Queste istituzioni 17

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2 statali .- ancor più che il resto del sistema industriale italiano -1 rischia una stasi assai grave e pericolosa a causa di un alto grado di incertezza: oltre all'incertezza generale che riguarda le prospettive dei grandi comparti produttivi in tutti i grandi paesi industriali, esiste da noi il vuoto di politica industriale e la più accesa conflittualità fra management delle PP.SS. e classe politica che si sia mai avuta da molti anni a questa parte. A questo punto, diviene, a nostro parere, sempre più importante riprendere da capo la questione degli obiettivi delle parteoi-

pazioni statali. È una questione che si articola su molti piani: - quello dei criteri generali di governo del sistema, quello delle programmazioni di settore e aziendali, quello degli strumenti di propulsione e controllo dei risultati. Su questi temi orienteremo i nostri ulteriori contributi dopo che gli interventi di questo fascicolo, facendo riferimentò al saggio di Leon e alle note di Ristuccia pubblicati nel fascicolo n. 11,

Come governare le partecipazioni statali, portano il discorso verso questa direzione.

L 'impresa pubblica come strumento di politica. industriale di Laura Pennacchi

Il dibattito sull'impresa pubblica, pur ximasto ininterrottamente aperto nella pubblicistica politica ed economica del nostro paese nel corso degli ultimi venti anni, ha conosciuto a partire dal 1975 una nuova vivacità. In quell'anno la prima drammatica caduta del reddito nazionale del dopoguerra, e l'esplodere di casi di corruzione indotti da gestioni clientelari e parassitarie dell'apparato produttivo in mano pubblica, resero evidente la esistenza di molti nodi irrisolti del « caso italiano », tra i quali la contraddittorietà - storica e logica - della natura e del ruolo dell'impresa a partecipazione stata• le. Della soluzione di questo nodo specifico si ritenne di dover investire direttamente il Parlamento. I risultati dell'intensa discussione che si svolse in quella sede dal gennaio al maggio 1975 sono consegnati nella relazione finale che la com• missione incaricata (la commissione Chiarelli, dal nome del suo presidente) approvò, il 28 febbraio 1976. Le proposte scaturite dai lavori della commissione - su cui si registrò un ampio •consenso e che il governo si impegnò a

realizzare in tempi brevi - lungi dal postulare un'alterazione dell'ordinamento formale vigente per l'impresa a partecipazione statale, implicano una modificazione della struttura del sistema limitata ai suoi modi di essere e di operare. Piuttosto che una diversa organizzazione della struttura si ipotizza una diversa articolazione - distribuzione del potere decisionale esistente al suo interno, tale da non far fuoriuscire dalla struttura stessa: di qui l'enfatizzazione del ruolo che il potere legislativo deve esercitare in ter mini di orientamento e di controllo sulle Partecipazioni Statali, alla quale, in ultima analisi, vanno ricondotte opzioni quali l'istituzione della Commissione interparlamentare' di vigilanza, l'individuazione legislativa dei criteri per le nomine dei dirigenti e per la finalizzazione dei fondi di dotazione degli Enti, la possibilità che la Corte dei conti eserciti un controllo più organico e più trasparente sull'operato delle aziende pubbliche, e così via. L'aggravarsi del dissesto finanziario di molte imprese pubbliche e il clamoroso scioglimento dell'EGAM hanno provocato

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