, lavorarci” sostiene ancora Giuditta Picchi, “i progetti di occupazione in Italia, dal Leoncavallo al teatro Valle di Roma, sono progetti che sono passati dalle occupazioni alle concessioni. Oggi c’è però un altro step, ed è il dialogo tra cittadinanza e istituzioni, che deve creare un regolamento in grado di dare valore agli spazi dismessi, come è già avvenuto a Bologna. Non è vero che i cittadini si disinteressano delle questioni politiche della propria città, è un falso. Le persone hanno voglia di tornare a prendersi cura di ciò che li circonda. Magari non vanno più alla festa dell’unità. Magari non si tesserano al partito. Ma vogliono prendersi cura di un giardino, o usare uno spazio pubblico loro».

secondo alcuni documenti, fu sepolta proprio nel convento. «La sepoltura di Lisa Gherardini è comprovata da un testo, una fonte storica. Ma dove siano ora i resti non si sa, perché pare siano stati spostati. Possiamo dire che se la sepoltura è documentata, il ritrovamento dei suoi resti è una notizia artificiosa, fomentata perché gli scavi erano l’unica cosa che in quel periodo permetteva di stanziare fondi nei confronti del Sant’Orsola» commenta Carlo Mori, cittadino attivo dietro il progetto e redattore del blog Sant’Orsola Project e delle pagine social annesse, «io, personalmente, sono contro questo tipo di strumentalizzazione. Oltretutto, dato che in quel periodo c’era solo il cantiere attivo, perché non sfruttarlo per fare una sorta di cantiere scuola, in collaborazione con scuole e università? Avrebbe avuto più senso e dignità». Riguardo l’opera di Vaclav sostiene: «a me sta bene che un artista venga e voglia fare un intervento sulla facciata della struttura. Nel caso specifico, è stata un’iniziativa di Vaclav, mediata poi dall’associazione Insieme per San Lorenzo, che ha deciso di appoggiare l’idea e l’ha aiutato a trovare il carro gru e i permessi di affissione. L’intervento in se è bello, attira l’occhio quando passi, la gente fa foto, ma sono necessari anche interventi artistici mirati e più ampi, che spingano ad aprire e sfruttare la struttura». Quello che i coordinatori del Sant’Orsola Project, le associazioni e i cittadini attivi chiedono, è che 9


Binari morti

#17 Riotvan

Binari morti

testi di Daniele Pasquini fotografie di Anita Scianò

La riconversione dell’ex-area ferroviaria di Pontassieve è considerato il più importante investimento immobiliare della zona fiorentina. Ma da vent’anni niente si muove. Uno, nessuno, novantamila Per farvi un’idea di cosa siano 90.000 metri quadrati, immaginate tredici campi da calcio regolamentari. Tutti attaccati. In mezzo a un paese. Il fatto che sia quello di residenza del premier Renzi potrebbe aiutarci a trasformare questa storia in una notizia, ma il rapporto tra Pontassieve e le ferrovie è storia di lungo corso, che inizia a cavallo tra otto e novecento. Il capoluogo della Valdisieve è un territorio ibrido: non è Mugello, non è Valdarno, non è campagna, non è periferia. È terra che si sviluppa tra le colline, tra la confluenza dei fiumi. Solo una dozzina di chilometri da Firenze, in quello che oggi è considerato un nodo fondamentale della città metropolitana. Un tempo fungeva da area di raccordo tra Arezzo e Firenze, era passaggio obbligato per chi scendeva dal Casentino, per chi arrivava dalla Romagna. Un polo strategico che si è sviluppato proprio grazie alla ferrovia. Una

stazione crocevia, ma soprattutto un’area con officine per la produzione di scambi senza pari in Italia. Oggi quei 90.000 metri quadri sono lasciati a se stessi. Una lunghissima striscia che divide in due il paese, separando in modo netto l’area sud da quella nord, la scuola superiore dal campo sportivo, le colline dall’area industriale. Economia, sviluppo, scenari cyberpunk Una parte dell’attività di produzione è rimasta attiva. In sordina, senza che il paese se ne accorga, tra i capannoni sperduti lungo i binari morti è ancora vivo un centro nazionale di produzione di scambi ferroviari. Il primo in Italia, il secondo in Europa. Almeno 1000 pezzi l’anno, e l’annuncio nel marzo 2012 di nuovi investimenti per rafforzare la produzione. Circa 100 dipendenti: un colosso in confronto alla maggior parte delle aziende locali. Per una terra che sembra sa10


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Binari morti

riflessione sulle spese di bonifica. Si stima che solo pulire costi 2 milioni: immaginate di nuovo i tredici campi da calcio e ricopriteli di rotaie, capannoni coperti d’amianto, macchinari pesanti e cammei di archeologia industriale. Perfetta periferia di una scenografia cyberpunk.

per produrre solo vino e olio, che conserva a stento un ruolo di primaria importanza nella pelletteria (dopo averlo perso in quello delle vetrerie), l’area ferroviaria potrebbe essere ancora una risorsa? Nel 2001 il Comune di Pontassieve rilevò dalle Ferrovie una porzione dell’area in disuso, con l’intento di convertirla. Non si è mai capito, esattamente, in cosa. Operazione da 3 milioni, un mutuo ventennale. Da allora si sono alternate quattro giunte, tutte di sinistra. L’ex sindaco, Marco Mairaghi, dichiarò alla stampa che si trattava del “più grande investimento immobiliare della provincia”. Ma chi è stato disposto ad investirci? Sono stati fatti negli ultimi anni tentativi di vendere l’area (per costruire case? Parcheggi? Servizi, uffici? Un parco?) ma nonostante si tratti di terreni appetibili, nessuno sembra intenzionato a rilevarli. Bando di vendita deserto. Certo, sarebbe stato logico fare una

Antagonismi Avvertii l’esistenza di una questione aperta durante il liceo: un tempo ero convinto che attraverso il paese, semplicemente, passassero i treni. Oltre il muretto della via Aretina che poteva mai esserci? Nel 2006 un edificio all’interno dell’area, proprio di fronte alla scuola superiore, fu occupato dal movimento “Voci dalla Macchia”, un collettivo autogestito della Valdisieve vicino nelle istanze e nei metodi al gruppo del CPA di Firenze Sud. Occupazione che lasciò un segno, anche per i più giovani che frequentavano la scuola 11


Binari morti

#17 Riotvan


Luoghi a perdere

Binari morti

antistante, riichiamando l’attenzione su un tema reale. L’azione – che ben presto impegnò la comunità nell’eterno dibattito circa la legittimità o meno dell’appropriazione di tali spazi - durò alcune settimane prima dello sgombero. Quasi senza traccia fu invece il nuovo tentativo di occupare l’immobile nel novembre del 2011: due giorni e poi la nuova cacciata, prolungato appena dalla resistenza sul tetto di quattro ragazzi armati di coperte. Soluzioni politiche, all’opposizione di se stessi L’ultima mossa strategica adottata dalla seconda giunta Mairaghi, scaduta lo scorso maggio, fu quella di prevedere uno sporzionamento dell’area in due lotti, dando così al Comune la possibilità di vendere in modo autonomo il proprio, indipendentemente da RFI. L’area, chiamata in modo tragicomico “Borgo Verde”, è affiancata dalla parte più grande, di proprietà delle ferrovie, ormai nota come “Borgo Nuovo” (8 ettari totali). Bando di vendita deserto. La vicenda dell’area ferroviaria aiuta anche a riflettere sullo stato della politica nella provincia fiorentina. In consiglio comunale l’opposizione conta solo un consigliere di centrodestra e due M5S. Forza Italia – che a Pontassieve tradizionalmente non esiste – si è limitata a denunciare sottovoce gli sprechi. 250 mila euro, negli anni, sono stati spesi per studi, valutazioni, consulenze: con quali vantaggi? I Cinque Stelle invece in campagna elettorale presentarono una proposta – mediante un fantastico video con rendering – che faceva brillare gli occhi: la Valdisieve era una nuova Silicon Valley. Strutture futuristiche, verde, servizi. Ma la mancanza di valutazioni economiche porta spesso a confondere i sogni con la realtà. Pontassieve, poi, è roccaforte Pd: le ultime amministrative hanno visto scontrarsi sul tema i due candidati, con l’ex DS Monica Marini (vincente alle primarie per 15 voti) che ha annunciato di voler adibire l’area all’housing sociale e alla costruzione della Casa della Salute. Il concorrente renziano, Fabbrini, sconfitto ma oggi capogruppo PD in consiglio, ha ribadito con forza che Pontassieve ha bisogno di tante cose, ma senz’altro non di nuove case. Il dibattito, tutto interno al Partito Democratico, è tutt’ora aperto. Difficile dire se pesi più la mancanza di visione o quella dei soldi: pensare a quando il cuore di metallo riprenderà a battere è invece una missione impossibile. La speranza è di non sorseggiare la vendemmia 2030 con vista sui binari morti. 13


M.A.A.M.

#17 Riotvan

M.A.A.M.

Intervista a Giorgio de Finis, ideatore e direttore artistico testi di Giulio Schoen fotografie concessione M.A.A.M.

Nato nel 2012, al termine del cantiere etnografico, cinematografico e d’arte Space Metropoliz, il MAAM è un progetto di Giorgio de Finis, in collaborazione con i Blocchi Precari Metropolitani e gli abitanti di Metropoliz, circa 200 migranti e precari. Il MAAM si pone in concorrenza con le grandi istituzioni museali italiane e della capitale (il MAXXI e il MACRO), facendo della sua perifericità, della sua totale assenza di fondi, della sua non asetticità (il MAAM è un museo abitato) il suo punto di forza. Doveva essere solo un'installazione a tema lunare della durata di qualche giorno alla spazio occupato Metropoliz. Dopo 3 anni il Maam è un museo "stabile" nell'instabile panorama del patrimonio dismesso della Capitale. Com'è cambiato lo spazio in questi anni? "Siamo partiti con la ludoteca, una mostra per

finanziare il tetto che perdeva acqua, coinvolgendo gli abitanti e gli artisti. In 2 anni in collezione abbiamo guadagnato 400 opere, non solo quadri o statue, ma anche muri, torri, interventi di bonifica della fabbrica, opere che restituiscono gli spazi comuni. Una barricata d'arte a difesa di questo spazio, che invece vorrebbero radere al suolo. Maam per difendersi è ancora costretto a chiudere il cancello, e la città di Roma rimane fuori. Invece con la scusa – non una scusa fasulla – dell'arte portiamo la gente dentro, mettendola in relazione sia con l'emergenza abitativa che con l'articolo 5. E' un altro modo di fare cultura". Gli artisti vivono a Metropoliz? "L'occupazione abitativa non è fatta per l'artista, che qui crea la sua opera anche per 3 mesi o un anno magari, ma poi deve rimanere solo il suo dono agli 14


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M.A.A.M.

abitanti, al massimo ci si torna per crearne un'altra. A differenza di altri luoghi, anche importanti, non si creano residenze d'artista, ma un progetto comune per la città e per quelle 200 persone che già vivono a Metropoliz, ponendo l'attenzione su un luogo marginalissimo che attraverso la cultura può diventare scintillante e addirittura competere con grandi poli museali strafinanziati che spesso boccheggiano addirittura per inefficienza". Qual'è la differenza tra un "museo vissuto" come il MaaM e i grandi musei pubblici? "Il MACRO o il MAXXI rimangono meri contenitori, musei dell'irreale.Tra le loro funzioni hanno solo divulgazione e conservazione. Un museo reale è fatto di sperimentazione e vissuto, è leggero e toccabile. Gli spazi occupati hanno una grande vitalità, oggi più che mai fondamentale per la cultura, che non ha bisogno di mostre show, non si può pensare che solo i numeri contano, ma fino a quando i musei saranno gestiti da manager, vince chi sbiglietta di più". 15


La cultura dell'abbandono

#17 Riotvan

La Cultura dell'abbandono

Teatro Valle, occupazione per il 'bene comune' testi di Giulio Schoen fotografie di Valeria Tomasulo

Come inizia l'occupazione del Valle, e come resiste per più di 3 anni? Inizialmente si era pensato ad un'occupazione spot. Attirare l'attenzione sulla condizione del Teatro, di quel teatro, dell'assurdità di eliminare l'unico ente teatrale in Italia. Avevamo seri dubbi che ci lasciassero anche solo tre giorni, il parcheggio del Senato è proprio a fianco, siamo nel cuore politico e turistico della città. Ce l'ha permesso l'alta partecipazione di addetti ai lavori e la cittadinanza, che ci ha chiesto di restare lamentando la trasformazione del centro di Roma in una vetrina per turisti e politici, senza servizi, luoghi di aggregazione, comunità. E' partita quindi l'idea di rimanere in occupazione e portare avanti le lotte dei lavoratori dello spettacolo e contemporaneamente creare una fondazione che

pensasse ad un modo nuovo di auto-governo di un teatro. Siamo nel 2011, quali erano le condizioni dei lavoratori dello spettacolo? La scelta del Valle si innesta in un percorso di lotta che i lavoratori dello spettacolo avevano intrapreso già da qualche anno contro tagli al F.U.S. (fondo unico per lo spettacolo ndr) e cultura dell'allora governo Berlusconi. Contemporaneamente ci fu la soppressione dell'E.T.I. (ente teatrale italiano ndr) definito "ente inutile" dal ministro Tremonti. Da questo ente dipendevano, oltre al Valle, il Quirino sempre a Roma, il Duse di Bologna e la Pergola di Firenze. Ecco, questa realtà la conosciamo bene. Secondo voi come mai per il Valle si è arrivati ad una occupazione mentre la Pergola è stata "salvata"? [risate] Perchè dietro la Pergola c'è una fondazione 16


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La cultura dell'abbandono

Con la fondazione "TeatroValleBeneComune" cerchiamo proprio di scardinare queste pratiche, per noi la direzione artistica deve essere pensata a progetto, con una durata limitata a 3 anni. Può essere d'ensemble, ma di base le linee guida devono essere date da una gestione realmente comunitaria. Su cosa lavora la fondazione? Come avete iniziato il percorso dei luoghi comuni? Abbiamo praticato idee realmente innovative su teatro, cultura, politica, sperimentando in prima persona quali andassero bene e quali no. C'è stata vera sinergia tra pratiche occupazionali e diritto costituente. Alcuni giuristi della commissione Rodotà per i beni comuni (poi dimenticata in un cassetto) hanno creato una costituente dei beni comuni, innovazione assoluta sul panorama legislativo italiano e non solo. L’obiettivo era aprire un nuovo spazio d’a-

bancaria; troviamo infatti allucinante che un posto del genere venga spesso dato in affitto per i cosiddetti "grandi eventi", non perchè siamo contrari di principio a questa formula, ma è la concezione della cultura "evento", la cultura che deve essere monetizzabile per forza, il grande lunapark Italia che non accettiamo. Bisogna capire che non siamo in un periodo di crisi, al contrario siamo nel periodo di massimo splendore del neoliberismo, che vuole esattamente questa situazione. Come intendete andare contro questa concezione e creare un'alternativa alle gestioni inadatte dei luoghi di cultura? Questa operazione non è che un altro trucco dei partiti per spartirsi soldi pubblici, mettere persone fidate, uccidere l'idea di partecipazione ai beni comuni, delegando sempre. 17


La cultura dell'abbandono

#17 Riotvan

zione che partisse dal riconoscimento anche giuridico dei beni comuni e cercasse d’interpretare alcune tra le domande di cambiamento radicale del sistema. Con l'occupazione si è reso evidente che il diritto non è morto, non è solo una frase scritta nei tribunali ma è vivo e modificabile, a seconda dei tempi e delle esigenze. Ci viene da dire che "il Diritto è vivo e lotta insieme a noi!" Anche le istituzioni hanno cominciato a parlare di "liberazione delle caserme dismesse, restituzione di luoghi chiusi al pubblico...". Sono solo parole o avete fatto scuola in qualche modo? Il Potere ha sempre fatto così nei confronti delle lotte o dell'arte. Si appropria del linguaggio massificandolo e svuotandolo. Quando il sindaco Marino ha pedonalizzato i Fori Imperiali, il Corriere della Sera ha usato il titolo "Liberiamo la bellezza", che è copiata pari pari dai comunicati stampa del Valle, per dire. Il rischio è che si scambi la lotta per i beni comuni con il cittadino che dà il suo tempo libero per pulire il parco o il muro dalle scritte...cittadinanza dal basso non vuol dire questo, e le occupazioni come la nostra hanno il dovere di ricordarlo. Come intendete porvi con le istituzioni? Il valle deve parlare con le istituzioni da istituzione, non da realtà marginale. Ugo Mattei spiega che

"Consentire al governo di vendere liberamente beni di tutti per far fronte alle proprie necessità contingenti di politica economica, è sul piano costituzionale tanto irresponsabile quanto lo sarebbe sul piano familiare consentire al maggiordomo di vendere l'argenteria migliore per farsi carico della sua propria necessità di andare in vacanza". Siamo qui a ricordarglielo e ci saremo sempre.

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Luoghi a perdere

Beato te, contadino

Beato te, contadino I contadini saranno la nostra salvezza? Intervista a Giulio Gargani di Agrimè.it testi di Francesco Guerri illustrazione di BAU

C'era una volta un paese ricco. Non tanto per i denari, piuttosto per la qualità della vita. Questo paese esportava prodotti di moda, artigianato e, soprattutto, cibo. Ottimo cibo, prodotto con fatica nelle terre sane del paese, perché aveva tanto suolo coltivabile e distese di campi preziosi. Poi la storia cambiò. Il paese abbandonò le sue origini agricole per dedicarsi a fabbriche, delle belle e prosperose industrie Made in Italy. Ora non abbiamo più nemmeno quelle, ma questo è un altro discorso. I nostri erano prodotti buoni, fatti con sapienza e materiali ottimi. Così, dagli anni Settanta, era facile poter essere assunti come operai. Molte famiglie si spostarono verso le città e abbandonarono i campi e i terreni ereditati dai padri. Risultato: pochi oggi lavorano la campagna, tranne qualche appassionato che difficilmente crea reddito e il contadino appare un po' come una persona idilliaca, un supereroe. Eppure se chiediamo a qualunque persona, vedrete che avrà sicuramente un parente che lavorava nei campi. Il mestiere del contadino non è però come tanti altri. Quello agricolo non è un mercato in crisi, almeno nella produzione, e basti pensare alle quantità di ortaggi che mangiamo: uova, frutta, vino, olio. Perché 19

è un mestiere di cui non si potrà mai fare a meno, anche per quanto riguarda la tutela del territorio. Ogni anno infatti è la stessa storia: emergenza maltempo, puntuale dopo la stagione estiva, con frane, alluvioni e disagi. I giornali titolano “Bomba d'acqua incontenibile”, i comuni chiedono aiuto alla Regione, la Regione chiede aiuto allo Stato, e nel migliore dei casi si risolve con le ruspe o, nel peggiore, resterà sempre tutto fermo. Una strada interrotta, un paese disastrato, e pian piano passerà anche questa urgenza, forse. Sembra una telenovela infinita, un ciclo che non si ferma mai. Tante sono le cause, non bastano queste righe per spiegarle. Ma nel nostro piccolo possiamo fare qualcosa di concreto per migliorare questa condizione?


Beato te, contadino

#17 Riotvan

sono controllabili al 100%. Nelle zone tropicali, dove sono la normalità, i metodi di costruzione di case, strade, reti idriche ed elettriche sono differenti dai nostri, e sono progettate in modo tale da non subire danni, che in caso di distruzione possano essere ricostruite nel giro di pochi giorni. Anche l'agricoltura è fortemente influenzata da questo tipo di clima: non a caso la coltivazione principale delle aree tropicali è il riso, che non solo non subisce danni dagli allagamenti, ma addirittura li sfrutta, in quanto trova il suo habitat proprio nei terreni allagati, nei quali la temperatura rimane costante durante tutto il ciclo della pianta, così che non cresce il Giavone, temibile infestante del riso. Cosa può fare la Regione? Considerare eventi di questo tipo non più come occasionali e straordinari, ma comuni, e quindi riprogettare gli interi sistemi di deflusso delle acque relazionandoli a precipitazioni di queste entità, attraverso casse di espansione, manutenzione e innalzamento degli argini di fiumi e torrenti, e soprattutto adeguamento e manutenzione dei sistemi di deflusso urbani. Chi può lavorare i terreni? La manutenzione del territorio gioca un ruolo fondamentale nel controllo di alluvioni e allagamenti: se da

Ne parliamo con Giulio Gargani, anni 26, laureando in Scienze agrarie presso l’Università di Firenze, agricoltore fiorentino e fondatore di Agrimè.it, un portale che da circa un anno distribuisce prodotti di aziende agricole del territorio. Si può tornare a lavorare la terra ai giorni nostri, aiutando anche la salvaguardia dei nostri territori? Negli ultimi anni, che sia per cause dovute al riscaldamento terrestre o meno, abbiamo assistito a eventi meteorologici straordinari, che in passato si verificavano con una cadenza di circa 100 anni, mentre oggi sono diventati quasi normali. Eventi piovosi con 300 mm di acqua caduti in meno di 24 ore, inverni caldi ed estati piovose, stanno trasformando la nostra fascia climatica da continentale calda a sub-tropicale, alla quale né noi, né il nostro territorio era abituato. Quando si verificano eventi del genere, le colpe iniziano a rimbalzare come la pallina di un flipper: chi accusa la Protezione Civile che non ha fatto niente per prevenire, chi l'abusivismo edilizio che ha ridotto i canali di deflusso delle acque, chi l'abbandono del territorio, che impedisce l'assorbimento di parte dell'acqua. La prima cosa che possiamo affermare è che eventi del genere, per intensità e per durata, difficilmente 20


Luoghi a perdere

Beato te, contadino

te in quanto inadatte alla meccanizzazione agraria, e restano in condizioni di abbandono. In questo modo il territorio non solo subisce il danno paesaggistico per l'incuria, e quello sociale per il mancato reddito dall'agricoltura, ma diventa un pericolo in caso di piogge forti e di alluvioni. Sarebbe opportuno favorire il recupero delle coltivazioni collinari e montane, attraverso incentivi e finanziamenti, purché chi le coltivi si occupi anche del mantenimento del territorio. Considerando che diversi appezzamenti, soprattutto boschivi, sono pubblici, sono sicuramente utili iniziative come quella in atto in Toscana, volta a cedere i terreni di proprietà regionale in gestione a giovani agricoltori. Bisognerebbe inoltre sanzionare i privati che abbandonano i campi, in quanto così facendo si arreca un danno alla comunità intera.

una parte non siamo in grado di affrontare eventi di tale entità, dall'altra va detto che l'abbandono del territorio rurale, soprattutto quello collinare, rende gli effetti delle piogge devastanti. Quando si abbandona un territorio collinare, nel giro di pochi anni i canali di scolo, le capezzagne, i terrazzamenti e i solchi acquai vengono distrutti, e di conseguenza con l'arrivo delle piogge l'acqua tende a percorrere le vie più brevi e ripide, formando grossi rigagnoli e prendendo velocità, giungendo quindi a valle nel giro di pochissimo tempo. I contadini che lavoravano i terreni collinari, a loro insaputa fungevano da "paladini del territorio". Essi, per coltivare in terreni declivi, dovevano adottare delle sistemazioni idraulico-agrarie che addolcivano le pendenze dei campi in modo da potervi lavorare, rallentando la velocità dell'acqua e impedendo la formazione di fossetti e rigagnoli, che avrebbero altrimenti danneggiato le culture. Così costruivano muretti a secco, terrazzamenti, ciglionature e canali di scolo, il cui scopo era proprio quello di rallentare l'acqua che scorreva sul terreno durante le forti piogge. Le colline diventavano delle vere proprie "casse di espansione", capaci di trattenere l'acqua per diverse ore dall'inizio delle pioggie, e di restituirla lentamente una volta cessata. Oggigiorno, a parte rari casi, le aree collinari non sono più coltiva-

Se al contadino si dà l'opportunità di fare reddito con la terra a costi onesti, sarà suo interesse tenere bene il podere e forse ci saranno meno danni ambientali. Non solo. Metterà anche in commercio prodotti di alta qualità per le nostre pance. Risultato: ne trarremo vantaggio tutti.

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La torre degli orafi

#16 Riotvan

Ex Banti: 25 anni dopo

fotogallery

reportage fotografico a cura di Giacomo Gandossi e Giulia Pianigiani

Caduto in disuso nel 1989, l'ex Sanatorio Banti di Pratolino, risulta tutt'ora abbandonato. Aperto nel 1934 come istituto post-sanatoriale per la cura della tubercolosi, nel dopoguerra diventa una normale struttura ospedaliera. Le foto denunciano una condizione di abbandono lunga 25 anni.

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Ph Giacomo Gandossi


Ph Giacomo Gandossi

Ph Giacomo Gandossi


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Ph Giulia Pianigiani


Ph Giulia Pianigiani

Ph Giulia Pianigiani


Ph Giulia Pianigiani

Ph Giulia Pianigiani


Luoghi a perdere

Terr4

Terr4 Testi di Wu-Ming 2 Fotografie di Terra Project

Scusate se ve lo dico, non voglio offendervi, ma se foste capaci di costruire città di caucciù, forse la tragedia sarebbe assai diversa. Perlomeno più morbida. Invece, avete questa mania di attribuire alla Natura le vostre sciagure. Anche solo in senso figurato. Terremoto finanziario. Desert storm. Il disastro del Vajont. La voragine dei conti pubblici. Vi fa sentire più tranquilli, giusto? Oppure più impotenti, che per certi versi è la stessa cosa. Se lascio andare un sasso, quello cade. E’ una legge fisica. Che mai ci può fare un uomo? Comodo. Ma come dire: magra consolazione, signori. Eppure, posso capirvi. Io tremo. Tremo fin dalla nascita, ma non so se è una malattia genetica. Forse psicosomatica. Io stessa ci capisco poco. E anche voialtri... La tremarella, di tutte le mie caratteristiche, è quella che vi ha tenuto in scacco per più tempo. Altro che la forma piatta o rotonda, o il fatto di girare intorno al sole. Per secoli e secoli non siete riusciti a concepire che un fenomeno tanto diabolico originasse da Madre Terra. Una madre non trema, non si ammala mai. [...] 27


Terr4

#17 Riotvan

Io tremo. Le case crollano, si alzano nubi di frantumi. Farine d’intonaco, briciole di mattoni. Mementòmo che tu sei polvere, e la polvere amerai. Io tremo e dicono che il brivido si insinua nel cuore, trasmette incertezza dalle pareti alla gola. Una malattia contagiosa. Io tremo, e vi accorgete che sono pur sempre la dura terra. Terra selvaggia. Terra che ancora si muove, che scarta e strappa, nonostante la camicia di forza in cemento armato che le avete stretto addosso. Ecco perché dopo una forte scossa, tra le vostre prime reazioni, c’è quella di impastare calcestruzzo, di stendere asfalto, di erigere nuove città, moduli abitativi perenni, come se l’unica cura per i miei attacchi, fosse rinchiudermi in una crosta a misura d’uomo, tappare ogni buco d’erba non coltivata, radere al suolo gli alberi, stendere un’unica colata, un’unica superficie percorribile in auto. Vi affannate intorno alle crepe sui muri e trascurate quelle nelle parole. Fotografate ciò che il terremoto distrugge, ma vi sfugge ciò che produce. Atti mancati. Lapsus di malta e mattoni. Ruderi nuovi di zecca. Vi esercitate nella previsione e intorpidite la visione. Dove c’era una chiesa, vedete una carcassa e un cumulo di macerie. Dove c’era un camper, continuate a vedere un camper e concludete che si è salvato. Che è rimasto lo stesso. Invece la famiglia che ci ha passato le notti, perché non poteva rientrare a casa sua, molto a fatica lo guarderà ancora come la dimora scacciapensieri delle vacanze estive. 28


Luoghi a perdere

Terr4

Le immagini sono tratte da indagini fotografiche realizzate sul territorio italiano nel corso di quattro anni dal collettivo TerraProject. Il testo qui riportato è un estratto del racconto Terra scritto da Wu Ming 2, che assieme ad Acqua, Aria, Fuoco va a comporre il progetto 4.

4 è un progetto realizzato dal collettivo fotografico TerraProject e da Wu Ming2, una traccia multipla di parole e immagini. Oltre ad una mostra, curata da Daria Filardo, 4 è divenuto poi un volume – anzi un cofanetto - prodotto grazie al crowdfunding su Produzioni Dal Basso; con il design di Ramon Pez e curato da Renata Ferri.

Info terraproject.net | wumingfoundation.com www.terraproject.net/en/collective-works/prevendita-libro-4#.VAl4CPl_uJo

Creative Commons BY-NC-SA 4.0 Si consentono la riproduzione parziale o totale dell’ opera e la sua diffusione per via telematica, purché non a scopi commerciali e a condizione che questa dicitura sia riportata.

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#Unpaesedasalvare

#17 Riotvan

#Unpaesedasalvare Basteranno cultura e case a un euro per ridare vita a Castelnuovo dei Sabbioni? testi e fotografie di Andrea Lattanzi

A Castelnuovo dei Sabbioni, frazione del comune di Cavriglia in provincia di Arezzo, il tempo si è fermato più di quarant'anni fa. Anche uno strepitoso e sottovalutatissimo Alessandro Benvenuti nel ruolo di Ivo il tardivo ce lo aveva raccontato nel 1995, grazie a una toccante e significativa pellicola sulla malattia mentale. Il film racconta la storia di Ivo e della sua uscita dal manicomio, con il ritorno a Castelnuovo dei Sabbioni, suo paese natale. Ma nel frattempo è successo qualcosa. Negli anni Settanta, infatti, il borgo che vanta una storia secolare (il toponimo Castelnuovo in Avane risale al 1120) è stato letteralmente evacuato per i rischi comportati dall'escavazione della lignite, attività primaria della zona che ha mietuto altre vittime 30

illustri fra gli abitati limitrofi, fra i quali Bomba, Pian Franzese, San Donato e San Martino. Ivo vive così da solo nel paesino, con le case e le persone che si sono spostate poco più a valle, mentre il nucleo originario di Castelnuovo è diventato una città fantasma. La vicenda delle ghost town, di borghi e paesi abbandonati dall'uomo a un certo punto della loro storia, ha da tempo assunto i connotati di un vero e proprio fenomeno urbanistico. Su tutto il territorio nazionale si possono trovare vecchi abitati, talvolta di grande valore storico, artistico o culturale, che per un motivo o per l’altro si sono ritrovati svuotati di vita e funzioni tradizionali. Recentemente, lo abbiamo letto su tanti giornali, diverse realtà amministrative locali hanno


Xxxx

#Unpaesedasalvare

per studenti di altre nazionalità. Qui i nuovi ospiti avrebbero l'occasione di fondersi con la storia e la cultura dell'area di Cavriglia, imparando la doppia lezione che il luogo può offrire: da un lato il rispetto per l'ambiente e, dall'altro, quello per la vita umana. Castelnuovo dei Sabbioni, infatti, fu teatro di un tremendo eccidio nazista, avvenuto il 4 luglio 1944, quando le truppe della divisione Hermann Goering dell’esercito tedesco uccisero e bruciarono i cadaveri di 73 abitanti. L'escavazione della lignite, carbon fossile usato in passato per la produzione di energia elettrica, rappresenta la cartina di tornasole per capire le ragioni del popolamento e del successivo abbandono di Castelnuovo dei Sabbioni. Per consentire di estrarre il materiale si sono smembrati paesi e colline, consentendo in principio una certa espansione del paese, che diventò alloggio per molti lavoratori della zona. Quando poi il bacino arrivò all'esaurimento molti se ne andarono e chi rimase fu costretto comunque ad abbandonare Castelnuovo, messo a repentaglio da un territorio divenuto ormai instabile e non più ospitale. Le conseguenze degli errori passati sono state pagate per anni con incuria, abbandono e una certa desolazione. Non è ancora troppo tardi per salvare il borgo ma il tempo scorre, sebbene nel piccolo borgo paia proprio essersi fermato.

cercato di ripopolare questi centri con il meccanismo delle case a un euro. Salemi (Trapani), Gangi (Palermo), Santa Caterina (Caltanissetta) e Carrega Ligure (Alessandria) hanno offerto la possibilità di diventare proprietari dei vecchi immobili a patto di ristrutturarli e di presentare opportune e differenti garanzie economiche. L'ipotesi di applicare questo modello anche a Castelnuovo dei Sabbioni è certamente ventilata nel palazzo comunale di Cavriglia, dopo anni di incertezze e difficoltà rispetto alla scelta sul futuro cui destinare il paese. Il sindaco Leonardo Degl'Innocenti O Sanni ce lo ha detto chiaramente, affermando che l'idea «è al vaglio di studi per gli uffici competenti», sebbene questa strada presenti alcuni interrogativi. Servono infatti «garanzie fideiussorie» adeguate da parte di chi volesse riacquistare le case diroccate e, ancor di più, un «attaccamento emotivo» al paese di Castelnuovo dei Sabbioni e della sua vicenda per andarvi a vivere. Una volta intrapresa la strada delle case “gratuite”, infatti, sarebbe difficile tornare indietro e se si fallisse si otterrebbero forse ancor più problemi che benefici. L'altra ipotesi, estremamente affascinante per le ricadute che potrebbe avere sul territorio, sarebbe quella di fare di Castelnuovo una cittadella della cultura, ristrutturando il borgo in sinergia con privati e università straniere per trasformarlo in residenza 31


Il Carnevale di Careggine

#17 Riotvan

storia di Salvatore Cherchi, disegni di Niccolò Gambassi, colorazione di Mattia Vegni

Il Carnevale di Careggine Qualche sussulto e il tachimetro cala bruscamente verso lo zero. L'auto si ferma in mezzo strada. Farla ripartire sembra impossibile.

Intorno a me il nulla. Nebbia fitta. Grigio e ancora grigio, che a mala pena lascia intravedere un malconcio cartello stradale.

Decido di avviarmi a piedi, in cerca di un meccanico. Mi inoltro per una ripida strada dissestata, l'unica praticabile, ma la cui fine, e i suoi confini, mi sono negati dalla densa foschia. 32


Luoghi a perdere

Il Carnevale di Careggine

Le case squarciano il velo grigio come mostri che spuntano nel buio della notte. Ho un accenno di paura, ma proseguo.

Le grosse ante sbarrate delle finestre e i sinistri portoni in legno paiono fissarmi come fossero inquietanti volti demoniaci.

Giro circospetto per i vicoli stretti e deserti del paesino, udendo solo l'eco dei miei passi perdersi tra le vie.

In giro nemmeno l'ombra di un meccanico, di una bar o di un'attivitĂ commerciale qualsiasi. Nemmeno l'ombra di un abitante. 33


Il Carnevale di Careggine

#17 Riotvan

Eppure ho la sensazione di essere osservato. Spiato. Ho paura. Voglio andar via.

Ripercorro la strada a ritroso ma ogni via che imbocco è uguale alla precedente: un labirinto. Resto intrappolato in un luogo maledetto che in me cerca l'agnello sacrificale.

Quando la disperazione sembra aver preso il sopravvento, il cigolio di una porta che si apre alle mie spalle diventa l'unica ancora di salvezza. O di condanna.

Mi volto. 34


Luoghi a perdere

Il Carnevale di Careggine

Dall'edificio esce una donna vestita come una dama d'altri tempi.

Mi tende la mano...

... Ti stavamo aspettando...

Il suo fascino mi rapisce e mi lascio trasportare da lei. Mentre la nebbia si dirada, dalla piazza centrale sale una musica allegra e gioiosa. 35


Il Carnevale di Careggine

#17 Riotvan

Un suono melodioso, che fino a quell'istante mi era stato negato, detta i ritmi delle danze, dei giochi e degli scherzi di centinaia di figure mascherate. Ballando passo dalle mani di Colombina a quelle di Arlecchino e di Pantalone.

Benvenuto al Carnevale di Careggine, divertiti con noi! Tu sei stato scelto, ora sei per sempre uno di noi!

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Luoghi a perdere

Il Carnevale di Careggine

Mi dicono in coro...

Abbiamo solo un giorno!

Non sprecarlo, è il tuo giorno!

Ballo, bevo e canto ininterrottamente. Una sera magica, che mi fa dimenticare la spettrale nebbia e il sinistro silenzio del borgo. Una sera che non faccio in tempo a godermi. Al suono di una sirena che interrompe la festa tutti si destano, rattristandosi. 37


Il Carnevale di Careggine

#17 Riotvan

Tutti si fermano ad osservare le colline circostanti.

Sommessamente si inchinano di fronte a me per salutarmi, prima di ritornare nella nebbia.

Porte e finestre vengono sprangate. Torna il sinistro silenzio. Si alza un forte vento.

Dai monti arriva il suono di uno scroscio. Debole prima, tremendamente forte poi. 38


Luoghi a perdere

Il Carnevale di Careggine

Mi volto. Fabbriche di Careggine, ora ricordo: il borgo sommerso. La diga è stata aperta. Il paese torna a riposare sotto tonnellate di acqua, in attesa di festeggiare il prossimo invitato speciale.

Ora vado, anche io devo scegliere una maschera.

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Luci rosse spente

#17 Riotvan

Luci rosse spente Dalle pellicole osé alla pellicola per alimenti Il triste destino dei cinema porno testi di Domizia Papini illustrazione di BAU

senza dubbio il porno. I giornaletti o i vhs i miei amichetti li compravano in edicola, e per farlo trasmigravano in altri quartieri per evitare di incrociare parenti. Li nascondevano nelle riviste di sport o di musica e di nascosto se li scambiavano in classe. E posso immaginare come, per fruire del prodotto, dovessero studiare ben bene le mosse di genitori e fratelli. Quando la mamma usciva per la spesa, via di corsa a riesumare Le Ore o Private dall’armadio coi giubbotti invernali! E le cassette? Dev’esser stata un’impresa gettare le custodie originali e nascondere le pellicole proibite in quelle di film seriosi (tipo i capolavori secondo Veltroni o gli allegati di Repubblica). Kazaa e WinMx han fatto parte di un’epoca di passaggio: quella in cui non c’era più bisogno di uscire di casa, ma per tirare giù 5 minuti di clip c’era da

Voglio dire: non c’è bisogno di questo mio scritto per ricordare al mondo quanto la tecnologia abbia trasformato la nostra vita e stravolto le nostre abitudini. Parliamo di amore? Il mio primo fidanzato, anno 2001, inviò da me un amico con un bigliettino scritto a mano. Ti vuoi mettere con me? Sì, no. Dissi sì. Oggi le tipe dell’età di mia cugina – che vedi un po’, è del 2001 – si fanno le foto alle tette e le mettono su Facebook con i filtri Retrica. Cinquanta like a scatto. E a occhio e croce, ogni dieci like c’è un messaggio privato di un suo amichetto che le dice che è carina e che sarebbe bello scambiarsi il numero per scriversi su whatsapp e chissà, magari poi vedersi. La mia sarà pure sociologia da quattro soldi, ma una delle cose che la tecnologia ha sconvolto di più è 40


Luoghi a perdere

Luci rosse spente

le produzioni di Schicchi? Il crudo di Parma in luogo di Moana?

attendere due ore e invocare le divinità del peer2peer a 56k. L’epoca di YouPorn (e RedTube, Tube8, Lupo Porno, YouJizz, LiveJasmin, PornHub, XHamster…) ci ha sconvolti. Ha fatto collassare le edicole (bisogna essere dei cultori per comprare oggi una rivista hard), il consumo di massa si è trasferito online. Oltre il 30% del traffico online, sostengono quelli bravi, è sui siti porno. Ma ciò che volevo dire – visto che in questo numero si parla di spazi – è che la crisi più grossa è stata quella che ha travolto i cinema a luci rosse. A Firenze il più bellino era sicuramente l’Arlecchino: nato come sala per bambini, durante gli ’80 diventò l’opposto, trasformandosi nel miglior cinema per adulti. I bambini sono cresciuti e il cinema s’è adeguato, dicono in Oltrarno. A due passi da Ponte Vecchio, accanto alla sala prove dei Litfiba, si trovava questo luogo sui generis. Decorato con preziosi pilastri in ceramica e con decorazioni di un’artista come Vinicio Berti (sebbene sia lecito pensare che i clienti non si recassero lì esattamente per quello). Laddove c’era il porno ora c’è un punto Conad. Stessa sorte per l’ex Cinema Italia di Largo Alinari: altro cinemone storico (e ho la quasi totale certezza che un paio di compagni delle superiori, allo scattare dei 18, festeggiarono la maggiore età con una forca su quelle poltroncine), anch’esso riconvertito in un supermercato Conad. Di quelli lì tutti ben sistemati dove si vendono soprattutto prodotti tipici e di alta qualità. Le mozzarelle di bufala faranno scordare 41

Ora: è inutile che mi lanci in appelli contro la mercificazione del centro storico, per il ripristino dei vecchi luoghi di aggregazione, contro la cultura del consumo della Firenze turistica. Io dentro un cinema a luci rosse non ci sono mai stata (giuro). E non è mia intenzione neppure sostenere che andarci fosse bello: tutti sanno che era un via vai dal bagno alla sala, che spesso e volentieri erano luoghi di prostituzione e che il tasso di depravazione fosse addirittura ben oltre (pare: ma non ci credo) a quello di talune ragazze americane che oggidì si immolano per la patria nei locali di via de’ Benci. Cos’è che voglio dire, allora? Solo un po’ di vaga amarezza e di dispiacere. L’idea del cinema a luci rosse fa tanto vintage (e sapete quanto è figo il vintage) e l’idea del “supermercato di qualità” che ne ha preso il posto mi fa pure un po’ senso. Perché quelli che oggi impazziscono per la cucina (e fotografano le ricette e le postano, tipo le tette delle amiche di mia cugina), queste persone che mettono su instagram il tag #FoodPorn, a me, insomma, sembrano un po’ dei pervertiti.


Good Bye Ceaușescu

#17 Riotvan

Good Bye Ceaușescu Quando l'economia pianificata salutò Brașov testi di Andrea Lattanzi fotografie di Mihai Sovaiala

ta, fatta di enormi spazi vuoti e piccoli casolari. Solo chi ha trascorso la sua esistenza da queste parti può sapere per davvero se lavorarci e viverci sia stata una questione di qualità o una pura formalità. Brașov è tra le città principali della Romania e della Transilvania. Anche se qui i vampiri c'entrano davvero poco. A dominare la scena, infatti, sono gli orsi, che vivono nei boschi limitrofi all'abitato e che ogni tanto decidono di farsi una capatina a valle per cercare cibo. Ceaușescu, che amava tirare il grilletto, li ha protetti in maniera eccezionale nelle sue riserve. Esiste anche un

L'abbandono industriale nella Romania capitalista e democratica. Prima il crollo del regime e ora la crisi lasciano le fabbriche vuote e in macerie. Gli scatti del 21enne Mihai Sovaiala Della gloriosa e imperitura Uzina Tractorul Brașov, fabbrica di trattori chiusa nel 1997, oggi non rimane quasi più niente. Ai margini di un'area vasta oltre 100.000 mq, che all'apice della sua produttività dava lavoro a 22.000 persone, ci sono ancora i grigi blocks, costruiti ai tempi del regime di Nicolae Ceaușescu come dormitori per gli operai della zona. Al centro, una sconfinata landa desola42


Luoghi a perdere

Good Bye Ceaușescu

quartieri costruiti si sono ritrovati privi di senso, della loro funzione di dormitori» dice Mihai. I loro abitanti, «abituati a concepire una vita che imponeva tutti i giorni lo stesso mestiere, l'unico che poi sapessero fare», si sono ritrovati senza lavoro e oggi o sono andati in pensione o sono disoccupati. La fabbrica alienante, se da un lato manipolava e limitava la vita degli individui, dall'altro era però un mezzo di stabilità formidabile. «Una volta – racconta il giovane fotografo – sono andato a fare degli scatti alla Steagul-Rosu, dove si producevano camion e componenti meccaniche. Siccome tutte le foto che faccio sono prese da tetti, in modo da vedere bene l'estensione dell'abbandono e i palazzoni sullo sfondo, ho suonato a qualche citofono. In una casa ho trovato un settantenne che aveva lavorato proprio lì. Mi ha parlato a lungo e in maniera piuttosto nostalgica di quel periodo. Era dura, ma c'erano abbastanza soldi per campare, una casa e, anche se è vero sia venuto a mancare anche quello, cibo da mettere in tavola». All'abbandono della fabbrica, in questo senso, è corrisposto un «abbandono del vecchio modo di vivere» di tutti i suoi operai e delle loro famiglie. Nella zona, Mihai ha visitato una decina di ex-stabilimenti, soffermandosi molto sulla Uzina Tractorul, che oggi risulta quasi completamente demolita e che ospita alcuni centri direzionali o call center di compagnie straniere. I grandi terreni lasciati liberi sono diventati oggetto di compravendita anche da parte di investitori stranieri malgrado la crisi abbia una sorta di freno al nuovo sfruttamento di questi suoli. La grande superficie della Uzina Tractorul, per esempio, è stata acquistata dalla Flavus Invest di Bucarest, di proprietà del fondo di investimento britannico Centerra Capital Partner. Al suo posto sorgerà un grande centro commerciale, con uffici, hotel e sale congressi, sebbene una vicenda giudiziaria poco chiara e il rallentamento dell'economia mondiale abbiano rinviato la riconversione della zona. La realistica, ma per nulla scontata, conclusione di Mihai è che «da luogo di produzione di oggetti» la fabbrica sia così «finita per diventare un oggetto da commercializzare». E, forse, questo concetto meglio rappresenta di molti altri l'essenza della fine del regime. Con la morte di Nicolae Ceaușescu, giustiziato il giorno di Natale del 1989, la Romania ha visto sorgere la democrazia e la qualità della vita dei suoi cittadini è salita notevolmente. Ma con essa, di pari passo, è venuta a galla la devastante eredità in termini di abbandono, desolazione, sciacallaggio che la dipartita del “Condottiero” non ha potuto evitare.

piatto locale, lo stufato d'orso, che ricorda vagamente uno spezzatino di cinghiale. Animalisti di tutto il mondo unitevi: Daniza si è fermata a Brașov. Il centro cittadino è incantevole, con un fitto insieme di case e chiese dai tetti rossi e spioventi inchinati ai maestosi Carpazi, naturali braccia rocciose che cingono la città da sudovest. Volgendo lo sguardo alla collina di Tampa ti sembra di leggere su grandi lettere bianche, in stampatello, la parola “Hollywood”. Invece, in barba ad ogni regola base del buongusto, c'è proprio scritto Brașov. Salendovi in cima con una funivia, da 800 metri sopra il livello del mare, si può ammirare l'intera morfologia urbana della città, dal suo cuore caldo e curato alla sua periferia industriale cementata e secca. Da queste parti si trova il Panoramic, ristorante con vista che non ha mutato neanche di una forchetta i suoi connotati socialisti. Si mangia benino e costa molto poco. E questa è tutt'altro che una formalità. Riscendendo ci si trova direttamente nella zona storica di Brașov, dove in un locale incontriamo un giovane fotografo che risponde al nome di Mihai Sovaiala. Brasovita trasferitosi per studi a Bucarest, a soli 21 anni ha sviluppato un progetto di nome Empty Fields, incentrato sull'abbandono delle fabbriche chiuse dopo la caduta del regime e sul rapporto che queste hanno storicamente instaurato con l'architettura locale. Niente male per uno nato quattro anni dopo l'esecuzione di Ceaușescu e della moglie Elena, in una città che tra il 1950 e il 1960 si era pure chiamata Orașul Stalin, ovvero la Città di Stalin. In quegli anni, l'impulso dato dal regime comunista all'industrializzazione della Romania ha richiesto un deciso incremento demografico nelle zone scelte dall'economia centralizzata per l'installazione dei nuovi impianti produttivi. Per supportare questo processo, migliaia di individui e di nuclei familiari sono stati “prelevati” dai campi di lavoro e dalle campagne moldave per essere destinati a colmare i volumi occupazionali disponibili. Mihai ci spiega che fino alla sua chiusura, lo zio del padre era uno dei capi della Temelia, tra le più importanti aziende della Romania. Alla Temelia si produceva cemento, che fu utilizzato sistematicamente per costruire molte delle altre fabbriche della zona, i quartieri volti a ospitarne i lavoratori, infrastrutture e, persino, la Casa del Popolo di Bucarest, l'edificio voluto da Ceaușescu come simbolo della sua grandezza, secondo edificio amministrativo al mondo per dimensioni, preceduto solo dal Pentagono. «Ma una volta caduto il regime e chiuse le fabbriche, i 43


Il Corvo

#17 Riotvan


Luoghi a perdere

Barfly - La Fée Verte

Barfly La Fée Verte

testi di Tommaso Pieri

Quando i simpatici ragazzacci di Riotvan mi comunicarono il tema di questo numero, “l’abbandono, il riutilizzo”, iniziai a pensare alla miriade di storie di riutilizzo che costellano il mondo del bar. Dopo aver iniziato a buttare giù appunti, mi accorsi che il tema che stavo cercando era ben radicato dentro me. Dal magma del subconscio riemersero i ricordi di un periodo di vita in cui avevo molto tempo libero. Avevo intrapreso uno studio per scrivere un libro sui cocktails. Più scrivevo e mi documentavo, più capivo che quello che realmente mi interessava era studiare il bar in rapporto all’arte, la cultura, e il costume delle varie epoche. Come però spesso accade, la vita reale entra come uno Tzunami in quella ideale e dovetti abbandonare. Ringrazio quindi Riotvan per aver fatto riaffiorare questo progetto “abbandonato”. Se si intende parlare di Beverage e società, in tutte le forme che questa astratta parola può comprendere, non esiste assolutamente nessun prodotto che sia legato in maniera così pregnante con la società, il (mal)costume e la cultura della sua epoca come l’Assenzio. Per uno scherzo del destino la sua storia è iniziata proprio con un abbandono, quando il mitologico Dottor Pierre Ordinaire lasciò la Francia rivoluzionaria, preferendo al terrore Giacobino le tranquille lusinghe della Svizzera e, soprattutto, della sua amata “Fata Verde”. Con questo epiteto i cittadini di Couvet, dove il Dottore si trasferì, iniziarono a conoscere il portentoso infuso di erbe che veniva preparato per risolvere i più svariati malanni. Da quel paesino la Fatina ne ha fatta di strada, tanto che nell’800 fu probabilmente il liquore più diffuso, complice un’infestazione di filossera che distrusse le coltivazioni di vite. Cantato dai poeti simbolisti fino a Tolstoj, dipinto da Degas e Toulouse Lautrec, bevuto in grande copia da Hemingway, 45

Modigliani, Van Gogh, Wilde e moltissimi altri. Amato dai ricchi e dagli straccioni, non ci fu ambito sociale che non venne soggiogato dal suo fascino. Si può dire che l’assenzio è sato il simbolo di quel periodo che portò l’uomo fuori dal secolo dei lumi e della ragione, il 700, sbatacchiandolo nell’abbandono delle convinzioni razionalistiche e nella perdita di identità propria della vita nella nuova metropoli moderna, che si stava affermando sulla scia della rivoluzione industriale. Come i personaggi disperati di Picasso del periodo Azzurro, uomini e donne si riversavano nei bar e affogavano nell’alcool l’alienazione della loro nuova condizione. Molto si è detto a proposito di Assenzio e droga; tanti addirittura pensano che l’Assenzio antico sia diverso da quelli di ora. Questa, in verità, è stata una trovata pubblicitaria che i produttori cavalcarono volentieri, vedendo le tasche gonfiarsi, ma che poi pagarono a caro prezzo. Il tujone, un terpene presente nella pianta dell’Artemisia, ma anche in


Barfly - La Fée Verte

#17 Riotvan

famiglia. Ovviamente si pose in primo piano solo l’assunzione di assenzio da parte dell’assassino e si denunciò, cosa peraltro vera, il fatto che i produttori senza scrupoli mettessero in commercio assenzi sempre più scadenti, economici e quindi dannosi. Si stava avvicinando a grandi passi il clima che avrebbe portato alla prima guerra mondiale e nessuno, poteva permettersi di organizzare un esercito alcolizzato, quindi nel 1915 si ottenne finalmente la messa al bando del nemico pubblico numero uno. La storia toglie, la storia rende. L’Assenzio si nascose, fuggitivo, e grazie a Radomir Hill, che lo produceva nella sua distilleria di Praga, tornò a tessere le sue trame massoniche. Come un esiliato, abbacinava, nei bar della Repubblica Ceca post comunista, migliaia di ragazzi (incluso il sottoscritto) che tornavano con l’immancabile bottiglietta verde da far assaggiare agli amici. Per un cavillo legale, per cui dobbiamo ringraziare la Spagna, unico paese della comunità europea dove la produzione di assenzio di scadentissima qualità non è mai venuta meno, da Bruxelles si è ritenuto opportuno liberalizzare la produzione del nostro amato liquore. Oggigiorno gli Assenzi di qualità sono in tutto e per tutto come quelli ottocenteschi. Un buon assenzio deve avere un tenore alcolico tra il 45 e il 70%, colore tra il bianco e un verde clorofilla (non quei verde smeraldo dati dai coloranti) e non sapere di anice in maniera così esplicita come altri liquori tipo pastisse, sambuca e, appunto, assenzi spagnoli. Oggigiorno tutto fa pensare che l’Assenzio di qualità possa avere finalmente una nuova vita, magari meno burrascosa della prima. Il rientro ufficiale nel salotto buono del bere miscelato, dopo varie avvisaglie in giro per i migliori bar di mezzo mondo, fu nel 2013, quando la IBA (l’organo che regolamenta a livello internazionale le associazioni dei bar tender mondiali) dichiarò la nuova lista dei cocktail ufficiali internazionali. Come molti dei Mixologist già sapevano, cocktail spariti o abbandonati vennero riesumati nella lista degli imprescindibili. Tra questi riapparve il Sazerac, uno dei cocktail più affascinanti e antichi del mondo, creato a New Orleans con assenzio, whisky e un bitter speciale di Antoine Amedine Peychaud, un farmacista creolo che già dal 1838 proponeva prodotti aromatici tratti da erbe e botanicals; ma questa è un’altra storia, che per motivi di spazio dobbiamo abbandonare.

Absinthe Robette 1896, Henri Privat-Livemont

innumerevoli prodotti per la cucina, come la salvia, è presente nel liquore in una concentrazione talmente bassa che per avere una intossicazione se ne dovrebbero bere 3 litri, il che porterebbe alla morte per alcool ben prima che a una dipendenza. L’oppio stesso, spesso accostato alla Fata verde, veniva consumato regolarmente in ambienti letterari, militari e aristocratici, sotto forma di Laudano. Diluito nell’alcool, poteva essere bevuto con vino, vermout, e assenzio. Quindi l’unico vero delitto che si può imputare alla Fée Verte, nell’800, fu quello di essere stato dannatamente favorevole al gusto del popolo. A questo punto i produttori di altri prodotti concorrenti, soprattutto vinai e produttori di cognac, iniziarono a pagare la stampa per forzare l’opinione pubblica, così che sembrasse che l’alcolismo fosse una piaga sociale tutta dipendente dall’Assenzio. Nel 1905, un contadino di nome Lanfray, in una notte in cui bevve 3 litri di vino, 3 cognac, diverse altre cosine e 2 bicchieri di assenzio, rincasando, pensò bene di massacrare la sua 46


Riot Van cerca scrittori, grafici, fotografi e video makers che vogliano collaborare con l'associazione

Da noi puoi effettuare il tirocinio universitario convenzionato con l'ateneo fiorentino. Puoi usufruire della sede come spazio di studio e progettazione. Entra in contatto col mondo dell'editoria, del giornalismo, della produzione video e dell'organizzazione di eventi

Vieni in via Santa Reparata, 40 rosso a conoscere la nostra realta'


Il Cruciverba di Filiman

#17 Riotvan


Luoghi a perdere

Il Cruciverba di Filiman

Il Cruciverba di Filiman ORIZZONTALI 1. Sindrome da ostruita defecazione, 10. Si mutilava una mammella per tendere meglio l’arco, 11. Ne era il leader Gianfranco Fini, 12. Banca Popolare di Cortona, 13. Passando il tempo senza fare niente, 15. Atollo sede di esperimenti atomici, 16. E’ un’arte, 17. Comune Tirolese, 18. Pari di mole, 19. Legato all’avere, 20. Barriera corallina, 21. La Rinaldi attrice italiana (iniz.), 22. Mezza alta, 23. E’ così che inizia la coda, 24. Libere, 26. Sostanza stupefacente, 28. Avere buone possibilità di vittoria, 30. Consorte di mussolini, 32. Lo sono i corni animali

VERTICALI

1. Accomodare, 2. Il più alto dei cieli, 3. Può essere duro, 4. Lo Zuccari pittore del ‘500 (iniz.), 5. E’ famoso il suo buco, 6. Alpi, 7. Ne era presidente Mattei, 8. Personaggio della foto, 9. Zanzara, 11. Adirato senza fine, 14. “…., non ci posso credere!”, 21. Principale indice della borsa di Tokyo, 24. Tipologia di vino della Franciacorta, 25. Lo Chef Cracco (iniz.), 26. Phillip ex centrocampista della nazionale olandese di calcio, 27. Fiume tedesco, 29. E’ un tipo di Galaxy, 31. Art. det. f. pl

Bar Massimo

Aperto tutti i giorni a pranzo, anche il sabato... via Carlo del Prete 9r, Firenze

■ insalatone di tutti i tipi a 5€ ■ primi, diversi ogni giorno, a 4,50€ ■ secondo con contorno 8€ Solo per voi le offerte dell'otto: ■ primo più contorno e macedonia ■ antipasto più 1/2 primo e macedonia ■ 1/2 primo più 1/2 insalata e macedonia ■ primo più patate fritte e acqua (8€ per ciascuna combinazione)

Bar Massimo la camme potrai consultare ogni giorno il menù aggiornato


Direttore responsabile Michele Manzotti Direttore editoriale Mauro Andreani Responsabili organizzativi ed esecutivi Mauro Andreani, Salvatore Cherchi, Francesco Guerri, Andrea Lattanzi, Lapo Manni, Giuseppe di Marzo, Daniele Pasquini, Mattia Rutilensi, Giulio Schoen, Niccolò Seccafieno Redattori e Collaboratori Marco Beccani, Flavia Di Mauro, Filiman, Lorenzo Franchi, Rosa Monicelli, Chiara Morellato, Elena Panchetti, Tommaso Pieri, Carlotta Zaganelli Grafica e impaginazione Mattia Vegni Illustratori Bau, FrenoPerSciacalli , Niccolò Gambassi Fotografi Marco Castelli, Giacomo Gandossi, Giulia Pianigiani, Anità Scianò, Mihai Sovaiala Copertina Elaborazione grafica: Mattia Vegni Immagini: MAAM, Giulia Pianigiani, Anità Scianò, Mihai Sovaiala Web Developement Francesco Canessa Sono stati fatti tutti gli sforzi per segnalare e allocare correttamente i crediti fotografici. Ricordiamo che il diritto dell'immagine fotografica resta dell'autore. Numero chiuso in redazione il 10/11/2014 Numero finanziato da Stampato presso Polistampa Firenze Tiratura di 2000 copie in carta ecologica sede legale via delle 5 giornate 52 sede operativa via santa reparata 40 rosso www.riotvan.net per info e contatti: info@riotvan.net per la pubblicità: sponsor@riotvan.net

Ringraziamenti: Wu Ming 2, Giulio Garganti, Il Teatro Valle Occupato, Valeri Tomasuolo, MAAM, Giorgio De Finis, Labas, Sant'Orsola Project, Abuso. Grazie anche a tutti i nostri partner e sponsor, che ci permettono di uscire ogni volta. Grazie ai nostri lettori.


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