IoArch 65 Jul_Aug 2016

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Anno 10 - n 65 - Agosto 2016 - euro 6,00

architetture biomimetiche Le soluzioni messe a punto dalla natura diventano strategie progettuali

OMA

fondaco dei tedeschi Matteo Thun

marriott venice resort Elements

OUTDOOR

Font srl - Via Siusi 20/a 20132 Milano - Poste Italiane SpA Sped. in abb. postale 45% D.L. 353/2003 (conv. in. 27.02.2004 n. 46) Art. 1 Comma 1 DCB Milano



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TRA PASSATO E FUTURO

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Come documenta l’ampio servizio dedicato all’architettura biomimetica, il futuro che possiamo immaginare è l’evoluzione intelligente del progetto, basata sullo studio dei meccanismi della natura, che grazie alle possibilità di calcolo e modellazione può trasformarsi in una reale evoluzione delle tecniche costruttive minimizzando l’impatto ambientale del costruito. Un costruito che specie in Italia è anche eredità storica e culturale da mantenere, riqualificare e rifunzionalizzare. Come nell’intervento di Oma sul Fondaco dei Tedeschi a Venezia o quello di Matteo Thun che reinventa, sempre nella laguna veneta, l’isola delle Rose trasformandola in un resort di lusso. Sempre raccontati in questo numero.

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8 un restauro sottile e ambizioso

38 design italiano sul tetto d’europa

17 convergenza creativa

46 Il racconto di leonardo

OMA per il Fondaco dei Tedeschi

Biomimesi, imparare dalla natura

18 l’usine verte Zero Waste Textile Factory, Michael Pawlyn

27 il ponte sospeso Architettura nello Yunnan, Tonkin Liu

IOARCH Costruzioni e Impianti n. 65

In copertina, il progetto di ponte sospeso nello Yunnan in Cina di Tonkin Liu e Arup (©Tonkin Liu).

Direttore responsabile Sonia Politi Comitato di direzione Myriam De Cesco Carlo Ezechieli Antonio Morlacchi Grafica e impaginazione Alice Ceccherini, Federica Monguzzi Valentina Venturi

32 biomorfismi alieni Michael Hansmeyer

Contributi Grazia Gamberoni Moreno Maggi Pietro Mezzi Marketing e Pubblicità Elena Riolo elenariolo@ioarch.it Fotolito e stampa Errestampa

Editore Font srl, via Siusi 20/a 20132 Milano T. 02 2847274 redazione@ioarch.it

Sky Way Monte Bianco, Carlo Cillara Rossi

Il museo Leonardiana a Vigevano

49 Aperto, leggero, interattivo

Intervista a Migliore+Servetto Architects

54 L’isola del lusso Matteo Thun a Venezia 61 elements Outdoor

Abbonamenti (6 numeri) Italia euro 36,00 - Europa euro 84,00 resto del mondo euro 144,00

www.ioarch.it

Pagamento online su www.ioarch.it o bonifico a Font Srl - Unicredit Banca IBAN IT 68H02 008 01642 00000 4685386

Prezzo di copertina euro 6,00 arretrati euro 12,00

T. 02 2847274 abbonamenti@ioarch.it

© Diritti di riproduzione riservati. La responsabilità degli articoli firmati è degli autori. Materiali inviati alla redazione salvo diversi accordi non verranno restituiti.

Reg. Tribunale di Milano n. 822 del 23/12/2004. Spedizione in abbonamento postale 45% D.L. 353/2003 (convertito in legge 27.02.2004 n.46) art. 1, comma 1 DCB Milano


› premi

DELICATI EQUILIBRI

tra bellezza e funzionalitÀ BSI SWISS ARCHITECTURAL AWARD 2016 Junya Ishigami

Grazia Gamberoni L’architetto giapponese Junya Ishigami (42 anni) è il vincitore della 5a edizione del BSI Swiss Architectural Award, il premio biennale di architettura del valore di 100mila franchi svizzeri istituito nel 2008 da BSI Architectural Foundation con il patrocinio dell’Accademia di architettura di Mendrisio - Università della Svizzera italiana, in collaborazione con l’Archivio del Moderno. Il premio, nella valutazione unanime della giuria presieduta da Mario Botta, è stato attribuito a Ishigami per tre diversi lavori: il Kanagawa Institute of Technology Workshop realizzato in Giappone, 2004-2008; l’intervento nel Padiglione del Giappone alla XI Biennale di Architettura di Venezia (2008); la Casa con piante costruita nei sobborghi di Tokyo per una giovane coppia, 2010/2012. Secondo la giuria “gli edifici di Junya Ishigami creano spazi di grande bellezza e serenità, che s’impongono con una forza iconica inusuale” offrendo al contempo risposte concrete a precise esigenze funzionali. Le tre opere sono caratterizzate in particolare “da una ricerca strutturale

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(foto ©Tasuku Amada).

innovativa ma senza inutili eroismi, che conduce ad un’architettura di delicata raffinatezza, e da un rapporto fecondo con l’elemento vegetale, interpretato e declinato in modi sempre diversi”: dall’edificio come metafora di una foresta nel caso dei laboratori dell’Istituto di tecnologia di Kanagawa, alla completa integrazione della vegetazione nella Casa con piante. Il premio sarà consegnato al vincitore il prossimo 22 settembre 2016 presso l’Accademia di di Mendrisio nel corso di una cerimonia che segnerà anche l’apertura dell’esposizione dei lavori presentati dai 28 candidati provenienti da 17 Paesi. Candidati che, come prevede il regolamento del Premio, sono stati segnalati da un comitato di advisor composto quest’anno dai premi Pritzker Toyo Ito e Paulo Mendes da Rocha, dai vincitori di tre precedenti edizioni del Premio Solano Benitez, Diébédo Francis Kéré e Bijoy Jain (Studio Mumbai) e da Ole Bouman, Gonçalo Byrne, Luis Fernandez Galiano, Sean Godsell, Shelley McNamara, Valerio Olgiati, Smiljan Radic, Li Xiaodong.

Sopra il titolo, il Kanagawa Institute of Technology Workshop (foto ©Iwan Baan). Sopra, dall’alto, la Casa con piante nei sobborghi di Tokyo e l’intervento nel Padiglione giapponese alla XI Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia, 2008 (a fondo pagina la sezione ©Junya.Ishigami+associates).


› occh

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Il grande formato delle superfici Dekton nasce per offrire un ampio ventaglio di opportunità progettuali per il mondo del design e dell’architettura. Dekton si presenta in una varietà di colori e finiture con spessori di 8, 12 e 20mm. Adatto per spazi interni ed esterni, Dekton rivela una notevole resistenza e stabilità nel tempo, rendendo il tuo progetto illimitato. DEKTON IS UNLIMITED.

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› designcafè

LA MATERA DI ADRIANO OLIVETTI

RENZO PIANO E IL GIAMBELLINO

IL RACCONTO DELLA STORIA DI UNA CITTÁ E DI UN GRANDE INTELLETTUALE IMPEGNATO NEL RISCATTO DEL MEZZOGIORNO

Renzo Piano - Diario dalle periferie/1 Giambellino Milano 2015 Skira Editore 244 pp- euro 27,00 Edizione bilingue (It-En) ISBN 978-88-572-3291-1

LE POLITICHE URBANE QUESTE SCONOSCIUTE La storia di Matera e Adriano Olivetti, in particolare quella del Villaggio La Martella, rappresenta un passaggio fondamentale dell’architettura e dell’urbanistica italiana degli anni Cinquanta. Un’azione, quella olivettiana nella città dei Sassi, ancora molto viva nel territorio, tanto da ritrovarla spesso nella pagine del dossier della candidatura di Matera a Capitale Europea della Cultura del 2019. Nel 1950, anno in cui il mondo celebrava la Lettera 22, Adriano Olivetti arriva a Matera, “capitale simbolica del mondo contadino”. Lì incontra i fratelli Albino e Leonardo Sacco: con loro e con Friedrich Friedman, Angela Zucconi e altri straordinari personaggi anima un laboratorio in cui progettisti, ingegneri, assistenti sociali, filosofi lavorano allo studio dei Sassi per costruire luoghi che restituiscano dignità e cittadinanza alle persone. “Matera - scrivono gli autori del libro, Federico Bilò e Ettore Vadini - diventa un laboratorio a cielo aperto, che supera ogni tecnicismo e autoreferenzialità, in cui è il metodo interdisciplinare a condurre a risultati inediti”. La pubblicazione nasce da una constatazione e da una scommessa. La prima riguarda il fatto che nessuno dei libri di storia italiana degli ultimi cinquant’anni cita i protagonisti del pionieristico progetto per il Mezzogiorno; la seconda sta nel tentativo di coniugare il rigore scientifico con l’ambizione alla divulgazione, utilizzando il web come vettore privilegiato di un patrimonio di conoscenza unico come quello rappresentato dalla storia di Matera e di Adriano Olivetti (la versione originale del volume è infatti pubblicata nella collana Intangibili della Fondazione Adriano Olivetti). Il libro ricostruisce la storia di quel lavoro, i cui risultati sono riconosciuti tra gli antefatti necessari al recente rinascimento della città: da “vergogna nazionale” a Capitale europea della Cultura del 2019.

Matera e Adriano Olivetti Testimonianze su un’idea per il riscatto del Mezzogiorno Autori Federico Bilò e Ettore Vadini Edizioni di Comunità 234 pp – euro 15,00 ISBN 978-88-98220-27-4

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Rapporto sulle città Metropoli attraverso la crisi Urban@it Centro nazionale di studi per le politiche urbane Il Mulino 258 pp – euro 21 ISBN 978-88-15-26077-2

LA CITTÁ DEL FUTURO COLLABORATIVA E INFORMATA

The City of Tomorrow: Sensors, Networks, Hackers and the Future of Urban Life Autori Carlo Ratti e Matthew Claudel Yale University Press 186 pp – euro 18,46 ISBN 978-0-300-20480-3

G124 è il codice della stanza di Palazzo Giustiniani assegnata all’architetto e senatore a vita Renzo Piano. Che appena nominato decise di dare un senso alla sua carica istituzionale avviando un progetto per l’Italia: la riqualificazione delle periferie. G124 è anche il nome dato ai gruppi di lavoro formati da giovani architetti, tutti under 35 e retribuiti con lo stipendio del senatore, che si occupano, con l’architetto genovese e i suoi tutor, di progetti di rammendo delle periferie italiane. Nel corso del 2015 un gruppo si è occupato del quartiere Giambellino a Milano: zona di case popolari degli anni Trenta, trascurate dal punto di vista manutentivo. I giovani architetti hanno lavorato sull’analisi degli edifici esistenti, su come restituire equilibrio al mix di etnie esistenti e della valorizzazione del verde. Disegni, progetti, racconti e interviste frutto di questo lavoro sono ora raccolti in volume edito da Skira che documenta non solo lo studio di rammendo ma anche la storia, la vita e le persone di questa storica periferia milanese.

In Italia, servono le politiche urbane? Secondo molti (l’Unione europea, il governo, il mondo accademico) la risposta dovrebbe essere scontata. Nei fatti non è così. Disporre di un quadro nazionale delle priorità a sostegno delle iniziative locali dovrebbe servire a innovare il Paese e a renderlo più competitivo. Ma le città non sono nell’agenda politica delle nostre istituzioni. Questo è ciò che ci restituisce la lettura del rapporto sulle città realizzato da Urban@it, frutto del primo anno di attività del Centro nazionale di studi per le politiche urbane. L’unica riforma andata in porto, tra non poche difficoltà e contraddizioni, ha riguardato le città metropolitane. Un po’ poco per un Paese che ha urgente bisogno di riformare il suo sistema istituzionale e di rilanciare anche le proprie politiche urbane. Il libro, edito da il Mulino, raccoglie studi e ricerche di docenti di diverse università: da Alessandro Balducci a Marco Cremaschi (che ha curato l’edizione del Rapporto), da Giovanni Laino a Gabriele Pasqui, solo per citarne alcuni.

Spesso le città sono luoghi disordinati, pieni di ingorghi e cumuli di spazzatura. Per ridare loro l’efficienza necessaria, prima di improvvisare, forse è il caso di domandarsi cosa fare per farle funzionare. Una delle possibili risposte ci viene dal libro The City of Tomorrow: Sensors, Networks, Hackers and the Future of Urban Life, che Carlo Ratti e Matthew Claudel hanno di recente pubblicato. “Un punto di partenza è lasciare che il caos ci parli sotto forma di dati e numeri”, scrivono gli autori. Questo, almeno, è l’approccio adottato dai ricercatori del Senseable City Laboratory del Mit, che per quasi dieci anni hanno raccolto i dati della città in movimento. Dati che hanno prodotto risultati interessanti. I ricercatori di Senseable City Lab sono sostenitori dell’utilizzo dei dati in rete per aiutare la politica a decidere e a pianificare la città. Per i due autori ciò che importa è infatti come utilizzare al meglio le dinamiche urbane, per dar vita a una città che sia sotto il controllo dei cittadini.


FONT Srl - illustrazione di Jochen Schittkowski / Germany

Il pavimento incontra il progetto

Pavimenti tecnici vinilici e in PVC di ultima generazione in legno prefinito, in laminato, in gomma, linoleum e moquettes. Soluzioni specifiche per pavimenti ad uso residenziale, sportivo, industriale, per la nautica, per il settore scolastico, ospedaliero e contract.

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› riqualificazione e riuso

il fondaco dei tedeschi, venezia

UN RESTAuRO SOTTILE E AMBIZIOSO Affacciato sul Canal Grande è uno dei complessi più imponenti e riconoscibili della città. Un edificio storico trasformato più volte nel corso dei secoli. Ora l’intervento di restauro e rifunzionalizzazione progettato da OMA trasforma il Fondaco dei Tedeschi in nuovo polo culturale e grande magazzino del lusso

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Costruito nel 1228 come punto d’approdo commerciale da parte dei mercanti tedeschi di Augusta e Norimberga, due volte distrutto dal fuoco, ricostruito nella sua forma attuale nel 1506, trasformato in uffici della dogana sotto Napoleone e sottoposto a una serie di interventi architettonici nel 1930 durante il Ventennio fascista per ospitare la posta centrale, il Fondaco dei Tedeschi - collocato nel sestiere di San Marco, affacciato sul Canal Grande e adiacente al Ponte di Rialto - è uno degli edifici più grandi e riconoscibili di Venezia. Di proprietà fino al 2008 di Poste Italiane, il Fondaco è entrato a far parte del patrimonio del gruppo Benetton, che l’anno


› riqualificazione e riuso

In apertura e nella foto a fianco, i piani colonnati del Fondaco dei Tedeschi dopo il restauro su progetto di Koolhaas e Pestellini Laparelli. Nelle immagini a fondo pagine, da sinistra: le attività di commercio che si svolgevano nel Fondaco in un’incisione del 1616 di Rafhaele Custos; la localizzazione dell’edificio lungo il Canal Grande; le travi in cemento nella sala telegrammi delle Poste in una foto del 1940; una pianta del piano terra che mette in evidenza le demolizioni (in giallo) e le costruzioni (in rosso) che si sono succedute dal 1900 (foto ©Delfino Sisto

Legnani e Marco Cappelletti, courtesy of OMA).

successivo, con la società Edizione, ne ha avviato il progetto di restauro e rifunzionalizzazione. Oggi, dopo l’intervento di restauro ideato e curato da Rem Koolhaas e Ippolito Pestellini Laparelli dello studio di architettura Oma e da Silvia Sandor, è stato trasformato in un polo culturale e nel primo grande magazzino del lusso di Venezia, il Dfs Luxury, di complessivi novemila metri quadrati di superficie. Rappresentato da Canaletto e da altri pittori dell’epoca, fotografato innumerevoli volte, per decenni il Fondaco ha rappresentato il testimone di un’epoca, quella mercantile veneziana, conclusasi alla fine

del Settecento. Nella sua lunga storia, il palazzo ha subìto numerosi rimaneggiamenti, in particolare nel Ventennio con largo impiego di calcestruzzo, ma anche nei cinque secoli precedenti, in cui si sono sovrapposte tecniche costruttive differenti. Nel 1987, nonostante i suoi numerosi adattamenti e l’obiettiva mancanza di autenticità, fu dichiarato monumento nazionale, rendendo quasi impossibile effettuare nuovi interventi. Lo schema seguito da Oma nel processo di trasformazione si è basato su un numero finito di interventi strategici e di dispostivi di distribuzione verticale a sostegno del

nuovo programma di utilizzo e di una nuova sequenza di percorsi e spazi pubblici. Ogni intervento è stato concepito come un’attenta operazione di scavo sull’edificio preesistente, creando così nuove prospettive e svelando ai visitatori la vera sostanza del palazzo: un accumulo storico di autenticità. Il progetto apre la piazza-corte del Fondaco ai pedoni, riaffermando il suo ruolo storico di campo urbano coperto. Il nuovo tetto dell’edificio è ottenuto dalla ristrutturazione della copertura esistente realizzata nel XIX secolo e dalla creazione di una nuova struttura in acciaio e vetro, che si libra al di sopra del cortile centrale, (segue a pagina 12)

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› riqualificazione e riuso

courtesy of OMA, ph. Fred Ernst

Ippolito Pestellini Laparelli – OMA Project leader della trasformazione del Fondaco dei Tedeschi è Ippolito Pestellini Laparelli, laureato in architettura al Politecnico di Milano e dal 2014 uno dei nove partner di Oma, dove lavora dal 2007 (sede di Rotterdam). Con una specializzazione sulla conservazione, la scenografia e l’organizzazione e la curatela di mostre ed esposizioni, Pestellini Laparelli attualmente sta seguendo la riqualificazione della Kaufhaus des Westens (KaDeWe), il grande magazzino di Berlino aperto nel 1907 e parzialmente ricostruito negli anni Cinquanta, e la gioielleria Repossi in Place Vendôme a Parigi, inaugurata in luglio. In passato l’architetto aveva curato l’organizzazione di Monditalia alla Biennale di Architettura di Venezia 2014, la scenografia del teatro greco di Siracusa (2012) e Cronocaos, la mostra di Oma alla Biennale 2010. Dal 2010 Ippolito Pestellini Laparelli è inoltre responsabile dei progetti che Amo – il think-tank di Oma che opera in campi contigui all’architettura – conduce per Prada, dagli eventi speciali e le sfilate della maison del lusso alla direzione artistica della produzione video. www.oma.eu Nelle foto e nei disegni di queste pagine gli elementi di distribuzione verticale che definiscono una nuova sequenza di spazi interni e pubblici della nuova struttura. La sezione qui sotto in particolare mostra i tagli e le nuove aperture effettuati nei muri della Galleria (foto ©Delfino Sisto Legnani e Marco Cappelletti, courtesy of OMA).

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› riqualificazione e riuso

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› riqualificazione e riuso e dall’aggiunta di una grande terrazza in legno che consente una vista spettacolare sulla città. Terrazza e cortile diventeranno luoghi accessibili e aperti alla città. Sono stati anche previsti due nuovi ingressi: da Campo San Bartolomeo e da Rialto; mentre gli ingressi al cortile sono stati mantenuti. Sono state aggiunte delle scale per creare un nuovo percorso pubblico attraverso l’edificio. All’interno restano invariate le camere d’angolo, mentre per le altre stanze si sono rispettate le sequenze originarie. In sostanza, il Fondaco dei Tedeschi diventerà presto un punto di riferimento dei veneziani e dei turisti: un grande magazzino urbano capace di mettere in scena una vasta gamma di attività, dallo shopping agli eventi culturali, dagli incontri sociali a quelli della vita quotidiana. Per i progettisti si è trattato di un restauro “sottile e ambizioso”, che prosegue la tradizione storica del palazzo, come luogo vitale e adattabile, e la sua conservazione come nuovo capitolo della storia dell’edificio. Un intervento che, dichiaratamente, ha voluto “evitare ricostruzioni nostalgiche del passato” e che, in ultima analisi, “demistifica l’immagine sacra di un edificio storico”

In questa pagina, la copertura in acciaio e vetro al quarto piano dell’edificio è stata realizzata con elementi preassemblati fuori opera. Nella pagina a fianco, in alto, un render della corte centrale del Fondaco e dei piani colonnati; in basso, una vista di Venezia dalla nuova terrazza dell’edificio

(foto ©Delfino Sisto Legnani e Marco Cappelletti, courtesy of OMA).

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› riqualificazione e riuso

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› riqualificazione e riuso

il cantiere e la laguna Il restauro e la rifunzionalizzazione del Fondaco dei Tedeschi, collocato nel cuore di Venezia, ha imposto l’impiego di particolari tecniche organizzative e realizzative, in particolare per quanto riguarda l’approvvigionamento dei materiali e dei mezzi d’opera. «Le operazioni di cantiere - afferma Marzio Mazzetto, direttore di cantiere della Sacaim di Venezia - hanno imposto tempi di realizzazione molto ristretti, per i quali è stata determinante la fase di programmazione logistica del cantiere. Fondamentale si è rivelata la scelta di installare gru a torre, con 40 metri di braccio, all’interno dell’edificio, nel vano montacarichi: ciò ha evitato disagi alle attività commerciali, ai cantieri presenti a Rialto e alla viabilità circostante. Il carico e lo scarico delle merci è avvenuto dal pontile provvisorio, collocato in Canal Grande. In occasione di interventi straordinari, è stato anche necessario utilizzare dei pontoni, sui quali venivano posizionati dei macchinari di elevate prestazioni e poco usati nelle attività di cantiere di Venezia.

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In alcune circostanze, per il montaggio e lo smontaggio della gru a torre, l’impiego di pontoni ha obbligato la chiusura notturna del Canal Grande. Considerato che l’area di cantiere coincideva con il perimetro dell’edificio e che non erano disponibili zone di stoccaggio dei materiali, si è resa indispensabile una pianificazione rigorosa delle operazioni di movimentazione e di approvvigionamento. Tutto ciò ha comportato un’organizzazione delle maestranze di cantiere – arrivate a 270 presenze giornaliere nella fase finale dei lavori - su doppi e tripli turni di lavoro». La particolarità del cantiere veneziano è emersa anche nella costruzione delle opere al piano terra, dove è stata realizzata una vasca di protezione dalle acque alte che ha permesso di salvaguardare l’edificio in presenza di maree fino a due metri sul livello del medio mare. Ciò ha richiesto, fino a tale quota, l’impermeabilizzazione dei rivestimenti delle pareti con cementi osmotici, intonaci impermeabili, materiali bentonitici e l’inserimento di paratoie mobili in

acciaio inox nei varchi di accesso. La realizzazione del nuovo solaio in acciaio e vetro, costruito nel perimetro di gronda interno del quarto piano, ha imposto un rinforzo localizzato delle fondazioni esistenti alla base del colonnato della corte centrale. Tutte le colonne della corte sono state poste in sospensione mediante centinatura metallica, puntellazione degli archi e imbracatura delle colonne stesse. Durante la fase di restauro della copertura in carpenteria metallica, che per motivi logistici è stata trasportata in laboratori sulla terraferma, l’accesso e l’approvvigionamento interno ai piani è stato possibile tramite l’originaria apertura centrale della corte. In questo modo si è potuto accelerare la complessa realizzazione del locale interrato, in cui è stato collocato l’impianto di depurazione, posto a una profondità di circa 2 metri e 80 centimetri sotto il livello del mare. Grazie alla gru a torre, la posa del nuovo solaio in acciaio e vetro del quarto piano è avvenuta con elementi pre-assemblati fuori opera (foto courtesy Sacaim).


› riqualificazione e riuso scheda Progetto Restauro e rifunzionalizzazione del Fondaco dei Tedeschi

Proprietà Edizione Srl Luogo Venezia - Sestiere San Marco, 5339-5349, 5562 Dimensioni 9.000 mq. Destinazione Grande magazzino del lusso, polo culturale e spazi pubblici

Progettisti Rem Koolhaas e Ippolito Pestellini Laparelli Progetto architettonico Francesco Moncada e Silvia Sandor

Team Ippolito Pestellini Laparelli; Marco De Battista, Andrew Chau, Paul Feeney, Alice Grégoire, Ricardo Guedes, Kenny Kim, Andreas Kofler, Kayoko Ota, Pietro Pagliaro, Miriam Roure Parera, Carlos Pena, Ciprian Rasoiu, Agustín Pérez Torres Sviluppo del progetto Francesco Moncada e Silvia Sandor (progettisti); Giacomo Ardesio, Paul Feeney, Alice Grégoire, Ricardo Guedes, Giulio Margheri, Pietro Pagliaro, Cecilia del Pozo, Ciprian Rasoiu, Jan de Ruyver, Miguel Taborda (team)

Realizzazione Silvia Sandor (progettista); Aleksandar Joksimovic, Leonardos Katsaros, Francesco Moncada, Federico Pompignoli (team) Progettisti esecutivi C+S e Duebarradue Restauri TA Architettura Strutture Tecnobrevetti Ingegneria Politecnica Ingegneria e Architettura Safety Impresa esecutrice Sacaim Coordinamento Antonio Girello Cost Consultant Dd Phase Gad Chiusure tagliafuoco

pavimentazione in vetro terrazza

copertura preesistente muratura in ottone percorsi

San.Co Costruzioni Tecnologiche Spa

In alto, l’ingresso da Rialto (Calle del Fondego) di lato al Canal Grande e, accanto, una sezione dell’edificio restaurato (foto ©Delfino Sisto Legnani e Marco Cappelletti, Courtesy of OMA).

SAN.CO COSTRUZIONI TECNOLOGICHE Soluzioni tagliafuoco in legno e vetro

Per l’importante opera di restauro del Fondaco dei Tedeschi, lo studio OMA ha scelto l’affidabilità e la sicurezza certificata delle chiusure tagliafuoco in legno e vetro di San.Co Costruzioni Tecnologiche. Con dettagli estremamente personalizzati e utilizzando largamente l’ottone brunito, i prodotti dei marchi Isofirewood® e Isofireglas® si sono fusi perfettamente con gli spazi dello storico palazzo del XVI secolo. Da oltre 25 anni San.Co è mossa da un forte spirito innovatore che le ha permesso di creare prodotti per l’edilizia in grado di salvaguardare il benessere delle persone, garantire sicurezza e soddisfare le evoluzioni architettoniche più interessanti.

SAN.CO COSTRUZIONI TECNOLOGICHE SpA Via Fornaci, 26 - 38062 Arco TN T. 0464 588111 mail@sancoct.com | www.sancoct.com

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› è la legge La legge sul consumo di suolo, questa chimera! Alessandro Ezechieli, avvocato

Sarà questa la volta buona per avere una legge nazionale che dia un freno all’aggressione incontrollata del territorio? Forse sì. Ma partiamo dai dati di fatto. Secondo l’Ispra in Italia il suolo consumato (cioè irreversibilmente trasformato dall’uomo per far spazio a strade, edifici, industrie e qualsiasi altro manufatto artificiale) è circa il 7% della superficie totale, percentuale che cresce dagli anni ’50 del secolo scorso a ritmi impressionanti un po’ ovunque. Basti pensare che nella relazione accompagnatoria al disegno di legge governativo per il contenimento del consumo di suolo del 2014 è scritto a chiare lettere che “ogni giorno in Italia si cementificano 100 ettari di superficie libera” e che dal 1956 al 2010 “il territorio nazionale edificato …è aumentato del 166%”. Che si sia arrivati al limite e che serva un’inversione di tendenza ce lo fa sapere la natura che sempre più spesso si manifesta con fenomeni violenti che non risparmiano il territorio, costantemente afflitto da inondazioni e frane. Ma ce lo fa sapere anche l’UE che, circa cinque anni fa, si è data l’obiettivo di arrivare entro il 2050 a un incremento di consumo di suolo pari a zero, obiettivo poi rafforzato con l’entrata in vigore, nel 2014, del Settimo programma ambientale dell’Unione Europea. Anche in Italia l’argomento è sentito, tanto che alcune Regioni hanno già legiferato sul tema (ad esempio la L.R. Lombardia n. 31/2014 e l’articolo 4 della L.R. Toscana n. 65/2014). Per arginare efficacemente il fenomeno è però necessario un intervento legislativo a livello nazionale. Negli ultimi anni sul tema si contano almeno quattro proposte di legge di iniziativa parlamentare, alle quali è stato abbinato il menzionato disegno di legge di iniziativa governativa del 2014. Il risultato è un testo di 11 articoli che, dopo vari aggiustamenti “al ribasso”, il 12 maggio 2016 è stato finalmente approvato in prima lettura dalla Camera dei Deputati. Entrando nel merito del testo licenziato dalla Camera, pur limitandosi ad un esame a prima lettura, si possono evidenziare alcune novità rilevanti. Anzitutto, sarà un principio fondamentale della materia del governo del territorio (vincolante anche per la legislazione regionale) quello per cui il consumo di suolo inedificato “è consentito esclusivamente nei casi in cui non esistono alternative consistenti nel riuso delle aree già urbanizzate e nella rigenerazione delle stesse”. Ma dall’enunciazione del principio alla fase applicativa la strada è lunga e, in questo caso, particolarmente 9% 8% 7% 6%

tortuosa. È infatti prevista una selva di provvedimenti attuativi (decreti ministeriali e deliberazioni della Conferenza Stato-Regioni), tanto che per arrivare a vedere negli strumenti urbanistici dei Comuni delle norme puntuali su quantità, modalità e ripartizione territoriale della programmata riduzione del consumo di suolo ci potrebbero volere anni.

Edificabilità bene comune Autore Francesco Maria Esposito Cacucci Editore 323 pp- euro 28,00 ISBN 978-88-6611-397-3

SUOLO CONSUMATO [%] ≤ 3% 3 - 5% 5 - 7% 7 - 9% > 9%

Vi è poi un’altra norma che potrebbe passare inosservata ma che, se mai diverrà legge, di certo avrà un significativo e positivo impatto sulle nostre città: sarà vietato ai Comuni utilizzare i fondi derivanti dalla riscossione delle sanzioni edilizie per far fronte a esigenze di spesa corrente: i fondi dovranno essere “destinati esclusivamente alla realizzazione delle opere di urbanizzazione … al risanamento di complessi edilizi compresi nei centri storici, a interventi di qualificazione dell’ambiente e del paesaggio, anche ai fini della messa in sicurezza delle aree esposte a rischio idrogeologico e sismico”. È ancora presto per dire se, quando e in che versione sarà approvata la nuova legge, ma questa volta, forse, riusciremo ad averne una entro la fine dell’anno. alessandro.ezechieli@studiolegalebelvedere.com

Nord - Ovest Nord - Est Centro Mezzogiorno ITALIA

5% 4% 3% 2% 1955

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1965

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L’EDIFICABILITÁ? UN BENE COMUNE

1995

2005

Nel grafico, 60 anni di consumo di suolo in Italia e, sopra, il suolo consumato a livello provinciale nel 2015 (fonte: elaborazione Ispra su carta nazionale del consumo di suolo 2015 Ispra-Arpa-Appa).

Per il 70% degli italiani la casa costituisce la principale voce di spesa, sottraendo liquidità all’economia domestica. Se il suolo fosse considerato un bene comune, al pari dell’acqua, come in Germania, i costi di locazione abitativa, che intaccano oggi il 65% della busta paga degli italiani, potrebbero scendere in modo esponenziale. Il libro propone un’economia immobiliare libera da speculazioni e la realizzazione di un piano abitativo pluriennale nazionale, a costo zero per lo Stato, con un consumo di suolo quasi nullo, in grado di assicurare 480mila alloggi in dieci anni a prezzi convenzionati. “Lo squilibrio tra redditi e costi abitativi - spiega l’autore - ha contribuito a generare una bolla immobiliare globale con effetti devastanti: a Roma, come a Milano, oggi una casa costa mediamente più del triplo che a Berlino. Questi costi sono gonfiati dalla speculazione fuori controllo della rendita fondiaria urbana e bisogna ridurli per liberare risorse necessarie ad aumentare i consumi”. Secondo Esposito il terreno edificabile deve diventare, al pari dell’acqua e l’aria, un bene prezioso per la collettività e deve essere lo Stato a fissare il prezzo di vendita e di affitto delle case. Questo permetterebbe di frenare la speculazione immobiliare e, a catena, diminuire la disoccupazione, aumentare il Pil, ridurre il debito pubblico e ricondurre il Paese su un sentiero di crescita sostenibile. Nel suo testo l’autore propone anche un piano abitativo pluriennale nazionale da circa 120 miliardi a costo zero per lo Stato, in grado di assicurare 480mila abitazioni a prezzi diversificati.


biomimesi

Convergenza creativa Risolvendo questioni progettuali l’architettura può emulare non semplicemente forme, ma soluzioni messe a punto dalla natura nel corso di milioni di anni Carlo Ezechieli Recentemente in architettura due particolari campi di conoscenza stanno trovando un interessante punto di convergenza. Il primo è rappresentato da una disciplina, fino a una ventina di anni fa relativamente marginale ma che - grazie al contributo di autori come Janine Benyus, Steven Vogel o Julian Vincent - si è andata quasi completamente riconfigurando, generando ricadute significative in ogni campo, anche in architettura. Nella sua evoluzione attuale, la biomimetica (nota anche come biomimicry) anziché limitarsi, come in passato, all’emulazione delle forme presenti in natura e a semplici, e spesso banalizzanti, questioni stilistiche, prende spunto da processi, principi di funzionamento, caratteristiche di integrazione con l’ambiente osservabili nelle forme di vita presenti su questo pianeta da milioni di anni. Il secondo è la crescente ed esponenziale capacità dei computer di modellizzare e riprodurre leggi, comportamenti ed elementi del mondo naturale - dalla sequenza del Dna a configurazioni come scheletri o gusci - secondo procedure in precedenza impossibili, se non probabilmente inimmaginabili. I software Soft Kill Option (Sko), ad esempio, messi originariamente a punto dall’ingegnere tedesco Klaus Matteck sulla base di un principio che caratterizza la struttura degli alberi, progettano in modo semi-automatico manufatti estremamente efficienti in termini di solidità e leggerezza. Difficilmente realizzabili con metodi convenzionali, possono essere costruiti tramite procedure di stampa 3D. Come i mezzi e i sistemi di produzione industriale ebbero un’impronta fondamentale sulle caratteristiche dell’architettura Moderna, cosi questa nuova convergenza tra sviluppi tecnologici ed emulazione di criteri presenti in natura potrebbe dare origine a un’evoluzione dell’architettura? Un’architettura dove, come nel mondo naturale, strutture estremamente complesse sarebbero anche le più resistenti, leggere ed efficienti. Dove nuove tecniche di fabbricazione, suggeriscano, anziché una costruzione, un principio di crescita a impatto ambientale pressoché nullo, simile a ciò che la natura ha messo a punto secondo un principio di prova ed errore di circa 3,8 miliardi di anni? È ciò che abbiamo cercato di esplorare in questo numero con i contributi teorici e progettuali di Michael Pawlyn, l’architettura degli algoritmi di Michael Hansmeyer e le strutture shell lace di Mike Tonkin e Anna Liu. E rivisitando il Palazzo del Lavoro di Pier Luigi Nervi, le cui opere erano profondamente ispirate all’osservazione del mondo naturale

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› biomimesi

ZERO WASTE TEXTILE FACTORY, INDIA

L’USINE VERTE I principi della biomimesi hanno trovato applicazione nel progetto di un’industria tessile. Obiettivo: rifiuti zero, gestione intelligente delle risorse idriche e autonomia energetica. Il progetto è dello studio londinese Exploration Architecture di Michael Pawlyn

La Zero Waste Textile Factory in India dello studio londinese Exploration Architecture di Michael Pawlyn è stata progettata secondo i principi della biomimesi per ridurre i consumi di energia e di acqua e raggiunge l’obiettivo di una fabbrica a zero rifiuti (©Exploration Architecture).

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La biomimesi è una disciplina che trae origine dal catalogo di soluzioni che si ritrovano in biologia. A differenza del cosiddetto sviluppo sostenibile, la biomimetica rappresenta un nuovo paradigma e rivela soluzioni che si collocano oltre la sostenibilità. Lo studio londinese Exploration Architecture, fondato nel 2007 da Michael Pawlyn, teorico dell’architettura biomimetica, da poco più di un anno ha concluso la progettazione in India della Zero Waste Textile Factory, un intervento improntato ai principi e alla teoria della biomimesi. L’edificio, dal carattere fortemente innovativo, che verrà ultimato alla fine di quest’anno, riduce i consumi di energia e di acqua e raggiunge l’obiettivo di una fabbrica a rifiuti zero. La proprietà di Zero Waste Textile Factory ha proposto agli architetti di Exploration

Architecture di modificare il paradigma nella costruzione delle fabbriche del proprio Paese: secondo i committenti, infatti, il nuovo edificio industriale andava progettato e realizzato impiegando la minima quantità di materiale e mettendo a disposizione delle 600 persone che vi sarebbero andate a lavorare un ambiente confortevole. L’esperienza di Michael Pawlyn e del suo team di progettisti in materia di biomimetica è stato il motivo principale per il quale lo studio londinese ha ottenuto l’incarico. «Mentre i sistemi industriali convenzionali tendono a essere semplici, lineari e dispendiosi - afferma Pawlyn - quelli biologici sono generalmente complessi, interconnessi, basati su flussi di risorse a circuito chiuso e non producono danni a lungo termine all’ambiente».

Ispirato al lavoro di Janine Benyus - scienziata americana del New Yersey autrice di diversi libri sulla biomimetica e presidente di The Biomimicry Institute, un’organizzazione non-profit che ha il compito di trasferire i concetti della biomimesi nella cultura e nella progettazione dei sistemi umani sostenibili - il team di progettisti ha utilizzato questo principio quale potente strumento per ripensare il processo tessile e trovare soluzioni capaci di creare valore a lungo termine. Nel progetto dell’edificio i progettisti hanno preso spunto dagli esempi dalle strutture gerarchiche esistenti in biologia, come la spugna di vetro euplectella (si tratta di un genere di spugna marina, che abita gli oceani tropicali a profondità superiori ai 15 metri, che possiede uno scheletro composto


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Sopra, un esemplare di euplectella (immagine ©Kelly Hill), una spugna marina la cui struttura scheletrica ha ispirato la progettazione della copertura della fabbrica: shed di nuovo tipo, leggeri e ancorati alla struttura portante in modo da assicurare un’efficiente ventilazione, v. lo spaccato assonometrico sotto

(©Exploration Architecture).

da strutture microscopiche, inorganiche, simili al vetro; nda). Il risultato della ricerca è stato applicato alla progettazione della struttura del tetto, che alla fine è risultata leggera e integrata a quella principale, consentendo anche la posa di pannelli per l’energia fotovoltaica e il passaggio della luce naturale. Il design della struttura primaria, formata da colonne in acciaio e da capriate, è stato ulteriormente perfezionato, traendo spunto dalla configurazione naturale delle spugne di vetro, che mostrano una notevole efficienza attraverso ciò che è noto come gerarchia strutturale. Soluzioni di questo tipo, che economizzano le risorse impiegate, si sposano bene con l’esigenza attuale del settore industriale tessile di ridurre i costi legati al consumo di

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› biomimesi

Nel disegno, la planimetria dell’edificio industriale orientato secondo l’asse nord-sud. Sotto, nel render, le strutture del tetto ispirate ai principi della biomimetica consentono di ridurre dimensioni, impiego di materiale e costi (©Exploration Architecture).

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energia e di conformarsi agli standard ambientali richiesti. Ispirare il progetto ai principi della biomimesi ha significato anche orientare l’edificio industriale secondo l’asse nord-sud, con i lucernari rivolti a nord per l’illuminazionenaturale e con le superfici inclinate del tetto in grado di ospitare i pannelli fotovoltaici a sud.

Per i materiali di copertura, grazie alla leggerezza, alla completa riciclabilità e alla capacità di mantenimento delle qualità dell’acqua, sono state scelte lastre di alluminio profilato. Con la creazione di un sistema di funzionamento a bassa energia e che si avvicina all’obiettivo di zero waste è stato possibile


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soddisfare, dal punto di vista industriale, le aspettative della catena di approvvigionamento e garantire una redditività a lungo termine. Il progetto della parte produttiva vera e propria ha così concepito tre grandi strategie d’intervento: la prima riguardante le macchine e i processi produttivi all’interno della fabbrica; la seconda relativa alla gestione sostenibile delle acque; la terza concernente gli aspetti energetici. In questo modo, i rifiuti prodotti dall’industria tessile vengono separati e venduti per altre applicazioni. Per la gestione sostenibi-

le delle risorse idriche si è fatto ricorso alle tecniche biologiche di trattamento delle acque reflue, come la fitodepurazione. Alla fine, grazie a questo trattamento gran parte dell’acqua prelevata viene restituita alla fabbrica. Per quanto riguarda la strategia energetica, il progetto ha previsto il passaggio dalla dipendenza energetica dalla rete elettrica a un sistema basato sull’autoproduzione di energia, attraverso i pannelli fotovoltaici, la digestione anaerobica e il recupero di calore delle macchine con l’immissione del calore di scarto nell’impianto di cogenerazione

In alto, render della sezione della copertura dell’edificio. A destra, diagramma delle interazioni tra sistemi ambientali, energetici e produttivi della fabbrica. Nel disegno, la sezione trasversale dell’edificio (©Exploration Architecture).

scheda Progettazione architettonica Exploration Architecture

Progetto strutturale e idraulico Expedition Engineering

Progettazione ambientale Atelier Ten Consulenza biomimetica Biomimetismo 3.8 e Julian Vincent

Consulenza chimica ChemConsult Superficie dell’intervento 30.000 mq. Completamento lavori fine 2016

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› biomimesi

UN DATACENTER IN Norvegia

ELEMENTARE, MURRAY Ispirandosi alla legge di Murray e cogliendo le caratteristiche del luogo la progettazione di un datacenter favorisce l’efficienza e il risparmio di energia Carlo Ezechieli

Il particolare della foglia di un giglio d’acqua (a destra) esemplifica bene il principio della legge di Murray a cui si ispira la progettazione dei sistemi di canalizzazione del raffrescamento dei server nel Mountain Data Center. Nella pagina di destra in basso uno schizzo preliminare del progetto

(©Exploration Architecture).

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L’impiego massiccio di impianti di climatizzazione necessari a garantire il corretto funzionamento dei sempre più imponenti datacenter sparsi nel mondo ne rende particolarmente dispendiosi sia la realizzazione che il funzionamento. Rispetto a questi problemi il Mountain Data Centre (MDC) pensato da Exploration Architecture con la consulenza del biologo Julian Vincent interviene seguendo criteri inediti, dimostrando come sia possibile ottenere notevoli risparmi di energia e, di conseguenza, un ridotto impatto su costi e ambiente con un progetto di architettura conformato secondo criteri biomimetici. Il progetto si basa su due concetti fondamentali. Il primo è che, ovviamente, qualsiasi animale, anziché utilizzare grandi quantità di energia per controllare la pro-

pria temperatura corporea, tende a spostarsi altrove. Pertanto, invece di climatizzare centri di dati collocati in calde, e spesso torride, aree desertiche o urbanizzate, ha sicuramente più senso ubicare tali centri in regioni già caratterizzate da un clima fresco o rigido. Nel caso specifico è stata identificata una montagna della Norvegia che, già ampiamente sfruttata come cava di marmo, ha uno sviluppo di 90 km di gallerie, che al loro interno mantengono una temperatura costante di 5ºC. La sfida progettuale consisteva nel convogliare quest’aria fresca verso i rack di server installati nel datacenter nel modo più efficiente possibile. I progettisti hanno fatto riferimento alla cosiddetta legge di Murray, un principio matematico secondo il quale, in biologia, la maggior parte dei sistemi

ramificati è ottimizzata per il trasporto dei fluidi, implicando una perdita minima dovuta a turbolenze ed attriti. Applicata al datacenter, la legge di Murray ha portato a un disegno secondo un raggruppamento circolare raffrescato tramite un sistema di condotti altamente efficiente


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Un render del Mountain Data Centre ubicato in Norvegia, nelle gallerie di una cava di marmo al cui interno si mantiene una temperatura costante di cinque gradi centigradi (ŠExploration Architecture).

Sopra, sezione dei condotti di ventilazione dei data blocks del Mountain Data Centre modellizzati secondo la legge di Murray. Nel disegno, schema dei componenti (ŠExploration Architecture).

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› biomimesi

Forme necessarie Superando la semplice imitazione stilistica della natura, l’architettura può trovare un punto di svolta emulandone i principi fondativi Carlo Ezechieli

Sopra, il modello della molecola del carbonio nota come Buckminster Fullerene in quanto caratterizzata da una struttura straordinariamente simile a quella delle strutture geodesiche di Richard Buckminster Fuller, un radiolare (micro organismo marino) e un grano di polline: tre strutture presenti in natura e fonte di ispirazione per il progetto di Eden Project (©Exploration Architecture)

Sotto un ingrandimento dell’Arctium lappa, una specie vegetale che è stata d’ispirazione per l’ormai onnipresente Velcro.

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Oltre ad essere una figura di spicco nell’architettura orientata verso l’ecologia, Michael Pawlyn è un ottimo e convincente oratore e divulgatore. La prima edizione del suo libro Biomimicry in Architecture è un testo pionieristico e per l’editore, Riba Publishing, un assoluto bestseller. Per secoli in architettura il riferimento alla natura è stato ricorrente secondo due modalità principali. In chiave ‘biomorfica’, ovvero come imitazione, spesso con forti riferimenti simbolici, di forme biologiche. Oppure, in epoca più recente, come ‘mimesi’, che spesso si converte in appiattimento delle condizioni di rapporto con il circostante ed in uno sterile camouflage formale. La caratteristica e potenzialità principale della moderna biomimetica, applicata all’architettura - come emerge da questo dialogo con Pawlyin - risiede invece in un approccio che supera questioni puramente formali o stilistiche per concentrarsi sui principi fondativi, di ordine strutturale e ambientale, che portano alla generazione della forma

stessa. Questo dà origine a sviluppi progettuali del tutto inediti. Questioni ambientali, ecologia e biologia possono essere considerati i cardini del tuo lavoro. Da che momento si è sviluppato il tuo interesse per questi temi? Ricordo di aver letto il libro del Club di Roma Blueprint for survival quando avevo quattordici anni. è una lettura che mi ha messo in guardia sulle problematiche ambientali già in età piuttosto precoce. All’università mi stavo per iscrivere a biologia ma, alla fine, ho scelto architettura per via dell’ampiezza dei ragionamenti che la caratterizza e per il suo potenziale creativo. Ho lavorato come architetto di edifici ad alta efficienza per qualche tempo e, quando sono entrato da Grimshaw nel 1997 per lavorare all’Eden Project, ho incominciato a notare connessioni sempre più ampie tra ambiente, biologia e architettura. Questa esperienza è stata coronata nel 2003 quando mi sono iscritto ad un corso intensivo allo Schumacher College condotto da Janine Benyus (l’autore di ‘Biomimicry – design inspired by nature’) e Amory Lovins (Fondatore del Rocky Mountain Institute). I tuoi progetti rivelano l’ascesa di un nuovo linguaggio formale: che non è né hi-tech, né organico nel senso di semplice emulazione formale, ma qualcosa di nuovo e originale. Da cosa deriva? Una delle distinzioni che è opportuno fare circa un’architettura biomimetica è che non è ‘stilistica’. La biomimicry (o biomimesi) implica soluzioni progettuali che mettono in gioco lo stesso tipo di ingegnosità che si può notare in natura, in molti organismi. In questo senso è per molti versi un approccio di impronta funzionalista, ma penso che permetta una ricchezza espressiva che è andata persa nelle forme riduttive dell’ar-

chitettura funzionalista del XX secolo. Chi ti ha influenzato di più nel tuo lavoro? Come dicevo in precedenza, Benyus e Lovins sono indubbiamente influenze molto forti. Un’altra coppia interessante sono Bill McDonough e Michael Braungart. Trovo il loro libro Cradle to cradle allo stesso tempo entusiasmante e scoraggiante: entusiasmante per la chiarezza del pensiero (sarebbe veramente difficile per chiunque controbattere le idee chiave) e scoraggiante per il livello di cambiamento necessario per raggiungere soluzioni progettuali genuinamente qualificabili come sostenibili. Tra gli architetti, la mia più grande ammirazione è per Le Corbusier, che è riuscito a trasferire nei suoi edifici una profondità di significato maggiore che non quella di qualsiasi altro architetto del ventesimo secolo. La sfida più importante credo sia quella di creare un’architettura sostenibile che sia vera per entrambi questi termini. Molta architettura prodotta attualmente e i molti modelli definiti sostenibili sono ambiti che raramente si integrano tra loro.


› biomimesi

Michel Pawlyn Architetto, ha fondato Exploration Architecture nel 2007 allo scopo di sviluppare e approfondire soluzioni innovative per l’architettura ecologicamente orientata ed ispirata alla natura. Dal 1997 al 2007 ha lavorato presso Grimshaw Architects ricoprendo un ruolo decisivo nel progetto di un’opera architettonica rivoluzionaria come Eden Project. Tiene numerose conferenze sull’architettura sostenibile sia nel Regno Unito che all’estero. Nel maggio 2005 ha tenuto una conferenza presso la Royal Society of Arts con Ray Anderson, Ceo di Interface. Nel 2007 è stato relatore alla conferenza annuale “Zeitgeist” organizzata da Google e nel 2011 é stato uno dei pochi architetti relatori nel prestigioso ciclo di conferenze TED. É attualmente impegnato in molteplici progetti di architettura ispirati alla biomimicry e in un volume commissionatogli da TED. www.exploration-architecture.com

Come vedi l’architettura nei prossimi anni? Credo che la biomimetica rappresenti un territorio molto ricco e per buona parte inesplorato con grandi opportunità sia per gli architetti che per l’industria. Credo che l’età dei combustibili fossili, che potremmo chiamare la Carbon Age, sia stata un enorme dirottamento dalla capacità di trovare soluzioni creative e originali ai nostri problemi. è stato talmente facile bruciare combustibili fossili per soddisfare tutte le nostre necessità che ci siamo distaccati dalla natura e perso ogni capacità di adattamento creativo alle diverse circostanze. Prima della rivoluzione industriale il genere umano era capace di notevoli forme di adattamento ambientale – i persiani, ad esempio, sapevano come produrre il ghiaccio nel deserto già molti secoli fa utilizzando sistemi di raffrescamento passivo. Dobbiamo risvegliare questo spirito e celebrarlo in una coraggiosa architettura contemporanea. Cosa ammiri maggiormente in un’opera di architettura?

Ammiro forme audaci che permettono un ricchezza di interpretazione. Sono anche in gran parte un funzionalista e credo che la bellezza derivi da una risposta poetica a necessità o opportunità specifiche. La migliore architettura per me è anche quella che celebra con forza uno spirito otti-

«Prima della rivoluzione industriale il genere umano era capace di notevoli forme di adattamento ambientale. Dobbiamo risvegliare questo spirito» mista e incorpora ideali chiari e senza compromessi. Si potrebbe dire che ci sono due modi per cambiare una situazione. Uno è partire con un dato di fatto (un compromesso) e cercare di migliorarlo. L’altro è di incominciare con un assurdo idealismo, privo di razionali connessioni con la vita di tutti i giorni, e compromettersi il meno possibile. Coloro che hanno successo nel secondo caso sono quelli che, dal mio punto di vista, meritano il massimo rispetto

Michael Pawlyn, Biomimicry in Architecture, Seconda Edizione (RIBA Publishing). Dato il successo della prima edizione di Biomimicry in Architecture, del 2011, uscirà entro la fine del 2016 una seconda edizione ampliata e rivista.

Sopra e a sinistra Allestimento e momenti di Designing With Nature, una mostra che si è tenuta presso la Architecture Foundation di Londra nella primavera del 2014 dove Exploration Architecture ha esposto un racconto di come la natura può mettere a disposizione brillanti principi di soluzione di questioni tecnologiche ed architettonico progettuali. La mostra è una sequenza di tavoli progettati secondo principi strutturali rintracciabili in molti organismi e realizzati secondo processi di stampa 3D.

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› designcafè LA CENTRALE MOBILE CHE FA RISPARMIARE Con il progetto V2G di Enel e Nissan l’autovettura accumula energia e poi la rivende alla rete. In Danimarca e Gran Bretagna già partita la sperimentazione Presentato lo scorso dicembre a Parigi in occasione della 21a Conferenza sul clima delle Nazioni unite, il progetto V2G (Vehicle-to-Grid) unisce l’esperienza della società elettrica nazionale, Enel, alla ricerca e sviluppo della casa automobilistica Nissan. Con questo progetto le auto si trasformano in centrali mobili, che accumulano e rimettono in rete l’energia non utilizzata. I clienti dei veicoli elettrici potranno così risparmiare e generare redditività usando i veicoli per accumulare energia da rivendere alla rete. Lo scorso maggio il progetto è stato sperimentato anche nel Regno Unito, installando e collegando 100 unità V2G in altrettanti siti di privati e di gestori di flotte aziendali Nissan; mentre in Danimarca, dallo scorso gennaio, sono state installate le prime 40 unità. Il sistema consente ai proprietari di veicoli elettrici Nissan di collegarsi alla rete per ricaricare le batterie delle loro vetture nelle fasce orarie in cui le tariffe e la domanda di energia sono più basse, per poi riusare l’elettricità accumulata nelle proprie case o nei luoghi di lavoro oppure rivenderla alla rete nelle fasce orarie a tariffa più elevata.

L’UFFICIO DEL FUTURO STAMPATO IN 3D A DUBAI, ACCANTO ALLA EMIRATES TOWER, È SORTO UN PICCOLO EDIFICIO REALIZZATO CON UNA STAMPANTE TRIDIMENSIONALE. SERVIRà A PROMUOVERE GLI EMIRATI COME CENTRO GLOBALE DELLA NUOVA TECNOLOGIA Da qualche mese, accanto all’Emirates Tower di Dubai ha preso corpo l’ufficio del futuro: 250 metri quadrati di superficie realizzati in soli diciassette giorni utilizzando una stampante 3D, lunga 36 metri, alta 6 e profonda 12 e dotata di un braccio robotico (altri due giorni sono stati impiegati per l’installazione dei sistemi impiantistici on-site, anche facendo ricorso ad altre stampanti 3D collocate in cantiere). Prima del suo impiego, la miscela cementizia utilizzata dalla stampante, progettata negli Usa e prodotta negli Emirati, è stata preventivamente sottoposta a test di resistenza strutturale (la stabilità strutturale è invece assicurata dalla forma ad arco dell’edificio). L’ufficio del futuro è dotato del sistema di building automation Desigo Control Center di Siemens per la supervisione delle infrastrutture tecniche, della sorveglianza, del condizionamento dell’aria e del sistema di controllo degli accessi. La costruzione svolge prevalenti funzioni espositive e di marketing: gli Emirati (Dubai in particolare), tra meno di quindici anni intendono diventare il nuovo centro globale della stampa 3D.

Nella foto gli uffici realizzati negli Emirati Arabi Uniti con una stampante 3D. Sullo sfondo l’edificio Emirates Tower di Dubai.

CASA DI TERRA E PAGLIA IN 3D NEL PARCO TECNOLOGICO DI WASP, VICINO A RAVENNA CON UNA STAMPANTE TRIDIMENSIONALE STA PER ESSERE COSTRUITA UNA NUOVA ABITAZIONE. MOLTO ECOLOGICA Shamballa è il nome del parco tecnologico di Wasp (World’s Advanced Saving Project) di Massa Lombarda, vicino a Ravenna. Wasp è un progetto incentrato sullo sviluppo delle stampanti 3D che ha radici nel mondo dell’open-source e produce stampanti professionali per incentivare l’autoproduzione di beni. A Shamballa (luogo mitico che rappresenta la città della pace, della tranquillità e della felicità), con una stampante 3D denominata BigDelta si sta costruendo una casa di terra e paglia impastate con una molazza e una motozappatrice. Il parco tecnologico non è solo BigDelta. Infatti, nei prossimi giorni a Shamballa faranno la loro comparsa anche altre stampanti prodotte da Wasp, come DeltaWasp 3MT, una macchina che può stampare direttamente i granuli, estrudere impasti di cemento e polimeri e fresare e tagliare diversi materiali. A Shamballa, regno dei moderni maker, sono previsti inoltre seminari specifici per la stampa di altri oggetti di consumo come bicchieri, piatti, posate e ceramiche. [ 26 ]

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› biomimesi

UN’ARCHITETTURA PER SHILIN YI, YUNNAN, CINA

IL PONTE sospeso Per ora è solo un progetto, ispirato alla tecnica costruttiva della shell lace structure. Una struttura pensata per pedoni e ciclisti e per ammirare uno degli scenari più spettacolari al mondo. L’idea è dello studio londinese Tonkin Liu per Arup

Render del ponte pedonale e ciclabile progettatio per la Foresta di Pietra nella regione dello Yunnan in Cina. Il progetto è di Tonkin Liu e Arup. Si ispira alla tecnica costruttiva denominata shell lace structure (©Tonkin Liu - Arup).

Il progetto del ponte di Shilin, la Foresta di Pietra patrimonio Unesco dello Yunnan, nella zona centro meridionale della Cina, offre un’altra dimostrazione della potenzialità della tecnica costruttiva denominata shell lace structure, una tecnica ispirata alla natura e in particolare alla struttura delle conchiglie di mare, che acquistano forza dalla loro forma geometrica curvilinea. Applicata all’architettura e all’ingegneria civile, questa tecnica permette di irrigidire la struttura bloccandone le ondulazioni e le torsioni.

La leggerezza strutturale, poi, è ottenuta attraverso la perforazione della struttura stessa, in modo da creare strutture altamente efficienti e reattive, di peso ridotto e di minimo spreco. La tecnica è stata sviluppata attraverso la ricerca e la sperimentazione e la modellazione, l’analisi e gli strumenti di fabbricazione digitale, mentre il processo di progettazione di una struttura ispirata ai principi della natura è di per sè intuitivo, analitico e interattivo. Le geometrie tridimensionali che com-

pongono la struttura sono costituite da lamiere piane sviluppabili in maniera congiunta. Tali superfici vengono poi srotolate per consentire un preciso taglio con il laser. Infine, i profili tagliati vengono riassemblati per creare la configurazione fisica finale. Il progetto del ponte ciclabile e pedonale della Foresta di Pietra (Shilin) della regione dello Yunnan, sviluppato dallo studio londinese Tonkin Liu con da Arup mette in pratica, dal punto di vista progettuale, i principi della shell lace structure e per-

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› biomimesi

metterà, una volta realizzato, di godere di uno dei più spettacolari scenari naturali della Cina e del pianeta in generale. Il ponte, lungo 75 metri, fa uso un unico materiale di 15 millimetri di spessore. La struttura è composta di tre archi asimmetrici, che scaturiscono da una singola colonna portante, e tre travi curve e con una torsione in orizzontale, che ha consentito di realizzare i percorsi pedonali e ciclabili. Infine, il progetto del ponte completa la propria architettura con un punto di visuale panoramico collocato all’estremità più alta della struttura, dal quale ammirare le valli e le formazioni calcaree di Shilin. [ 28 ]

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Il progetto è stato commissionato per Bridge Stories, la mostra che ha celebrato i cinquant’anni di progettazione di ponti da parte dello studio Arup

scheda Progetto Ponte Shilin Oggetto Ponte pedonale e ciclabile e postazione di osservazione

Località Parco nazionale di Shilin, Yunnan, Cina Progettazione Mike Tonkin (progettista) e Anna Liu, Neil Charlton (team)

Progettazione strutturale Arup (Ed Clark e Alex Reddihough)

Premi AJ Architectural Prize


› biomimesi

Tonkin Liu Tonkin Liu è uno studio di progettazione architettonica con sede a Londra particolarmente attivo nel campo dell’innovazione in architettura, arte e paesaggio. Lo studio, guidato da Mike Tonkin e Anna Liu, ha ricevuto numerosi Riba Awards dal Royal Institute of British Architects. Nel proprio lavoro, lo studio ricerca le soluzioni ottimali per il contesto di ogni specifico progetto enfatizzando le relazioni tra uomo e natura. www.tonkinliu.co.uk

curvato

curvato e nervato

curvato, nervato e sottoposto a tensione

curvato, nervato, sottoposto a tensione e perforato

Nella pagina di sinistra, planimetria e sezioni trasversali del progetto. Nonostatnte la forma apparentemente libera del ponte, l’organizzazione della struttura rivelata dalle sezioni trasversali mostra una assoluta coerenza strutturale e configurazioni ricorrenti. Sopra, il processo a cui vengono sottoposte le lastre d’acciaio è il risultato di calcoli strutturali finalizzati a ridurre al minimo l’impiego di materiale: dove non sono funzionali alla resistenza della struttura le superfici vengono asportate. Nelle pagine, foto del modello in mostra (©Tonkin Liu - Arup).

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› biomimesi

INSTALLAZIONE ARTISTICA A BURNLEY, LANCASHIRE, UK

LA PORTA ARCOBALENO Sopra, il Rain Bow Gate a Burnley, nel Lancashire, in Gran Bretagna. Un’installazione artistica ispirata alla shell lace structure, alla natura e ai suoi comportamenti. Nella pagina di destra un’immagine notturna, lo schema delle forze dell’arco e dei giochi di luce ottenuti con i prismi ottici (©Tonkin Liu).

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Tre archi perforati tridimensionali, una volta a guscio ondulata e tre colonne inclinate hanno modificato la via d’accesso al campus universitario di Burnley, nel nord dell’Inghilterra. Una struttura innovativa ispirata alla natura con un centinaio di prismi ottici a formare un arco multicolore. Il progetto è firmato da Tonkin Liu Rain Bow Gate. Tre parole per raccontare un’installazione artistica collocata sulla Princess Way, all’ingresso del campus universitario del Burnley College a Burnley, città industriale del Lancashire, nel nord dell’Inghilterra, voluta dalla locale amministrazione per migliorare l’immagine del luogo. L’opera realizzata è stata scelta attra-

verso un concorso di progettazione indetto alla fine del 2010, finanziato dal Fondo europeo di sviluppo regionale e vinto dallo studio londinese Tonkin Liu, di Mike Tonkin, Anna Liu e Neil Charlton. Scopo dichiarato del concorso era quello di sviluppare un design contemporaneo, audace, creativo, innovativo e di alta qua-

lità capace di offrire una rinnovata identità alla città. Un progetto di marketing urbano ispirato a tre concetti: naturale, animato e connesso. L’opera si compone di tre archi perforati tridimensionali e di una volta a guscio ondulata, sostenuta da tre colonne inclinate che danno vita a un portale d’accesso che accoglie le persone provenienti da tre diverse direzioni. Gli archi sono formati da lamiere d’acciaio piatto ultraleggero (tre millimetri di spessore), con una struttura geometrica rigida che riduce al minimo il peso della struttura stessa e gli sprechi di materiale. Anche in quersto caso il principio che ha orientato il lavoro di Tonkin Liu e Ed Clark di Arup, definito Shell lace structure (letteralmente, struttura a forma di conchiglia merlettata), è ispirato alla natura e ai suoi comportamenti: nello specifico richiama la struttura delle conchiglie di mare, che ac-


› biomimesi

quista forza dalla geometria curvilinea che impedisce i movimenti ondulatori. La shell lace structure è stata introdotta di recente dal team di architetti e ingegneri dei due studi di progettazione dopo un lavoro di ricerca e di sperimentazione su modelli di analisi e di fabbricazione digitali. Le geometrie tridimensionali sono costituite da superfici facilmente modellabili con il laser e poi riassemblate per creare la forma tridimensionale finale. La leggerezza è ottenuta dalla perforazione delle lamiere d’acciaio. All’interno dei fori sono stati poi colloca-

ti 133 prismi ottici che, inclinati secondo l’orientamento solare, scompongono i raggi luminosi nei colori dell’iride. Nell’ideare l’installazione ad arco i progettisti hanno ricercato anche un rapporto con il contesto locale e con la sua storia recente, che è storia di insediamenti industriali legati alla meccanica di precisione e alla produzione manifatturiera avanzata: un luogo ideale per mettere in pratica un principio strutturale innovativo, in una zona ricca di università in cui si formano gli ingegneri e gli imprenditori di domani

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› biomimesi

ALGORITMI E STAMPA ADDITIVA

biomorfismi alieni Che aspetto ha un’architettura interamente disegnata da algoritmi? Nuove modalità di progetto e produzione e forme espressive inedite nella ricerca di Michael Hansmeyer Carlo Ezechieli

Sopra, Digital Grotesque, la prima architettura su scala umana spazialmente e geometricamente complessa realizzata da Hansmeyer e Benjamin Dillenburger. Si tratta di un ambiente di 16 mq alto 3,2 metri, del peso di 11 tonnellate, stampato in 3D in sabbia e legante ad una risoluzione di un decimo di millimetro (foto ©Hansmeyer/Dillenburger). A destra, una fase dell’assemblaggio

(foto ©Demetris Shammas/ Achilleas Xydis).

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È dal Rinascimento che la natura viene esplorata attraverso la sua traduzione in modelli matematici: principi, formule ed algoritmi, spesso molto semplici, come i frattali. Ed è proprio a partire dalla definizione di algoritmi semplici e ricorsivi, del tutto corrispondenti a criteri rintracciabili nel mondo naturale, ma riformulati secondo logiche astratte, che Michael Hansmeyer giunge alla definizione di forme estremamente complesse. Configurazioni ibride, curiosamente biomorfiche, ma inesistenti nella natura che ci circonda. In progetti come Subdivided Columns, partendo da un prototipo astratto di colonna dorica, ogni facciata viene suddivisa in altre quattro che a loro volta vengono ulteriormente suddivise fino a generare una colonna estremamente intricata e formata da milioni di sfaccettature.


› biomimesi

A sinistra, prototipi di “subdivided columns”: 2.700 fogli di cartoncino a taglio laser rivestono un core in legno (render ©Michael Hansmeyer). A destra e sotto, due immagini dell’installazione The Sixth Order alla Design Biennale di Gwangju in Corea: le colonne, alte 270 cm e tra 40 e 70 cm di diametro, hanno un core in legno e acciaio e sono rivestite con 10.700 fogli di Abs di 1 mm di spessore (foto ©Kyungsub Shin).

In altri come Digital Grotesque un’architettura che, secondo i termini dello stesso autore «emerge tra ordine e caos, sia naturale che artificiale, ed allo stesso tempo non è straniera, né familiare». Nel processo, ogni passaggio condiziona il successivo, dando origine a una complessità estrema, che contrasta nettamente con l’incredibile semplicità del suo processo generativo. Il disegno di queste configurazioni secondo procedure convenzionali, ammesso sia possibile, richie-

derebbe il lavoro di anni di una squadra di disegnatori. Nel caso specifico è invece il risultato del calcolo di una macchina che si sviluppa nell’arco di 30 o 40 secondi, poi trasformato in oggetto fisico tramite procedure di stampa 3D. L’esperienza di Hansmeyer dimostra come le attuali capacità di calcolo, combinate a moderne tecniche di produzione additiva, possano dare origine a forme non solo del tutto inedite, ma anche, in precedenza difficilmente concepibili

MICHAEL HANSMEYER Michael Hansemeyer è un architetto il cui lavoro è rivolto all’utilizzo di algoritmi per generare forme architettoniche. E’ attualmente visiting professor presso l’Accademia di Belle Arti di Vienna, lo è stato alla Southeast University di Nanjing, ed è docente presso l’Istituto Federale Svizzero di Tecnologia (ETH) di Zurigo. In precedenza ha lavorato presso lo studio Herzog&DeMeuron e presso strutture di consulenza in campo aziendale e finanziario come McKinsey&Company e J.P. Morgan. Ha un master in architettura della Columbia University.

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› DESIGNCAFè STORIA DI UN’ARCHITETTURA CHE NON C’È PIÚ FELIX NOVIKOV È STATO UN IMPORTANTE ESPONENTE DELL’ARCHITETTURA SOVIETICA. NELLA SUA CARRIERA HA ATTRAVERSATO DIVERSI PERIODI CULTURALI. ECCO LA SUA CONFESSIONE Fino a oggi, la storia dell’architettura dell’Unione Sovietica è stata poco esplorata, anche sul fronte della ricerca internazionale. Felix Novikov, ne parla nel libro Behind the Iron Curtain, Confession of a Soviet Architetct. Nato nel 1927, Novikov esercitò un’influenza decisiva sull’architettura sovietica del dopoguerra, è a lui che si deve il termine di Modernismo sovietico. Nel libro racconta i drammatici eventi storici dell’architettura sovietica sotto la cortina di ferro nel periodo che intercorse tra la dittatura staliniana e la glasnost di Gorbaciov. La sua carriera attraversò tre differenti stagioni dell’architettura sovietica: il Costruttivismo, il Realismo socialista di Stalin e il lungo periodo del Modernismo sovietico (1955-1985). Novikov - le cui principali realizzazioni rimangono il Palazzo dei Pionieri (1962) e il centro della Microelectronic di Zelenograd vicino a Mosca (1969) - divenne un importante rappresentante di questa fase e a lui si deve l’apertura del confronto con i rappresentanti del Movimento Moderno, come Le Corbusier, Wright, van der Rohe, Aalto e Kahn. Nel libro, Novikov spiega le condizioni in cui fu chiamato a lavorare sotto il regime e di come il design sovietico e gli istituti di pianificazione, come l’Unione degli architetti dell’Urss, erano allora organizzati; descrive anche le circostanze che influenzarono il processo creativo della sua generazione e il lavoro quotidiano dei suoi colleghi. Il tutto è accompagnato da una selezione di scritti teorici e da una presentazione dei suoi lavori più significativi. Sono insomma le confessioni di un architetto, ancora vivente, circa i più importanti eventi dell’architettura sovietica e dello storia architettonica di un paese che sulle carte geografiche non esiste più. La prefazione è di Vladimir Belogolovsky, che ha scritto anche la monografia Felix Novikov, architetto del Modernismo sovietico. Behind the Iron Curtain Confession of a Soviet Architetct Autore Felix Novikov Prefazione di Vladimir Belogolovsky Dom publishers (Basics) 243 pp – euro 22,40 ISBN 978-3-86922-359-9

Il Palazzo dei Pionieri a Mosca

(foto Denis Esakov ©Dom publishers).

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I LUOGHI DELL’ANIMA DI PET KIRKEBY 33 tele di grandi dimensioni, 30 opere su carta e 6 sculture (di cui una alta 4 metri collocata nel chiostro del museo): inaugura il 2 ottobre al Museo d’arte di Mendrisio la prima grande retrospettiva in area italiana di uno tra i maggiori protagonisti della scena culturale scandinava del Novecento. Nato a Copenhagen nel 1938 e laureato in geologia artica, accanto al mai abbandonato interesse scientifico Kirkeby nel corso dei decenni percorre quasi tutti i campi della produzione artistica: è poeta, scrittore d’arte, pittore, scultore, uomo di cinema e teatro e produttore di luoghi architettonici. Celebri le sue sculture in mattoni rossi. Di norma, le sculture in mattoni sono accessibili e si sperimentano solo vivendo lo spazio che formano al loro interno, e Kirkeby attribuiva alle esperienze spaziali un potere speciale, capace di evocare nel visitatore le dimensioni esistenziali insite nel legame che unisce l’uomo allo spazio, come una grotta nella quale ci si sente accolti, protetti e insieme minacciati. Alla prima, realizzata nel 1965, ne sono seguite un centinaio, tra cui quella realizzata per Documenta 7 a Kassel, demolita dopo numerose discussioni nel 1986, mentre su disegni di Kirkeby sono stati eretti anche veri e propri edifici. La mostra di Mendrisio si concentra sul periodo della maturità (1982-2012) dell’artista nordico, fortemente influenzato dai paesaggi esplorati durante i suoi lunghi viaggi e caratterizzato da impressionanti dipinti di grande formato, che Kirkeby sviluppa – in una ricerca ininterrotta fino alle ultime opere del 2012 – dopo essere stato tra i protagonisti delle nuove tendenze espressive degli anni Settanta unitamente a Gerhard Richter, Sigmar Polke, A. R. Penck, Markus Lüpertz, Georg Baselitz e dopo un forte interesse per l’arte minimalista e un iniziale avvicinamento a Fluxus e alla Pop Art. La svolta verso una pittura più materica e informale comincia a partire dal 1980 circa, anno che segna l’inizio di uno sviluppo costante, profondo e ragionato di un personalissimo linguaggio pittorico, fortemente ispirato dalla natura. La mostra di Mendrisio, curata dal direttore del Museo Simone Soldini, è frutto di una collaborazione con la Galerie Michael Werner di Berlino, la Bo Bjerggaard Galleri di Copenaghen per le opere su carta e con il contributo della Galerie Knoell di Basilea. Per l’occasione sarà edito un catalogo di circa 150 pagine con testi critici di Sigfried Gohr e Erik Steffensen e con schede a commento delle sue molteplici attività artistiche.


› opinioni

Interno del Palazzo del Lavoro di Pier Luigi Nervi a Torino. È evidente lo stato di abbandono. Nella foto piccola, un particolare dell’innesto di una delle dieci colonne di cemento armato con le raggiere in acciaio sul soffitto (foto ©Mike Tonkin).

Un appello per

il Palazzo del Lavoro UNA DESCRIZIONE APPASSIONATA E STRUGGENTE SULLO STATO ATTUALE DELL’OPERA DI PERLUIGI NERVI INAUGURATA NEL 1961 E CHE DA ORMAI TROPPO TEMPO VERSA IN UN TRAGICO STATO DI ABBANDONO Anna Liu

Anna Liu é

fondatrice e titolare, con Mike Tonkin, dello studio Tonkin Liu di Londra. Laureata in architettura alla Columbia University ha lavorato tra gli altri per Arup Associates a Hong Kong e Londra. É stata docente per quattro anni all’Architectural Association School of Architecture.

Ho studiato a lungo il Palazzo del Lavoro attraverso disegni e fotografie. Tuttavia, quando finalmente ho avuto l’occasione di visitare l’edificio - nel 2014, con un gruppo di venti miei studenti di master della Architectural Association di Londra, durante un pellegrinaggio dedicato a Nervi - sono stata colta di sorpresa. Qualcosa dell’edificio mi ha colpito nel profondo dell’anima. Immaginate di starvene fermi su un’enorme superficie, ai piedi di 16 colonne in cemento armato che si innalzano fino a 25 metri di altezza. Dalla cima di ogni colonna, si diramano 20 raggiere in acciaio che, rastremandosi, terminano nei bordi di un quadrato di 38 metri di lato. I quattro lati sono lucernai, che riempiono la grande sala di una luce ultraterrena. Una rovina Moderna, grandiosa e tragica. Pier Luigi Nervi vinse il concorso su altri grandi architetti suoi contemporanei sulla base della velocità e delle tempistiche di realizzazione. I progetti di Nervi, costantemente ispirati alla natura, corrispondevano a strutture di eccezionale gioia, bellezza ed economia. Nel caso specifico, le colonne a pianta cruciforme si restringono e si fondono in una sommità circolare. Nessuna delle parti strillava per richiamare attenzione, ma insieme ottenevano un insieme continuo. Nervi aveva un’abilità suprema nel giustapporre geometrie astratte e

audaci, inventando un linguaggio architettonico organico di fantastica chiarezza. Il Palazzo del lavoro è un tesoro nazionale, qualcosa che sarebbe dovuto restare per sempre nelle mani dei torinesi. Dal suo primo utilizzo come salone di esposizioni per il Centenario dell’Unità d’Italia, ha avuto un trascorso come luogo di lavoro, di formazione, di tempo libero. Allo stato attuale, parziali lavori di demolizione, connessi a un programma di riconversione ne hanno causato un forte degrado. Dopo la nostra visita si sono perfino verificati, nel 2015, due tentativi di incendio doloso. Forse il Palazzo del Lavoro è intrappolato nella sua stessa grandezza, ormai non più corrispondente ai grandiosi ideali sociali da cui ebbe origine nel 1961. E’ sempre difficile comprendere e rivitalizzare gli edifici scaturiti dall’ideologia di un’altra era: siano questi le rovine di un tempio greco, di una chiesa barocca abbandonata o di uno stadio olimpico. La tragedia dell’abbandono del Palazzo del Lavoro ha due risvolti, uno economico, l’altro sociale: i suoi costi di gestione e l’assenza di una nuova forza vitale. Può essere che una forma di raduno collettivo di scala così imponente non abbia più alcun valore nell’attuale era digitale? Nel caso specifico, non credo. Oggi ci riversiamo in musei e biblioteche non solo per vedere

libri e opere d’arte, ma perché desideriamo fortemente una connessione a luoghi e persone. Attraverso sistemi digitali, si sviluppano idee individualistiche e innovative che innescano cambiamenti fondamentali, sia politici che culturali, su scala mondiale. Dobbiamo ricercare a fondo un nuovo e convincente motivo per il riuso di questo grande edificio civico. Quali caratteristiche dovrebbe avere il grande spazio civico del nostro tempo? Stando nel bel mezzo della grande sala, immaginavo che ogni limite si dissolvesse. Le sedici colonne si elevavano in uno spazio immenso, con una generosa copertura sospesa in aria. Sullo sfondo, un monumento eroico di un tempo e, in primo piano, un meraviglioso tessuto composto da natura e persone: giardini d’inverno, orti, padiglioni pop-up di Eataly, mercati, palchi con musicisti, vinerie, balli, conferenze: un ricco brulicare di attività ed eventi. Per far sì che gli edifici possano perdurare nel tempo è necessario sostenere un impegno collettivo, e far sì che la vita si evolva e fiorisca con loro. E affinché gli ideali civici possano perdurare, devono anch’essi essere re-invenventati e adattati ogni giorno: che questo nobile edificio ci ispiri allora alla riscoperta degli ideali civici della nostra epoca

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› progettare i flussi

Mobilità Il Modello Floating Piers

The Floating Piers di Christo sul lago d’Iseo, oltre ad aver generato un sorprendente richiamo internazionale ad elevata risonanza mediatica, ha di fatto inaugurato un modello di gestione di grandi eventi che, senza dover ricorrere a decreti speciali o norme ad hoc ma in stretta collaborazione tra l’organizzatore privato (Floating Piers Srl), i professionisti coinvolti e le istituzioni, ha garantito una gestione senza incidenti di più di un milione di visitatori durante i 16 giorni di installazione. I suoi punti di forza sono stati la flessibilità, il monitoraggio costante e l’adattamento. Tale modello di gestione è sostenuto da un necessario esercizio di pianificazione e di definizione di strategie in chiave multi-dimensionale rispetto a diverse tematiche fra cui sicurezza, comunicazione, sanità e, fra gli aspetti di maggior rilievo e complessità, i trasporti e la gestione della mobilità, con lo sviluppo di un Piano dei Trasporti affidato alla società di consulenza Systematica (che si era già ocupata della gestione dei flussi per Expo2015). Lo strumento è poi stato messo a disposizione del territorio (la cosiddetta cabina di regia) per la successiva rimodulazione e traduzione in un piano di gestione operativa. Data anche la conformazione orografica dei luoghi, il contesto presentava forti limiti a livello di infrastrutture viarie e di mobilità. Si è quindi cercato di ottimizzare le risorse in termini di mobilità presenti sul territorio: sistema di navigazione, servizio ferroviario e bacini di sosta remoti, questi ultimi strategici al fine di drenare l’afflusso incontrollato di veicoli privati sul territorio. La dimensione trasportistica dell’evento ha dovuto poi affrontare una serie di sfide, fra cui la gratuità dell’opera e l’assenza di meccanismi di prenotazione, l’unicità dell’evento stesso, la rigidità intrinseca dei sistemi di trasporto in adduzione dell’opera oltre, ovviamente, alla necessità di un modello di gestione [ 36 ]

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dinamica dei flussi in risposta alle condizioni meteorologiche. Fra i più importanti elementi di proposta della strategia di mobilità va sicuramente annoverata la puntuale definizione di una densità pedonale quasi ideale sulla passerella quale limite massimo, pari a circa 10mila compresenze al fine di garantire comfort di visita, adeguate condizioni di sicurezza e la corretta gestione di un eventuale scenario di evacuazione: il monitoraggio continuativo e in tempo reale degli accessi è stato affidato ad un articolato sistema di gate con dispositivi conta-persone virtuali localizzati ai nodi di accesso all’opera per la regolamentazione dinamica delle affluenze. La capacità della passerella ha determinato anche la portata massima di tutti di sistemi di mobilità in adduzione: il servizio ferroviario, che ha sicuramente assolto al ruolo di sistema di forza, la navigazione, i parcheggi e le modalità dolci. In particolare, la volontà di raggiungere un adeguato equilibrio modale in chiave sostenibile non poteva prescindere dal potenziamento dei servizi ferroviari lungo la linea

Brescia-Iseo-Edolo, fortemente voluto da Systematica, che, unitamente alla corretta e ponderata distribuzione dei bacini di sosta sia remoti sia locali in funzione delle provenienze attese ha permesso di evitare il blocco totale del sistema viabilistico di adduzione a Sulzano. A tal riguardo, l’istituzione di tre diverse zone a traffico (ZTL), partendo dalla più restrittiva - a Sulzano e lungo l’intera strada costiera – per arrivare ai caselli autostradali e ad altri nodi viabilistici cardine del Sebino ha consentito di gestire l’affluenza di visitatori a Sulzano, che ha visto transitare mediamente in ogni singola ora più del doppio dei sui abitanti, e l’istituzione di veloci connessioni con i diversi bacini di sosta tramite navette su gomma. In termini di legacy, sicuramente un’importante occasione, per un territorio di unica bellezza e rilevante potenzialità turistica, di far diretta esperienza di articolate strategie di gestione dell’accessibilità e mobilità legate a grandi eventi. www.systematica.net

Floating Piers ha rappresentato un modello di gestione intelligente dei flussi dei visitatori e dei temi collegati alla massiccia presenza di persone, come la mobilità, i trasporti, la sicurezza, la sanità, l’informazione. Il Piano dei trasporti è stato messo a punto da Systematica, società di consulenza che aveva operato per la gestione dei flussi di Expo2105 (foto ©Marcio De Assis).


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architettura e infrastrutture › occh

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› architettura e infrastrutture › occh

FUNIVIA DEL MONTE BIANCO, COURMAYEUR

DESIGN ITALIANO SUL TETTO D’EUROPA È Sky Way, la nuova opera di ingegneria realizzata nel segno del made in Italy. Tre stazioni alpine avveniristiche in un contesto tra i più difficili in assoluto. In pochi minuti si arriva quasi a quota 3.500. Progetto architettonico di Carlo Cillara Rossi e Dimensione Ingenierie Tre stazioni alpine avveniristiche sul tetto d’Europa sono gli elementi concreti e simbolici di un gioiello della tecnologia e del design italiani rappresentato dalla nuova funivia del Monte Bianco. Tre stazioni - la prima, quella di partenza a Pontal D’Entreves, a 1.300 metri di quota; la seconda, intermedia, del Pavillon du Mont Fréty a 2.200; la terza, d’arrivo, a Punta Helbronner a 3.500 - collegate da cabine rotanti e piloni di sostegno alti fino a cento metri, studiati per resistere alle condizioni

climatiche e di vento più proibitive. Con un design che si ispira ai cristalli di ghiaccio e ai riflessi della neve, la nuova funivia del Bianco è una vera opera di grande ingegneria, che in soli 19 minuti di viaggio permette di salire fino a 3.466 metri di altezza. Il progetto architettonico, realizzato da Carlo Cillara Rossi e coordinato da Dimensione Ingenierie, dà vita a un’insieme di spazi e forme che nascono e si inseriscono sapientemente in contesti alpini fortemente diversi fra loro. 

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› architettura e infrastrutture

Durante la progettazione, grande attenzione è stata posta alle difficili condizioni climatiche a cui la struttura è quotidianamente sottoposta e all’impatto ambientale dell’intero impianto, dal punto di vista paesaggistico e della sostenibilità energetica. I principali elementi ispiratori che hanno accompagnato la progettazione si possono riassumere in tre concetti base: sicurezza, ambientazione, suggestione. Il progetto compie lo sforzo di integrare le componenti tecnologiche con il contesto

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ambientale particolare di un luogo montano orograficamente complesso e fra i più alti d’Europa. La struttura ipogea e fortemente interrata delle tre stazioni segna la necessità di opporsi alle grandi tensioni che le funi ingenerano sui rispettivi ambiti di partenza e arrivo. L’alluminio, l’acciaio e il vetro sono i grandi protagonisti di questa costruzione, realizzata con materiali ad alte prestazioni, capaci da un lato di contenere al massimo le dispersioni energetiche e dall’altro di

assicurare un involucro dall’elevata trasparenza. La volontà di rendere la montagna protagonista ha infatti orientato le scelte progettuali verso un ampio utilizzo di superfici vetrate altamente panoramiche, nate per offrire un contatto permanente con il panorama esterno in sicurezza. Installati in tutte e tre le stazioni, i sistemi per finestre e facciate sono progettati per resistere a temperature fino a -35° centigradi e a raffiche di vento in grado di arrivare a 170 km/h. La posa in opera dei vari componenti


› architettura e infrastrutture

ha richiesto la necessità di lavorare in condizioni meteorologiche avverse, con squadre preparate e turni di lavoro intensi. Il viaggio per l’esplorazione della grande montagna inizia a Pontal d’Entrèves, la stazione di valle della funivia. Progettata mediante una struttura nervata aperta sul fronte che guarda la montagna e su quello di ingresso, la copertura diviene l’unico involucro di tamponamento unitario dell’intera stazione. Essa presenta un profilo trasversale che si incurva dolcemente fino a ricoprire le

funi nel punto di massima convessità. Sul fianco occidentale si adagia al suolo mentre sul lato opposto la volta, sorretta da archi reticolari di acciaio, si appoggia a terra su solidi basamenti per mezzo di quattro grappoli di gambe divergenti e affusolate. L’architettura ospita alcuni ambienti riservati alla permanenza del personale e numerosi spazi pubblici, a cui si affianca un’ampia area interrata dedicata ai parcheggi. Qui sono situati il bar, l’infermeria, gli uffici e alcuni alloggi per il personale della socie-

tà esercente. A valle del piano d’imbarco si trova la biglietteria, primo punto d’incontro delle persone con la salita. Pavillon du Mont Fréty, la stazione intermedia, costituisce l’anima vibrante della funivia. Grandi superfici vetrate scandite da fini strutture oblique compenetrano i volumi che racchiudono entrambe le sale di imbarco dei passeggeri e offrono al visitatore un vasto contesto panoramico che fa da sfondo ad entrambi i versanti contrapposti della Val Veny e della Val Ferret, esaltando l’impo-

scheda Località Courmayeur, AO Anno di realizzazione 2011 - 2016 Committente Nuove Funivie Monte Bianco Opera Trasporto turistico in alta quota. Collegamento a fune Italia-Francia

Progetto Carlo Cillara Rossi Progetto funiviario Funiplan / Dimensione Ingenierie Progetto antincendio e isolamento Proteo Strutture in acciaio Simete Strutture in c.a. Studio Corona Costruttivi strutturali Holzner & Bertagnolli Studio geologico Studio Cancelli Associato Studio valanghe Roby Vuillermoz Imprese esecutrici Cordee Mont Blanc (Ao) - Cogeis, Doppelmayr Italia (Bz) e Carvatech Karosserie & Kabinenbau GmbH (Aut)

Superficie 12.000 mq. circa Costo 105 milioni

In apertura, la foto notturna della stazione intermedia, Pavillon du Mont-Fréty, della sky way del Monte Bianco a 2.173 metri di quota. Nella pagina a sinistra, un interno del belvedere di Punta Helbronner a 3.466 metri. In questa pagina, un’immagine notturna della stazione d’arrivo. Nei disegni, le sezioni delle tre stazioni alpine di Pontal d’Entreves, Pavillon du Mont-Fréty e Punta Helbronner.

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› architettura e infrastrutture

Carlo Cillara Rossi Laureato in architettura nel 1978, è incaricato dalla facoltà di Architettura di Genova di svolgere attività di assistente universitario. Nel 1984, fonda con alcuni colleghi lo Studio Progetti. Svolge la propria attività nei settori della progettazione architettonica, urbanistica, civile e industriale. Da diversi anni si occupa di infrastrutture turistico-ricettive, con particolare riguardo allo studio di aree sciabili, trasporti e impianti funiviari, progettazione piste e loro integrazione ambientale, servizi connessi con il turismo della montagna. È consulente di Società esercenti di impianti a fune, Comuni e Comunità Montane. Svolge inoltre la propria attività per la progettazione di edifici tecnologicamente avanzati con utilizzo di sistemi e mezzi ecocompatibili e uso di energie rinnovabili.

In questa pagina dall’alto, l’esterno della stazione d’arrivo a Punta Helbronner (foto ©Enrico Romanzi); interno della stazione intermedia di Pavillon du MontFréty (foto ©Enrico Romanzi); la stazione di partenza a Pontal d’Entreves. Nella pagina a fronte, in alto, la sala espositiva dei cristalli alla stazione di Punta Helbronner.

nente salto di quota verso il Monte Bianco. Le ampie specchiature che compenetrano i volumi racchiudono infatti un vero e proprio polo turistico, provvisto di spazi appositamente attrezzati per l’accoglienza e il ristoro del pubblico. Nonostante la complessa disposizione sul terreno, il progetto architettonico soddisfa i requisiti di ospitalità, includendo zone commerciali, una sala di proiezione, ristoranti, bar e un museo. Il punto universale del progetto che rappresenta la vetta è racchiuso a Punta Helbronner, cuore tecnologico della stazione di monte, un oggetto di ingegneria e di design. Da qui è possibile raggiungere lo storico Rifugio Torino attraverso ascensori che percorrono il pozzo strutturale in cemento armato alto 90 metri, che sostiene l’intera stazione, e un tunnel pedonale di 80 metri di lunghezza. L’avara disponibilità di spazio ha spinto le forme verso il vuoto delle pendici alla ricerca di spazi aggettanti e ha dotato il progetto di una molteplicità di soluzioni volumetriche simili a spigolose cuspidi di quarzo. Gli ambienti, segnati da continue variazioni dello spazio, disegnano un rifugio dalle forme eccentriche che dal piano di sbarco dei passeggeri si eleva attraverso sale panoramiche, ristorante, bar, la sala dei cristalli, fino all’innalzamento di una spettacolare terrazza panoramica, reale punto di arrivo dei turisti che consente la straordinaria vista a 360 gradi del grande Massiccio

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› architettura e infrastrutture

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GEZE

Sliding doors sulla funivia del Bianco GEZE ha scelto per la realizzazione avveniristica di Sky Way due dei suoi prodotti di punta, la soluzione per porte scorrevoli automatiche ECdrive e il sistema per porte girevoli TSA 325 NT. Il primo, destinato alla movimentazione delle porte di accesso all’arrivo delle cabine e all’ingresso del ristorante, rappresenta la soluzione ideale per affidabilità e silenziosità, il design elegante e la moderna tecnologia caratterizzano quest’automazione. Il sistema per porte girevoli TSA 325 NT, con comando manuale, è in grado di sopportare notevoli sollecitazioni seppur garantendo un’estetica eccezionale, ideale in una struttura moderna come Sky Way. Entrambi gli automatismi si rivelano particolarmente performanti in luoghi ad alta affluenza e con necessità specifiche in tema di sicurezza.

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› designcafè

il ponte dell’architettura Il progetto di riuso del Ponte Nuovo di Ragusa si configura come un esempio di intervento di riqualificazione urbana a basso costo Da qualche anno l’Ordine degli Architetti di Ragusa e Fondazione Arch organizzano Architettura Oggi!, una manifestazione per la promozione della cultura architettonica. L’edizione 2016 si è svolta lungo il Ponte Nuovo di Ragusa con un eccellente allestimento espositivo. Sorto negli anni Trenta per collegare la parte storica alle nuove zone di espansione della città, il Ponte Nuovo di fatto si era trasformato in un parcheggio. Il progetto e la realizzazione dell’allestimento, che ha riguardato le due spalle del ponte, si configura come un vero e proprio intervento di riqualificazione urbana, a riprova del fatto che spesso un’idea convincente può dare vita ad azioni di qualità, leggere e di basso costo: del resto era questo il tema della tavola rotonda conclusiva con gli interventi di Gaetano Manganello, presidente della Fondazione

L’allestimento delle mostre fotografiche di Architettura Oggi! 2016, sulle due spalle del ponte.

Arch, Giuseppe Cucuzzella, presidente dell’Ordine degli Architetti di Ragusa, Giovanni Lazzari, presidente della Consulta regionale degli Ordini degli Architetti di Sicilia, Luigi Prestinenza Puglisi, e di Rino La Mendola, Lilia Cannarella e Alessandra Ferrari, del Cnappc. Tre le mostre di Architettura Oggi! 2016: 70 progetti di 52 architetti Iblei;

100 tavole su Terremoto Italia e Forms in Architecture: 30 tavole di opere di Renzo Piano e Massimiliano Fuksas negli scatti fotografici di Moreno Maggi. Nel corso dell’evento si sono svolti anche incontri con grandi protagonisti dell’architettura italiana, da Stefano Boeri a Vincenzo Latina e Maria Giuseppina Grasso Cannizzo. RI.U.S.IAMO di nuovo il ponte Località Ragusa A cura di Fondazione Arch Ragusa Team di progettazione Gaetano Manganello, Laura Baragiola, Anna Fidelio, Vittorio Battaglia, Pinella Guastella, Daniele Marotta

La fotografia della città e del territorio L’allestimento di Fondazione Arch ha trasformato il Ponte Nuovo in un nuovo luogo culturale di Ragusa, occupato subito dopo la conclusione di Architettura Oggi! da un progetto di ricerca fotografica del Circuito Off/Rff curato da Santo Eduardo Di Miceli e realizzato dall’associazione culturale Photo Graphia. Nel nuovo

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spazio a cielo aperto dieci fotografi hanno esposto i loro lavori di indagine sul territorio alla ricerca dell’umanità che lo abita, per cogliere i limiti e le potenzialità della città contemporanea. Itinerante, a settembre la mostra toccherà Noto (exconvento Ragusa) e, fino al 18 ottobre, Favara Farm Cultural Park.

I progetti esposti · Istanbul modern, di Giada Alù, che si interroga su una città affascinante ma pericolosamente in bilico tra passato e futuro; · Bagheria il Monaco di Sandro Bertola che prende in esame l’anarchia istituzionale della periferia del paese siciliano; · Sulle strade di Cuba di Emanuele Canino che indaga sui cambiamenti in corso nell’ultima nazione del socialismo reale; · Paesaggio in Corso, di Domenico Cipollina, sui lavori di raddoppio della SS 640 che collega Agrigento a Caltanissetta; · Cemento Armato di Riccardo Colelli, uno spaccato della vita quotidiana nel quartiere di Librino a Catania · Civiltà alla Deriva di Santo Eduardo Di Miceli, sulla solitudine dell’uomo negli spazi della città · La Città Contemporanea di Francesco Lantino, un viaggio immaginario e insieme reale nel complesso mondo urbano mitteleuropeo; · La Rivelazione del Paesaggio di Benedetto Tarantino tesa al disvelamento della natura del paesaggio antropico · Brasile, il Paesaggio ritrovato di Elio Torrisi sul forte contrasto tra paesaggio, natura e architettura prodotto da uno sviluppo edilizio incontrollato; · e infine Il Paesaggio dimenticato, lo sguardo fotografico di Peppe Trotta su una rete infrastrutturale costruita tra il 1930 e il 1950 in Sicilia e oggi in disuso.


› pubbliredazionale

Nuovi artigiani Arte, sensibilità e duro lavoro. Niccolò Garbati, anima di Progetto99, nel XXI secolo incarna il modello rinascimentale toscano dell’artista-artigiano che conosce bene la materia. Cresciuto a Carrara tra generazioni di marmisti, Niccolò frequenta il Liceo Artistico della sua città con indirizzo architettura e design e poi sceglie il lavoro: un anno a Londra e Ginevra a sballare casse di marmi e a fare da assistente a provetti posatori prima di aprire la sua attività professionale ed entrare in collaborazione con l’azienda trentennale del padre – che ha lo stesso nome del suo studio, Progetto99, ma Srl – sviluppando progetti in marmo completi, dal rilievo alla posa, per committenti privati in tutto il mondo. E progettando, nei ritagli di tempo, innovazioni tecnologiche per uno dei materiali più antichi del mondo.

FORMA E MATERIA Ogni blocco di marmo è unico e irripetibile. Il progetto ne orienta la scelta, il taglio e le dimensioni che lo renderanno vivo per caratterizzare gli ambienti Recentemente, Progetto99 ha curato la realizzazione della residenza privata di Ginevra illustrata nelle foto, dove pavimenti e rivestimenti interni e esterni sono in marmo Bianco Thassos, una pietra bianco puro con una forte presenza di cristalli di grana grossa (fino a 2/3 mm) che la rende molto riflettente. L’azienda toscana ha seguito il progetto per intero, dai rilievi in cantiere allo sviluppo degli architetturali con la realizzazione dei disegni esecutivi e delle note di taglio, fino alla posa dei marmi e ai necessari trattamenti di impermeabilizzazione e lucidatura.

• rilievi in cantiere dei vari ambienti da vestire (con strumentazione laser 3d e 2d) • lo sviluppo degli architetturali e la produzione di render e dei disegni esecutivi in dwg • le note di taglio per la produzione in laboratorio (casellari), • il controllo della lavorazione in laboratorio e prova del lavoro tagliato prima della spedizione • la posa, lucidatura, trattamento del materiale e supervisione dei lavori.

Progetto99, grazie all’esperienza maturata nella capitale mondiale del marmo, opera infatti a 360°, offrendo a progettisti e committenti consulenza e servizi per:

Nei progetti a servizio completo Progetto99 opera secondo la logica del project management, con un unico referente responsabile del cronoprogramma e degli stati di avanzamento.

• la selezione del materiale (marmo pietra e granito) • lo sviluppo dei quantitativi di materiale del progetto (il c.d take-off)

www.progetto99.com info@progetto99.com

A parigi senza fili A Maison & Objet il lancio ufficiale del recente brevetto di Progetto99, dischi in marmo di 10 cm di diametro per la ricarica senza fili di smartphone. Inseriti nell’allestimento disegnato da Stephane Parmentier, erano in funzione presso lo stand di Maer Charme by Blanc Carrare al padiglione 8 della fiera parigina. Un prodotto rivoluzionario, secondo le presidente di Blanc Carrare Jacqueline Lestingi, che Progetto99 può sviluppare anche su misura, ricavando un alloggiamento per il caricatore a induzione in lastre di marmo di diverse dimensioni per trasformare tavoli e piani d’appoggio in comodi strumenti hi-tech.

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› musei

LEONARDiana, UN museo nuovo PER IL castello sforzesco di VIGEVANO

IL RACCONTO DI LEONARDO Nella corte Ducale di Vigevano è stato da poco inaugurato il museo in cui sono esposte le opere del genio di Vinci: disegni, dipinti e taccuini. Una narrazione articolata grazie a installazioni e strutture espositive leggere e interattive. Progetto di allestimento di Migliore+Servetto Architects

L’ossessione per lo studio della figura del cavallo, che ha accompagnato Leonardo per tutta la vita, è resa attraverso la visualizzazione di una molteplicità di modelli di studio, animati da proiezioni ambientali di racconto, che scandiscono lo spazio circondando il visitatore (foto ©Andrea

Martiradonna).

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Da poco inaugurato, il museo Leonardiana di Vigevano è il luogo, per eccellenza, in cui poter usufruire dell’intera opera del genio di Leonardo da Vinci. Alla fine di maggio, infatti, le sale della quattrocentesca Corte Ducale di Ludovico il Moro sono state riaperte al pubblico con un inedito allestimento. Il progetto degli allestimenti permanenti è stato concepito dallo studio milanese Migliore+Servetto Architects, che havinto il concorso indetto dal Consorzio Ast - Agenzia per lo Sviluppo Territoriale di Vigevano. Leonardiana propone ai visitatori un itinerario inedito, attraverso la vita e l’opera di Leonardo a partire dal suo soggiorno a Vigevano, al culmine della sua vita milanese. Protagonista del museo è il racconto del suo pensiero, della sua vita e dei molti

episodi inediti che la caratterizzarono. A Vigevano è esposta tutta l’opera che il genio di Vinci riuscì a produrre nel corso della sua vita: i disegni, oggi conservati da decine di musei e biblioteche sparsi nel mondo, i 24 dipinti oggi attribuiti con certezza alla sua mano e i suoi taccuini. Il visitatore può anche ammirare la “pinacoteca impossibile”, in cui sono esposti tutti i dipinti attualmente riconosciuti essere stati realizzati dalla mano di Leonardo, riprodotti in scala reale con speciali tecniche ad alta risoluzione, che permetteranno al visitatore di immergersi nella totalità della sua opera pittorica. Tutto ciò è reso possibile grazie alla disponibilità della collezione di riproduzioni in facsimile dei codici di Leonardo che, dal 1964, fu affidata a Giunti Editore, il quale

l’ha messa a disposizione del museo. L’art direction di M+S ha saputo costruire un’articolata narrazione attraverso strumenti avanzati di luce, multimedialità e grafica ambientale. Il progetto sviluppa una chiave di racconto coinvolgente e spettacolare, che consente al visitatore di indagare le fasi salienti del pensiero leonardesco nell’arco della sua vita, seguendo un percorso che si snoda nelle sale storiche del Castello, definendo ambienti di narrazione inaspettati che restituiscono in modo scenico la ricchezza dei diversi contenuti: contributi scientifici, riproduzioni di opere, disegni e sistemi interattivi. L’allestimento si inserisce in modo autonomo e non invasivo all’interno del Maschio del Castello, lasciando intonsa la lettura delle sale storiche del palazzo ducale, ma


› musei

Il percorso – pianta di Migliore+Servetto Architects – che segue lo sviluppo degli ambienti originali con un allestimento che ne salvaguarda la storicità, si apre con tre grandi cannocchiali dove video di racconto introducono il visitatore nel mondo di Ludovico il Moro e Beatrice d’Este, nella storia del Castello e nel vivo della vita di corte. A destra, nella sala dei Codici sono esposte le riproduzioni dei codici Leonardeschi, fedeli in scala dimensionale e per riproduzione materica, che possono anche essere consultati in forma digitale (foto ©Andrea Martiradonna).

SALA 6

SALA 5

SALA 4

SALA 3

SALA 2

SALA 1

LE ACQUE I CODICI

BOOKSHOP LA CORTE

LA PINACOTECA IMPOSSIBILE

TUNNEL

SALA 7/8/9

IL CURRICULUM

IL CAVALLO

IL CENACOLO

IL CASTELLO

INGRESSO/ USCITA

SALA 10

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› musei

offrendo al contempo un’esperienza di conoscenza ed esplorazione, attraverso messaggi multimodali, fruibili da pubblici diversi. Il percorso si snoda nelle sale storiche del Castello, definendo ambienti di narrazione inaspettati che restituiscono, in modo scenico, la ricchezza dei diversi contenuti: contribuiti scientifici, riproduzioni di opere e disegni e sistemi interattivi che, a partire dal soggiorno a Vigevano di Leonardo da Vinci e dal suo rapporto con gli Sforza, propongono una lettura di tutta l’opera leonardesca, mettendone in luce

episodi inediti. «Abbiamo lavorato sul ribaltamento del rapporto tra contenitore e contenuto, tra originale, replica e narrazione - affermano Ico Migliore e Mara Servetto - dove alla fine il soggetto principale esposto diventa il pensiero e l’azione di Leonardo all’interno della scena originale. Tutto ciò attraverso installazioni e strutture espositive leggere che integrano interazioni intuitive e tecnologie avanzate per costruire nuovi scenari di racconto». La definizione dei temi, il loro sviluppo e la

direzione curatoriale sono di Claudia Zevi & Partners con la supervisione scientifica di Carlo Pedretti, che per oltre cinquant’anni ha curato l’edizione nazionale dei disegni e dei codici vinciani. L’intervento è stato promosso dal consorzio Ast -Agenzia per lo Sviluppo Territoriale di Vigevano insieme al comune di Vigevano e all’Associazione Irrigazione Est Sesia, con il sostegno di Fondazione Cariplo e Arcus (ora incorporata in Ales), con la collaborazione produttiva e organizzativa di GAmm Giunti

La sala delle acque (a sinistra) si focalizza sul legame tra il mito della città ideale e lo studio del sistema delle acque: un grande tavolo ospita una serie di maquette fuori scala tratte dai disegni di architettura di Leonardo, mentre il Codice H, con gli studi di ingegneria di Leonardo, è esposto in un’unica riproduzione. La sala del cenacolo (a destra) conclude la visita con la riproduzione di particolari del grande affresco milanese (foto ©Andrea Martiradonna).

il castello di vigevano

Foto ©Valerio Li Vigni

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Con Leonardiana torna a vivere il castello di Vigevano, divenuto sotto gli Sforza un esempio incomparabile di raffinata residenza signorile extraurbana. Con la sua meravigliosa piazza (la prima piazza formale del Rinascimento) Vigevano rappresenta uno degli esempi più fulgidi, e al tempo stesso meno noti, di architettura rinascimentale. L’episodio della permanenza di Leonardo da Vinci nel vigevanese, rivissuto nel nuovo museo permette anche di richiamare l’attenzione su una rilevante eredità culturale, le cui origini risiedono nella stagione sforzesca delle grandi trasformazioni architettoniche ed economiche inaugurata da Ludovico il Moro, testimoniate anche dalla Sforzesca e dalla rete dei navigli, dei mulini e delle cascine. Il complesso architettonico si può considerare una piccola città nella città, essendo per estensione uno dei più grandi complessi fortificati d’Europa. Si presenta come un insieme di edifici che occupano una superficie di oltre 70mila metri quadrati. Autentico gioiello rinascimentale, ispirata a rigorosi principi geometrici, a sua volta piazza Ducale sorgeva come prima piazza formale e rappresentativa nella storia d’Europa poco prima che a Venezia si desse inizio all’impianto di piazza San Marco.


› intervista

Aperto, leggero interattivo Non solo esposizione e conservazione: secondo Ico Migliore i musei devono imparare l’arte dello storytelling attraverso percorsi espositivi multisensoriali e l’interazione tra oggetti fisici e strumenti digitali Secondo la definizione ufficiale dell’International Council of Museums un museo è un’istituzione senza fini di lucro al servizio della società e del suo sviluppo, aperta al pubblico, che acquisisce, conserva, ricerca, comunica ed espone l’eredità tangibile e intangibile dell’umanità e il suo ambiente a fini educativi, di studio e di svago. Una definizione che, se richiama la funzione primaria per cui i musei sono nati, quella della conservazione, contrasta tuttavia con i modi contemporanei di fruizione – due casi su tutti, M+, il museo di Hong Kong senza una sede fisica la cui collezione è resa disponibile al pubblico solo tramite le esposizioni itineranti che organizza, e i sette musei, tra cui il British, le cui collezioni sono già interamente disponibili su Google (www.google. com/culturalinstitute/beta/). Anche se non è di politiche museali che parliamo oggi con Ico Migliore, co-founder dello studio Migliore+Servetto Architects, indubbiamente molti musei si stanno interrogando sulle ragioni della propria esistenza, sul tipo di pubblico al quale rivolgersi e sul modo migliore per farlo, e la progettazione degli allestimenti espositivi è un elemento

fondamentale per la pianificazione culturale di un museo, spesso al punto da trasformare il museo in elemento di marketing territoriale trainante per la città. Possiamo intendere il museo come un libro? Sì, ma da leggere in altro modo. Quando prendiamo in mano un progetto la collezione esiste già, diciamo che è un testo scritto che noi dobbiamo tradurre in una pièce teatrale. Nella metafora, il testo di un libro racconta sempre una storia: anche il museo deve essere capace di farlo. Il punto non è il reperto archeologico, ma la storia che ci sta intorno.

«In Oriente originale è il gesto, non l’oggetto. Ogni 20 anni i santuari di Ise vengono smantellati e ricostruiti identici sulla collina di fronte: sono arrivati alla 61esima ricostruzione» Il vostro ultimo lavoro, la Leonardiana di Vigevano che pubblichiamo in questo numero, ha sorpreso alcuni. Il commento era: che museo è quello che mi presenta riproduzioni dei dipinti di Leonardo invece degli originali? Per la mia professione ho avuto la fortuna di

Migliore+Servetto Architects Ico Migliore e Mara Servetto realizzano progetti pensati come interfacce attive di comunicazione tra imprese o istituzioni e persone. Architetture, interni e progetti di exhibition design caratterizzati da un uso espressivo della luce e delle nuove tecnologie. Per i loro progetti hanno ottenuto diversi premi e riconoscimenti internazionali tra cui due Compasso d’Oro, il German Design Award, due FX Interior Design Award, sei Red Dot Award, l’Annual Exhibit Design Award e l’International Design Award. Oltre ai progetti illustrati in queste pagine, tra i lavori recenti dello studio ricordiamo il Museo del Risparmio per Banca Intesa Sanpaolo a Torino, gli allestimenti a Palazzo della Ragione a Milano per le mostre di Herb Ritts e William Klein, la recente mostra B&B Italia / The perfect density per i 50 anni di B&B in Triennale, l’allestimento di Bellissima. L’Italia dell’alta moda 1945-1968 alla Villa Reale di Monza e la mostra itinerante Coats! 60 Years of Italian Fashion per Max Mara. A maggio 2014 M+S, insieme a Italo Lupi, ha vinto il concorso per l’allestimento permanente del nuovo Museo della Collezione del Compasso d’Oro Adi a Milano. Ico Migliore e Mara Servetto insegnano al Politecnico di Milano e sono visiting professor in Giappone, Ico Migliore alla Tokyo Zokei University e alla Kuwazawa Design School di Tokyo, Mara Servetto alla Joshibi University di Tokyo. www.miglioreservetto.com

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› intervista frequentare a lungo il Giappone. Sia io sia la mia partner Mara Servetto siamo tuttora docenti in due università di Tokyo, e tra le altre cose laggiù ho imparato una cosa: originale in Oriente è il gesto, non l’oggetto. Anche se piccolo, quello di Vigevano è un caso esemplare di un nuovo tipo di museo: attraverso gli ambienti e le ricostruzioni multimediali permette ai visitatori di ricostruire l’uomo Leonardo e la sua “modernità” esattamente negli ambienti dove Leonardo viveva quando era al servizio di Ludovico il Moro, sembra quasi di cogliere i suoi pensieri e i suoi gesti. Anche a Varsavia abbiamo allestito un museo (il Chopin Muzeum) che attraverso gli oggetti e le dotazioni interattive ripercorre gli eventi della vita di un personaggio importante ma a Vigevano c’è proprio lo spirito dell’uomo. I suoi dipinti originali sono sparsi per il mondo, esposti con la vecchia concezione del “capolavoro”, dell’opera d’arte assoluta, quindi fuori da qualsiasi contesto. Ma è stato un uomo a pensarli prima ancora che a realizzarli. Peraltro proprio questa logica superata dell’arte come valore assoluto secondo me è una delle cause che hanno contribuito alla “finanziarizzazione” del mercato dell’arte, con ciò causando guai proprio ai musei che, alle quotazioni attuali, non possono più permettersi acquisizioni eccezionali come quelle che si facevano fino a trent’anni fa. Acquisizioni, lasciti e necessità di tutela e conservazione hanno riempito i depositi dei musei, l’esposizione è limitata e le rotazioni lente e costose. Come rendere più fruibili pubblicamente questi patrimoni nascosti?

«il genius loci di un museo si può cogliere solo percorrendone gli spazi, il genius loci è la storia che quel museo racconta»

CHOPIN MUSEUM A VARSAVIA Il Chopin Muzeum ha sede nell’Ostrogski Palace, edificio barocco della fine del XVII secolo nel centro di Varsavia, ricostruito negli anni ‘50 del secolo scorso. Il progetto di allestimento di M+S, che nel 2014 ha ricevuto anche una Menzione d’Onore al Compasso d’Oro, si articola in paesaggi emozionali che integrano musica, video e più di 5.000 oggetti che il visitatore può esplorare liberamente,

guidato a stimolato da sistemi interattivi (inclusa la tecnologia Rfid) che offrono diversi livelli di possibile fruizione. Un sistema espositivo prevalentemente autoportante, leggero e non invasivo, si confronta con le sale storiche del palazzo, valorizzandole. Insieme a Italo Lupi, Migliore e Servetto ha progettato anche la corporate identity e il nuovo logotipo del museo.

Per farlo l’edificio-museo andrebbe progettato fin dall’inizio tenendo presente questa possibilità, come abbiamo fatto per il futuro museo del Compasso d’Oro, con “periscopi” che permettono al pubblico di visionare l’intera collezione dei pezzi premiati pur lasciandoli nei depositi. O come il recente Broad Museum di Diller Scofidio a Los Angeles, dove anche l’archivio fa parte del sistema espositivo. Bilbao è diventata una meta turistica internazionale grazie al Guggenheim di Gehry. Pare che il museo abbia portato al sistema città un extra-reddito di più di 90 milioni l’anno. Conta di più il contenitore o il contenuto? Progettando installazioni noi ci occupiamo prevalentemente del contenuto, ma secondo me ciò che conta è il genius loci, e il genius loci è un percorso, significa camminare all’interno di un luogo mentre succede qualcosa, e quel qualcosa è la storia che il museo racconta. Esempi di genius loci? Per rimanere in Italia, due: l’opera di Kentridge lungo il Tevere a Roma e l’Hangar Bicocca a Milano, dove la potenza evocativa del luogo industriale offre una leggibilità emotiva, immediata, delle torri di Kiefer

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A sinistra dall’alto alcune immagini del museo Chopin a Varsavia: la sala dedicata ai viaggi di Chopin al livello +2; la sala dedicata alla località natale di Chopin Zelazowa Wola e alle peregrinazioni giovanili; i luoghi di Varsavia frequentatidal compositore (foto ©Marcin Czechowicz).


› intervista

MUSEO EGIZIO DI TORINO La ristrutturazione architettonica del Museo Egizio di Torino, affidata a Isola Architetti, è terminata nel marzo 2015 ma durante i cinque anni di cantiere il Museo, che figura al nono posto tra i musei statali italiani nella rilevazione del Mibact (dato 2015, 757mila visitatori e 5,8 milioni di introiti), è sempre rimasto aperto al pubblico. Per questo, nel 2011 venne ideata l’iniziativa “cantiere come evento”, vinta da M+S in collaborazione con Zoppoli&Pulcher, con un portale emozionale aperto su via

PIANO -1 1 – storia del museo biglietteria, guardaroba, museumshop, toilette

PIANO 0 14a/14b – Galleria dei Re 15 – tempio di Ellesjia / sala Nubiana ingresso, museumshop

Principe Amedeo per visite in sicurezza, trasformando il cantiere in un’opportunità di comunicazione. Dal 2015, in qualità di creative advisor, Ico Migliore e Mara Servetto hanno elaborato il nuovo logotipo e l’immagine coordinata del museo, le grafiche museali e l’allestimento “narrativo” di sei sale tematiche (nelle foto di Andrea Martiradonna, dall’alto in senso orario la sala dedicata alla storia del museo, la cappella di Maya e la tomba di Iti e Neferu). Sotto, le piante dei diversi piani.

PIANO 1 6 - Deir El Medina 7 - Tomba di Kha 8 - Galleria dei Sarcofagi 9 - Papiroteca 10 - Valle delle Regine 11 - Epoca Tarda 12 - Epoca Tolemaica 13 - Epoca Romana e Tardoantica caffetteria, toilette

PIANO 2 2 - Epoca Predinastica / Antico Regno 3 - Tomba degli Ignoti / Tomba di Iti e Neferu 4 - Medio Regno 5 - Medio Regno / Nuovo Regno aule didattiche, toilette

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› designcafè Marmomacc 51

THE POWER OF STONE Il 29 settembre a Verona prende il via la 51esima edizione di Marmomacc. Nata come appuntamento commerciale di una filiera produttiva che proprio qui ha uno dei suoi capisaldi, negli anni la manifestazione veronese, seguendo l’evoluzione delle tecnologie e l’interesse crescente verso il marmo e la pietra in genere, ha dedicato sempre più attenzione al design e all’architettura con iniziative di grande spessore, aumentando i motivi di interesse e di richiamo internazionale. Da cinque anni inoltre Marmomacc & the City (a cura di Laura De Stefano) coinvolge la città, con installazioni che si confrontano con le pietre di vie, piazze e architetture del centro storico della città. Le nuove tecnologie di lavorazione sono protagoniste anche – al padiglione 1 di FieraVerona – di The Power of Stone, la mostra a cura di Raffaello Galiotto che, con la preziosa collaborazione di una ventina di aziende, coniuga la millenaria tradizione della lavorazione lapidea con il linguaggio del design contemporaneo: una sequenza di opere dal forte impatto

formale frutto di un progetto totale che coinvolge l’intero processo produttivo, dai software di progettazione a quelli che governano il processo produttivo per realizzare le opere. Si tratta di lavorazioni portate all’estremo con superfici complesse e particolari di altissima precisione, che minimizzano gli scarti e valorizzano le caratteristiche dei materiali.

The Power of Stone è accompagnata da video esplicativi che aiutano a comprendere la complessità del progetto, le fasi di realizzazione, i materiali e i macchinari impiegati, per favorire la crescita di nuove figure professionali (gli “scalpellini 2.0” come li definisce Galiotto) capaci di trattare il marmo secondo i canoni della contemporaneità.

virag, matè

IL pavimento prêt-à-porter per l’ospitalità Elegante, pratico, declinato in 22 diverse tonalità, Matè di Virag è il nuovo pavimento vinilico con trama in rilievo effetto tessuto realizzata in fibra sintetica. Un materiale versatile e molto resistente di facile manutenzione con eccellente rapporto qualità-prezzo.

Il nuovo pavimento vinilico di Virag ha una trama in rilievo realizzata con fibre di materiale sintetico. Al tatto, la superficie di Matè, con orditura di rafia vinilica realizzata tramite macchine, è del tutto simile a quella di un tappeto in fibra vegetale. Il tessuto sintetico viene accoppiato a caldo su supporto composto da una mescolanza omogenea di resine viniliche, plastificanti, stabilizzanti, additivi inorganici e cariche minerali inerti - la rafia dello strato d’usura è composta al 97% da cloruro di polivinile, al 2% da poliestere e all’1% da fibra di vetro. Resistente agli agenti chimici e con

una proprietà di assorbimento del rumore d’urto, la superficie del pavimento è calpestabile immediatamente dopo la posa e richiede una manutenzione periodica con normali detergenti per pavimenti vinilici e successiva ceratura. Matè si presta per la pavimentazione interna di uffici, sale riunioni, negozi, alberghi, showroom, aree comuni di case di riposo, musei, fiere e in esterno su verande e terrazze coperte. Ricco di giochi chiaroscurali, il pavimento tessuto è disponibile nelle due collezioni SILK, con una gamma di 13 tinte naturali e colorate, e SHINY, 9 soluzioni decorative con una leggera patina luminescente.

Sopra Matè Silk Astrale, Matè Shiny grigio/nero e Matè Silk Marte. Accanto, un pavimento Matè Silk Argento.

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› designcafè

ALTO VELOCE E STORTO Alcune delle installazioni in mostra a Power of Stone. Da sinistra: Isopode (con T&D Robotics e Marmo Zandobbio; Agave (con Marmi Strada); Organic (con Margraf). Design Raffaello Galiotto.

Centosettanta metri di altezza, un grattacielo elegantemente attorcigliato su se stesso, una firma importante dell’architettura mondiale, quella di Zaha Hadid, recentemente scomparsa, e una tecnologia costruttiva che, prima del tempo, in diciassette mesi è arrivata in sommità. Stiamo parlando del grattacielo Storto (The Twisted One), che a Milano sta per essere ultimato per completare con gli altri due skyskrapers (il Dritto e il Curvo) l’operazione di CityLife, in zona Fiera. I 44 piani dell’edificio progettato da Zaha Hadid sono stati realizzati con le casseforme rampanti e le impalcature della società Peri. Che ha impiegato il sistema Rcs Rail Climbing System: una tecnica costruttiva che unisce velocità di esecuzione e sicurezza delle operazioni, anche in condizioni di forte vento e senza l’ausilio di gru.

L’illustrazione per il manifesto Cersaie di quest’anno è di Silvia Spitaleri, che frequenta il corso di disegno industriale della Scuola Politecnica dell’Università di Palermo.

L’ARCHITETTURA A CERSAIE Cinque appuntamenti con la grande architettura a Cersaie 2016 di Bologna in programma dal 26 al 30 settembre. Si tratta di lectio magistralis, conferenze e incontri con cinque architetti e designer di fama internazionale, come il britannico Norman Foster (10 on 10: Ten Fosters and Ten others; martedì 27 settembre), il paraguaiano Solano Benitez e il portoghese Manuel Aires Mateus (entrambi mercoledì 28 settembre), l’irlandese Shelley Mc Namara (An Arena for Learning: Grafton Architects; giovedì 29) e il nostro Ugo La Pietra (Lezione alla rovescia; venerdì 30).

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› ri - conversioni

jw marriott RESORT & SPA, VENEZIA

L’ISOLA DEL LUSSO Dopo anni di abbandono, torna a nuova vita grazie a un resort di lusso l’isola delle Rose. Suite, piscina, terrazza panoramica, spa nella laguna veneta. Il progetto di Matteo Thun & Partners per JW Marriott Venice Resort & spa

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› ri-conversioni

c

In apertura, l’accesso in barca al JW Marriott resort dell’isola delle Rose a Venezia. In questa pagina, in alto, il complesso alberghiero visto dall’alto; a destra “la residenza”, uno degli edifici ristrutturati visto dall’oliveto (foto ©Paolo Utimpergher). Pagina di destra, in alto, la piscina dell’albergo e sullo sfondo Venezia; in basso, l’isola delle Rose: sulla destra la zona degli orti, l’oliveto e l’area lasciata a verde (foto ©JW Marriott, planimetria ©Matteo Thun & Partners).

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i sono voluti alcuni anni, ma alla fine, una delle numerose isole artificiali della laguna di Venezia, tra il Canal Grande e il Lido, ha trovato una nuova importante funzione. L’isola, meglio nota come Isola delle Rose, abbandonata da tempo e a venti minuti di barca da piazza San Marco, è stata prima acquistata e poi ristrutturata dal marchio Marriott International, per ospitare il nuovo JW Marriott Venice Resort & Spa, un resort di lusso. L’isola su cui ora sorge il resort, realizzata nel 1860 come deposito di carburanti, nel 1890 divenne un ospedale per il trattamento dei disturbi polmonari. Più tardi, nel 1930, fu realizzata una grande e moderna struttura ospedaliera, che continuò a trattare i pazienti fino alla fine degli anni Ottanta. Da allora, il processo di abbandono è continuato, fino al 2000. Solo nel 2011 si è passati alla fase progettuale, grazie a un progetto dello studio milanese Matteo Thun & Partners, che si è occupato dell’intero processo: dal masterplan all’interior design all’architettura del paesaggio. Un’operazione delicata e complessa dal punto di vista progettuale, sia per le dimensioni sia per l’esistenza di un vincolo paesaggistico sull’isola e su alcuni edifici. Il masterplan organizza l’intervento in tre zone principali, identificate anche dalla presenza di importanti aree verdi, che qua-

lificano l’isola stessa. L’edificio dell’ex-ospedale, un’architettura che esprime la geometria astratta del razionalismo italiano dei primi anni del secolo scorso, è stata trasformata in un hotel di lusso, con 230 suite dallo stile veneziano rivisitato in chiave contemporanea, e un’ampia terrazza sul tetto, attrezzata con piscina all’aperto e ristorante panoramico. Dell’edificio sono state mantenuti intatti l’impianto planimetrico, gli ampi corridoi e le vetrate sulle zone terrazzate.

L’intervento architettonico più rilevante è avvenuto invece in copertura, alla quale è stata aggiunta una piscina a sfioro, accanto al bar-ristorante, che offre una vista panoramica su San Marco e sui campanili di Venezia. Nella seconda zona, nell’area adiacente l’ex nosocomio, è stato ricavato un centro congressi, mentre la residenza liberty in mattoni preesistente è stata conservata e trasformata in una raffinata villa per vacanze, con giardino e vista sulla città. Sul retro di tali


› ri-conversioni

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› ri-conversioni

edifici, i giardini sono stati mantenuti intatti, valorizzando le qualità paesaggistiche dell’isola. Alle spalle di questi edifici è stato realizzato un oliveto (la cui produzione è impiegata nella scuola di cucina del Dopolavoro, il cui nome deriva dall’edificio realizzato nel 1936 per ospitare medici e infermieri) e un ampio orto per la produzione di ortaggi a uso della cucina del resort. Per l’intervento sugli ex magazzini (che ora utilizzano denominazioni come la maisonette suite e la dépendance), i progettisti hanno proceduto alla conservazione dell’esistente secondo il concetto del box

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in the box: intervenire dall’interno salvaguardando la memoria storica degli edifici secondo i più attuali principi di conservazione del patrimonio. La terza zona, collocata dalla parte opposta al resort, è dedicata invece alla rigenerazione della terra. L’attenzione al paesaggio lagunare, fatto di acqua, lentezza e silenzio, si coniuga con le scelte coerenti a proposito di materiali locali, reperibili sul posto: laterizio, vetri, specchi e stoffe veneziane. Gli interni degli edifici sono di colore bianco, così come gli stucchi esterni, elementi che conferiscono all’intera costruzione

grande luminosità. L’Isola delle Rose è oggi un luogo unico, rivolto a un turismo di alto livello che in un luogo di pregio eccezionale cerca il lusso della sottrazione. Rose Island è infatti un’innovativa tipologia di luxury resort, un villaggio a tre zeri: zero km, zero CO 2 , zero garbage

In alto, l’ex chiesa dell’isola oggi ospita eventi e convegni; in basso, a sinistra, una zona relax esterna e, a destra, l’outdoor dell’ex dopolavoro. A destra, in alto, la spa dell’albergo con vista su Venezia; in basso, l’ingresso dell’ex Dopolavoro (foto ©JW Marriott).


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› ri - conversioni

Matteo Thun & Partners Matteo Thun, architetto e designer, nato nel 1952 a Bolzano, ha studiato all’Accademia di Salisburgo con Oskar Kokoschka e presso l’Università di Firenze. Dopo l’incontro con Ettore Sottsass diventa co-fondatore del gruppo ‘Memphis’ a Milano e partner di Sottsass Associati dal 1980 al 1984. È professore della cattedra di design all’Università di Arti Applicate a Vienna (Hochschule für Angewandte Kunst, Wien) dal 1983 al 2000. Nel 1984 apre il proprio studio a Milano e diventa Art Director per Swatch dal 1990 al 1993. Dall’incontro con Luca Colombo e Antonio Rodriguez nasce nel 2001 lo studio Matteo Thun & Partners che successivamente si articolerà nelle società MTLC, MTD-R e MTD-R China. Le differenti realtà creative sviluppano progetti nei campi dell’architettura, dell’interior design e del product design. Le società contano circa settanta professionisti, tra architetti, designer e grafici (fotografia ©Nacho Alegre). www.matteothun.com

scheda Località Laguna di Venezia - Isola delle Rose Proprietà Marriott International Tipologia Albergo di lusso Denominazione JW Marriott Venice Resort & Spa Anno di realizzazione 2011-2015 Superficie dell’isola 160mila mq. Superficie costruita 13mila e 400 mq. Progettazione Matteo Thun & Partners - Milano

(masterplan, architettura, interior design, styling, light design, architettura del paesaggio)

Premi World Travel Awards - Europe’s Leading New Hotel 2015; Senses Wellness Award 2015 - Best New European Spa; Wellness Travel Awards 2015 - Best for Beauty and Best for the Wow Factor; Mipim Award 2016 - Best Hotel & Tourism Resort; Hospitality Design Award 2016 – Resorts; World Luxury Spa Awards 2016; Italian Pool Award 2016

In alto e al centro, due suite dell’albergo con giardino privato e piscina (foto ©JW Marriott); in basso, il daily restaurant dell’albergo (foto ©Paolo Utimpergher).

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elements outdoor

Luoghi d’incontro

Costruire l’ombra

Materiali e ambiente

Un paio d’anni fa abbiamo progettato un sistema economico e replicabile per creare un orto sul tetto piano del nostro ufficio in Brera. Oltre a migliorare il comfort dello Studio quel luogo è diventato in breve tempo un affollato luogo di incontro e socialità. Un intervento semplice per fabbricare un nuovo spazio e un nuovo modo di stare assieme. È proprio di piccoli spazi diffusi di aggregazione che abbiamo bisogno, per potersi incontrare all’aperto come succedeva nelle strutture urbane tradizionali che hanno forgiato il nostro il nostro stesso concetto di comunità e che spesso nella città moderna sono andati perduti. Il progetto di spazi all’aperto varia molto in relazione al contesto, che può essere un limite ma allo stesso tempo uno stimolo progettuale, e anche quando l’intorno non lo permette possiamo introiettare il cielo e la natura. Penso ad esempio alle Quattro Corti, un progetto sviluppato qualche anno fa a San Pietroburgo. Lì abbiamo lasciato intatto il fronte storico su strada e creato coni visivi sulle corti interne con nuove facciate vetrate luminose e colorate. Del resto è il nostro lavoro: trasformare in cifra stilistica le aspettative del committente e la natura del contesto in cui operiamo.

Ogni progetto dovrebbe avere uno spazio di relazione con il suo esterno, un giardino, uno spazio d’ombra, un luogo in cui mettere una poltrona e godere della delicata ombra sfrangiata dei rampicanti, percependo i molteplici cambiamenti della luce nelle diverse ore del giorno e delle stagioni. Per creare tali zone, diamo sempre un particolare risalto agli sbalzi, alle logge, ai pergolati e a tutti quegli elementi che tendono ad ampliare la pianta costituendo la connessione con il paesaggio. Si creano così spazi che, specie al sud, sono importanti per il controllo dell’apporto solare, luoghi di transizione tra la luce e l’ombra. Non c’è niente di più coinvolgente dell’essere avvolti dal profumo di un gelsomino passeggiando sotto un pergolato. Questa è una delle sensazioni che cerchiamo di ottenere istituendo delle relazioni tra la casa e il suo esterno, attraverso la realizzazione di luoghi in cui tale confronto sia mediato da scorci emozionali percepiti da un pergolato che si inoltra in un giardino, o dall’ombra offerta dalle tende di una struttura lignea.

Il mio primo progetto per l’outdoor, dopo l’esperienza francese con Allibert subito dopo la laurea, è stato Gogo, la prima poltroncina con scocca monoblocco in plastica che poteva essere combinata con diverse tipologie di gambe. Alle doti di economicità, leggerezza e resistenza, da allora la ricerca ha permesso ai materiali di sintesi di acquisire maggiori qualità sia espressive sia tecniche. Ad esempio è già disponibile un poliuretano morbido e autoportante che un gel coat rende resistente all’acqua, ai raggi UV e all’abrasione. Ho lavorato anche con altri materiali, privilegiando quelli riciclabili, come l’alluminio di Mammamia (2013) o il tondino metallico di Madame O (2012), mentre Mini, presentata quest’anno ai Saloni, associa il poliammide caricato fibra della seduta a gambe in acciaio. Ma penso che la forma migliore di sostenibilità sia la durabilità dei prodotti: credo che oggi il design debba andare nella direzione dell’upgrade e della riparazione/sostituzione di pezzi e componenti. È il contrario di quello che ci hanno insegnato ma è la strada migliore per ritrovare una relazione profonda e durevole, oltre l’oggetto, tra l’uomo e la natura.

Monica Tricario - Piuarch

Angelo Vecchio - studio Scau

Marcello Ziliani - designer

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elements_outdoor pratic DENTRO E FUORI PARI SONO

exteta FORME SINUOSE

La pergola bioclimatica Opera dell’azienda friulana Pratic, unisce gli spazi interni e quelli esterni, in cui la differenza tra inside e outside è sempre più sottile. Le lame di alluminio ruotano in automatico di 140 gradi, permettendo il riciclo naturale dell’aria e la regolazione della luminosità. L’impianto è anche dotato di sensori antipioggia. La pavimentazione di Opera copre un impianto di climatizzazione a pavimento, le vetrate sono Slide Glass e le tende verticali sono Zip Raso.

Divani, poltrone, chaise longue e dormeuse dalle forme morbide e avvolgenti, ispirate alle rocce della Gallura levigate dal vento, nella collezione Palau di Ludovica+Roberto Palomba per Exteta. Sono realizzabili in tutte le varietà di materiali Exteta con un elevato grado di personalizzazione. exteta.it

pratic.it

gibus duck la tenda a bracci di nuova generazione Essenziale e innovativo il design di Duck, sviluppato dal team di Gibus con la collaborazione stilistica di Meneghello Paolelli Associati. Supporto e cassonetto diventano un elemento unico, nessuna vite è a vista e il tappo, la cui forma ricorda un becco d’anatra, che dà il nome al prodotto, ruota attorno al corpo centrale. gibus.com

bt group Zona d’ombra Costituito da una struttura autoportante in alluminio, il pergolato R205 Pergobeach si caratterizza per il disegno minimale e per la copertura costituita dall’alternanza di teli fissi che conferiscono movimento e dinamicità all’insieme. I 56 colori per la struttura e la vasta gamma dei tessuti disponibili garantiscono la massima personalizzazione. btgroup.it

greeNwood TRADIZIONE RIVISITATA Alluminio color legno, sedute e schienali in textilene, piano in vetro per il tavolino: sono i materiali del salotto da giardino Siracusa di Greenwood. Per ricreare atmosfere retrò senza preoccuparsi della durata nel tempo.

b-line SEDUTE NEL VERDE

moiaspa.com/greenwood

b-line.it

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Dalla vasta gamma di arredi e complementi outdoor di B-Line Park Chair, la seduta impilabile in tondino di acciaio zincato dalle linee sobrie e leggere progettata nel 2012 da Neuland Paster & Geldmacher. Disponibile in bianco e nero e in versione sgabello.


elements_outdoor ALMA DESIGN PER L’ORA DELL’APERITIVO Disegnata nel 2015 da Mario Mazzer la poltroncina Y, dalle linee morbide che definiscono una forma schiusa e avvolgente, moderna ma con richiami vintage, è versatile, impilabile, adatta sia all’uso domestico sia per l’Ho. Re.Ca. Esiste anche una versione completamente rivestita, adatta per l’interior, o con il solo cuscino sulla seduta, con il nome di Y Soft. alma-design.it

nardi estate a bordo piscina Per Nardi Raffello Galiotto ha disegnato Atlantico, lettino prendisole in resina fiber-glass progettato su un arco portante che si sviluppa in lunghezza e caratterizza la struttura con forme arrotondate e senza spigoli. Nelle versioni con o senza braccioli, quattro posizioni dello schienale, quattro colori per la struttura e otto per il tessuto sintetico. nardigarden.com

Catellani & Smith LAMPADE DOUBLE-FACE Medousê è la lampada della collezione di Catellani & Smith pensata per l’esterno. È un corpo composto di due coppe di vetro sovrapposte che, una volta acceso, è di colore bianco e nero, di colore verde invece quando è spento. Si tratta di corpi illuminanti pensati per l’outdoor, ma in grado di rendere lo stesso calore delle luci da interni. catellanismith.com

la pratolina RELAX NATURALE CHAISE LONGUE E SPOGLIATOIO A BORDO PISCINA L’azienda trevigiana propone due prodotti di arredo outdoor per un relax comodo e naturale. Il primo è una chaise longue in abete naturale e dal design ergonomico adatta per sauna, prendisole e relax. È larga 55 cm, lunga 195 e alta 80 e il suo colore può essere personalizzato. Il secondo è Cubo, un elegante spazio spogliatoio dal design lineare e funzionale, realizzato in legno d’abete certificato Pefc e trattato con prodotti naturali. Anche per Cubo il colore è personalizzabile. Facile da assemblare, è un oggetto multifunzione: spogliatoio per piscina, ripostiglio per il giardino e l’hobbistica e serra invernale. Su richiesta viene fornito in diverse dimensioni ed è completo di struttura di supporto e pavimentazione interna.

la pratolina T. 0438 5240681 lapratolina.it

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elements_outdoor paesaggi urbani

L’ORTO FRA I CORTILI Per realizzare un orto in città basta un terrazzo, un cortile, la copertura di un vecchio stabile: insomma, uno spazio sufficiente appena fuori la propria abitazione per piantare pomodori e insalata. Il vantaggio non è solo nell’autoproduzione, ma unito a questo ci sono indubbi vantaggi ambientali, come il risparmio energetico, il trattenimento delle acque meteoriche, il raffrescamento estivo e la crescita della biodiversità in ambito urbano. A questi principi ecologici si ispirano i trecento metri quadrati di superficie del tetto dell’edificio che ospita lo studio di architettura milanese piuarch, in via Palermo, nel cuore di Brera. Lo spazio è stato riqualificato dal punto di vista energetico e funzionale, realizzando un piccolo ecosistema con funzioni di produzione alimentare e di decoro urbano privato. L’idea progettuale si basa su un sistema modulare che utilizza i pallet per costruire strutture facilmente assemblabili, poco costose, funzionali ed esteticamente valide. Non è un modello unico, ma ripetibile su ampia scala per riqualificare superfici non utilizzate. I pallet sono utilizzati sia come piano di calpestio sia, rovesciati, come contenitori del terreno. Accanto all’orto è stato realizzato uno spazio di piante officinali. L’orto fra i cortili di Piuarch è insomma molte cose in una: riqualificazione energetica dell’edificio, strumento paesaggistico e decorativo, occasione di socialità e di coworking per chi lavora nell’edificio. Il progetto del verde è di Cornelius Gavril, la realizzazione è di Vivai Mandelli, mentre VerdeVivo ha fornito concimi, sementi e arbusti.

piuarch.it

I vantaggi dei tetti verdi Oggigiorno si fa un gran parlare di tetti verdi e le realizzazioni delle coperture vegetali si stanno facendo sempre più strada. In realtà, i tetti verdi hanno trovato applicazione dai primi anni Ottanta, in Gran Bretagna prima e in Svizzera poi. Allora il loro impiego era giustificato con le esigenze di risparmio energetico e di conservazione della biodiversità, oggi invece la loro funzione positiva viene estesa anche alle azioni di adattamento ai cambiamenti climatici e per contrastare le isole di calore urbano. Il lastrico solare diventa quindi uno spazio che ricopre diverse funzioni, oltre a quelle strettamente estetiche e di miglioramento della qualità dei singoli edifici. Significativa, in questo senso, è l’esperienza del quartiere Augustenborg, a Malmö in Svezia (nella foto). Il quartiere, un esempio di edilizia residenziale pubblica, è stato riqualificato con l’obiettivo di ridurre le inondazioni e accrescere la biodiversità urbana. Il 90 per cento delle acque piovane viene oggi convogliato e recuperato, sono aumentati gli spazi verdi, ridotto l’impatto ambientale in termini di emissioni di CO2, i tetti verdi intercettano il 50% del runoff e contribuiscono a ridurre l’impatto futuro delle ondate di calore. Un esempio di copertura verde di un parcheggio ad Augustenborg a Malmö (foto, Scandinavian Green Roof Institute, Botanical Roof Garden).

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Benefici per l’edificio 1- Schermatura -20%/30% costi diminuzione costi raffrescamento in estate 2- Riduzione del deflusso assorbimento acqua piovana 3- Percolatura -2°/5°C interni umidificazione adiabatica del tetto 4- Qualità ambiente lavorativo miglioramento climatico energetico economico sociale


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atena PANNELLI FORMAL e lamiera stirata un equilibrio estetico-funzionale di solidità e leggerezza Atena, azienda veneziana specializzata nella progettazione e produzione di controsoffitti e rivestimenti metallici, per la realizzazione del Palagurmé di Pordenone e del Winner Superstore di Gruaro ha scelto la combinazione tra pannelli Formal e lamiera stirata, due dei sistemi Atena più peculiari, le cui caratteristiche si intrecciano e bilanciano l’estetica delle forme. Formal è una delle soluzioni Atena per facciate esterne, studiata per soddisfare le esigenze architettoniche e progettuali di ogni ambiente. I pannelli, in alluminio o materiali compositi, installati su traversine verticali retrostanti, vengono scatolati e sagomati su misura, adattandosi alla conformazione dell’edificio e garantendo la corretta dilatazione degli elementi, nonchè un’adeguata ventilazione grazie al gap tra i pannelli. Forme piane, curve, arrotondate o geometriche: Formal riveste le superfici con caratteristiche nuove e si integra con accessori e corpi illuminanti. In entrambi i progetti, la solidità di Formal si armonizza con la leggerezza della lamiera stirata, in un contrasto di forme che esalta i tratti dell’edificio e snellisce la facciata, puntando sulla trasparenza data dal pieno-vuoto della lamiera stirata. Quest’ultima assume doppia valenza: funzionale (rivestimento, schermatura dalla luce) ed estetica, grazie alla diversità delle maglie e dei toni cromatici disponibili.

atena Spa T. 0421.75526 info@atena-it.com | atena-it.com

Nelle foto, dall’alto: il Palagurmè di Pordenone, progetto architettonico Arch. Walter De Gressi e Arch. Michele Pellizzari; il Winner Superstore di Gruaro, styling architettonico e direzione lavori Tonero Progetti, Arch. Filippo Tonero.

del conca LIVING OPEN AIR Un esempio di integrazione tra spazi interni e vita all’aperto in questa residenza privata a Cormorant Close, un sobborgo di Brisbane, progettata da Dion Seminara Architecture (foto courtesy Metro Tiles), con un padiglione che è un vero e proprio ambiente di soggiorno all’aperto che collega la piscina e il giardino circostante con l’abitazione vera e propria. La continuità tra spazi interni ed esterni è riaffermata anche da un pavimento in grès porcellanato della collezione Del Conca Nat Nebraska 60x60 (spessore 10,3 mm) che riveste tutti gli ambienti senza soluzione di continuità. delconca.com

LG HAUSYS PANNELLI TUTTOFARE

modulnova cucina outdoor

Versatile e resistente, Hi-Macs può essere usato anche per il rivestimento e la pannellatura di facciate esterne. Il prodotto, composto da una resina acrilica, minerali e pigmenti, è semplice da lavorare e facile da manutenere e offre un aspetto pulito ed elegante. Per le applicazioni all’aperto i pannelli sono disponibili nel colore Ivory White e vengono posati direttamente sul posto.

Modulnova è il nome della cucina outdoor prodotta dall’omonima azienda di Pordenone. Unisce funzionalità e rigore estetico. È adatta per ogni ambiente outdoor: giardini, piscine, attici. È realizzata, su design di Andrea Bassanello, in acciaio verniciato con polveri epossidiche e pietra piasentina, materiali capaci di resistere a umidità, sbalzi termici e usura.

himacs.eu

modulnova.it

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elements_outdoor resstende SCHERMATURE ISOLANTI La società monzese di Agrate Brianza produce sistemi di schermatura particolarmente adatti per l’ambientazione outdoor. Il sistema Zip prevede il perfetto scorrimento del telo nelle guide laterali e il costante trattenimento del tessuto all’interno delle guide, anche di grandi dimensioni, garantendo così isolamento acustico e termico. È in commercio anche il modello Z 710, con cassonetto in alluminio estruso. resstende.com

panaria group / fiordo PAVIMENTI PER ESTERNI

simes LUCI PER ESTERNI DI MATTEO THUN Per l’illuminazione per esterni di Simes, Matteo Thun ha creato una collezione realizzata in legno teak, per progetti architettonici sostenibili e dal calore naturale. La collezione unisce sia elementi di alluminio, vetro e legno, ed è disponibile in versione da parete, a terra e da soffitto, con finitura delle parti metalliche in bianco e bronzo.

Per le pavimentazioni outdoor, la Fiordo di Panaria Group propone le collezioni Genesis e Model Pavé: la prima di 9 mm di spessore, quattro colori, tre formati e due superfici; la seconda di 12 mm in gres porcellanato che propone la naturalità dell’acciottolato. fiordo.it

matteothun.com

pircher IL LEGNO E L’OUTDOOR LIVING

panaria group TRE COLLEZIONI PER ESTERNI

L’azienda altotesina propone una collezione di prodotti di legno per l’outdoor living. Si tratta di stazioni di riposo per percorsi pedonali e ciclistici, che comprendono portabici, pedana con seduta e cestino portarifiuti. I prodotti sono realizzati in legno di larice alpino (linea Bioline).

Per l’outdoor, l’azienda ceramica reggiana propone tre collezioni di qualità: Cluny, Buxy Flammè e Stone Quartz (tutti di 20 mm di spessore). Cluny, in gres porcellanato spessorato, è disponibile in tre finiture superficiali: Adouci, Sablé, Laye. Buxy Flammé, invece, ha una superficie ottenuta da uno stampo in resina ottenuto dal calco di una pietra fiammata. Stone Quartz infine è un gres porcellanato che ripropone la tessitura della quarzite in tre differenti colori: bianco ghiaccio, grigio luminoso e beige caldo; due le superfici proposte: patinata e una fiammata, di aspetto rugoso, adatto agli spazi esterni.

pircher.eu

cottodeste.it

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