Marmot Cities e lotta alle disuguaglianze di salute: Intervista a Michael Marmot, Institute for Health Equity UCL
URBES MAGAZINE N° 1 - 2023
Editoriale Federico Serra
“CASTELLI DI SABBIA” La notte dello scorso 5 febbraio le notizie ci consegnarono ciò che, al momento, è una delle più grandi catastrofi naturali degli ultimi cento anni. Due forti scosse sismiche hanno colpito l’area meridionale della Turchia e le regioni settentrionali della Siria, in una zona dove il rischio sismico è elevato per via di una tripla congiunzione della faglia terrestre, provocado effetti disastrosi e mortali. Secondo le stime effettuate dai due Paesi principalmente coinvolti il terremoto ha provocato in totale oltre 51.000 vittime accertate, di cui 44.374 in Turchia e 6.700 in Siria, e un elevato numero di dispersi che porteranno tale bilancio ad aumentare ulteriormente, mentre sono stati registrati più di 120.000 feriti. Stime purtroppo ancora oggi da aggiornare e in continuo aumento. Le televisioni ci hanno consegnato immagini di città devastate e distrutte dove i palazzi implodevano come “castelli di sabbia”, dove due scosse di magnitudo 6.4 e 5.8 a distanza di pochi minuti hanno frantumato la serenità di milioni di persone e reso evidente la fragilità di alcune scellerate scelte urbanistiche. Città cresciute dal nulla e popolate di profughi, città che nascono dagli esodi, che crescono nella disperazione, città costruite sul nulla, città costruita del nulla, senza programmazione, in una zona dove era probabile che avvenisse un terremoto di forte dimensioni. Città senza memoria. Antiochia, che nel periodo romano contava 500mila abitanti ed era la terza città più popolosa del mondo, dopo Roma e Alessandria, oggi è una città parzialmente distrutta, in cui il fascino del passato si mischia al dolore del suo presente. Una città dove si sono costruiti “castelli di sabbia” de-
stinati a cadere al primo alito di vento, dove urbanizzazione ha significato disordine urbano e palazzi costruiti con materiali scadenti. E quando le notizie di agenzia ci dicono che in Turchia le autorità locali hanno arrestato più di 100 costruttori edili nelle 10 province colpite dal terremoto con l’accusa di avere violato le normative edilizie del Paese, sappiamo che molti di loro sono i costruttori dei “castelli di sabbia”. Accanto a tutto questo emergono le immagini dei soccorritori, capaci di scavare con le mani e di non perdere mai la speranza di salvare qualcuno. O immagini che ci regalano una storia di speranza nella provincia di Hatay in cui una donna e il suo bambino di 10 giorni sono stati estratti vivi dalle macerie a circa quattro giorni dal sisma (dopo 128 ore). Il piccolo, che si chiama Yagiz, è stato trovato vivo dai soccorritori tra i resti di una struttura nella città di Samandag: un cittadino del futuro che - speriamo - sarà in grado di costruire una città del futuro migliore. Le immagini serene di Yagiz insieme alla mamma sono quelle di chi è inconsapevole testimone di un dramma e di un miracolo al contempo, le stesse che ci danno la speranza che sia possibile cambiare tutto partendo proprio da lui. Yagiz e le migliaia di orfani di questo terremoto pretendono di non vivere più in “castelli di sabbia”.
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INDICE EDITORIALE AGORÀ ZIBALDONE IN PUNTA DI PENNA CITTADINO HEALTH CITY MANAGER ALUMNI
RECENSIONI
TAKE AWAY IL DIBATTITO: L’ATTIVITÀ FISICA NEL SSN PRIMO CONGRESSO DELLA RETE ITALIANA DELLE CATTEDRE UNESCO (RECUI) CITIES SPEAKING HCI UPDATES
FOCUS ON MANIFESTO "SALUTE NELLE CITTA: BENE COMUNE"
INTERVISTE MICHAEL MARMOT, Institute for Health Equity UCL RAFFAELLA BUCCIARDINI, ISS SETTIMO NIZZI, Sindaco di Olbia
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URBAN HEALTH COLUMNS Aree interne: circa 13 milioni di abitanti hanno difficoltà di accesso ai servizi Mobilità sostenibile: cosa intendiamo e che ruolo può svolgere il cittadino attivo Un modello urbano per coniugare salute e benessere L’intelligenza artificiale: paure, progresso ed urbanistica Muoversi in città: il car sharing
FOCUS ON SPORT E CITTA SPORTCITY MEETING 2023: LA CARTA DI SALSOMAGGIORE ATTIVITÀ FISICA E SPORTIVA A MILANO
NEWS DALLA RETE CCD GLOBAL
INDAGINI E PROGETTI Esposoma, urbanizzazione e malattie metaboliche Rigenerazione urbana, salute e sostenibilità: quali scenari per Roma Capitale? Il ruolo dell’epigenetica comportamentale nello studio dello sviluppo delle neoplasie Vicinanza della salute
ARTICOLI Buon vivere: quali strumenti per una città in salute VERSO ROMA EXPO 2030: i numeri di Expo e il parco solare La cucina tradizionale strumento di health management: le ricette regionali CLEAN CITIES "Non è un Paese per bici" Mal'aria LA "CITTÀ DEI 15 MINUTI" ENTRA NEL VIVO ANCHE A ROMA Proposte per le politiche abitative dalle città metropolitane ISTAT: BES 2022 E SPESA SOCIALE DEI COMUNI
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Andrea Lenzi, Presidente Health City Institute, Presidente del Comitato Nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze della Vita (CNBBSV) della Presidenza del Consiglio dei Ministri
Agorà 8
Antropocene, Urbanocene e One Health: l’uomo e il suo habitat Studiare da dove veniamo e dove siamo proiettati come essere umani serve non solo a capire la nostra evoluzione, ma anche a definire chi siamo, come incidiamo sui grandi cambiamenti (non solo geologici) del nostro presente e del futuro del pianeta. Nella letteratura scientifica che studia il nostro habitat si parla sempre di più di Antropocene, un termine coniato dal biologo Eugene Stoermer nel secolo scorso, a metà degli anni ottanta, e che all’inizio di questo millennio è stato proposto ufficialmente come epoca geologica, nella quale l’essere umano con le sue attività è riuscito con modifiche territoriali, strutturali e climatiche a incidere su processi geologici. L’uomo che diventa protagonista per la prima volta dei cambiamenti geologici, almeno questa è la tesi di Stoermer e di Paul Crutzen, meteorologo e ingegnere già vincitore del premio Nobel per i suoi studi sugli inquinanti e il loro effetto sull’ozono stratosferico. Stormer e Crutzen indicano nell’Antropocene, un termine che deriva dalle parole greco anthropos e kainos, che significano “essere umano” e “recente”, una nuova epoca geologica, che segue l’Olocene, caratterizzato dall’impatto dell’attività umana su scala globale in grado di generare grandi cambiamenti geologici che si proietteranno sul futuro del nostro Pianeta. Stando alla scala ufficiale dei tempi geologici, in questo momento siamo ancora nell’Olocene, un’epoca geologica iniziata circa 12.000 anni fa, ma oggi ci si sta interrogando se l’attività umana, diventando sempre più rilevante, stia realmente cambiando il nostro pianeta Terra. Infatti, il dibattito su quando possa essere nato l’Antropocene, era geologica non ancora stata riconosciuta dall’ente ufficiale in questo campo, l’International Union of Geological Sciences (IUGS), non trova tutti gli studiosi concordi. Secondo alcuni studiosi l’Antropocene inizia nell’Ottocento, con la rivoluzione industriale, quando l’uomo genera prodotti nuovi, non esistenti e su larga scala, e, nel contempo, comincia ad inquinare. Altri studiosi invece ne indicano l’inizio nel 1945, quando la prima bomba atomica colpì Hiroshima e Nagasaki, dando vita all’era atomica e generando particelle radioattive che si sarebbero potute diffondere in tutto il globo. In un report del 2021 pubblicato su Springer Nature e
da un documento dell’Anthropocene Working Group (AWG), tra le principali caratteristiche dell’Antropocene vengono indicati: • aumento della popolazione e urbanizzazione; • aumento nel consumo di combustibili fossili e di acqua; • utilizzo crescente di sostanze chimiche e acidificazione delle acque; • perdita di biodiversità e sovrapesca (cattura in eccesso di specie ittiche con incapacità di rinnovo delle stesse); • aumento sostanziale di gas serra e di sostanze inquinanti in atmosfera; • aumento di disastri naturali conseguenti al riscaldamento globale; • aumento del livello del mare e dell’erosione costiera; • nuovi materiali dispersi nell’ambiente (cemento, plastiche, tecnofossili). Un dibattito infinito che si arricchisce quando West Geoffrey, fisico britannico, ex presidente e illustre professore del Santa Fe Institute, uno dei principali scienziati che lavorano sul modello scientifico di città, indica nell’Antropocene un tempo ormai passato; a suo avviso siamo già in un’epoca successiva, caratterizzata dall’urbanizzazione, e conia il termine “Urbanocene”. West Geoffrey, è certamente uno dei massimi esperti sul tema, tanto che nel 2006 la rivista Time lo ha premiato come una delle 100 persone più influenti al mondo. Egli prende le mosse dall’urbanizzazione per indicare come l’uomo stia modificando il proprio habitat geologico, attraverso l’utilizzo di materiali per la costruzione di abitazioni e infrastrutture (come il calcestruzzo) che rimarranno per tempi molto lunghi presenti nel terreno, generando una nuova stratificazione geologica. Al di là della nomenclatura geologica, il dato certo è che l’uomo sta cambiando non solo le ere geologiche, ma l’ambiente e il contesto nel quale vive. Anche nel campo della salute. La lezione di COVID-19 ci dice che la salute umana è strettamente connessa alla salute animale e dell’ambiente, per cui è importante adottare un approccio One Health nella prevenzione e nella preparedness al fine di affrontare prontamente possibili
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minacce per la salute emergenti dall’interfaccia uomoanimale-ambiente, come è indicato dal Policy Brief “One Health-Based Conceptual Frameworks for Comprehensive and Coordinated Prevention and Preparedness Plans Addressing Global Health Threats”, documento sviluppato dai ricercatori dell’ISS e da un team di esperti internazionali nel quadro della Task Force Global Health and Covid-19 del T20/G20. Anche sulla salute l’uomo ha cambiato “la stratificazione” del proprio habitat e dobbiamo essere consapevoli che sempre di più dovremmo muoverci nell’ottica di vivere e far vivere questo Pianeta, e non solo di sfruttarlo, studiando come evitare che l’urbanizzazione da idea di successo del Sapiens possa diventare fattore di rischio globale. Dobbiamo fare tesoro del monito dei nativi americani “Non ereditiamo la terra dai nostri avi; la prendiamo a prestito dai nostri figli. Nostro è il dovere di restituirgliela.”
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ZIBALDONE 12
IL PARADOSSO DELLA SALUTE E DELL’ECONOMIA DEL BENESSERE
di Frederick Greenhouse
Quando il 15 novembre scorso il Segretario Generale delle Nazioni Unite António Guterres, da Sharm ElSheikh, alla fine della prima settimana di Cop27, la conferenza Onu sul Clima, dà il benvenuto all’ottomiliardesimo membro della sempre più crescente famiglia umana su questo Pianeta, lo dice non con tono celebrativo ma con la preoccupazione di chi invita a pensare al futuro di questa Terra. Lo dice rivolgendosi ai grandi protagonisti del G20, riuniti nello stesso periodo a Bali, e indicando la grande sfida legata al clima. “Il nostro mondo sta affrontando il momento più cruciale e precario da generazioni. Le persone vengono colpite da un cambiamento climatico incontrollabile. Entro il 2050, la popolazione mondiale si avvicinerà ai dieci miliardi. L’azione, o l’inazione, del G20 determinerà se ogni membro della nostra famiglia umana potrà vivere in modo sostenibile e pacifico, su un Pianeta sano”. Lo dice consapevole che incremento demografico e crisi climatica possono diventare una miscela esplosiva in grado di produrre effetti devastanti sul nostro futuro. L’innalzamento delle temperature, dovuto a politiche ottuse da parte di alcuni membri del G20, ovvero le più forti economie del mondo, potrebbe portarci a vere catastrofi naturali e sociali, dalle quali tornare indietro sarebbe difficile. Un Pianeta a differenti velocità dove i Paesi più ricchi generano il problema e quelli più poveri ne patiscono le conseguenze. Nove dei dieci Paesi più vulnerabili dal punto di vista climatico sono nell’Africa subsahariana, la cui popolazione dovrebbe raddoppiare entro il 2050. La proiezione che ci fornisce l’ONU è quella di una popolazione globale che dovrebbe poi raggiungere circa i 9,7 miliardi intorno al 2050, prima di incontrare un picco vicino ai 10,4 miliardi di esseri umani nel decennio degli anni ’80 e rimanere a quel livello fino alla fine del secolo. Un incremento che riguarda le Nazioni più povere dove ancora la contraccezione e la programmazione delle nascite sono un miraggio. E proprio la Cop27 ha celebrato il Gender Day, dove si è discusso di demografia e contraccezione e parità di genere come fattori in grado di influenzare il clima. Un recente studio dell’Onu indica che ci sono 121 milioni di gravidanze
indesiderate ogni anno “nel corpo di donne che non hanno scelto la maternità, che non avevano in programma di avere un figlio in quel momento, con quel partner, in quelle circostanze”. Una libertà di decidere se e quando diventare madri e di avere una programmazione del proprio futuro familiare, che impatterebbero sul cambiamento climatico. Secondo una altra ricerca, la pianificazione familiare e l’istruzione delle donne potrebbero evitare l’emissione di 85 gigatonnellate di CO2 tra il 2020 e il 2050. Una cifra che è più o meno quanto si otterrebbe spegnendo 22mila centrali elettriche a carbone. Qualche giorno fa mi sono ricordato di quando nel 1983 la Plasmon contattò per la prima volta un demografo, per farsi fare una analisi su dove stesse andando il Paese in termini di crescita demografica. La preoccupazione dell’azienda era legata al mercato dell’infanzia, segmento dove è tradizionalmente leader, che, anno dopo anno, andava assottigliandosi, per un decremento della natalità. Un trend inarrestabile secondo il demografo che indusse i dirigenti della Plasmon a puntare di più su una linea di prodotti per gli adulti. Dopo quarant’anni dalla “sentenza” del demografo la Plasmon ritorna sull’argomento con il progetto “Adamo” che non è la storia del primo uomo bensì dell’ultimo nato in Italia. Un cortometraggio ci proietta nel 2050, anno dell’ultimo nato in Italia, Adamo, un bambino che cresce in un mondo senza simili, senza fratelli e sorelle, senza altri bambini, senza poter giocare con nessuno. Una provocazione che fa riflettere e che lascia il segno. Certo, il progressivo declino della natalità è frutto di scelte dettate dalla crisi economica, dall’aumento dei nuclei unifamiliari, dall’insicurezza, con città dove aumentano i punti vendita per gli alimenti per animali e diminuiscono quelli per bambini. Il dilemma è avere una Terra a due velocità dove l’ottomiliardesimo abitante nasce nella desertificazione climatica e dove chi viene al mondo in Italia nasce nella desertificazione demografica.
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IN PUNTA DI PENNA di Fabio Mazzeo Giornalista e divulgatore scientifico
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Non siamo ancora nel Metaverso, però il futuro prende forma. Quotidianamente l’uomo, con le sue capacità, il suo talento, riesce a plasmare il virtuale, rendendolo imminente. Gli annunci provenienti dai centri di ricerca ci dicono che presto ad andare in giro per svolgere tutta una serie di azioni, quelle che magari ci appaiono più noiose, disbrigare pratiche per esempio, lo farà una nuova forma del nostro io. Saremo noi stessi attraverso una immagine che creeremo ad andare uffici a fare ciò che ci annoia. Non ci credete? Liberi di farlo, ricordando però che appena trent’anni fa nessuno avrebbe immaginato di avere, attraverso un computer, la possibilità di sfogliare tutti i libri mai scritti dall’uomo nella sua millenaria storia. Allora il nostro zapping era limitato ai canali delle televisioni pubbliche e private, e ogni programma aveva un orario di inizio e dopo i titoli di coda era finito per sempre. Oggi l’accesso alle piattaforme ci rende disponibile praticamente ogni prodotto visivo mai realizzato. E l’orario di inizio lo decidiamo noi. Lui sta li, pronto a replicarsi a nostra semplice richiesta. È il potere di Internet, della connessione, che ci consente di fare viaggiare velocissimamente ogni informazione da un punto all’altro del Pianeta. Oggi si stima che cinque miliardi di persone siano connesse, è il 62,5% della popolazione, sostanzialmente si tratta di tutto il mondo tecnologicamente avanzato. Tutte queste persone, ed è la prima volta nella storia dell’umanità, condividono tutti una stessa memoria collettiva. Immaginate il famoso e temutissimo pettegolezzo, praticato dagli uomini fin dall’alba delle prime comunicazioni verbali. Allora e per millenni, il pettegolezzo è andato al massimo alla velocità dei nostri spostamenti fisici, e per diffondersi aveva bisogno di persone che si incontrassero, si capissero con la lingua. Incredibile per i giovani di oggi, per i cosiddetti nativi digitali. Per loro è un banale processo meccanico quello di accedere a
uno dei tanti social o a un motore di ricerca e trovare le notizie su qualsiasi fatto, cosa o persona; e le notizie vanno bene in qualsiasi lingua, perché poi ci pensa lo stesso social o motore di ricerca a tradurlo nella lingua desiderata. Un grande progresso per l’umanità? Qualsiasi risposta è esposta a critiche e obiezioni. Sappiamo che è grazie a questi sistemi che popoli oppressi hanno potuto organizzare la loro liberazione; tanto che spietate dittature negano l’accesso a internet. Ma sappiamo anche di dittature più sofisticate, che consentono l’accesso a internet dove però i cittadini troveranno solo le informazioni autorizzate da chi detiene il potere. Nel mondo occidentale, impreparato sul fronte legislativo, dobbiamo fare i conti con storture che implicano distorsioni e gravissime violenze. Pensate solo alle grandi frodi finanziarie praticate attraverso false informazioni; o i casi drammatici del revenge porn. In mondo cresciuto a dismisura e fuori da ogni controllo come il web, c’è chi da anni, in modo fraudolento, inserisce un’altra immagine di noi. Accade nel caso dei furti d’identità sui social. O quando di noi viene proiettata un’immagine del passato che ormai dovrebbe essere cancellata per sempre. Il web, con i suoi cloud, è più efficiente della memoria umana. Non dimentica col tempo, ma solo attraverso un intervento di vera e propria ingegneria. E così un contenuto diffamatorio può potenzialmente perseguitare una persona per sempre. Quando i grandi giornali riversarono in formato digitale i loro archivi cartacei offrirono nuova memoria a tutti. Ma accadde, per esempio, che alchimie strutturate da algoritmi sempre matematici e senza alcuna capacità di discernimento, portarono a una enorme visibilità storie in cui uomini e donne accusati di reati orrendi, senza la notizia magari arrivata anni dopo in cui le persone accusate venivano riabilitate da indagini e processi che infine li avevano assolti perché totalmente estranei alle vicende loro imputate. Tutto questo accade ogni giorno. E fi-
Memoria e Oblio nire nella bollagogna di internet può diventare di per sé una pena da scontare, perché poi sono i proprietari dei social o dei motori di ricerca a dettare i tempi della rimozione dei contenuti lesivi della nostra reputazione. E sai quanto gliene frega a un multimiliardario della California delle sofferenze umane di chi nella sua comunità umana e professionale patisce la vergona di una ingiusta accusa. Il web ha creato ipoteticamente un mondo ideale, dove la reputazione, cioè il valore riconosciuto dell’individuo attraverso le proprie azioni e i propri comportamenti, è decisivo nelle scelte praticate dalla comunità. Dall’altra però non controlla fino in fondo la veridicità delle fonti, generando altrettanto ipoteticamente un modo dove la bugia può valere quanto la verità. Ripristinare anche sul web i principi di verità, per fortuna, comincia a essere possibile anche se occorrono strumenti, conoscenza ed esperienza che il singolo utente del web non possiede. Col diritto all’oblio, la rimozione ciò dei contenuti lesivi falsi, muove i primi passi sul campo dove battagliano diritto all’oblio e diritto all’informazione. È certo che nei due decenni di espansione globale del web, è stato colpevole o negligente l’atteggiamento di non ha provveduto a una revisione del diritto alla privacy e al controllo dei dati personali. Ciò che appare di drammatica urgenza è una riforma di sistema che consenta a ciascun uomo o donna di non essere ricordati online per fatti non pertinenti, non dimostrati, non di pubblico interesse.
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COMUNITÀ RESILIENTE: UN SEME CHE GERMOGLIA La pandemia del COVID-19, la crisi economica che ne è derivata e in ultimo gli eventi bellici che non possono lasciarci indifferenti, ci hanno fatto scoprire una parola che era caduta in disuso e che si perpetrava tra le generazioni in qualche tatuaggio, o in qualche canzone, il tutto forse senza conoscerne veramente il senso, una parola che invece oggi troviamo dappertutto: resilienza. Un psicologo ci spiegherebbe che resilienza è un concetto che indica la capacità di fare fronte in maniera positiva ad eventi traumatici, di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà, di ricostruirsi restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre, senza alienare la propria identità. Gli economisti parlano di economie resilienti, indicando quelle che usciranno meglio dalla crisi, o che per ripartire nei mercati serve resilienza. Le istituzioni ne parlano in ottica di costruzione del futuro e di next generation, vedi il PNRR che è proprio il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. I leader mondiali hanno riscoperto il significato di una parola, che in effetti accompagna l’uomo da sempre, basti pensare che negli ultimo 120 anni abbiamo affrontato due guerre mondiali, e centinaia di conflitti internazionali, alcune crisi economiche e pandemie di varia natura, basti pensare che solo tra il 2011 e il 2018, l’OMS ha registrato 1.483 eventi epidemici in 172 paesi. Eppure la popolazione mondiale aumenta come l’aspettativa di vita alla nascita aumenta, tutti sintomi di una popolazione resiliente. Ma qualè una comunità resiliente?
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Nel 2021, in piena tempesta pandemica, Cittadinanzattiva lanciò il progetto Community PRO (Participation Resilience Organizing), realizzato con il finanziamento concesso dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Tra le sfide contemporanee assume un valore sempre più rilevante la capacità delle città e dei territori di sapersi trasformare in contesti inclusivi, partecipativi e
resilienti, in grado non solo di adattarsi ai cambiamenti, ma anche di saperli fronteggiare attraverso una buona pianificazione nell’uso delle risorse e coinvolgendo direttamente i cittadini. Esiste un rapporto direttamente proporzionale fra condizioni di vita negli insediamenti umani e partecipazione dei cittadini alla costruzione delle politiche pubbliche. La partecipazione favorisce decisioni più efficaci, servizi più adeguati, una maggiore tutela dei diritti; così come i livelli di vita, di sicurezza e di inclusività degli insediamenti determinano un ambiente favorevole alla qualità della democrazia e al protagonismo delle comunità. Ma il coinvolgimento civico e il protagonismo delle comunità nei processi di conoscenza e di cambiamento della realtà che abbiano come fine la tutela dei diritti e la cura dei beni comuni richiedono come necessaria condizione il rafforzamento dell’attivismo civico, nei numeri, nella diffusione territoriale, nell’acquisizione di competenze, e lo sviluppo della capacità dei cittadini di organizzarsi per svolgere attività di interesse generale. Motore e obiettivo del progetto Community PRO è stato dunque l’empowerment, cioè l’opportunità che viene data alle persone di conoscere i propri diritti e di realizzare le proprie potenzialità, di crescere nella propria capacità di influenzare e/o attivare il cambiamento attraverso il superamento dei gap informativi e la crescita di consapevolezza, di operare esse stesse per ridurre le situazioni di rischio nelle quali si trovino o per aumentare e migliorare le misure di protezione necessarie. Mi piace pensare che costruire una comunità resiliente significa aggregare cittadini che siano consci di come costruire il proprio futuro attivando processi di costruzione e organizzazione di comunità protagoniste e solidali, per fronteggiare i fenomeni avversi di cambiamento. Una comunità che germoglia anche dopo le difficoltà di una pandemia, di una crisi economica o di disastri naturali o bellici, che come dice un proverbio messicano “hanno cercato di seppellirmi, ma non sapevano che io sono un seme”.
di Antonio Gaudioso
di Marco Innocenti, Health City Manager
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La salute e la sicurezza sul posto di lavoro sono due concetti fondamentali per la qualità della vita dei lavoratori e per il benessere della comunità in generale. I dati dell’INAIL indicano che ogni anno in Italia ci sono circa mille decessi causati dagli incidenti sul lavoro, oltre a un significativo numero di infortuni, alcuni dei quali hanno conseguenze più o meno invalidanti. Questi numeri sono una triste realtà che evidenzia la gravità del problema della sicurezza sul lavoro in Italia, nonostante gli sforzi per migliorare la sicurezza sul lavoro e le leggi che la regolamentano, ancora troppi lavoratori sono esposti a rischi inappropriati e pericolosi per la propria salute. In un contesto di Urban Health, dove la vita urbana può presentare sfide uniche per la salute dei cittadini, questo tema diventa ancora più importante. La grande concentrazione di persone e le attività industriali nelle città possono causare problemi di inquinamento dell’aria e del suolo che possono a lora volta influire negativamente sulla salute dei lavoratori che ne sono esposti. Inoltre, lavorare nelle città spesso implica una maggiore esposizione a situazioni pericolose come traffico e congestione che possono aumentare il rischio di incidenti sul lavoro. Per proteggere la salute e la sicurezza dei lavoratori, è estremamente importante che le aziende adottino misure efficaci in quanto la prevenzione degli infortuni sul lavoro non è solo un obbligo morale, ma anche una responsabilità legale per le aziende. La salute e la sicurezza dei lavoratori devono essere considerate una priorità per ogni azienda, indipendentemente dalle sue dimensioni o dal settore in cui opera. Ogni datore di lavoro deve fornire una formazione continua sui temi della salute e sicurezza sul lavoro, fornire attrezzature di sicurezza appropriate e dispositivi di protezione individuale, valutando regolarmente i rischi per la salute. In questo contesto, un Health City Manager ricoprirebbe un ruolo importante nella promozione della salute e della sicurezza sul lavoro nelle città. Una figura che potrebbe intervenire aiutando a identificare le aree in cui sarebbe necessario fare maggiori sforzi per migliorare la sicurezza sul lavoro e per garantire che le misure adottate siano efficaci, sviluppando politiche per ridurre l’esposizione all’inquinamento e promuovendo la sicurezza sul lavoro, implementando programmi di sensibilizzazione sulla salute e la sicurezza attraverso pratiche di lavoro sicure e valutazioni regolari dei rischi. In sintesi,
un Health City Manager è un professionista a 360 gradi che si occupa non solo della sicurezza in senso stretto, ma anche del benessere e della salute dei lavoratori, garantendo loro l’accesso a cure mediche e a programmi di assistenza per gestire problemi di salute legati agli ambienti di lavoro. Troppo spesso accade che sia nei contesti pubblici che privati, le condizioni degli ambienti di lavoro non rispettino gli standard minimi richiesti dalla normativa vigente. In questo senso, una soluzione praticabile da un HCM, potrebbe essere l’adozione del modello di lavoro flessibile del coworking. Il coworking consiste nell’utilizzare uno spazio di lavoro condiviso da diversi individui o imprese, offrendo molte opportunità per tutti con un prevedibile ritorno anche in termini di costi e produttività. Ad esempio, utilizzando spazi di coworking si potrebbe risparmiare sui costi di affitto e arredamento, grazie alla condivisione degli spazi con altri enti o individui. Inoltre, la flessibilità offerta dal coworking permetterebbe ai dipendenti di scegliere di lavorare vicino al proprio domicilio, migliorando la qualità della vita e riducendo i costi ed i tempi di trasporto, a beneficio dell’intera collettività. Il coworking incoraggerebbe inoltre la collaborazione e la condivisione delle idee tra i lavoratori, permettendo ai dipendenti pubblici di interagire con lavoratori provenienti dal settore privato o da altri enti pubblici. Questo continuo confronto porterebbe sicuramente un maggior arricchimento umano dei lavoratori, ma anche un accrescimento in termini di competenze professionali che facilmente determinerebbe un aumento della produttività e dell’innovazione. In conclusione, l’adozione del modello di lavoro flessibile del coworking potrebbe rappresentare una soluzione valida per i privati, per tutta la collettività ed in particolar modo la Pubblica Amministrazione; infatti il reale e tangibile aumento degli standard di qualità degli ambienti di lavoro, ottenuto oltretutto a costi sostenibili, e il confronto tra lavoratori appartenenti anche a realtà diverse, avrebbero come prima diretta conseguenza un maggior benessere fisico-psichico per i lavoratori, da cui presumibilmente deriverebbe anche una maggiore produttività degli stessi, risparmiando oltretutto sui costi e potenziando il sistema wellness.
Health City Manager: sicurezza e benessere per tutelare la salute dei cittadini e dei lavoratori sia nel pubblico che nel privato
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Recensioni Equity in Health and Health Promotion in Urban Areas di Ricotta, Battisti, Marceca (a cura di) Iorio, Springer 2023 Recensione di F.R. Lenzi
L’OMS ha affermato già da tempo (1998) un principio integrato e multidisciplinare per la definizione del concetto di salute. Ciò ha significato non solamente poiché la salute esiste ed è definibile oltre e a prescindere dalla malattia, che antecede e ricomprende come parte di un insieme; ma anche poiché essa ha a che vedere con contesti ben più ampi di quelli identificabili solo una volta varcata la soglia degli istituti di cura. La salute costituisce il perno complesso attorno a cui ruotano, interagiscono e incidono numerose dimensioni tra cui quella culturale, quella educativa, quella politica, quella etica, quella economica e quella sociale. Tale multidimensionalità della questione della salute si interseca con un’altra dimensione di pari complessità, ovvero quella urbana. La città è oggi il teatro privilegiato ove la maggioranza degli individui inscena la propria quotidianità e si prevede che questa scelta, quella di vivere in contesti urbani da parte della popolazione mondiale, sia
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destinata a un progressivo, inesorabile incremento. Questo scenario denota un investimento da parte dei cittadini che accordano silenziosamente alla città fiducia, aspettative e speranze, attribuendovi senza appello il titolo di ambiente preferenziale ove stanziarsi. Eppure, è altrettanto noto che, in questo percorso di urbanizzazione e di progresso, l’individuo è divenuto l’incarnazione del paradosso pirandelliano, vestendo i panni del carnefice di se stesso in termini di salute. Più prosaicamente, le principali cause di malattia e di morte della popolazione, un tempo attribuibili a accadimenti incontrollabili e naturali (Beck…, Luhmann …), sono oggi riconducibili agli stili di vita e alle condizioni ambientali propri dei più avanzati contesti urbani. Georg Simmel (1903) denunciava un’ambivalenza nel contesto urbano che oggi è più che mai attuale (Lenzi F.R., 2021): il luogo umanamente e tecnologicamente più progredito è il luogo dove si generano le peggiori condizioni di vita dei cittadini. Se ciò è vero in una prospettiva di quotidiano incedere dell’urbano, lo scenario è aggravato a fronte della constatazione che a tale malessere non corrisponda alcuna sicurezza o controllo del rischio neanche in termini di emergenza sanitaria, come la pandemia ci ha drammaticamente dimostrato. A partire da questa allarmante complessità di scenari, nelle ultime decadi, trattare di salute urbana ha significato necessariamente prendere in considerazione aspetti vari e multiformi delle comunità abitanti e delle strutture che le gestiscono, affinché le strategie di intervento in tali contesti siano davvero efficaci, oltre che efficienti, come ricordano le Nazioni Unite evocando l’urgenza e la connessione tra tutti i SDGs. Al centro di questa complessità vi è la questione del contesto e il tema della ecologia e della sostenibilità sanitaria: la riconducibilità del sistema sanitario e di tutto ciò che vi ruota intorno a una garanzia di funzionalità ha a che vedere anzitutto con la capacità dello stesso sistema di garantire una dimensione sostenibile del proprio esistere e funzionare. Il libro Equity in Health and Health Promotion in Urban Areas, edito per Springer a cura di Giuseppe Ricotta, Silvia Iorio, Alessandra Battista e Maurizio Marceca è
Equity in Health and Health Promotion in Urban Areas Ricotta, Battisti, Marceca
interamente dedicato all’esplorazione di approcci e buone pratiche per la promozione della salute nelle aree urbane. L’oggetto di studio del volume assume un valore di rilievo per la sua prospettiva interdisciplinare: esso parte dal presupposto che solo considerando variabili plurime tra loro interconnesse, d natura medica, sociale, urbanistica, antropologica, si possa addivenire a una dimensione “ecologica” del concetto di salute. La stessa definizione delle vulnerabilità sociali e delle periferie urbane in termini di salute richiama la centralità del ruolo che il volume accorda alle determinanti sociali della salute, per la comprensione del contesto entro cui la salute come bene comune debba essere declinato. Il taglio dell’opera agevola un confronto dialogico tra esperienze, contenuti e metodi da considerare per la formulazione di interventi multidisciplinari relativi alla promozione della salute basata sulla comunità e della salute nel contesto urbano. A valle di questa prospettiva, però, l’intento del volume non è solo di offrire un panorama dialogico, ma di veicolare una rete sempre più complessa di cultura scientifica e collaborazioni operative per trasferire conoscenze e interesse accademico e pubblico su un tema così urgente.
Pills of Common Good. Osservatorio del bene comune per lo sviluppo del welfare di comunità Associazione FareRete InnovAzione BeneComune
A cura di Francesca Policastro
Pills of Common Good. Osservatorio del bene comune per lo sviluppo del welfare di comunità di Associazione FareRete InnovAzione BeneComune Booksprint, 2023
Il libro, ispirato all’evento “Pills of Common Good”, del 16 settembre 2022, rappresenta, nella veste di un Instant-book, un resoconto dettagliato di un percorso associativo intrapreso nell’ottobre del 2015 che mette al centro della propria mission, il primato della persona, la sussidiarietà e la partecipazione, nell’ottica dell’innovazione finalizzata al Bene Comune. Il volume riporta i contributi conclusivi del progetto multimediale “Pills of Common Good” di FareRete InnovAzione BeneComune APS Onlus, legato al mondo della cultura del Bene Comune. Tale iniziativa conferma la vocazione ai temi riguardanti il Bene Comune inteso come Bene Immateriale, il diritto alla vita, la famiglia, il diritto alla salute, al lavoro, promozione di uno sviluppo sostenibile ambientale, settore agricolo e alimentare e la libertà religiosa, la cultura della cittadinanza e il ruolo attivo dei cittadini all’interno della comunità di appartenenza. L’opera è strutturata a più livelli e tocca vari temi tra i più caratterizzanti dell’impegno dell’Associazione, la cui storia costituisce l’incipit della trattazione, ampia, autorevole e corredata, a supporto di ogni argomento, da immagini, foto, grafici, diagrammi e istogrammi, nonché da sintesi, elenchi e tabelle riepilogative di dati, statistiche e studi. L’introduzione è seguita dai contributi di Esperti in diversi settori, che argomentano circa l’idea di fondo del progetto, sulla necessità di concepire la solidarietà come un obiettivo per il futuro e sull’idea di Bene Comune applicata alla sanità e agli affari sociali.
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TAKE AWAY
Il Ministro Schillaci punta a promuovere un Programma Nazionale di Promozione dell’attività fisica Per il Ministro della Salute Orazio Schillaci, la promozione della salute non può prescindere da un piano che ponga al centro la promozione di sani stili di vita e della dell’attività motoria quale strumento di prevenzione e di miglioramento della qualità di vita della persona. “Comunicare la salute significa riuscire a sviluppare l’empowerment del singolo affinché interiorizzi le scelte salutari e contribuisca in modo attivo nel processo di costruzione della propria salute, orientando le scelte di consumo e le proprie abitudini.» dichiara il Ministro della Salute Orazio Schillaci, «L’obiettivo è rendere il cittadino responsabile cioè ‘consapevole delle conseguenze delle proprie scelte’ ma non colpevole. Quando parliamo di obesità la prevenzione è la chiave di volta: investire di più per incoraggiare l’adozione di stili di vita salutari a partire da una corretta e sana alimentazione e dal contrasto alla sedentarietà. Iniziamo dalle scuole per diffondere la cultura della prevenzione”. Il Ministro ha annunciato, in occasione della Giornata Mondiale dell’Obesità celebrata lo scorso 1° marzo, che si sta lavorando alla definizione di un Programma Nazionale di Promozione dell’attività fisica che comprende anche la definizione delle modalità di prescrizione dell’esercizio fisico e di erogazione sul territorio nazionale. “In conformità alle ultime Linee di indirizzo sull’attività fisica adottate con Accordo Stato-Regioni il 3 novembre 2021 – ha detto il Ministro - stiamo lavorando alla definizione di un Programma Nazionale di Promozione dell’attività fisica che comprende anche la definizione delle modalità di prescrizione dell’esercizio fisico e di erogazione sul territorio nazionale, tenendo anche conto delle previsioni di definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza che include la promozione dell’attività fisica quale ‘prestazione’ esigibile”.
IL DIBATTITO L’ATTIVITÀ FISICA ALL’INTERNO DEL SSN di Federico Serra Ci sono prove di un rinnovato interesse dell’importanza dell’attività fisica nella politica della salute pubblica alla fine del ventesimo secolo. Ad esempio, sono disponibili raccomandazioni sempre più esplicite sui livelli di attività fisica nelle strategie sanitarie globali e nelle politiche nazionali sull’attività fisica e prese di posizione continue e aggiornate da parte di gruppi di lavoro di medicina specialistica e di esercizio fisico. Inoltre, si stanno intensificando la promozione, l’erogazione, la governance e il monitoraggio locali di programmi sportivi e di attività fisica individuali e comunitari. Sebbene esista un corpus consolidato di articoli di ricerca orientati alla politica sulla salute pubblica e sui fattori dello stile di vita, inclusa l’attività fisica, lo sport è notevolmente assente dall’agenda della ricerca sulla salute pubblica. Questa omissione è evidente nonostante il settore dello sport sia attualmente un’area prioritaria di salute pubblica attraverso l’aumento dei tassi di attività fisica della popolazione. Si sa molto poco sul contributo dello sport all’attività fisica e alla salute. Sebbene ci siano stati ampi e recenti investimenti negli aspetti politici e pratici dell’attività fisica, sia in Europa che nel mondo, le risposte a livello di popolazione hanno avuto un successo limitato nell’arrestare la tendenza al rialzo dell’inattività fisica e nel ridurre le disuguaglianze nei livelli di attività. I requisiti per una promozione individuale, comunitaria e nazionale di successo dei programmi sportivi e di attività fisica non sono ben compresi e c’è poco spazio per portare in primo piano il lavoro critico sull’impatto e le conseguenze (sia intenzionali sia non) di tali programmi per diversi gruppi di persone. Le relazioni tra sport, attività fisica e salute non sono neutre, ma riflettono complesse lotte temporali e spaziali su posizioni politiche, ideologie sociali, processi decisionali e attuazione delle politiche. È quindi opportuno e significativo che questo numero
speciale sollevi interrogativi e presenti analisi critiche sulla politica e la politica della dinamica sport/attività fisica/salute. La salute pubblica è un settore politico consolidato e potente a livello mondiale soprattutto in questa era pandemica dovuta al COVID-19. La definizione delle politiche di salute pubblica coinvolge diversi approcci connessi alla ricerca e alla costruzione di evidenze, alla messa in servizio e alla gestione, alla fornitura di servizi e alla partecipazione del pubblico a programmi intesi a prevenire le malattie, promuovere la salute e prolungare la vita a livello di popolazione (OMS, 2007). Questa è ovviamente un’arena politica complicata. La salute pubblica coinvolge vari metodi di monitoraggio e valutazione, una gamma di interventi e molti professionisti sanitari che lavorano con persone diverse in contesti diversi (Douglas et al. 2007). C’è una crescente consapevolezza e un’intensificazione della moralità che circonda le potenziali minacce alla salute pubblica poste dalla mancanza di attività fisica, nonché i benefici di un impegno prolungato nell’attività fisica. Gran parte di questa narrazione è guidata dalla scienza medica e comportamentale. Tuttavia, alcune ricerche critiche hanno identificato le complesse relazioni tra sport, attività fisica e salute (Waddington 2000). Altre ricerche hanno affrontato le dimensioni politiche dell’attività fisica, della commercializzazione e del marketing (Piggin 2014, Piggin e Bairner 2014). Alcuni lavori hanno esplorato la complessa arena politica della medicina e della salute dello sport (Malcolm e Scott 2011) e un altro focus è stato sulla comprensione critica delle strutture, dei processi, delle esperienze e delle conseguenze sulla salute dell’attività fisica basata sul fitness (Markula 1995, Maguire 2008, Manfield 2011). Domande su invecchiamento, disabilità, stato socioeconomico, etnia e genere sono emerse anche nelle discussioni sulle politiche e le politiche dello sport e dell’attività fisica per la salute (si vedano, ad esempio, Wilkinson e Marmot 2003, Howe 2004, Wray 2007,
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Phoenix e Grant 2009, Kay e Spaaij 2012). Nonostante tali critiche, derivanti da discipline tanto diverse come la gerontologia sociale, la sociologia dello sport, la psicologia sociale, gli studi di genere, lo sviluppo internazionale, gli studi politici e le scienze politiche, c’è spazio per discussioni più aperte sulla crescente rilevanza e complessità della politica e implicazioni politiche dello sport, dell’attività fisica e della salute pubblica. Includiamo di seguito contributi di esperti che si impegnano in esami critici dello sport e dell’attività fisica alleati della politica della salute pubblica. I documenti selezionati coprono sia l’analisi della situazione attuale che l’analisi per di politica sanitaria, assicurando che un focus critico di politica che animi il dibattito. I contributi evidenziano questioni legate alla politica sulla salute pubblica e alla politica dello sport, dell’attività fisica concentrandosi su una serie di temi teorici da sviluppare attraverso la produzione di prove e conoscenze, le politiche nazionali e la promozione politica dello sport e dell’attività fisica per la salute, i mega-eventi sportivi e salute pubblica, diversità sociale nello sport di comunità per la programmazione sanitaria, istruzione e formazione nei settori dell’educazione fisica e del fitness e prospettive critiche sul lavoro di partenariato nello sport e nella salute pubblica. Nel complesso, gli articoli riflettono il dibattito sulle motivazioni dell’intervento del governo nazionale nel processo decisionale sulla salute pubblica che include il ruolo dello sport e/o dell’attività fisica, e la polemica sull’impatto che tali decisioni politiche hanno sulle persone e sulle loro comunità. Il DDL presentato al Senato dalla Senatrice Sbrollini in XIX legislatura, nel solco da quanto fatto nella precedente legislatura sempre in Senato, e iniziative in atto anche alla Camera dei Deputati, aprono un ampio dibattito istituzionale e sanitario, con l’auspicio che si arrivi presto a considerare l’attività motoria e fisica essenziale come strumento di prevenzione, riabilitazione e cura all’interno del Servizio Sanitario Nazionale.
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Generare la cultura del movimento come strumento di promozione della salute di Mauro Berruto, Deputato
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Il Piano Nazionale della Prevenzione 2020-2025, come già quello precedente, riconosce l’utilità della promozione dell’attività fisica e della prescrizione dell’esercizio fisico come strumento preventivo e terapeutico a disposizione dei sanitari per contrastare l’insorgenza e l’evoluzione delle malattie croniche non trasmissibili che risentono positivamente dell’esercizio fisico (opportunamente prescritto e somministrato) e di un’adesione a uno stile di vita attivo. Nella letteratura scientifica vi sono evidenze ormai consolidate rispetto all’efficacia dell’esercizio fisico in queste fasce di popolazione. Il concetto d’attività fisica adattata (APA, activitè phisique adaptè) è stato introdotto nel 1973 contestualmente alla creazione della Federazione Internazionale Attività Fisica Adattata (IFAPA) ed è un termine “ombrello” usato in tutto il mondo per individuare un’area interdisciplinare di saperi, includente le attività d’educazione fisica, tempo libero, danza, sport, fitness e riabilitazione per individui con impedimenti, a qualunque età e lungo il ciclo della vita. Non si tratta, dunque, di un’attività riabilitativa, ma della possibilità di fare dell’esercizio fisico tarato alla propria condizione con caratteristiche che lo rendono idoneo ad ottimizzarne i benefici ricavati in termini di salute, minimizzando i possibili rischi. Nello specifico, l’educazione fisica adattata è rivolta a quelle persone che non sono in grado, per motivi di vario genere, di partecipare con successo o in condizioni di sicurezza alle normali attività d’educazione fisica. In soggetti in buone condizioni di salute la pratica sportiva è finalizzata prevalentemente al mantenimento della propria forma fisica e al divertimento; in soggetti affetti da determinate patologie l’attività fisica può diventare, invece, parte integrante di una terapia per la guarigione o quantomeno per il recupero delle migliori condizioni di benessere psico-fisico, rappresentando, come dimostra l’ampia letteratura scientifica, una grande fonte di risparmio per il Servizio Sanitario Nazionale. Le malattie croniche, infatti, rappresentano vere e proprie emergenze sanitarie che impongono di combattere la sedentarietà, sia quale fattore di rischio non trascurabile sia quale elemento di aggravamento della patologia già in atto. Ecco perché, in qualità di primo firmatario, ho predisposto una proposta di legge affinché l’Italia riconosca e promuova a livello nazionale l’attività fisica adattata quale strumento di realizzazione del diritto alla salute, previsto dall’art. 32 della Costituzione, per la prevenzione in ambito sanitario e per la terapia e la riabilitazione delle persone affette da patologie croniche non trasmissibili, in condizioni cliniche stabili, o a rischio di patologie per le quali è clinicamente dimostrato il beneficio prodotto dalla pratica di un esercizio fisico strutturato e adattato sotto la supervisione di personale qualificato. Alcune regioni (Emilia-Romagna, Veneto
e Toscana) hanno già riconosciuto nel proprio ambito territoriale l’attività fisica adattata quale strumento di promozione, mantenimento e recupero della salute fisica e psichica. Ovviamente, per produrre un impatto favorevole sullo stato di salute in persone affette da determinate patologie, o in soggetti a rischio, l’attività fisica deve essere opportunamente controllata e una idonea «prescrizione» dell’attività fisica adattata deve essere direttamente ponderata da personale qualificato, attraverso appositi progetti dedicati, prescritti da personale medico adeguatamente formato e svolti, in spazi aperti o in idonee strutture, pubbliche o private, sotto il controllo di un laureato in scienze motorie con specifica specializzazione che sia in grado di eseguire valutazioni finalizzate alla calibrazione e alla personalizzazione dei programmi di attività motoria. In sostanza la prescrizione medica dell’attività fisica adattata mette in moto un circolo virtuoso dove tutti i soggetti coinvolti hanno un beneficio: il cittadino in qualità della vita e in detraibilità fiscale (esattamente come si fa con i farmaci), i soggetti erogatori del servizio alzando la qualità dell’offerta e diventando - società sportive, palestre, piscine, ma anche parchi cittadini veri e propri hub della salute, i professionisti e operatori agendo in un nuovo (ampio e, vista la curva demografica e l’allungamento dell’aspettativa di vita, inevitabilmente destinato a crescere) mercato del lavoro, il Servizio Sanitario Nazionale in termini di risparmio. Questa proposta di legge, nelle mie intenzioni, va necessariamente accompagnata da altre (tutte già depositate nei primi due mesi di questa nuova Legislatura) come l’aumento della quota di detraibilità fiscale per l’attività sportiva e fisica, tutta non solo quella adattata, eliminando il vincolo dell’età (oggi ne possono usufruire solo gli Under 18, ma viste le premesse è doveroso - e anche vantaggioso - eliminare questo limite), oltre a una serie di disposizioni per favorire lo sviluppo e la diffusione capillare della pratica sportiva mediante la realizzazione o rigenerazione di impianti sportivi per lo svolgimento di attività sportiva all’aperto, un più razionale utilizzo delle palestre scolastiche in orario extra-curriculare o, ancora, con progettualità specifiche per migliore l’accoglienza dei luoghi dello sport (impianti, palestre, spazi pubblici) per persone con disabilità. Insomma, se l’obiettivo irrinunciabile è quello di generare nel nostro Paese una vera e propria “cultura del movimento” servono azioni trasversali e di rapida attuazione. Sarà una splendida rivoluzione dolce e un grande vantaggio per tutti.
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Le città motore di salute e benessere attraverso l’attività fisica e sportiva di Mario Occhiuto, Senatore e Presidente dell’Intergruppo Parlamentare Qualità di Vita nelle Città In questo periodo di ripresa post Covid, in cui i governi sono concentrati nella riqualificazione e rigenerazione urbana, obiettivi ampliamente esposti nel PNRR, è fondamentale includere nelle strategie messe in atto la salute e lo sport, poiché sono fattori di crescita cardini del nostro Paese. La città diventa quindi un bene comune in cui i cittadini hanno ruolo centrale, è compito delle istituzioni garantire il loro benessere psico-fisico e sociale, plasmando un modello di cura e di benessere urbano all’altezza della sfida che stiamo vivendo». Durante la pandemia è emerso quanto la città possa avere un ruolo di palestra a cielo aperto per i cittadini, tutti gli spazi urbani che lo consentivano sono stati infatti sfruttati per svolgere attività fisica individuale nel rispetto delle regole e del distanziamento, allo stesso tempo ha portato molte persone a riscoprire la bellezza di potersi allenare all’aria aperta, tanto che oltre il 70 per cento ha dichiarato che avrebbe continuato ad allenarsi così anche post-pandemia È nostro compito studiare e sviluppare città che operino nel rispetto e nella promozione dello sport, perché lo sport produce salute». Purtroppo, sempre secondo l’OMS, a disincentivare, soprattutto tra i giovani, l’attività fisica, è proprio la città, la sua organizzazione e la sua struttura. I fattori principali sembrano essere la criminalità, il traffico, la bassa qualità dell’aria e l’inquinamento e la mancanza di strutture adatte. È necessario mettere in atto politiche e azioni per offrire a tutti la possibilità di praticare sport, ad esempio con spazi e strutture accessibili a tutti, favorendo la possibilità di passeggiare in città o la possibilità di andare in bicicletta in modo sicuro. Oggi è nostro compito guidare a un cambiamento traducendo progetti e idee in attività e servizi per la popolazione, e, in questo periodo post-pandemia, le nuove forme di sport outdoor possono costituire un mezzo prioritario con cui farlo diventare protagonista della vita di tutti e Identificare lo sport come medicina preventiva da sfruttare, su cui fare affidamento e su cui
modificare le proprie città vuol dire investire nella popolazione e nella salute di tutti. Sportivizzare le città è un valore aggiunto alla sostenibilità, può essere un punto di svolta e cambiamento per costruire una società più coesa e collaborativa. I comuni e i governi devono essere al centro di questo cambiamento poiché ora abbiamo la possibilità di rilanciare lo sport ed è nostro compito intervenire in maniera concreta e immediata per trasformare e mobilitare le città.
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Il Disegno di Legge presentato dalla Senatrice Daniela Sbrollini, anche in qualità di co-presidente dell’Intergruppo parlamentare “Qualità di vita nelle città” promosso in seno a questa XIX Legislatura insieme a me e al Senatore Mario Occhiuto, architetto e già sindaco di Cosenza, è un’iniziativa che va nella duplice direzione di riconoscere la funzione primaria dello sport come farmaco “senza controindicazioni” per promuovere la salute dei cittadini e come strumento formativo d’integrazione sociale e di dialogo culturale, praticato in tutte le sue forme e a livello agonistico e dilettantistico. Tale iniziativa parlamentare si colloca in una fase di dibattito particolarmente fruttuoso rispetto alla centralità dello sport e del suo ruolo all’interno delle nostre comunità. In questo inizio di legislatura, infatti, il parlamento italiano sta ultimando l’iter di approvazione della norma che introduce lo sport in Costituzione, intervenendo con una modifica dell’articolo 33, che ad oggi ha ottenuto il via libera unanime del Senato. Attualmente l’unico riferimento allo sport è presente all’articolo 117 comma 3 che inserisce l’ordinamento sportivo, già presente nella legislazione ordinaria, tra le materie di legislazione concorrente, mentre la Carta non annovera alcun riferimento specifico all’attività sportiva o allo sport in generale. Altresì, sul finire della precedente legislatura, con l’ultima legge di bilancio, è stata introdotta l’obbligatorietà dell’educazione motoria nelle classi primarie, a partire dall’anno scolastico in corso e dalle classi quinte, con docente specializzato. Una svolta storica, che certamente non raggiunge ancora gli obiettivi da noi auspicati, ma che finalmente imbocca la via giusta, comune alla maggior parte dei Paese europei. 32
Nel panorama mondiale, il nostro servizio sanitario nazionale si posiziona come una eccellenza per la cura dei bambini e della salute dell’infanzia, ma questo non deve spingerci a ignorare i divari territoriali e le criticità esistenti, che la pandemia ha contribuito ad accentuare ma che il disegno di salute territoriale e di reti di pros-
simità varato con il PNRR dovrà necessariamente mitigare e superare. L’ultimo rapporto Istat sul Benessere equo e sostenibile (BES) evidenzia una differenza purtroppo sostanziale nel Paese rispetto all’aspettativa di vita in buona salute. Save the Children ha pubblicato a novembre 2022 la XIII edizione dell’Atlante dell’infanzia a rischia rilevando che in Italia quasi un milione e quattrocentomila bambini vive in povertà assoluta e sottolineando che la pandemia ha amplificato l’intreccio tra disuguaglianze e salute, dalla nascita all’adolescenza. Le bambine, i bambini e gli adolescenti colpiti dalle disuguaglianze socioeconomiche, educative e territoriali, ne subiscono l’impatto anche sulla salute e il benessere psico-fisico, penalizzando proprio chi maggiormente avrebbe bisogno, nel proprio territorio, dei servizi di cura, prevenzione e promozione della salute e del benessere psico-fisico. Al tempo stesso, i dati dell’Atlante mostrano la necessità di mettere la salute dei bambini al centro di tutte le scelte politiche, dalla tutela dell’ambiente urbano alle mense scolastiche, fino agli spazi per lo sport e il movimento, con una particolare attenzione al tema della salute mentale degli adolescenti, fortemente colpiti dalla pandemia. Prescrivere lo sport in ricetta medica significa inserire la salute dei bambini nel medio e nel lungo periodo in un percorso di prevenzione e nella medicina di base, che sono fondamentali anche per la sostenibilità del servizio sanitario stesso. E tuttavia non è il solo sistema sanitario a dover assicurare la salute dei cittadini di oggi e di domani, bensì l’intero ambiente di crescita, che nei suoi vari aspetti - educativo, sociale, ambientale - può giocare un ruolo decisivo. Occorre dunque considerare la necessità di una grande alleanza per la prescrizione e la promozione della salute dei cittadini, che includa anche sindaci e decisori locali quali pianificatori di città in grado di incentivare la pratica sportiva e di mettere in pratica il concetto di “sport di cittadinanza”, lo sport per tutti a ogni età e per ogni livello di
UNA GRANDE ALLEANZA PER PRESCRIVERE, E PROMUOVERE, LA SALUTE DEI CITTADINI di Roberto Pella Deputato e Vicepresidente vicario ANCI
abilità, senza esclusioni predeterminate da barriere all’accesso di tipo socio-economico. È questa la via intrapresa ormai da moltissimi comuni, di ogni dimensione e latitudine, attraverso i cosiddetti “bonus sport”, uno strumento divenuto molto diffuso dopo il biennio pandemico, caratterizzato da chiusure e restrizioni, per prevenire l’abbandono della pratica sportiva, per stimolare la ripresa della partecipazione e l’inclusione sociale, per promuovere la salute, specie in età scolare. Uno strumento, però, che grava sui bilanci dei singoli comuni e che, quindi, ancora una volta, non è omogeneo e può essere letto, in termini generali, come non equamente accessibile ed esigibile su tutto il territorio nazionale. La buona pratica deve, pertanto, diventare una politica strutturale, un principio per il quale l’impatto generato dall’operato virtuoso di singole prassi evolva in politiche pubbliche a vantaggio di tutti. È l’obiettivo che perseguiamo e sviluppiamo sui territori per “sportivizzare le città”, come valore aggiunto alla sostenibilità e alla circolarità, un punto di svolta e di cambiamento per costruire una società più coesa e collaborativa. I comuni e i governi devono essere al centro di questo cambiamento poiché ora abbiamo la possibilità di rilanciare lo sport ed è nostro compito, nei ruoli che ricopriamo e con le competenze che abbiamo maturato, intervenire in maniera concreta per trasformare e mobilitare le città in questo senso. Penso, ad esempio, anche al progetto “Sport nei Parchi”, nato in piena pandemia da una collaborazione tra Sport e Salute e ANCI, grazie al quale sono stati finanziati l’allestimento o il recupero, la fruizione e la gestione di attrezzature, servizi ed attività sportive e motorie nei parchi urbani. Il Progetto, rivolto a tutti i Comuni Italiani associati ad ANCI, ha visto la candidatura di oltre 1.300 enti con l’obiettivo di promuovere nuovi modelli di pratica sportiva all’aperto sia in autonomia che attraverso le ASD e SSD del territorio. Infine, in parallelo e con obiettivi complementari, ma
nell’altro ramo del Parlamento, presso la Camera dei Deputati, ho recentemente presentato una proposta di legge per “la prevenzione e la cura dell’obesità”, riconosciuta come malattia cronica il 13 novembre 2019 tramite unanime mozione parlamentare, che contiene, tra gli altri, tre articoli riguardanti l’interazione tra salute e sport: quello relativo alla deducibilità dei costi per l’istituzione di impianti sportivi aziendali, alle detrazioni delle spese per attività sportive, alla modifica dell’aliquota IVA applicabile all’iscrizione alle attività sportive. Il raggiungimento degli obiettivi di salute pubblica, che necessitano di strategie in grado di facilitare l’attuazione di comportamenti salutari, in termini sia di alimentazione, sia di promozione dell’attività fisica, si può conseguire solo attraverso adeguate politiche di prevenzione non disgiunte da una programmazione appropriata di gestione della materia, con approccio interistituzionale e transdisciplinare. Uno stile di vita sedentario, accompagnato da un’assunzione non appropriata di alimenti, come spesso accade nella nostra società, può determinare l’insorgere d diversi stati patologici, inclusa l’obesità, a sua volta correlata all’insorgenza di malattie croniche invalidanti. Al contrario un’alimentazione equilibrata, unitamente a un buon livello di attività fisica, a ogni età, contribuisce al benessere psicologico oltre che fisico. Concetti contenuti anche nelle “Linee di indirizzo per la prevenzione e il contrasto del sovrappeso e dell’obesità” elaborate dai componenti del Tavolo di lavoro per la prevenzione ed il contrasto del sovrappeso e dell’obesità del Ministero della Salute, approvate in Conferenza Stato-Regioni lo scorso 27 luglio 2022. L’impegno del parlamento è, quindi, in questa fase storica, massimo e teso a concretizzare obiettivi di salute pubblica a lungo perseguiti da una forte alleanza di soggetti che fanno parte e agiscono nella nostra società: fare gioco di squadra è la migliore ricetta per assicurarci il successo che tutti auspichiamo!
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Lo sport, medicina per le persone e per la città: riduce del 30 per cento rischio di morte prematura e molte patologie L’attività fisica riduce del 30 per cento il rischio di morte prematura, di malattia cardiovascolare e ictus, di diabete tipo II, di cancro al colon e al seno e di depressione,1 per questo è fondamentale il suo riconoscimento come mezzo terapeutico e di prevenzione attraverso la possibilità di prescrizione medica. Questo il tema al centro del DDL con l’Atto Senato n. 135 della XIX Legislatura del 13 Ottobre 2022 su “Disposizioni recanti interventi finalizzati all’introduzione dell’esercizio fisico come strumento di prevenzione e terapia all’interno del Servizio sanitario nazionale. Lo sport è un “farmaco” che non ha controindicazioni e fa bene a tutte le età, per questo, già durante la diciottesima legislatura, erano state fatte proposte nel riconoscere il valore formativo, sociale, di promozione del benessere psicofisico dell’attività sportiva. Per continuare quanto iniziato e favorire la considerazione dello sport come strumento per investire sul miglioramento del Paese, recentemente ho presentato, per dare la possibilità a pediatri, medici di medicina generale, specialisti di inserirlo in ricetta medica, così che le famiglie possano usufruire delle detrazioni fiscali. La speranza è che, recuperando attraverso il 730 parte dell’investimento, le persone siano incentivate a impegnarsi in attività positive per la propria salute. Di pari passo è fondamentale che le città e il governo promuovano un’urbanizzazione focalizzata sulla cura e sulla salute dei cittadini. Si deve sportivizzare le città così da garantire a tutti la possibilità di svolgere moto e attività fisica. Spesso sono proprio le barriere architettoniche come l’assenza di parchi o la cattiva illuminazione a rendere difficile una passeggiata o una corsa. Si deve agire insieme per far sì che le città siano strutturate a misura di sport. 34
Lo sport è ampiamente riconosciuto come elemento cardine per la promozione e diffusione di comportamenti e stili di vita sani; eppure, dall’adolescenza in poi la percentuale di popolazione che svolge attività fisica diminuisce in modo drastico. Secondo gli ultimi dati del 2021, nella fascia di età tra gli 11 e i 14 anni il 46 per cento pratica sport in modo continuativo, tra i 15-
17enni diminuisce al 42 per cento, con valori più alti tra i maschi (47% dei maschi contro il 37% delle donne), percentuale che scende ulteriormente dai 18 ai 59 anni, in cui il 31 per cento degli uomini pratica sport, mentre tra le donne la quota si ferma al 23 per cento. Occorre attuare programmi di diffusione e sensibilizzazione in tutte le fasce di età, facendo emergere i fattori di rischio legati alla sedentarietà. Grazie alla ricerca e all’innovazione, l’aspettativa di vita si è allungata oltre gli 80 anni, ma per usufruire di una buona qualità di vita è necessario preparare il nostro organismo con attività fisica costante e continuativa. È importante che nella realtà di oggi siano messi in atto interventi di prevenzione mirati a sensibilizzare la popolazione a svolgere attività sportiva fin dalla giovane età. Lo sport, oltre a rappresentare valori importanti come lo spirito di gruppo, la solidarietà, la tolleranza e la correttezza, contribuisce all’invecchiamento attivo, fondamentale per aspirare quanto più possibile ad un invecchiamento in salute della popolazione. Svolgere attività fisica vuol dire fare una scelta a favore della propria salute. Infatti, ha importanti effetti sul fisico e sulla mente, contribuisce a migliorare la forza, la resistenza e la salute ossea, allo stesso tempo permette di mantenere il peso sotto controllo, contrastare la depressione e prevenire diverse malattie non trasmissibili come ictus, ipertensione, iperglicemia, iperlipidemia, cancro al colon e al seno ma anche diabete e obesità. A questo proposito già nel 2020 l’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva pubblicato le Linee Guida sull’attività fisica e il comportamento sedentario per fornire raccomandazioni, basate su evidenze e studi scientifici, che i governi dovrebbero adottare nelle loro politiche nazionali, così da sostenere un aumento dei livelli di attività fisica nella popolazione. Lo sport è un ‘farmaco’ che non ha controindicazioni, fa bene a tutte le età. A volte, a causa di difficoltà economiche, il genitore rinuncia a mandare il figlio a fare sport perché ci sono altre priorità.
di Daniela Sbrollini Senatrice e Presidente dell’Intergruppo Parlamentare Qualità di Vita nelle Città
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La UNESCO Chair on Urban Health al primo convegno della Rete delle Cattedre UNESCO Italiane di Andrea Lenzi
In questa occasione ho avuto la possibilita di intervenire approfondendo la nascita e le attivita dell’UNESCO Chair on Urban Health: Education and Research for Improved Health and Wellbeing in the Cities, che fa oggi parte della rete internazionale delle circa 950 Unesco Chair, attive in 110 Paesi, di cui 44 in Italia. Le Cattedre italiane si confrontano e si coordinano attraverso lo strumento dei “Dialoghi”, di cui fanno parte anche altre due Cattedre di Sapienza. Il Programma UNITWIN/UNESCO Chairs e stato lanciato nel 1992 e promuove la collaborazione internazionale interuniversitaria e l’organizzazione in rete per rilanciare le capacita istituzionali attraverso la condivisione di conoscenze e il lavoro collaborativo. Attraverso la rete le universita mettono in comune le loro risorse umane e materiali per affrontare le sfide piu pressanti per i nostri paesi e contribuire allo sviluppo della societa. Molto spesso la rete e capace di offrire esperti e mediatori tra il mondo accademico, la societa civile, le comunita locali, la ricerca e la politica, dimostrando la propria utilita nell’informare i decisori politici, stabilire nuove iniziative didattiche, generare innovazione attraverso la ricerca e contribuire all’arricchimento di programmi universitari esistenti promuovendo, allo stesso tempo, la diversita culturale. Al suo interno le Cattedre UNESCO vengono istituite per un periodo di quattro anni tramite un accordo sottoscritto dal Direttore Generale dell’UNESCO e dal Rettore dell’università o dell’istituto di ricerca. Se immaginare un nuovo futuro significa investire in percorsi multidisciplinari di istruzione ed alta formazione e supportarne l’accesso, è d’obbligo ricordare che la salute urbana rappresenta una delle sfide principali da affrontare e rappresenta un paradigma di multidisciplinarità
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Per questo nel mese di maggio 2022 e stata inaugurata la prima Cattedra Unesco sull’Urban Health, che ormai da un anno dirigo. La Cattedra è stata costituita proprio per creare uno spazio aperto per la condivisione e la promozione di studi, analisi e confronti inerenti fattori di rischio e determinanti di salute nelle città, e per dare l’opportunità di promuovere un sapere condiviso e una
cultura diffusa del benessere. La costituzione della Cattedra ha rappresentato un importante traguardo all’interno del percorso promosso da Health City Institute che, a partire dal Manifesto per la salute nelle città, suo documento fondativo, ha proseguito a lavorare supportando una visione olistica della salute, attraverso lo studio dei suoi determinanti nei contesti urbani, e la definizione di politiche trasversali capaci di includerla al loro interno proprio per contemplare tutti i fattori per essa rilevanti: l’ambiente, gli stili di vita, le condizioni socio-economiche, la genetica, la possibilità di accedere ai servizi. La Cattedra opera perseguendo gli obiettivi dell’Agenda Unesco, e ha l’alto obiettivo di favorire la collaborazione internazionale tra ricercatori e docenti di università e istituzioni, in primo luogo per fornire supporto alle università e alle amministrazioni pubbliche negli studi e nel monitoraggio dei determinanti che contribuiscono alla costruzione di città in salute. Una tale collaborazione è infatti fondamentale per rendere i dati a disposizione interoperabili e adatti a generare una mappatura delle nostre città capace di fare da guida per trovare soluzioni basate sull’evidenza, e rispondere alle istanze provenienti dai cittadini e dalle comunità. Anche per questo le attività della Cattedra sono volte a promuovere l’integrazione tra politiche pubbliche e programmi di livello nazionale e internazionale, con un focus sulle disuguaglianze che esistono nelle dinamiche di sviluppo delle relazioni tra Nord e Sud del mondo. Le nuove città in Africa, Sud America o Sudest Asiatico, ospiteranno infatti la maggior parte della popolazione mondiale urbana da oggi al 2070 e la Cattedra Unesco vuole rappresentare uno strumento attuale per promuovere il confronto e lo scambio tra queste città ed il mondo europeo. Sono convinto che la mobilità accademica e il rapido trasferimento di conoscenze attraverso gemellaggi, reti e altri accordi di collegamento sia centrale per affrontare il modo in cui le città possono promuovere politiche e pratiche per l’apprendimento permanente, generando opportunità di salute per i loro cittadini attraverso strumenti ed modelli concreti.
Lo scorso 24 marzo si è tenuto a Firenze il primo Convegno della Rete delle Cattedre UNESCO Italiane (ReCUI): “Reimagining the Future Together: the Challenge of Education and Higher Education”.
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CI T I ES S P EA KI NG ELON MUSK HA IN PROGRAMMA DI COSTRUIRE UNA PROPRIA CITTÀ CHIAMATA SNAILBROOK PER I SUOI DIPENDENTI Le società di Musk hanno acquistato 3.500 acri di terreno ad Austin, un’estensione quattro volte più grande di Central Park. Elon Musk potrebbe essere oggi l’amministratore delegato in carica con più società, ma probabilmente aggiungerà molto presto un altro titolo al suo nome: proprietario della città. Secondo un rapporto del Wall Street Journal, Musk ha in programma di fondare la sua città chiamata Snailbrook, che ospiterà i dipendenti delle sue società, SpaceX e The Boring Company. Negli ultimi due anni, Musk ha ripetutamente parlato di ridimensionamento e di vita in una casa modesta senza spazio per sua madre quando le fa visita. Mentre questo sembrava una mossa da parte di un uomo che rinuncia alla vita sontuosa per concentrarsi sul lavoro che gli piace di più, il rapporto del WSJ mostra che Musk ha nascosto un grande piano di possedere una città stessa, mentre spostava la sua base in Texas. Situata a circa 35 miglia da Austin, la città di MUsk in arrivo è stata soprannominata Snailbrook, un tributo alla mascotte di The Boring Company. Tuttavia, qui non accade nulla alla velocità della lumaca. I dirigenti delle società Musk e degli appaltatori edili hanno spinto per approvazioni rapide dei permessi anche “in assenza di conformità”, ha affermato il WSJ nel suo rapporto. I rapporti suggeriscono che attraverso quattro società a responsabilità limitata Musk abbia acquistato 3.500 acri di terreno vicino ad Austin., le dimensioni di quattro Central Park. 38
I piani per la città includono case con due o tre camere da letto con una piscina comune, un’area sportiva all’aperto e una palestra. Musk ha previsto una residenza in zona, ma ovviamente lontana dai dipendenti e molto più riservata. Ai dipendenti di The Boring Company sono state offerte queste case per un affitto di 800 dollari al mese, un forte sconto considerando che gli affitti mensili medi nella zona sono di 2.200.
OJMJAKON IN SIBERIA: LA CITTÀ PIÙ FREDDA DEL MONDO Tramite alcune interpolazioni di dati, si è misurato un valore di temperatura minima giornaliera di -71,2 °C per la località siberiana di Ojmjakon: è, ad oggi, il valore più basso per una località abitata sulla terra. Ojmjakon è un villaggio di soli 800 abitanti localizzato presso il fiume Indigirka nel Nord-est della Repubblica di Sacha-Jacuzia nell’est della Siberia, in Russia, conosciuta come la città più fredda al mondo. Nel linguaggio locale ojmjakon significa ‘acqua non congelata’, a causa della vicinanza di una sorgente calda naturale. Un’altra ipotesi dalla lingua sacha invece deriverebbe da ejumu (h�����) che significa ‘lago ghiacciato’. Ad Ojmjakon il 26 gennaio 1924 fu registrata una temperatura di -71.2 gradi Celsius, la più bassa mai registrata sulla terra da quanto l’uomo la misura. L’inverno a Ojmjakon dura 9 mesi e tra dicembre e marzo le temperature oscillano in media tra -30°C e 50°C. Il freddo è inoltre spesso associato al fenomeno della nebbia congelantesi, che ricopre di ghiaccio ogni superficie. Ma l’estate ha invece una temperatura media è di soli 13,5°C, cioè 22°C massima, 5°C minima. I circa 800 abitanti di Oymyakon si sono adattati alla vita nel clima subartico estremo. Questo vale anche per gli alunni, la scuola locale smette di lavorare solo a temperature che raggiungono i meno 55 gradi. Ma anche la popolazione locale vive una vita abbastanza normale. La casa “tipo” è in legno ed è riscaldata a carbone, i bagni si trovano in giardino in piccole capanne non riscaldate, per ovviare al problema delle tubature che altrimenti si congelerebbero. Nel villaggio esiste un solo negozio che rifornisce gli
abitanti dell’essenziale per la vita quotidiana. In inverno gli spostamenti a piedi all’aperto sono rapidi. Per riscaldarsi la bevanda preferita è il “Russki chai”, il tè russo, ovvero la vodka. Le attività del villaggio ruotano attorno al mercato del pesce all’aperto. Si mangia anche carne. Ovviamente l’agricoltura è impossibile. Mangiano carne di renna, cavallo crudo, e pesce. Nella vita di tutti i giorni si mangia la zuppa con la carne di renna. Non esistono alberghi, ma si alloggia nelle case degli abitanti. E non mancano da queste parti i turisti del freddo. Molti avventurosi arrivano a Ojmiakom per vivere l’esperienza dell’inverno più rigido del mondo.
RESTRIZIONI AL TRAFFICO AUTO IN CENTRO CITTÀ E COMMERCIANTI: TROVA LE DIFFERENZE MILANO - COMMERCIANTI CONTRO LA CICLABILE DI CORSO BUENOS AIRES: Il 16 giugno 2021 Confcommercio ha diffuso un comunicato in cui chiede, “a nome dell’81% dei commercianti di corso Buenos Aires”, lo spostamento della ciclabile di corso Buenos Aires.
AMSTERDAM - COMMERCIANTI CHIEDONO IL DIVIETO DI INGRESSO ALLE AUTO IN CENTRO A BLAUWBRUG Gli imprenditori del centro di Amsterdam chiedono al comune di introdurre immediatamente un divieto di ingresso per il traffico automobilistico che entra in città dal Blauwbrug.”
Eleonora Mazzoni è il nuovo Direttore Generale dell’Health City Institute, l’health tank indipendente, apartitico e no profit, nato come risposta civica all’urgente necessità di studiare i determinanti della salute
Laureata in Economia Politica presso l’Università degli studi di Roma La Sapienza, Eleonora Mazzoni ha perfezionato la sua formazione da economista studiando le principali tecniche per la valutazione dell’intervento pubblico presso l’IRVAPP di Trento (istituto di ricerca per la valutazione delle politiche pubbliche) e presso la summer school di econometria Cide – Banca d’Italia grazie ad alcune borse di studio. Allo stesso tempo, la sua carriera si è sviluppata nel campo della ricerca socioeconomica. Dopo una collaborazione con la Fondazione Brodolini, ha lavorato per il Centro Europa Ricerche, occupandosi di analisi economiche in tema di economia internazionale, internazionalizzazione delle imprese e valutazione delle politiche pubbliche. Negli anni seguenti si è specializzata nei temi relativi all’economia e politica sanitaria, lavorando dal 2016 come ricercatrice presso I-Com (Istituto per la Competitività) ed anche grazie al master svolto presso l’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari (Università Cattolica del Sacro Cuore). È attualmente Direttore dell’area Innovazione dell’Istituto per la Competitività, dove si occupa di definire e coordinare le attività afferenti all’area, e redigere e presentare approfondimenti di taglio economico e regolatorio, ruolo che seguiterà a ricoprire. Già membro e segretario del centro studi e ricerche dell’Health City Institute (HCI), Eleonora Mazzoni succede nella guida dell’istituto a Chiara Spinato, che continuerà il suo lavoro all’interno dell’HCI curando lo sviluppo degli Health City Manager, su cui l’istituto ha avviato già da anni un importante progetto.
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“Il lavoro dell’Health City Institute rappresenta un valore fondamentale nel mondo di oggi”, dichiara il nuovo Direttore Generale HCI Eleonora Mazzoni, “Sono convinta che la realtà che ci circonda richiede sempre più uno studio dei determinanti della salute nelle città come risposta a una vera a propria urgenza del contemporaneo, che necessita del coinvolgimento di molte e diverse competenze e professionalità. Ringrazio Chiara Spinato per il lavoro svolto fin qui, che ha portato HCI ad essere un punto di riferimento innovativo, ed è con grande entusiasmo che affronto la guida dell’istituto, certa che c’è ancora molto lavoro da fare verso l’obiettivo di un modello diffuso di healthy city”.
Il benessere psico-fisico al centro della salute delle città: siglato protocollo d’intesa per sviluppare sinergie nei contesti urbani Il documento firmato in ANCI dall’Intergruppo Parlamentare Qualità di Vita nelle Città, Sport, Salute e Benessere in ambito urbano, C14+, Health City Institute e Consiglio Nazionale Ordine Psicologi - CNOP È stato siglato il 16 Marzo presso l’ANCI il protocollo d’intesa tra Intergruppo Parlamentare Qualità di Vita nelle Città, Sport, Salute e Benessere in ambito urbano, C14+, Health City Institute e Consiglio Nazionale Ordine Psicologi - CNOP, volto a dare ampia attenzione alla promozione della salute nei contesti urbani e nelle città, studiarne ed approfondirne i determinanti e a fare leva su di essi per escogitare strategie per migliorare gli stili di vita e il benessere del cittadino. Già il Manifesto “La salute nelle città: bene comune”, di cui proprio in questi giorni è stata firmata un’importante revisione, sottolinea l’importanza della dimensione psicologica, dichiarando al punto 1.2 che “le amministrazioni devono impegnarsi nella promozione della salute e del benessere psicologico dei cittadini studiando e monitorando i determinanti della salute specifici del proprio contesto urbano, facendo leva sui punti di forza delle città e riducendo drasticamente i rischi per la salute”. Il protocollo d’intesa siglato oggi prevede un impegno comune tra parlamentari attivi sui temi del miglioramento della qualità della vita urbana, il network C14+, che raccoglie più di 200 amministrazioni comunali che hanno aderito al Manifesto “La salute nelle città: bene comune” e alle “Città per la salute e il cammino” per promuovere la salute, l’ambiente, il benessere e lo sport nelle città, l’istituto di ricerca e studio Health City Institute e il CNOP, per sviluppare sinergie per il sostegno al benessere psico-fisico delle
Consiglio dei ministri. «Il bene collettivo – gli fa eco l’On. Roberto Pella, Vicepresidente vicario ANCI e co-Presidente Intergruppo parlamentare “Qualità di vita nelle città” - è un obiettivo da perseguire da parte sia dei cittadini, sia dei Sindaci, degli Amministratori locali e dei dirigenti di sanità pubblica, che devono proporsi come garanti di una sanità equa, facendo sì che la salute della collettività sia considerata un investimento e non solo un costo».
persone e delle comunità come principio basilare della promozione della salute e come enunciato nei principi fondativi dell’Organizzazione mondiale della sanità. Prevede, tra le altre azioni, il favorire l’integrazione tra servizi sanitari, servizi sociali, servizi culturali e ricreativi nelle città, per migliorare la sostenibilità del sistema sanitario, il promuovere l’analisi dei determinanti sociali, economici e ambientali e dei fattori di rischio che hanno un impatto sulla salute nelle città, con il coinvolgimento delle amministrazioni comunali, delle università, degli istituti di ricerca e delle aziende sanitare; il collaborare attivamente per ridurre l’aumento delle vulnerabilità e fragilità psicologiche dovute all’impatto dell’urbanizzazione sugli individui e sulla comunità. In particolare, con la firma del protocollo d’intesa il “CNOP si impegna a promuovere linee di indirizzo, di coordinamento e di supporto delle attività presso i propri associati e le rappresentanze regionali e favorire la più efficace sinergia tra Psicologi e Comuni per rafforzare lo sviluppo della qualità ed efficacia dei servizi di integrazione sociosanitaria e socioassistenziale nazionale e locale e promuovere iniziative di studio e formazione nel campo dell’Urban Health.” I partner, reciprocamente tra loro, si impegnano a collaborare per la promozione della salute nelle città come elemento di miglioramento della qualità di vita urbano e dei cittadini e a sostenere programmi di ricerca e studio sui determinanti della salute e azioni e politiche finalizzate alla promozione di percorsi di supporto psicologico in ambito socio-sanitario e socio-assistenziale fortemente orientate ad una nuova concezione della “presa in carico” dei pazienti fragili e vulnerabili basata su prossimità, proattività, personalizzazione, partecipazione. «Il tema della salute delle città e dei cittadini è centrale da un punto di vista di sanità pubblica, ma non solo. Il termine “healthy city”, coniato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, descrive, infatti, non una città che ha raggiunto un particolare livello di salute pubblica, ma una città che è conscia dell’importanza della salute come bene collettivo e che, quindi, mette in atto delle politiche chiare per tutelarla e migliorarla», spiega Andrea Lenzi, Presidente di Health City Institute e del Comitato Nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze della Vita della Presidenza del
«Come ho avuto più volte modo di sottolineare – dichiara il Sen. Mario Occhiuto, Presidente dell’Intergruppo Parlamentare Qualità di Vita nelle Città, Segretario VII Commissione del Senato. - è fondamentale promuovere un nuovo concetto di salute come condizione che comprende aspetti psicologici, condizioni naturali, ambientali, climatiche e abitative, la vita lavorativa, economica, sociale e culturale, per sviluppare un contesto urbano che sia salutogenico e non patogeno». «Il territorio non deve essere considerato solo quale spazio geofisico ma come rete dei servizi di prossimità, quindi sanitari e sociosanitari. Gli amministratori locali i Sindaci - commenta Enzo Bianco, Presidente del Consiglio Nazionale ANCI e di C14+ - sono interlocutori diretti dei cittadini e come tali devono essere protagonisti di politiche che mettano la salute al centro della programmazione territoriale». «Il mondo sta fortunatamente uscendo da una crisi globale legata alla pandemia che ha esacerbato disuguaglianze e vulnerabilità, ma è tuttora nel pieno di un’altra grave crisi, climatica. Solo coinvolgendo e integrando società civile, istituzioni, esperti di ogni aspetto accademico e scientifico è possibile portare concretamente un cambiamento che veda al centro delle politiche pubbliche la qualità di vita del singolo cittadino», dichiara la Sen. Daniela Sbrollini, Presidente Intergruppo parlamentare Obesità e Diabete e Vicepresidente della X Commissione del Senato. «Per promuovere la qualità della vita e della salute nelle città è importante tener conto di un approccio di sistema nel quale la psiche è fondamentale. Ci sono evidenze che dimostrano il ruolo dei fattori psicologici nei comportamenti, nelle capacità adattive, di gestione dello stress, su quelle variabili che fanno la differenza nei livelli di salute. C’è dunque la necessità di considerare questi aspetti nelle strategie di prevenzione e assistenza, sia a livello individuale che collettivo. Le scelte relative alle politiche per le città, gli ambienti, spazi, infrastrutture, servizi, devono tener conto del ruolo della dimensione psicologica nella vita delle persone e della Comunità. Dobbiamo mettere al centro la logica della promozione: delle risorse adattive, delle competenze di vita, della resilienza. Non si può pensare a risposte solo riparative ma di prevenzione, e non c’è vera prevenzione senza una promozione delle risorse», conclude David Lazzari, Presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi.
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FOCUS ON
A N N O X III N °2 23 20
MANIFESTO LA SALUTE NELLE CITTÀ BENE COMUNE UNA ROADMAP PER IL BENESSERE E LA QUALITÀ DI VITA NELLE CITTÀ “Nel 2016 la comunità internazionale ha adottato la New Urban Agenda per sfruttare il potenziale di un’urbanizzazione sostenibile, per poter raggiungere gli obiettivi globali di avere società pacifiche e prospere in un pianeta sano. Nonostante i progressi compiuti da allora, la pandemia di COVID-19 e altre crisi hanno posto enormi sfide. Le aree urbane sono state particolarmente colpite dalla pandemia – sottolineando l’importanza di intensificare gli sforzi per costruire un mondo più sostenibile e un futuro urbano equo. Le Città possono guidare le innovazioni per colmare le lacune esistenti sulle disuguaglianze e attuare azioni per il clima e garantire un ambiente verde e inclusivo e una ripresa dopo la pandemia” António Guterres, Secretary-General of the United Nations – World Cities Report 2022 “L’URBAN HEALTH ROME DECLARATION considera la salute non come bene individualema quale bene comune, che chiama tutti i cittadini all’etica e all’osservanza delle regole di convivenza civile, e a comportamenti virtuosi basati sul rispetto reciproco” Roma Urban Health Declaration 2017 “Il Comitato delle Regioni dell’Unione Europea invita gli enti locali ad avvalersi delle azioni innovative urbane (Urban Innovative Actions - UIA), per fornire alle zone urbane le risorse necessarie a sperimentare soluzioni nuove e non ancora esplorate alle sfide urbane, e per riflettere su azioni innovative che potrebbero rispondere anche ad alcune delle sfide delle aree urbane nel campo della salute” Comitato delle Regioni dell’Unione Europea – 121 Sessione Plenaria Parere La salute nelle città: bene comune 2017 “Salvaguardare il futuro del pianeta e il diritto delle generazioni future del mondo intero a vivere esistenze prospere e appaganti è la grande sfida per lo sviluppo del 21° secolo. Comprendere i legami fra sostenibilità ambientale ed equità è essenziale se vogliamo espandere le libertà umane per le generazioni attuali e future” Human Development Report 2011 “Ci impegniamo ad aumentare l’efficienza delle risorse, anche attraverso il Dialogo sull’efficienza delle risorse del G20 e riconoscere l’importanza delle città come facilitatori di sostenibilità sviluppo e la necessità di migliorare la sostenibilità, la salute, la resilienza e il benessere nei contesti urbani come sottolineato dalla Nuova Agenda Urbana di Habitat III. Con il coinvolgimento di imprese, cittadini, il mondo accademico e le organizzazioni della società civile, intensificheremo i nostri sforzi per raggiungere obiettivi sostenibili” G20 Rome Leaders’ Declaration 2022
AUTORI
BACKGROUND 1
1
Mario Occhiuto , Roberto Pella , Daniela Sbrolli-
L’urbanizzazione è una delle tendenze globali e delle sfide
ni1, Enzo Bianco2, Andrea Lenzi3, Lucio Corsaro3,
più significative del 21° secolo. Nel 2015 più della metà
3
3
Alessandro Cosimi , Stefano da Empoli , Francesco 3
3
della popolazione mondiale viveva in aree urbane – una
3
Dotta , Antonio Gaudioso , Francesca Roma Lenzi ,
percentuale che dovrebbe salire a più di due terzi entro
Eleonora Mazzoni3, Chiara Spinato3, Ketty Vaccaro3,
il 2050. Le Nazioni Unite stimano che il 90% della cre-
1,2,3
Federico Serra
.
scita prevista nelle aree urbane avverrà nei paesi a basso e medio reddito – e questo avviene per la maggior per
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1. Intergruppo Parlamentare Qualità di Vita nelle Città,
la mancanza di un’adeguata pianificazione, dell’aumento
2. C14+,
di insediamenti informali, e in un contesto di sempre più
3. Health City Institute
crescente mobilità di massa. 01
SALUTE NELLE CITTÀ BENE COMUNE: IN UN MANIFESTO IL DECALOGO PER ATTUARE IL MODELLO DELLA HEALTH CITY Presentata il 14 marzo in Senato la versione aggiornata del Manifesto “Salute nelle Città: Bene Comune”. L’emergenza da COVID-19 ha evidenziato le enormi difficoltà del mondo globalizzato nel prevenire le emergenze. Dobbiamo agire per rendere le città promotrici della salute, con politiche chiare in grado di tutelarla e migliorarla, per un mondo più sostenibile.
Un documento che definisce i punti fondamentali della città come bene comune e che traccia le linee guida per rendere la realtà urbana rispondente all’idea di salute come stato di completo benessere fisico, mentale e sociale. È questo il Manifesto “La Salute nelle Città: Bene Comune”, lanciato per la prima volta nel 2016 e di cui è stata presentata oggi in Senato una fondamentale revisione resasi urgente soprattutto dopo gli eventi dell’emergenza Covid. Ad oggi il 37 per cento della popolazione italiana vive nelle aree Metropolitane; diventa sempre più importante la riqualificazione e la rigenerazione urbana considerando la salute come fattore di crescita e coesione che renda le città italiane delle Health City, cioè promotrici della salute, amministrate da politiche chiare per tutelarla e migliorarla. La stesura e la revisione del Manifesto è stata realizzata grazie al contribuito di oltre 200 esperti e 36 tra Istituzioni, enti, università, società scientifiche, associazioni pubbliche e private tra cui ANCI, Intergruppo Parlamentare Qualità di Vita nelle Città, Sport e Salute, Health City Institute, C14+, Federsanità, Istituto per la competitività I-COM, Fondazione SportCity. «Urban Health e One Health corrono sullo stesso binario, perché il benessere dei cittadini è incentrato su un approccio olistico che vede salute umana, animale e ambientale strettamente correlate fra loro» dichiara il Sottosegretario di Stato alla Salute Marcello Gemmato «La parola chiave è “prevenzione”: che significa educazione a corretti stili di vita, attività fisica, conoscenza dei fattori di rischio per la salute, fra cui anche l’inquinamento atmosferico e acustico delle città e la loro “fisicità”, ovvero la disponibilità o meno di spazi verdi accessibili, trasposto urbano, servizi educativi e sanitari. La pianificazione urbana può rappresentare, quindi, una forma di “prevenzione primaria” che, attraverso politiche intersettoriali e con il coinvolgimento delle comunità interessate, diventa strategica nel pro-
cesso di promozione della salute a tutti i livelli». «Dalla prima stesura del Manifesto ad oggi sono cambiate molte cose a livello urbano e di popolazione, inoltre, la pandemia di COVID-19 e altre crisi, in particolare quelle climatiche e ambientali, hanno messo a fuoco le enormi sfide che dobbiamo affrontare, evidenziato come sia una priorità globale e italiana agire subito assieme e concretamente», dichiara Mario Occhiuto, Senatore, Presidente dell’Intergruppo Parlamentare Qualità di Vita nelle Città, Segretario VII Commissione del Senato. «In particolare, è necessario promuovere il nuovo concetto di salute come condizione che comprende aspetti psicologici, condizioni naturali, ambientali, climatiche e abitative, la vita lavorativa, economica, sociale e culturale. Dunque, sviluppare un contesto urbano che sia salutogenico e non patogeno risulta ormai non trascurabile». Il Manifesto delinea dieci punti chiave che possono guidare le città a studiare ed approfondire i determinanti della salute nei propri contesti e a fare leva su di essi per escogitare strategie per migliorare gli stili di vita e lo stato di salute dei cittadini. Per Daniela Sbrollini, Presidente dell’Intergruppo e Vice Presidente della X Commissione del Senato «il governo delle città dovrà porsi al centro di ogni mandato politico per le sfide legate allo sviluppo dei sistemi urbani, secondo un principio cardine di salute come bene comune». La parola chiave del futuro sarà dunque ‘prevenzione’ da raggiungere attraverso un modello di ‘welfare urbano’ inevitabilmente destinato ad incidere sullo sviluppo e sulla sostenibilità delle città». Particolare rilievo assume nella revisione attuale del Manifesto l’ottavo punto, aggiunto come necessario aggiornamento di fronte alla recente esperienza globale della pandemia. «L’emergenza da COVID-19 ha evidenziato le enormi difficoltà del mondo globalizzato
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nel prevenire le emergenze, rispondere rapidamente alle minacce e mitigarne gli effetti. Già con la Rome Declaration del Global Health Summit nel 2021 era stata sottolineata la necessità di impegni sinergici a tutti i livelli, per far sì che comuni, sindaci e le amministrazioni locali agiscano simultaneamente», aggiunge Roberto Pella, Vicepresidente vicario ANCI, e Presidente Intergruppo parlamentare “Qualità di vita nelle città”. «I comuni hanno un ruolo fondamentale per costruire un mondo più sostenibile e più equo, cui, specie in questa fase storica, stanno contribuendo concretamente con responsabilità e massimo impegno». «La configurazione attuale delle città e l’inquinamento urbano rappresentano una fonte di rischi per i cittadini, portando spesso allo sviluppo di diverse malattie legate ai polmoni, ictus, demenze, malattie renali o diabete. Includere la salute nello sviluppo urbano è un fattore di crescita e di coesione per il Paese, ma anche un fattore di inclusione sociale che porta un’azione concreta per il clima e l’ambiente», dichiara Andrea Lenzi, Presidente di Health City Institute e del Comitato Nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze della Vita della Presidenza del Consiglio dei ministri. «Ogni cittadino ha diritto a una vita sana e integrata nel proprio contesto urbano, rendere la salute dei cittadini il fulcro delle politiche urbane, incoraggiando stili di vita sani nei luoghi di lavoro, nelle grandi comunità e nelle famiglie e ampliando e migliorando l’accesso alle pratiche sportive e motorie per tutti i cittadini, favorendo così lo sviluppo psicofisico dei giovani e l’invecchiamento attivo significa promuovere un assetto One Health che tiene conto delle connessioni tra salute umana, animale e ambientale considerando tutti i rischi per la salute umana».
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IMPEGNO DEI FIRMATARI DEL MANIFESTO LA SALUTE NELLE CITTÀ COME BENE COMUNE Noi donne e uomini, amministratori, esperti, cittadini di questo pianeta, sottoscriviamo questo documento, denominato MANIFESTO LA SALUTE NELLE CITTÀ COME BENE COMUNE, per assumerci impegni precisi in relazione al diritto ad avere le città e gli ambienti urbani dove viviamo inclusivi e sostenibili, abbattendo ogni forma di diseguaglianza sociale e garantendo salute e benessere della comunità dive viviamo. Consideriamo infatti una violazione della dignità umana il mancato accesso alla sanità., un cibo sano, sufficiente e nutriente, ad avere acqua ed energia pulita, alla mancanza di verde e a un ambiente malsano. Riteniamo che solo l’azione collettiva in quanto cittadine e cittadini, assieme ai sindaci, alla società civile, al mondo della ricerca, alla scuola, all’università, al mondo dello sport alle imprese e alle istituzioni locali, nazionali e internazionali potrà consentire di vincere le grandi sfide connesse alla salute nelle città. Poiché crediamo che avere città sostenibili ed eque, dove la salute e il benessere sia un bene comune e primario, sia possibile e sia un fatto di dignità umana, noi ci impegniamo ad adottare i principi e le pratiche esposte in questo MANIFESTO LA SALUTE NELLE CITTÀ COME BENE COMUNE, coerenti con la strategie che gli Stati membri delle Nazioni Unite hanno elaborato. Sottoscrivendo questo MANIFESTO noi dichiariamo di portare la nostra adesione concreta e fattiva agli Obiettivi per uno Sviluppo Sostenibile promossi dalle Nazioni Unite entro il 2030 e specificatamente all’obiettivo 11: Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili.
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Il futuro che vogliamo include città e ambienti urbani che offrano opportunità per tutti, con accesso ai servizi di base, all’energia, all’alloggio, ai trasporti, alla sanità, alla pratica sportiva e alla salute e molto altro. Un futuro sostenibile e giusto nelle città nelle quali viviamo è anche una nostra responsabilità.
I DIECI PUNTI CHE GUIDANO L’AZIONE
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OGNI CITTADINO HA DIRITTO AD UNA VITA SANA ED INTEGRATA NEL PROPRIO CONTESTO URBANO. BISOGNA RENDERE LA SALUTE DEI CITTADINI IL FULCRO DI TUTTE LE POLITICHE URBANE
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ASSICURARE UN ALTO LIVELLO DI ALFABETIZZAZIONE E DI ACCESSIBILITÀ ALL’INFORMAZIONE SANITARIA PER TUTTI I CITTADINI E INSERIRE L’EDUCAZIONE SANITARIA IN TUTTI I PROGRAMMI SCOLASTICI, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AI RISCHI PER LA SALUTE NEL CONTESTO URBANO.
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IINCORAGGIARE STILI DI VITA SANI NEI LUOGHI DI LAVORO, NELLE COMUNITÀ E NEI CONTESTI FAMILIARI
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PROMUOVERE UNA CULTURA ALIMENTARE E LA LOTTA ALLA POVERTÀ ALIMENTARE
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AMPLIARE E MIGLIORARE L’ACCESSO ALLE PRATICHE SPORTIVE E MOTORIE PER TUTTI I CITTADINI, FAVORENDO LO SVILUPPO PSICOFISICO DEI GIOVANI E L’INVECCHIAMENTO ATTIVO
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SVILUPPARE POLITICHE LOCALI DI TRASPORTO URBANO ORIENTATE ALLA SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE E ALLA CREAZIONE DI UNA VITA SALUTARE
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CREARE INIZIATIVE LOCALI PER PROMUOVERE L’ADESIONE DEI CITTADINI AI PROGRAMMI DI PREVENZIONE PRIMARIA, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALLE MALATTIE CRONICHE, TRASMISSIBILI E NON TRASMISSIBILI
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INTERVENIRE PER PREVENIRE E CONTENERE L’IMPATTO DELLE MALATTIE TRASMISSIBILI INFETTIVE E DIFFUSIVE, PROMUOVENDO E INCENTIVANDO I PIANI DI VACCINAZIONE, LE PROFILASSI E LA CAPACITÀ DI REAZIONE DELLE ISTITUZIONI COINVOLTE, CON LA COLLABORAZIONE DEI CITTADINI.
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CONSIDERARE LA SALUTE DELLE FASCE PIÙ DEBOLI E A RISCHIO QUALE PRIORITÀ PER L’INCLUSIONE SOCIALE NEL CONTESTO URBANO
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STUDIARE E MONITORARE A LIVELLO URBANO I DETERMINANTI DELLA SALUTE DEI CITTADINI, ATTRAVERSO UNA FORTE ALLEANZA TRA COMUNI, UNIVERSITÀ, AZIENDE SANITARIE, CENTRI DI RICERCA, INDUSTRIA E PROFESSIONISTI
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INTERVISTE di Chiara Spinato
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WE NEED TO ACT AT LOCAL LEVEL interview to Sir Michael Gideon Marmot, Director of The UCL Institute of Health Equity
The “marmot cities” project aims at building and supporting health equity networks in different countries: could you better explain to urbes readers which fundamentals lay at the basis of your idea and which are its potential impact for local administrations and communities? The idea for a Marmot Cities Network didn’t come from me. It came from the English city of Coventry. To go back, I chaired the World Health Organization Commission on Social Determinants of Health and we said that this global Commission had recommendations for every country in the world, 194 countries, but the way you would implement our recommendations would be very different in sub-Saharan Africa than in Northern Europe. So, we said it was very important that countries set up a process to translate our findings and recommendations into a form that was appropriate for that country. And I was invited by the then Prime Minister of the UK, Gordon Brown, to conduct a strategic review of health inequalities in England, and while I was doing the review the English city of Coventry got really interested and I went to Coventry and they actually had a meeting “Marmot the way forward” and they had paper printed and little carrier bags. My daughter went to school with a bag saying “Marmot the way forward” and it was their idea to say “We should implement these findings at a city level. Now.”
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There had been for a long time a World Health Organization network of Healthy Cities, but Coventry thought they would like to act independently, taking my emerging recommendations and applying them at the city level. It was compatible with the WHO Healthy Cities, but it was, at the same time, really concrete. And they did that. That was back in 2010 and I went to Coventry a couple of times. Then they said “We’re
really happy with what we’re doing. Would it be alright with you if we extended commentary as a Marmot City?”, and I answered it was up to them and that I was happy with that, of course. And then I talked to the mayor of Greater Manchester and they commissioned us to work with them. That was before the pandemic that we were started our work and then the pandemic hit. So we called our report “Build Back Fairer in Greater Manchester.” And then? Liverpool - and you and your readers know the names of these places because they have famous football teams! They asked us to work with them and we’ve now been. Now we are working with eight or nine regions all around England. In Gwent said they want to be the first Marmot region in Wales. And recently we’ve begun conversation with the region of Scotland where Edinburgh is located. They’re becoming the first Marmot region in Scotland. So, we’ve had this network and what’s common is we have 6 domains of recommendations. The adhesion and the coordination pass through the local administration, so the mayor? Well, so initially they invited us to help them. Then we established a network and we said it’s open to anybody to join it, because we wanted to create a mutual learning, sharing of experience, so anybody can join the network, we have now a limited number of Marmot Cities and Regions that we’ve been working with. You need the willingness of the local administration in this case in order to be the recommendations to be really applied concretely applied. So, it might be the mayor who coordinates it. It might be. What’s become known as the integrated care board, which is the health
and care system, the nine local authorities and nine directors of public health. It can be coordinated in different ways, but it’s always important to have the local government, the city government, the voluntary and community sector. The health and care sector. And now for the first time, we’ve been trying to get business involved, the private sector. Which are the six recommendations you mentioned before? Initially we had six domains of recommendations and we’ve now added two, but the six were: 1. Give every child the best start in life 2. Education and Lifelong learning 3. Employment and working conditions 4. Everyone should have at least the minimum income necessary for a healthy life 5. Healthy and sustainable places in which to live and work 6. Taking a social determinants approach to prevention We’ve now added two more, which are highly relevant to Italy as they are to the UK: 7. tackle racism, discrimination and their consequences 8. pursue environmental sustainability and Health Equity together. And with business, we produced a report. That was commissioned by Legal and General, which is a big insurance company, the big financial institution. And we said there are three domains for business to promote Health Equity: the first is good employment, paying everybody a real living wage, the security of employment, career prospects and so on; the second goods and services: do you produce goods and services that are good for health or those that damage health? And the third is what’s become known in the healthcare space as being an anchor institution having a positive impact on the community, the environment, the wider society. We all should be partners in achieving equity and sustainability. Policy and interventions to tackling inequalities should be targeted to the beneficiaries they are addressed to. in italy, this is particularly true and a well-known achievement for decision- and policy-makers, due to the peculiarities of territories and demographic trends. do you believe it is feasible to find a common approach or methodology we could harmonize to study, monitor and compare the results within and among the marmot
cities networks? Well, as my understanding of Italy allows, there’s another dimension which is - crudely speaking – North/South. You know the old studies of Robert Putnam when he was developing his social capital ideas and that in northern regions of Italy and Bologna, for example, and there’s high degree of social participation and community engagement and so on. In the Mezzogiorno that was less. What we know is that, in general, health is worse in the southern regions than in the northern regions. That may be socioeconomic, not just social cohesion, community cohesion. And so there’s potentially a great deal to learn in Italy about what works and what doesn’t work in. Metropolitan areas and small communities, but also with these different historical cultural traditions in different regions of Italy. And so, for example, if you’re in Trento and it’s very different than if you’re in Calabria. And understanding why things might seem to be working better in Trento than in Calabria is very important. And ideally, if we are successful in establishing an Italian network and there’ll be mutual learning take place about what works and what doesn’t work, it’s not that Calabria should become more like Trento, or you know that, but what is it that seems to work in Trento or in Calabria? Before this one, but it’s highly relevant to this one, is how you work with communities, how you don’t go in as an expert and say this is what you gotta do, but what happens at the community level, how you use the knowledge of expert, how you implement it and it’s vital that you do not to come in with a set of solutions from the outside. So, my hope is we do get an Italian network, whether we call them Marmot Cities, or not, my hope is that we do get a network of cities and communities with a great deal of mutual learning and a great deal of engagement from the communities. And that’s absolutely vital.
After pandemic a higher level of awareness – and literacy, concerning the relevance of public health and one health, have matured. do you think also expectations towards mayors and cities changed, in favor of a different, or higher, commitment? 53 I don’t pretend to be an expert on Italy at all, so you can discount anything I say about Italy, so I’m not an expert, but, in my limited experience, People really are committed to their home place, their home region. And it’s not that people are in Torino saying ohh, I wish I lived in Milan or people in Naples saying I wish
I lived in Rome. I don’t get that sense at all that people are committed to their home. And it’s so. And if that’s true, the real challenge is not you’ve gotta get, you’ve gotta move to Milan to get healthy. The real challenge is how do you make Naples as healthy as Milan? I mean that’s got to be good if you’re talking about a dignified life and being committed to your home place is part of that. The second thing that impression I get is that the local level is terribly important to people. Whatever’s going on nationally, I don’t just mean today’s national government in Italy or last week or the year before. I get the impression that local action is very important to people. And so the city level of action or the municipality. It’s a big question in Italy as it is in Britain and other countries: how much you can do at the city or municipality level? What can you do at the city level to break the link between child poverty and poor outcomes, for instance? It requires putting in place a measurement framework. So that you can measure. Those six domains, or 8 domains, you can measure “are you making progress?” It’s not just about exercise and healthy eating, but what’s happening to early child development. What’s happening to education and school performance? And what’s happening to quality of employment? All of that’s crucial. And there’s a big question of how much you can influence that at municipal level, at city level, how much it depends on the region, how much it’s depend on the national government. And as I say my understanding is regions are very important in Italy and cities and municipalities are. And let me say one other thing which I think is vital: there’s gonna be people in the network who are really committed to this, really enthusiastic and they have hope. Hope is very important. And a sense that getting this right, we can really make a difference to the quality of people’s lives and hence to their health.
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intervista a Raffaella Bucciardini, Direttore Unità operativa “Disuguaglianze di Salute” Istituto Superiore di Sanità (ISS)
Come, a suo avviso, possiamo intervenire per correlare il loro studio all’obiettivo finale? Le disuguaglianze sociali di salute, se non giustificate da un punto di visto biologico, possono essere definite differenze evitabili e ingiuste nello stato di salute e riconducibili ai determinanti sociali di salute. I determinanti sociali di salute o più in generale i determinanti di salute possono essere ricondotti alle seguenti categorie: reddito e stato sociale (determinante sociale di salute); reti di supporto sociale (determinante sociale di salute); istruzione e alfabetizzazione (determinante sociale di salute); occupazione/condizioni di lavoro (determinante sociale di salute); ambiente fisico (determinante sociale di salute); sviluppo sano del bambino (determinante sociale di salute); biologia e genetica; servizi sanitari; genere. Le ricerche da oltre 30 anni hanno prodotto importanti risultati sui meccanismi che generano le disuguaglianze di salute. Il meccanismo alla base delle disuguaglianze sociali di salute è il contesto socio-politico che determina la posizione sociale delle persone. A livello della posizione sociale che si collocano i determinanti sociali della salute (o i determinanti distali, cioè le cause delle cause) responsabili delle disuguaglianze sociali. Tali determinanti sono riconducibili in particolare allo stato socioeconomico. A riguardo una consolidata letteratura scientifica mostra che: 56• le persone appartenenti ad una posizione socio-economica più bassa (rispetto alle persone appartenenti ad una posizione socio-economica più alta) in media vivono di meno e hanno una maggiore probabilità di ammalarsi; • il livello di istruzione predice il livello di salute. Le persone con un più basso livello di istruzione hanno
maggiore probabilità di ammalarsi e di morire prematuramente; • le persone che occupano una posizione lavorativa più bassa hanno maggiore probabilità di ammalarsi e di morire prematuramente; • le persone con un reddito più alto hanno minore probabilità di ammalarsi e di morire prematuramente. È possibile influenzare il processo di stratificazione sociale e le disuguaglianze sociali di salute associate attraverso politiche economiche, sociali ed educative. Come si evince dagli esempi la posizione sociale influenza l’esposizione ai principali fattori di rischio per la salute, che intermediano l’effetto sulla salute dei determinanti sociali (determinanti prossimali o mediatori), quali ad esempio gli stili di vita insalubri, i fattori psicosociali, le condizioni di lavoro e l’accessibilità alle cure/servizi. Ad esempio, le persone con una posizione sociale più bassa possono essere esposte a diete più povere rispetto a quelli economicamente più avvantaggiati, ad un consumo di tabacco più elevato e a stress psicologici più elevati. È possibile contrastare l’esposizione ai fattori di rischio attraverso misure preventive principalmente sui gruppi target più esposti. La posizione sociale influenza inoltre la condizione di vulnerabilità delle persone agli effetti sfavorevoli dei fattori di rischio sulla salute. Le persone più svantaggiate dal punto di vista socio-economico hanno maggiore probabilità di sviluppare esiti negativi per la salute, se esposti ai fattori di rischio. Ad esempio le persone con un livello di istruzione basso tendono ad essere esposte a molti fattori di rischio nel corso della loro vita come la povertà infantile, lo stress della disoccupazione e della povertà in età adulta, una vita malsana come il fumo e l’obesità, ecc.
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Determinanti di salute e lotta alle disuguaglianze
È possibile contrastare la suscettibilità ai fattori di rischio attraverso misure preventive principalmente sui gruppi target più esposti. È dunque chiaro, che per contrastare le disuguaglianze sociali di salute, misurate in termini di morbosità e mortalità, gli interventi dovrebbero essere rivolti principalmente ai determinanti sociali di salute (le cause delle cause) e non possono essere confinati all’ambito sanitario (con azioni, ad esempio, di prevenzione), ma devono investire tutte le politiche, principalmente quelle non sanitarie come ad esempio educazione e scuola, sviluppo e lavoro, ambiente e casa. L’intersettorialità, cioè la collaborazione e l’integrazione tra diversi settori delle politiche che condividono lo stesso obiettivo di “equità” può consentire che ogni politica diventi responsabile della quota di azione di sua competenza e tutti insieme concorrano a risultati significativi in termini di impatto sulle disuguaglianze.
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Si potrebbe dire che, quasi in misura maggiore rispetto agli stati nazionali, i network di città e di sindaci - pensiamo alle Marmot Cities o al C40 - oggi sono impegnati nel dare risposte in tema di equità ed equo accesso alla salute: la dimensione urbana é realmente in grado di offrire un ambito ottimale per il cambiamento? Se sì, come possiamo superare la carenza di dati su questa scala? A riguardo, una pietra miliare è stata la Marmot Review pubblicata nel 2010 (Fair society, health lives), che ha evidenziato chiaramente quali azioni e strategie dovrebbero essere messe in atto per garantire una salute equa e sostenibile per tutti i cittadini. A riguardo Il Prof. Marmot individua sei obiettivi principali che richiedono un’azione politica mirata per migliorare le condizioni di vita della popolazione: • dare le migliori possibilità di sviluppo alla prima infanzia; • garantire l’istruzione per massimizzare le capacità di giovani ed adulti; • creare occupazione e buone condizioni di lavoro per tutti; • garantire a tutti standard minimi di vita per vivere in salute e benessere; • favorire la creazione di alloggi e luoghi sani e sostenibili in cui vivere; • rafforzare il ruolo e l’impatto della prevenzione sanitaria in relazione ai determinanti sociali. Nel Regno Unito dall’uscita della Marmot Review ad oggi, oltre il 70% delle autorità locali stanno lavorando con l’intento di sostenere i “principi della Marmot Review”.
Interessante notare che molti degli interventi non hanno richiesto fondi aggiuntivi ma principalmente è stato richiesto di ripensare le azioni locali già in essere indossando le lenti dell’equità. Questo fatto ha evidenziato quanto le azioni sui determinanti di salute a livello locale siano centrali ed efficaci in quanto rispondono alle condizioni in cui le persone sono nate e in cui crescono, vivono, lavorano ed invecchiano. In Italia le azioni a livello locale in alcune realtà sono già significative e potrebbero essere ulteriormente sviluppate. L’obiettivo ambizioso potrebbe essere quello di creare una rete di città italiane, che coinvolga tutti i principali attori che operano a livello territoriale, quali ad esempio l’amministrazione locale, i servizi sanitari e di cura, le organizzazioni che promuovono l’attivismo dei cittadini, le associazioni di volontariato, quelle religiose e della comunità e altre ancora, con l’obiettivo di promuovere una salute equa e sostenibile che possa collaborare con la rete delle Marmot cities già presente nel Regno Unito. La creazione del Networking italiano richiederebbe essenzialmente tre principali componenti: 1) il coinvolgimento diretto di tutti gli stakeholder in un processo di crescita partecipata; 2) il coinvolgimento dei decisori politici locali in grado di poter sostenere il cambiamento; 3) il monitoraggio degli interventi con l’utilizzo di indicatori di processo, di outcome e di impact. A riguardo la raccolta dei dati è centrale ed essenziale ed è proprio per questo che ogni tipo di intervento/azione per poter soddisfare i requisiti di efficienza e di efficacia deve prevedere un supporto tecnico/metodologico adeguato. A che punto siamo in termini di health literacy in Italia? La health literacy implica il raggiungimento di un livello di conoscenze, di capacità individuali e di fiducia in se stessi tali da spingere gli individui ad agire per migliorare la propria salute e quella della collettività, modificando lo stile e le condizioni di vita personali. Pertanto, la health literacy non indica solo la capacità di leggere opuscoli e prendere appuntamenti, ma è un’importante strategia di empowerment che può migliorare la capacità degli individui di accedere alle informazioni e ai servizi, e utilizzarli in modo efficace (Fonte: Who Health Promotion Glossary, 1998). L’European Health Information Initiative (Ehii) dell’Oms Europa ha lanciato nel 2018 l’Action Net-
work on Measuring Population and Organizational Health Literacy (M-Pohl) allo scopo di realizzare periodicamente delle indagini conoscitive e comparative sul livello di health literacy nella popolazione adulta dei paesi europei. Health Literacy Population Survey Project 2019-2021 (HLS19) è stato il primo progetto di M-POHL, che ha visto il coinvolgimento di 17 paesi della regione europea dell’OMS (https://m-pohl.net/HLS19_Project). L’Italia, ha condotto l’Health Literacy population based survey HLS19 nel 2021. L’indagine è stata coordinata dall’Istituto Superiore di Sanità su un campione casuale, rappresentativo della popolazione generale residente in Italia di età uguale o superiore a 18 anni. I dati sono stati raccolti attraverso l’utilizzo di un questionario elaborato nell’ambito della rete internazionale M-POHL e tradotto in italiano. I principali risultati mostrano che complessivamente, in Italia, il livello di alfabetizzazione sanitaria generale è “inadeguata” per il 23% , “problematica” per il 35%, “sufficiente” per il 34% ed “eccellente” per il 9% dei rispondenti. La prevalenza corrispondente per i 17 paesi partecipanti complessivi è del 13% per Inadeguato, 33% per Problematico, 40% per Sufficiente e 15% per Eccellente. Questi risultati dimostrano che la maggioranza della popolazione italiana risulta avere un livello di Health Literacy Inadeguato/Problematico (58%), mentre in Europa corrisponde al 46%;
Il Centro Nazionale per la Salute Globale svolge attività di ricerca, sia nei Paesi economicamente sviluppati che in quelli meno economicamente sviluppati, affrontando il “come applicare” le conoscenze della medicina e della biologia alla salute di tutte persone che vivono sul territorio nazionale e nel mondo, con una filosofia generale basata sul contrasto alle diseguaglianze di salute, sulla lotta alle discriminazioni di genere, e un’attenzione particolare alle popolazioni più fragili e marginalizzate. Attraverso questo Centro, l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) si propone come riferimento indipendente e terzo delle attività di salute globale nel nostro Paese, con lo scopo di contribuire, insieme ad altri attori nazionali e internazionali, a combattere le disuguaglianze sociali di salute, in Italia e nel mondo, attraverso: • ricerca fondamentale, clinica e operazionale sulla terapia e prevenzione delle grandi malattie globali • ricerca sui sistemi sanitari • progetti di cooperazione internazionale • collaborazione con le organizzazioni internazionali che si occupano di salute • attività di formazione, advocacy e networking Per maggiori informazioni visitare il sito: https://www.iss.it/centro-nazionale-per-la-saluteglobale
Inoltre, l’Italia ha aggiunto un modulo dedicato all’emergenza della pandemia da Covid-19, per valutare quanto sia stato facile reperire, comprendere, valutare e prendere decisioni in base alle informazioni disponibili. L’esito è stato che per il 6% del campione è stato “molto difficile”, per il 25 per cento “difficile”, per il 52 per cento “facile” e per il 17 per cento “molto facile”. All’interno della rete M-POHL, l’ISS intende realizzare una seconda indagine sull’alfabetizzazione sanitaria della popolazione (HLS24/25) sempre su un campione rappresentativo della popolazione italiana adulta. In breve, di che cosa si occupa l’NCGH dell’ISS? Il concetto di Salute Globale è strettamente interconnesso con il concetto di Globalizzazione, in cui i determinanti vanno oltre i confini territoriali degli stati e, quindi, oltre la capacità dei singoli paesi di affrontare le questioni relative alla salute attraverso le capacità individuali delle istituzioni nazionali.
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Intervista a Settimo Nizzi Sindaco di Olbia Ci potrebbe fare un bilancio di mandato rispetto al tema della salute e della qualità della vita nella sua città di Olbia? La nostra amministrazione ha particolarmente a cuore la qualità della vita dei cittadini e le singole iniziative intraprese sono parte di un disegno ampio ed a mediolungo termine. Lo scopo è proprio quello di rendere Olbia sempre più bella, fruibile e a dimensione di cittadino. Ricordiamo, ad esempio, che dal 2017 il centro storico cittadino è “Zona a traffico limitato”. Qui le automobili usavano sfrecciare, mentre adesso le persone possono passeggiare gustando un gelato ed i bambini possono muoversi liberamente senza pericoli. Altra iniziativa è “La strada scolastica”, nata come progetto sperimentale in una scuola della città. Come nel caso della Ztl, all’inizio ci sono state molte critiche, mentre in un secondo momento sono stati poi proprio i cittadini a chiederci di replicarla in altre scuole. Olbia, inoltre, ha il primato di essere la prima città italiana ad aver realizzato il Pediplan, oltre che il Biciplan. I due piani, adottati a marzo del 2022, hanno lo scopo di favorire e sviluppare gli spostamenti a piedi e in bicicletta nella vita di ogni giorno, per andare al lavoro o a scuola, ad esempio. Inoltre, è stato affidato l’incarico per redigere il Piano urbano della mobilità sostenibile, quale strumento fondamentale per definire l’assetto trasportistico della città in un orizzonte di medio e lungo periodo. Contestualmente, sarà redatto il Piano generale del traffico urbano per la modellizzazione della mobilità in uno scenario di breve periodo. Aver partecipato al progetto europeo Cyclewalk, dove abbiamo potuto apprendere buone pratiche da realtà come Amsterdam, che ha fatto della mobilità sostenibile il suo biglietto da visita, ha radicato in noi la consapevolezza che solo una cultura volta a questo tipo di mobilità può migliorare sensibilmente la qualità della vita dei cittadini, rendendo la comunità più vivace e sana. In che cosa consiste il progetto “Città 30” attuato dalla sua Amministrazione? 60
La delibera di giunta di Olbia è la n. 83 del 2021 e dispone che in tutte le strade comunali, in città e nelle frazioni, il limite massimo di velocità sia di 30 chilometri orari. È la prima città italiana ad aver adottato questo provvedimento. La disposizione ha il duplice obiettivo di aumentare la sicurezza per le persone e di consolidare un nuovo concetto di mobilità urbana sem-
pre più ecosostenibile. Siamo lieti che altre città italiane ci abbiano preso come esempio. L’amministrazione olbiese si è mossa in linea con altre città europee, consapevole che il futuro non può prescindere da una mobilità sempre più attiva e sostenibile. A quasi due anni dall’adozione del provvedimento, possiamo confermare che i risultati sono quelli sperati: per il primo anno abbiamo accompagnato i nostri cittadini affinché si abituassero al cambiamento, lasciando da parte le sanzioni. Dopo le contestazioni iniziali, la situazione si è capovolta. Adesso sono le persone a chiamarci per sollecitare controlli e interventi per chi non rispetta la norma. Finora sono poche decine i casi di automobilisti fermati e puniti dopo la rilevazione del telelaser. Insomma, la popolazione sta capendo quanto sia importante rallentare la circolazione. La scelta non è stata fatta soltanto per garantire una maggior sicurezza sulle strade e ridurre gli incidenti, ma ha significato innescare un circolo virtuoso di miglioramento degli spazi comuni, ponendo sempre l’essere umano al centro del focus, consapevoli che non sono soltanto le infrastrutture, che pur ci vogliono, a modificare le abitudini. Se le auto rallentano, le biciclette si usano più volentieri, i pedoni sono più liberi, i bambini si muovono in autonomia e sono tanti i vantaggi anche per gli esercizi commerciali. Senza dimenticare che c’è un costante miglioramento della qualità della vita, anche per la riduzione dell’inquinamento acustico e da gas di scarico. Quale pensa possa essere il ruolo dei Comuni italiani nel promuovere politiche pubbliche per la salute dei cittadini? Rifacendoci al concetto di “healthy city”, i Comuni, che sono gli Enti in assoluto più vicini ai cittadini, possono fare molto sia da punto di vista infrastrutturale (noi, ad esempio, abbiamo installato palestre all’aperto fruibili a tutti), che normativo (come il limite dei 30 Km orari in tutta la città). Inoltre, occorre accompagnare la cittadinanza al cambio di mentalità attraverso iniziative mirate. Lo scopo finale, naturalmente, non è solo quello di prevenire le malattie: uno stile di vita sano in un ambiente salubre rende le persone più felici. In quest’ottica, è stato per noi un riconoscimento importante che Olbia sia, oggi, tra le nuove entrate nella classifica delle città italiane con la qualità della vita più alta, come riportato dalla rivista Esquire e ripreso dalla stampa internazionale.
URBAN HEALTH COLUMNS
Aree interne: circa di abitanti hanno difficoltà di accesso ai servizi
13 milioni
di Tiziana Frittelli Presidente Nazionale Federsanità
In Italia quasi 4.200 comuni (quasi la metà del totale) ricadono nelle aree interne. Questi territori coprono il 60% della superficie nazionale, e sono abitati da circa 13 milioni di abitanti (circa il 22% della popolazione italiana). La maggior parte degli abitanti delle aree interne (8,8 milioni di persone) vive nei Comuni intermedi distanti dai 20 ai 40 minuti dal polo più vicino. 3,7 milioni abitano in comuni periferici, mentre 670mila vivono in aree ultra-periferiche (cioè comuni distanti almeno 75 minuti dal centro più vicino) (Fonte: Agenzia per la Coesione territoriale) Le Aree interne sono caratterizzate dall’essere significativamente distanti dai principali centri di servizi, ovvero un’offerta scolastica secondaria superiore completa, un Ospedale con un dipartimento di emergenza, urgenza e accettazione (DEA) di primo livello, una stazione ferroviaria di tipo silver. Le principali difficoltà riscontrate sono: le tempistiche di accesso ai servizi di emergenza, l’accesso ai servizi domiciliari; la minore disponibilità di medici di medicina generale, pediatri di libera scelta e guardia medica; la minore attenzione alla continuità delle cure nelle malattie croniche; le difficoltà dei collegamenti telematici legati alla telemedicina; la minore attrattività di tali aree per il personale sanitario. Numerosi studi hanno analizzato indicatori legati alla salute della popolazione e all’uso dei servizi. In linea generale, seppur con qualche differenza da regione a regione, gli studi mostrano che nelle Aree Interne: l’aspettativa di vita è più breve, vi è un minore accesso a cure ambulatoriali, ospedale; i tempi di soccorso sono più lunghi; i ricoveri evitabili sono maggiori; il monitoraggio delle malattie croniche è meno puntuale. La Missione 6 del PNRR parla della casa come primo luogo di cura e di presa in carico garantita a prescindere dalla regione di residenza. Nel contesto delle Aree Interne la realizzazione di cure territoriali adeguate e la
risoluzione dei problemi riscontrati (stato di salute, accessibilità, carenza di personale, ecc.) richiedono un approccio specifico e differenziato a livello territoriali. È necessario quindi un vero “laboratorio” per affrontare il problema del “divario di cittadinanza” che è posto come priorità trasversale proprio dal PNRR. Federsanità, in stretta sinergia con i Comuni sul territorio attraverso le federazioni regionali, sta sviluppando progetti che affrontano il tema dei servizi territoriali nell’attuale contesto di programmazione generale. Obiettivo è rispondere a domande come: in che modo applicare le indicazioni del PNRR alle Aree interne? Come organizzare Case della Salute, infermiere di Comunità, USCA, Salute mentale, Telemedicina? Quali soluzioni organizzative per la carenza di medici di medicina generale, di pediatri di libera scelta e di medici di continuità assistenziale? Quale ruolo e quali funzioni per le farmacie dei servizi? Quale organizzazione dell’emergenza? Quale interazione con gli ospedali di riferimento e la medicina specialistica? Quale ruolo dei Comuni, delle Associazioni e del volontariato? La progettazione dei servizi sanitari e sociali delle aree interne non può che nascere con la metodologia della “Community building” e quindi con la partecipazione attiva di tutti gli attori coinvolti e con una forte politica di decentramento nelle decisioni organizzative. È solo a partire dal territorio, dalle sue risorse formali ed informali, dall’accurata conoscenza dei bisogni e degli strumenti quotidiani per affrontarli che si potrà costruire un autentico sistema di salute di popolazione.
Mobilità sostenibile: cosa intendiamo e che ruolo può svolgere il cittadino attivo Elementi quali la congestione del traffico, il livello di incidentalità, le emissioni inquinanti, un trasporto pubblico non rispondente alle esigenze dei cittadini, il degrado delle aree urbane e il consumo di territorio – determinati dalla realizzazione di strade e infrastrutture chiamate ad ospitare sempre più veicoli - pongono al centro del dibattito sulla qualità e sostenibilità della vita nei centri urbani l’interrogativo su come “spostare” persone e merci in un modo più efficace, efficiente e, principalmente, sostenibile. In questo contesto, da diverse annualità siamo impegnati per contribuire ad un cambio di paradigma e per dare centralità al ruolo del cittadino attivo e consapevole che può contribuire al cambiamento adottando, e diffondendo nella propria comunità di riferimento, comportamenti di mobilità più sostenibili ed esercitando le proprie competenze civiche, ad esempio attraverso la partecipazione attiva alla definizione dei servizi pubblici della propria realtà locale. La posizione e le attività di Cittadinanzattiva Il Goal 11 dell’Agenda ONU 2030 si propone di “Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili”. Il target 11.2 prevede, entro il 2030, di fornire l’accesso a sistemi di trasporto sicuri, sostenibili, e convenienti per tutti, migliorare la sicurezza stradale, in particolare ampliando i mezzi pubblici, con particolare attenzione alle esigenze di chi è in situazioni vulnerabili, alle donne, ai bambini, alle persone con disabilità e agli anziani. A nostro avviso, impegnarsi per una mobilità sostenibile non vuol dire esclusivamente ridurre l’impatto ambientale di questo settore, molto spesso unico elemento di attenzione nel dibattito attuale, ma anche occuparsi della sua sostenibilità economica e principalmente sociale. Rendere il sistema dei trasporti e della mobilità sostenibile da un punto di vista sociale, significa incentivare modalità di spostamento accessibili e praticabili da parte delle persone diversamente abili o a mobilità ridotta, prevedendo servizi alternativi ed egualmente disponibili per i cittadini; progettare i sistemi di mobilità in modo da contribuire a risolvere la congestione del traffico, favorire una più equa ripartizione degli spazi urbani (riappropriazione di tempo e spazio per i citta66dini), migliorare la tutela e la sicurezza di chi viaggia. È importante garantire anche una sostenibilità economica sia per i cittadini, con riferimento ai costi dei mezzi di trasporto sia collettivo che individuale, sia per la comunità nel lungo periodo, riducendo i costi generati dalle conseguenze indotte da un modello di mobilità insostenibile (si pensi ad esempio ai costi che gravano sul SSN per la cura delle malattie legate alla
cattiva qualità dell’aria o all’incidentalità). A queste due dimensioni, si aggancia anche la sostenibilità ambientale, in una prospettiva ampia e di lungo periodo: per noi sono sostenibili quei trasporti che, in una valutazione complessiva (che va dalla produzione del mezzo al suo utilizzo da parte del cittadino, fino alla sua dismissione) contribuiscono all’obiettivo comune di azzerare le emissioni al 2050. Per tutti questi obiettivi, innanzitutto realizziamo attività, progetti e campagne rivolti ai cittadini per promuovere una nuova cultura della mobilità urbana che metta al centro innanzitutto un trasporto pubblico efficiente e di qualità. Oltre all’attività di sensibilizzazione, ogni nostra azione è volta a promuovere la partecipazione civica per la qualità dei servizi di mobilità (sia pubblici che privati) – in applicazione del comma 461, legge 244/2007. Attraverso una piccola guida forniamo ai cittadini indicazioni semplici riguardo i vantaggi legati all’utilizzo del tpl, sull’importanza di conoscere anche forme alternative e in sharing, sull’essere responsabili alla guida e li invitiamo ad esercitare in maniera attiva le proprie competenze civiche, partecipando ad esempio alla definizione dei piani urbani della mobilità sostenibile. Rivolto invece ad un target specifico di giovani cittadini è il progetto 0.R.A. – Open Road Alliance, che con un percorso formativo ad hoc ed un contest creativo per costruire il 1° Manifesto della mobilità sostenibile – la mobilità del futuro ha coinvolto circa 1.900 studenti delle scuole superiori di secondo grado delle 14 città metropolitane e relative amministrazioni, oltre a 140 insegnanti. Attraverso questo progetto, abbiamo lavorato per consentire ai giovani di immaginare città migliori, dove la strada sia un bene comune per tutti, e per formare i ragazzi alla pratica dell’attivismo e della partecipazione civica su più livelli, concretamente realizzata negli incontri istituzionali locali di presentazione e interlocuzioni istituzionali in giro per l’Italia. La partecipazione dei ragazzi e l’esercizio delle competenze civiche hanno generato impatti positivi per le comunità coinvolte, ad esempio: • la Regione Puglia ha utilizzato gli spot realizzati da una classe di Bari nell’ambito del contest di progetto per promuovere la mobilità sostenibile sui mezzi pubblici; • Il comune di Genova ha promesso di utilizzare in città la campagna di cartellonistica realizzata dalle nostre classi; • ad Acireale l’Amministrazione comunale ha chiesto che le classi presentassero le loro idee in una seduta del Consiglio Comunale.
di Cinzia Pollio Referente nazionale Cittadinanzattiva per le politiche della mobilità
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UN MODELLO URBANO PER CONIUGARE SALUTE E BENESSERE Nell’ambito di un approccio One Health, i contesti abitativi assumono un ruolo rilevante in almeno una delle sue derivazioni, ovvero nella chiave di Urban Health, secondo dunque l’orientamento strategico che prevede l’integrazione delle azioni volte alla tutela e alla promozione della salute nella progettazione territoriale, favorendo processi consapevoli e sostenibili di pianificazione e rigenerazione urbana. Anche il Piano Nazionale della Prevenzione 2020 – 2025, adottato in Conferenza Stato Regioni, che rappresenta lo strumento fondamentale di pianificazione centrale degli interventi di prevenzione e promozione della salute da realizzare sul territorio, richiama l’importanza del “benessere” delle citta� come contesti nel quali articolare il concetto la salute come bene comune, a testimonianza di quanto il tema sia rilevante e di stretta attualità. L’OMS a sua volta, identifica l’urbanizzazione come un’opportunità per migliorare la salute pubblica attraverso politiche e azioni orientate alla salute, e chiama in causa giunte cittadine e sindaci affinché venga garantito il rispetto della salute della popolazione. In quest’ambito è particolarmente interessante la figura dell’Health City Manager, che potrebbe essere il soggetto adatto chiamato a guidare i comuni verso un modello di città in salute che vedano proprio nella salute una risorsa capitale per lo sviluppo sociale, economico e personale dei cittadini. Ma fatta questa lunga premessa, la domanda centrale è: un modello urbano nel quale salute e benessere siano coniugati, è possibile?
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Pare di sì, e ci sono già degli esempi virtuosi in tal senso. Bisogna necessariamente partire da Glasgow, città che ha fatto da apripista ed è diventata il laboratorio delle smart cities in Europa, intendendo con smart city il luogo in cui le reti e i servizi tradizionali sono resi più efficienti con l’uso di soluzioni digitali a beneficio dei suoi abitanti e delle imprese […] ma anche un’amministrazione cittadina più interattiva e reattiva, spazi pubblici più sicuri e un migliore soddisfacimento delle esigenze di una popolazione che invecchia”, secondo la definizione che ne dà l’Unione Europea. Nel 2013 Glasgow, che è la città più popolosa della Scozia e la quarta più grande del Regno Unito, si è aggiudicata la fiducia del Technology Strategy Board inglese e ha conquistato il titolo di ‘Future Cities Demonstrator’, ottenendo così un finanziamento di 24 milioni di sterline messe in palio dal Governo britan-
nico per diventare una città ecologica e intelligente al servizio dei propri cittadini. Gli interventi hanno riguardato principalmente i trasporti pubblici e privati, con la nascita di nuovi servizi per lo sviluppo del trasporto intermodale e la diffusione di sensori wireless per le vie della città, capaci di raccogliere dati in tempo reale sullo stato del traffico e della qualità dell’aria, oltre all’efficientamento dell’illuminazione pubblica e all’incentivazione dell’utilizzo di materiali edili di nuova generazione. Per quanto riguarda L’Italia, nel nostro Paese si sta ragionando sempre più spesso sul modello di smart cities, ovvero di aree urbane in cui grazie all’utilizzo delle più moderne tecnologie digitale è possibile ottimizzare le infrastrutture e i servizi ai cittadini rendendoli più efficienti e sostenibili. Secondo la ricerca del 2022 dell’Osservatorio Smart City della School of Management del Politecnico di Milano, quasi un comune italiano su tre (il 28%) ha avviato almeno un progetto di efficientamento nel triennio precedente, una percentuale che sale al 50% nelle aree urbane più grandi, con oltre 15 mila abitanti. Sembra peraltro che nel triennio 2022 – 2024 ben il 33% dei comuni investirà nelle città intelligenti, anche grazie ai finanziamenti del PNRR. E’ sufficiente? Ovviamente no, perché il tema del modello urbano non può prescindere dalla relazione con quello della salute, ed è evidente che quando si parla di pianificazione urbana si debbano considerare anche tutte le azioni di promozione e miglioramento degli stili di vita, compresa la garanzia di poter accedere ai servizi della salute con agilità. In questo senso vi dev’essere un doppio sguardo: quello di chi progetta e quello di chi si occupa attivamente di questioni sanitarie fondamentali per la popolazione, affinché un ambito non sovrasti l’altro e vi sia invece una piena collaborazione negli intenti e nei risultati. L’obiettivo? “Rendere la salute dei cittadini il fulcro di tutte le politiche urbane”, come sancito dal Manifesto “La Salute nelle Città: Bene Comune”, lanciato per la prima volta nel 2016 e di cui è stata recentemente presentata in Senato una revisione aggiornata realizzata grazie col contribuito di oltre 200 esperti e 36 tra Istituzioni, enti, università, società scientifiche, associazioni pubbliche e private tra cui ANCI, Intergruppo Parlamentare Qualità di Vita nelle Città, Sport e Salute, Health City Institute, C14+, Federsanità, Istituto per la competitività I-COM, Fondazione SportCity.
di Rosaria Iardino Presidente Fondazione The Bridge
L’intelligenza artificiale: paure, progresso ed urbanistica In questi primi mesi del 2023, il rilascio di ChatGPT da parte di OpenAI, società no-profit partecipata da grandi colossi tra i quali spicca Microsoft, ha monopolizzato i principali tavoli di discussione a livello globale.
ChatGPT è un prototipo di chatbot sviluppato su tecnologie di Intelligenza Artificiale (AI) e Machine Learning (ML) che ha dato il via a quella che molto probabilmente sarà una nuova rivoluzione tecnologica. Focalizzandoci leggermente sul comparto tecnico, il prototipo è un modello linguistico di grandi dimensioni messo a punto con tecniche di apprendimento automatico, sviluppato per essere utilizzato come base per la creazione di altri modelli di Machine Learning. Nello specifico ChatGPT è stato sviluppato da un GPT-3.5 (banca dati composta da circa 100 milioni di input) utilizzando l’apprendimento supervisionato e l’apprendimento per rinforzo come tecniche di ottimizzazione del modello. Il 14 marzo 2023 è stata annunciata l’introduzione di GPT-4 (banca dati composta da circa 100 miliardi di input), ovvero un modello multimodale su larga scala che può accettare input di immagini, video, audio e testo e produrre output di testo. In breve, ChatGPT è uno strumento gratuito, estremamente performante che dialoga con noi ed è pronto rispondere in modo articolato ad ogni nostra domanda esigenza. I campi di applicazione del nuovo modello di ML sono pressoché infiniti e questo non può che destare curiosità ed interesse, però come ogni nuova innovazione, questa porta con sé paure, perplessità ed un certo senso di angoscia, soprattutto per le Generazioni Y e X.
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Secondo l’ultimo studio dell’Unicusano il mercato globale dell’AI tocca oggi i 62,4 miliardi di dollari per arrivare, entro il 2026, a superare i 300 miliardi e secondo le stime degli analisti questo comporterà ad una perdita di circa 100 milioni di posti di lavoro tra Stati Uniti ed Europa. Nella ricerca intitolata “In che modo i language modeler come ChatGPT influenzeranno le occupazioni
e le industrie?” condotta della New York University in collaborazione con l’Università di Princeton, sono risultate a rischio “estinzione” non solo le professioni legate al mondo matematico ed informatico ma anche professioni insospettabili e per lo più umanistiche in cui il fattore umano ricopre un ruolo essenziale. Oltrepassando il fattore ansiogeno, l’implementazione dei nuovi modelli di AI e ML applicata alle attività della nostra vita quotidiana legata al mondo urbanistico porterà ad innumerevoli benefici. Di fatto l’implementazione dell’intelligenza artificiale in ambito urbanistico sta diventando sempre più comune. Questa tecnologia è utilizzata per risolvere i problemi urbani come il traffico, la gestione dei rifiuti e la sicurezza. Una delle applicazioni più comuni dell’AI nell’urbanistica è il monitoraggio del traffico. Utilizzando sensori, telecamere e algoritmi di apprendimento automatico, è possibile analizzare i dati del traffico in tempo reale e regolare il flusso di traffico per prevenire congestioni e migliorare la circolazione.
L’AI è anche utilizzata per la gestione dei rifiuti. Attraverso l’analisi dei dati, è possibile prevedere la produzione di rifiuti in una determinata area e pianificare di conseguenza la raccolta e il riciclaggio. Inoltre, l’AI può essere utilizzata per identificare le aree che richiedono una pulizia più frequente e per ottimizzare i percorsi dei mezzi di raccolta. La sicurezza pubblica è un’altra area in cui l’AI sta giocando un ruolo sempre più importante. I sistemi di sorveglianza basati sull’AI possono rilevare i comportamenti sospetti e segnalare potenziali minacce alle autorità competenti. Inoltre, l’AI può essere utilizzata per prevedere la criminalità e per identificare i luoghi a rischio, consentendo alle forze dell’ordine di prevenire i reati prima che si verifichino.
Infine, l’AI può essere utilizzata per migliorare la pianificazione urbana. Utilizzando i dati raccolti e l’analisi, i responsabili delle decisioni possono identificare le aree che richiedono miglioramenti e sviluppare soluzioni personalizzate per affrontare i problemi specifici di una determinata comunità. Di certo possiamo solo limitarci ad immaginare e prevedere come cambierà la nostra vita quotidiana nei prossimi anni. Come già avvenuto nelle grandi rivoluzioni del passato l’uomo dovrà adattarsi alle nuove esigenze imposte dalla società ma lo farà con un alleato in più che, se ben sfruttato ed implementato, potrà aiutarci a raggiungere obbiettivi e traguardi che fino a qualche mese fa potevano risultare utopici.
di Matteo Lo Giudice
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MUOVERSI IN CITTÀ: IL CAR SHARING L’auto condivisa è un modo innovativo, molto spesso conveniente e smart di muoversi in città. Ma non è sempre tutto oro ciò che luccica.
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Il car sharing è senza dubbio tra le proposte più evolute di muoversi nei grandi centri urbani. Ormai si tratta di una realtà consolidata, ma come tutto il comparto automotive ha anche questo subito una contrazione significativa in termini di volumi di attività e di utilizzo. Si è infatti registrata una riduzione del parco disponibile da circa 8.000 unità nel 2019 a 6.000 nel 2021. Il numero dei noleggi è passato da 13.023.766 nel 2019 a 5.530.780 nel 2021 (dati forniti da Ainsa - Associazione Nazionale Industria Autonoleggio e Servizi Associati). Fortunatamente il 2022 ha visto una inversione di tendenza arrivando a un flusso di circolazione vicino al periodo pre pandemia per quanto concerne numero di iscritti e di noleggi. Si perché la comodità e la convenienza del car sharing da parte dei consumatori sono notevoli. Lo si può definire come una forma di car rental evoluta e semplificata rispetto alle tradizionali formule. Non ci sono pratiche di noleggio e riconsegna, basta iscriversi on line sull’app dei vari gestori da cui poi controllare la localizzazione dei veicoli disponibili, la relativa prenotazione e la fine del noleggio. Al momento della registrazione l’utente fornisce patente, documenti di identità e carta di credito con cui si effettua il pagamento della tariffa di ogni viaggio effettuato. Il fee viene generalmente calcolato al minuto, ma ci sono anche formule per noleggi di più ore o di giornate intere, fini ad un massimo di 30 giorni, per venire incontro ad ogni esigenza. La tariffa include tutte le spese: carburante, parcheggio e accesso alle zone ZTL. In caso di noleggio di una vettura a corto di carburante (di solito sotto il 20-30%), utilizzando la carta di credito che si trova all’interno dell’abitacolo per fare rifornimento si ricevono minuti bonus di guida. Anche i neopatentati purché maggiorenni e con la patente conseguita da almeno 1 anno, posso usufruire del servizio. Utilissimo il collegamento offerto da alcuni gestori con i parcheggi a loro riservati negli aeroporti di Milano Malpensa, Linate, Roma Fiumicino, Ciampino e Torino Caselle. Inoltre da non sottovalutare la possibilità offerta da Share Now, una
delle principali società di car sharing, di accedere ai noleggi con le medesime modalità anche in altre città estere quali Vienna, Copenhagen, Madrid, Parigi, Amsterdam, Berlino, Francoforte, Budapest, Amburgo, Monaco di Baviera, Munster e Stoccarda, una vera manna per chi viaggia spesso. Recentemente a Milano, Roma e Torino la flotta di 500 elettriche offerta da Leasy permette di muoversi in totale stile ecofriendly. Fortunatamente anche le città più piccole si stanno organizzando per offrire la possibilità di usufruire car sharing. In Trenino Alto Adige ad esempio è da poco approdato un servizio di noleggio semplificato da usare anche in Austria, Germania, Belgio, Olanda e Svizzera. Indubbi i vantaggi e la comodità per coloro che non posseggono o non desiderano utilizzare il propio veicolo in città e vogliono sentirsi parte di un progetto sostenibile. Tuttavia non manca qualche criticità. Ad esempio non è sempre detto che l’auto da noleggiare sia nelle vicinanze e questo comporta la necessità di raggiungere a piedi o con altri mezzi il luogo dove si trova il mezzo prescelto. Dunque se si è di fretta si rischia di arrivare tardi o peggio perdere un treno! Non solo, le zone più periferiche così come i paesi dell’hinterland non sono generalmente aree operative del servizio, ecco che qui le regole cambiano così come le tariffe, inclusa una penale se si parcheggia in queste aree. Eventuali contravvenzioni restano ovviamente sempre a carico dell’utente. I danni invece no, almeno entro la franchigia della polizza assicurativa. Considerando tutto quanto sopra descritto usare l’auto senza pagarla e accollarsi le relative spese è perlomeno interessante se non si percorrono moltissimi chilometri l’anno, mediamente sotto gli 8/10.000. Interessante anche il car sharing tra privati noto come peer to peer, Da qualche tempo infatti, soprattutto in Nord America, in Francia e nel Nord Europa, si è sviluppata una pratica di condivisione della vettura tra privati cittadini. In Italia al momento questo sistema è piuttosto limitato, ma esiste un primo nucleo di servizi di questo genere. Il concetto è semplice: un cittadino che di-
di Federica Ascoli
FOCUS ON SPORT E CITTÀ
SPORTCITY MEETING 2023: LA PRIMA CONVENTION NAZIONALE DELLE SPORTCITY di F. Pagliara L’edizione 2023 – prima edizione – si è svolta tra l’1 e 2 aprile 2023 in una sporticity, Salsomaggiore Terme, con la partecipazione di oltre cento tra amministratori di città italiane grandi e piccole, esponenti del parlamento, massimi dirigenti della governance dello sport italiano, manager di settore e nuovi stakeholders. Attraverso interventi mirati, tavole rotonde, presentazione di best practice e di format da esportare e hanno avuto l’opportunità di confrontarsi con esperti di settore per conoscere a fondo le opportunità europee e italiane in materia di bandi e finanziamenti tesi alla diffusione della pratica sportiva nelle città, relazionando sulle tematiche promosse da Fondazione SportCity. Una due giorni intensa di lavori per ribadire l’importanza dello sport nella vita di tutti i giorni. L’1 e 2 aprile, al Palazzo dei Congressi di Salsomaggiore Terme (Pr), hanno partecipato alla prima edizione dello “Sportcity Meeting” oltre 100 amministratori di città italiane grandi e piccole, esponenti del Parlamento, massimi dirigenti della governance dello sport italiano, manager di settore e nuovi stakeholders.
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“È stato un successo di partecipazione come ci aspettavamo – dice soddisfatto il presidente di Fondazione SporticIty, Fabio Pagliara – perchè per un anno abbiamo lavorato per riunire in due giorni tante persone che hanno condiviso le loro competenze nel mondo dello sport per metterle al servizio dello amministrazioni e istituzioni pubbliche, quindi del paese. Questo meeting è stato un punto di partenza importante per costruire una rete che ora avrà il compito di mettere in pratica ciò che è emerso dai due giorni. Noi siamo pronti a farlo e il prossimo anno, nella seconda edizione, porteremo i risultati di ciò che verrà realizzato anche grazie alla Carta di Salsomaggiore firmata dagli amministratori presenti al meeting”. Ed è stato il ministro per lo sport e i giovani Andrea Abodi il primo firmatario della “Carta di Salsomag-
giore Terme”, il manifesto programmatico sul tema delle sportcities che detterà le linee guida per la trasformazione degli spazi urbani in luoghi deputati alla pratica sportiva destrutturata, firmato l’1 aprile anche dagli amministratori e dai rappresentanti del Parlamento presenti. “Sono convinto che la politica debba adottare un vocabolario comune perchè dando lo stesso significato alle questioni importanti dello sport rende le cose più facili, vedi ad esempio il passaggio alla camera all’unanimità sul decreto contro la pirateria – ha dichiarato Abodi – Siamo qui a Salsomaggiore con tanti rappresentanti qualificati del mondo dello sport, e riconosco a Fondazione Sportcity di aver iniziato con questo meeting un percorso che nei prossimi anni potrebbe aiutare tutti a realizzare quelle azioni di cui si parla spesso ma alle quali non si dà sempre seguito. Il focus di questo convegno è quello della trasformazione delle città in luoghi dove l’opportunità al diritto allo sport si presenti realmente”. Manifesto condiviso anche dal sottosegretario di Stato al ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica Claudio Barbaro, dagli onorevoli Mauro Berruto, Marco Perissa, Gaetana Russo, dalla senatrice Daniela Sbrollini, tutti relatori allo Sportcity Meeting insieme a Giammaria Manghi, capo della segreteria politica della presidenza della Regione Emilia-Romagna, Filippo Fritelli, sindaco di Salsomaggiore Terme, Silvia Salis, vice-presidente cicario del Coni, Angelo Argento, presidente di Culturae Italia, Luigi De Siervo, ad della Lega Serie A e Michele Uva, direttore di “Football & Social Responsibility” della Uefa. Durante la due giorni, sono stati presentati da Livio Gigliuto, vicepresidente dell’Istituto Piepoli, i risultati della ricerca denominata “Sportimetro”, il primo strumento di misurazione del livello di sportività di un Paese che, oltre a tenere conto della propensione della popolazione a praticare attività sportiva, coinvolge un importante numero di altre variabili. https://fondazionesportcity.it/sport-city-meeting/
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ATTIVITÀ FISICA E SPORTIVA A MILANO: L’IMPORTANZA DELLA PIANIFICAZIONE URBANISTICA IN OTTICA DI SALUTE
Le politiche urbanistiche e sociali in aiuto alla promozione della mobilità attiva e della pratica sportiva: il caso Milano Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), l’inattività fisica e la sedentarietà sono il quarto fattore di rischio di mortalità a livello globale, con quasi 3,2 milioni di morti1. In Italia si stima che siano responsabili del 15% circa di tutte le morti (ISCA, 2015), contribuendo ad aumentare l’incidenza di diverse patologie, tra cui: obesità, coronaropatie, diabete tipo 2, tumore del seno, del colon-retto e molte altre ancora, nonché causare disturbi psicologici e depressivi. Inoltre, secondo gli ultimi dati ISTAT2, più di un terzo degli Italiani (33,7%) ha dichiarato di non praticare sport o attività fisica nel tempo libero (30,3% degli uomini e 36,9% delle donne): un dato destinato inevitabilmente a crescere in mancanza di adeguate politiche volte a promuovere e incentivare sport e attività fisica in città. Come mai quindi, nonostante le raccomandazioni di medici e Organizzazioni sull’importanza di fare sport e privilegiare una mobilità attiva, ci sono ancora così tante persone sedentarie? Al di là del poco tempo a disposizione o del fattore pigrizia, sono diversi i fattori che in città possono scoraggiare le persone nel diventare più attive, come ad esempio il traffico automobilistico, responsabile inoltre dell’inquinamento acustico e atmosferico. Ma anche la paura di subire furti o violenze a causa di strade poco sicure e scarsamente illuminate e, ovviamente, l’assenza di parchi e infrastrutture adeguate, come piste ciclabili e aree fitness.
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Purtroppo, la gran parte delle città italiane è pensata per le auto e non per i pedoni, infatti, come ricorda il Senatore Occhiuto «Le città che abbiamo ereditato sono un luogo per le macchine e non per le persone, un posto inquinato, dove è difficile praticare attività fisica. Non vi si può camminare piacevolmente e in sicurezza, non si può usare una bici senza correre pericoli o senza respirare gas di scarico dalle automobili»3. 1
di Federico Bianchino Health City Manager Tuttavia, sarebbe errato demonizzare totalmente le città, in quanto, come ci ricorda l’OMS, «le città possono anche rappresentare un’opportunità per migliorare la salute pubblica attraverso politiche e azioni orientate alla salute»4. Infatti, come ricorda anche il “Piano Nazionale della Prevenzione 2020-2025”, obesità e diabete molte volte sono prevenibili anche adottando uno stile di vita sano, che comprenda la regolare pratica di esercizio fisico e una corretta alimentazione; in particolare si dovrebbero fare «almeno 30 minuti al giorno per 5 volte alla settimana di attività fisica aerobica di intensità moderata, come camminare a passo veloce, andare in bicicletta, nuotare, ballare…»5. Le città devono quindi diventare luoghi in cui fare prevenzione primaria, dove incentivare l’adozione di corretti stili di vita e promuovere la salute come bene comune. Per farlo, devono necessariamente passare anche attraverso un’adeguata pianificazione urbanistica e sociale, come sta facendo la città di Milano. In questi ultimi anni, Milano ha avviato interventi volti a migliorare il benessere psicofisico e sociale dei suoi cittadini, attraverso l’adozione di politiche sociali, urbanistiche e di viabilità e sicurezza stradale, queste ultime spesso servendosi anche dell’ausilio di interventi di urbanistica tattica6. Per incentivare la mobilità attiva, dopo l’approvazione del BiciPlan Cambio del 2021 - un addendum del PUMS7 - , Milano ha iniziato a “moltiplicare” le piste ciclabili urbane e realizzare anche “super ciclabili” che collegano il centro alla periferia ed ai comuni vicini, puntando ad arrivare così ad avere in totale ben 750 km di ciclabili all’interno della stessa Città Metropolitana. Dal 2018 è in atto anche il programma “Piazze Aperte”, che fino ad oggi ha pedonalizzato oltre 25mila mq di spazio pubblico8, rendendo questi luoghi vivibili
Linee guida OMS: attività fisica (2020) ISTAT: Sport, attività fisica, sedentarietà (2021) 3 Urbe Magazine N3 - 2022 4 https://www.epicentro.iss.it/politiche_sanitarie/healthy-cities-2019 5 https://www.salute.gov.it/portale/nutrizione/dettaglioContenutiNutrizione.jsp?lingua=italiano&id=5510&area=nutrizione&menu=croniche&tab=6 6 Dall’inglese “ Tactical urbanism”: interventi temporanei e localizzati, realizzati a basso costo e con un ridotto processo burocratico. 2
grazie all’installazione di panchine, piante e tavoli da ping pong. Come sostiene l’architetto Demetrio Scopelliti, Direttore di Urbanistica, Territorio e Spazio Pubblico di AMAT - Agenzia Mobilità, Ambiente e Territorio, «Piazze Aperte vuole essere una risposta all’insoddisfazione di chi vorrebbe che le strade intorno alle scuole fossero più sicure, accessibili a piedi e in bicicletta, luoghi più salubri e meno inquinati, a misura di bambino e non di automobile»9. Figura 1 Piazza Bacone (MI)
Inoltre, attraverso l’utilizzo di fondi europei e nazionali, il capoluogo lombardo da alcuni anni promuove e supporta economicamente la creazione di organizzazioni non-profit e startup volte a migliorare la vita dei residenti, spesso abitanti dei quartieri più periferici, al fine di potenziare i servizi e gli spazi cittadini. Ad esempio, gli ultimi bandi di questo genere sono stati “Mi15 Spazi e Servizi per Milano a 15 minuti” e “La Scuola dei Quartieri”: proprio da quest’ultimo è nata ECOSKATE, l’Associazione Sportiva Dilettantistica di cui sono co-fondatore e presidente. In Ecoskate organizziamo progetti scolastici e corsi di skateboard per tutte le età, con l’obiettivo di insegnare a spostarsi in maniera sostenibile e attiva sul territorio. Per noi è molto importante trasmettere ai più piccoli l’importanza della pratica sportiva e della mobilità attiva, come fattori chiave per contrastare l’insorgere delle malattie non trasmissibili, come diabete e obesità, che sempre più spesso colpiscono le nuove generazioni, caratterizzate oltretutto da un elevato tasso di sedentarietà.
Infine, sempre sul fronte viabilità, recentemente il consiglio comunale milanese ha approvato l’ordine del giorno “Città Zona 30”10 , il quale invita il sindaco Sala e la sua giunta a proclamare Milano Città 30, applicando quindi il limite di 30 km/h.
Alla pratica sportiva siamo inoltre riusciti a collegare anche quella legata al riciclo e riuso: siamo infatti i primi in Italia a realizzare tavole skateboard artigianali in plastica 100% riciclata, proveniente prevalentemente dal recupero di tappi di plastica. Le abbiamo chiamate Ecoskateboard e si inseriscono perfettamente all’interno dell’ottica dell’economia circolare.
Tutti questi interventi sono volti anche a connettere i vari luoghi e servizi pubblici cittadini, creando così entro il 2030 una città fatta di tanti piccoli quartieri, rifacendosi alla “città dei 15 minuti” e realizzando una città “a misura di bambino”, il cittadino più fragile.
Come abbiamo visto, la pianificazione di una città salutogenica non è fatta solo di interventi urbanistici, è piuttosto il risultato una combinazione di politiche pubbliche, dove quelle in materia di salute rivestono inevitabilmente un ruolo e una posizione prioritari.
Per quanto riguarda invece la promozione dell’attività sportiva, il Comune di Milano sta realizzando parchi cittadini all’avanguardia, che, oltre alle classiche aree kids, comprendono diverse aree fitness per esercizi a corpo libero e piccoli campi da gioco: vere e proprie palestre a cielo aperto gratuite per i milanesi. Oltre ad aver riqualificato vecchi skatepark e realizzato nuovi percorsi mountain bike.
Per far si che le città diventino quindi luoghi di promozione della salute e del benessere, è necessario dare priorità a politiche ed interventi di prevenzione e promozione sanitaria, integrandole nei processi decisionali di vari settori, come sport, ambiente, mobilità, urbanistica, alimentazione e ovviamente medicina.
Fotografia di Moreno Maggi - Parco Viale Argonne
Col fine di perseguire l’approccio integrato One Health, diventa essenziale e auspicabile che le città incomincino a dotarsi di figure professionali specializzate, con competenze trasversali e altamente qualificate. Persone come gli Health City Manager, in grado di guidare le amministrazioni locali nel diventare Città della salute, capaci inoltre di analizzare i bisogni dei cittadini e favorire la collaborazione interprofessionale e multidisciplinare tra i diversi settori.
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Piano Urbano della Mobilità Sostenibile. “Un piano strategico che si basa sugli strumenti di pianificazione per soddisfare le necessità di mobilità delle persone e delle merci con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita nelle città e nei loro dintorni” (https://www.osservatoriopums.it/) 8 https://www.comune.milano.it/aree-tematiche/quartieri/piano-quartieri/piazze-aperte 9 https://www.linkedin.com/posts/demetrio-scopelliti-947417a9_piazzeaperte-activity-7000020766956109824Hqg1/?originalSubdomain=lk 10 https://www.ansa.it/lombardia/notizie/2023/01/09/milano-aula-approva-odg-citta-zona-30-per-auto_76fb2eb2c461-4714-905f-75f96642778c.html
NEWS DALLA RETE
Cities Changing Diabetes Roma - Italia
è invece pari a 173 mila individui.
Cities Changing Diabetes Roma, tramite l’Health City Institute ha avviato contatti con il Comune di Roma Capitale, l’Istat e i partner locali per avviare uno studio sulla popolazione insistente della città.
Roma è una città in continua espansione, con un territorio dell’area metropolitana che è il doppio di quello di Madrid ed è vasto dodici volte il territorio della città di Parigi.
La popolazione insistente in una data area è composta da sottopopolazioni di residenti, di lavoratori, studenti e city users. Differisce tanto più dalla popolazione iscritta in anagrafe quanto più l’area in questione è attrattiva o repulsiva: le persone che si muovono verso le città sedi di servizi o di attività produttive cambiano la fisionomia sia del luogo di origine che di quello di destinazione, e generano concorrenza tra la popolazione dei residenti e quella dei non residenti nell’uso/consumo di risorse e di servizi.
L’area metropolitana del resto è l’espressione di un territorio in evoluzione continua, che racchiude profonde differenze fra comuni, tra municipi, tra ambito urbano e sub-urbano, per quanto riguarda la struttura demografica e la composizione socio – economica della popolazione. La pianificazione urbana deve valutare l’impatto sulla salute dei cittadini con l’obiettivo di rendere i servizi socio – sanitari adeguati allo sviluppo urbanistico
Poter rispondere a domande quali “Quante sono queste persone?”, “Da dove provengono?”, “Quali sono le loro caratteristiche?”, “Quanto distano i loro luoghi di origine?”, “Quanto spesso effettuano i loro spostamenti?” può rappresentare un supporto per la programmazione dell’offerta di trasporti, di alloggi, di energia, di servizi sanitari, ecc. e per la predisposizione di piani di prevenzione e intervento in caso di calamità naturali (terremoti, inondazioni, frane ecc.).
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Il comune di Roma fa registrare 3,7 milioni di individui insistenti (turisti esclusi), il 28,4 per cento in più rispetto alla popolazione residente. La popolazione insistente è costituita da 1,3 milioni di individui che si spostano all’interno del territorio comunale per raggiungere il posto di lavoro o di studio, da 1,3 milioni di persone che non effettuano spostamenti per tali ragioni (considerati come “statici”) e da 949,2 mila individui in ingresso da un altro comune. Di questi, solo 287,2 mila provengono dalla provincia di Roma; la restante parte registra invece una mobilità di medio/lungo raggio, plausibilmente non quotidiana. L’ammontare della popolazione in uscita dal comune
Regione Marche - Italia
Il 19 aprile è stato presentato presso ad Ancona l’Atlas Cities Changing Diabetes della regione Marche. I dati che riguardano 80 mila marchigiani con diabete, cioè quasi il 4,4 per cento della popolazione, sono emersi nel corso del convegno che si è tenuto oggi in Regione “Cities Changing Diabetes e organizzato da Health City Institute, Regione Marche e Politecnica delle Marche, sono riportati dall’ATLAS Cities Changing Diabetes Marche. Un documento che è il primo passo per mettere a punto azioni concrete del progetto internazionale - della University College
di Londra e del danese Steno Diabets Center - che valuta l’impatto dell’urbanizzazione sulle malattie croniche come il diabete e in particolare nelle metropoli. Le Marche , con una popolazione di 1 milione e 500 mila abitanti che la fa assimilare ad una metropoli e soprattutto la sua ventennale rete diabetologica integrata, sono la prima regione italiana ad aver aderito a questo progetto internazionale, insomma un caso di studio virtuoso. “ Siamo orgogliosi di poter apportare un contributo prezioso a questo progetto molto importante – ha sottolineato il presidente Francesco Acquaroli in apertura del convegno – perchè rientra nelle strategie della Regione e del Piano Socio Sanitario applicare misure di prevenzione delle malattie croniche e il diabete è senz’altro un asset prioritario del Piano. Strategie di prevenzione che rientrano in quel percorso della sanità di prossimità in cui l’ospedale deve essere l’ultimo presidio a cui ricorrere. Mi fa molto piacere che siamo la prima Regione ad aderire a questo progetto per la marcata sensibilità e attenzione sul tema Diabete perché sappiamo bene quale impatto ha sul sistema sanitario, sui malati e sulle famiglie e questo progetto aiuterà a migliorare ancor più i servizi sanitari.” La Regione Marche è entrata nel progetto nel 2021 e si aggiunge ad altre grandi città italiane ( Roma, Milano, Torino, Napoli, Bari, Bologna, Genova ) insieme a molti Enti, Istituzioni, amministrazioni locali e associazioni sanitarie e a 44 città nel mondo per un totale di 200 milioni di cittadini che aderiscono al progetto Cities Changing Diabetes. “ Un progetto molto importante già inserito nel Piano Socio Sanitario – ha evidenziato l’assessore regionale alla Sanità, Filippo Saltamartini - e che va corroborato. La nostra regione conta delle associazioni su questa malattia molto significative in termini di organizzazione e progettualità , quindi credo che il Diabete sarà una delle patologie croniche su cui puntare la massima attenzione nei prossimi anni. Intanto abbiamo già previsto nel Bilancio lo stanziamento di 9 milioni di euro per apparecchiature tecnologiche che consentano di trattare questa malattia con strumenti di telemedicina già a partire dagli studi aggregati di medici di base. Si costruisce una rete che è già stata monitorata dall’Unione Europea e premiata e in quella direzione contiamo di dare un servizio sempre più puntuale ai nostri pazienti diabetici. “ Al convegno erano presenti molto esperti, medici e rappresentanti delle associazioni, oltre al Rettore dell’Università Politecnica delle Marche, Gian Luca Gregori che ha ricordato la costruttiva collaborazione con la Regione in questi anni e il significato di un “progetto che può in futuro promuovere azioni concrete per una
concreta riduzione dell’incidenza di questa patologia.” Massimiliano Petrelli – endocrinologo e presidente del Comitato Scientifico Marche Cities Changing Diabetes – ha posto l’accento sulla rete diabetologica marchigiana, spiegando come i Centri Diabetologici siano in rete, con un unico database clinico – epidemiologico, un’unica cartella clinica all’interno della rete, elementi che garantiscono al cittadino un’equità della cura e la possibilità di muoversi tra i centri senza portare documentazione cartacea. Un sistema che permette alla Regione di avere a disposizione tutti i dati inerenti al diabete , raccolti in maniera omogenea e standardizzata. “ Queste peculiarità rendono le Marche una regione unica nel suo genere – ha evidenziato Gian Marco Revel, presidente del Comitato esecutivo regionale del progetto - e ciò ha spinto a fare riflessioni sul legame diabete – territorio che permetteranno di attivare policy mirate al contenimento della malattia. “ In collegamento anche Andrea Lenzi , presidente Health City Institute e del Comitato nazionale Biosicurezza e Biotecnologie – che ha sottolineato l’importanza dell’ATLAS come una mappatura significativa per la ricerca, l’analisi e l’osservazione , in linea con le finalità del progetto che vuole mettere in luce il fenomeno con dati e evidenze per agire concretamente in considerazione del crescente numero di persone con diabete e conseguenti costi economici e sociali.” Madrid - Spagna Cities Changing Diabetes Madrid ha pubblicato un articolo sulla rivista scientifica Nutrients che mostra risultati promettenti del programma di promozione della salute della città ALAS. ALAS è attivo da oltre un decennio ed è orientato a educare le persone ad alto rischio di diabete su stili di vita più sani, concentrandosi su cibo, attività fisica e salute. L’articolo esamina l’impatto dovuto al COVID-19 sulle abitudini legate alla salute delle persone ad alto rischio di diabete di tipo 2. Mostra che il peso, il BMI e l’aderenza alla dieta mediterranea sono migliorati tra i partecipanti al programma ALAS nonostante la percezione di un impatto complessivo negativo sulla loro salute, sul sonno e sulla dieta. Ciò suggerisce che programmi come ALAS, che lavorano con popolazioni ad alto rischio, possono avere impatti sulla protezione della salute durante situazioni avverse impreviste come COVID-19. Questa nuova ricerca si basa su un precedente articolo, pubblicato sulla rivista scientifica Nature, sulla “Valutazione in condizioni di vita reale di un intervento sullo stile di vita per la prevenzione del diabete sviluppato dai servizi sanitari municipali di Madrid”. Entrambi
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gli articoli sono il prodotto della collaborazione tra Madrid Salud, l’istituzione cittadina responsabile della promozione della salute e della prevenzione delle malattie, la Cooperativa APLICA e Cities Changing Diabetes Madrid. Barranquilla - Colombia I partner di Cities Changing Diabetes a Barranquilla, in Colombia, si sono incontrati all’inizio di marzo per discutere i piani e la struttura di governance della partnership. Barranquilla è entrata a far parte della rete globale nel novembre 2022, approvata dal sindaco di Barranquilla, Jaime Pumarejo, che ha osservato che la città sta affrontando una crescente prevalenza di diabete ed è pronta ad agire sulla prevenzione e investire in una visione a lungo termine per la salute. I partner stanno lavorando per definire le priorità chiave del programma, guidate dai principi della Dichiarazione sul diabete urbano. Non vediamo l’ora di vedere, sostenere e condividere le proposte dei partner. Un’opportunità che i partner stanno esplorando è quella di ingrandire l’area della città di El Gran Malecón del Río, un corridoio di 10 chilometri lungo il fiume Magdalena dove si possono trovare ristoranti, locali e altre attrazioni. È una meta ambita dalle famiglie e il rafforzamento delle attività di prevenzione e sanità pubblica sul territorio è una priorità per l’amministrazione locale. I lavori inizieranno con il raggiungimento degli partner locali, comprese le aziende private, per vedere come i messaggi sulla prevenzione e l’impatto del diabete e dell’obesità nella città possono essere amplificati.
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INDAGINI E PROGETTI
Esposoma, urbanizzazione e malattie metaboliche.
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La progressiva industrializzazione e conseguente urbanizzazione a cui si è assistito dall’inizio del 20° secolo si è accompagnata ad una radicale modifica nell’incidenza di alcune malattie croniche non trasmissibili (non communicable diseases, NCD), con un trend in esponenziale aumento che non può essere spiegato dalla sola predisposizione genetica. Numerosi studi hanno efficacemente dimostrato che il rischio di sviluppare NCD è determinato da una complessa interazione tra la suscettibilità genetica ed i fattori ambientali cui l’individuo è esposto durante la propria vita. Nel 2005, l’epidemiologo Christopher Wild per la prima volta ha proposto il concetto di esposoma, per descrivere l’insieme di fattori cui un individuo è esposto, dal momento del concepimento fino alla morte. Si capisce facilmente come la caratterizzazione dell’esposoma rappresenti una sfida per la comunità scientifica, data la complessità dei fattori da prendere in considerazione, la natura dinamica dell’esposoma (poiché il profilo di esposizione di uno stesso individuo varia nel tempo), e la variabilità di associazione di diverse ‘esposizioni’. Da qui nasce l’interesse nel definire e comprendere tutti i potenziali fattori ambientali associati all’insorgenza della malattia. Solo in anni più recenti, tuttavia, i meccanismi molecolari con cui l’ambiente influenza il fenotipo sono stati chiariti, grazie agli studi di epigenetica. L’identificazione dei processi epigenetici (ovvero, modificazioni che influenzano l’espressione genica senza alterare la sequenza del DNA) ha reso evidente come questi abbiano un ruolo chiave nel modulare l’espressione genica e nel determinare l’insorgenza di malattia in individui geneticamente predisposti in risposta a fattori ambientali. I cambiamenti epigenetici possono verificarsi sia in utero che dopo la nascita, modificando la conformazione spaziale della cromatina (ovvero determinando una maggiore o minore accessibilità della cromatina stessa ai fattori di trascrizione) e regolando quindi, in ultima analisi, la trascrizione genica. Alcuni periodi dello sviluppo rappresentano finestre di estrema suscettibilità all’effetto
negativo dei fattori ambientali: ad esempio il periodo prenatale e post-natale precoce, in cui il potenziale impatto dei fattori ambientali nel determinare il rischio di malattia in età adulta è maggiore. Attualmente si stima che più del 50% della popolazione mondiale viva in ambito urbano, in cui l’inquinamento e lo stile di vita non salutare hanno un impatto decisamente negativo sulla salute, contribuendo all’aumento della mortalità per tutte le cause. L’urbanizzazione è infatti frequentemente associata a stili di vita non salutari, caratterizzati da sedentarietà, alterazioni del ritmo sonno veglia, anomala esposizione a luce artificiale ni contesti urbani, ed aumentati livelli di stress, che sembrano essere strettamente associati ad aumento del rischio di NCD, in particolare obesità e DM2. Inoltre, è stata evidenziata una disparità nel rischio di malattie metaboliche associata al livello socioeconomico: i soggetti che appartengono a gruppi economicamente svantaggiati sembrano avere maggiore vulnerabilità alle NCD, in parte perché in percentuale maggiore adottano stili di vita non salutari. Inoltre, tale disparità è sicuramente imputabile anche alla minore facilità di accesso ai servizi socio-sanitari. L’obesità è definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) come un eccessivo accumulo di tessuto adiposo che potrebbe compromettere la salute. La prevalenza dell’obesità è aumentata sia nei Paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo, raggiungendo proporzioni pandemiche, nell’ultimo decennio. Si stima che il sovrappeso e l’obesità siano responsabili di più di 4 milioni di decessi all’anno. L’obesità è un noto fattore di rischio per le malattie quali l’ipertensione, le malattie cardio-cerebrovascolari, alcuni tipi di cancro e, naturalmente, il diabete mellito di tipo 2. Il diabete mellito è una malattia cronica caratterizzata dalla presenza di elevati livelli plasmatici di glucosio, che si associa ad elevata mortalità e morbidità. Anche la prevalenza di diabete mellito ha subito una crescita
di Caterina Formichi, Laura Nigi, Francesco Dotta Dipartimento di Scienze Mediche, Chirurgiche e Neuroscienze, Università di Siena
esponenziale: l’International Diabetes Federation (IDF) ha stimato che il numero di pazienti diabetici raggiungerà i 700 milioni entro il 2045, con conseguente impatto allarmante sui sistemi sanitari e sulla salute globale. Si comprende facilmente come un tale aumento di incidenza rappresenti una vera e propria epidemia, con impatto allarmante sulla salute pubblica e sui sistemi sanitari, vista l’elevata mortalità e morbidità di questa patologia. Le principali forme di diabete mellito sono il diabete mellito di tipo 1 (DM1) ed il diabete mellito di tipo 2 (DM2). Il DM2 è la forma più comune di diabete mellito e rappresenta il 90-95% di tutte le forme di diabete mellito; è caratterizzato da una combinazione di carenza relativa di insulina e di resistenza periferica all’insulina. Nel DM1, fattori esogeni (quali tossine, infezioni virali, fattori dietetici, stress e microbioma intestinale) promuovono l’instaurarsi della risposta autoimmune contro le beta-cellule, favorendo l’esordio di malattia in soggetti geneticamente predisposti. L’impatto dei fattori ambientali sull’incidenza di DM1 è stato finora meno indagato, tuttavia molti dati epidemiologici supportano l’importanza dei fattori ambientali nello sviluppo di DM1, suggerito dal progressivo aumento di prevalenza di malattia nelle popolazioni con genotipo considerato ‘a basso rischio’ e nelle popolazioni che migrano da zone a bassa incidenza a quelle ad alta incidenza, al pattern stagionale di insorgenza di nuovi casi, all’aumento di nuovi casi ad esordio tardivo, dopo i 50 anni. Nello studio dell’esposoma in relazione alle malattie metaboliche, lo stile di vita è indubbiamente il fattore esogeno maggiormente indagato: dieta, sedentarietà, qualità del sonno, esposizione alla luce, fumo attivo o passivo e stress sembrano promuovere uno stato infiammatorio sistemico e favorire l’insulino-resistenza, meccanismo patogenetico chiave nello sviluppo di obesità e DM2. Per contro, l’adozione di uno stile di vita più salutare, il raggiungimento ed il mantenimento di un peso corporeo adeguato e la regolare attività fisica,
si sono dimostrati efficaci nel prevenire o ritardare l’insorgenza di obesità e DM2. Numerosi studi hanno efficacemente dimostrato come i singoli nutrienti o specifici pattern alimentari, attraverso meccanismi epigenetici, possano influenzare la suscettibilità allo sviluppo di obesità e DM2. La dieta, infatti, influenza la disponibilità di substrati enzimatici necessari per i processi epigenetici: diete povere di folato e ricche di grassi sono state associate a modifiche dello stato di metilazione del DNA, uno dei principali meccanismi di regolazione epigenetica dell’espressione genica. Semplificando, possiamo affermare che il consumo di alimenti a basso contenuto di fibre e ad alto indice glicemico, il consumo frequente di carni lavorate e di bevande zuccherate sono associati ad aumentato rischio di DM2, mentre l’utilizzo di alimenti vegetali, cereali integrali, legumi e pesce hanno un effetto opposto. Oltre all’impatto dei singoli nutrienti e/o alimenti, diversi studi hanno dimostrato inoltre come alcuni modelli dietetici, come quello occidentale, si associano ad un aumentato rischio di obesità e DM2 rispetto alla dieta mediterranea o vegetariana. Fattori nutrizionali sembrano essere implicati anche nella patogenesi del DM1 poiché potenzialmente coinvolti nello sviluppo di autoimmunità verso le isole pancreatiche, agendo come fattori antigenici scatenanti o come cofattori nell’infiammazione intestinale. La maggior parte degli studi sul ruolo dei fattori nutrizionali nello sviluppo di DM1 ha indagato l’effetto dell’esposizione ad alcuni nutrienti nella prima infanzia, con risultati spesso discordanti. Ad esempio, alcune evidenze sembrano indicare un ruolo protettivo dell’allattamento al seno ed un impatto potenzialmente negativo della precoce introduzione di latte vaccino nel neonato, tuttavia, non è possibile trarre conclusioni definitive, anche per la presenza di differenze tra i vari studi (ad esempio la mancanza di distinzione tra allattamento esclusivo o parziale, la durata dell’allattamento esclusivo e l’età di introduzione delle proteine del latte
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vaccino , differenze nelle pratiche di svezzamento) che possono aver influenzato i risultati. Risultati discordanti riguardano anche l’effetto del timing di introduzione di cereali (contenenti glutine e non) e il rischio di sviluppare autoimmunità contro le isole pancreatiche. Più recentemente è stato dimostrato che l’effetto favorevole di una dieta salutare sulle malattie metaboliche, oltre all’evidente conseguenza sul peso corporeo, potrebbe essere imputabile ad una modulazione del microbioma intestinale, il complesso di microorganismi (batteri, virus, funghi e protozooi) che colonizzano il corpo umano e, in particolare, il tratto gastrointestinale. Il microbioma intestinale regola l’assorbimento dei nutrienti e partecipa quindi alla regolazione del metabolismo: una dieta ricca di fibre, ad esempio, favorisce una maggiore diversità nelle specie componenti il microbioma intestinale, mentre i cibi industriali e gli additivi in essi contenuti possono alterare il microbioma intestinale, riducendone la biodiversità, e favorire un’alterazione della composizione, definita disbiosi. La disbiosi è riconosciuta ormai tra i fattori causali di numerose malattie metaboliche. Anche i cambiamenti nelle moderne tecniche di lavorazione e conservazione degli alimenti possono avere un impatto sulla composizione del microbioma ed è stato osservato che l’industrializzazione è stata accompagnata da un declino generale della biodiversità del microbioma intestinale. Inoltre il microbioma intestinale interagisce con il sistema immunitario ed è fondamentale nella regolazione dell’immunità dell’ospite e dei meccanismi di tolleranza immunitaria. La disbiosi è stata infatti associata a fenomeni autoimmunitari e potrebbe essere coinvolta anche nell’insorgenza di DM1.
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Al di là del ruolo ormai noto del cosiddetto ambiente ‘obesogeno’ che abbiamo descritto, l’urbanizzazione è stata anche associata ad un’aumentata esposizione ad agenti inquinanti. L’effetto nocivo di alcune sostanze inquinanti sul sistema endocrino è nota da decenni: già negli anni ’40 iniziarono ad emergere i primi dati sul rischio di tossicità sul sistema endocrino di alcuni composti utilizzati in ambito industriale e farmaceutico, capaci di interferire con il fisiologico funzionamento del sistema endocrino-metabolico e pertanto definiti ‘interferenti endocrini’ (endocrine disruptors, EDs), e numerosi dati epidemiologici indicano una associazione tra l’esposizione ad inquinanti ambientali e lo sviluppo di patologie endocrino-metaboliche, tra cui obesità e diabete mellito. Tuttavia, la ricerca sui meccanismi con cui gli EDs determinano una compromissione metabolica responsabile di obesità, diabete mellito e disturbi metabolici è un campo di ricerca relativamente nuovo.
Alcuni EDs (diossina, inquinanti organici persistenti -POPs-, ed in particolare i pesticidi organoclorurati e i bifenili policlorurati -PCBs-, e bisfenolo A -BPA) possono indurre insulino-resistenza, per azione diretta sulle cellule secernenti insulina, e pertanto vengono definiti ‘diabetogeni’. L’effetto diabetogeno sembra legato anche ad alterazione dei livelli di glucagone, l’ormone che contrasta l’effetto ipoglicemizzante dell’insulina, della leptina e dell’adiponectina, compromettendo il bilancio energetico e favorendo la comparsa di obesità ed iperglicemia. Inoltre, alcuni EDs diabetogeni sembrano innescare una risposta pro-infiammatoria, che favorisce l’insulino-resistenza. Alcuni EDs possono inoltre favorire l’insorgenza di DM1, per effetto tossico diretto sulle beta-cellule, compromettere lo sviluppo e la funzione del sistema immunitario, influenzare la composizione del microbioma intestinale, alterare la permeabilità intestinale e modificare l’espressione genica mediante meccanismi epigenetici. Infine, l’inquinamento atmosferico, prodotto sia da processi industriali e dalla combustione di combustibili fossili (outdoor air pollution) che dai comuni elettrodomestici (indoor air pollution), aumenta il rischio di DM2, con meccanismi non completamente noti ma verosimilmente riconducibili all’instaurarsi di uno stato infiammatorio cronico in risposta all’inalazione di miscele di gas e particelle, con conseguente aumento dello stress ossidativo. L’inquinamento ambientale potrebbe inoltre essere coinvolto nella patogenesi del DM1, come dimostrato dall’associazione tra inquinanti atmosferici e malattie autoimmuni e dall’aumento dei markers di stress ossidativo sistemico in seguito ad esposizione ad inquinamento atmosferico nei soggetti affetti da DM1. Possiamo quindi concludere che l’urbanizzazione ha avuto un impatto finora prevalentemente negativo sulla salute collettiva, ma un’attenta pianificazione urbana e l’implementazione di iniziative volte a contrastare il diabete urbano, possono offrire l’opportunità per migliorare la salute della collettività, intesa non solo come assenza di malattia ma anche come benessere psicologico e sociale, superando i rischi connessi all’urbanizzazione.
Pho to fro m
Fre ep ik. co m
Che cos’è il proge琀o ATHLETE? ATHLETE è un proge琀o finanziato dall’Unione Europea il cui obie vo è di migliorare la conoscenza dell’impa琀o dell’ambiente sulla salute umana, dalla gravidanza all’adolescenza, a琀raverso lo studio dell’Esposoma. Il proge琀o riunisce 23 partner provenien琀 da 12 Paesi, tra ques琀: is琀tu琀 di ricerca, università, is琀tu琀 nazionali di salute pubblica e ambientale oltre a gruppi di ci琀adinanza a va.
Segui il nostro viaggio sui social:
#ATHLETEproject www.athleteproject.eu
L'esposizione precoce agli inquinan琀 ambientali influisce sulla nostra salute. Ogni giorno siamo espos琀 a una serie di sostanze inquinan琀 a琀raverso la nostra dieta, i prodo che acquis琀amo, il nostro s琀le di vita e l'ambiente in cui lavoriamo e viviamo. L’insieme delle esposizioni ambientali nel corso della vita, dal concepimento all'età adulta, è chiamato Esposoma.
Alta pressione sanguigna
Basso peso alla nascita
Obesità
L’esposizione quo琀diana a questo insieme di sostanze inquinan琀 può avere conseguenze per tu琀a la vita sulla salute, in par琀colare quando l'esposizione avviene durante le fasi iniziali e più vulnerabili della nostra vita. Questo può tradursi in condizioni di salute e mala e per le generazioni a琀uali e future. ATHLETE valuterà gli effe dell'Esposoma sui bambini, concentrandosi su:
Funzione polmonare rido琀a
Sviluppo del cervello
Scopri di più sul proge琀o ATHLETE: www.athleteproject.eu
Comprendere gli effe dell'Esposoma sulla nostra salute Lo studio dell’Esposoma può aiutarci a capire meglio come l’insieme delle sostanze chimiche ambientali possono avere un impa琀o sulla nostra salute e come possiamo impedire che ciò accada ado琀ando azioni individuali, comunitarie e poli琀che. ATHLETE darà vita a strumen琀 avanza琀 per studiare l'Esposoma e la sua influenza sulla nostra salute durante i primi anni di vita. Ciò include esposizioni individuali a sostanze chimiche e determina琀 s琀li di vita, esposizioni esterne all'inquinamento atmosferico e agli ambien琀 circostan琀 e interazioni con i nostri processi biologici interni.
Esposoma individuale DIETA TABACCO
PRODOTTI DI CONSUMO
ACQUA ATTIVITÀ FISICA
PRODOTTI CHIMICI TOSSICI
Rischio per la salute e valutazione dell'impa琀o
Esposoma interno
Esposoma esterno EPIGENETICA, METABOLOMA, MICROBIOMA, INVECCHIAMENTO, STRESS AMBIENTE URBANO
CLIMA
SPAZI VERDI
TRAFFICO
CAPITALE SOCIALE
Seguiamo oltre
80,000 coppie di mamme e bambini in tu琀a Europa per misurare precisamente in che modo l'Esposoma ha un impa琀o su di noi nelle fasi iniziali e più vulnerabili della vita.
Gli strumen琀 innova琀vi e la ricerca di ATHLETE contribuiranno a:
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Migliorare la comprensione degli effe sulla salute dell'Esposoma durante le fasi precoci di vita più vulnerabili, u琀lizzando studi di coorte longitudinali che vanno dalla gravidanza all'adolescenza. Proge琀are interven琀 per limitare la nostra esposizione ai rischi ambientali e, così facendo, migliorare il nostro Esposoma individuale. Creare strumen琀 all'avanguardia e liberamente accessibili per misurare, analizzare e interpretare i da琀 rela琀vi all’Esposoma e tradurre le nuove conoscenze in poli琀che e pra琀che.
Questo proge琀o ha ricevuto finanziamen琀 dal programma di ricerca e innovazione Horizon 2020 dell'Unione Europea nell'ambito della convenzione di sovvenzione n. 874583.
Rigenerazione urbana, salute e sostenibilità: quali scenari per Roma Capitale? Le correlazioni tra lo stato di salute della popolazione e le disuguaglianze sociali, economiche ed ambientali che la caratterizzano sono un dato di realtà, e le disuguaglianze di salute si accompagnano più spesso ad altre distanze soprattutto nelle città, dove pongono sfide fondamentali per il loro disegno e la loro amministrazione. All’interno dei grandi contesti urbani l’iniquità del sistema produce infatti spesso delle sacche di invisibilità. È un caso evidente quello di Roma Capitale, dove l’estensione territoriale, unita alla ridotta densità abitativa, e alle caratteristiche di hub cittadino per il resto della regione e non solo, fanno da detonatore rispetto all’esigenza di intervenire per rigenerare il tessuto urbano in ottica di sostenibilità.
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Il 54% della popolazione mondiale vive in aree urbane e se da un lato la concentrazione della popolazione nelle città è il risultato dell’evoluzione socio-economica, dall’altro costituisce un vero e proprio amplificatore di problemi e di fattori di rischio. Questi ultimi vanno dall’inquinamento atmosferico, alla congestione, all’emarginazione sociale. In questo quadro il concetto di rigenerazione urbana, definito come un processo che mira al recupero o alla trasformazione degli spazi urbani degradati attraverso iniziative e progetti di riqualificazione, assume un ruolo centrale. I progetti di rigenerazione urbana hanno infatti lo scopo di migliorare le condizioni fisiche, sociali ed economiche degli spazi urbani, promuovendo al contempo la tutela dell’ambiente. Proprio per quest’ultimo rappresentano una grande opportunità, perché sono rivolti allo sviluppo di un modello di città sostenibile, capace di influenzare direttamente la qualità della vita dei cittadini. Particolarmente rilevanti, soprattutto in alcuni contesti urbani, diventano le strategie per la mobilità sostenibile che, nella più ampia ottica della rigenerazione urbana, possono diventare parte integrante di tutti quei progetti che mirano a migliorare la vivibilità della città, e contribuiscono a ridurre i divari di cittadinanza, i problemi sociali e le fragilità.
Tutto questo ha molto senso se riportato alla città di Roma. Come sottolineato dai ricercatori dell’Istituto per la Competitività (I-Com) nel Policy brief “Rigenerazione urbana e mobilità sostenibile Scenari per Roma Capitale verso Giubileo 2025 ed Expo 2030” pubblicato lo scorso mese di ottobre 2022, la città eterna occupa 1.287 kmq sul territorio laziale, con una popolazione residente pari a poco meno di 3 milioni di abitanti, ed una densità abitativa pari a circa 2.152 abitanti per chilometro quadrato. Si tratta del più esteso comune italiano, e ospita una popolazione molto eterogenea in relazione alle sue caratteristiche demografiche. Proprio nel leggere i dati demografici non si possono trascurare i flussi di non residenti in ingresso. Centinaia di migliaia di persone raggiungono quotidianamente Roma da altre città italiane e, di queste, una parte significativa utilizza l’automobile e raggiunge il centro città. Secondo i dati riportati nel Policy brief, 110 mila veicoli circa al giorno attraversano i 50 varchi delle 4 ZTL del centro romano. Nello specifico, quasi il 60% entra nella ZTL del Centro storico, poco più del 15% quella di Testaccio, mentre Trastevere e Testaccio presentano una percentuale intorno al 13%. Allo stesso modo non si può prescindere dal considerare i flussi turistici in ingresso a Roma, e la grande prevalenza di uso da parte dei cittadini dei mezzi privati (in particolare l’automobile) per spostarsi sul territorio. Solo una quota residuale dei residenti riesce a completare a piedi i propri spostamenti. Tuttavia, secondo un’indagine di propensione modale di Roma Mobilità, svolta nel 2020 sui lavoratori dipendenti, il 68,1% degli intervistati è propenso ad utilizzare la bicicletta tutti i giorni, mentre il 25,20% è pronto ad utilizzarlo 2/3 volte al mese e il 6,70% lo vuole utilizzare una volta alla settimana. Anche i servizi di mobilità condivisa sembrano essere desiderati: il 49,30% degli intervistati dichiara di essere propenso ad utilizzare tutti i giorni il car-sharing, il 57,80% un servizio di scooter-sharing, mentre il 55,70% di bike-sharing. Secondo dati Istat, però, dal 2015 al 2019 in media a
Roma erano disponibili solo 7 autoveicoli di mobilità condivisa per 10.000 abitanti. Anche per questo negli ultimi anni si sta dando particolare attenzione alla sicurezza stradale dei pedoni, dei ciclisti e anche a quella dei bambini e degli anziani allo scopo di promuovere una qualità della vita più sana, ma anche l’aggregazione sociale dei cittadini. La riqualificazione e la valorizzazione di aree e percorsi è in questo senso essenziale per contribuire alla rigenerazione dello spazio urbano. Attualmente Roma conta circa 500.000 mq di aree pedonali, composte da piazze isolate, ambiti stradali o strade pedonali singole ma sono ancora le piazze isolate a rappresentare parte consistente delle aree pedonali della Capitale, con 201mila mq di superficie. Il Giubileo del 2025 porterà nella Capitale milioni di pellegrini, e contestualmente la candidatura di Roma per l’Expo 2030 potrebbe essere un’ulteriore opportunità per trasformare Roma in una città intelligente. Il Giubileo sottoporrà la città ad una affluenza eccezionale, che andrà a sommarsi con i milioni di individui che quotidianamente vivono e lavorano in città, mettendo alla prova la rete cittadina, soprattutto in termini di mobilità. La sfida (e l’occasione) è allora quella di ammodernare il sistema urbano in un’ottica che vada oltre la gestione di questo singolo evento, trasformando Roma in una smart city all’altezza delle sfide future. All’interno della discussione che riguarda questo auspicato e profondo cambiamento del contesto urbano della Capitale, uno dei temi attuali più dibattuti riguarda l’implementazione di interventi di rigenerazione urbana tali da trasformare Roma in una “città dei 15 minuti”. L’Amministrazione comunale ha, infatti, già messo a punto un programma che va in questa direzione, nato dalla collaborazione tra l’Assessorato all’Urbanistica e l’Assessorato Decentramento, Partecipazione e Servizi al Territorio della Capitale, che prevede la realizzazione di 15 interventi in altrettanti Municipi. La programmazione si articola in 2 fasi. La
prima ha previsto la selezione dei Municipi, l’individuazione degli obiettivi da raggiungere e la realizzazione di un documento di indirizzo per la realizzazione degli interventi; la seconda, ovvero quella attuativa, prevede la realizzazione da parte di ogni singolo Municipio dei Master Plan e di Documenti di fattibilità di almeno due opere significative, la redazione degli studi di Fattibilità Tecnica ed Economica e, infine, la realizzazione delle opere. Per i primi 15 interventi l’Amministrazione ha stanziato risorse per €22,5 milioni prevedendo la messa a terra delle opere già nel 2023. La fase progettuale è stata recentemente avviata e gli ambiti territoriali individuati per i primi progetti sono stati individuati per le loro caratteristiche morfologiche e funzionali, in quanto ritenuti rappresentativi dell’identità locale e per la loro vocazione a diventare esempi di città in 15 minuti. È evidente, come anche sottolineato dal già citato Policy brief, che le forme di mobilità stiano evolvendo rapidamente, anche grazie alla spinta della diffusione delle infrastrutture di connettività digitale che le rendono sempre più intelligenti, o smart, che dir si voglia. In un contesto urbano come quello della città di Roma, sottoposto quotidianamente alla pressione di flussi crescenti di residenti e non residenti, anche in vista dei prossimi appuntamenti, è quindi una priorità integrare differenti forme di mobilità, da quelle tradizionali del trasporto rapido di massa a quelle proprie della mobilità condivisa e dolce, sempre più a ridotto impatto ambientale. Tutto questo non può che richiedere un ripensamento dello spazio urbano consapevole del nesso inscindibile tra rigenerazione urbana e sostenibilità, volto al miglioramento finale della qualità della vita dei cittadini grazie alle numerose esternalità positive che è capace di generare.
di Eleonora Mazzoni Direttore Area Innovazione I-Com
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IL RUOLO DELL’EPIGENETICA: COMPORTAMENTALE NELLO STUDIO DELLO SVILUPPO DELLE NEOPLASIE di Lucio Corsaro1, Fabiana D’Urso2, Lorena Trivellato3, Gianluca Vaccaro4 1 Advisor and Founder - BHAVE 2 Writing Advisor, Metaverse Consultant - BHAVE 3 Research Advisor, Anthropologist - BHAVE 4 Methodological Advisor - BHAVE; Sociologist U.O. EPSA - ASP Catania Uno dei campi in cui si è investito maggiormente negli ultimi 20 anni riguarda l’identificazione del gene del cancro, l’oncogene. Il termine “oncogene” fu utilizzato per la prima volta negli anni Sessanta del secolo scorso per indicare geni di origine virale in grado di causare il cancro. La ricerca ha individuato tantissimi diversi geni correlati alle malattie oncologiche solo per il tumore al polmone sono stati identificati oltre 189 geni che subiscono una mutazione, sono addirittura 324 i geni correlati al tumore al polmone. I tumori sono patologie eterogenee dal punto di vista molecolare con delle differenze biologiche significative in relazione all’ambiente in cui viviamo e a come ci #comportiamo (ad esempio se facciamo attività fisica, se fumiamo o mangiamo determinati cibi), sia in termini quantitativi, sia in termini qualitativi. Infatti, ad esempio, nei pazienti fumatori si osserva una maggiore frequenza di mutazioni geniche, che sono differenti da quelle osservate nei pazienti non fumatori. Oggi si parla infatti di epigenetica cioè lo studio della modulazione dell’espressione dei geni attraverso meccanismi che non coinvolgono mutazioni del DNA. Sono fattori epigenetici, per esempio, l’età dell’individuo, la dieta, l’esercizio fisico e l’esposizione a fattori ambientali. I cambiamenti epigenetici influenzano la frequenza con cui un determinato gene esprime le sue funzioni. In sostanza, alcuni geni che predispongono allo sviluppo di malattie come il cancro possono dare origine alla #malattia stessa oppure no a seconda dei fattori epigenetici a cui l’individuo è stato esposto. 98
Il primo collegamento tra epigenetica e cancro risale agli inizi degli anni Ottanta, quando è stato osservato che in pazienti con tumore del colon le cellule del tessuto tumorale avevano un meno metilato di quello delle cellule del tessuto sano. Dato che la metilazione di solito si associa alla repressione della trascrizione, la perdita della metilazione suggeriva l’attivazione inap-
propriata di alcuni geni. Studi successivi hanno mostrato che un eccesso di metilazione (ipermetilazione) in porzioni del DNA ricche di siti CpG (isole CpG) ha un effetto deleterio in quanto causa lo spegnimento di geni che frenano la proliferazione delle cellule (geni onco-soppressori) o di geni coinvolti nelle forme familiari o ereditarie di cancro. Con l’epigenetica si supera l’approccio riduzionista della ricerca della causa prima, del famoso “oncogene”, ciò a dire che non esiste una linearità tra causa ed effetto e che siamo interconnessi in un sistema in cui più variabili interdipendenti tra loro incidono su di noi e sul nostro futuro. Ciò avviene anche nelle relazioni umane, come ad esempio anche durante una visita di un paziente presso il proprio medico. Attualmente si è arrivati a comprendere che è possibile intervenire dal punto di vista farmacologico sulle anomalie dei geni presenti in diversi tipi di tumori, riuscendo a ripristinarne spesso la normalità. Questa dimensione risolutiva, ancora in fase di grande studio, vede nell’epigenetica una possibilità di regolazione dei fenomeni attraverso un’azione farmacologica lì dove non sia accessibile un piano genetico di mutazioni del DNA. Ed è proprio sulla genesi tumorale che si struttura la ricerca. Questo perché sappiamo che al cancro sono associati determinati cambiamenti epigenetici senza però che se ne conoscano le cause specifiche che intervengono all’interno del processo. La ricerca di Lanlan Shen e colleghi (1) ha portato come esempio lo studio di un gene in particolare che codifica in relazione alla proteina nota come p16. Questa ha la funzione di bloccare il ciclo cellulare fermando il processo di continua duplicazione. Il gene p16 è stato definito come oncosoppressore e gli studiosi sono arrivati alla conferma che anche solo i cambiamenti a ca-
rico della metilazione del DNA possano portare allo sviluppo di tumori. Gli ultimi anni hanno comunque visto una maggiore attenzione rivolta allo studio e alla visualizzazione del genoma umano attraverso la sua alterazione nel processo tumorale. Il collegamento tra l’insorgenza della malattia e le mutazioni dei geni che controllano la metilazione del DNA ha un forte legame anche con il metabolismo. Ed è inoltre sui processi enzimatici che regolano e controllano l’epigenoma che stanno nascendo nuove strategie di ricerca (2). Sappiamo di base che l’epigenetica può essere caratterizzata oltre che dall’ambiente esterno anche e soprattutto da scelte di vita non ottimali. Fumo, un’errata alimentazione e lo stress rappresentano una delle basi su cui si concentra l’osservazione definita da tempistiche specifiche ad opera degli studiosi. Queste recenti evidenze hanno alimentato il campo che ad oggi è noto come “epigenetica comportamentale” che studia l’impatto di variabili ambientali sul corpo e sullo sviluppo umano. Tali studi hanno evidenziato un’interdipendenza tra gli esiti degli stili di vita e fattori ambientali, oltre che delle esposizioni ad agenti tossici o inquinanti, e determinate patologie la cui eziologia è legata ad una variazione del genoma non trasmissibile (NCDs) o trasmissibile nei sistemi riproduttivi: quest’ultima tipologia è resa evidente soprattutto dagli studi sulla trasmissione ereditaria di malattie in contesti sottoposti a disastri ambientali riconosciuti, come ad esempio nel caso di Chernobyl (3). Lo studio di queste modificazioni ereditabili e non ereditabili può fornire in questo senso una spiegazione biologica per l’incorporazione di tali esperienze ambientali (4) sottoforma di patologie e per comprenderne la distribuzione sul territorio nazionale e nel panorama globale. Può consentire inoltre la pianificazione e l’implementazione di azioni in grado di inter-
venire in alcuni dei contesti dove questi fattori si concentrano maggiormente, quali città e grandi metropoli, nell’ottica di una maggiore promozione della Salute Urbana. La correlazione tra alcuni comportamenti o stili di vita e l’aumento del rischio di insorgenza di determinate patologie è in realtà nota già da alcuni decenni in letteratura, ad esempio per quanto riguarda la correlazione tra il consumo di alcolici, il fumo, l’alimentazione o la sedentarietà nello sviluppo di patologie cardiocircolatorie (5). Negli ultimi anni si è accentuata l’attenzione alle interconnessioni tra comportamenti individuali e la comparsa di neoplasie, con la conseguente diramazione di una serie di raccomandazioni in ottica di prevenzione. Evitare il tabacco, l’alcol, l’esposizione eccessiva al sole, tenere sotto controllo il proprio peso corporeo, mangiare sano, essere fisicamente attivi, come suggerisce il codice europeo emanato dalla IARC (6) sono ad oggi alcune delle raccomandazioni fondamentali per prevenire comparsa di molti tumori. Questi concetti non possono tuttavia essere promossi in maniera efficace senza tenere presente il contesto di recezione di tali raccomandazioni, e l’enorme differenziazione del pubblico a cui si rivolgono in termini di età, condizioni abitative, scolarità e status socio-economico. Risulta perciò indispensabile includere un’ottica educazionale inclusiva nelle azioni presenti e future che guardano alla prevenzione, che parta dalla consapevolezza di tale eterogeneità e strutturi una comunicazione differenziata in grado di avere esiti positivi tra le diverse fasce di popolazione. Ad oggi è noto l’impatto che campagne efficaci di sensibilizzazione e la promozione della salute possono avere sulla popolazione: seguire queste raccomandazioni e promuovere un corretto stile di vita, può infatti impedire la comparsa di circa la metà delle neoplasie registrate ogni anno in Europa (ivi).
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L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima, infatti, che circa il 28% dei casi di cancro siano causati da fattori ambientali. La dieta può influire attraverso la regolazione dell’assunzione di nutrienti che agiscono come cofattori per le reazioni epigenetiche. Ad esempio l’assunzione di folati e metionina (importanti cofattori nella metilazione del DNA) può avere un influsso sull’espressione degli stessi geni. Anche l’assunzione di composti bioattivi presenti negli alimenti può influire sull’attività del microRNA, importanti regolatori dell’espressione genica. Uno dei fattori ad alto rischio, e forse quello più noto per lo sviluppo del cancro è sicuramente il fumo di tabacco, causa questa di alterazioni genetiche sia nel DNA che nelle proteine istoniche. Ridurre quindi l’esposizione a questi fattori, già largamente noti, può aiutare a contrastare la comparsa di cellule cancerose. Anche alcuni agenti biologici come virus, batteri e parassiti possono essere causa di neoplasie. Uno studio attivo che riesca a diversificare le dinamiche collegate ad una progressione del cancro dovrebbe tener presenti tutti quei campi d’azione all’interno dei quali sussistano anche la prevenzione e la diagnosi precoce, oltre naturalmente all’intervento di tipo farmacologico. I cambiamenti epigenetici sono osservabili in campioni di tessuto precanceroso con un’indicazione che questi possano rappresentare un dato accreditato come precursore. Gli stessi dati così ottenuti possono essere utilizzati come biomarcatori per la diagnosi, dato che sono più facilmente rilevabili rispetto a mutazioni genetiche. La caratteristica dell’epigenetica è anche quella della sua plasticità ovvero la possibilità che detiene nel modificare l’espressione genica attraverso determinati stili di vita. Anche l’assunzione di farmaci rientra in questo aspetto. Resta un dato di fatto che questo ha aperto la strada a nuove strategie di prevenzione e trattamento del cancro.
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Ancora più importante la scoperta di mutazioni nel meccanismo epigenetico è definibile attraverso l’approvazione dei primi farmaci specifici per il trattamento di sottotipi di linfomi e leucemie, ad esempio, vera rivelazione questa per molti scienziati biomedici e clinici. (7). I progressi nel campo dell’epigenetica continuano comunque a toccare tappe importanti e lo sviluppo di nuove strategie e nuovi biomarcatori della malattia segue un’evoluzione attualmente positiva della ricerca.
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Vicinanza della
salute
di Duilio Carusi Coordinatore scientifico Osservatorio Salute Benessere e Resilienza – Fondazione Bruno Visentini Adjunct Professor – Luiss Business School Dall’Osservatorio Salute Benessere e Resilienza di Fondazione Bruno Visentini un nuovo strumento di policy per orientarsi nella trasformazione in corso
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Negli ultimi anni si è assistito ad una progressiva, ma radicale, trasformazione sociale e sistemica che ha investito tutti gli ambiti della società e che, quindi, non può essere relegata alla sola sfera sanitaria. Sono diversi i fattori che hanno accelerato e alimentato tale trasformazione configurando quella che viene definita una sindemia: dapprima la crisi pandemica e successivamente il corrente conflitto russo-ucraino, che ha innescato un ulteriore shock internazionale ed ulteriormente impattato sulle supply chain, avviando processi di crescente difficoltà nell’approvvigionamento di materie prime alimentari e di energia, in maniera diretta e indiretta per tutti i Paesi del mondo. La pandemia, in particolare, con il sovraccarico di stress con il quale ha assediato il nostro sistema sanitario ha evidenziato quanto un approccio basato su paradigmi organizzativi tradizionali e tipicamente “a silos”, mal si concilino con l’ormai acclamata visione olistica One Health e con la strategia Health in All Policies sostenuta dall’OMS, che contemplano l’adozione di nuove forme di integrazione e l’ibridazione di vari meccanismi e settori della società. Date queste premesse, è divenuto necessario sostenere la trasformazione dei sistemi sanitari, economici e sociali attraverso lo sviluppo di una governance ispirata al modello della stewardship che sia in linea con gli obiettivi strategici pianificati nel più ampio framework dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite e del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Il quadro in premessa ha portato la Fondazione Bruno Visentini alla costituzione dell’Osservatorio Salute Benessere e Resilienza che ha tra i suoi mandati quello di monitorare e sostenere la trasformazione del sistema salute e, di conseguenza, intercettare le aree che prioritariamente necessitano di interventi di policy.
Il progetto di ricerca si basa sulla definizione di un quadro teorico nuovo e sincretico, definito dal concetto di Vicinanza della salute, che viene intesa come “la relazione nello spazio e nel tempo che sussiste tra: la persona, la disponibilità del bene salute, la possibilità di fruirne”. La misurazione dei fenomeni che impattano sulla Vicinanza è affidata all’Indice di Vicinanza della Salute. L’Indice è organizzato in tre contesti dal perimetro crescente e comprende 23 domini che rappresentano le singole tematiche indagate e sono così distribuiti: 1. Individuo e relazioni sociali: Condizione di salute; Literacy; Stile di vita; Mental Health; Cronicità; Isolamento; Coesione sociale; Vulnerabilità; Condizione economica. 2. Sistema organizzativo: Prevenzione; Assistenza; Mortalità evitabile; Disponibilità di servizi; Responsiveness; Welfare integrativo; Sostenibilità; Omogeneità territoriale. 3. Luoghi di vita e ambiente: Abitazione e ambienti di vita; Urban Health; Emissioni inquinanti; Antibioticoresistenza; Eventi meteoclimatici; Ecoansia. L’indice consente una lettura immediata e multilivello dell’ecosistema salute anche in forma grafica: quando il grafico assume valori più alti aumenta la Vicinanza della salute; di contro quando assume valori più bassi, i fattori osservati stanno allontanando il bene salute dalla persona.
Osservatorio Salute Benessere e Resilienza
Indice sintetico di Vicinanza della Salute e contesti 120
I Rapporto 2022
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2019
2020
2021
Indice di Vicinanza della Salute
Contesto 1 - Individuo e relazioni sociali
Cobtesto 2 - Sistema organizzativo
Contesto 3 - Luoghi di vita e ambiente
Dai risultati presentati dall’Osservatorio nel suo I Rapporto 2022 - Orientarsi nella trasformazione, si riesce immediatamente ad individuare come la riduzione della Vicinanza della salute riscontrata negli ultimi anni sia da imputare primariamente al peggioramento dei risultati rilevati sia per il contesto relativo alla sfera individuale e relazionale, sia per il contesto ambientale, laddove il contesto del sistema organizzativo arresta la sua crescita e non riesce a compensare l’andamento dei precedenti. Spingendosi oltre nell’analisi dei dati contenuta nel Rapporto, si possono osservare le specifiche componenti critiche alla base della flessione, ma anche le best practice che concorrono ad avvicinare la salute. Tra le best practice si evidenziano i domini Urban health, Welfare integrativo, Contrasto all’antibioticoresistenza che con il loro andamento positivo contribuiscono ad avvicinare la salute alla persona. Tra i principali alert invece, oltre evidentemente ai fattori legati al cambiamento climatico, si evidenziano forti criticità del sistema organizzativo relative alla Omogeneità territoriale ed alla Sostenibilità e quindi ai temi legati alla distribuzione del sistema salute in maniera uniforme su tutto il territorio ed alle condi-
zioni necessarie al suo sviluppo futuro. Inoltre, con riferimento al contesto Individuo e relazioni sociali, va posta estrema attenzione sul peggioramento di fenomeni come Isolamento, Coesione sociale, Literacy, Mental health: questi ambiti risultano fondamentali per la salute sia a livello individuale come fattori abilitanti la fruizione della salute, sia a livello delle relazioni sociali attraverso l’attivazione delle reti sociali. L’intervento su queste criticità richiede da un lato di integrare nelle politiche urbane per la salute sinergie con la scuola e con altri gestori degli spazi di vita (verdi, sportivi o ricreativi), momenti di aggregazione e formazione che fanno si che si sviluppi a partire dall’ambito urbano la cultura della prevenzione non solo rivolta alla salute fisica, ma anche rivolta al contrasto del disagio a livello sociale, relazionale e anche di salute mentale. Dall’altro lato di contrastare la disgregazione delle reti sociali, che costituiscono storicamente una delle grosse forze del tessuto sociale italiano e della vita all’interno delle comunità, e diventano strumento per la promozione della salute anche attraverso le forme della solidarietà interpersonale e sociale a tutela dei più deboli, della sorveglianza sociale a difesa dalla devianza, della tolleranza a difesa della inclusione di tutti.
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ARTICOLI
Buon vivere: quali strumenti per una città in salute di Francesco Caroli Staff del Gabinetto del Sindaco di Milano, Health City Manager Le città rappresentano la culla in cui emergono e si concentrano i grandi problemi dell’umanità, ma sono spesso anche il luogo in cui, storicamente, si inventano le soluzioni. Con il Covid-19 abbiamo constatato, a nostre spese, l’importanza e la centralità che riveste il tema della salute pubblica nella vita delle nostre comunità e proprio per questo abbiamo sentito la necessità di costruire una nuova interpretazione per il ruolo del Comune, in quanto ente locale, su questo. È evidente, infatti, come la pandemia abbia accelerato una serie di trasformazioni già innescate negli anni precedenti, oltre ad aver stravolto le priorità delle persone facendo emergere il desiderio di un maggiore equilibrio tra vita lavorativa e privata. Qualche dato: secondo un’indagine condotta da Politecnico di Milano e Osservatorio Smart Working nel 2021, il 62% delle aziende a Milano ha adottato lo smart working durante la pandemia e il 75% ha dichiarato di volerlo mantenere anche in futuro. I dati di Hays Italia ci dicono, inoltre, che per il 47% dei neoassunti in Italia la possibilità di lavorare da remoto è un fattore importante nella scelta del lavoro. Le aziende che offrono soluzioni di lavoro flessibili potrebbero quindi avere un vantaggio competitivo nella scelta dei candidati, in un mondo del lavoro in cui la quantità di domanda è ormai superiore all’offerta. Sarà quindi fondamentale per loro “stare in un contesto favorevole” a questa nuova sensibilità. La naturale conseguenza di tutto questo è che le città che sapranno proporre un “buon vivere” saranno più attrattive rispetto alle altre. 106
Con l’auspicio che il Comune possa esercitare, all’interno di un nuovo contesto normativo regionale e nazionale, un ruolo non solo consultivo o di proposizioni generali, ma di indirizzo e decisionale sui programmi sanitari, pensiamo sia fondamentale lavorare su 3 assi principali.
Il primo riguarda l’integrazione tra le funzioni sociali e quelle sanitarie per costruire un sistema che possa sostenere e accompagnare i cittadini fragili e chi vive una condizione di difficoltà permanente o temporanea, proponendo un’unica risposta per bisogni diversi e sempre più complessi. Il secondo asse di azione riguarda la promozione di una cultura della salute. Un obiettivo che perseguiamo facendo attività di divulgazione scientifica e alfabetizzazione sui temi della salute, diffondendo campagne di comunicazione per incidere sui comportamenti e gli stili di vita, laboratori per stimolare la partecipazione nei territori, collaborazioni con il sistema sanitario regionale e gli enti del terzo settore per attività di prevenzione primaria e supporto di iniziative che riguardano la salute pubblica. Tale azione ha, da una parte, un impatto sugli stili e la qualità della vita dei cittadini e, dall’altra, un ruolo strategico fondamentale per il futuro. Essa, infatti, affiancata a una strategia comunicativa efficace, contribuisce alla creazione di una narrazione appropriata riguardo le scelte amministrative e politiche orientate in questa direzione, che permetterà una maggiore comprensione e un maggiore ingaggio da parte dei destinatari di tali scelte, ovvero i cittadini stessi. Il terzo asse di lavoro - il più trasversale - riguarda le scelte politiche e le azioni amministrative che impattano sui famigerati «determinanti di Salute», fattori la cui presenza o assenza cambia positivamente o negativamente lo stato di salute della popolazione. È, infatti, ormai consolidato nel mondo scientifico il dato che la salute non è solo assenza di malattia. Anzi, la qualità del sistema dell’assistenza sanitaria (che è uno dei determinanti sociali) è solo un elemento nella determinazione della qualità della salute. Qualità dell’ambiente, dei servizi educativi, della mobilità e dei servizi sociali, la posizione occupazionale, il livello di
istruzione, la mobilità sostenibile, gli stili di vita, il livello socioeconomico e relazionale, la partecipazione attiva e passiva alle attività culturali e comunitarie sono fra i principali elementi che determinano lo stato della salute di una comunità. E sono tutti ambiti in cui il Comune svolge molte delle sue prerogative in quanto primo interlocutore dei cittadini, che sono portatori di domanda, e delle realtà del terzo settore, del volontariato e delle famiglie, che concorrono a offrire le risposte ai bisogni di cura e assistenza. È certamente vero che le città non hanno competenze in materia sanitaria, ma possono influenzare enormemente la salute dei propri cittadini e aumentare la propria attrattività proponendo un modello di “buon vivere”. L’amministrazione può agire sui fattori di rischio in modo sussidiario, migliorando le condizioni ambientali dei contesti urbani e stimolando le comunità alla cultura dell’active living che nei prossimi anni dovrà fronteggiare un focus più specifico sull’invecchiamento attivo. Se in passato abbiamo creduto che salute e successo, ambiente e sviluppo, crescita e sostenibilità fossero concetti tra di loro sempre escludenti e mai convergenti, la realtà che invece abbiamo davanti ci impone di pensare esattamente il contrario, con la consapevolezza che Milano sta già portando avanti questi obiettivi da anni pur continuando a produrre più del 10% del Pil nazionale. La salute e l’ambiente dovranno necessariamente essere le basi per il successo e lo sviluppo, nonché per una crescita sostenibile dei centri urbani. Senza queste coordinate qualsiasi città è destinata a raggiungere un vicolo cieco, nel quale vite frenetiche si consumano tra lavori privi d’orario e scadenze impossibili da rispettare, mentre aspetti importanti del vivere, come la salute, passano in secondo piano, proiettati verso un ipotetico domani. Noi vogliamo che quel domani sia oggi. E ci impegneremo affinché proprio le città siano protagoniste di questo cambiamento.
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VERSO ROMA EXPO 2030: I NUMERI DELL’EVENTO E IL PROGETTO DEL PARCO SOLARE
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Quasi ventiquattro milioni di visitatori attesi, di cui il 55,4% dall’Italia e il 44,6% dal resto del mondo, 30 milioni di presenze, 300mila nuovi posti di lavoro potenziali, 11mila aziende che potrebbero vedere la luce in vista dell’esposizione universale e un totale di 50,6 miliardi di euro di valore complessivo per il grande progetto Roma Expo 2030. Questi sono i numeri stimati relativamente al grande evento per cui la Capitale si candida in vista del 2030 e all’impatto che esso avrebbe sull’economia dell’intero Paese, quella del Centro Italia in modo particolare ma non in via esclusiva, visto che una manifestazione di tale portata avrebbe una funzione di volano per l’intera economia nazionale. Il valore complessivo di Expo arriverebbe a rappresentare, secondo i calcoli attuali dei promotori, il 3,8% del PIL del Paese, una percentuale cui si arriva sommando gli investimenti per l’organizzazione dell’evento, le nuove costruzioni, dai padiglioni al Parco Solare, alle infrastrutture necessarie, i ricavi dell’evento nel corso del 2030, gli investimenti esteri incrementali e il maggior gettito per lo Stato e gli Enti Locali. L’effetto diretto degli investimenti nella costruzione e nell’organizzazione ammonterebbe a 10,3 miliardi di euro (lo 0,6% del Pil), da calcolare nell’arco di tre-cinque anni, inclusi i ricavi diretti dell’Expo. Ci sarebbe poi quello indiretto di breve periodo (18,2 miliardi di euro, ovvero l’1% del Pil), grazie alle spese incrementali sul suolo italiano dei partecipanti nell’anno dell’Expo. A risentire positivamente della straordinaria macchina che Roma e lo Stato italiano metterebbero in moto per l’esposizione universale, ci sarebbero anche le esportazioni, il cui aumento è stimato in +5,5 miliardi di euro nell’arco di tre-cinque anni. E infine ci sono i maggiori introiti per le casse dello Stato: un totale di 6,4 miliardi di euro in più generato dal gettito per Agenzia delle Entrate, Inps e Regioni. All’opera, oltre ai lavoratori, ci sarà anche un esercito di volontari, circa 19mila, oltre a quasi 1.400 per la sola area dei servizi medici. Ma non è solo in cifre che si misurerà l’impatto di Expo 2030.L’evento rappresenterà un momento fondamen-
tale di promozione della collaborazione internazionale tra i paesi partecipanti, fornirà una piattaforma per lo scambio di conoscenze, la condivisione di esperienze e la creazione di relazioni commerciali e culturali a livello globale, dando all’Italia un ruolo strategico in tal senso. L’impatto in termini di sostenibilità e innovazione, poi, non sarà legato solo alla realizzazione di infrastrutture di grande valore in tal senso, come il Parco eolico, ma sarà determinato dalla realizzazione di un evento che ha nella sostenibilità e dell’adozione di pratiche sostenibili proprio una delle sue principali caratteristiche. Ciò contribuirà a far crescere la consapevolezza rispetto ai temi della sostenibilità non solo tra i visitatori dell’Expo, ma anche tra tutti coloro che saranno raggiunti dalla comunicazione relativa all’evento, che si candida a rappresentare una piattaforma per lo scambio di idee e pratiche sostenibili tra i paesi partecipanti, con l’obiettivo di creare un futuro più sostenibile per tutti. E proprio la sostenibilità sarà al centro dei programmi di formazione che saranno collegati all’evento ed erogati in sette anni, dall’aggiudicazione fino all’anno dell’Expo, con il coinvolgimento di un network di università italiane e del Ministero dell’Istruzione e del merito. Il patrimonio culturale di Roma e del Paese saranno valorizzati all’insegna della solidarietà e dei diritti umani. Una sfida «per uno sviluppo più equo e per assicurare sicurezza e prosperità», come l’ha definita il capo dello Stato, Sergio Mattarella, nella sua lettera formale di sostegno alla candidatura. Grandi temi che non possono essere contabilizzati, appunto, in una semplice logica di cifre. Il 17 aprile giungeranno a Roma gli ispettori del Bureau che potranno visitare i luoghi in cui il progetto è stato pensato assieme al Comitato promotore Expo Roma 2030 guidato dal presidente Giampiero Massolo e dal direttore generale Giuseppe Scognamiglio, assieme al sindaco Roberto Gualtieri e ai vertici della Fondazione Expo Roma 2030, il presidente Massimo Scaccabarozzi e l’ad Lamberto Mancini. In quell’occasione il compito più importante dei vertici del Comitato sarà fra visualizzare,
di Eleonora Selvi Presidente Fondazione Longevitas
al di là dei luoghi materiali, la visione della città che anima Roma Expo 2030, concentrata sull’obiettivo di creare un’Urbe più sostenibile, inclusiva e tecnologicamente avanzata, che valorizzi l’immagine e l’identità della città di Roma, utilizzando l’esposizione come motore di sviluppo per tutti. Un parco solare urbano è un sistema di energia solare su larga scala che viene costruito all’interno di una città o di un’area urbana. In genere consiste in una vasta gamma di pannelli solari installati sui tetti, nei parcheggi o su altre superfici disponibili, come parchi pubblici o terreni liberi. I pannelli solari generano elettricità convertendo l’energia del sole in energia elettrica, che può quindi essere utilizzata per alimentare edifici, case e aziende. La funzione di un parco solare urbano è quella di fornire una fonte sostenibile di energia all’interno di una città o di un’area urbana, contribuendo a ridurre la dipendenza dai combustibili fossili e diminuire le emissioni di gas serra. Generando energia pulita a livello locale, i parchi solari urbani possono anche contribuire ad aumentare l’indipendenza energetica, ridurre i costi energetici e creare nuovi posti di lavoro nel settore delle energie rinnovabili. Uno dei parchi solari più importanti del mondo è il Tengger Desert Solar Park in Cina, una struttura che copre 43 chilometri quadrati e genera una capacità di 1.547 megawatt di energia, potenza sufficiente per alimentare oltre un milione di case. Nella gara per la realizzazione di impianti da record non poteva mancare Dubai, col suo progetto del Mohammed Ben Rashid Al-Maktoum Solar Park, che trae il nome dall’emiro-investitore che ha deciso di dar vita al progetto, e che dovrebbe essere il più grande parco solare al mondo, in grado di produrre 5.000 megawatt ed offrire energia elettrica a 1,3 milioni di case. Ma ecco che in questa virtuosa e ambiziosa corsa per l’innovazione e la produzione di energia pulita si inserisce anche Roma, con un progetto tanto imponente quando apprezzabile dal punto di vista estetico. Proprio nella Capitale, infatti,
vedrà la luce quello che dovrebbe diventare il più grande parco solare al mondo realizzato in un contesto urbano e accessibile al pubblico. Ne si può vedere il progetto nel video di Expo Roma 2030 realizzato dallo studio di progettazione e innovazione CRA-Carlo Ratti Associati insieme all’architetto Italo Rota e all’urbanista Richard Burdett, per la candidatura della Capitale. Il parco si estenderà in un’area di 150.000 metri quadrati e avrà una capacità produttiva di picco di 36 Mega Watt. La caratteristica che rende il parco un unicum assoluto è il suo modo di intersecarsi con l’area urbana, in forma di alberi energetici disseminati nei percorsi del parco, elementi tecnologici dal design accattivante, che durante il giorno si aprono e si chiudono raccogliendo l’energia solare e offrendo al tempo stesso la loro ombra ai milioni di visitatori attesi nel parco. Alberi naturali e tecnologici insieme, dunque, per far respirare l’area e nutrirla dal punto di vista energetico, e per arricchire esteticamente il quadro nel quale gli ospiti dell’Expo potranno visitare i quattro parchi tematici dedicati a energia, agricoltura, acqua, storia e tempo. Oltre a questo sarà possibile visitare i cinque padiglioni tematici distribuiti lungo il sito, ognuno dei quali dedicato a uno dei temi di Expo. La rete energetica del Parco sarà completata dal padiglione “Eco-system 0.0”, l’edificio più alto dell’Expo, destinata a fornire il raffreddamento attraverso l’evaporazione. Il verde ha un ruolo essenziale nella progettazione del masterplan, che struttura il complesso sito di Expo in tre aree principali, la Città, il Boulevard e il Parco, in una disposizione che consente una graduale transizione dal contesto urbano a quello naturale man mano che ci si sposta da ovest a est, con l’esplosione in quest’ultima area di una vegetazione rigogliosa destinata a sottolineare i padiglioni tematici più “verdi”, tra cui “Pale Blue Dot”, dedicato alla diffusione della conoscenza del mondo naturale. La Città dell’Ovest invece è quella dedicata all’Expo Village, che alla conclusione dell’evento diventerà un’estensione del campus dell’Università di Tor Vergata. Una città nuova che non
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dimentica quella esistente, ma la recupera, la valorizza e in alcuni casi fa rinascere ciò che era abbandonato, come il complesso delle Vele di Calatrava, destinato a trasformarsi in uno dei padiglioni più importanti di Expo Roma 2030, con la realizzazione all’interno di grandi eventi pubblici. Un lungo corridoio verde, infine, collegherà Expo ai siti archeologici della via Appia e agli altri edifici e monumenti storici di Roma. Presieduto dal Presidente del Comitato Giampiero Massolo e dal Direttore Generale Giuseppe Scognamiglio, il Comitato Expo Roma 2030 ha presentato il proprio dossier a Parigi il 7 settembre scorso con il tema: “Persone e Territori: Rigenerazione Urbana, Inclusione e Innovazione”. Il volume di 618 pagine contiene il progetto dettagliato per concorrere assieme ad altre 3 città (Busan, Odessa e Riyadh) ed è stato redatto da un team di professori e professionisti internazionali quali Ian Philion, Richard Burdett, Carlo Ratti, Italo Rota, Michele Costabile, Christian Iaione e Alessandro Mancini, solo per citarne alcuni, che hanno collaborato con le Università romane e le Istituzioni locali e nazionali, sotto la guida dell’arch. Matteo Gatto già Chief architect e Direttore della Visitor experience di Expo Milano 2015. Il voto finale per l’aggiudicazione di Expo a cui parteciperanno i 170 Stati membri del BIE, è atteso nel novembre 2023.
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La cucina tradizionale strumento di health management: le ricette regionali
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La prevenzione e la promozione di stili di vita sani vengono considerati l’intervento più efficace per contrastare l’obesità e le malattie croniche. Vi è accordo nell’affermare che tutti possono ridurre in modo significativo il rischio di sviluppare queste malattie semplicemente adottando abitudini salutari, in particolare evitando il fumo, avendo un’alimentazione corretta, limitando il consumo di alcol e svolgendo attività fisica regolare. L’aumento della prevalenza dell’obesità a livello globale rappresenta un problema di salute pubblica con gravi implicazioni in termini di costi per i sistemi sanitari e per la popolazione. L’obesità è malattia multifattoriale in cui l’apporto alimentare svolge un ruolo rilevante. Possiamo affermare che lo stile di vita moderno caratterizzato dall’assunzione di cibi ad alta densità energetica, l’adozione di comportamenti sedentari e/o l’esposizione a fattori ambientali come gli interferenti endocrini industriali contribuisce alla crescente epidemia di obesità attraverso interazioni epigenetiche in grado di modificare il metabolismo e il dispendio energetico. Questi cambiamenti epigenetici sono, fortunatamente, reversibili, rendendoli interessanti bersagli per interventi terapeutici e correttivi. Nonostante ciò e nonostante sia stato ampiamente dimostrato che la dieta mediterranea rappresenta un presidio non farmacologico valido ed efficace, lo stile alimentare della popolazione italiana non può essere considerato in linea con le corrette raccomandazioni nutrizionali. Abbiamo avuto più volte modo di dire che per realizzare un’efficace gestione della persona con obesità è indispensabile che il medico curante e il gruppo multidisciplinare di riferimento ne conoscano non solo gli aspetti biomedici ma anche quelli psicologici, relazionali e sociali, le percezioni, le aspettative, i bisogni e le problematiche che deve fronteggiare, integrando tutti gli elementi raccolti all’interno del piano assistenziale. In questa rubrica cercheremo di volta in volta di puntualizzare alcuni cardini di una sana alimentazione. Cominciamo con la dieta mediterranea: tutti ne parlano ma pochi ne conoscono la storia e i
fondamenti. Gli studi di Ancel Keys, per primi hanno dimostrato che la tradizione alimentare mediterranea è l’esempio da seguire per il controllo dei fattori di rischio relativi alle malattie cronico-degenerative. Nel libro How to eat well and stay well (1959). The mediterranean way scritto da Ancel e Margaret Keys si legge che … l’alimentazione quotidiana della gente comune a Napoli è la seguente: minestrone fatto in casa; pasta di qualsiasi tipo, sempre appena scolata, servita con salsa di pomodoro e una spolverata di parmigiano, solo occasionalmente arricchita con qualche pezzettino di carne o pesce, in questo caso senza formaggio; un piatto di fagioli e maccheroni; molto pane, mai con l’aggiunta di burro; grandi quantità di verdura fresca; una piccola porzione di carne o di pesce, non più di due volte a settimana; vino; sempre frutta fresca come dolce. Per la prevenzione delle malattie cardiovascolari sarebbe difficile fare qualcosa di più che imitare l’alimentazione della gente comune di Napoli dei primi anni ’50.Il Professor Flaminio Fidanza amico e collaboratore di Keys amava ripetere che la dieta mediterranea è soprattutto una alimentazione parca. Ovvero una alimentazione che si mantiene nei limiti dello stretto necessario, con un’idea di sobrietà e frugalità. Oggi diremmo una alimentazione sostenibile che rispetta l’ambiente e le risorse, ricca di frutta e verdure di stagione (vedi tab. n 1). Negli ultimi 60 anni molto è cambiato; siamo passati attraverso il secolo breve, che per lo storico britannico Eric J. Hobsbawm inizia il 28 giugno 1914, quando a Sarajevo viene assassinato l’arciduca Francesco Ferdinando, e termina nello stesso giorno del 1992, quando il presidente francese François Mitterrand parla nella stessa città martoriata dalla guerra balcanica per invocare una nuova pace. Per quanto riguarda i comportamenti alimentari in Italia, il secolo breve iniziò, sicuramente, con la riunione del 12 ottobre 1951 quando l’XI Commissione permanente (Lavoro) della Camera dei Deputati approvò l’istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta col compito di condurre un’indagine sullo stato
di Giuseppe Fatati Presidente Italian Obesity Network
della miseria, al fine di accertare le condizioni di vita delle classi povere ed il funzionamento delle istituzioni di assistenza sociale e si è concluso con la scadenza naturale del secolo. Negli ultimi settant’anni si sono profondamente modificati i costumi e i comportamenti alimentari. Si ritiene che la crescente disponibilità di alimenti ad alta densità energetica sia l’elemento motore primario per l’epidemia di obesità. Man mano che i redditi sono aumentati e le popolazioni diventate più urbanizzate, le società è entrata in una transizione nutrizionale, caratterizzata dal passaggio da diete composte principalmente da cereali e verdure a diete ricche in grassi e zuccheri; inoltre, un numero notevole di pasti è consumato fuori casa e aumenta la percentuale di cibi conservati e preconfezionati. La stagionalità dei prodotti agroalimentari è ormai dimenticata per la loro costante disponibilità indipendente dal periodo di coltivazione naturale. A 3 anni dall’inizio, il peso e l’onda lunga della pandemia sulle abitudini quotidiane, con una riduzione del consumo extra-domestico tende a scemare: i ristoranti sono di nuovo affollati. L’effetto nidificazione sembra svanito. Secondo quanto diffuso dal report stilato dall’Osservatorio Ismea NielsenIQ sui consumi alimentari delle famiglie italiane, nei primi 9 mesi del 2022 i consumatori sono tornati fisicamente al supermercato per fare spesa. Il carrello della spesa nel 2022, è costato agli italiani il 6,4% in più rispetto all’anno precedente, con dinamiche che si acuiscono nei mesi da agosto a dicembre (sempre sopra il 10%). Dopo l’impennata registrata nel 2020 e nel 2021, il 6% in meno di famiglie ha utilizzato i canali digitali per acquistare i propri prodotti: la scelta del canale fisico, infatti, ha interessato quasi 1 milione di famiglie che durante la morsa del Covid si era affidata all’online. Tuttavia gli acquisti digitali restano superiori dell’80% rispetto al periodo pre-Covid. Per evitare semplificazioni è importante studiare a fondo il comportamento alimentare della popolazione e averne quanto più possibile una immagine critica. È innegabile che la società contemporanea fornisce un’ampia gamma di occasioni
per consumare cibi e bevande. Si tratta di una forma di consumo facile che conduce inavvertitamente al cosiddetto iperconsumo passivo, in cui i soggetti non si accorgono di mangiare prodotti ad alta densità energetica e in quantità eccessiva. Gli studi sulla risposta individuale al cibo, che valutano l’apporto spontaneo sia in ambienti attentamente controllati sia nella vita di tutti i giorni, hanno evidenziato che l’iperalimentazione non intenzionale è legata al consumo di diete ad elevata densità energetica e a basso costo. Il grasso corporeo e il peso si accumulano quando il contenuto energetico degli alimenti e delle bevande introdotte supera l’energia richiesta dal metabolismo e dall’attività fisica dell’individuo. Entrambe le componenti, l’apporto e il mancato dispendio energetico, contribuiscono all’aumento del peso. Un ultimo accenno alla necessità di una corretta comunicazione. Un vero studioso della nutrizione umana, il prof Fredrick J. Stare (1910-2002) fondatore del Department of Nutrition della Harvard Huniversity amava affermare che nove dei dieci libri sulle diete più venduti nel mondo sono stati scritti da illustri sconosciuti, talvolta neppure laureati o che nulla avevano a che fare con il mondo scientifico e autoreferenti. Questo fenomeno di accreditamento personale riguarda anche la riscoperta dei prodotti e dei piatti della tradizione mediterranea. Abbiamo guardato con favore, in questi ultimi anni, all’aumento della domanda di prodotti tipici di pari passo ad una rinnovata insorgenza identitaria. Sono propri della nostra tradizione piatti appetitosi ma poveri che ben si sposano con le nostre esigenze e che consentono di superare anche la monotonia e la frustrazione di un piano alimentare a volte troppo privativo e mal sopportato. La ricerca dei prodotti tipici e recentemente anche biologici rispecchia un cambiamento di rotta che punta alla differenziazione dei vari Paesi Europei ed anche di singole regioni. È necessario evitare che un fenomeno del genere venga inglobato artificialmente nel sistema del consumo di massa e falsificato. Giovanni Ballarini, Presidente dell’Accademia
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Cus-cus di pesce (Sicilia) Ingredienti per 8 persone Semola di grano duro 1 Kg Pesce (cernia, scorfano, calamari,
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Italiana della Cucina, ha lanciato qualche anno fa un grido di allarme sottolineando come l’autorevolezza delle tradizioni, in particolare di quelle alimentari e di cucina sia venuta meno, lasciando grandi spazi vuoti che danno adito ai dubbi e alle insicurezze che caratterizzano le società postindustriali. A fronte di tanti input che agiscono come fattori di confusione siamo dell’idea che sia necessario, tutte le volte che si voglia fare un intervento nutrizionale, puntare su elementi stabili, accettabili e condivisibili. Se il razionale di una sana alimentazione è ormai unanimemente accettato diversi sono gli strumenti utilizzati per metterlo in pratica. Dalle diete a scambio ai gruppi di rinforzo molto è stato provato e con alterne fortune. Tentare di cambiare le abitudini alimentari degli adulti è impegno arduo e gravato frequentemente da insuccessi soprattutto se si cerca di incidere su alimenti cardine dell’identità alimentare. Seguendo questo ragionamento, l’educazione alimentare andrebbe impostata secondo percorsi che portano alla riscoperta ed all’utilizzo di piatti e ricette della tradizione che diviene strumento di health management comunicando messaggi chiari e facilmente comprensibili. Primo fra tutti che la dieta mediterranea salutare è una alimentazione parca, sobria e sostenibile. A tal fine possono essere utili pubblicazioni che rivisitano ricette tipiche e, accanto a consigli medici, raccontano, se pur stringatamente, il significato ed il peso che la cucina tradizionale regionale ha avuto nella nostra società. In questa ottica vengono presentate 2 ricette tipiche: il Cus-cus di pesce per la Sicilia e la Fregula con le arselle per la Sardegna con le relative caratteristiche nutrizionali e caloriche. Nei prossimi numeri continueremo il nostro viaggio all’interno dell’alimentazione mediterranea, spiegandone i presupposti e facendo conoscere altre ricette regionali caratteristiche e salutari.
gamberi, cozze) 1 Kg Mandorle 30 g Pomodori pelati 250 g Aglio 1 spicchio, Cipolla 1 Cannella ½ stecca Peperoncino q.b., Prezzemolo q.b. Olio extravergine di oliva 90 g Sale q.b. Preparazione Disponete la semola in un grande piatto di terracotta, chiamato mafradda, e con le mani bagnate in acqua leggermente salata, con movimenti rotatori dei polpastrelli inumidite la semola e riducetela in granelli grossi come capocchie d spillo. Adagiate il cus-cus così ottenuto e lasciate asciugare. Frattanto preparate il brodetto di pesce. Soffriggete l’aglio e la cipolla tritata nell’olio e quando dorata aggiungete i pomodori pelati a pezzetti, il prezzemolo, il sale, il peperoncino e le mandorle. Fate cuocere i pomodori per qualche minuto e unite il pesce, facendolo insaporire e coprendolo quindi con acqua. Cuocete a fuoco lento per circa 30 minuti, quindi scolate il brodetto, diliscate il pesce e tenetelo in caldo separatamente. Prendete la cuscussiera riempite il tegame inferiore di acqua per circa 2/3 e ricoprite quello superiore bucherellato con un tovagliolo quindi versate la semola, spolverata con la cannella e con la buccia di limone grattugiata grossolanamente. Fate attenzione che i due attrezzi combacino perfettamente e cuocete il cus-cus a vapore per circa 1 ora. Mescolate di tanto intanto con un cucchiaio. Appena il cus-cus è pronto, versatelo nel piatto di terracotta e bagnatelo con parte del brodetto; portatelo in tavola accompagnato dal pesce e separatamente da altro brodetto che può essere aggiunto sui singoli piatti
Attenzione: piatto unico
Fregula con le arselle (Sardegna) -
Per 1 porsione
Ingredienti (per 4 persone)
Proteine 34 g
Arselle 1000 g (300 g netto)
Lipidi 16
Semolino 150 g
Glicidi 99
Pomodori pelati 500 g
Calorie 676
Brodo vegetale 2 l Aglio q.b., Prezzemolo q.b. Olio estravergine di oliva 60 g
Attenzione: Per raggiungere un quantitativo accettabile di nutrienti si può completare il pasto con 80 g di sogliola, 40 g di pane e 200 grammi di frutta fresca di stagione. Per 1 porzione Proteine 13,5 Lipidi 17,50 Glicidi 34,50 Calorie 351
Tabella. Frutta e verdura di stagione
Sale e pepe q.b. Preparazione Fate prendere l’ebollizione al brodo, gettatevi a pioggia il semolino, mescolando bene per evitare che si formino grumi, tenete in leggera ebollizione per una ventina di minuti. Nel medesimo tempo fate imbiondire l’aglio con l’olio, unite i pomodori, condite con poco sale e pepe e tenete in cottura per una decina di minuti. Aggiungete le arselle, versate il sugo con le arselle nella casseruola del semolino, mescolate qualche istante e servite subito.
Mese
Frutta
Verdura
Gennaio
Arance, Kiwi, Mandarini, Mandaranci
Bietole, Broccoli, Cardi, Cavoli, Cicorie, Cime, di rapa, Finocchi, Radicchi, Spinaci, Zucche
Febbraio
Arance, Kiwi, Mandarini, Mandaranci
Bietole, Broccoli, Cardi, Cavoli, Cicorie, Cime di rapa, Finocchi, Radicchi, Spinaci, Zucche
Marzo
Arance, Kiwi, Mandarini
Agretti, Asparagi, Bietole, Broccoli, Carciofi, Cicorie, Cime di luppolo, Finocchi, Insalate, Radicchi, Rucola, Spinaci
Aprile
Arance, Fragole, Kiwi
Agretti, Asparagi, Carciofi, Cicorie, Cime di luppolo, Fave, Finocchi, Insalate, Radicchi, Ravanelli, Rucola, Spinaci, Tarassaco
Maggio
Albicocche, Arance, Ciliegie, Fragole Kiwi
Agretti, Asparagi, Carciofi, Cicorie, Cime di luppolo, Fagiolini, Fave, Finocchi, Insalate, Piselli, Pomodori, Radicchi, Ravanelli, Rucola, Spinaci, Tarassaco
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Fieri di lavorare in un ambiente che aiuta il proprio pianeta al 100% !
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CLEAN CITIES: NON È UN PAESE PER BICI
Come rendere ciclabili le città italiane: piani, scenari, risorse Se non bastassero a confermarlo i lunghi mesi di siccità e il caldo senza precedenti che si è abbattuto sull’Italia nel corso dell’estate 2022, vale la pena di ricordare che secondo la World Meteorological Organization (WMO), i disastri naturali sono già aumentati di cinque volte nell’arco degli ultimi 50 anni, con una chiara accelerazione negli ultimi tre decenni1. Il clima del pianeta non è mai cambiato cosìrepentinamente, e la responsabilità è tutta delle attività umane. Eppure le emissioni di gas a effetto serra continuano tuttora ad aumentare, nonostante i ripetuti allarmi lanciati dagli scienziati e nonostante le mobilitazioni per il clima del 2018- 2019 che hanno portato in strada milioni di giovani e meno giovani per chiedere risposte immediate ed efficaci a questa minaccia globale. L’Italia, con l’Unione Europea, si è impegnata a ridurre le proprie emissioni del 55% entro il 2030, per poi portarle a zero entro metà secolo. In questo quadro, la decarbonizzazione dei trasporti dovrebbe essere una delle prime priorità dell’azione di governo. In Italia, il settore dei trasporti è stato responsabile per il 30,7% delle emissioni totali di CO2 nell’anno 2019, il 92,6% delle quali attribuibili al trasporto stradale2. Il settore dei trasporti è anche uno dei pochissimi che ha visto le proprie emissioni crescere, dal 1990, +3,2%, ma è anche, insieme al settore energetico, quello in cui le soluzioni tecnologiche consentono già a partire da oggi una completa e rapida decarbonizzazione nel giro di pochi anni. 118
Ma le emissioni del settore trasporti non si fermano alla CO2: l’ISPRA ci dice che il settore è responsabile per il 40,3% degli ossidi di azoto (NOx) e il 10,1% delle polveri sottili (PM) emessi in atmosfera. Metà delle trenta città europee con la peggiore qualità dell’aria sono in Italia3. E infatti nel nostro paese ogni anno muoiono oltre 60.000 persone a causa dell’inquinamento atmosferico, numeri uguali o superiori alle
morti per covid-19 in ciascuno dei primi due anni di pandemia. I vantaggi del promuovere la mobilità attiva, pedonale e ciclabile, sono indubbi e il potenziale è grandissimo: secondo dati Isfort, il 60% degli spostamenti nel nostro paese avvengono entro i 5 km4 e potrebbero quindi essere facilmente compiuti usando biciclette e cargo bike.
LE DIECI PROPOSTE DI CLEAN CITIES 1. L’Italia investe nell’auto (quasi) 100 volte più che nella bici: 98 miliardi di euro per il settore automotive e le infrastrutture stradali contro poco più di un miliardo per bonus bici e ciclabili urbane ed extraurbane. 2. Le città italiane hanno una media di 2,8 km di ciclabili per diecimila abitanti, con grandi disparità territoriali: da zero km in molti capoluoghi del Centro-Sud ai 12-15km di Modena, Ferrara, Reggio Emilia. Molte città italiane sono quindi fanalino di coda nel contesto europeo, ma alcune sono ciclabili quanto Helsinki (20km/10.000 abitanti), Amsterdam (14km/10.000 abitanti) e Copenaghen (8km/10.000 abitanti). 3. Tra il 2015 e il 2020, le ciclabili urbane sono aumentate, (+18% nei capoluoghi di provincia e +30% nei capoluoghi di città metropolitana), ma la crescita si è concentrata quasi esclusivamente nei centri urbani che già avevano un livello di infrastrutture ciclabili superiore alla media. 4. Non tutte le città capoluogo di provincia hanno un PUMS, e non tutti i PUMS includono un biciplan. Nel complesso, i PUMS che prevedono uno sviluppo della ciclabilità pianificano 3.448 nuovi km di ciclovie urbane rispetto ai quattro- mila già esistenti (+83%). A questi si aggiungono oltre 4.500 km previsti dai PUMS di alcune città me-
tropolitane, per un totale di circa 8.000 km di nuove ciclabili da realizzare. 5. Secondo i nostri calcoli, per realizzare le ciclabili previste dai PUMS servono 1,34 miliardi di euro, una cifra dieci volte superiore alle risorse già stanziate per le ciclabili urbane e al momento ancora da assegnare (dati MIMS).
CLEAN CITIES
6. Secondo l’analisi di Clean Cities, FIAB, Kyoto Club e Legambiente, per colmare il gap con il resto d’Europa e consentire un robusto spostamento modale, alle città italiane servono 16.000 km di ciclabili in più (rispetto al 2020), per un totale di 21.000 km al 2030.
NON È UN PAESE PER BICI Come rendere ciclabili le città italiane: piani, scenari, risorse
7. Una stima prudenziale del fabbisogno economico richiede di investire almeno 3,2 miliardi di euro nell’arco dei prossimi sette anni, ovvero appena il 3,5% di quanto già stanziato per il comparto auto e infrastrutture connesse. 8. L’obiettivo di raggiungere una densità complessiva di 32 km ciclabili / 100 kmq contenuto nel Piano Generale della Mobilità Ciclistica è insufficiente: secondo la nostra analisi solo le ciclabili previste dai PUMS ci porterebbero a 43 km / 100 kmq. Se si proietta il dato sui capoluoghi privi di biciplan e che dovranno dotarsene in base al PGMC, la densità supererà i 51,5 km / 100 kmq. 9. La nostra proposta è di integrare il Piano Generale della Mobilità Ciclistica, approvando un piano straordinario di investimenti per la ciclabilità nella prossima legge di bilancio, con uno stanziamento di 500 milioni di euro l’anno fino al 2030. 10. Proponiamo inoltre: la creazione di una struttura tecnica incardinata nel MIMS, con budget dedicato, che coordini il Piano nazionale per la ciclabilità; Finanziamenti per sharing mobility nelle città poco appetibili per i grandi operatori di bikesharing; l’istituzione di un fondo per la promozione della ciclabilità con sgravi, incentivi ad hoc e accordi di mobility management con le aziende; l’obbligo per i nuovi progetti infrastrutturali di prevedere connessioni intermodali; la promozione dell’accesso delle bici ai treni regionali con adeguata fornitura di posti e scontistica sugli abbonamenti; una grande campagna di sensibilizzazione sulla bicicletta come mezzo di trasporto per gli spostamenti quotidiani per lavoro e studio; e un programma di formazione e sensibilizzazione degli enti locali sui recenti sviluppi legislativi in tema di ciclabilità
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Mal’Aria di città CAMBIO DI PASSO CERCASI È questa la sintesi del rapporto Mal’aria di città 2023 di Legambiente, l’annuale analisi sullo stato dell’inquinamento atmosferico delle città italiane capoluogo di provincia che, a partire dai dati ufficiali delle centraline di monitoraggio installate dalle autorità competenti nei diversi comuni, fornisce un quadro quanto più possibile completo su quello che è stato l’inquinamento atmosferico dell’anno appena concluso, il 2022, per provare a evidenziare criticità, carenze, prospettive e soluzioni per uscire finalmente dalla cronica emergenza smog che affligge le città del nostro Paese. Il 2022 infatti, come ogni anno, ha mostrato delle criticiità acute per alcune città – rappresentate dai giorni di sforamento del limite giornaliero per il PM10, stabilito in 35 giorni in un anno, in cui si è registrata una concentrazione media giornaliera di polveri superiore a 50 microgrammi/metro cubo come previsto dall’attuale normati- va in vigore – e criticità meno evidenti, ma da attenzionare seriamente, per ciò che concerne la media annuale degli inquinanti tipici dell’inquinamento atmosferico quali le polveri sottili (PM10 e PM2.5) e il biossido di Azoto (NO2).
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Il rispetto dei limiti normativi sulla qualità dell’aria è una condizione necessaria di partenza per poter parlare di risanamento dell’ambiente e dell’aria che ci circonda; ma le recenti evidenze scientifiche riportate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità sui limiti delle concentrazioni da non superare per tutelare la salute delle persone da una parte, e la revisione della Direttiva europea sulla qualità dell’aria dall’altra, la cui proposta uscita nell’autunno del 2022 ha rivisto – a ribasso –i limiti che dovremo rispettare nel prossimo futuro (dal 1 gennaio 2030), rendono il solo ri- spetto degli attuali valori normativi una condizione necessaria ma non più sufficiente per tutelare la salute delle persone. Va ricordato infine, che anche le soglie indicate dall’UE per il 2030 sono significativamente più alte dei valori indicati dall’OMS per evitare danni alla salute e sono quindi da considerare una tappa intermedia, men- tre sono proprio le indicazioni OMS l’obiettivo da raggiungere nell’ottica di una vita salubre nelle nostre città.
Nel 2022 sono 29 le città, tra quelle di cui si hanno a disposizione i dati1, che hanno superato il limite di 35 giorni di sforamento previsti per il PM10: su tutte Torino (Grassi) con 98 sforamenti, seguita da Milano (Senato) con 84, Asti (Baussano) 79, Modena (Giardini) 75, Padova (Arcella) e Venezia (Tagliamento) con 70. Queste città hanno di fatto doppiato il numero di sforamenti tollerati dalla norma (35) e rappresentano per il 2022 la punta dell’iceberg dell’inquinamento atmosferico delle nostre città. Sempre per il PM10, l’analisi delle medie annuali ha mostrato come non ci siano state città che hanno superato il limite previsto dalla normativa vigente, dato che conferma la tendenza positiva degli ultimi anni, ma che non deve lasciar dormire sonni tranquilli. Il 76% delle città monitorate infatti (ovvero 72 delle 95 di cui si avevano a disposizione i dati) superano i limiti previsti dalla futura direttiva sulla qualità dell’aria che, di fatto, ha dimezzato la concentrazione media annuale ammissibile (dagli attuali 40 μg/mc ai 20 μg/mc previsti al 2030). Anche per il PM2.5 la situazione di criticità è analoga a quella appena descritta. Delle 85 città di cui si aveva a disposizione il dato, ben 71 (l’84% del campione) nel 2022 hanno registrato valori superiori a quelli previsti al 2030 dalla prossima direttiva. Monza (25 μg/mc), Milano, Cremona, Padova e Vicenza (23 μg/mc), Alessandria, Bergamo, Piacenza e Torino (22 μg/mc), Como (21 μg/mc) le città che di fatto ad oggi doppiano quello che sarà il nuovo valore di legge (10 μg/mc contro i 25 μg/mc). 57 su 94 (il 61%) sono invece le città che, pur non superando il limite legi- slativo attuale per il biossido di Azoto (NO2), nel 2030 saranno fuorilegge viste le concentrazioni registrate nel 2022: infatti il nuovo limite di 20 μg/mc sarebbe stato superato nelle 57 città riportate precedentemente, con le situazioni più critiche e distanti dal nuovo obiettivo registrate a Milano (38 μg/mc), Torino (37 μg/mc), Palermo e Como (35 μg/mc), Catania (34 μg/mc) che dovranno ridurre le loro emissioni per piμ del 40%.
Decresce troppo lentamente l’inquina‐ mento atmosferico nelle città italiane met‐ tendo a rischio la salute dei cittadini che cronicamente sono esposti a concentra‐ zioni inquinanti troppo elevate.
Mal’Aria di città CA M B I O D I PA S S O C E R CA S I
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N E L L’ A M B I T O D E L L A C A M P A G N A
2023
LA “CITTÀ DEI 15 MINUTI” ENTRA NEL VIVO ANCHE A ROMA: PRESENTATI I PROGETTI PER I MUNICIPI l concetto di città dei 15 minuti, deriva dal concetto di “neighborhood unit”, ovvero “unità di vicinato” elaborato per la prima volta nel 1923 in un concorso nazionale di architettura di Chicago, dove si iniziò a discutere di come contrastare la crescita delle grandi città industriali che rischiavano di espandersi incontrollatamente. Tuttavia il primo teorizzatore della città dei 15 minuti, in francese, La ville du quart d’heure, è stato il Prof. Carlos Moreno, urbanista franco-colombiano dell’Università Sorbona di Parigi. La città dei 15 minuti è la città della contemporaneità, una visione di città policentrica, accessibile e sostenibile, nella quale i cittadini possano trovare ad una distanza massima di 15 minuti, a piedi e in bicicletta, la disponibilità di una vasta rete di servizi di prossimità: aree verdi, fermate del trasporto pubblico su rotaia, asili nido, centri culturali, luoghi dello sport e altri presidi fondamentali. La città dei 15 minuti è anche la città del decentramento, della partecipazione popolare, dell’inclusione e dell’accessibilità, nella quale si garantisce la presenza di servizi e strutture di qualità all’interno di ogni quadrante territoriale, ottimizzandone i caratteri identitari e contribuendo a ridurre le distanze tra centro e periferia.
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Anche a Roma fa suo questo concetto, con l’avvio della fase progettuale, il programma 15 Municipi 15 Progetti per la città in 15 minuti. Si è svolta al Macro di Roma il 28 Marzo la giornata di approfondimento organizzata dall’Assessorato all’Urbanistica di Roma Capitale per permettere ai progettisti e ai rappresentanti dei Municipi di confrontarsi sulle ipotesi progettuali per la città dei 15 minuti elaborate in questi mesi. La giornata è stata suddivisa in due parti: durante la mattina sono intervenuti il sindaco Roberto Gualtieri; l’assessore all’Urbanistica Maurizio Veloccia; l’assessore
a Decentramento, Partecipazione e Servizi al Territorio per la Città dei 15 Minuti, Andrea Catarci; Helene Chartier, direttrice of Urban Planning and Design at C40 Cities; Carlos Moreno, direttore scientifico ETI Chair e professore IAE Università Paris – Sorbonne; Fabiola Fratini, docente DICEA università Sapienza di Roma; Maria Cristina Tullio, presidente dell’Associazione Italiana Architettura del Paesaggio e gli studi di progettazione. nel pomeriggio, invece, si svolgono i tavoli tecnici di lavoro. Il programma “15 Municipi 15 progetti per la città in 15 minuti”, sviluppato in collaborazione tra l’Assessorato all’Urbanistica e l’Assessorato Decentramento, Partecipazione e Servizi al Territorio per la Città dei 15 Minuti e approvato dalla Giunta di Roma Capitale a settembre dello scorso anno, prevede lo stanziamento di 22,5 milioni di euro complessivi per finanziare i primi interventi di rigenerazione in 15 ambiti territoriali: Prato Falcone nel Municipio I, Villaggio Olimpico nel II, Tufello nel III, Settecamini nel IV, La Rustica nel V, Zona dei Colli nel VI, Gregna nel VII, Valco San Paolo nell’VIII, Spinaceto nel IX, Ostia Antica nel X, Magliana nell’XI, Monteverde Quattroventi nel XII, Montespaccato nel XIII, Palmarola nel XIV e Labaro nel XV. Questi ambiti, individuati per le loro caratteristiche morfologiche e funzionali e perché rappresentativi dell’identità locale, sono caratterizzati dalla maggior concentrazione delle istanze dei cittadini evidenziate dai percorsi di ascolto del territorio svolti negli anni precedenti; dalla loro vocazione a diventare esempi di città in 15 minuti; dalla presenza di aree ed edifici - in particolare scuole - di proprietà di Roma Capitale.Alla fine del 2022 sono stati affidati gli incarichi diretti di progettazione a 15 professionisti selezionati tra quelli iscritti all’elenco approvato a seguito di un avviso pubblico. L’incarico prevede la redazione di un masterplan di riqualificazione urbana dell’ambito di studio, che individui gli interventi pubblici prioritari, e successivamente del progetto di fattibilità tecnica ed
Prof. Carlos Moreno, Urbanista franco-colombiano dell’Università Sorbona di Parigi.
economica di un’opera pubblica selezionata tra quelle inserite nel masterplan.
Il link alla presentazione dei progetti di Roma . https://prezi.com/view/3WowpQUuznsVPgLpZqAz/
Dopo una prima fase di confronto con i Municipi, ognuno dei quali ha evidenziato gli obiettivi prioritari da raggiungere e gli eventuali interventi strategici da attuare (es. connessioni ciclopedonali, riqualificazione e valorizzazione di aree verdi o di altri spazi pubblici), i progettisti incaricati stanno lavorando alla redazione del masterplan, a partire dalle analisi e dagli obiettivi indicati loro dall’Amministrazione. Le prime proposte strategiche avanzate dai progettisti per risolvere le criticità presenti sui territori sono state già condivise con i Municipi durante specifiche riunioni di confronto. Inoltre Mercoledì 5 aprile, al Teatro Biblioteca Quarticciolo, si é svolta la seconda edizione di “Roma a portata di mano. La città dei 15 minuti”. Hanno partecipato alla conferenza, organizzata dall’Assessorato alle Politiche del Personale al Decentramento Partecipazione e Servizi al Territorio per la città dei 15 Minuti, il Sindaco Roberto Gualtieri. Sono intervenuti relatori cittadini, nazionali ed internazionali oltre ad un contributo del prof. Carlos Moreno Università La Sorbona di Parigi La conferenza è stata l’occasione per discutere sulle sfide e le prospettive del modello romano della città dei 15 minuti e per realizzare un confronto con le esperienze maturate in altri contesti urbani, Londra, Parigi, Barcellona, Milano. Poli civici, case di quartiere, sfide sul clima e sul digital divide, welfare territoriale, comunità locali, cultura, ambiente: la costruzione della città dei 15 minuti è uno degli obiettivi strategici della Amministrazione Capitolina il quale- muovendo dall’idea guida della prossimità dei servizi da portare in particolare nelle periferie, dove sono di norma più carenti- ha come tratto distintivo il contrasto alle disuguaglianze sociali e geografiche.
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Politiche per la casa, le città chiedono al Governo di impegnarsi Una legge quadro sull’edilizia pubblica e sociale, la restituzione gratuita ai Comuni degli immobili statali inutilizzati, una norma per disciplinare gli affitti brevi turistici. Lo chiedono al Governo gli assessori alla Casa di 11 città italiane. Sono, in tutto, cinque i punti qualificanti, concordati e sostenuti dall’Anci, che gli assessori alla Casa di Roma, Milano, Napoli, Torino, Bologna, Firenze, Verona, Padova, Parma, Lodi e Bergamo porteranno presto all’attenzione del governo: 1. una legge quadro sull’edilizia pubblica e sociale;2. la restituzione gratuita ai Comuni degli immobili statali inutilizzati per utilizzo abitativo; 3. il rifinanziamento dei fondi Locazione e Morosi Incolpevoli; 4. una legge di regolamentazione per governare gli impatti degli affitti brevi turistici; 5. una misura nazionale che riconosca strutturalmente l’emergenza abitativa e come fragilità cui dedicare interventi e risorse. “Negli ultimi venti anni - hanno spiegato gli assessori - un progressivo processo di regionalizzazione delle politiche sulla casa ha determinato una frammentazione delle politiche per la casa e in particolare dell’edilizia residenziale pubblica. Questo ha portato a un sostanziale disimpegno dello Stato verso politiche urbane integrate, con la conseguenza che il diritto alla casa è diventato diverso o minore a seconda della regione di residenza”.
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“Basti solo accennare ad alcuni fenomeni emergenti hanno rimarcato gli assessori alla Casa - che accomunano molte di queste città di medie e grandi dimensioni: dagli affitti brevi per uso turistico, che stanno progressivamente impattando sull’intero sistema abitativo, alla comunità degli studenti universitari fuori sede che spesso vedono negato il loro diritto all’istruzione superiore perché i costi dell’abitare sono insostenibili”.
E poi “la paradossale e troppo lunga vicenda degli immobili dismessi di proprietà di enti statali o parastatali - autentici buchi neri nelle città - o le esigenze dei cittadini migranti, o fruenti di protezione internazionale, che vengono scaricate sui comuni”. Da qui le cinque proposte, “per ricomporre questi problemi e ricucire queste divergenze, attraverso azioni concrete alla scala nazionale al fine di garantire identici diritti e al contempo a riconoscere le diversità territoriali”. “Servono iniziative sia legislative che politiche finanziarie - hanno concluso gli assessori - perché i Comuni, in prima linea, hanno già pagato con un costo ormai insostenibile questo disimpegno”.
La regionalizzazione delle politiche urbane integrate ha reso il diritto alla casa diverso o minore a seconda del luogo di residenza. Il manifesto di proposte degli Assessori alla casa delle principali città metropolitane è emerso al termine del workshop “Un’alleanza municipalista per una politica nazionale sulla casa”, organizzato a Bologna lo scorso 6 aprile.
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BES 2022 E SPESA SOCIALE DEI COMUNI: L’ISTAT FOTOGRAFA LO STATO DI SALUTE DELLE CITTÀ Balzo dei trasferimenti in denaro e calo dei servizi sociali in pandemia
In aumento i “buoni spesa” e i contributi per il contrasto alla povertà
Nel 2020, i Comuni e le loro varie forme associative hanno affrontato un anomalo incremento dei bisogni assistenziali, a causa dell’emergenza sanitaria e della conseguente crisi sociale ed economica che ha colpito le famiglie e la cittadinanza. Complessivamente, sono stati impegnati 9 miliardi e 699 milioni di euro che, al netto delle entrate provenienti dalla compartecipazione degli utenti e del Servizio Sanitario Nazionale, corrispondono a 7 miliardi e 848 milioni di euro (+4,3% rispetto al 2019).
Sono oltre 500mila le persone prese in carico dai servizi sociali per problemi di povertà ed esclusione sociale nel 2020 (circa 71mila in più rispetto all’anno precedente). La voce di spesa che ha fatto registrare l’aumento più consistente è quella dei “buoni spesa o buoni pasto”, che comprendono i buoni spesa per emergenza alimentare dovuta al Covid-19, oggetto di finanziamenti straordinari disposti da marzo 2020 iii come misure urgenti di solidarietà alimentare .
Con l’inizio della pandemia si registra un cambiamento nella composizione della spesa, sia per il tipo e la funzione dell’assistenza fornita, sia per le caratteristiche dei destinatari. Aumenta del 72,9% la spesa per l’area di utenza “povertà, disagio adulti e persone senza dimora”, che passa dal 7,4% al 12,2% della spesa complessiva. Fra le altre aree di utenza, quelle che hanno visto aumentare leggermente la spesa sociale sono “Famiglia e minori” (+1,3%) e “Immigrati, Rom, Sinti e Caminanti” (+2,2%), mentre si riduce la spesa per i servizi offerti ai disabili (-5,9%) e agli anziani (-1,7%). In calo anche la spesa per le dipendenze (-8%) che, tuttavia, assorbe una quota marginale della spesa sociale dei Comuni. Aumentano le spese per i servizi generali e la multiutenza (+5,9%). È aumentata per tutte le aree di utenza la spesa erogata sotto forma di trasferimenti in denaro (+22,7%), in particolare per i contributi a sostegno del reddito per i cittadini in difficoltà economica, mentre è diminuita (1263,7%) la spesa per i vari interventi e servizi (assistenza domiciliare, trasporto sociale, ecc.), di cui in alcuni periodi dell’anno non si è potuto beneficiare a causa dell’emergenza sanitaria. Quasi stabile (-0,8%) la spesa per le strutture, sia residenziali che diurne (centri e strutture residenziali per anziani e disabili, nidi d’infanzia, ecc.), caratterizzate da maggiore rigidità dei costi di gestione.
Fino al 2019 i beneficiari di questo tipo di interventi erano circa 21.500 persone o famiglie, per la maggior parte rientranti nell’area di utenza “povertà e disagio adulti”, e nel 30% dei casi erano erogati ad anziani, immigrati o persone disabili. Nel 2020, i beneficiari dei buoni spesa dichiarati dai Comuni sono stati oltre 743.000, nel 95% dei casi classificati come interventi per la povertà e il disagio adulti, per un importo complessivo di oltre 275 milioni di euro. L’utilizzo dei contributi per l’acquisto di alimenti e beni di prima necessità (come i prodotti per l’infanzia), è aumentato su tutto il territorio nazionale. Le persone o i nuclei familiari beneficiari risiedono per il 46,5% al Nord, il 24,2% al Centro e il 29,3% nel Mezzogiorno. L’importo medio percepito nell’anno per utente è di 371 euro, con il valore più alto nelle Isole (435 euro) e il più basso al Nord-est (337 euro). In forte aumento anche l’utilizzo di altri strumenti di sostegno ai cittadini in difficoltà, come i contributi a sostegno del reddito familiare, di cui il 43% erogati alle famiglie con figli (oltre 162.600), quasi la metà ad altri cittadini con problemi di “povertà ed esclusione sociale” (45%), i rimanenti ad anziani (5,9%), disabili (3,1%) o immigrati (2,5%). Complessivamente i beneficiari dei contributi (individui o famiglie) sono passati da circa 226.200 nel 2019 a quasi 377mila nel 2020 e la spesa corrispondente da 158,2 a 262,7 milioni di euro. Mediamente hanno be-
Nel 2020, i Comuni hanno dovuto affrontare un anomalo incremento dei bisogni assistenziali, a causa dell’emergenza sanitaria e della conseguente crisi sociale ed economica. È aumentata del 72,9% (da 555 a 959 milioni) la spesa per l’area povertà, disagio adulti e persone senza dimora (dal 7,4% al 12,2% della spesa complessiva). In forte crescita i contributi a sostegno del reddito: 377.000 beneficiari nel 2020. 743mila i beneficiari dei buoni spesa per emergenza alimentare (21.500 nel 2019). Al Sud la spesa procapite per il welfare territoriale (66 euro) è la metà della media nazionale (132 euro) e poco più di un terzo di quella del Nord-est (184 euro).
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neficiato di questi contributi lo 0,6% dei residenti, di più al Nord (0,7%) rispetto al Centro (0,5%) e al Sud (0,4%). La Sardegna, con il 2,7% dei residenti percettori del contributo, è la regione con la massima offerta di questa misura da parte dei Comuni. Crescono infine dell’88,7% gli utenti e la spesa dei Comuni per i contributi economici finalizzati a sostenere le spese di alloggio, erogati a più di 209mila nuclei familiari in difficoltà, di cui il 42,5% con figli minori. Mediamente l’importo del contributo annuo percepito per utente è stato di 1.221 euro e la massima diffusione si è avuta al Nord-est e al Centro (0,5 utenti per 100 residenti), meno al Nord-ovest (0,4%) e soprattutto al Sud (0,2%) e nelle Isole (0,1%). A livello nazionale i beneficiari di queste misure nel 2020 sono stati lo 0,4% dei residenti, contro il 2 per mille dell’anno precedente. Complessivamente la spesa pro-capite per queste tre misure di contrasto alla povertà ha una media per abitante di 13 euro annui, il valore più alto nelle Isole (19 euro), il minimo al Sud (7 euro). Nell’ambito degli interventi di supporto alla povertà estrema, sono raddoppiati i beneficiari della distribuzione di beni di prima necessità: quasi 64.000 nel 2020, per una spesa di 8,5 milioni di euro (+196%). In crescita la spesa per il pronto intervento sociale rivolto alle persone senza dimora (unità di strada), e soprattutto quella per le persone che, pur non essendo senza dimora, hanno avuto bisogno di servizi di prima assistenza e interventi di emergenza: distribuzione di indumenti, pasti caldi, ecc. (aumentate da poco più di 6.000 l’anno a oltre 20.800). 128
In calo l’utilizzo dei nidi d’infanzia e delle strutture diurne per anziani e disabili Se da un lato i Comuni hanno avuto un ruolo importante per sostenere le famiglie in difficoltà economica durante la pandemia, si registra invece una battuta d’arresto nella fruizione di servizi molto importanti per le famiglie, come l’assistenza agli anziani e alle persone
con gravi disabilità e limitazioni nell’autonomia personale. In particolare, si registra un calo della spesa impegnata per la gestione dei centri diurni, sia comunali che in convenzione, che accolgono i disabili e gli anziani durante il giorno e offrono interventi di sostegno, socializzazione e recupero, alleviando anche i familiari dalle attività di cura. Gli effetti della pandemia sono simili anche per i nidi e gli altri servizi educativi per la prima infanzia (servizi integrativi), comunali o finanziati dai Comuni, dove si registra un calo delle iscrizioni del 10,5% e una riduzione del 10,3% della spesa impegnata rispetto all’anno precedente. Tuttavia, i Comuni hanno dovuto affrontare un forte decremento della contribuzione da parte delle famiglie (-39,7%), a causa del minor numero di mesi di frequenza dei bambini, come documentato iv anche da altre fonti . Molto più contenuta la riduzione della componente di spesa a carico dei Comuni (3,6%), i quali nella maggior parte dei casi hanno continuato a sostenere i costi fissi di gestione delle strutture, nonostante i mesi di chiusura imposti dall’emergenza sanitaria. Forti i divari territoriali della spesa per i servizi sociali L’offerta di servizi socio-assistenziali di cui i cittadini possono beneficiare è caratterizzata da grandissimi divari territoriali. Un indicatore di sintesi della disparità nella fruizione di servizi è dato dalle risorse economiche che i Comuni hanno utilizzato nell’anno in rapporto alla popolazione residente: mediamente la spesa sociale dei Comuni del Sud, pari a 66 euro pro-capite, è la metà rispetto alla media nazionale e poco più di un terzo rispetto al Nord-est (184 euro). Il Nord-ovest e il Centro si attestano su 145 e 141 euro rispettivamente, al di sopra della media italiana (132 euro), su cui converge la ripartizione delle Isole, ma con due situazioni molto differenti: da un lato la Sardegna, che ha una spesa
pro-capite fra le più alte in Italia (283 euro pro-capite) e dall’altro la Sicilia, con un valore decisamente inferiore (82 euro). Rapportando la spesa di ciascuna area di utenza alle specifiche sotto popolazioni di riferimento, emergono ulteriori importanti divari territoriali e si evidenziano in particolare le carenze assistenziali di molte regioni del Sud. Piu � nello specifico, si puo � riscontrare, ad esempio, che quasi il 30% dei Comuni del Mezzogiorno non offre il servizio di assistenza domiciliare agli anziani in condizioni di fragilita�, che prevede un supporto per la cura della persona e dell’abitazione. Al Centro i Comuni che non offrono questo tipo di assistenza sono invece meno del 15% e sono meno del 10% al Nord, dove per altro vengono erogati voucher, assegni di cura e buoni socio-sanitari agli anziani non autosufficienti da piu � del 70% dei Comuni, contro il 33% dei Comuni al Centro, il 12% al Sud e il 13% nelle Isole. Regioni e Province contribuiscono al welfare territoriale Pur essendo la gestione degli interventi e servizi sociali una competenza prettamente comunale, esercitata singolarmente o in associazione fra Comuni limitrofi, le Regioni e le Province possono integrare l’offerta sociov assistenziale con interventi aggiuntivi . Tali interventi non sono presenti su tutto il territorio nazionale, ma in alcuni contesti, per il particolare assetto organizzativo della gestione dei servizi, risultano significativi, aggiungendo una quota di spesa non trascurabile a quella gestita dai Comuni singoli e associati. E � il caso in particolare della Valle D’Aosta, della Provincia Autonoma di Trento e, in minor misura, della Campania, della Liguria e di altre regioni. L’integrazione dei dati raccolti presso le Regioni e le Province non modifica sostanzialmente il quadro dei divari territoriali, ma in alcuni contesti apporta cambiamenti nell’allocazione delle risorse fra le aree di utenza. Fonti di finanziamento: più della metà sono risorse
proprie dei Comuni Oltre la meta� della spesa utilizzata per il welfare locale risulta finanziata dalle risorse proprie dei Comuni e delle associazioni di Comuni (57,4%). La fonte di finanziamento piu � rilevante, dopo le risorse proprie dei Comuni, �e rappresentata dai fondi regionali vincolati per le politiche sociali (fondi provinciali nel caso di Province Autonome), che coprono il 18,6% della spesa. Il fondo indistinto per le politiche sociali fornisce la copertura al 7,9% delle risorse impiegate, quota in costante diminuzione (era il 14% nel 2010). Rispetto all’anno precedente �e aumentata di 3,1 punti percentuali la copertura da parte di altri finanziamenti statali, dell’Unione europea e di altri Enti pubblici, che nel complesso �e passata dal 12,1% al 15,2%. Specularmente �e diminuita di 3 punti percentuali la quota delle risorse dei Comuni singoli e associati. Complessivamente le risorse distribuite dallo Stato e dagli altri Enti pubblici coprono quindi il 23,1% della spesa per gli interventi e i servizi socio-assistenziali, mentre piu � di tre quarti viene finanziata a livello regionale o comunale (76%). La spesa rimanente (0,9%) �e finanziata dal settore privato. Al Centro e al Nord Italia, dove la spesa sociale �e piu � rilevante, �e anche piu � alta la quota aggiuntiva rispetto ai fondi statali, finanziata con le risorse proprie dei Comuni e delle Associazioni di Comuni (60,7% al Centro, 62,6% al Nord-est, 68,1% al Nord-ovest). Al Sud e nelle Isole tale quota si riduce (37,2% e 27,9% rispettivamente) e aumenta il peso dei trasferimenti statali o dell’Unione Europea.
Ad aprile 2023 l’Istat ha presentato la decima edizione del Rapporto sul Benessere equo e sostenibile (Bes) che propone un capitolo iniziale di sintesi, che in questa edizione è incentrato sull’analisi dell’evoluzione re-
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cente del benessere, con particolare attenzione agli squilibri territoriali e alle differenze di genere e per classi di età. La visione di insieme sul dominio salute ci racconta che: · L’eccesso di mortalità connesso alla diffusione della pandemia ha comportato nel 2020 una riduzione della speranza di vita alla nascita di oltre un anno di vita (82,1 anni rispetto agli 83,2 del 2019), solo parzialmente recuperata nel 2021 (82,5 anni) e nel 2022 (82,6). Nel 2022, il gap di genere ritorna al livello prepandemico (4,3 anni), dopo aver subito un ampliamento nei due anni precedenti. · L’analisi territoriale mette in evidenza come, nel 2022, nessuna regione sia tornata ai livelli di vita media attesa del 2019; soltanto alcune regioni hanno in buona parte recuperato gli anni di vita persi durante il biennio di pandemia. Complessivamente, le variazioni nella speranza di vita registrate tra il 2020 e il 2022 modificano molto poco la geografia della vita media attesa, consolidando le ben note disuguaglianze territoriali che vedono la Campania con la più bassa speranza di vita alla nascita (80,9 anni), quasi tre anni in meno rispetto a Trento (84,0 anni). · Nel 2022, la speranza di vita in buona salute si stima pari a 60,1 anni. L’andamento di questo indicatore ha segnato un punto di rottura dopo la pandemia per gli opposti andamenti delle due componenti dell’indicatore (speranza di vita e prevalenza della buona salute percepita), facendo registrare sia nel 2020 che nel 2021 valori superiori rispetto al 2019 (era pari a 58,6 anni). L’andamento è dovuto al picco di aumento della quota di persone che aveva valutato positivamente le proprie condizioni di salute nel contesto della pandemia. Permane il divario di genere a vantaggio degli uomini, con oltre due anni di differenza (61,2 e 59,1 rispettivamente per uomini e donne). Nel 2022, l’indice di salute mentale risulta pari a 69,0, in leggero miglioramento sia rispetto al 2021 sia rispetto al 2019 (68,4 in entrambi gli anni). L’analisi per età mette in luce, tuttavia, il forte contraccolpo in termini di benessere psicologico subito negli ultimi due anni dai più giovani, specialmente dalle ragazze, tra le quali l’indicatore si mantiene su valori peggiori rispetto al periodo pre-Covid, sia nella fascia di età 14-19 anni sia, in maniera ancora più critica, in quella 20-24.
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· Nel 2022, l’indice di salute mentale risulta pari a 69,0, in leggero miglioramento sia rispetto al 2021 sia rispetto al 2019 (68,4 in entrambi gli anni). L’analisi per età mette in luce, tuttavia, il forte contraccolpo in termini di benessere psicologico subito negli ultimi due anni dai più giovani, specialmente dalle ragazze, tra le quali l’indicatore si mantiene su valori peggiori rispetto al periodo pre-Covid, sia nella fascia di età 14-19 anni sia, in maniera ancora più critica, in quella 20-24. · Tra gli indicatori di mortalità per causa si evidenzia, nel 2020, un peggioramento di quello relativo alla mor-
talità per demenze e malattie del sistema nervoso nella popolazione anziana (passato da 34,0 per 10mila abitanti del 2019 a 35,7 del 2020), confermando il trend in negativo già registrato negli anni precedenti. Si osserva, inoltre, l’arresto del progressivo miglioramento osservato fino al 2019 dell’indicatore di mortalità evitabile (era pari a 15,5 per 10mila residenti nel 2019 e si attesta a 16,5 nel 2020). · Nel 2021, si conferma la riduzione della mortalità per incidenti stradali dei giovani di 15-34 anni (con l’indicatore pari a 0,6 per 10mila residenti, rispetto a 0,7 per 10mila residenti del periodo 2013-2019), già sperimentata nel 2020 (0,5) per effetto delle restrizioni agli spostamenti per contenere la diffusione della pandemia. · Nel 2022, è pari al 36,3% la quota di persone sedentarie, che dichiarano cioè di non svolgere né sport né attività fisica nel tempo libero. L’indicatore mostra un significativo peggioramento rispetto al 2021 (quando era pari al 32,5%) e si riallinea, invece, ai livelli registrati nel biennio pre-pandemico 2018-2019. · L’eccesso di peso tra la popolazione adulta, in crescita nel 2020 (quando era pari a 45,9%), si riallinea sia nel 2021 che nel 2022 ai livelli pre-pandemia (con valori rispettivamente pari a 44,4 e 44,5%). La componente dell’indicatore relativa all’obesità rimane tuttavia in aumento nel lungo periodo. · Nel 2022, è pari al 16,8% la quota di popolazione di tre anni e più che ha consumato giornalmente almeno quattro porzioni di frutta e/o verdura, in continua diminuzione negli ultimi anni (sfiorava il 20% nel periodo 2015-2018). · Nel 2022, è pari al 20,2% la quota di fumatori di 14 anni e più, in aumento rispetto al 2019 (18,7%). L’abitudine al fumo è più diffusa tra gli uomini rispetto alle donne (24,2% contro 16,3%). Nel tempo, l’aumento del numero di donne fumatrici determina una riduzione di tale distanza (era pari a 11,2 punti percentuali nel 2010 e arriva a 7,9 punti percentuali nel 2022). Gli incrementi osservati tra il 2021 e il 2022 hanno però riguardato essenzialmente gli uomini (+1,1 punti percentuali rispetto a +0,3 delle donne), torna dunque ad ampliarsi il gap di genere. · L’abitudine al consumo a rischio di bevande alcoliche ha interessato nel 2022 il 15,5% della popolazione di 14 anni e più. Ritorna così al livello del 2019 (quando era pari al 15,8%), dopo l’aumento di circa 1 punto percentuale registrato tra il 2019 e il 2020 e la successiva diminuzione nel 2021 (-2 punti percentuali). L’aumento nella quota dei consumatori a rischio osservato nel 2022 ha riguardato esclusivamente l’incremento dell’abitudine al binge drinking cresciuta soprattutto tra i ragazzi e gli adulti di 14-44 anni (dal 10,4% del 2021 all’11,7% del 2022).
https://www.istat.it/it/archivio/283033
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