Queste istituzioni 145

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queste istitilZi011i XXXIIV n. 145 Direttore: SERGIO RISTUCCTA condirettore. ANroNIo DI MAJO Vice Direttore: GIOVANNI VETRITTO Redattore Capo. SAVERIA ADDOTTA Comitato di redazione: CARLA BASSU, FAI3I0 BIscorIl, ROSALBA CoRI, FRANCESCO DI MAIO,

Anno

ALESSANDRO HINNA, CLAUDIA LOPEDOTE, GIOIiIO PACANO, PIER LUIGI PETRILLO, ELISABETTA PEZZI, MASSIMO RIBAUDO, CLAUDIA SENSI, VALERIA VALISERRA, FRANCESCO VElO, DONATELIA VISC0;LIOSI, STEFANIA ZUCCOLOTTO

co/laboratori: ARNALDO BAGNASCO, ADOLFO BATTAGI A, GIOVANNI BECHELLONI, GIUSEPPE BERTA, GIANFRANCO BETTIN LATTES, ENRICO CANIGLIA, OSVALDO CROCI, ROMANO BETTINI, DA\'ID BOGI, GIROLAMO CAIANIELLO, GABRIELE CALVI, MANIN CARABBA, BERNARDINO CASADEI, MARIO CACIAGLI, CARLO CHIMENTI, MARCO CIMINI, GIUSEPI'E COGLIANDRO, MASSIMO A. CONTE, ERNESTO D'ALBERGO, MA5SIES0 DE FELICE, DONATIIIIA DELLA PORTA, BRUNO DENTE, ANGELA DI GREGORIO, CARLO D'ORTA, SERGIO FABBRINI, MARIA ROSARIA FERRARESE, PASQUALE Fioito, ToMMASO EDOARDO FR0SINI, CARLO FUSARO, FRANCESCA GAGLIARDUCCI, FRANCO GAllO, SIIVIO GAMISINcS, GIULIANA GEMELLI, VALERIA GIANNEILA, MARINA GIGANTE, GILJSEPI'E GoDANO, ALIWILIo LACAVA, SIMONA LA ROCCA, GIAMI'Aow LADU, SERGIO LARICCIA, GIANNI LIMA, QUIIUN0 LoIsvILI, ANNICK MAGNIER, ADELE MA;ItO, ROSA MAIOIUNO, GIAMPAOLO MANZELIA, DONATO MASUIANDARO, PAOLO MIELI, WALTER N0CFIo, ELINOR OSI- Rosi, VINCENT OSTROM, ALESSANDRo PAI.ANZA, ANDREA PIISAINO, BERNARDO PIzzErrI, IGNAZIO POILFELLI, GIOVANNI POSANI, GElIDo MARIo REY, GIANNI RIOTTA, MARCELLO ROMEI, FRANCESCA ROSSI, FABRIZIO SACCOMANNI, LUIGI SAI, GIANCARIO SAlA EMINI, MARIA TERESA SALVEMINI, STEFANO SEPE, UMBERTO SERAFINIt, FRANCESCO SID0TI, ALESSANDRO SIQ, FEDERICO SI'ANTIGATI, VINCENZO SPAZLANTE, PIERO STEFANI, DAVID SZANTON, JULIA SZANTON, SALVATORE TERESI, VALERIA TERMINI, TIZIANO TERZANIt, GIANLUIGI TOSATO, GUIDO VERUCCI, FEDERICO ZAMPINI, ANDREA ZOPPINI

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14.847 (12

GIOVANNI BECHELLONI

Edito re: QUES.I.RE Srl QUESTE ISTITUZIONI RICERCHE ISSN 1121-3353 Stampa: Spedalgraf- Roma Chiuso in tzografia il 20 settembre 2007 Foto di copertina:

Il teatro populardi Oscar Niemeyer a Niteroi (Brasile)

Associato all'Uspi: Unione Stampa Periodica Italiana

dicembre

1972)


queste istituzioni n. 145 primavera 2007

Indice

III

Ritrovare ragioni e presupposti di una buona amministrazione

Taccuino i

Uno stop allo spoils system Carlo D'Orta

6

L'Italia nella programmazione dei Fondi strutturali europei Filomena Fantarella

20

Mafie e governi locali: un'emergenza sommersa Ignazio Portelli

34

Css: missione impossibile? Massimo Ribaudo

Dibattito 43

I controlli finanziari e crediiizi: lezioni di un confronto comparativo Giuseppe Godano

55

Maitriser le "droir mou" communautaire Claudia Lopedote


Processi e procedimenti amministrativi 71

Giurisdizione della Corte dei conti e giusto processo secondo Costituzione: un puzzle incomponibile? Sergio Ristuccia e Donatella Viscogliosi

92

Storia del comma infame e dell'invenzione dei "reati contabili" Joe Certavoce

106

La trasparenza impossibile: note sulla riforma (continua) della legge 241 Claudia Sensi

Saggio 121

I'

Il modello istituzionalista come paradigma per una corretta gestione della proprietĂ collettiva Cristiano Andrea Ristuccia


queste istituzioni n. 145 primavera 2007

editoriale

Ritrovare ragioni e presupposti di una buona amministrazione

Nell'editoriale del numero scorso abbiamo citato l'accesso ai Fondi strutturali europei come problema a cui attendere con la necessaria attenzione (ed energia) negli anni della presente legislatura. Per l'esattezza, dicevamo: "l'Italia si appresta (verosimilmente per l'ultima volta) a sfruttare significativi finanziamenti". Così importante il tema da essere citato all'inizio di un breve elenco esemplificativo di problemi davanti al Paese? Ci è stato domandato e rispondiamo. Importante, innanzitutto, perché l'entità dei fondi per il nostro Paese è di rilevante consistenza nell'ottica dello sviluppo locale. All'Italia, per il periodo 20002006, sono stati assegnati circa 30 miliardi di euro di fondi europei destinati al recupero delle Regioni arretrate e alla riconversione di quelle caratterizzate da difficoltà strutturali. Con l'Obiettivo i dei Fondi strutturali attraverso 7 programmi pluriregionali e 7 programmi regionali, e l'Obiettivo 2 attraverso 14 programmi regionali, i Fondi sostengono gli investimenti produttivi finalizzati allo sviluppo territoriale e settoriale, alle attività maggiormente rispettose dell'ambiente; forniscono aiuti integrati alle PMI in base ai rispettivi "business plan" e promuovono la formazione professionale. In secondo luogo, perché è stato per merito soprattutto di uomini dell'amministrazione che si è riusciti ad acquisire queste risorse. Infine, perché il cambiamento del Regolamento sui fondi strutturali ha restituito un ruolo di maggiore ampiezza alle amministrazioni degli Stati membri. Ed è quest'ultima, anzi, la ragione che ci spinge ad approfondire il discorso. In questo numero della Rivista si parla della nuova politica dei Fondi strutturali come dell"ultimo treno" (Filomena Fantarella, L'Italia nella programmazione dei Fondi strutturali europei), cogliendone appieno la valenza di strumento di programmazione che non cala dall'alto, ma affida all'iniziativa degli Stati membri il compito e la responsabilità di cogliere e realizzare tutte le opportunità per lo sviluppo regionale che derivano da un uso delle risorse assegnate.

III


La politica regionale europea che "per dimensioni finanziarie e grado di interazione tra le amministrazioni può considerarsi quello più incisivo tra gli strumenti di intervento dell'Unione" (Gian Paolo Manzella, La nuova politica regionale europea in «Rivista giuridica del Mezzogiorno», n. 1/2007) è stata oggetto "di una progressiva rinazionalizzazione" che tuttavia è nel segno di quell"evoluzione dei rapporti tra amministrazioni registrata negli anni più recenti che ha portato anche le Regioni, oltre al livello nazionale, a divenire interlocutori paritari della Commissione". Rinazionalizzazione significa compito accresciuto delle amministrazioni nazionali per l'esecuzipne delle norme comunitarie all'insegna del principio di "proporzionalità". Un margine di manovra maggiore per gli Stati membri a cui spettano i sistemi di gestione e di controllo dell'uso delle risorse. Fermo rimanendo il dialogo amministrazioni nazionali - Commissione in materia strategica. Per un Paese come l'Italia, che utilizzerà in questi anni risorse comunitarie in una misura che non si dovrebbe più ripetere, si offre più di una opportunità: innanzitutto, ovviamente, saper sfruttare al meglio e nei tempi giusti tutte le risorse; poi disporre di una politica strategica che può fare da guida per il coordinamento dei vari livelli di governo e di amministrazione (al di là dell'impegno dei settori amministrativi più direttamente competenti in materia); infine, e soprattutto, disporre di una sorta di parola d'ordine per mobilitare le energie delle amministrazioni. Oltre agli obiettivi specifici da raggiungere c'è la possibilità di risalire la china di una reputazione complessiva delle amministrazioni nazionali e regionali italiane che è piuttosto bassa in sede europea e che sicuramente costituisce un handicap (a parte la ticonosciuta capacità di alcuni uomini dell'amministrazione italiana). Senza dire che intorno al successo da conseguire in materia di politica regionale si potrebbe costruire un caso-guida di quella politica di animazione del mondo dell'amministrazione che noi abbiamo spesso invocato come necessaria in sé e come indispensabile fatica dei Ministri in dialogo intenso con le donne e gli uomini dell'Amministrazione. Senza molto successo. Ma noi insistiamo, naturalmente. Discorso diverso, ma ugualmente impegnativo nel senso del dialogo con quanti operano nelle amministrazioni e sono parte del pubblico impiego, è quello delle liberalizzazioni. Come vanno realizzate, come incidono sui compiti delle amministrazioni, come ridimensionano il ruolo delle medesime e dunque come incidono sul lavoro di quanti fin qui incaricati di istruire domande di licenze, concessioni ed altro e di amministrare mercati vari. C'è tutto un versante di questioni relative all'applicazione dei provvedimenti di liberalizzazione e di effetti sugli apparati

Ik!A


amministrativi interessati che ci auguriamo siano già oggetto di studio e verifica: buona parte del successo delle liberalizzaziòni dipende, infatti, dalla "copertura amministrativa" che sarà data ai provvedimenti. Non c'è un "poi vedremo". A proposito di politica dell'Amministrazione, merita qualche considerazione il "Memorandum d'intesa su lavoro pubblico e riorganizzazione delle Amministrazioni Pubbliche" firmato il 18 gennaio 2007 dai Ministri per le Riforme e le Innovazioni nella Pubblica Amministrazione, Luigi Nicolais, e dell'Economia e delle Finanze, Tommaso Padoa Schioppa, e dai rappresentanti di CGIL, CISL e UIL. Accantoniamo l'impressione di "deja vii" che assale il lettore che abbia qualche conoscenza difatti e misfatti della PA. Maper andare avanti dobbiamo fare anche noi un'operazione di azzeramento della memoria come fanno gli autori del documento nei modi che vedremo. Dunque, andiamo alle parti che contengono indicazioni specifiche. Poi andremo alle affermazioni di carattere generale. L'azione amministrativa deve realizzarsi attraverso "l'adozione e la diffusione di un metodo fondato sulla fissazione di obiettivi e sulla misurazione dei risultati". Detto così, come lo dice il Memorandum, sembra che siamo di fronte ad una indicazione originale. Invece, sono almeno quindici anni che si parla di trasformazione della PA in una amministrazione di risultati. La domanda naturale è: perché mai non si è andati molto avanti? Tutta la contrattualizzazione dei rapporti di lavoro con i dirigenti non è forse fondata su questo rapporto obiettivirisultati? Riproporre il metodo del confronto fra obiettivi e risultati dovrebbe partire dalla trasparente consapevolezza di quel che è successo (o non è successo). D'altra parte, la riflessione scientifica ha dimostrato certi facili fallimenti del metodo quando finisca per escludere, per esempio, una adeguata valutazione dei fattori di incertezza o imprevedibilità che spesso vincolano l'azione amministrativa. In quest'ambito un'indicazione va comunque sottolineata nel documento come prescrizione utile da realizzare con determinazione: l"informazione di qualità, in via continuativa, sui risultati effettivamente conseguiti, ariche sulla base di indagini sulla percezione degli utenti". Si tratta di cominciare. Magari con qualche sperimentazione da fare al più presto. A quando qualche prima sistematica informazione? Quando l'uso come benchmark di esperienze "in fase di avvio", uso che viene promesso? Per fare i pignòli, ma in questé cose è meglio non "passare tutto in cavalleria", non si capisce perché parlare indistintamente di "servizi" (da rendere al pubblico) e "azione amministrativa". Non è proprio lo stesso quando si vanno a confrontare obiettivi con risultati e sarebbe opportuno esserne consapevoli. Altrimenti si lascia il discorso agli esperti magari poi per parlarne male e rifiutarne l'apporto. 12


Per quanto riguarda l'accesso ai pubblici impieghi, il Memorandum afferma che "l'accesso per concorso resta la modalità ordinaria per tutti i livelli della PA". Non sarebbe stato meglio ricordare che ciò è quanto prescrive la Costituzione, all'art.97: "I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione. Nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari. Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge"? Non è così pleonastico. Per la pianificazione del turnover è giusto avere un orizzonte di medio periodo ed essere in coerenza con i vincoli finanziari, ma è ambiguo e pericoloso ritenere che il fabbisogno di personale "emerga da un'analisi comparata delle esigenze tra le diverse unità dell'Amministrazione rispetto agli obiettivi di Governo' Quest'ultimo parametro non è, né può essere, l'unico per valutare tale fabbisogno. Assolutamente singolare è, poi, in materia di dirigenza la seguente affermazione: "Il numero complessivo dei dirigenti pubblici deve essere ridotto, abbassando il rapporto medio dirigente/personale con vantaggi di efficienza, razionalità organizzativa e di spesa". Abbiamo letto piii volte la frase, abbiamo chiesto ad altri di leggerla e abbiamo concluso che quell'abbassando è un errore. Sta per innalzando. A meno che si volesse dire "pur abbassando" il rapporto dirigente/personale. Il che darebbe per presupposto che i dirigenti sono in tal numero, oggi, che pur riducendone il numero è tuttavia possibile abbassare il rapporto. Dunque se ne deve dedurre che, per i redattori del documento, molti sarebbero i dirigenti privi di lavoro effettivamente dirigenziale. In mancanza di riferimenti a dati precisi e a ricognizioni appropriate rimaniamo nel dubbio sui significato concreto dell'indicazione contenuta nel Memorandum. La questione, in ogni caso, è fondamentale, anche perché va a qualificare il ragionamento che segue e che riguarda la eliminazione di "ogni progressione automatica" e della "attuale graduazione degli uffici in funzione esclusiva di meccanismo automatico di differenziazione retributiva". Senza chiarezza al riguardo gli esiti di queste ultime affermazioni potrebbero essere tutt'affatto diversi da quelli, apparentemente di maggior rigore, che pure si potrebbero trarre da questo paragrafo del documento. Ci fermiamo qui. Quanto alle affermazioni di carattere generale, vale sottolineare l'incipit del Memorandum: "Una profonda riorganizzazione delle Amministrazioni pubbliche è un passaggio obbligato affinché l'economia italiana torni su un sentiero di crescita duratura". Siccome siamo degli ottimisti, prendiamo come un buon segno il fatto che non venga mai usata la parola "riforma" che implica il diretto riferiVI


mento a fare altre leggi (non staremo a ripetere perché non è necessario). Poco più avanti però si enfatizza la "legislazione a sostegno della piena contrattualizzazione del rapporto di lavoro pubblico", senza dire che questa legislazione c'è già in abbondanza e da anni tanto che sarebbe necessario verificarne attentamente gli effetti. Abbiamo già segnalato, nell'editoriale del numero precedente, che questa ha ampiamente ripristinato una situazione di giungla retributiva soprattutto a livello dirigenziale. Sicché non comprendiamo perché da parte ministeriale ci si debba vincolare all'affermazione riportata. In verità, una cosa risulta chiara: il Memorandum serve a sancire una nuova fase della concertazione con le grandi confederazioni sindacali in materia di pubblico impiego dopo il periòdo del centrodestra durante il quale la concertazione, più che respinta o rifiutata, è stata - diciamo così - snobbata. Peraltro in assenza di una politica del pubblico impiego di qualche significato. A questo scopo viene sacrificata la possibile forma alternativa che il Memorandum poteva assumere: un'indicazione, da una parte, della politica di parte ministeriale; e le osservazioni, dall'altra, delle confederazioni sindacali con la finale indicazione dei punti su cui lavorare. Una forma, questa, che avrebbe meglio tenuti distinti ruoli e responsabilità. Come in una democrazia rappresentativa di tipo parlamentare, e non in vario modo populista, sarebbe necessario. A rimettere in ordine le cose, per quanto è possibile, in materia di spoils system (si veda la nota di Dall'Orta pubblicata nel Taccuino) è stata di recente la Corte Costituzionale con le sentenze n. 103 e 104 del 2007. Dedicate al tema, la prima, in ambito di amministrazione centrale e la seconda in ambito di amministrazione regionale. La Corte ha già avuto modo di sancire come costituzionale la facoltà dei governi, una volta che cambi la compagine governativa, di cambiare entro novanta giorni i cosiddetti dirigenti apicali dell'Amministrazione centrale. Anche se i cambiamenti di governo non sono ancora passaggio da uno all'altro governo di legislatura nella supposizione, spesso addotta fra le ragioni dell'istituto dello spoils system, della probabilità del cambio di maggioranze parlamentari. In realtà, le sentenze tendono ad impedire che all'insegna di un malinteso (o furbo) allargamento delle ragioni del sistema che consente, al mutare dei governi, il cambiamento dei titolari di alcune cariche di vertice dell'Amministrazione si moltiplichino progressivamente le ipotesi legislative di anticipata decadenza di dirigenti pubblici dettate sostanzialmente dalla sindrome acquisitiva che spesso il personale politico ha nei confronti delle strutture amministrative di cui ha (e dovrebbe ricordarsi di avere) responsabilità politica e non gestionale o amVT'


ministrativa. Si tarda sempre ad intendere che il primo compito del governo politico è quello di indirizzare e sollecitare le amministrazioni con le donne e gli uomini che vi si trovano ad operare senza subito immaginare di chiamarvi nuovi dirigenti o dipendenti. Esclusi naturalmente - ma sono l'unica eccezione - i posti di diretta collaborazione ed escluso, comunque, il turnover alle scadenze prefissate. Tutto ciò chiamando in soccorso leggi-provvedimento. Relativamente a queste pulsioni, le due sentenze della Corte, pur riguardando il caso del co siddetto «spoils system una tantum" come è quello riguardante la dirigenza non apicale previsto nella legge n. 145 del 2002 (la legge Frattini stabiliva che gli "incarichi di funzione dirigenziale di livello generale" cessassero automaticamente sessanta giorni dopo l'entrata in vigore della legge), mettono paletti precisi. Partendo da una puntigliosa ricostruzione dei principi vigenti in materia: innanzitutto, la separazione tra i compiti di direzione politica e quelli di direzione amministrativa e, quindi, l'attribuzione ai dirigenti di autonomi poteri di direzione, di vigilanza e di controllo. Con la conseguenza che "gli atti di competenza dirigenziale non sono soggetti ad avocazjone da parte del Ministro se non per particolari motivi di necessità ed urgenza, specificamente indicati nel provvedimento di avocazione" (v. il comma 3 dell'art. 14 del d.lgs. n. 29 del 1993). Ancora, la Corte ricorda vari altri profili del rapporto di servizio dei dirigenti (ivi compresi la contrattualizzazione del rapporto di lavoro e il principio della temporaneità degli incarichi) che tutti confluiscono nel determinare "il definitivo passaggio da una concezione della dirigenza intesa come status, quale momento di sviluppo della carriera dei finzionari pubblici, ad una concezione della stessa dirigenza di tipo finzionale' Ma ciò nel quadro di un rapporto fra politica e amministrazione che "non è più ricostruibile pienamente in termini di gerarchia, bensì di coordinamento finzionale e di collaborazione tra i due livelli" Di qui la necessità che la cessazione anticipata dell'incarico debba riferirsi ai risultati negativi dell'attività amministrativa ovvero al mancato raggiungimento degli obiettivi nonché ad altre gravi inosservanze: tutti motivi che devono essere oggetto di contestazione e di contraddittorio. La disposizione relativa alla cessazione automatica viene abrogata dalla Corte perché "determinando una interruzione, appunto, automatica del rapporto d'ufficio ancora in corso prima dello spirare del termine stabilito, viola, in carenza di garanzie procedimentali, gli indicati princlpi costituzionali e, in particolare, il principio di continuità dell'azione amministrativa che è strettamente correlato a quello del buon andamento dell'azione stessa' Principio a sua volta strettamente collegato a quello dell'imparzialità che deve qualificare, per dettato costituzionale, la pubblica amministrazione. Sull'imparzialità si sofferma piui ampiamente la sentenza n. 104 nella quale si riVIII


corda, fra l'altro quanto si affermò in sede di Seconda Sottocommissione dell'Assemblea Costituente: "Lo sforzo di una costituzione democratica, oggi che al potére si alternano i partiti, deve tendere a garantire una certa indipendenza ai funzionari dello Stato, per avere un'amministrazione obiettiva della cosa pubblica enon un'amministrazione dei partiti". E viene così ribadito dalla Corte che "l'imparzialità e il buon andamento dell'amministrazione esigono che la posizione del direttore generale sia circondata da garanzie; in particolare, che la decisione dell'organo politico relativa alla cessazione anticzpata (..) rispetti ilprincipio delgiusto procedimento ' La lezione dei giudici delle leggi è importante. Contribuirà, almeno un po', a ricostruire l'ethos dell'Amministrazione pubblica di cui parlava qualche anno fa Paul Du Gay nel libro controcorrente "In praise of Bureaucracy" (SAGE Publications, 2000)? Tutto sommato, egli ha ragione: "Representative democracy still needs the bureaucratic ethos'

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taccuino

queste istituzioni n. 145 primavera 2007

Uno stop allo, spoils system di Carlo DOrta *

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123 marzo 2007 la Corte costituzionale, con le sentenze 103 e 104, ha bloccato, in modo forse definitivo, la tentazione bipartisan di assoggettare a spoils system i dirigenti delle pubbliche amministrazioni. È una storia che vale la pena di raccontare, perché tocca al cuore il più importante principio costituzionale sulla pubblica amministrazione: quello di imparzialità e buon andamento. Tutto comincia nello Stato, nel 1998-99. Nel 2002 si ha una decisa accelerazione. Le norme e la pratica dello spoils system si diffondono poi a livello regionale e locale, per trovare infine, in questi mesi, nuove manifestazioni anche a livello statale. Si possono distinguere due vicende. La prima è quella dello spoils system "ordinario", che dovrebbe interessare soltanto pochi e altissimi dirigenti pubblici, collocati ai vertici dell'apparato pubblico. Sono i segretari generali e i capi dipartimento della presidenza del Consiglio e dei ministeri, non più di cinquanta persone, e i direttori generali dei principali Enti locali (meglio noti come city manager), a loro volta non più di duecento. Quando, con il decreto legislativo n. 80 del 1998, la questione fu per la prima volta sollevata all'interno della riforma generale dell'amministrazione dello Stato, allora in via di realizzazione, apparve ai più ragionevole che questi altissimi funzionari pubblici,

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tratto dal sito www.lavoce.info

Sistema "ordinario" e "una tantum"


preposti ai principali centri amministrativi del Paese, dovessero godere della piena fiducia del titolare dell'organo politico. Di qui la regola per cui spetta al ministro, entro un breve termine (60 giorni) dall'insediamento dell'esecutivo, nominare i nuovi funzionari di vertice, confermando o sostituendo, su base esclusivamente fiduciaria, quelli in carica 1 . Analoga normativa fu introdotta, in parallelo, per la nomina e revoca del cùy manager da parte del sindaco. La eccezionalità di questa regola è dimostrata dal fatto che per tutti gli altri dirigenti pubblici, in ossequio all'imparzialità e buon andamento dell'amministrazione, vale invece un opposto criterio di stabilità: la rimozione è possibile soltanto quando i risultati della gestione sono giudicati, al termine di apposita e periodica procedura di valutazione, gravemente o ripetutamente negativi. La seconda vicenda è quella dello spoils system "una tantum" Con norme straordinarie, e in connessione con eventi particolari, il ricambio su base prettamente fiduciaria è stato ampliato ben oltre i confini originari, per interessare tutti i dirigenti di livello medio-alto e talvolta anche quelli di base. Il primo caso si ha nel 1999 quando, attivando il cosiddetto "ruolo unico" dei dirigenti statali, tutti gli incarichi dirigenziali nei ministeri, sia di livello generale che di base (oltre cinquemila dirigenti), vengono azzerati e riassegnati (articolo 8 del Dpr 150/1999). Il secondo caso si ha nel 2002: la legge 145/2002 (articolo 3, comma 7) azzera di nuovo tutti gli incarichi dirigenziali nei ministeri. In concreto, i casi di vera e propria rimozione ovvero nessun nuovo incarico o un mero incarico di studio, sono limitati: nel 1999 le "rimozioni" di dirigenti di livello generale sono quaranta su 445; nel 2002 quarantuno su quasi 5002. Ma i dirigenti pubblici ricevono, in entrambi i casi, un forte messaggio di precarietà. Precarietà che viene accentuata, nel 2002, eliminando ogni durata minima degli incarichi e allargando il numero dei posti dirigenziali attribuibili, con contratto, a soggetti esterni all'amministrazione. L'ultimo episodio è dell'ottobre 2006. La legge 286 (articolo 2, commi 159-161) protrae per sette mesi dopo la formazione del governo il termine entro cui i ministri possono sostituire segretario generale e capi dipartimento dei ministeri. Estende lo spoils sy-

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stem anche ai direttori generali delle 14 agenzie statali, comprese quelle fiscali. Infine, assoggetta in via permanente a questo meccanismo una platea più ampia di dirigenti, facendo decadere, alla formazione del nuovo esecutivo nazionale, tutti gli incarichi dirigenziali conferiti, nei ministeri, a soggetti non appartenenti ai ruoli dell'amministrazione interessata. Le Regioni non sono da meno e spesso, con proprie leggi, vanno più in là, facendo decadere, al rinnovo del Consiglio regionale, tutti gli incarichi dirigenziali di livello generale nell'amministrazione regionale e in tutti gli enti e organismi collegati, comprese leAsl. Dunque, nel giro di pochi anni l'introduzione di un sistema pensato per pochi casi si espande a macchia d'olio, creando non poco allarme tra dirigenti pubblici e studiosi di pubblica amministrazione. Questa nuova e sempre più ampia precarietà degli incarichi dirigenziali, infatti, non risponde a criteri manageriali e di buona gestione aziendale, ma solo a logiche fidùciarie. La Corte costituzionale assume, all'inizio, un atteggiamento am- Le sentenze biguo. Nel 2006, salva alcune norme della Regione Calabria che della Corte sanciscono la cessazione automatica degli incarichi dirigenziali costituzionale più elevati all'insediamento del nuovo Consiglio regionale. L'argomento usato nella sentenza 233 è che la coesione tra organo politico e organi di vertice dell'apparato amministrativo, garantita dal rinnovo degli incarichi a inizio legislatura, è funzionale all'attuazione dell'indirizzo politico e al buon andamento dell'amministrazione. Apparentemente, nulla di straordinario. Sennonché, tutto gioca sull'ambiguità dei livelli dirigenziali. Quali incarichi sono realmente apicali? Tutti quelli di livello generale attribuiti da un organo politico come presidente regionale o giunta (e, per analogia, ministro, sindaco)? Se così fosse, tra Stato, enti pubblici, Regioni ed Enti locali àltre tremila dirigenti, e non solo i 2-300 pensati nel 1998, sarebbero soggetti, non una tantum ma istituzionalmente, a spoils system. Ma ecco il colpo di scena. Nemmeno un anno dopo, la Corte costituzionale, pur facendo mostra di continuità con la sentenza del 2006, in realtà cambia decisamente rotta. 3


La sentenza 10312007 dichiara illegittimo l'articolo 7, comma 3, della legge 145/2002 che aveva azzerato una tantum tutti gli incarichi dirigenziali dello Stato e precisa che, salvi gli incarichi dirigenziali realmente apicali, la revoca dei dirigenti è possibile solo a seguito di una procedura di valutazione dei risultati, ispirata ai principi del giusto procedimento, culminante in una decisione motivata e suscettibile di rimedi giurisdizionali. La sentenza 10412007, invece, annulla le norme della Regione Lazio sulla decadenza dei direttori generali delle Asl a inizio legislatura. Qui l'argomento è che il direttore generale di azienda sanitaria, pur essendo il dirigente di vertice della struttura, è preposto a una struttura tecnica erogatrice di servizi e, pur nominato dal presidente della Regione, non ha con esso un legame istituzionale diretto che richieda coesione politica, giacché le Asl si inseriscono in un sistema sanitario regionale che ha i propri vertici amministrativi nei capi del dipartimento e della direzione generale sanitaria dell'amministrazione regionale. Ora, appare chiaro che queste due pronunce vanno ben al di là delle singole norme censurate. Le argomentazioni della sentenza 103 sono di fatto utilizzabili anche contro l'azzeramento generale una tanum del 1999, nonché contro l'estensione dello spoils system ai dirigenti esterni all'amministrazione, disposta nel 2006. E le argomentazioni della sentenza 104 pongono dubbi sulla legittimità delle norme del 2006 che hanno esteso lo spoils system ai direttori generali delle agenzie statali. Infatti, per quanto talune agenzie possano apparire di notevole rilievo politico, non di meno si tratta di organismi tecnici, per orientare la cui attività dovrebbero bastare gli strumenti di indirizzo molto pregnanti di cui i ministri dispongono (tra cui, nel caso delle agenzie fiscali, il ruolo direttivo del Dipartimento per le politiche fiscali del ministero dell'Economia e finanze). Diversamente, le agenzie statali finiscono col perdere qualsiasi tratto distintivo rispetto alle ordinarie strutture ministeriali, e la riforma del 1999 - che le aveva staccate dai ministeri proprio per valorizzarne l'autonomia tecnico-operativa - già finora povera di effetti, cade definitivamente nel nulla. Si aprono, dunque, le porte a future pronunce di annullamento di norme statali e regionali adottate in questi ultimi anni. E si pongono le premesse perché il Capo dello Stato possa in futuro 4


rifiutare, per manifesta incostituzionalità, la promulgazione o emanazione di eventuali nuove norme di legge o regolamento in contrasto con i criteri ormai molto restrittivi sanciti dalla Corte costituzionale.

Si veda oggi l'articolo 19, comma 8, del decreto legislativo 16512001. A questi si aggiungono poi i conferimenti di incarichi diversi ma equivalenti per retribuzione e livello di responsabilità (74 nel 2002), che però appare più giusto considerare una forma di rotazione che una rimozione. Gli incarichi dirigenziali di base sono quasi tutti confermati, sia nel 1999 che nel 2002. I dati relativi al 1999 sono tratti dalla relazione del Dipartimento Funzione pubblica sulla prima attuazione del ruolo unico dei dirigenti dei ministeri (2000). 1 dati relativi al 2002 sono invece stati comunicati dal ministro della Funzione pubblica all'assemblea della Camera nella seduta deI 28 gennaio 2003. Soggetti estranei alla Pubblica amministrazione o appartenenti ad altre amministrazioni: circa 40 dirigenti di livello generale, di cui la metà in concreto non confermati. 2


queste istituzioni n. 145 primavera 2007

Ultalia nella programmazione dei Fondi strutturali europei di Filomena Fantarella

i sta aprendo in questi mesi una nuova stagione di programmazione dei Fondi strutturali dell'Unione europea, destinata a coprire l'arco di anni 2007-20 13. Per le Regioni italiane che ne potranno usufruire, si tratta di una ultima chiamata senza appello, di un'ultima occasione da far fruttare al massimo, dopo anni nei quali l'utilizzo delle risorse stanziate dall'Unione europea per le politiche di programmazione regionale e settoriale è stato dapprima insufficiente nella misura, poi sempre estremamente discusso nella qualità dei programmi di spesa. Con l'ingresso nell'Unione di Paesi dell'Est Europa i cui livelli di reddito sono incomparabilmente più bassi di quelli anche delle meno fortunate Regioni italiane, infatti, non c'è da supporre che dopo il 2013 il nostro Mezzogiorno possa ragionevolmente attendersi di essere ancora ricompresso nelle aree in ritardo di sviluppo.

S

Ecco, dunque, che l'attuale fase di programmazione, con l'adozione del Quadro strategico nazionale e dei diversi Piani operativi nazionali e regionali, riveste una importanza tutta particolare e, per così dire, storica. Nella dicotomia tra regolazioni e programmazionP, la politica dei Fondi strutturali rappresenta l'unico vero e significativo contraltare riequilibratore ed interventista all'impostazione generale delle politiche europee, di norma tutta regolatoria ed astensionista; quasi un ultimo baluardo post-keynesiano nel contesto di una generale riconversione dell'economia politica europea al verbo neoliberista del "Washington consensus" 2 La tendenza è emersa netta in particolare fra il 1992 e il 1997, quando c'è stata una grave crisi economica, con una forte caduta .

Lautrice è consulente della Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento Affari regionali. 6

L'ultimo treno


dell'occupazione, e lo sviluppo solo di aree esportatrici di beni e servizi turistici; la fine delle politiche nazionali, speciali, di intervento; una totale incertezza di prospettive; ma anche un forte ricambio delle classi dirigenti locali e l'inattesa rinascita di progetti, individuali e collettivi, per lo sviluppo. Fra il 1997 e il 2001, però, c'è stata una significativa ripresa economica, con un aumento degli investimenti pubblici e privati, e anche con una forte ripresa dell'occupazione; la nascita di una nuova politica di intervento (quella che nella polemica italiana viene definita la "nuova programmazione"), che ha ottenuto non pochi risultati positivi. Per aiutare le Regioni e le fasce sociali più deboli all'interno dell'Unione europea, da alcuni decenni sono stati dunque istituiti cinque differenti Fondi destinati a finanziare le politiche di coesione e di sviluppo: il Fondo europeo di sviluppo regionale (FEsa) che finanzia infrastrutture, investimenti produttivi destinati a creare occupazione, progetti di sviluppo locale e interventi a favore delle piccole e medie imprese; - il Fondo sociale europeo (FsE) per le azioni di formazione e di lotta alla disoccupazione; - il Fondo europeo agricolo e di orientamento e di garanzia (FoG) per le azioni di sviluppò rurale e di aiuto agli agricoltori; - lo Strumento finanziario di orientamento della pesca (SF0P) che ha come obiettivo l'ammodernamento del settore; - il Fondo di coesione (Fc) per lo sviluppo locale e aiuti alle piccole e medie imprese.

Cosa sono i

Fondi strutturali

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Gli aiuti economici assicurati da questi Fondi non sono destinati in parti uguali a tutte le zone dell'Unione. Essi sono distribuiti in proporzione alle esigenze di sviluppo delle singole Regioni: quanto più basso è il livello di sviluppo, tanto più alto sarà il contributo assegnato dalla UE. L'Europa ripartisce gli aiuti in ogni Paese sulla base di tre tipologie di intervento, denominate Obiettivo 1, Obiettivo 2 e Obiettivo 3: - l'Obiettivo i promuove lo sviluppo delle Regioni più arre7


trate, dotandole di quelle infrastrutture di base di cui sono ancora prive, e favorisce l'arrivo di nuovi investimenti per il decollo delle attività economiche e la creazione di nuova occupazione. Le uniche Regioni italiane ancora inquadrate sono la Campania, la Calabria, la Sicilia, la Puglia e (dopo alcune discussioni) la Basilicata; - l'Obiettivo 2 sostiene la riconversione economica e sociale nelle zone con problemi strutturali, siano esse aree industriali, rurali, urbane o dipendenti dalla pesca; - l'Obiettivo 3 modernizza i sistemi di formazione e incrementa l'occupazione. Esso riguarda l'intero territorio dell'Unione, ad eccezione delle Regioni che rientrano nell'Obiettivo I. Per il periodo 2000-2006 in totale sono stati destinati 195 miliardi di euro ai quattro Fondi strutturali e 18 miliardi al Fondo di coesione (riservato soltanto a Grecia, Portogallo, Irlanda e Spagna): quindi, in totale i Fondi che Stati e Regioni hanno ricevuto dall'Unione europea nell'ultima stagione di programmazione sono stati pari a 213 miliardi di euro 3 .

Queste cifre testimoniano la mole di risorse stanziate dall'U- Luci e ombre nione a favore delle aree sottosviluppate. È lecito chiedersi, a que- sull'utilizzo sto punto, se i Paesi membri abbiano ottimizzato i finanziamenti dei Fondi europei portando a termine tutti i progetti ottenendo risultati strutturali... concreti in termini di crescita e di sviluppo. Gli Stàti che largamente hanno attinto ai Fondi comunitari sono Spagna, Portogallo, Grecia, Italia e Irlanda 4, che sono poi gli Stati in cui si concentrano le zone Obiettivo 1. Il Belgio, la Danimarca, la Finlandia, la Svezia, I Paesi Bassi e Lussemburgo sono invece i Paesi che primeggiano per efficienza nella gestione e nella realizzazione dei progetti comunitari5. In linea generale, questi Paesi sono anche quelli che meglio sfruttano la premialità comunitaria 6 anche se l'en pkin, ossia il 100% del risultato è stato raggiunto solo dal Belgio, dalla Finlandia, dalla Svezia e, a sorpresa, dall'Italia. ,

È interessante notare, infatti, come gli sforzi compiuti dal si- Il caso stema premiale impostato dall'Italia abbiano dato risultati, anche dell'Italia comparativamente eccellenti sia per i programmi plurifondo ricadenti in Obiettivo 1, sia sui Docup (FESR) in Obiettivo 2, ma an-


che sui Programmi operativi di FSE in Obiettivo 3. Ciò è particolarmente significativo ove si ponga mente al fatto che, dalla nascita dei Fondi strutturali, per molto tempo, a partire dalla prima metà degli anni Ottanta, l'Italia è stata tra le nazioni che meno hanno saputo approfittare dell'occasione, risultando per lungo tempo in coda tra i Paesi utilizzatori della propria quota di risorse, che pertanto venivano regolarmente ricollocate a beneficio di altri Paesi più «virtuosi" (ma non sempre meno bisognosi). Questi dati positivi, però, non devono far dimenticare che in Italia all'ampio accesso e utilizzo delle risorse non sempre corrispondono progressi in termini di efficienza e di sviluppo. Emblematico è il caso della Campania. Alla Regione, che rientra nell'Obiettivo 1, sono stati destinati 183,105 Meuro 7, di cui buona parte sono stati investiti sul Progetto integrato Napoli-Città Capoluogo 8. Il progetto si basa sulla valorizzazione del rapporto città-mare-centro-periferia, coprendo una vasta area che parte dal nucleo del centro storico attorno al Maschio Angioino e, affacciandosi sul porto, si allunga per tutta la fascia litoranea fino alla zona orientale della città, S. Giovanni a Teduccio. Tuttavia una prima analisi SWOT ha rilevato la separatezza e la mancata valorizzazione della zona porto, la congestione del traffico tutto ancora di superficie lungo la via Acton, e il degrado di aree industriali dismesse a S. Giovanni aTeduccio. I dati peggiorano sensibilmente se si considera la variabile di rottura della criminalità, laddove è proprio la Campania ad esserne maggiormente colpita e penalizzata 9 . Se per tutti gli Obiettivi comunitari, dunque, si rileva una generalizzata difficoltà di pieno raggiungimento degli indicatori prefissati, è anche vero che il genio italico brilla per i'uso, non proprio ortodosso, dei fondi comunitari. Ci riferiamo all'idea, ad esempio, di organizzare corsi fittizi per la valorizzazione delle risorse umane al fine di intascare finanziamenti piuttosto che investirli in reali progetti. t il caso, solo l'ultimo alla ribalta delle cronache, dei "corsi fantasma" organizzati a Roma al conservatorio di Santa Cecilia con contributi dell'Unione europea'°. Dal 2002 ad oggi, però, - come ha analiticamente osservato Gianfranco Viesti" - il pessimo andamento dell'economia, specie di quella nazionale, ha fortemente rallentato il processo di cresci-

Un vivace dibattito

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ta nelle Regioni del Sud, alcune delle quali (come, ad esempio, la Puglia) hanno avuto andamenti peggiori della media. In tale contesto la politica di intervento - pur fortunatamente sopravvissuta al cambio di Governo - si è affievolita; e il Sud è rimasto ai margini delle grandi scelte nazionali. Soprattutto si è consumata in misura rilevante quella fiducia che aveva iniziato a diffondersi tanto nel Mezzogiorno quanto, in parte, nelle altre aree del Paese, sulla realistica possibilità di una situazione diversa. Paradossalmente, proprio il Mezzogiorno è diventato in Italia il parametro di valutazione del buon o mal funzionamento dei Fondi comunitari. La provocazione di Viesti ha acceso, per diversi mesi a seguire, un vivace dibattito, che ha coinvolto, tra gli altri, Nicola Rossi e Fabrizio Barca, relativa, in generale, a quella che è stata definita la "nuova, programmazione"; ovvero le diverse forme di investimento pubblico in funzione di sviluppo infrastrutturale, sostegno al sistema produttivo e riequilibrio territoriale (tra le quali, ovviamente, quelle derivanti dall'utilizzo delle risorse europee rivestono un ruolo di primaria importanza). Nicola Rossi 12 in particolare, ha sviluppato una serrata critica La critica di della "nuova programmazione" 3 con cui si è voluto imprimere Rossi un nuovo corso nella stagione seguita alla chiusura dell intervento straordinario" nel Mezzogiorno della prima età repubblicana, facendo leva su progetti espressi "dal basso". Questa nuova programmazione ha ottenuto dall'UE, per così dire, un imprinting culturale, secondo una procedura per le politiche regionali, che riserva agli interventi, sia i finanziamenti dei fondi strutturali, sia una sorta di malleveria per la programmazione, il controllo e la verifica dei risultati. Ma, al di là delle critiche che ogni intervento può suscitare, il punto di vista "dal basso" viene contestato da Rossi per la insita inadeguatezza della prospettiva che, se emerge "dal basso", rischia di rispondere solo ad interessi particolari, e di rimanere priva di una visione strategica. Secondo Rossi, si dovrebbe piuttosto tener conto delle prospettive che si aprono al Mediterraneo, e in particolare al Mezzogiorno come ponte dell'Europa. Di conseguenza, in questa fase il Sud d'Italia incontra difficoltà non solo per la cronica carenza delle infrastrutture e per l'inadeguatezza dell'apparato produttivo; ,

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ma ancor più per le infrastrutture necessarie a rispondere alle sfide che la nuova geografia economica impone. Non può essere adeguata la logica degli interessi locali, dovendosi inserire in quella degli interessi nazionali. È dunque indispensabile, secondo Rossi, un disegno "dall'alto", prevedendo ad esempio le autostrade del mare e le relative attrezzature logistiche, per collegare i porti tra loro e con il tessuto dell'ambiente, oltre che con l'Europa, di cui il Mezzogiorno diviene naturale ponte. Scrive, infatti, Rossi: "È probabile che qui e là, questo o quello dei tanti Mezzogiorni cui la 'nuova programmazione' ha dedicato la propria attenzione ne abbia tratto qualche vantaggio. Non c'è dubbio, per esempio, che per gli abitanti del borgo di Santi di Preturo il futuro sarà diverso quando il campo da golf da 18 buche sarà una realtà, anche se forse non lontano da Santi di Preturo una programmazione degna di questo nome avrebbe, tanto per cominciare, completato la bretella fra le autostrade Al e A14 (san Vittore-Termoli). E va da sé che la vita sarà diversa nella piana del Sele quando sarà pienamente in funzione la pista ciclabile, anche se forse alcuni avrebbero considerato una priorità in Campania la soluzione del problema del trattamento dei rifiuti" 14 Il problema, secondo Nicola Rossi, sta nell'uso "per così dire disattento di consistenti risorse pubbliche a cui si associano gravi carenze nella fornitura dei servizi, che dovrebbero costituiré invece la stessa ragione d'essere del settore pubblico. In altre parole continua Rossi - proprio dove ogni fonte di finanziamento, ogni euro e ogni centesimo di euro, dovrebbe essere allocata e spesa come se fosse l'ultima, il denaro pubblico viene invece utilizzato come se fosse solo una parte di una serie mai terminata e che mai terminerà" 5 . Non solo, Nicola Rossi ci ricorda anche che non è più possibile giustificare questo spreco di risorse riducendo il tutto ad una piaga del nostro Paese impossibile da rimarginare, poiché "da circa un decennio è stata condotta - apparentemente con qualche successo - una vera e propria operazione culturale che ha saputo suscitare speranze e aggregare interessi e che è riuscita a sopravvivere a rilevanti cambi di scena politici e istituzionali. Se il risultato, in termini tanto macroeconomici quanto microeconomici, non è significativamente mutato non è possibile cavarsela .

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richiamando un passato più o meno remoto. È necessario domandarsi che cosa abbiamo, nuovamente, trascurato" 6 . Una difesa della "nuova programmazione" è stata invece pro- Pro "nuova posta da uno dei suoi principali protagonisti, Fabrizio Barca 17 . programEgli risponde espressamente a Rossi con il puntualizzare concetti e dati, ma anche per ribadire la validità della scelta della "nuova programmazione", che intende rendere vitale l'area meridionale, liberando le risorse e le energie di cui essa dispone, ciò che non è praticabile escludendo qualsiasi impostazione localistica. Barca propone un insieme di riforme per tutta l'Italia (che devono trasformare l'intero Paese, ma in particolare il Mezzogiorno), prendendo atto che le novità impresse con l'avvio delle riforme e con la "nuova programmazione" non sono state per ora sufficienti a liberare l'Italia dai troppi vincoli che ne frenano lo sviluppo: e perciò l'Italia appare tuttora frenata. Barca difende però la stagione delle riforme (avviate con la disciplina del mercato e della concorrenza, ma non ancora complete ed efficaci, a causa delle resistenze incontrate), rivendica in particolare la validità degli interventi "dal basso", in specie nel Mezzogiorno. Una vera e radicale trasformazione delle dinamiche dell'intervento pubblico, con la maturazione di una nuova cultura amministrativa in grado di sviluppare con efficacia gli interventi, richiede ovviamente l'adesione delle varie istanze interessate, e comporta comunque tempi lunghi e una tenace costanza, mantenendo fermo il timone in direzione dell'attività riformatrice. Ciò spiega, secondo Barca, perché, non si deve aver fretta nel valutare le riforme, necessarie per ammodernare i! Paese e renderlo funzionale; ma semmai si deve proseguire nella giusta direzione 18 . In un contesto, infatti, di rallentamento che riguarda certamente l'Europa nel suo complesso, l'Italia cresce da diversi anni assai meno degli altri Paesi europei; in particolare fra il 2000 e il 2004, il Pi,. è aumentato meno dell'l%, contro il 5,1% nei dodici Paesi dell'euro (6,6% in Francia, 3% in Germania) 1 9. "Sullo scostamento tra obiettivi e risultati - ha scritto Barca - ha pesato anche in questo ambito della politica economica, la carenza di un sistema di valori e cognizioni condiviso, sia in merito alla strategia di politica regionale adottata, sia con riguardo al quadro gene12


rate delle riforme istituzionali" 20 . I riflessi negativi della limitata condivisione si possono in particolare ravvisare in tre profili: - politiche settoriali non coerenti con la politica regionale, sia nell'integrazione territoriale degli interventi nazionali; - un andamento stop-and-go degli incentivi alle imprese; - inadeguata cooperazione di alcune Amministrazioni centrali o di grandi enti pubblici in fase di attuazione di interventi di intesa con le Regioni attraverso Accordi di programma quadro, oltre all'inadeguato coordinamento fra politica ordinaria e politica regionale21 .

"Per togliere il freno all'Italia - suggerisce Barca - è necessario, Una sfida indispensabile, un compromesso sui tratti del suo capitalismo, importante che dia a tutti gli interessi certezza su come partecipare (con quali azioni, con quali, aspettative) al gioco dei conflitti e della cooperazione che è proprio del capitalismo" 22. Sono questi suggerimenti da non sottovalutare dato che il periodo di programmazione 2007-2013 per i Fondi strutturali pone l'Italia di fronte ad una importante sfida: produrre col proprio programma di interventi un effetto moltiplicatore in grado di incidere sul settore privato stimolandolo a compiere nuovi investimenti, ad innovare le produzioni, a creare occupazione innescando così un circuito di sviluppo endogeno e sostenibile nelle aree in ritardo di sviluppo o con gravi problemi di deindustrializzazione e marginalizzazione. Solo così nell'Europa allargata l'Italia potrà giocare un ruolo da protagonista nel prossimo ciclo di programmazione. Le questioni fondamentali delle condizioni di efficacia della "nuova programmazione" sono state ricapitolate, nello stesso arco di mesi, dal Libro bianco del Css sullo sviluppo locale23 Il rapporto, elaborato, secondo le prassi del Consiglio, da un gruppo di studiosi di diversa estrazione disciplinare, raccoglie gli spunti di tutto il dibattito di quei mesi, riaffermando la necessità di una politica nazionale per lo sviluppo locale, in quanto soprattutto in un Paese come l'Italia lo sviluppo locale è condizione necessaria per la ripresa economica nazionale, data la struttura produttiva e istituzionale24 Senza chiudere gli occhi sui tanti fenomeni di distorsione e di malcostume e spreco che ancora si annodano nelle pieghe della .

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"nuova programmazione", il rapporto ne valorizza però i tanti casi di successo e ne sottolinea l'importanza metodologica generale, riaffermando come la modernizzazione innanzitutto culturale, e poi istituzionale ed economica, che comporta il passaggio dall'amministrazione tradizionale a quella "per programmi" non possa essere pretesa come una palingenesi istantanea, ma come un processo; un processo che si è pur sempre attivato e che va accompagnato individuando i fattori critici di crescita e di successo, proprio in vista della nuova stagione di programmazione. Ancora una volta, le conclusioni del rapporto rinviano all'intuizione generale di Viesti che ha innescato, come detto, il dibattito, riaffermando la necessità di sviluppare una attitudine selettiva sui programmi, che si sviluppi attraverso la individuazione degli assi portanti di una forte politica di programmazione degli interventi, piuttosto che cedere alle mille lusinghe delle necessità localistiche; per poi sviluppare, a partire da questi assi, una coerente politica di modernizzazione economica e istituzionale. Dalla polemica, dunque, è possibile trarre alcune consapevo- Alcune lezze che emergono come comuni, al di là della divaricazione di evidenze posizioni, che su alcuni punti è stata anche molto forte; consape- di base volezze che rappresentano, per così dire, il minimo comun denominatore del dibattito e su cui c'è un accordo diffuso, tanto da poterne fare le premesse di un impegno più corretto (e, si spera, ancor più fruttuoso) nella prossima stagione di utilizzo dei Fondi strutturali. Al di là delle differenze, non vi è dubbio, infatti, che alcune criticità vanno tenute presenti per il futuro. In primo luogo, nòn vi è dubbio, al di là dei distinguo, che lo sviluppo locale necessiti di una chiara politica nazionale. E lo stesso Rossi, che nel dibattito ha sostenuto le posizioni più critiche rispetto all'intervento pubblico di' questi anni, sembra in alcuni passaggi in certo qual modo riconoscere che una qualche (magari diversa e, per usare la sua espressione, "capovolta") "nuova programmazione" sia pur necessaria 2 5. In secondo luogo, occorre però incalzare la politica perché si riappropri del suo dovere di decidere, selezionando più che in passato poche priorità strategiche di investimento, su cui garanti14


re legittimazione sociale, impegno, intelligenza e risorse. Si tratta di una responsabilità che si ripartisce sulle classi dirigenti ai diversi livelli istituzionali: serve una capacità della politica locale di proporre azioni davvero strategiche, ed una responsabilità della politica nazionale di selezionare tra le proposte quelle che promettano un reale e duraturo impatto sui territori, comparando le diverse possibilità di investimento al di fuori di vecchie logiche di compromesso con le élite locali. In terzo luogo, sempre con riferimento ai caratteri degli interventi, occorre definire programmi coerenti con una filosofia innovativa, che evitino di perpetuare le vecchie logiche assistenziali e di intervento "a pioggia", così come di rimettere a nuovo i vecchi strumenti di un welfare disincentivante e antimeritocratico. Programmi, viceversa, che affrontino, specie nelle aree più deboli del Paese, i grandi nodi strutturali, per affrontarli e proporre chiavi di soluzione. "Abolendo", se possibile, secondo l'invito di Viesii, preconcetti e categorie mentali precostituite che non hanno dimostrato di dare buoni frutti. In quarto luogo, per creare la necessaria pressione "di sistema" sulla fase di elaborazione e scelta dei programmi, occorre una maggiore responsabilizzazione degli attori sociali, da sviluppare in processi decisionali aperti al partenariato sociale, realmente inclusivi e trasparenti. Senza un dibattito pubblico condotto davvero "in pubblico" sarà difficile evitare i compromessi al ribasso e gli errori del passato. Infine, occorre prendere atto di quanto spesso le burocrazie adottino, rispetto alle nuove attività programmatorie, logiche di puro adempimento, nascondendo dietro un lessico di taglio consulenziale le peggiori vecchie abitudini. Prenderne atto per pungolarle ad una maggiore concretezza ed efficacia. Anche qui, molto si è già fatto, ma il più resta da fare. Questo per quanto riguarda l'Italia. Un bilancio completo, La nuova invece, sull'utilizzo generale dei Fondi strutturali e le proposte programmazione per il nuovo Regolamento sui Fondi sono presenti nella Terza 2007-20 13 relazione sulla coesione economica e sociale del 10 febbraio e le pro2004: Un nuovo partenariato per la coesione-convergenza, compe- speuive titività, cooperazione. La Commissione, quindi, fonda i propri future 15


suggerimenti sulla situazione socio-economica dell'Unione e sull'analisi dell'impatto della politica regionale, delle altre politiche europee e delle politiche nazionali. La Relazione rileva che la politica di coesione economica e sociale ha prodotto effetti positivi sulle aree in difficoltà dell'Unione europea, ma che persistono tuttavia marcate disparità socio-economiche tra gli Stati membri e tra le Regioni. Queste disparità di rèddito e di sviluppo nascono da lacune strutturali registrate in taluni fattori chiave di competitività, quali gli investimenti in infrastrutture materiali, l'innovazione e le risorse umane26. Lacune che 4erivano dal non aver utilizzato appieno i fondi in questi settori, sia per incapacità di accesso alle risorse comunitarie, sia per incompetenze nella loro gestione. È stato riscontrato, infatti, che gli operatori locali criticano il ritardo nell'adottare i criteri normativi e che soltanto un terzo dei progetti dell'Obiettivo i è stato ultimato nei tempi previsti, e un altro terzo ha accumulato un ritardo di un anno, i due terzi dei progetti, invece, hanno superato il bilancio previsto 27. Per quanto riguarda il profilo della situazione socio-economica dell'Unione è stato rilevato che dal 1994 le disparità di reddito tra le Regioni sono diminuite, e che il PIL e la produttività sono aumentate più rapidamente nei quattro Paesi beneficiari del Fondo di coesione (Spagna, Grecia, Irlanda e Portogallo) rispetto al resto dell'Unione Europea 28 . Le disparità regionali in termini di disoccupazione, invece, continuano ad èssere marcate anche se, in dieci anni, l'occupazione nei Paesi beneficiari della coesione è progredita sensibilmente 29 . La mancata armonizzazione di sviluppo delle Regioni in difficoltà, e l'allargamento dell'Unione europea a 27 Stati membri 30 hanno imposto, dunque, una programmazione diversa e in un certo senso più rigida per il periodo 2007-2013 Innanzitutto viene richiesto un salto di qualità nell'utilizzo dei Fondi strutturali per il pieno raggiungimento di tre obiettivi: strategicità, complementarità e misurabilità dei rendimenti dei progetti. La Commissione poi propone che gli interventi della politica Alcune di coesione "si concentrino sull'investimento in un numero limi- priorità tato di priorità comunitarie che rispecchino l'agenda di Lisbona e 16


il cui intervento della Comunità possa verosimilmente generare un effetto moltiplicatore e un valore aggiunto significativo. Per i programmi operativi, la Commissione suggerisce pertanto il seguente elenco essenziale di temichiave: innovazione ed economia basata sulla conoscenza, ambiente e prevenzione dei rischi, accessibilità e servizi di interesse economico generale" 31 . Per attuare tali priorità, l'articolo 3 della Proposta di regolamento prevede tre assi comunitari fondamentali e che sostituiscono la precedente suddivisione in Obiettivo 1, Obiettivo 2, Obiettivo 3. Il primo asse è costituito dall'Obiettivo Convergenza che sostituisce l'Obiettivo i ed è destinato alle aree il cui Pii, pro capite è inferiore al 75% della media comunitaria. Il secondo asse riguarda le altre Regioni al fine di rafforzarne la competitività regionale e l'occupazione. Il terzo, infine, stimola la cooperazione territoriale europea tra gli Stati e le Regioni di confine. Tre sono anche i nuovi strumenti finanziari: il Fondo di coesione, il FESR e il Fondo sociale. Non rientra invece tra essi il Feoga, lo strumento delle attività rurali e agricole, costituendo queste attività una voce distinta dalla coesione nelle prospettive finanziare 2007-20 13. L'operatività dei progetti, inoltre, sarà migliorata con verifiche annuali dei progressi fatti, valutazioni in itinere e rapporti sui singoli programmi e sui singoli Paesi. Poiché "i massimali di sussidio consentiti per l'investimento nelle Regioni più povere dell'Unione tendono a superare i livelli accessibili dai bilanci nazionali, mentre tetti più bassi sono sfruttati maggiormente negli Stati più ricchi ( ... ), per il migliore utilizzo dei Fondi strutturali occorre identificare e cogliere in maniera più. sistematica le opportunità di sinergie con le politiche dell'Unione per la coesione, in modo da recare un più efficace contributo alla riduzione della disparità economica e sociale, pur rispettando gli obiettivi primari di queste politiche" 32. Il monito della Commis' sione europea può dunque essere sintetizzato così: date le risorse messe a disposizione delle Regioni svantaggiate spetta all'iniziativa degli Stati membri cogliere le opportunità di utilizzarle al meglio, come già altri Paesi hanno mostrato di saper fare. È proprio in questi termini che si pone la sfida posta all'Italia dalla nuova stagione di programmazione dei Fondi strutturali. Per vincerla occorrerà fare tesoro di quel consolidato di consa17


pevolezze che il dibattito degli scorsi mesi ha lasciato a studiosi ed operatori. Nella consapevolezza, come detto in apertura, che stavolta davvero non ci sarà una prova d'appello.

M. CARABBA, Il controllo sulla gestione delle pubbliche amministrazioni: dalla "legge" al "manuale' relazione al Seminario permanente sui controlli della Corte dei conti, 28.10.1998, dattiloscritto, p. 5. 2 Così J. STIGLITZ, La globaliz.zazione e i suoi oppositori, Einaudi, Torino 2003, p. 14. Dati disponibili sul sito internet www.europa.eu .int. Dati disponibili sul sito internet www.qcs.tesoro.it . Dati disponibili sul sito internet www.europa.eu .int. 6 La Commissione europea - con decisione unica CE n.883 del 23 marzo ha assegnato ai Paesi UE le risorse, loro spettanti, della riserva di premialità comunitaria del 4% accantonata negli obiettivi 1,2,3 relativi alla programmazione 2000-2006. Le modalità di assegnazione, stabilite dal Capo IV del Regolamento CE 1260199, prevedono: - che ogni Stato membro, entro il 31.12.2003, valuti l'efficacia e l'efficienza dei singoli Programmi operativi o Docup sulla base di un numero limitato di indicatori di sorveglianza che riflettono l'efficacia, la gestione e l'attuazione degli stessi; - che la Commissione europea, sulla base di proposte di attribuzione delle risorse della premialità del 4% redatte dai singoli Stati membri entro il 3 1.12.2003 ed in stretta concertazione con lo Stato membro, adotti la decisione di assegnazione delle risorse della riserva di premialità entro il 31 marzo 2004. I riferimenti normativi comunitari e la tabella con le percentuali sulla premialità per i singoli Paesi membri, sono tratti da Elisa Dardanello, Premialittì comunitaria: il successo italiano, in «Sud News», aprile 2004, n. 8, p. 4. 7 Dati disponibili sul sito internet www.qcs.tesoro.it . 8 Le cifre esatte sui finanziamenti, la loro suddivisione e destinazione sono pubblicate sul sito internet www.qcs.tesoro.it . 9 Mentre se si considera l'incidenza del lavoro irregolare sul totale, è la Sicilia che fa registrare un peggioramento. '° M. Bisso, Arresti eccellenti al conservatorio di Santa Sicilia, in «La Repubblica-Roma Cronache», 13 febbraio 2007, p. 7. lì G VIESTI, Abolire il Mezzogiorno, Laterza, Roma-Bari 2003. 12 N. Rossi, Mediterraneo del No rd: un'altra idea de/Mezzogiorno, Laterza, Roma-Bari 2005. 13 Si ricorda che l'espressione "nuòva programmazione" è stata usata in particolare con riferimento al periodo 2000-2006.

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14 N. Rossi, Mediterraneo del Nord, un'altra idea del Mezzogiorno, cit. p. 62. 15 Ibidem, p. 7. 16 lbidem,p.8. 17 F. BARCA, Italia Frenata. Paradossi e lezioni della politica per lo sviluppo, Donzelli, Roma 2006. 18Jbidem,p, 11. 19 Jbidem, p. 18. 20 Jbidem, p. 98. 21 Ibidem, p. 100. 22 Ibidem, p. 109. 23 Consiglio italiano per le Scienze Sociali, Tendenze e politiche dello sviluppo locale in Italia. Libro bianco, Marsilio, Venezia 2005. 24 Jbidem, pp. 113 e ss. 25 N. Rossi, Mediterraneo del Nord, un'altra idea del Mezzogiorno, cit., in particolare pp. 86 ss. 26 Commissione europea, Terza relazione sulla coesione economica e sociale, 2004, p. 2, disponibile sul sito internet www.europa.eu .int 27 Si pensi che in Italia è stata registrata una perdita pari a 18,2 milioni di euro. solo per lo SFOP e le iniziative comunitarie di Interreg Ilib (Cadses) e Leader Plus. Tutti i dati sono disponibili sul sito internet www.europa.eu .int 28 Dell'1,5% in Spagna, del 2% in Grecia, del 3% circa in Irlanda e piÚ del 4,5% in Portogallo. Dati disponibili sul sito internet www.europa.eu .int 29 L'evoluzione delle grandi aree regionali in ritardo di sviluppo all'interno dell'Unione europea ha infatti evidenziato marcate eterogeneità : alcune aree, in particolare l'Irlanda e i Paesi iberici, hanno mostrato dinamiche positive e ridotto il differenziale di sviluppo rispetto alle aree centrali d'Europa; altre aree, in particolare la Grecia e il Mezzogiorno d'Italia, hanno invece sperimentato forti tendenze verso la stagnazione e in qualche caso l'accentuazione del divario. Dati disponibili sul sito internet www.europa.eu .int 30 1 Quindici, i dieci nuovi Stati membri, la Bulgaria e la Romania. 31 Commissione europea, Proposta del Regolamento del Consiglio, cit., p. 4. 32 Commissione europea, Rapporto sulla coesione, abstract reperibile sul sito www.europass-italia.it

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queste istituzioni n. 145 primavera 2007

Mafie e governi locali: un'emergenza sommersa * di Ignazio Porte/li

infiltrazione e il condizionamento delle mafie nelle pubbliche amministrazioni locali è un dato purtroppo presente nel contesto italiano; anche se frequentemente viene relegato ad argomento specialistico o marginale, siamo in presenza di un complesso fenomeno sociale, culturale, economico ed istituzionale, che coinvolge ampi territori del Mezzogiorno. Proverò a suddividere alcune brevi considerazioni nelle seguenti sei parti: 1)i precedenti e le caratteristichè del fenomeno; 2) la rilevanza del fenomeno; 3) gli osservatori internazionali; 4) gli strumenti giuridici; 5) alcuni cenni sulla giurisprudenza; 6) le questioni aperte. Il precedente diretto e più noto riguardava la faida tra cosche mafiose di Taurianova, in provincia di Reggio Calabria, dove lo scon- precedenti... tro arrivava, in modo ben tangibile, anche all'interno della Amministrazione comunale. A fronte di ciò si doveva registrare l'incapacità della Autorità pubblica di poter incisivamente intervenire con gli ordinari strumenti normativi sanzionatori. Una situazione quasi analoga si è avuta nei primi mesi di quest'anno in Spagna. Di quanto il malaffare potesse essere insidioso e pericoloso alla stabilità del patto sociale vi sono alcuni significativi precedenti storici: il Duca d'Ossuna che punì il Pretore e il Senato di Palermo; l'indagine di Leopoldo Fianchetti e Sidney Sonnino, che invocarono grandi sforzi per procurare "qualche miglioramento" contr "i disordini o gli abusi nelle amministrazioni locali di ogni genere". E poi, in epoca recente, gli atti delle Commissioni parlamentari di inchiesta succedutesi nel secondo dopoguerra ad iniziare dalla relazione del senatore Nicola Cipolla, componente del-

L'autore è prefettizio presso l'Ufficio affari legislativi e relazioni parlamentari del ministero dell'Interno. 20


la Commissione Cattanei, fino alle relazioni conclusive della XIV Legislatura. A ciò aggiungerei, in epoca recente, lo "Studio sui pericoli di condizionamento della pubblica Amministrazione da parte della criminalità organizzata" (giugno 2006) dell'Alto Commissario per la prevenzione e il contrasto della corruzione e delle altre forme di illecito nella pubblica amministrazione. Penso, anche, che nuovi spunti di riflessione arriveranno tra non molto dai lavori parlamentari di questa legislatura, in quanto sono in pieno svolgimento le attività della Commissione parlamentare di inchiesta e l'indagine conoscitiva della Prima Commissione della Camera dei deputati. Infine, una buona parte di informazioni è rinvenibile nelle relazioni ai provvedimenti di scioglimento. Da tutto ciò, è possibile evincere alcune caratteristiche del con- ... le diziònamento e della infiltrazione della criminalità organizzata calatteristiche negli apparati delle amministrazioni locali. In linea generale, mi sembra possibile individuare due profili essenziali del fenomeno: conseguire il controllo delle fonti di arricchimento e conquistare il potere economico e sociale attraverso le strutture politiche ed amministrative con la conseguenza di un notevole peggioramento dei nodi strutturali del funzionamento delle pubbliche amministrazioni; accumulare il massimo potere possibile nella situazione concreta quale obiettivo permanentemente seguito, al punto tale che, secondo alcuni, queste caratteristiche le differenziano dalle organizzazioni criminali affini e conferiscono alle mafie una specificità culturale, una dimensione e una strategia politica. Nello specifico, esistono delle peculiarità, in quanto: le amministrazioni colluse risultano essere, in definitiva, delle scatole vuote. Infatti l'assoggettamento alla criminalità organizzata travolge l'imparzialità degli organi elettivi, il buon andamento, il regolare funzionamento dei servizi e la sicurezza pubblica; vi è uno stretto collegamento tra legalità e sviluppo; la presenza e il radicamento della criminalità organizzata riduce la capacità di attrazione degli investimenti; 21


il condizionamento degli amministratori richiede che questi subiscano l'iniziativa e la volontà delle mafie, restando vincolati nel proprio operare; si determina un concreto gruppo di pressione all'interno dell'amministrazione con la conseguenza, soprattutto nelle aree meno sviluppate, di una maggiore arretratezza culturale, sociale ed economica; l'esistenza di collegamenti diretti od indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata e cioè l'esistenza di una correlazione tra l'attività degli amministratori e le esigenze delle mafie. La rilevanza del fenomeno è riscontrabile sotto il profilo dei da- ... e la ti nazionali e sotto il profilo della incidenza di questi dati nelle rilevanza del analisi internazionali, fenomeno Dal 1991 al 30 aprile 2007, sono stati adottati 171 provvedimenti di rigore e in 19 casi (11 %) si è trattato di una riadozione di decreti di scioglimento, che lascia intendere il bisogno di dover comprendere la necessità di perfezionamento della strategia e delle azioni per il ritorno alla legalità delle aree coinvolte. Il primato, se così può essere inteso, delle misure di rigore è della Campania (75), cui seguono Sicilia (50) e Calabria (36). I provvedimenti riguardano sempre amministrazioni locali con l'unica eccezione del Lazio (1) e del Piemonte (1) a causa di condizionamenti da importazione dalle Regioni meridionali. Si tratta in grande prevalenza di Comuni, anche se nel 2005 vi è stato lo scioglimento degli organi della Azienda sanitaria locale di Locri e nel 2006 di quelli della Azienda sanitaria locale di Pomigliano d'Arco. Inoltre, 65 sono le proroghe delle gestioni commissariali, quale segnale della opportunità di prolungare perché non venivano registrati consolidati risultati. In testa vi sono le Province di Napoli (17), Palermo (10), Reggio Calabria (10) e Caserta (9). In 2 casi soltanto Vi è stata, invece, la riduzione del periodo di scioglimento con la motivazione di aver già conseguito gli effetti voluti con l'azione di riorganizzazione. I provvedimenti di rigore annullati dalla giustizia amministrativa sono stati 12 (8%). Analizzando l'andamento del fenomeno occorre, poi, constatare che nella fase di prima applicazione dell'istituto (anni 1991-

22


1993) sono stati decisi 77 scioglimenti (41%) con una ripresa negli anni 2003-2006 (43, il 25%). Come ha rilevato l'Alto commissario per la prevenzione e il contrasto della corruzione e delle altre forme di illecito nella pubblica amministrazione, dall'analisi dei casi e della composizione degli organi elettivi le mafie mostrano di non avere predilezioni ideologiche. La prima fase era caratterizzata da un momento difficile per le istituzioni, la crisi della legalità aveva comportato la rimozione e la sospensione di oltre 200 amministratori locali (ai sensi della legge n. 16/1992 e degli artt. 39 e 40 della legge n. 142/1990), nonché una generalizzata crisi della rappresentanza politica con l'onere, a carico dei prefetti, della tenuta del contesto istituzionale procedendo a centinaia di scioglimenti degli organi elettivi di Comuni (compresi quasi tutti i più importanti capoluoghi) a causa del dissolvimento delle maggioranze e del diffuso malaffare. L'influenza del fenomeno nelle analisi degli osservatori interna- Gli osservatori zionali è ampia. Ad esempio, The economist, recentemente tratinternaziotando il caso di Gioia Tauro, ha evidenziato la difficoltà di poter , na.li svolgere iniziative imprenditoriali in un area nvasa dal malaffare i della criminalità organizzata ( Taking on the mob, 3 febbraio 2007, p. 60) Un giudizio non lusinghiero è riscontrabile nelle graduatorie di tre organismi internazionali, tenuto conto che l'Italia è tra le prime Otto nazioni più industrializzate.

Rilevazione

Anno

Posizione

World Competitiveness Year

2001 2002 2003 2004 2005

33/60 34/60 41/60 5i/60 53/60

World Economic Fund

2006

42/125

Government Efficiency

2001

40

2005

58

23


Per il Barometro sulla corruzione globale di Transparency International i dati disponibili riguardano il quadriennio 20032005 e derivano, principalmente, da interviste a cittadini e, dunque, anche dalla percezione che gli stessi possiedono sul malgoverno e sulla corruzione. Su un campione di 46 nazioni, globalmente peggio dell'Italia solo l'Argentina, la Bosnia, il Camerun, la Colombia, il Guatemala, l'Irlanda, la Macedonia e la Turchia. Alla domanda (2003) su "quanto incide la corruzione sulla sua vita personale e familiare" solo il 56,2% dei nostri connazionali ha risposto "in modo non significativo", mentre la percentuale del 65,8 riguarda l'Austria, del 72,9 la Svizzera, del 76 la Germania e del 85,6 la Finlandia. E si potrebbe continuare. Un aspetto comune dell'insieme di questi dati è che giungono a conclusioni simili, pur nella diversità dei modelli di rilevazione e di analisi. La materia degli scioglimenti per la infiltrazione e il condizio- Gli namento della criminalità organizzata è oggi disciplinata dagli ar- strumenti ticoli 143-146 del TUEL (d. lgs. 18 agosto 2000, n. 267), che costituiscono la riorganizzazione dell'articolo 15-bis della legge 19 marzo 1990, n. 55, risultato di un insieme di disposizioni di urgenza succedutesi tra il 1991 e il 1993, la cui formulazione risentiva dei difetti propri della legislazione di quella natura. È una disciplina che va combinata con l'insieme delle altre disposizioni contro la corruzione, il malgoverno e la criminalità rganizzata, i cui tratti salienti possono essere così sintetizzati: la misura di rigore trova motivazione principalmente negli atti dell'amministrazione, nell'esito delle relazioni del collegio degli ispettori (a seguito dell'accesso disposto dal prefetto) e negli atti giudiziari che possono non rimanere segreti; la proposta del prefetto (che medio tempore può sospendere gli organi) va trasmessa al ministro dell'Interno per la successiva delibera del Consiglio dei ministri, non richiesta nelle altre ipotesi di legge di scioglimento, a conferma della gravità della misura adottata; la forma dell'atto è quella del decreto del Presidente della Repubblica; 24


l'adozione della decisione del Consiglio dei ministri assorbe le altre eventuali cause di scioglimento (dimissioni, màncata approvazione del bilancio, persistenti violazioni di legge ... ), a volte attivate dagli amministratori per evitare il commissariamento antimafia; la nomina di una commissione straordinaria (tre componenti) per un periodo variabile, indicato nel d.PR, tra i 12 e 24 mesi fino, poi, al primo turno amministrativo utile. Una volta insediatasi, la Commissione straordinaria può disporre della collaborazione del Comitato di sostegno e di monitoraggio presso il ministero dell'Interno, nonché dell'aiuto, con comando o distacco, di esperti provenienti da altre amministrazioni con oneri a carico del ministero dell'Interno. Uno dei primi atti è costituito dalla adozione di un piano di priorità degli interventi, presupposto per accedere al circuito dei finanziamenti pubblici, la cui ratio deriva dall'aver constatato, in fase di prima applicazione, la rarefazione, la difficoltà di accesso o la cessazione dei flussi finanziari per gli appalti e le pubbliche forniture. La commissione straordinaria adotta tutti i provvedimenti ritenuti necessari e può disporre d'autorità la revoca delle deliberazioni già adottate, in qualunque momento e fase della procedura contrattuale, o la rescissione del contratto già concluso. La disposizione costituisce una linea di intervento indicata dal legislatore, poiché anche senza questa previsione si possono adottare revoche o rescissioni. Sicché la norma sembra superflua, tuttavia lascia intendere il bisogno di adottare chiare decisioni di controtendenza con motivazioni forti ed adeguate, mentre rimangono immutati gli aspetti economici e finanziari attinenti all'interruzione degli accordi contrattuali e precontrattuali. Inoltre, la commissione straordinaria può indagare all'interno dell'amministrazione con i poteri degli ispettori, i quali invece sono privi di alcuna specifica attribuzione. Probabilmente, la comparazione serve solo a sottolineare l'unità dei fini e non dei risultati, in quanto il collegio propone i provvedimenti, mentre i commissari possono autonomamente decidere. Nel concreto, l'azione dei commissari si caratterizza per il riordino amministrativo-contabile e per il tentativo di dare spazio al25


la società civile e alla partecipazione (così come peraltro indicato dal TUEL) con l'obiettivo di far crescere nuove militanze. Con la legge finanziaria per il 2007 (1. 27 dicembre 2006, n. 296) sono intervenute sei modifiche scaturenti dall'esperienza maturata. In primo luogo, è stata decisa (art. 1, commi 688 e 689) la esclusione del Patto di stabilità interno degli Enti locali tornati alla gestione ordinaria nell'anno successivo all'insediamento degli organi elettivi. Ciò riguarda anche gli anni 2006 e 2007. La ratio consiste nel fatto che le scelte commissariali sono caratterizzate da gestioni oggettivamente diverse da quelle ordinarie, soprattutto nel contenimento delle spese discrezionali, e dunque le stringenti misure del Patto vincolano molto. In secondo luogo, è stato previsto che: gli oneri di finanziamento (indennità, rimborso spese e missioni) delle commissioni straordinarie sono rimborsate ai Comuni (e non anche alle ASL) da parte del ministro dell'Interno (art. 1, comma 704); gli Enti locali destinano gli importi rimborsati a spese di investimento con un passaggio da spesa corrente a spesa di investimento in via generale vietato, ma che in questa fattispecie costituisce una eccezione con un significato simbolico; la commissione straordinaria ha la facoltà di ottenere in un'unica soluzione i trasferimenti erariali e la quota di compartecipazione al gettito IRPEF spettanti per l'intero esrcizio (art. 1, comma 705); si tratta di una facilitazione per consentire un margine di liquidità all'ente commissariato; la istituzione di un fondo complessivo di 30 milioni di euro per ciascun anno del triennio 2007-2009 da distribuire agli Enti locali commissariati al fine di favorire la realizzazione o la manutenzione di opere pubbliche in base alla popolazione residente (art. 1, comma 707) con un criterio teso a privilegiare i Comuni più piccoli; i vari incarichi, compreso quello di revisori dei conti, sono risolti di diritto se non rinnovati entro quarantacinque giorni dall'insediamento della commissione straordinaria (art. 1, comma 715). Da questo insieme eterogeneo di disposizioni si possono evince26


re le due linee fondamentali della legislazione: la straordinarietà attiene soio alla sostituzione degli organi elettivi; lo Stato, con la decisione di adottare la misura di rigore, assume il compito del ritorno alla legalità e di ricreare il tessuto sociale di un territorio. Un primo iniziale ordine di questione ha riguardato la costi- La giurituzionalità dell'articolo 15-bis. Sul punto il Giudice delle leggi sprudenza ha avuto modo di intervenire presto sostenendo che l'adozione della misura di rigore in esame costituiva una misura di natura cautelare tesa cioè a "preservare la parte sana della comunità locale dall'influenza delle organizzazioni criminali" (Corte costituzionale, 10-19 marzo 1993, n. 103). Successivamente, la giurisprudenza costituzionale ha avuto modo di affermare la riserva e la esclusività a favore dello Stato della materia ordine e sicurezza pubblica quale presupposto fondamentale per assicurare la conservazione del patto sociale, che esige interventi rapidi e decisi. La giurisprudenza amministrativa ha subito escluso la natura di atto di alta amministrazione al provvedimento di scioglimento e non sempre ritenuta legittima l'adozione di un decreto in via preventiva rispetto al rischio corrente di infikrazione o di condizio.namento. Inoltre, appare sufficientemente concorde sui seguenti principi: le misure di rigore costituiscono un legittimo cedere di fronte all'interesse generale e primario del ripristino della libertà di tutti e di conseguenza non esiste la criminalizzazione della comunità coinvolta né degli amministratori estranei ai fatti di mafia contestati; il potere di scioglimento è un potere assolutamente straordinario (Consiglio di Stato, sezione V, 22 marzo 1999, n. 319) e dunque non assoggettato alle garanzie assicurate dall'ordinamento ad iniziare da quelle sull'avvio del procedimento; non è necessario l'accertamento di specifiche responsabilità nei confronti dei singoli, essendo sufficiente che gli indizi raccolti siano tali da rendere plausibile la soggezione degli amministratori locali alla criminalità organizzata; l'adozione del decreto di scioglimento non richiede l'esistenza di comportamenti penalmente sanzionabili imputabili ai sin27


goli amministratori locali (Consiglio di Stato, sezione 'VI, 19 dicembre 2006, n. 652); la valutazione delle acquisizioni probatorie in ordine a collusioni e condizionamenti con la criminalità organizzata deve essere effettuata globalmente senza estrapolare singoli fatti od episodi al fine di contestarne l'esistenza o diminuirne il rilievo; vanno considerate anche le situazioni non traducibili in addebiti personali, ma tali da rendere plausibile l'ipotesi di una soggezione degli amministratori alla criminalità organizzata, quali i vincoli di parentela od affinità, i rapporti di amicizia o di affari, le notorie frequentazioni; lo scioglimento rappresenta la risultante di una valutazione complessiva che tiene conto, da un lato, della accertata o notoria diffusione sul territorio della criminalità organizzata, dall'altro, della carente funzionalità dell'ente in uno o più settori, o di una situazione di grave e perdurante pregiudizio per la sicurezza pubblica (Consiglio di Stato, sezione V, 18 marzo 2004, n. 1425). Infine, per risolvere definitivamente le questioni interpretative sulla necessaria o meno compresenza dell'infiltrazione e del condizionamento, il Consiglio di Stato sembra ormai orientato nel riconoscere una ampia discrezionalità al prefetto nel valutare i fatti e le notizie e, pertanto, per inficiare l'intero consiglio basta constatare la presenza di "elementi", "collegamenti" o "forme di condizionamento mafioso. Sono, pure, idonee, anche quelle situazioni che non rivelino né lascino presumere l'intenzione degli amministratori di assecondare gli interessi della criminalità organizzata", fermo restando il grave e perdurante pregiudizio per la sicurezza pubblica. Ai fini di queste note, tralascio alcune osservazioni in merito ad Le questioni aspetti critici di nomografia dei testi, che mi auguro non saranno aperte presenti nella riforma dell'ordinamento degli Enti locali all'esame del Parlamento od eventualmente nel corso dell'approvazione di specifiche iniziative legislative. La prima questione attiene sicuramente al diverso contesto istituzionale in cui venne elaborato l'articolo 15-bis, rispetto agli attuali assetti dei poteri pubblici. Manca, in definitiva, la conside-

28


razione, almeno, delle novità introdotte dall'elezione diretta e della separazione tra indirizzo e gestione. La straordinarietà delle commissioni consiste solo nella sostituzione degli organi ordinari di governo, per cui: rimane molto difficile trovare una soluzione per la rescissione o la modifica degli impegni contrattuali, che spesso sono a fondamento delle motivazioni di scioglimento; è garantita la inamovibilità del personale colluso presente all'interno dell'amministrazione, come, peraltro, conferma sul piano generale l'esperienza dell'applicazione della legge n. 1611992. E, tuttavia, quando il malcostume o la consumazione di un reato riguarda pubblici dipendenti vi è un maggior rilievo dei fatti soprattutto se commessi nell'esercizio dei propri poteri d'ufficio. Inoltre, non secondario è il problema del ritorno degli amministratori collusi alla fine del commissariamento. È un tema connesso a quelli della qualità e dell'etica dei partiti e della rappresentanza politica, a cui si è cercato di porre parziale ed effimero rimedio con l'adozione di codici di autoregolamentazione (quali, ad esempio, il "codice Chiaromonte" agli inizi degli anni Novanta e quello deciso dalla Commissione antimafia nell'attuale )(V legislatura). Infine, ancor piìi delle innovazioni legislative e delle costanti direttive del ministro dell'Interno al riguardo, i temi della capacità di reazione della società civile (ampiamente intesa) e della capacità degli stessi commissari di assecondare processi qualitativi di partecipazione e di miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini costituiscono l'asse essenziale per il ritorno stabile e duraturo alla legalità. L'esito positivo dei commissariamenti deve essere quello della realizzazione di un nuovo tessuto sociale, culturale ed economico, in cui le varie forme di volontariato e di impegno pubblico trovano un radicamento sempre maggiore. "L'educazione dei cittadini - ebbe modo dl affermare il Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi - al rispetto della legalità, in tutti i suoi aspetti, è compito di tutti. Chi fa costruzioni abusive, distruggendo un bene pubblico, quale è il paesaggio; chi non paga le imposte, creando ovvie difficoltà per lo Stato o per gli Enti locali; chi, per paura 29


e per opportunismo, non denuncia i soprusi subiti o gli episodi di corruzione; chi abusa di sussidi cui non ha diritto, chi non fa, insomma, il proprio dovere di cittadino, fatica poi, inevitabilmente, a farsi ascoltare quando chiede, giustamente, che lo Stato faccia la sua parte...". Se da parte dei soggetti individuali e collettivi non giungono inequivoci comportamenti di inversione o di cambiamento nelle scelte della rappresentanza e nei comportamenti interrelazionali, allora le gestioni straordinarie costituiranno soio un intervallo lungo il filo della continuitĂ .

* L'articolo riprende, in parte, il testo della mia introduzione al Workshop "Infil-

trazioni mafiose e pubbliche amministrazioni" della Conferenza nazionale su "CriminalitĂ organizzata e nuove mafie", organizzata dall'Osservatorio permanente sulla criminalitĂ organizzata (Opco, Siracusa, 26 maggio 2007).

Casi di riadozione di misure di rigore - Riepilogo per Provincia (dati aggiornati al 30 aprile 2007) Fante: nela bo razioni personali su dati forniti dal ministero dell'interno - Dipartimento per gli affari interni e territoriali Avellino Caltanissetta Caserta Napoli' Palermo Reggio Calabria

2 5 5 4 2

Totale

19

Casi complessivi di misure di rigore - Riepilogo per Regione (dati aggiornati al 30 aprile 2007) 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 Tot. Basilicata Calabria Campania Lazio Piemonte Puglia Sicilia Totale

6 7

I 4 2 818

2 5

I

IO

4 IO

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22

35

4

3

2 2

2 4

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1

2

5

8 1

I 2

1 7 I

2 5

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3

4

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63671261312

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2

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I

2

2

I 6

36 75

1

5

77

4 5

Fonte: ricia borazioni personali su dati forn iti dal ministero dell'interno - Dipartimento per gli affari interni e territoriali

30

I


Misure di rigore - Regione Basilicata (dati aggiornati aI 30 aprile 2007) 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 Tot. Matera

I

Totale

1

1

Fonte: rielaborazioni personali su dati firniti dal ministero dell'interno- Dipartimento per gli affari interni e territoriali

Misure di rigore - Regione Calabria (dati aggiornati al 30 aprile 2007) 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 Tot. Catanzaro 5 Crotone3 Reggio Calabria4 Vibo Valentia Totale

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2 I

2

4

2

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1 1 2

2

2

I

2 ,

2

2

2

2

2

I

2 2 3 I 8

I

2 I

I

1

I 2

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136

Fonte: rielaborazioni personali su dati forniti dal ministero dell'interno - Dipartimento per gli affari interni e territoriali

Misure di rigore - Regione Campania (dati aggiornati al 30aprile2007) 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 Tot. Avellino Benevento Caserta Napoli5 Salerno Totale

2

I

3

I 3 4

7

7 i

3 9 4

2

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3

1 1

2 2

3

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2

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2

7

2 3

22 44 5

2

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75

i 2

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5

2

2

6

I

Fonte: rielaborazioni personali su dati forniti dal ministero dell'interno - Dipartimento per gli affari interni e territoriali

Misure di rigore - Regione Lazio (dati aggiornati al 30 aprile 2007) 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 Tot. Roma

I

I

Totale

I

1

Fonte: rielaborazioni personali su dati forniti dal ministero dell'interno— Dipartimento per gli affari interni e territoriali

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Misure di rigore - Regione Piemonte (dati aggiornati al 30 aprile 2007)

1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 Tot. Torino6

I

I

Totale

I

I

Fonte: rielaborazioni personali su dati forniti d.al ministero dell'interno

-

Misure di rigore

Dipartimento per gli affari interni e territoriali

-

Regione Puglia

(dati aggiornati al 30 aprile 2007)

1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 Tot, 4

Bari Lecce

2

Totale

2

5

1

2

'

4

7

1

Fonte: rielaborazioni personali su disti firniti da/ministero dall'interno

-

Dipartimento per gli affari interni e territoriali

Misure di rigore - Regione Sicilia (dati aggiornati al 30 aprile 2007)

1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 Tot.

Agrigento

I

I

Caltanissetta

3

1

Catania

I

1

4

2

3

1

I I

I

1

4 5 8

Enna Messina

I

Palermo7

3

I 1

4

2

2

1

I

2

2 2

I

I

Ragessat

23

Siracusa Trapani9

Totale

5

2

3

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lO

I

I

2

Fonte: nela borazioni personali su dati forniti da/ministero dell'interno

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4

-

1

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3

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Dipartimento per gli affari interni e territoriali

4

I

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Casi di proroga misure di rigore - Riepilogo per Provincia (dati aggiornati al 30 aprile 2007) 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 Tot. Agrigento Avellino Bari Caltanissetta Caserta Catania Catanzaro Crotone Napoli Palermo Reggio Calabria Trapani Vibo Valentia Totale

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2 2 I

5 2

2

2

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2 I 1

2 3 2 1

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I 2

1 2

2

1 I 2

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3 2 1

2 1

2 17 13 10 2

I 18

13

2

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1

3

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24

I

565

Fonte: rie/abo razioni persona/i su dati forniti diii ministero dell'interno - Dipartimento per gli affari interni e territoriali

I

1 d.PR annullato 1 d.PR annullato 1 d.PR annullato Tra cui, nel 2006, l'ASL 9 Locri; 2 d.PR annullati 5 Tra cui, nel 2005, l'ASL 4 Pomigliano d'Arco; 4 d.PR annullati 6 Ăˆ stato ridotto il periodo di scioglimento 2 d.pa annullati 8 d.PR annullato 9 In un caso è stato ridotto il periodo di scioglimento 2

33


queste istituzioni n. 145 primavera 2007

Css: missione impossibile? di Massimo Ribaudo

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a pubblicazione, per i tipi della Marsilio, del volume "Scienze sociali e società italiana", a cura di Alessandro Silj, che, come recita il sottotitolo, riguarda l'esperienza del Consiglio italiano per le Scienze Sociali, pone subito un interrogativo: in quale misura è stato possibile realizzare il progetto da cui nasceva il Css? Interrogativo che chiama in causa il contesto entro il quale il Consiglio doveva operare, così come le energie che, nel Css, si sono via via ritrovate. In questa prospettiva vale prendere il discorso partendo dal L'esempio di liber amicorum per Alberto Spreafico, intitolato appunto: "Ri- Alberto cordi di Alberto Spreafìco", edito nel 2000 da Arnaldo Lombar- Spreafico di Editore. Partiamo da un fatto sottolineato da vari interventi: ilforte interscambio di reti di competenze tra le facoltà maggiormente ispirate all'innovazione .nell'ambito delle Scienze sociali in Italia - quali la facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Catania e la "Cesare Alfieri", a Firenze - e il Consiglio italiano per le Scienze Sociali. Ciò attraverso la personalità e l'attività di Alberto Spreafico, intellettuale e diffusore di orientamenti culturali e metodologici. che trovavano il proprio fondamento nell'approccio della "società aperta" teorizzata da Popper e dal Circolo di Vienna, così come nella formazione all'interdisciplinarietà secondo la lezione di Gregory Bateson, che notevole influenza ebbe per lo sviluppo delle Scienze Sociali negli Stati Uniti. Pensiamo a Bateson in quanto anche Spreafico fu un intellettuale ironico che, come amichevolmente ricorda Silj nella presentazione al volume, sapeva dialogare con tutti, era curioso delle idee a prescindere provefissero da un suo collega o da un giovane hippy. La facoltà di Scienze Politiche di Catania, come sottolinea Enzo Sciacca nella sua presentazione del liber amicorum, fu ca34


ratterizzata, nei primi anni di vita, da alcune forti persùnalità, fra le quali spiccò quella di Alberto Spreafico. E lo stesso Spreafico fu stimolo intellettuale anèhe per la "Cesare Alfieri" di Firenze, come evidenziato nel contributo al liber amico rum di Joseph La Palombara, il quale fornisce anche un importante collegamento tra l'esperienza della facoltà fiorentina ed il contributo delle "public institutions" statunitensi, (fondazioni private, dipartimenti universitari, associazioni indipendenti tra strutture pubbliche amministrative), intese come istituzioni che si occupano degli interessi pubblici della ricerca e della formazione dell'agenda politica (issues) o del discorso politico (arguments). La Palombara annota, con spirito, che ci volle molto Le radici per rendersi conto che il miglior modo per cogliere le sfumature e le vie arcane di quell'Università era di rileggere Nicolò Machiavelli e di rivedere il mio giudizio su Bisanzio". Alberto Spreafico promosse la partnership, attraverso La Palombara che ne era membro del Comitato di Politica Comparata, con il Social Science Research Council. Massimo Fichera, allora segretario della Fondazione Olivetti, lo accompagnò nella sua azione: ne nacque il Comitato per le Scienze Politiche e Sociali in Italia, Co.S.Po.S, il quale, costituì l"incubatore" del Consiglio italiano per le Scienze Sociali. Spreafico comprese immediatamente che un elemento del discorso politico da approfondire in modo non conforme né ai metodi della competizione elettorali né a quelli delle discipline accademiche era la modernizzazione della pubblica amministrazione che egli intese come missione di quella "scienza dell'amministrazione" a cui si dedicò. Per questo si intese pii tardi con Sergio Ristuccia, successore di Fichera come Segretario generale della Fondazione A. Olivetti e uomo di pubblica amministrazione. Personalità non certo omologabili, ma che entrambe riconobbero, nell'interdisciplinarietà e in un aggiornato relativismo metodologico, codici comuni per l'orientamento della ricerca nel campo delle Scienze sociali. Ma veniamo a "Scienze sociali e società italiana", volume del Una storia 2006 che raccoglie carteggi, interviste e posizioni sul Css e rela- raccontata ziona sui risultati finora conseguiti. dalle lettere 35


Nel libro viene ancor meglio raccontato il periodo del Cos.Po.S: la sua nascita permessa da un grant della Fondazione Ford e dal contributo della Fondazione A. Olivetti, l'impegno di personalità come il già citato Norberto Bobbio (che, nel volume, traccia il suo ricordo del Co.S.Pos), Franco Modigliani, Manlio Rossi Doria. Vi è poi l'interessante epistolario tra Joseph La Palombara, Rossi Doria e Spreafico, che evidenzia la rete di rapporti creata dal Comitato con le più autorevoli istituzioni nel campo della ricerca sociale e con gli studiosi che ne erano accreditati esponenti. Nell'epistolario si può scorgere l'entusiasmo per un'intensissima mole di lavoro, la quale aveva come base la partecipazione volontaria e gratuita (i grants servivano a stimolare i giovani e ad assicurare una flessibile ma continua organizzazione interna). Soprattutto dallo scambio di lettere tra La Palombara e Spreafìco si può immediatamente notare un atteggiamento teso alla qualità dei programmi di ricerca posti in essere, ma anche la continua attenzione ad una efficace gestione finanziaria delle risorse acquisite. Ed in questo spirito, nella formazione del Css, come sottolineato da Silj, i Soci hanno sempre contribuito alle attività "senza trarne alcun tornaconto economico. Senza il loro volontariato non avremmo potuto fare ciò che abbiamo fatto". La motivazione di chi entrava a far parte del Css "era duplice. Da una parte la qualità dei progetti del Css, dall'altra la sintonia dei temi in agenda e gli interessi di ricerca e di studio del Socio e soprattutto la possibilità di confrontarsi con altre discipline. Senza alcun dubbio il principale collante che reggeva l'associazione e la rendeva vitale era, e rimane, proprio questo: l'essere il Css uno spazio pressoché unico in Italia che per vocazione e per statuto si vuole multidisciplinare". Fini e Nell'introduzione a "Scienze sociali e società italiana" sempre Silj si chiede se la funzione del Css di stimolare innovazione me- modalità todologica e contenutistica del discorso sulle scienze sociali in Italia sia ancora necessaria e, quindi, di attualità. Luciano Gallino, Arnaldo Bagnasco e Valerio Castronovo non hanno dubbi in proposito. Lavorare alla costruzione delle politiche pubbliche, al disegno istituzionale è uno dei compiti principali degli scienziati sociali. Valerio Castronovo sintetizza

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tale conclusione affermando che "Il Css rimane pur sempre un crocevia pressoché unico nel mondo della cultura italiana. Sia perché è un cenacolo che comprende studiosi di diverse estrazioni culturali e differenti ambiti disciplinari. Sia perché continua tuttora ad assecondare un confronto laico e fecondo di idee e di orientamenti sui principali problemi del nostro tempo". Nel volume c'è quindi la descrizione del modo di lavorare del Css, del suo operare in Commissioni di studio agili ed articolate, dove un coordinatore organizza una rete di collaboratori, per poi condividere i risultati del lavoro svolto in termini di messa a punto di un fenomeno o problema sociale e di uno «stato dell'arte" al riguardo (cioè lo stato delle discipline e della letteratura), per concludere con raccomandazioni di policy. I risultati del lavoro delle Commissioni sono pubblicati e diffusi mediante «libri bianchi" e position papers. La descrizione delle iniziative pone per prime in rilievo quelLe le relative al 1974-200 1, con un focus sul lavoro relativo all'edu- iniziative... cazione scolastica promosso da Clotilde Pontecorvo. Della Commissione del progetto scuola fecero parte, tra gli altri, Alessandro Cavalli, Valerio Castronovo, Stefano Rodotà, Raffaele La Porta, Guido Baglioni, Pietro Rossi, Alberto Zuliani. La Commissione poi si interessò immediatamente, grazie a Cavalli, delle scienze sociali in Europa, che, come si evidenzierà in seguito, è oggi uno dei temi fondanti per il lavoro del Css. Il maggior successo del lavoro del progetto scuola fu quello di far entrare le scienze sociali nell'asse scientifico delle materie dell'istruzione secondaria, invece che nell'asse delle scienze umane. E quindi il Css pubblicò "Scienze sociali e riforma della scuola secondaria" (Torino, Einaudi, 1977) e "L'insegnamento delle scienze sociali: dove, come, perché" (Torino, Loescher, 1978). Il volume si sofferma poi sulle nuove commissioni di studio ... e le nel periodo 2002-2006. Con le commissioni di studio varate a commissioni partire dal 2002, il Css ha iniziato una ricognizione e valuta- (li studio zione di alcuni problemi ritenuti di importanza cruciale per il futuro del Paese, partendo dalla consapevolezza che questo compito vuole il massimo di libertà intellettuale «fuori dai vin37


coli dell'ondivago agone politico che si realizza quotidianamente Nel breve spazio di questo articolo non si possono che scorrere i temi ed i nomi dei coordinatori e di alcuni dei partecipanti alle Commissioni, pur comprendendo la riduttivitàdi tale sintesi rispetto a quanto esposto in Scienze sociali e societa italiana Si è partiti con Le Fondazioni in Italia, coordinata da Sergio Ristuccia e Andrea Zoppini, con Piero Bassetti, Giovanni Bechelloni, Flavio Brugnoli, Bernardino Casadei, Antonio Di Majo, Felice Scalvini e Luisa Torchia, commissione che ha pubblicato un Libro bianco nel 2002; per poi proseguire con Tendenze e politiche dello sviluppo locale in Italia, coordinata da Arnaldo Bagnasco e Carlo Trigilia, con Fabrizio Barca, Marco Cammelli, Giuseppe Dematteis, Luigi Mazza, Guido Mario Rey, Enzo Rullani, Maria Teresa Salvemini, Gianfranco Viesti, che nel 2005 ha pubblicato il suo Libro bianco. Si è quindi voluta prestare attenzione particolare ad uno dei temi fondamentali per la missione del Css: La valutazione dell'attività di ricerca, coordinata da Alberto Zuliani, con Andrea Bonaccorsi, Sergio Bruno, Massimiliano Bucchi, Mario Calderoni, Mario Lanzerini, Giulio Perani, Giorgio Sirilli, Gianni Toniolo, Ugo Trivellato, che ha pubblicato nel 2006 il proprio Libro Bianco. Da rilevare poi il lavoro su Le relazioni intergenerazionali, coordinato da Gabriele Calvi, con Milly Buonanno, Alessandro Cavalli, Christian Giordano, Giuseppe Micheli, Peppino Ortoleva, Sergio Scamozzi. I diversi contributi dei partecipanti alla Commissione sono stati pubblicati nel volume "Generazioni a confronto" del 2005. La Commissione su Crisi del/a grande impresa e nuove forme d'imprenditorialità-Il caso dell'Italia del Nord-ovest a confronto con la tendenza europea, coordinata da Giuseppe Berta e Angelo Pichierri, pubblicherà a breve il proprio Libro bianco; quella su Nuove frontiere della comunicazione e cosmopolitismo, coordinata da Giovanni Bechelloni affiancato da Piero Trupia, a breve pubblicherà i risultati della sua ricerca. Il vicepresidente del Css, Arnaldo Bagnasco, a proposito del lavoro delle Commissioni, delle quali - nell'intervista con Silj all'interno del volume - traccia una valutazione proiettata al futuro, spiega come non si tratti di un'opera che si possa solamen38


te definire di ricerca applicata: "La distinzione tra ricerca pura e ricerca applicata", asserisce Bagnasco, "oggi è diventata molto labile, anche difficile. Spesso tu hai della ricerca applicata che devi sviluppare, ma così facendo scopri di andare in direzioni che poi daranno contributi straordinari alla conoscenza, nel senso più alto e nobile del termine, che poi a loro volta andranno in direzioni che avranno, in qualche modo, un'applicazione pratica". Un metodo scientifico attuale che si collega, oggi, al mainstream epistemologico. Quale Quale Css si propone al futuro? Nella postfazione al volume il Presidente Sergio Ristuccia vede in un sempre più consapevole futuro? coinvolgimento del mondo delle Fondazioni, il meccanismo per mantenere attive e propositive le energie intellettuali interne al Consiglio e di costruire strumenti di social inteiigence adeguati alle necessità del momento. Lo scenario di riferimento è l'Europa, ma non l'Europa degli stereotipi o delle questioni lasciate in sospeso. È l'Europa della cultura, di un discorso politico su temi fondamentali, è l'Europa che proprio Sergio Ristuccia pose in primo piano nell'editoriale su queste istituzioni, "Europa: le ragioni della cultura", n. 90-91 (1992), pp. 3-13. Vi è poi da ricordare come tutto il lavoro delle Commissioni 2002-2006 ha mantenuto quali linee strategiche quanto delineato da Ristuccia nell'editoriale "Scienze Sociali e Agenda per l'Italia", n. 106-107 (1996), pp. IIIXVIII. In quello scritto, basato sulla relazione di Ristuccia all'Assemblea annuale del Css si prefigurava con attenzione un metodo di lavoro ed un obiettivo: portare fuori l'Italia dalla cultura dell'immediatezw, della risposta ai soli temi urgenti, per fare in modo che il ruolo dell'intellettuale sociale sia quello delineato da Wolf Lepenies, citato appunto da Ristuccia in quell'editoriale, dove si ricorda con chiarezza che "Non si tratta di esprimere opinioni o rivolgere appelli il cui scopo principale è quello di tranquillizzare la coscienza dei rispettivi firmatari. Essi dovrebbero assumersi l'obbligo di prendere posizione di fronte alle questioni incalzanti del nostro tempo facendo leva sull'opinione pubblica. Non si tratterebbe di manifesti, bensì di prese di posizione accuratamente preparate da gruppi di lavoro che, di regola, verrebbero pubblicate in modo "anticiclo" e conterrebbero sempre 39


anche riguardo all'opinione pubblica e alle opinioni pubblicate, un potenziale di sorpresa, con la ferma intenzione di mettere in discussione le ovvietà del consueto consenso politico, di avviare svolte necessarie nella formazione delle opinioni politiche e di far applicare decisioni politiche impopolari, ma inevitabili". Ed in quest'ottica Ristuccia propose che il Css impiegasse le proprie risorse e le energie intellettuali proprio su quei temi che sono poi stato oggetto di statements e libri bianchi. Al termine di quell'editoriale Ristuccia poneva le basi per la creazione di un Etnobarometro, come network europeo, che monitorasse la questione delle tensioni etniche in Europa. Oggi Etnobarometro, come espresso in "Scienze sociali e società italiana", costituisce un network internazionale autorevole che ha pubblicato studi accreditati nel dibattito internazionale sui conflitti e le relazioni interetniche, e che promuoverà, insieme all'Istituto Universitario Europeo di Firenze, la costituzione di un Centro di Studi sull'Islam. Il Comitato direttivo del Css del 14 dicembre scorso, oltre a valutare il lavoro scientifico del 2006, ha posto alcune priorità per l'anno in corso. È fondamentale diffondere i risultati delle ricerche, promuovere dibattito, anche aspro, quindi si devono implementare strategie efficaci di comunicazione. Al tempo stesso, incrementare la visibilità e la diffusione del sito del Css: il. sito rappresenta uno degli strumenti fondamentali della comunicazione del Consiglio, così come la nostra rivista. Ciò, in modo da rappresentare il main purpose del Css descrivendo questo filo di continuità con il dibattito sulle Scienze Sociali nella metà degli anni Settanta, ma, al tempo stesso, sapendo cogliere, come ha indicato Bagnasco, proprio nel Consiglio direttivo, alcune importanti differenze. L'intellettuale, in passato, è stato un critico sociale, un demolitore, mentre il ruolo che ha il Css è quello di scrivere, di parlare, di non distanziarsi dalle politiche pubbliche, ma anche di non lasciarsi coinvolgere completamente dalle dinamiche dell'alternanza come invece oggi fanno molte Fondazioni americane, la cui capacità di costruire discorso politico è notevolmente diminuita. 40

L'importanza della comunicazione...


Il tema delle Fondazioni è centrale. Il problema della responsabilità sociale, dell'impatto sui sistema democratico, delle strategie gestionali delle Fondazioni è stato accantonato e, quindi, è compito del Css, riportarlo al centro dei propri lavori, partire proprio da questo tema per comunicare, per esplicitare all'esterno qual è l'elemento comune che lega l'operato delle diverse Commissioni del Css. Questo per tornare a far circolare giudizi, posizioni, modelli progettuali. Il tutto, come anche proposto da Antonio Di Majo, nostro condirettore, sapendo riallacciare rapporti con centri universitari sia in Italia che all'estero, anche mediante l'utilizzazione delle risorse multimediali più aggiornate. Sergio Ristuccia sottolinea come, al fondamento di una autentica e riconosciuta autorevolezza scientifica, ci sia l'elemento del lavoro continuo, ben coordinato e professionalmente comunicato in maniera professionale all'esterno. Con questo richiamo a soggetti ed istituzioni che vogliano ... e del condividere metodi ed obiettivi si può concludere, rinviando ai sostegno prossimi numeri di queste istituzioni un maggior approfondi- dall esterno mento sui singoli temi del lavoro del Css. Un lavoro che si ritiene, responsabilmente, importante. Saranno poi la qualità dell'attivazione di reti e la valutazione dei risultati concreti a dimostrarne l'efficacia. A questo punto torniamo alla domanda che ci siamo posti inizialmente: in quale misura sia stato possibile realizzare il progetto da cui è sorto il Css e, soprattutto, se e come il lavoro del Css possa proseguire nella sua missione. Per quanto riguarda la realtà interna del Css è facile osservare una linea di discontinuità dovuta fondamentalmente alla modestia e saltuarietà dei finanziamenti necessari per l'attività del Consiglio. Di questo il libro non ne parla direttamente, ma il contesto risulta da diversi accenni, come quelli di Ristuccia nella post-fazione e da altre informazioni raccolte. Non appena il Css ha potuto contare su finanziamenti di maggiore entità, e soprattutto continui nel tempo, il "valore umano" del Css (sapere e chiara volontà d'impegno dei Soci) ha avuto modo di esprimersi compiutamente. Ma la risposta alla 41


domanda dipende anche dal contesto esterno. E qui - come si dice - sono dolori. Contribuire alla costruzione - o alla critica - delle politiche pubbliche presuppone l'esistenza di sponde politiche pronte e abituate al colloquio con chi studia e propone o anche soltanto consapevoli della necessitĂ della riflessione, di conoscenza e di capacitĂ di visione. Ăˆ temerario dire che tali sponde sono esistite ed esistono. Ma il discorso da fare al riguardo è ampio e serio. Da fare presto e in modo compiuto.

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dibattito

queste istituzioni n. 145 primavera 2007

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I controlli finanziari e creditizi: lezioni di un confronto comparativo di Giuseppe Godano

emanazione della legge 262 del 28 dicembre 2005 sulla tutela del risparmio e del recente disegno di legge governativo (febbraio 2007) sul riordino delle authorities tiene alta l'attenzione sul tema della regolazione e della supervisione delle istituzioni finanziarie e dei mercati finanziari. Questa rivista si è fatta promotrice di un dibattito sul tema, con articoli di Donato Masciandaro (n. 136-137) e di Oliviero Pesce (n. 138-139) a cui fornisco volentieri un contributo, riprendendo le fila di un mio articolo di un decennio fa (in queste istituzioni, n. 106-107, 1995). Mi propongo quindi di esaminare i principali fattori che hanno caratterizzato l'azione di vigilanza sulle istituzioni finanziarie e sui mercati negli ultimi anni, sia a livello globale sia a livello europeo e di valutare come in questo scenario si inquadrino i progetti legislativi di riforma nell'ordinamento italiano. Lungi dal costituire una disamina esaustiva delle problematiche e dal fornire certezze in una materia spesso controversa, questo contributo vuole offrire alcuni limitati spunti di riflessione. Utili, se possibile, per il legislatore. La cooperazione internazionale in materia finanziaria si è gran- Il comitato demente sviluppata nel corso dell'ultimo decennio. Il Comitato di Basilea e di Basilea (che raggruppa i supervisori bancari), lo losco (Inter- l'accordo sul captt e national Organization ofSecurities Commissions) e lo Lis (International Association oflnsurance Supervisors) hanno intensificato la

L'autore è avvocato internazionalista. Ăˆ stato dirigente della Banca d'Italia e membro del Comitato di Basilea. 43


propria attività sia con il potenziamento dei segretariati e la costituzione di una struttura articolata di gruppi e sottogruppi di lavoro sia con la partecipazione ai loro lavori di un numero sempre più ampio di Paesi. Nel 1999 è stato fondato il Financial Stability Forum, dove vengono rappresentate e sintetizzate le istanze delle authorities con quelle delle organizzazioni multilaterali (Fondo monetario e Banca mondiale) e delle sedi politiche (rappresentanti dei ministeri del Tesoro), con l'accento principale sui temi della stabilità finanziaria, ma anche con grande attenzione agli standard di supervisione. Nell'articolo in precedenza citato, ricordavo come il Comitato di Basilea avesse fatto registrare un importante cambiamento nella filosofia che ispira le autorità di supervisione, dando la preferenza a un tipo di regolamentazione che fosse quanto più vicina possibile alle esigenze del mercato, una regolamentazione cioè "market friendly", che privilegiasse gli incentivi rispetto alle regole amministrative vincolanti. Questo approccio si ritrova anche nel nuovo accordo sul capi- Gruppo dei tale siglato dal Comitato nel giugno 2004 (Basilea 2). L'accordo dieci e rating distingue, infatti, fra l'approccio standard che fissa il minimo interno vincolante di patrimonio che devono detenere le banche con sede centrale nei Paesi del Gruppo dei Dieci che operano internazionalmente e l'approccio cosiddetto dei "rating interni". Con quest'ultimo si consente alla banca, che abbia sviluppato al suo interno modelli statistici di misura e di rilevazione del rischio di credito, di utilizzare tali modelli per il calcolo del capitale necessario, sia pure previa 'approvazione del modello medesimo da parte dell'autorità di controllo. È possibile, anzi probabile, che con l'utilizzo del proprio modello la banca possa operare con una dotazione patrimoniale minore rispetto all'approccio standard: si realizza in tal modo un incentivo allo sviluppo dei modelli. D'altro canto, poiché si presuppone che le banche che dispongono di simili metodologie siano meglio attrezzate per la copertura del rischio, nell'ottica delle autorità di controllo l'uso di tali strumenti favorisce una maggiore solidità del sistema bancario. Naturalmente il Comitato ha prescritto precisi requisiti quantitativi e qualitativi per evitare che l'utilizzo del metodo 44


dell'internal rating costituisca uno strumento di elusione dei requisiti patrimoniali. La stessa filosofia di incentivi, di regolamentazione .marketfriendly, ispira anche il cosiddetto "terzo pilastro" dell'Accordo di Basilea, che riguarda l'iriformativa al mercato della situazione finanziaria della banca, nella convinzione del Comitato che l'informativa pubblica di dati riguardanti le banche sia un elemento decisivo nel rafforzare la disciplina di mercato. Nello stesso filone di fiducia reciproca fra vigilanti e vigilati si situa la prassi, che nasce nel mondo anglosassone ma che ormai è consolidata in Europa anche a livello nazionale, di sottoporre alla pubblica consultazione tutti i progetti di regolamentazione, prima che siano approvati in via definitiva. Ed è bene ricordare che, nel complesso iter che ha portato all'approvazione di Basilea 2, nei sei anni che sono intercorsi fra il 1998 (data di avvio del progetto) e il 2004, le banche e le associazioni bancarie hanno accompagnato passo passo con i loro commenti e suggerimenti l'evoluzione del progetto, senza nulla togliere naturalmente all'iniziativa del Comitato e dei governatori delle banche centrali che ne sono i garanti. L'attenzione alla qualità della supervisione è il dato centrale dell'attività del Comitato di Basilea. Il risultato più significativo a questo riguardo è stato la produzione dei coreprinciples, i principi fondamentali che le autorità di vigilanza bancaria debbono seguire nel loro operato. Una versione aggiornata dei principi, la cui prima stesura risale al 1997, è stata approvata di recente (ottobre 2006) a Merida in Messico in occasione della periodica conferenza internazionale delle autorità di vigilanza bancaria. I core principles hanno sin qui costituito lo standard di valutazione dell'adeguatezza dei sistemi finanziari sia dei Paesi industrializzati che dei Paesi emergenti da parte del Fondo monetario e della Banca mondiale ( FSAP - Financial system assessment program). Proprio per l'utilizzo che ne viene fatto e per la valenza politica dei giudizi degli organismi internazionali, era indispensabile che i core principles, non apparissero una creazione esclusiva del Comitato di Basilea, imposta acriticamente dall'esterno alle autorità di supervisione che non fanno parte del Comitato, ma invece

I core principles

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un'iniziativa condivisa da tutti. Ed è per questo che la nuova versione dei principi è il frutto del lavoro di base di un gruppo di lavoro congiunto nel quale erano rappresentati non solo i componenti del Comitato ma anche esponenti delle autorità dei più importanti Paesi emergenti. I 25 principi spaziano su tutti gli aspetti della supervisione ed incorporano le principali novità emerse nell'intervallo fra le due stesure, in particolare Basilea 2 e l'attenzione rivolta all'analisi e alla copertura del rischio (risk-based supervision). In linea con la genesi e la ragion d'essere stessa del Comitato, sono sviluppati gli standard relativi al controllo dell'attività bancaria internazionale. I principi originari secondo i quali la vigilanza deve essere svolta a livello consolidato (interessando cioè tutte le articolazioni del gruppo bancario a livello mondiale) e nessuno stabilimento bancario deve sfuggire alla vigilanza sono stati opportunamente potenziati incorporando i risultati dei più recenti lavori del Comitato, con la previsione di un continuo flusso di informazioni fra gli stabilimenti cross border del gruppo bancario e fra le autorità home-host, da verificare con accertamenti ispettivi, in modo da superare l'ostacolo della segretezza che ispira certe giurisdizioni offshore. Ai nostri fini assume rilievo il primo dei 25 principi che elenca i requisiti che un'autorità di vigilanza deve possedere per assolvere al meglio alle proprie funzioni: da un lato indipendenza operativa, poteri legali, adeguate risorse, protezione legale degli addetti; dall'altro, trasparenza nell'agire e accountability nei confronti dei referenti istituzionali e del pubblico. Uno dei principali problemi che hanno dovuto affrontare gli estensori dei core principles è stato quello dell'individuazione di standard applicabili a Paesi con differenti gradi di sviluppo. Un certo grado di flessibilità si è reso quindi necessario. Ed infatti la metodologia dei core princzples, documento che è una sorta di guida operativa, di istruzioni ad uso dei valutatori, distingue tra requisiti minimi, di generale applicazione per tutti, e requisiti addizionali, che devono essere rispettati solo dagli ordinamenti con sistemi bancari più sviluppati. L'opera del Comitato di Basilea non si è arrestata al settore delle Banche e banche. Negli ultimi anni si è assistito a un progressivo assotti- assicurazioni 46


gliamento delle linee di demarcazione fra i tradizionali settori e intermediari finanziari (banche, compagnie di assicurazione, società d'investimento, società di gestione del risparmio, fondi comuni) e per altro verso alla formazione di conglomerati finanziari, un coacervo cioè di strutture societarie che offrono, in base a un unico disegno strategico, servizi bancari, assicurativi e finanziari in genere. Il Comitato di Basilea si è fatto promotore, insieme a losco e a L&is, della costituzione del Joint Forum, gruppo internazionale incaricato di esaminare le tematiche dei conglomerati finanziari e, più in generale, analogie e differenze nel modo di operare degli intermediari dei tre settori tradizionali (banche, società di assicurazione, compagnie d'investimento) e nelle relative tecniche di controllo delle autorità di supervisione. Il Joint Forum, dopo un'accurata indagine che ha interessato una vasta gamma di operatori finanziari worldwide, giunge a conclusioni diverse da quelle di una certa pubblicistica che dà per scontato e ineluttabile, in tempi brevi, il processo d'integrazione fra i diversi comparti dell'intermediazione finanziaria e di conseguenza auspica radicali cambiamenti nelle strutture di vigilanza nazionali che riflettano questa tendenza. Jointforum e In un rapporto che risale alla fine del 2001, ma le cui conclusioni sono state riconfermate anche di recente, il Joint Forum ha esa- gestione del minato la gestione del rischio e la dotazione di capitale nei tre set- rischio tori. Il lavoro conferma un crescente grado di osmosi tra i settori, le cui principali manifestazioni sono: l'affinità concettuale di molti prodotti assicurativi del ramo vita (ad esempio, forme di capitalizzazione finanziaria) con i depositi bancari; lo sviluppo dei prodotti derivati, molti dei quali hanno al loro interno una componente assicurativa; le recenti tecniche di trasferimento del rischio, che vedono banche e assicurazioni in prima fila; e, infine, la bancassurance, che in prevalenza ha assunto le fattezze della commercializzazione di prodotti assicurativi tramite gli sportelli bancari. Nonostante questi importanti fenqmeni diconvergenza, il Joint Forum ha ritenuto che esistano tuttora importanti elementi di differenziazione tra banche e assicurazioni, specialmente nei comparti diversi dal ramo vita. Il core business delle assicurazioni si basa sull'assunzione di portafogli omogenei di rischi e sulla riduzione del rischio complessivo attraverso l'applicazione della legge dei 47


grandi numeri. La componente statistico-attuariale è, invece, in generale assente nell'attività bancaria tipica (raccolta di depositi ed erogazione del credito). Il capitale e le riserve giocano un ruolo più importante nel bilancio bancario, data la maggiore probabilità che in una banca emergano perdite inattese. Queste differenze di fondo giustificano anche diversità nelle tecniche di supervisione (vigilanza consolidata per le banche, vigilanza solo o soloplus per le assicurazioni) ed anche la difficoltà di integrare due culture che rimangono diverse anche nell'ambito dei Paesi che hanno scelto il modello dell'autorità unica per i due settori. Anche per la disciplina dei conglomerati finanziari il Joint Forum rimane fermo alla tradizionale specializzazione per settori. Infatti, nelle proprie raccomandazioni, si limita all'individuazione di metodi per la valutazione dell'adeguatezza patrimoniale che tengano conto delle diversità intrinseche dei singoli settori e alla designazione di un coordinatore per l'intero conglomerato che, se di solito è espressione del settore finanziario dominante, non travalica le prerogative delle autorità degli altri settori, non si trasforma cioè in un supervisore unico. I principi di vigilanza concordati a livello internazionale sono stati recepiti nell'Unione europea integralmente, se non altro per la partecipazione massiccia dei Paesi europei alla loro elaborazione. Quei principi, che a livello internazionale sono delle semplici raccomandazioni, divengono delle direttive, cioè atti vincolanti per gli Stati membri dell'Unione e per i destinatari finali. Basilea 2 viene recepita dalla direttiva 2006/48 e i principi del Joint Forum sono trasfusi nella direttiva 2002/87 sui conglomerati finanziari. Il dibattito in Europa si è sviluppato principalmente sull'adeguatezza delle strutture di supervisione. La realizzazione in Europa del mercato unico e, a partire dal 2002, della moneta unica, la presenza di istituti bancari e finanziari che travalicano i confini nazionali, la percezione del progressivo affievolirsi dei confini tra i vari settori finanziari, hanno indotto la Commissione europea, appoggiata da una parte rilevante della professione bancaria (le grandi banche multinazionali), a sostenere la necessità di un'autorità unica di supervisione a livello europeo,' che si affiancasse, o facesse da contraltare, all'autorità monetaria, la Banca centrale eu48

L'Unione europea. Un'autorità di vigilanza unica?'


ropea. A un certo punto si è affacciata l'ipotesi che la stessa BCE potesse assumere poteri diretti di vigilanza, almeno nei confronti dei grandi gruppi bancari con articolazione cross-border o con rilevanza sistemica, allorché cioè le conseguenze di un loro eventuale dissesto fossero suscettibili di propagarsi all'intera Unione. Considerazioni di carattere sia giuridico che pratico hanno invece condotto a riaffermare la necessità di mantenere la supervisione a livello nazionale. Il sistema delle direttive europee in materia bancaria assegna una precisa ripartizione di compiti e di responsabilità alle autorità nazionali. In estrema sintesi, l'autorità di vigilanza della casa madre ha la responsabilità della vigilanza consolidata sull'intero gruppo bancario, mentre la vigilanza sulle singole filiazioni cross-border rimane affidata all'autorità del Paese ospitante. Inoltre, il mantenimento della vigilanza prudenziale in capo alle autorità nazionali appare più coerente col principio di sussidiarietà che permea i trattati comunitari. Le autorità nazionali, che si trovano in prossimità delle istituzioni vigilate, possono più efficacemente sfruttare la conoscenza del modus operandi dei soggetti vigilati e il mantenimento di strette relazioni con loro. Ha giocato a favore del mantenimento della vigilanza a livello nazionale anche il ruolo che i singoli paesi svolgono in caso di crisi delle istituzioni vigilate. Interventi di risanamento o salvataggio sono infatti a carico delle pubbliche finanze del paese ove la banca è insediata. Quanto a ulteriori poteri alla BCE, il Trattato UE ne prevede l'at- Consiglio dell'Unione tivazione (art. 106.5) ma solo in base a una decisione unanime del Consiglio dell'Unione europea e non ci sono le condizioni politi- e ruolo della BCE che per un ulteriore passaggio di competenze dalla sfera nazionale a quella comunitaria, per il timore di una eccessiva concentrazione di poteri in capo a un organo tecnocratico quale la BCE. La Commissione europea ha in effetti ridimensionato la propria posizione di partenza. La direttiva 2006/48 di recepimento di Basilea 2 ribadisce la ripartizione di competenze tradizionale; l'unica concessione a un'ottica sopranazionale consiste nel potere concesso all'autorità del Paese di origine del gruppo bancario di decidere sul processo di convalida dei, modelli sul rischio di credito anche nel caso di dissenso delle altre autorità coinvolte.

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Analogo atteggiamento si ritrova nel negoziato che ha condotto all'approvazione della direttiva 2002/87 sui conglomerati finanziari. Il primitivo progetto della Commissione europea contemplava una vigilanza sui conglomerato sostitutiva delle vigilanze settoriali e un lead supervisor adombrante in nuce la figura dei supervisore unico. Il testo finale prevede, invece, una vigilanza meramente supplementare, che si affianca, ma non sostituisce quella dei vigilanti settoriali, i quali mantengono tutte le loro prerogative. Il coordinatore previsto dalla direttiva svolge una funzione di raccordo ma non ha poteri diretti sulle singole unità del conglomerato appartenenti a settori diversi o ubicate in Stati diversi. La direttiva prende cioè atto della circostanza, già messa a fuoco dal Joint Forum, che l'integrazione fra i vari settori dell'intermediazione finanziaria (e specie tra banche e assicurazioni) è tutt'altro che compiuta. A conclusioni analoghe è giunto iJ processo di revisione dell'architettura finanziaria europea che è stato attuato in un primo momento per il settore dei valori mobiliari (riforma Lamfalussy) e successivamente, esteso ai settori bancario e assicurativo. In estrema sintesi, la riforma Lamfalussy ha mirato a migliorare il processo di produzione normativa europea, affiancando alla Commissione europea, che mantiene un ruolo propulsore nell'intero processo, una serie di comitati di regolamentazione, composti da rappresentanti ministeriali con la funzione di indirizzo politico, .e di comitati formati dalle autorità di vigilanza dei tre settori (Committee ofEuropean Banking Supervisors - CEBS; Committee of Enropean Securities Supervisors - CESR; Committee ofEuropean Insurance and Occupational Pensions Supervisors - CEIoPs) con la funzione di assistenza tecnica. Il Consiglio Ecofin, nell'approvare la riforma (dicembre 2002), ha quindi riconosciuto la specializzazione settoriale delle vigilanze, che conserva il suo valore pur di fronte al progressivo aflìevolirsi delle linee di demarcazione all'interno della finanza. Ma proprio il riconoscimento dell'attenuazione delle linee di confine tra i settori tradizionali comporta che la cooperazione e il coordinamento siano quanto più possibile stretti ed efficaci. Ed è per questo che sono previsti momenti specifici di coordinamento tra i 50

L'architettura finanziaria europea


comitati settoriali di regolamentazione e tecnici sotto l'egida della Commissione europea. Incontri congiunti sono altresì previsti per la trattazione di temi intersettoriali e per le problematiche dei conglomerati finanziari onde evitare incoerenze con le normative e le prassi applicate a livello settoriale. È interessante notare, ai fini che ci interessano, che il Consiglio Tipologie di Ecofin che ha approvato la riforma non ha preso posizione su un autorità di modello ideale di vigilanza. Gli Stati membri rimangono liberi di 'g''-' scegliere al loro interno il modello organizzativo più consono alle loro tradizioni e alle loro realtà istituzionali. Le modalità di esercizio della vigilanza nei Paesi dell'Unione europea rivestono, infatti, una grande varietà. Al modello originario della vigilanza separata per i tre settori (bancario, mobiliare, assicurativo), si è sostituito in alcuni Paesi (Germania, Austria, Lussemburgo) il modello di un'autorità unica per i tre settori, sulla falsariga della Financial Services Authority britannica. Nella maggior parte dei Paesi dell'Unione europea, la banca centrale è direttamente competente o comunque coinvolta nella vigilanza sulle banche. Lo stretto legame fra vigilanza prudenziale e banca centrale è dovuto a una serie di ragioni. Il collegamento esalta le sinergie informative che si ottengono collegando le informazioni ricevute a fini di vigilanza con quelle ottenute nella sorveglianza dei sistemi di pagamento o nella conduzione della politica monetaria. La valutazione dei profili di solidità delle singole banche e l'analisi dei fattori di fragilità derivanti dagli andamenti macroeconomici e dei mercati finanziari sono complementari e l'unione delle due ftmzioni risulta molto utile' nei casi di crisi finanziarie con effetti sistemici. Infine, la tradizionale indipendenza della banca centrale protegge l'esercizio della vigilanza da strumentalizzazioni a fini politici, nonché dal rischio di soggezione agli interessi dei soggetti vigilati. È raro invece che la giurisdizione delle banche centrali si estenda alle società di intermediazione mobiliare, se non indirettamente, attraverso il controllo consolidato del gruppo bancario. Del tutto inesistente poi è il controllo da parte delle banche centrali delle compagnie di assicurazione (unica eccezione la banca centrale olandese). Per riassumere quello che è emerso a livello europeo: nessuna fuga in avanti con progetti di vigilanza a livello sopranazionale, 51


priorità alla cooperazione internazionale e ai momenti di coordinamento, atteggiamento di neutralità sull'assetto della vigilanza a livello nazionale. La traslazione nell'ordinamento italiano dei principi concordati a livello internazionale non è stata problematica. Le autorità italiane hanno sempre svolto un ruolo attivo nell'elaborazione di quei principi, e non solo la Banca d Italia come membro del Comitato di Basilea, ma anche la Consob e l'IsvAP nei rispettivi comitati settoriali, oltre al Tesoro che ha svolto istituzionalmente opera di coordinamento nelle sedi europee. I requisiti patrimoniali sanciti da Basilea 2 sono ormai recepiti nell'ordinamento e la Banca d'Italia si è già da tempo attrezzata per i nuovi compiti fra cui quello più impegnativo della validazione dei modelli interni delle banche. Non bisogna poi dimenticare che il sistema di vigilanza italiano è stato passato al vaglio dal Fondo monetario in epoca recentissima (Financial Assessment Program - FSAP pubblicato nel 2006) L'esito dell'accertamento è stato lusinghiero per tutte le autorità, che sono risultate compliant in pratica per la totalità dei core principles. In particolare, è stato confermato il rispetto del primo principio relativo ai requisiti che devono possedere le autorità di vigilanza (indipendenza, autonomia, poteri legali da un lato, trasparenza nell'operato e accountability dall'altro), con l'unica eccezione della protezione legale del supervisor, ancora non riconosciuta pienamente nel nostro ordinamento. In questo contesto va valutato il recente disegno di legge del 2 febbraio 2007 che, sviluppando i principi contenuti nella legge 262 del 28 dicembre 2005, dispone tra l'altro il riordino delle autorità del settore finanziario. Il sistema di vigilanza attualmente in vigore in Italia è un sistema che potremmo definire misto: si basa cioè sulla ripartizione di competenze per finalità (la Banca d'Italia vigila sulla stabilità del sistema bancario, la Consob sulla trasparenza e sulle regole di condotta dei mercati), ma allo stesso tempo riconosce anche il principio della specializzazione per settori, attraverso la previsione di autorità separate rispettivamente per assicurazioni (IsvAP) e fondi pensione (Covip) e l'attribuzione alla Banca d'Italia di una 52

La vigilanza in Italia: le proposte sul tappeto


vigilanza sulle banche onnicomprensiva, rigurdante cioè anche la trasparenza e le regole di condotta. Il disegno di legge supera l'attuale modello nella misura in cui quest'ultimo è ancora fondato sulla divisione delle competenze in ragione della materia e dei soggetti vigilati e porta alle estreme conseguenze il sistema della specializzazione funzionale. La Banca d'Italia diviene i1 soggetto regolatore e vigilante unico in materia di stabilità degli operatori (bancari, finanziari, assicurativi), mentre la Consob diviene il regolatore unico in materia di trasparenza e di informazione al mercato, quindi anche sull'offerta dei prodotti assicurativi e pensionistici. L'IsvAl e la Covip verrebbero soppressi e le competenze attuali ripartite tra Banca d'Italia e Consob. Il disegno di legge, pur ispirato al lodevole intento di razionalizzare e di superare alcune ambiguità presenti nell'attuale contesto istituzionale, non è esente da critiche. L'abbandono tout court della vigilanza settoriale per le assicurazioni (ma la stessa logica si può applicare ai fondi pensione), fa perdere la visione unitaria dell'istituzione vigilata e indurrà alla ricerca di artificiose distinzioni per l'attribuzione delle competenze. Basti pensare alle conseguenze della mancata trasparenza di alcuni prodotti finanziari sulla sana e prudente gestione dell'istituzione. Inoltre, l'esperienza degli altri Paesi non conforta certo la soluzione adombrata dal disegno di legge. Come regola generale, la banca centrale non si occupa direttamente della stabilità (e quindi delle regole prudenziali sulla solvibilità) delle compagnie di assicurazione. L'unico esempio è fornito dall'Olanda, dove funzioni del genere sono state affidate alla Nederlandsche Bank ma la regolamentazione è recente e l'esperienza non è collaudata. Da un punto di vista teorico, la scelta di un'autorità unica per l'intero settore finanziario potrebbe essere preferibile. Ma in pratica tale via non è percorribile: un'autorità unica separata dalla banca centrale farebbe perdere un bagaglio unico di competenze e di esperienze con conseguente scadimento della qualità della vigilanza bancaria; per altro verso, un accentramento di tutte le competenze nella banca centrale, oltre a snaturarne il ruolo, creerebbe probabilmente una concentrazione di poteri sulla quale diffìcilmente potrebbe raggiungersi un consenso politico. L'esame delle esperienze estere, d'altra parte, dimostra che la

Una vigilanza settoriale pere assicurazioni?

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presenza di una molteplicità di authorities non è di per sé un fatto negativo. L'argomento del supervisory burden, cioè l'onere che ricade sugli intermediari finanziari per il fatto di dover soggiacere nello stesso tempo alle regole di una pluralità di autorità, cede il passo di fronte alle maggiori garanzie che una molteplicità di controlli da angolazioni diverse produce. Certo, deve trattarsi di regole che siano friendly nei cònfronti dei soggetti vigilati, e non meri impacci burocratici o duplicazioni evitabili. In fin dei conti, l'autorità di supervisione, sia essa unica o settoriale, strutturata per soggetti o per funzioni, deve rispettare i principi fondamentali sanciti nelle sedi internazionali ed europee in precedenza richiamati: adeguato livello di indipendenza operativa, processo decisionale trasparente, sani ed efficienti meccanismi di governance interna. In sostanza, un'autorità che non sia captive delle entità vigilate, che si sottragga all'influenza del potere politico, ma che allo stesso tempo renda conto del proprio operato (accountability) all'esterno evitando fenomeni di autoreferenzialità. Se un insegnamento deve trarsi dalle sedi internazionali, il fattore importante non è il numero dei vigilanti, ma la qualità della supervisione e l'efficacia dei momenti di raccordo fra le diverse authorities.

Note bibliografiche BASEL COMMITFEE ON BANKING SuPERvIsION,

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giugno 2004. BASEL COMMITTEE ON BANKING SUPERVISION, Core Principlesfor Effective Banking Supervision, Basilea, ottobre 2006. BANCA CENTRALE EUROPEA, Il ruolo delle banche centrali nella vigilanza prudenziale, Francoforte, 2001. Boccuzzi G., Rischi e garanzie nella regolazione finanziaria, Bari, 2006. CioccA P., Vigilanza: una o più istituzioni? In «Bollettino economico della Banca d'Italia», n. 37, ottobre 2001. CONSIGLIO ECOFIN, Rapporto finale sul progetto di architettura finanziaria europea, Bruxelles, dicembre 2002. Joit'n FORUM, Risk and capital infinancial intermediaries, Basilea, novembre 2001. MASCIANDARO D., Epluribus unum?Authorities Design in Financial Supervision: trends and determinants in «Open Economics Review», 2006.

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queste istituzioni n. 145 primavera 2007

Maitriser le "droit mou" communautaire di Claudia Lopedote

J

I Rapport d'information (Sénat, Session ordinaire de 2006-2007, n. 302) presentato al Senato francese - redatto per la Commission des Finances, du controle budgétaire et des comptes économiques de la Nation da M. Philippe Marini (Sénateur de l'Oise) a seguito di una serie di incontri a Bruxelles con i collaboratori delle direzioni generali del mercato interno e del fisco, dei gabinetti di Neelie Kroes e M. Charlie McCreevy, insieme alla rappresentanza francese permanente a Bruxelles sullo stato e le procedure di decisione dell'Unione europea in materia finanziaria distingue subito tra hard e sofi law, normes conzraignantes e droit mou. Una sintetica nota di contesto: secondo la distinzione di C. Thibierge (Le droit souple, RTDC 2003), il sistema francese una volta differenziati droit souple e droit dur - contempla tre possibili "facettes du droit souple: droit flou' (sans précision), droit doux (sans obligation) et droit mou (sans sanction)". È a carico di quest'ultimo e dei suoi multiformi strumenti che è imputata la responsabilità della complessità ed opacità dell'elaborazione delle decisioni. Il rapporto mira ad individuare e vagliare in una lettura d'insieme i profili sostanziali e le ricadute di portata generale delle disposizioni tecniche contenute nelle recenti politiche dell'Unione europea (o quelle in agenda) nei settori del fisco, della legisl\azione finanziaria, della concorrenza. Di più: "Il importe aussi H'attirer l'attention sur les conséquences parfois négatives poui\ notre pays de certaines des logiques les plus structurantes de développement du droit européen" (p. i della Note de synthèse "Maitrise le 'droit mou' communautaire. Les principaux dossiers en cours de la Commission Européenne

Una certa opacità del processo decisionale in materia di legislazione finanziaria comunitaria

L'autrice è assistente di direzione del Consiglio italiano per le Scienze Sociali. 55


en matiére de législation financiére et fiscale", Sénat, 4 mai 2007). In dieci cartelle, è questa l'analisi illustrata in riferimento alla legislazione finanziaria: "Le décryptage de ces enjeux souligne, a contrario, la complexité du processus de décision communautaire en matière de réglementation financière celui-ci résulte à la fois de normes contraignantes et d'un 'droit mou' ('sofi law'), qui désigne les règles dans lesquelles le normatif tend à s'effacer devant la recommandation ou le code de bonne conduite, et dont l'élaboration résulte de processus consultatifs particulièrement complexes". Il Rapporto esordisce con un breve ma dettagliato excursus di inquadramento della legislazione finanziaria a livello comunitario nell'ambito delle procedure e dei modelli che presiedono alla formulazione di regolamenti e direttive in materia. Il processo o modello Lamfalussy è il principale2. Altro non è che la comitatologia. Messo a punto nel 2000 da un comitato di saggi presieduto dall'ex Presidente dell'Istituto Monetario Europeo Alexandre Lamfalussy (e voluto dall'ECOFIN) ed adottato per volontà del Consiglio europeo di Stoccolma del marzo 2001, il modello prevede una sistematica articolazione per il processo decisionale europeo in quattro livelli (v. tabella). Per quanto la procedura Lamfalussy abbia l'indubbio pregio di aprire la decisione agli attori del settore ("Ce processus permet d'adopter des règlements ou directives mieux adaptés au terrain, dans la mesure où ils sont préparés après consultation des acteurs concernés, et une pius grande harmonisation, car la procédure prévoit davantage de coopération entre les régulateurs des différents Etats membres." Rapport, p. 6) e di superare le frequenti critiche alla legislazione comunitaria per i contenuti evanescenti, scarsamente operativi ed innovatori, resta la considerazione forte circa la sopravvalutazione del ruolo degli esperti che, insieme alla accresciuta complessità delle procedure, è causa - secondo Marini di un impedimento al regolare funzionamento democratico delle istituzioni. È il ruolo de! Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali (nella loro funzione di luogo di discussione politica), secondo il Rapporto, ad essere sacrificato sull'altare della tecnocrazia. 56

Il modello Lamfalussy e la comitatologia


Il modello Lamfalussy LIVELLO

Tiro Di ATTO

CONTENUTO AMMESSO

Atti legislativi in senso proprio

Definizione dei principi e regole generali e degli elementi essenziali della materia da disciplinare (ai sensi dell'art. 202, ultimo capoverso, Trattato CE)

Parlamento e Consiglio europeo (regolamenti o direttive - su iniziativa della Commissione secondo la procedura di codecisione)

li

Disposizioni e misure di attuazione degli atti legislativi

Commissione europea con l'ausilio dei Comitati europei delle autorità europee di regolamentazione di settore: banche (CEss); assicurazioni (CE!OPS2 valori mobiliari (CFsR) 6

Misure di attuazione 7 e regolamentazione sulla base di pareri e consultazioni presso le parti interessate (professionisti e consumatori)

(ricorso alla procedura di regolamentazione come da "nuova decisione comitatologia" del Consiglio, 19991468/CE)

Linee direttrici standszrd per l'adozione di norme regolamentari a livello nazionale; raccomandazioni interpretative comuni CFSR CEBS CEIons

Coordinamento delle attività delle autorità nazionali di regolamentazione e vigilanza sui mercati finanziari; comparazione ed esame delle prassi regolamentari nazionali; individuazione delle best

practice

w

Atti di controllo sull'attività normativa ed amministrativa di attuazione delle norme e degli orientamenti adottati ai tre livelli precedenti da parte degli Stati membri Commissione europea

Controllo e vigilanza. Ricorsi contro gli Stati membri che violano il diritto comunitario


I tre ambiti sui quali si intrattiene maggiormente il Rapporto Tre ambiti di riflessione e sono: di intervento il ruolo del CEavivi (Comitato europeo dei regolatori dei valori mobiliari) per il mercato dei valori mobiliari. Marini esprime l'auspicio che la Ue metta in atto, in questo come in altri ambiti a prevalente contenuto tecnico, una "procédure analogue à l'habilitation à légiftrer par ordonnance", tipica francese, nella quale il CERVM abbia una "réelle capacité juridique et de moyens de coordination des interprétations et jurisprudences"; il progetto di direttiva-quadro "Solvabilité TI" (Solveny 11) per il settore delle assicurazioni (luglio 2007), che comporta - tra le pieghe dell'estrema tecnicità - risvolti macro-economici determinanti dei quali l'Unione dovrà necessariamente prendere atto. Come già rilevato (audizione per la Commission de les finances, 11 ottobre 2006) dall'allora direttore generale della Caisse des dépòts et consignations (CDc), M. Francis Mayer. Così Marini: "Le mode de calcul du coefficient de couverture en capital suscite en effet les inquiétudes des investisseurs institutionnels franais, dans Lz mesure où ilpourrait contribuer à dissuader lesplacements de long terme en actions. La troisième étude quantitative d'impact (Qis3), lancée en avril 2007, retient cependant un coefficient inférieur (32% au lieu de 40 %)... Il importe également que les nouvelles normes tiennent pleinement compte de la 'marchéisation' du risque et intègrent les problématiques communes avec les fonds de pension". A questo proposito, nel Rapporto si suggerisce una politica premiale per le compagnie che gestiscono meglio il rischio ed una penalizzazione della volatilità dello scarto di durata tra attivo e passivo invece che della mera volatilità dell'attivo: "Plus généralement, une approche dictée par le souci légitime de protéger le consommateur-épargnant contre l'éventuelles défaillances d'organismes d'assurances (illustrées par la faillite en Grande-Bretagne d'Equitable Life) peut aboutir à traiter dzfféremment le secteur des assurances et celui des fonds de pension" (Rapporto, pp. 9-10). Dal punto di vista del controllo, infine, si opta per una diversa distribuzione dei compiti dei supervisori tra livelli: locale, delle filiali, di tipo tecnico e quantitativo; centrale, della testa del gruppo, di tipo qualitativo (governance, coordinamento, allocazione del capitale, gestione del rischio, trasparenza, comunicazio-

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ne, etc.). "La faculté de centraliser le contròle des groupes d'assurance (type 'bancassurance') est défendue par le Royaume-Uni, compte tenu des compétences unifiées de son rgulateur national, la FSA (Financial Services Authority)"; 3) la direttiva sull'esercizio transfrontaliero dei diritti di voto degli azionisti (approvata dal Parlamento nel febbraio 2007, sulla quale la Commissione dovrà preparare una raccomandazione complementare). Da una parte, nel Rapporto si legge una critica alla mancata previsione nella direttiva in questione del principio di obbligatorietà del voto o dell'esplicita astensione delle società di gestione dei portafogli (come invece nella legge per la sicurezza finanziaria del 2003): "comply or explain". Dall'altro lato, Marini rileva l'importanza della nuova dottrina - favorevole all'autoregolamentazione degli attori o all'assenza di regolamentazione - del 'Mieux légférer' (Commissario per il mercato interno, M. Charlie McCreevy). Essa dispone una pausa della legislazione ed il suo miglioramento (che, con il ricorso agli strumenti di sofi law, "conduit à privilégier l'autorégulation des acteurs et l'établissement de codes de conduite, en particulier dans les domaines du 'postmarché' des 'hedge funds', et des agences de notation") dopo l'attivismo del dettagliato ed esaustivo Piano d'azione per i servizi finanziari (PASF 1999-20053 ). In tema di diritto societario - per il quale l'Ue opta per lo strumento delle raccomandazioni invece dell'intervento legislativo - si pongono altre tre principali questioni in relazione: alla trasposizione della direttiva OPA; alla definizione dello statut0 4 della SPE (Società privata europea) sulla base dell'esperienza della SE (cf. Rapport sur l'évaluation du stat'ut de la société européenne, remis au Garde des Sceaux le 19 mars 2007, curato da Noelle Le-. noir); al voto ed alla responsabilità. Sull'ultimo punto, si dovrebbero ricercare altri strumenti complementari di limitazione eventuale della responsabilità degli auditori. Sull'argomento, la Commissione è a lavoro - avendo affidato lo studio della questione della proporzionalità tra il controllo ed il possesso del capitale alla società Iss Europe5 nel settembre 2006 - e Marini auspica un allentamento in relazione al principio "one share-one vote", non condividendo la linea della proporzionalità tra il possesso del capitale ed i relativi diritti di voto, poiché impedisce una reale e trasparente, ex ante, politica di fronte agli investitori. 59


L'applicazione del modello Lamfalussy - già secondo la revisio- Verso ne intermedia operata dal Consiglio Ec0FIN nel novembre 2004 l'integrazione - è sostanzialmente positiva, in riferimento all'avvenuta àccelera- e la competitività zione (ad esempio, si è passati da 36 a 20 mesi per i approvazione dei mercati degli atti legislativi) e flessibilità dei processi decisionali e della le- fìnanziari gislazione, con il contestuale recupero della trasparenza attraverso la consultazione aperta e tempestiva degli operatori del mercato; in materia di controllo e vigilanza, poi, il modello ha incentivato l'armonizzazione delle prassi e della legislazione nazionali. Il 26 gennaio 2007 l'Inter-institutional Monitoring Group (11MG) ha pubblicato il secondo rapporto intermediosul processo Lamfalussy sulla base del primo rapporto, di pubbliche consultazioni e di audizioni (non pubbliche) dei principali stakeholder coinvolti nello sviluppo della regolazione dei servizi finanziari mirata a rendere l'Unione europea più reattiva e flessibile nello sviluppo dei mercati finanziari verso l'integrazione ed una maggiore competitività. Il Gruppo ha individuato alcune questioni non risolte (v. scheda). Tra le raccomandazioni per migliorare quello che è considerato un processo efficace e di successo figurano: 'regulatory self-restraint' at all levels of the process ... ; that Levels i and 2 work - to a certain extent - in parallel; that the choice between Directives and Regulations is not straightforward (n.d.r. alcuni pricipi-guida sono indicati al fine di scegliere di volta in volta tra i due); consultation at all levels (n.d.r. evitando sovrapposizioni); also strong support for impact assessment at all levels; further efforts are needed to improve cooperation between supervisors" 8 .

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Preliminary recommendations and conclusions by the Inter-institutional Monitoring Group

The Commission shouid provide expianatory documento on the cases where it deviates f.rom the Level 3 tecbnical advice.

Level i and Level 2 Excessive detail and separation of Levels

-

- Level 2 sud Level 3 shouid strictly adhere (o the frajnework principles and technical implementing powers set out at Level i in order to avoid material additions at the lower ievels. - The Group callo for egulatory self-restraint' at all levels so as to avoid excessive detail. - The Group recommends a practical, flexible distinction between Levei i and Level 2 measures, aiming at efficiency and concenlrated on those issues tbat ore politically meaningful, rather than a 'one rise fits all' approach. Parallel working

- The Group believes that Level 2 implementing measures could be sketched while the wodo on Level i legislation io stili ongoing - provided that this parallei working does not pre.empt the decision making process at Level i. Time constraints

- While agreeing on the transposition deadlines the Institutions diould carefuily consider the ajnount of rules to be transpod into national legislation so weil as the time necessary to ariopt the implementing measuxes in order to make the deadlines more realistic sud appropriate. - All bodies involved at Levei 2 should invest more time and resources to shorten the time necessary for the adoption of the Level 2 legislation. Directive vs. Regulation

- The Group io not convinced that the choice of instrument in itself io paramount to the outcome and suggests some guiding principles for the choice between Directives and Regulations: Measures that target a specific area of the Intemal Market would seem more appropriate for the use of a Regulation whereas measureo that would affect a whole sector could rather take the form of a Directive. Regulations could be used when sii action requires immediate effect and actions that need more time forMèmber States (o adapt could better take the form of a Directive. O Directives could be used in areas where legislation baoed on local specificities exists which m ight differ substantially between Member States, or in areas where this is required on the basis of the subsidiarity principle. Consuftation

- The Group beieves tbat consultation should be kept at all levels, but that their number might be reduced where they overlap. in particular, the Commission should work closely witb Level 3 Committees when working on Level 2 measures in order to reduce overlap between both processes.

Impact assessment

- The Group supporto clear sud tranoparent cx ante impact asoessment sud recommendo that impact assessments are caiTied out at all levelo in the case ofany significant measurebeing proposed at Level 2and3. - The Group suggests abroad approach to evaluate expost the impact of the whole financial services regulatory portfolio.

Level 3

The Group believes that su additional effoit io needed to increase cooperation between supervisoro. Supervisors should s*ep up progreso in this field sud national govennments shouid provide the necessary political support. The Group intendo to pay particular attention to this issue in its final report. The Group suggests to include in the mission statements of the relevant supervisory authorities a clear task to support the European convergerice process.

Level 4

The Group conchides that the timing of implementation ofEU legislation to date bss not lived upto the expectations raioed by the Lamfalussy process. The Group believes that transparency of national tranoposition sud implementation through disclosure mechanismo could curb regulatory ariditions sud enbance convergence ofpractices through peer pressure. - The Group urges Member States to provide transposition tableo in one of the Commission languages sud in a common format. - Transposition workshops ore a powerftil tool in the transposition process sud the Group encourages their continued use at sii early stage. The Group recommends tbat sufiicient Commission staff io allocated (o the task of checking the accurate transposition ofEU Directives sud to infringement procedures in the event offaulty implementation. - Member Stateo, the European Parliament, supervisors sud the private rector play sii importsut role in improvingenforcement ofagreed legislation by putting forward complaints, information sud concrete casco of incorrect ixnplementation ofEU rules sud posoible reservations about com ing forward with such information s3ouldbe looked unto.

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In attesa del terzo rapporto dell'autunno 2007, è di diverso, anzi opposto avviso il Sénat che - definendo il modello Làmfalussy "chef d'oeuvre de l'eurocratie" - sottolinea come, lungi da semplificare e snellire, sburocratizzando l'iter decisionale, tale processo ha comunque il merito di consentire la redazione di un diverso tipo di testi legislativi e regolamentari, "textes plus opérationnels et novateurs", attenuando così la tendenza della legislazione comunitaria verso una marcata evanescenza. Soprattutto in materia finanziaria. Il coinvolgimento di esperti e professionisti che operano nel settore, infatti, ha il pregio di conciliare e sostanziare le previsioni normative con elementi tecnici indispensabili. Tuttavia, secondo la Camera Alta francese, la prassi della comitatologia ha anche risvolti meno benefici: ad esempio, la marginalizzazione e l'indebolimento delle componenti istituzion1i più propriamente democratiche dell'Unione europea, nonché degli Stati membri. Qui riaffiora il peccato originale dell'Unione, che neanche l'introduzione dell'elezione diretta del Parlamento europeo (1979) da parte dei cittadini degli Stati membri ha risolto o contenuto: I ombra dell eurocrazia. Tornando agli effetti macro-economici indotti dalla direttiva Soluency 11 nella tutela cieca del risparmiatore a livello micro (con la quale la Commissione intende armonizzare le norme giurisprudenziali e mettere fine al goldplating, "pratiques et disparités nationales qui excèdent les termes des directives et constituent des freins au passeport"), Marini riporta alcune stime secondo le quali - nel tentativo di armonizzare gli ordinamenti nazionali, rinforzare il mercato europeo delle assicurazioni e la protezione dei consumatori/contraenti, nonché promuovere la competitività - il rischio per la Francia è che la Caisse del de'pots et consignations (CDc) resti in breve il solo investitore istituzionale attivo. Preoccupazione emersa alla luce dei limiti troppo stringenti per le grandi compagnie di assicurazione, così posti dalle direttive contabili secondo il regolamento sull'applicazione dei princìpi contabili internazionali (norme "Lks compatibili"), a tutela del risparmiatore: " /4 CDC risquait de devenir rapidement le seul investisseur institutionne1franais en actions, compte tenu, notamment, des contraintes trop lourdes que font peser, sur les grandes compa62

UE, effetti

macroeconomici e mercato francese


gnies d'assurance, les normes comptables Ls et les nouveaux ratios prudentiels imposés par la réglementation européenne, inspirée des règles anglosaxonnes" (p.. 8). In merito alla direttiva MIF, ad esempio, si nota come le questioni complesse che richiedono una valutazione discrezionale delicata sono spesso affidate alla tecnocrazia dei livelli 3 e 4 della procedura Lamfalussy, e l'interpretazione delle disposizioni dei livelli i e 2 da parte delle parti rilevanti è assai ridotta. Marini concorda sulla necessità di rinforzare la cooperazione tra i supervisori, di chiarire e rendere incisivo il ruolo del CERVM/CESR, insieme all'obbligo di risultato sulla coerenza della legislazione. Così anche nell'ambito delle assicurazioni e del trattamento pensionistico, Marini rileva una spiccata propensione all'interno del CEI0Ps (Committee ofEuropean Insurance and Occupational Pensions Supervisors). a considerare principalmente le questioni microeconomiche; così come rilevato anche da altri Stati nazionali che, per mezzo dell'Eiops (European Insurance and Occupational Pensions Supervisors) ed insiéme ad alcune grandi compagnie di assicurazione, hanno posto la questione alla Commissione europea, chiedendo una più attenta valutazione degli aspetti e dei fattori macro: "Selon M PatrickArtus (n.d.r. responsabilé degli studi economici e finanziari della Caisse des Dép6ts), la duration moyenne du passf des compaÉnies d'asszrance franaises est de douze ans, alors que celle des actions est nulle, de telle sorte que la minoration du capital réglementaire induit une prime à la détention de titres obligataires de duration longue et de faible risque. Il a estimé que l'insuffisante couverture dont disposaient lesfonds de pension américains et britanniques pour assurer le financement de prestations deìnies avait accru l'aversion au risque des régulateurs, les conduisant à introduire une quasi-logique de reùartition dans les bilans de ces organismes (...). De fait, la France est d'autant plus sensible à cette approche que la capitalisation y a été tardivement introduite, s'agissant de l'épargne-retraite, et que les contrats d'assurance reposent surtout sur une reconduction tacite, à la différence de pays tels que le Royaume-Uni où prévaut le renouvellemert annuel délégué au.x courtiers" (p. 9).

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L'evoluzione del processo di elaborazione del diritto comunita- Mieux rio, che oscilla tra lo strumento delle raccomandazioni e quello legiferer. i ii i •i i i ii i. tr aeiia regolamentazione, ripropone ii quaaro aeiie airrerenze aii• Ordonnances approccio che caratterizzano il diritto scritto continentale ed il sistema anglosassone del common law. Differenze di metodo. Alla comitatologia, il Sénat francese oppone un diverso metodo di concepire il diritto comunitario, soprattutto in riferimento a materie tecniche quale è la regolazione dei settori finanziari. A partire dalla rilevazione di una divergenza di base: "la divergence d'approache qui caractérise le droit écrit des grands pays continentaux et la common 1aw des pays anglosaxons ou sous influence anglo-saxonne. La contardiction qui pourrait en résulter ne se résoudra pas d'elle-mme". La proposta francese "pour une nouvelle methode de concepion du droit communautaire" è quella di "Prévoir une procédure de législation délégue sur le modèle du rgime franais des ordonnances" (p. 24). Il Governo francese, nelle parole del relatore generale Marini, deve impegnarsi a promuovere in ambito comunitario un'azione meno fluttuante e meno focalizzata sui dettagli. Un'azione che quindi sia in grado di rappresentare al meglio e tempestivamente il punto di vista generale della Francia a tutela degli interessi del Paese (chiarendo obiettivi e posizioni di principio) sulle questioni da regolare, affinando poi la propria capacità di negoziazione. Così come ad esempio in merito alle istanze dei professionisti, laddove in passato si è lasciato tutto alla mobilitazione e all'attivismo (tardivi) degli stessi (v. direttiva MIF e norme Ls39): "Enfin, le passage de l'Union à 27 devrait inciter à la relance des coopérations renforcées et d'unefaon générale, à la redécouverte de l'intérét et de la portée des relations bilatérales, y compris et surtout avec les 'petits' pays, qui constituent désormais un ensembie ayant des intérèts spécfìques, notamment enfaveur d'une concurrenceplus intense et d'un certain dumpingfiscal" Visti i profili critici, questi gli ambiti di intervento: a) Le post-marché (actiz?ités de règlement-livraison et de compensation). Interoperabilità è la parola chiave. La Commissione sostiene l'iniziativa "Target 11" della Banca centrale europea per la crea64

Gli ambiti d'intervento


zione di una piattaforma europea unica dei pagamenti. Nel novembre 2006 il codice di condotta per le tre principali associazioni del mercato secondario dei titoli ha dettato le regole sulla trasparenza dei prezzi e dei servizi, sull'accesso e sull'interoperabilità, sulla separazione contabile e funzionale. "Un groupe de suivi associe les utilisateurs et les infrastructures, et un bilan sera établi mi-2008 au regard des obstacles techniques et juridiques identifis par le 'groupe Giovanini' en 1997 et 2000. Les titres obligataires ne sont cependant pas couverts par cette initiative" (p. 13). Les «hedgefind.s». Si rileva l'opposizione del Commissario per il mercato interno ad una regolazione diretta dei fondi, essendo il sistema dei controlli interni sufficienti ad evitare un rischio sistemico. Tuttavia, vista l'importanza dei fondi in questione nell'ambito del sistema finanziario internazionale ("s'ils peuvent représenter jusqu'à la moitié des transactions quotidiennes, leurs actifs ne constituent que 5 % du volume global et le levier moyen aurait beaucoup diminué par rapport aux excès du fonds LTCM en 1998, qui avait fait faillire"), è opportuno insistere su misure adeguate di trasparenza e di valutazione dei rischi e delle alternative da parte delle Agenzie di rating, così come indicato nelle raccomandazioni contenute nel Rapporto sugli hedgejunds compilato - su richiesta del G7 - dal Forum per la Stabilità Finanziaria (FsF) insieme al Fondo Monetario Internazionale, e pubblicato il 19 maggio 2007. Les agences de notation. Il CEvi, nel rapporto del gennaio 2007, ha concluso che lè principali agenzie di rating rispettano i codici di condotta stabiliti dall'Oicv/Iosco (International Organization of Securities Commissions). Osserva Marini: "L'agence Moody's a ainsi été fortement contestée ces derniers mois sur sa nouvelle méthode d'évaluation des banques et traverse actuellement une crise de confiance. Les Etats-Unis ont quelque peu assoupli leur procédure d'enregistrement (souvent critiquée) début 2007". Les services financiers de détail. Nel Rapporto è vista favorevolmente - in virtù del valore simbolico ai fini del riassetto del mercato delle attività finanziarie di dettaglio e nonostante le divergenze in merito - l'imminente pubblicazione di un Libro verde ("ce secteur apparaissant comme le 'parent pauvre' du PAsF") dedicato ai mercati ed alle banche di investimento: "la proposition de directive sur le crédit à la consommation ne serà sans doute 65


pas enterrée et la présidence allemande promeut activement son adoption rapide". Tralasciando per questa volta il generico rimando al sopravvento di tecnocrati, organi e lobby grigie senza responsabilità e fuori dai circuiti di accountability, le ragioni illustrate nel Rapporto del Sénat - come per il caso del progetto di direttiva Solvency 11 applicabile al settore delle assicurazioni - sono chiare. Il punto, secondo il relatore Marini, sta nel tipo di intervento dei tecnici e degli esperti, tra i quali il CEIOPS. Infatti, è nell'ambito del modulo Lamfalussy - lungo la linea che separa la direttiva quadro dai testi di applicazione di matrice più tecnica - che si gioca la rischiosa partita delle eventuali prepotenze della comitatologia. La Francia, insieme ad altri Stati ed altri comitati tecnici ed associazioni di categoria, si impegna a sensibilizzare la Commissione europea sui profili (negletti) di macro-economia in relazione all'impatto della proposta di direttiva in questione così come per altre direttive. Il modello Lamfalussy ha certamente consentito una rapida traduzione del PASF nella legislazione. Secondo il Sénat francese, tuttavia, il profilo della velocità dell'adozione della legislazione e quello della qualità della stessa rappresentano obiettivi che non stanno in relazione (positiva) diretta. Il successo del modello Lamfalussy - in termini di produzione normativa in tempi ridotti e con la collaborazione interistituzionale - dipende forse più dalla volontà politica degli stessi partner istituzionali, che non dal contributo (in fase di elaborazione delle disposizioni tecniche delegate) di organi terzi. I quali pure suppliscono senza dubbio a carenze tecniche ed informative delle istituzioni comunitarie. Probabilmente, non sarebbe impossibile trasferire alle istituzioni stesse - con un quidpluris di trasparenza - il contributo della comitatologia per mezzo della costituzione di commissioni ad acta interne, come avviene nei Parlamenti nazionali. Ma chi garantisce che i problemi della tecnocrazia e dell'accountability propri di una concertazione opaca sarebbero risolti? Certamente le decisioni sarebbero incentrate maggiormente sulla valutazione (squisitamente?) politica. Ma se e fino a che punto ciò sia un bene resta da vedere e da dimostrare. 66

Conclusioni


I

Q "fuzzy law". In tema di evoluzione del diritto nazionale francese sulla spinta del diritto internazionale, Robert Charvin ("Régulation )uridique et mondialisation néolibéra!e. Droit 'mou', droit 'flou' et non-droit". In Actualité et Droit International, janvier 2002, http://www.ridi.org/adi) scrive: "Ces profondes mutations du droit franais, tout particulièrement du droit social, exprimant un déclin de son caractère relativement protecteur, passent donc par sa conrractualisation et par la montée du ròle du juge et de la jurisprudence en contrepartie du déclin du Parlement et de la loi. Le droit interne devient à la fois 'mou' et 'flou'... Ce sont les droits de l'homme (aux contours indéterminés) qui jouent le ròle d'instrument de déverrouillage du droit dur afin de le rendre mou: le 'droit flou' des droits de l'homme est ainsi mis au service de l'édification du droit 'mou' permertant toutes les entorses au droit international classique". 2 All'interno della Strategia di Lisbona vi è, elemento centrale da conseguire, l'obiettivo dell'integrazione finanziaria europea; il Consiglio ha fissato al 2005 la scadenza per l'attuazione del Piano d'azione sui servizi finanziari (PASF 1992005). A partire dal 2001, tale intento è stato perseguito e realizzato attraverso l'applicazione - al settore dei servizi finanziari - del modulo decisionale Lamfalussy. Prima per il settore dei valori mobiliari, poi per le banche e le assicurazioni (nel 2003) e per i trattamenti pensionistici dei liberi professionisti. 3 "Lexemplarité et l'exhaustivité du PASF ont cependant été soulignées par les interlocuteurs de votre rapporteur général: l'Europe est devenue leader dans les débats internationaux sur la gestion collective et les infrastructures de marché, elle est désormais beaucoup plus crédible dans le dialogue transatlantique, et la directive sur les marchés d'instruments financiers ('directive MtF', récemment transposée par ordonnance en droit franais) tend à inspirer en partie la nouvelle réglementation japonaise et chinoise" (p. 11). "Le Parlement européen a adopté, le ler février 2007, un rapport du député Klaus-Heiner Lehne sur cetre nouvelle forme sociale, dont l'équivalent en France pourrait étre la société par actions simplifiée (SAs). Dans une communication du 23 mai 2003, la Commission avait déjà proposé de créer un tel statut et une tude de la Commission doit étre publiée début 2008, mais le commissaire Charlie McCreevy n'est pas favorable à une législation en la matière" (p. 16). 5 "En dépit d'une polémique sur le choix de la société Iss, qui s'était déjà exprimée auparavant en défaveur des droits de vote multiples, et de la relative défection de l'Allemagne qui avait auparavant combattu pour le maintien des droits de vote multiples lors de !'examen d'une version antérieure de la directive OPA, votre rapporteur génral a reu des assurances sur une certaine inflexion de la position de la Commission" (p. 15). 6 Il CESR (Commitee ofEuropean Securities Regulators) - istituito con decisione della Commissione 20011528/CE - è composto dai presidenti delle autorità nazionali aventi competenze di regolazione e vigilanza sui mercati mobiliari, tra i quali viene eletto il presidente (perl'Italia il rappresentante è il Presidente di Consob). Il CESR interviene al secondo livello - anche sulla base di un ampia ed articolata consultazione dei soggetti operanti nei mercati e dei consumatori - con funzioni consultive di tipo tecnico rispetto alle misure di attuazione da adottare; 67


ed al terzo livello quale organo di coordinamento e di indirizzo per la corretta applicazione del diritto comunitario. 7 Il processo cooperativo tra istituzioni comunitarie è stato favorito dalla assunzione, a carico della Commissione, di alcuni obblighi di informazione, trasparenza e consultazione nei confronti del Parlamento europeo, anche in via informale, sia nella fase di preparazione delle proposte legislative che delle misure esecutive. Il Parlamento è pronto ad intervenire con l'adozione di una risoluzione nel caso in cui le misure eccedono i poteri di esecuzione. Sempre per volere del Parlamento, poi, per tutti gli atti legislativi adottati, la delega di poteri esecutivi alla Commissione è assoggettata ad un termine di quattro anni (c.d. clausola di sospensione o "sunset clause"). 8 Fonte: http://ec.europa.eu/internal_market/finances/docs/committees/070 i 26_second_interim_report_en.pdf


queste istituzioni n. 145 primavera 2007

dossier

Processi e procedimenti amministrativi

Questo dossier è dedicato prevalentemente a questioni relative alla Corte dei conti. Per quanto riguarda il procedimento amministrativo, ritorneremo con altri contributi specifici e note di dibattito. In premessa è necessario porsi una domanda: con questi chiari di luna ha senso trattare di questi argomenti? E cioè: in tempi di attenzione minima o di pura disattenzione ai probI,emi di finzionamento delle istituzioni amministrative, al di la di qualsiasi frase possa essere pronunciata con stucchevole ripetizione che non ha nemmeno forza retorica, data la stanchezza mentale che la connota? È naturale rispondere con un bel "no ' Ma c sempre un'ultima questione di responsabilità civile. Se qualcuno ha qualcosa da dire, avendola maturata attraverso studio ed esperienza, è bene comunque che, alla fine, la dica e metta sul tavolo. Fuori dal cicaleccio, qualcuno forse potrà aver voglia di raccogliere, quanto meno, l'invito a discuterne. Senza ingenuità, a questa speranza ci si può rimettere. Veniamo al dunque. Nel capitolo VII del libro, pubblicato pochi anni fa da Cesare Salvi e Massimo Villone con il titolo I costi della democrazia (Mondadori 2005), si leggono tre pagine al paragrafo "Chi risarcisce i danni da malamministrazione' dove si illustra rapidamente lo stato della giurisdizione riguardante la responsabilità amministrativa, cioè la giurisdizione della Corte dei conti fissata dall'articolo 103 della Costituzione. Si 69


ricorda innanzitutto che fin dalla legge 22 aprile 1869, n.5026, spetta alla Corte dei conti chiamare in causa (attraverso la Procura) e giudicare (attraverso le Sezioni giurisdizionali) circa il risarcimento dei danni ingiusti arrecati da quanti si trovino in rapporto di servizio con lo Stato (quindi dipendenti pubblici e, progressivamente, amministratori pubblici). Tutto ciò viene riassunto dagli Autori con le parole "perseguire e condannare' rf'rendosi poi alla situazione come si presentava nella prima metà degli anni Novanta dello scorso secolo, quando fu emanata la legge n. 20 del 1994. In questa rappresentazione sfugge il passaggio da una giurisdizione solo centrale - che finiva per giudicare più il risarcimento dei danni arrecati da conducenti di automezzi civili e militari dello Stato che di danni per mala amministrazione - ad una giurisdizione decentrata sul territorio, costituita di Procure e Sezioni regionali, che è finita per essere un sistema importante di sorveglianza e di deterrenza riguardo ai comportamenti di cattiva gestione pubblica. In tal modo, il sistema diveniva del tutto nuovo, anche se nella scarsa consapevolezza dei più. Fra questi comprendendo anche molti magistrati della Corte che hanno considerato almeno agli inizi - tale sistema decentrato soprattutto in termini di ampliamento di ruoli e carriere. Così spesso avviene negli apparati pubblici e non c'è da meravigliarsi. Data la portata nuova del sistema, era inevitabile ridefinire almeno alcuni istituti normativi. Salvi e Villone spiegano bene la necessità che allora emerse sia di precisare gli elementi soggettivi della responsabilità, passando dalla colpa semplice alla colpa grave e al dolo, sia di fissa re una prescrizione quinquennale. Quest'ultima altro non è che quella fissata dal Codice civile come prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito (art. 2947 c. c.). Scrivono Salvi e Villone (v. pp 78-9, op. cit.) a proposito della necessità di queste precisazioni: innanzitutto il controllo giurisdizionale della Corte "era avvertito come particolarmente invasivo e pericoloso per gli amministratori, anche se attenti agli interessi dell'ente" (di qui il passaggio alla definizione del danno come derivante da colpa grave e dolo) e, in secondo luogo, tale controllo "appariva alla fine odioso e ingiusto per il lungo decorso del tempo" (di qui il passaggio dalla prescrizione decennale a quella quinquennale). Thttavia, le norme del 1994 si sono rivelate del tutto insufficienti e del tutto sommarie, creando situazioni che hanno riproposto, tali e quali, le percezioni di allora e le questioni aperte in ordine, per esempio, alla decorrenza della prescrizione. Il fatto è che il sistema della responsabilità amministrativa così come si è venuto configurando dopo la sua ramflcazione regionale è molto importante nella logica del controllo e contenimento dei "costi della democrazia" Ma ha bisogno di regole adeguate. Ha bisogno di un processo vero ed efficacemente rapido, cioè di un processo che non sia la stiracchiata applicazione di norme ottocentesche gestite dalla stessa Corte dei conti in sostanziale contrasto con le norme costituzionali sul giusto processo. Andando avanti le cose così come vanno attualmente, la stessa originalità del sistema rischia, prima o poi, di disperdersi. Anche gli addetti ai lavori ne debbono essere consapevoli. 70


queste istituzioni n. 144 primavera 2007

Giurisdizione della Corte dei conti e giusto processo secondo Costituzione: un puzzle incomponibile? di Sergio Ristuccia e Donate/la Viscogliosi

L

a responsabilità amministrativa che ricade nella giurisdizione della Corte dei conti e che è giudizialmente azionata dalla Procura presso la medesima Corte non è materia compiutamente regolata dalla legge. In sostanza, l'intervento del legislatore non ha mai dato luogo ad un organico e compiuto ordinamento, ma si è risolto in disposizioni di contenuto parziale e spesso sommario. La loro valenza può essere colta e ricostruita soltanto attraverso un faticoso coordinamento che tenga conto delle tendenze legislative che, nell'ordinamento nazionale e in quello comunitario, hanno riguardato vari altri aspetti dell'azione amministrativa e del modo di essere e di operare dell'intero sistema amministrativo. È fondamentale, in questa prospettiva, confrontarsi con la tendenza legislativa verso la c.d. "privatizzazione" dell'amministrazione pubblica, con la sua portata ed i suoi effetti. È stato osservato che tale tendenza "non ha comportato una corrispondente e normativa riduzione della sfera di competenza giurisdizionale della Corte dei conti" 1 . Anzi, la considerazione complessiva dell'evoluzione legislativa ha avuto gli effetti, almeno apparentemente paradossali, di un contrappeso. Con assenti "intenti di semplificazione e razionalizzazione del sistema" si è avuto "il progressivo ampliamento di tale giurisdizione". Ma nel quadro del processo contabile, come si usa chiamarlo, con una brutta espressione. Le molteplici tendenze evolutive che hanno riguardato molti ed importanti aspetti dell'ordinamento amministrativo sono andate fra l'altro alla ricerca di una migliore definizione dei ruoli e delle responsabilità entro il sistema istituzionale pubblico, con conseguente migliore identificazione delle aree di discrezionalità da attribuire alle autorità amministrative. Di qui la ridefinizione di alcuni aspetti della giurisdizione contabile. Fondamentale la costituzione, ovvero il deciso rafforzamento, di un suo confine esterno: quello costituito dall'impossibilità per il giudice contabile di entrare nella valutazione delle scelte rimesse alla discrezionalità amministrativa. 71


Sul punto vale richiamare il dettato delle Ss.Uu. della Corte di Cassazione. Molto chiara la sentenza n. 33 del 29.1.2001. Si legge: "ilprincziogenerale ed astratto è che ilgiudice contabile può e deve verficare la compatibilità delle scelte amministrative con ifini pubblici dell'ente; ma una volta accertata tale compatibilità, l'articolazione concréta e minuta dell'iniziativa intrapresa dall'amministrazione rientra nell'ambito di quelle scelte discrezionali per le quali il legislatore ha stabilito l'insindacabilità (art. 3, n. 1, lett. a)DL 543196)". Di qui l'affermazione che la sindacabilità da parte del giudice contabile può riguardare i "mezzi utilizzati a seguito di scelte discrezionali solo nell'zpotesi di una loro assoluta e incontroverti bile estraneità rispetto aifini". A fronte di ciò, l'importante opera interpretativa della Corte di Cassazione a Sezioni Unite è venuta via via ampliando i confini della giurisdizione contabile, fino a ricomprendervi le controversie riguardanti la responsabilità di amministratori e dipendenti di enti pubblici economici e, soprattutto, di amministratori di società per azioni miste (C. Cass., Ss. Uu., n. 19667 del 22 dicembre 2003 e n. 3899 del 26 febbraio 2004). Ilcomplesso di mutamenti ed innovazioni che hanno portato ad un mutamento sostanziale dell'ordinamento strutturale e funzionale della PA e, più in generale, delle modalità di esercizio delle funzioni pubbliche e di gestione delle risorse pubbliche avrebbe dovuto fare, a questo punto, da quadro di riferimento per un ben più sostanziale ripensamento dei modi di essere della giurisdizione contabile. Con il rischio che, alla fine - malgrado ogni diversa apparenza - si giunga al suo svuotamento. Questa è la necessaria premessa ad una improcrastinabile riflessione sull'attuale tenuta del sistema processuale contabile: verso l'alto rispetto ai principi costituzionali, e verso il basso rispetto ai problemi della prassi applicativa. Riflessione complessa e articolata alla quale le Ss.Uu. della Suprema corte si sono finora sottratte. I PRINCIPI DEL GIUSTO PROCESSO Prendiamo naturalmente le mosse dall'art. 111 Cost. La legge costituzionale n. 2/1999 è stata una riforma di grande importanza. Basta considerare il dibattito dottrinale e politico-istituzionale che l'ha preceduta e accompagnata. Punti fondamentali della riforma, che valgono per ogni tipo di processo, sono quelli dei primi due commi dell'art. 111:

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- "la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge" - "ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizione di parità, davanti al giudice terzo ed imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata". Si tratta di norme che, di fatto, codificano principi e regole precedentemente evidenziate sia dalla riflessione teorica più attenta in tema di teoria generale del processo, sia dalla giurisprudenza più sensibile ai profili delle garanzie giurisdizionali delle parti 2 . Peraltro, occorre tenere presente che, già prima dell'introduzione degli stessi nella Carta costituzionale, esistevano comùnque disposizioni che imponevano il rispetto dei principi in oggett03 . Tali principi, infatti, erano sanciti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentalidel 1950, e sono entrati a far parte della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Mentre, per quanto concerne il contesto nazionale, non sfuggirà il riferimento a quei principi e a quelle regole contenute nelle disposizioni costituzionali in materia di diritto alla difesa (art. 24, comma 2, Cost.), di soggezione dei giudici solo alla legge (art. 101 Cost.) e della loro indipendenza (art. 104 e 108 Cost.), nonché di effettività della tutela giurisdizionale (art. 24, comma i e art. 113 Cost.) 4 Quanto al contenuto dell'art. 111 Cost., come risultante dalla novella costituzionale, è necessario in primo luogo porre l'attenzione sul principio di riserva di legge sancito dal primo comma. Esso sta a significare che tutti i principali aspetti del processo - e fra questi soprattutto i poteri istruttori e le modalità di svolgimento del contraddittorio - devono trovare adeguata definizione legislativa. Non possono, ad esempio, essere lasciati indeterminati i modi di acquisizione delle prove, la gradazione del loro rilievo, e così via. È la legge a dover regolare il processo secondo i principi costituzionali definiti. Non basta, dunque, una qualsiasi legge preesistente. Serve una legge i cui contenuti siano rigorosamente coerenti con tali principi. In altri termini, i principi affermati nel nuovo testo dell'articolo 111 hanno un peso che non può essere ricondotto ad affermazioni di massima che portino a coonestare forme rudimentali di contraddittorio e di parità delle parti. Tanto più che essi vanno intesi in un contesto ordinamentale in cui il principio del contraddittori0 5 Si è affermato anche in materia di attività amministrativa. La giurisprudenza consolidata della Corte di Giustizia delle Comunità europee ha affermato l'obbligo di applicare il principio del contraddittorio (si veda, in questo stesso numero, C. Sensi, La .

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trasparenza impossibile: note sulla rfòrma (continua) della legge 241) in tutti i casi in cui vengano assunti provvedimenti di disfavore a carico di terzi. È stato affermato, ad esempio, che la Corte dei conti delle Comunità europee ha violato tale principio nello svolgimento della sua attività di controllo per non aver sentito gli interessati dopo aver deciso di citare, in una propria Relazione speciale da pubblicare in GUCE, soggetti terzi che a suo giudizio avevano male ottemperato ai propri obblighi contrattuali6. La Corte di Giustizia ha parlato di "illiceità commessa" dalla Corte dei conti europea. Infatti, "sebbene l'adozione e la pubblicazione delle relazioni della Corte dei conti non siano decisioni che incidono direttamente sui diritti delle persone in esse menzionate, esse possono avere per queste persone conseguenze tali che gli interessati devono essere messi in condizione di esprimere osservazioni sui punti delle dette relazioni che li riguardano nominativamente, prima che esse siano definitivamente adottate. Poiché la Corte dei conti aveva omesso di invitare la Ismeri ad esprimere il suo punto di vista sui passaggi che la concernevano ( ... ), da ciò consegue che la procedura di adozione di tale relazione è inficiata da una violazione del principio del contraddittorio". Se, dunque, il principio del contraddittorio si sta affermando in attività che non sono giurisdizionali, ben s'intende come in sede giurisdizionale esso debba essere applicato con rigore. IL PROCESSO CONTABILE, IN GENERALE, E L'ART. 111 COSTITUZIONE

Entrando più nello specifico, basta riportare alcune osservazioni di dottrina7 per afferrare il rilievo della questione della (in)compatibilità dell'attuale assetto del processo contabile con i principi fissati dall'art. 111 Cost.. Si afferma in via generale: "Certamente appare necessaria la revisione ( ... ) del vigente regolamento di procedura per i giudizi avanti alla Corte dei conti". Con alcune indicazioni particolari: - è necessario "l'adattamento del giudizio contabile ai principi di terzietà ed imparzialità del giudice ed al contraddittorio tra le parti in condizioni di parità"; - appare "delicata la questione relativa alla posizione ed ai poteri del giudice contabile e del cosiddetto potere sindacato rio. Con tale formula, cui si è fatto nèlla giurisprudenza un ricorso frequente, soprattutto per giustificare nella pratica giudiziaria poteri di iniziativa riguardanti la formazione del contraddittorio, l'acquisizione delle prove 74


ed i limiti stessi della pronuncia, si è finito con il riconoscere al giudice contabile, nel tentativo di rimarcarne la differenziazione di ruolo e di poteri rispetto al giudice civile, una posizione che mal si concilia con il carattere di terzietà del giudice"; - di qui "l'esistenza di un potere del giudice di estendere la propria cognizione ad ogni possibile profilo della vicenda (..) e di determinare autonomamente sia i soggetti che l'oggetto del giudizio sino a ritenere superabili, addirittura, i vincoli posti dalla iniziale contestazione"; - ancora: "è necessario recuperare una cultura dell'accertamento delle prove, anche fuori del principio dispositivo che sicuramente non si concilia con la natura e la funzione pubblicistica del processo in questione anche in relazione all'esigenza di ancorare ad elementi del tutto certi la valutazione• di colpa grave ora richiesta". La necessità di un adeguamento del processo contabile alle regole del giusto processo diviene sempre più un'evidenza. Ciò vale certamente per quanto riguarda i principi generali fissati nei primi due commi dell'art. 111 Cost. che immediatamente si applica ad ogni tipo di processo. È mequivocabile l'espressione "ogni processo". Per quanto riguarda i principi specifici in tema di garanzie e di formazione delle prove introdotti per il giudizio penale dai commi 3 e 4 dello stesso art. 111 Cost., l'applicazione degli stessi anche al processo contabile può non essere un dato pacifico. Ciò soprattutto in considerazione dell'insegnamento derivante dalla Corte costituzi?male in virtù del quale il legislatore può regolare in modò non rigorosamente uniforme i modi della tutela giurisdizionale, in quanto non esiste in Costituzione un principio di uniformità di regolamentazione tra diversi tipi di processo (Corte cost. 19 marzo 1996, n. 82). È vero chei principi di cui ai commi 3 e 4 riguardano il processo penale, tuttavia è ragionevole ritenere che quelle disposizioni vanno in qualche modo ad incidere anche su quel tipo di processi, come appunto quello contabile, che replicano vari caratteri da quello penale8 A quest'ultimo proposito, vale ricordare quanto sostenuto da autorevole dottrina che, dopo i vari cambiamenti apportati alla disciplina della responsabilità amministrativa nel corso degli anni Novanta, ritiene "sempre : meno attendibile una sua configurazione come meri responsabilità per danno e pertanto come giurisdizione intesa al relativo risarcimento (in parallelo alla cognizione del danno rimessa al giudice civile)". Risulta "per converso meglio .


configurabile una sua qualificazione paradiscilinare, cognitiva di comportamenti di amministratori pubblici e di pubblici dzpendenti in contrasto con loro doveri d'ufficio allorché in danno difinanz.apubblica"9. Ancora, secondo altro Autore, "l'attribuzione del potere d'azione all'organo pubblico [intendi: Procura della stessa Corte] con il carattere di obbligatorietà che essa comporta e con la conseguente esclusione dei carat-eri di rinunciabilità e di transigibilità del diritto al risarcimento, diffèrenzia il giudizio di responsabilità amministrativa dall'ordinario giudizio civile di risarcimento del danno e ne determina la configurazione di un giudizio che partecipa di caratteri peculiari del processo penale"lO. Si è giunti anche a definire il processo contabile quale "processo penale che si svolge secondo le forme del processo civile"ll. E c'è chi, anziché utilizzare paradigmi e formule precostituite, si limita a constatare "la specficità del rito contabile la cui disciplina di diritto singolare segna la propria atzpicità dal processo civile e dal processo penale, non solo per la peculiarità degli interessi protetti attraverso il valore unificante della sana e corretta gestione finanziaria, ma soprattutto per la essenzialità e laconicità della disciplina processuale"12• ENTRANDO NEI DETTAGLI

Per comprendere a pieno le caratteristiche del processo contabile, il quale - come accennato - si pone come processo "speciale", "atipico", "ibrido", partecipe dei tratti del rito civile e del processo penale, non si può prescindere da un cenno alle sue origini e alla sua particolare evoluzione. Infatti, il contrasto con le norme costituzionali è il frutto di un sistema della giurisdizione contabile immodificato in alcune sue caratteristiche fondamentali. Sistema che tende a prevalere su ogni novità legislativa, fagocitandola per ricondurla all'interpretazione più consona a tali caratteristiche. Entriamo, dunque, in• questo percorso ricognitivo. Il Tu delle leggi sulla Corte dei conti emanato nel 1934 chiarisce bene criteri di base ed origini della giurisdizione contabile: tale giurisdizione, anche quando diventa giudizio sulla responsabilità amministrativa per danno erariale, prende l'avvio e assume il modello del giudizio di conto. Che risulta - secondo quanto afferma l'art. 44 del Tu - dall'attribuzione alla Corte dei conti di "giudicare" "sui conti dei tesorieri, dei ricevitori, dei cassieri e degli agenti incaricati di riscuotere, di pagare, di conservare e di maneggiare danaro pubblico o di tenere in custodia valori e materie di pro76


prietà dello Stato, e di coloro che si ingeriscono anche senza legale autorizzazione, negli incarichi attribuiti ai detti agenti". Giudicare, dice il citato art. 44, "in forma contenziosa". A rileggere oggi - dopo gli sviluppi che il principio del contraddittorio ha avuto nell'ordinamento nazionale e in quello comunitario - significato e portata del "giudizio di conto", questo appare un procedimento volto ad accertare gli adempimenti degli agenti contabili e a garantire a questi ultimi una certificazione di regolarità (il decreto di discarico) del loro operato. Si tratta di un'anticipazione del principio del contraddittorio nell'ambito di determinati rapporti di servizio. Diviene giudizio in senso più proprio quando appaiano irregolarità e ipotesi di danno. Al giudizio di conto in tutte le sue fasi il Tu dedica ben Otto articoli iniziali (dall'art. 44 all'art. 51) deI Capo V (Attribuzioni giurisdizionali), Sezione I (Dei giudizi di conto e di responsabilità) per poi ritornarci con almeno due dei residui quattro articoli (gli artt. 54 e 55). Soltanto due sono gli articoli (il 52 e il 53) che trattano autonomamente della responsabilità per danno. Una responsabilità che evidentemente si suppone emerga e vada perseguita dalla Corte dei conti nell'ambito del giudizio di conto, ma che tuttavia ha una autonomia come figura juris per quanto concerne soprattutto la notizia del danno (in questo senso si veda l'art. 53 che impone comunque l'obbligo a "direttori generali" e '<capi di servizio" di denunciare fatti che possano dar luogo a responsabilità). Di qui lo sviiuppo nella pratica e nella giurisprudenza del giudizio di responsabilità amministrativa come l'area giurisdizionale principale della Corte dei conti (si veda la quantità di giurisprudenza relativa all'art. 52 che assolutamente predomina a confronto con quella relativa agli altri articoli del Tu). La legislazione recente ha preso atto di questa evoluzione della responsabilità amministrativa, frutto quasi esclusivamente di giurisprudenza, e ne ha definito alcuni aspetti. Ciò, vale la pena sottolineare, senza ridefinire espressamente e compiutamente il sistema processuale. Quest'ultimo è rimasto definito, nelle norme di base, dal Regolamento di procedura del 1933. Sono tre gli articoli del Capo V (Della istruzione) ed è il primo, l'art. 14, che fissa le coordinate: "La Corte può richiedere allAmministrazione e ordinare alle parti di produrre gli atti e i documenti che crede necessari alla decisione della controversia e può ordinare al Procuratore generale di disporre accertamenti diretti anche in contraddittorio delle parti". Ruolo dominante della Corte (per quel che si è chiamato il "potere sindacatorio") e continuum organo giudicante-Procura. Logica che viene 77


confermata nell'art. 15 secondo il quale (comma 1): "La Corte può inoltre disporre l'assunzione di testimoni ed ammettere gli altri mezzi istruttori che crederà del caso, stabilendo i modi con cui debbono seguire ed applicando, per quanto possibile, le leggi di procedura civile". Per quanti aggiustamenti abbia prodotto la giurisprudenza - d'altra parte, com'è naturale, non sempre omogenea - sono rimasti fermi alcuni punti: per esempio, l'applicazione della procedura civile è limitata dal criterio del "per quanto possibile", che è un criterio meramente discrezionale. Infatti l'art. 26 RD n. 1038/1933 disciplina il rito contabile attraverso un rinvio "aperto" e "dinamico" al codice di procedura civile. Proprio tale rinvio ha conferito natura "pretoria" al rito contabile, il quale si è venuto caratterizzando dalla sovrapposizione dei due modelli processuali di riferimento, quello civile e quello penale. Il processo contabile non è, dunque, un giusto processo regolato dalla legge, perché quella vigente è del tutto insufficiente e lascia troppo spazio alla discrezionalità del giudice. Discrezionalità che appunto l'art. 111 Cost. vuole evitare. Pertanto, se è vero - sicuramente lo è per chi scrive - che la Costituzione, con l'art. 103, comma 2 ("La Corte dei conti ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge"), ha dato un impulso allo sviluppo del giudizio di responsabilità per danno erariale, proprio in ragione di ciò oggi la giurisdizione della Corte è completamente sottoposta ai principi delgiusto processo. La Costituzione non può essere in contraddizione con sé stessa: una giurisdizione di rilevanza costituzionale può soltanto essere una giurisdizione secondo le regole costituzionali del processo. Senza infingimenti formali ed espedienti nominalistici. PARAMETRI DI VALUTAZIONE IN MATERIA DI PROVE

Il contraddittorio processuale può non significare necessariamente parità formale e sostanziale delle parti nell'esercizio del diritto di prova, poiché nella giurisprudenza della Corte costituzionale considerata antesignana della riforma dell'art. 111 Cost. si conferiscono al "contraddittorio" molteplici significati e intensità. In particolare, si è individuata una concezione "forte" del contraddittorio, che sta a significare necessaria partecipazione della parte all'escussione del mezzo di prova dedotto dalla controparte, in posizione e con regole idonee ad assicurare il controllo sulla veridicità e genuinità della fonte probatoria introdotta nel giudizio. Con78


seguentemente, ad una fase di ricerca della prova - che è anteriore all'instaurazione del processo - deve seguire una fase di formazione della prova, che si svolge necessariamente alla presenza di entrambe le parti dinanzi ad un giudice preposto preliminarmente al valutare la rilevanza e I'ammissibilità del mezzo di prova dedotto. Alla concezione forte si contrappone, poi, una concezione "debole" del contraddittorio, la quale consente di ridurre ad unità le due fasi: della ricerca e della formazione della prova. La fonte ricercata dalla parte è automaticamente introdotta in giudizio attraverso la mera attività processuale di produzione. Compete alla controparte il diritto di critica di una prova già formata, ed è riservata al giudice la valutazione del significato probatorio con obbligo di motivazione che copre la deduzione e la critica. Si tratta di due concezioni collocate in ordine graduale, delle quali il minimo comune denominatore per la verifica di conformità al giusto processo è che la fonte di prova sia inserita nel circuito del contraddittorio, riconoscendosi anche la sufficienza di forme e tipi di contraddittorio diffi'rito'3 . Vogliamo applicare questi criteri al processo contabile? Lo suggeriamo. UNA GIURISDIZIONE ONDIVAGA E AUTOREFERENZIALE: DIGRESSIONE SU ALCUNI PROBLEMI

Sull'applicazione del principio del contraddittorio I. La fase pre-dibattimentale Ciò posto in termini generali, entriamo nello specifico dei vari istitùti. Tra i profili che maggiormente hanno attratto l'attenzione degli studiosi, un ruolo centrale ha assunto il problema dell'applicazione dei principi del giusto processo alla cd. fase pre-dibattinientale Fase, questa, volta ad accertare la sussistenza dei presupposti per l'esercizio dell'azione di responsabilità, nella quale è possibile riscontrare con ogni evidenza le influenze dell'originaria impostazione inquisitoria del giudizio di conto. È evidente, infatti, la asimmetria che caratterizza la fase che precede l'instaurazione formale del giudizio, ove è assicurata all'attore/procuratore una libertà di azione sproporzionata rispetto alla posizione garantita al futuro convenuto 14 . In contrasto con qualunque attuazione del principio di parità delle parti. Peraltro, tale impostazione della fase pre-istruttoria comporta delle ripercussioni di rilievo anche sul ruolo assòlto dal Collegio nella fase 79


dibattimentale, in quanto l'organo giudicante si limiterebbe a svolgere un ruolo "ausiliario" e secondario rispetto alle iniziative assunte dall'attore.

11. Il c. d. potere sindacato rio Non può, in tal senso, non condividersi l'idea di chi afferma che "l'assenza di adeguate garanzie riguardo alla concreta applicazione del principio del contraddittorio nel momento della raccolta del materiale e dei fatti su cui poi verrà a svilupparsi l'oggetto del contendere, anche alla luce delle modalità che continuano a regolare la prosecuzione del giudizio in sede dibattimentale, rappresentano un ostacolo insormontabile verso una piena attuazione di un giusto processo avanti alla Corte dei conti"15. Andrebbe pertanto quanto prima ripensata la disciplina positiva della fase pre-dibattimentale, tenuto conto della circostanza che le peculiarità che caratterizzano il processo contabile - sia sotto il profilo della natura sostanziale della responsabilità amministrativa, sia sotto il profilo della particolare evoluzione del processo contabile - non sono di per sé sufficienti a giustificare la mancata attuazione dei principi costituzionalmente conferiti al sistema processuale nazionale. Altro aspetto assai controverso della difficile attuazione del principio del giusto processo al sistema processuale-contabile, concerne la compatibilità con l'odierno testo costituzionale della permanenza in capo al giudice della responsabilità amministrativa del cd. potere sindacatorio. Si tratta di un potere che caratterizza fortemente il giudizio di responsabilità e contrasta con il principio dispositivo che connota il rito civile 16 . Esso si esprime nella vasta gamma di poteri istruttori del giudice - poteri ben piii ampi di quelli previsti dal codice di procedura civile - nella prassi applicativa che ha ritenuto che l'organò giudicante dovesse esercitare una sorta di controllo sull'operato del pubblico ministero attraverso la ricerca di altri responsabili - realizzata mediante l'uso dell'integrazione del contraddittorio - e nella supplenza nell'attività di ricerca del materiale probatorio. Fino ad arrivare ad affermare che "la Corte non è vincolata dalle domande delle parti, né dai motivi da esse dedotti, avendo un illimitato potere di indagine indipendente dagli elementi di giudizio prodotti dalle parti interessate» Tale potere può essere visto come la più concreta attuazione della vecchia e originaria impostazione che attribuiva al giudice contabile la funzione di controllare la corretta gestione della spesa pubblica, unitamente all'obiettivo di risarcire l'erario dei danni.subiti dai comportamenti illeciti degli agenti pubblici, anche mediante l'irrogazione delle relative sanzioni. Sul punto, la giurisprudenza ha manifestato due orientamenti contrapposti. 80


Una parte della giurisprudenza ha sostenuto la validità e necessità di un potere sindacatorio del giudice contabile, sia pure al fine di dare attuazione a principi del giusto processo. In tale prospettiva, il potere acquisitivo del giudice viene visto come lo strumento che consente di tutelare la posizione del convenuto tra gli elementi introdotti nella controversia del solo PM e l'impossibilità di confutare la fondatezza di un'amministrazione dotata di poteri autoritativi 17 . Su questa linea di pensiero si è giunti di recente ad una ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale volta all'abrogazione per incostituzionalità dell'art. 5, comma i della Legge n. 19/1994, nel testo sostituito dall'art. 1 del d.l. 23 ottobre 1996, n. 543, convertito in legge 20 dicembre 1996, n. 639, per contrasto con gli articoli 3, 24 comma 2 e 111, comma 2, della Costituzione (Corte dei conti, Sez. Giur. Abruzzo, ord. n. 56 del 28 giugno 2004). Occorre concordare con quanti affermano che tale orientamento può essere condiviso soltanto laddove il collegio facesse realmente ricorso alla vasta gamma dei mezzi istruttori legislativamente previsti: "solo in questa prospet-tiva è possibile concordare con quella linea di pensiero che assegna al potere sindacatorio del collegio il compito di correggere le asirnmet'rie derivanti dal perdurante influsso del precedente modello inquisitorio, tuttora in grado di condizionare l'intero modello processuale_contabile"lS. Il contrario è da dirsi, invece, allorché il giudice contabile interpreta il proprio ruolo in termini riduttivi, limitandosi a verificare sul piano formale la fondatezza delle prove poste a fondamento della citazi6ne: il controllo di natura cartolare che il collegio si limita a svolgere il più delle volte nei confronti del materiale probatorio raccolto dalla procura regionale rappresenta "la minaccia più seria alla concreta applicazione dei principi discendenti dalla nozione delgiusto processo"9. Non v'è chi non veda come i principi codificati dalI'art. 111 Cost. impongono, al contrario, una figura di giudice attiva che possa valutare in chiave critica le operazioni e gli accertamenti che una delle parti ha condotto in totale autonomia e in assenza di contraddittorio. Altra parte della giurisprudenza afferma la progressiva recessività del potere sindacatorio, mai "positivamente prescritto per i giudizi di responsabilità", "contrastante con i principi contenuti nell'art. 111 Cost., che impongono che il processo si svolga assicurando adeguate forme di contraddittorio tra le parti in condizioni di parità, avanti ad un giudice terzo ed imparziale, cui non è permesso di introdurre d'ufficio alle parti medesime, l'oggetto del contendere, né decidere su questioni che non siano state previamente sottoposte al necessario contraddittorio20". Conseguentemente, la giurisprudenza 81


ha attivato un procedimento interpretativo volto a ridurre drasticamente il potere sindacatorio nel rispetto del canone di terzietà ed imparzialità del giudice e dell'onere della prova 21 . Val la pena citare la sentenza n. 116 del 2003 della Corte dei conti, Sezione giurisdizionale Lazio, la quale innanzitutto riprende la nozione del c.d. potere sindacatorio. Tale potere "consentirebbe al giudice contabile la possibilità, in veste di inquisitore, di estendere la responsabilità a soggetti diversi rispetto a quelli individuati dal Pubblico ministero, di allargare oggettivamente la controversia al di là ed a volte contro le richieste dell'accusa stessa, nonché di utilizzare, di propria iniziativa, mezzi e strumenti intesi all'acquisizione della prova, il tutto in contrasto con l'uguaglianza tra le parti, con il diritto alla difesa ed, in genere, contro il princzpio della terzietà del giudice sancito dal novellato articolo 111. (..) osserva il Collegio che indubbiamente la costituzionalizzazione dei princzpi del giusto processo enfatizza in particolare il principio del giudice terzo e imparziale, che viene considerato valore primario su cui si basa la finzione giurisdizionale e che impone una rilettura della normativa che disciplina il processo contabile; va peraltro rilevato che il «potere sindacato rio" è più che altro una creazione della dottrina e della giurisprudenza che hanno talvolta attribuito al giudice un ruolo attivo nella ricerca della verità e nell'individuazione delle responsabilità tale da compromettere, almeno in via teorica, il connotato della terzietà". La sentenza cita alcune antecedenti pronunce che qui si riportano: "Qualora a seguito del corretto instaurarsi di un giudizio di responsabilità il giudice valuti sussistere la responsabilità dei convenuti per ragioni diverse da quelle esposte in citazione, non può che procedere all'assoluzione dei convenuti, non potendo sostituirsi al PM e riformulare la domanda risarcitoria, a ciò ostando il chiaro disposto dell'art. 111 della Costituzione" (Sez. Giur. Basilicata 4 Aprile 2002, n. 112); "Il Potere sindacatorio del giudice contabile, non previsto da alcuna disposizione di legge, deve oggi ritenersi non più esercitabile in ossequio all'art. 111 della Costituzione, sicché il giudice non può mai d'ufficio, sostituendosi alle parti, determinare l'oggetto del contendere su questioni che non siano state preventivamente sottoposte al necessario contraddittorio" (Sez. Giur. d'App. Sicilia 9 Maggio 2002 n. 75/A); ancora, "Il giudice contabile, a maggior ragione dopo la previsione della garanzia costituzionale del giusto processo ai sensi dell'art. 111 Cost., non dispone del potere di ordinare la chiamata in causa di soggetti che il Procuratore Regionale non abbia, motivando al riguardo, convenuto nell'atto introduttivo del giudizio". (Sez. 82


III Centrale 30 settembre 2002 n. 300/A). Analoghi criteri emergono in ordine al potere istruttorio esercitato d'ufficio: "I principi del giusto processo limitano il c.d. potere sindacatorio attribuito al giudice contabile, essendo egli tenuto a pronunciarsi nei limiti della domanda con esclusione di qualsivoglia intervento integratore finalizzato alla ricerca della prova, il cui onere non può non gravare su chi propone la domanda" (Sez. Giur: d'Appello Sicilia 17 luglio 2001 n.148/A); "Il potere sindacatorio del giudice contabile si mantiene nei limiti dei principi di terzietà e di imparzialità recentemente riaffermati dal novellato art. 111 Cost. soltanto se esercitato in riferimento ai fatti allegati dalle parti in adempimento dei rispettivi oneri processuali ( ... )." (Sez. III Centrale 17 aprile 2002 n. 125/A). Il giudice della richiamata sentenza n. 11612003, infine, sottolinea come ci si trovi davanti ad "un travaglio ermeneutico in atto che cerca il giusto equilibrio tra la terzietà del giudice, l'indisponibilità e l'esclusività dell'azione contabile, nonché la tutela della parte più debole ( ... ) e che può trovare il suo punto d'arrivo in figure disciplinate dal codice di procedura civile (v. artt. 102, 107 e 421)". Ci si è orientati, quindi, nel senso di "non escludere completamente l'iniziativa del giudice, ma di limitarla a valorizzare ed a sollecitare lo sviluppo nell'ambito del processo di elementi probatori incompleti, introdotti nel giudizio ma non ancora definiti (cd. princzpio della prova), evitando quindi di affidare al giudice stesso un'attività intesa alla ricerca di nuove prove, ma consentendogli di esercitare una finzione, per così dire maieutica, ritenuta rientrante nei poteri di direzione generalmente riconosciuti22". Nonostante tale ridimensionamento del cd. potere sindacatorio, esso ha comunque conservato la sua consistenza. Con i suoi conseguenti problemi di compatibilità con i principi del giusto processo. Basti pensare, a titolo esemplificativo, alla disapplicazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato e quindi della non vincolatività della richiesta di assoluzione eventualmente richiesta dal PM nel dibattimento. È evidente in tale aspetto "la mancanza di solidità nella giurisprudenza contabile del principio della terzietà del giudice intesa nel senso più forte dell'essere questo investito del solo potere di comporre la lite e non anche di quello di svolgere una finzione autonoma, come tale svincolata dalle posizioni e dalle richieste delle parti, in ordine alle vicende sottoposte al suo giudizio" 23 . Sulla stessa linea si pone il problema della compatibilità con il principio di terzietà del giudice del potere di chiamata in giudizio di soggetti diversi da quelli citati dal Procuratore. Si pensi che "da parte dell'organo pubblico 83


d'azione, la citazione in giudizio dei soggetti di cui era stata disposta la chiamata, è stata spesso intesa come mero adempimento di un obbligo imposto dal giudice con la paradossale conseguenza di citazioni prive di alcuna richiesta di condanna"24 .

A questo punto, una domanda è ineludibile: al fine di uscire dallo stato di incertezza e contraddittorietà che caratterizza il processo contabile, basta il "travaglio ermeneutico" della stessa giurisprudenza contabile quando questa può, in concreto, prendere strade spesso così divaricate? In realtà occorre porre rimedio alla mancanza, nel processo contabile, del parametro costituzionale fondamentale del "giusto processo": la puntuale, definizione delle norme processuali che assicuri la piena parità delle parti. Il giudice non può continuare ad autoregolamentare il processo al di fuori del rispetto di tali principi, secondo una normativa di base non solo insufficiente, perché assai lontana nel tempo, ma rispondente a criteri ampiamente superati. I principi dell'art. 111 Cost. hanno bisogno di inverarsi in un adeguato sistema di norhie anche per poter far fronte alle questioni che sorgeranno nel giudicare responsabilità che non sorgano nell'ambito tradizionale della pubblica amministrazione. Al riguardo e soltanto a titolo d'esempio, si considerino i problemi che potranno sorgere dall'applicazione alle società pubbliche e miste del nuovo diritto societario, di cui si dirà nel successivo paragrafo. A differenza di quel che è avvenuto nella legislazione in materia di giustizia amministrativa, dove il recente riordinamento attuato dalla legge n. 205/2000 ha visto un sostanziale equilibrio tra norme sostantive e norme processuali, non così è avvenuto nel campo della giurisdizione contabile. Il riordinamento, insomma, è rimasto zoppo. VA BENE L'ESTENSIONE DELLA GIURISDIZIONE DELLA CORTE DEI CONTI, MA IN UN QUADRO PROCESSUALE E COSTITUZIONALE PRATICABILE

• Fin dall'inizio di queste considerazioni abbiamo accennato alla circostanza che, se non si fisseranno presto nuovi criteri e nuovi principi della giurisdizione contabile coerenti con il nuovo assetto della PA e con le mo84


derne modalità di svolgimento delle pubbliche funzioni, questa rischierà un pesante svuotamento delle proprie funzioni. Occorre considerare, in particolare, che negli ultimi anni sono profondamente cambiate le modalità di prestazione del lavoro alle dipendenze della PA e, più in generale, sono profondamente cambiate le modalità di svolgimento delle funzioni pubbliche. Basti pensare alle diverse forme di lavoro interinale alle dipendenze della pubblica amministrazione o alle diverse fòrme di esternalizzazione dei servizi pubblici, o al sempre più frequente ricorso alla costituzione di società pubbliche per lo svolgimento dei servizi pubblici. In tale contesto si è imposto il superamento dell'originaria impostazione che individuava nel "rapporto di servizio" non soio il presupposto per l'incardinazione della giurisdizione della Corte dei conti, ma anche la fonte della stessa responsabilità amministrativa. Tale mutamento di rotta muove da un mutamento nella premessa. L'art. 103 Cost - il quale fonda la giurisdizione della Corte dei conti - non si riferisce soltanto alla responsabilità amministrativa degli amministratori e dei dipendenti pubblici, e cioè alle sole ipotesi di danno patrimoniale subito dalle amministrazioni pubbliche in relazione alla violazione degli obblighi di servizio da parte degli stessi amministratori e dipendenti nell'ambito di un rapporto di servizio. Fa piuttosto riferimento a tutte le forme di responsabilità patrimoniale subite dalle pubbliche finanze "nelle materie di contabilità pubblica" (così recita la norma costituzionale). Tale nozione di responsabilità si è venuta affermando soprattutto grazie all'attività interpretativa della giurisprudenza delle Sezioni unite della Cassazione. In particolare, con due importanti decisioni intervenute negli ultimi anni, le Sezioni unite della Suprema Corte di Cassazione - prima con ordinanza 22 dicembre 2003, n. 19667, e poi con la sentenza 26 febbraio 2004, n. 3899 - hanno affermato la giurisdizione della Corte dei conti, rispettivamente: per le ipotesi di responsabilità amministrativa degli amministratori e dei dipendenti degli enti pubblici economici, per i danni patrimoniali arrecati al patrimonio dell'ente, e per le ipotesi di responsabilità amministrativa delle s.p.a. partecipate dagli enti pubblici per i danni erariali arrecati al patrimonio dell'ente. Tale orientamento ha il merito di aver individuato, nella natura pubblica delle risorse finanziarie in relazione alle quali si configura il danno di cui alla pretesa risarcitoria, il presupposto per l'incardinazione della stessa giurisdizione. Operando così un passaggio dalla responsabilità amministrativa dei soli amministratori e dipendenti pubblici alla responsabilità finanziaria intesa come una 85


generale forma di responsabilità patrimoniale per danno alle pubbliche finanze in cui possono incorrere tutti i soggetti che abbiano maneggio o che utilizzino pubbliche risorse. Tale responsabilità si configura, in via generale, in relazione alla violazione degli obblighi nascenti in capo al soggetto stesso dalla finalizzazione delle risorse pubbliche; così si legge in C. conti, sez. giur. Lombardia, 22 febbraio 2006, n. 114, con la quale si è affermata la sussistenza della giurisdizione della Corte dei conti nelle controversie volte all'accertamento di illeciti erariali posti in essere da dipendenti di società per azioni partecipate da enti pubblici - ENEL - ovvero di società controllate dalle medesime - ENEL POWER e ENEL PRODUZIONE. Tale orientamento è stato seguito per gli enti pubblici economici 25 . Più di recente, la sentenza delle Sezioni unite del 10 marzo 2006, n. 4511, ha affermato la giurisdizione della Corte dei conti anche nei confronti del privato che utilizzi o che comunque impieghi risorse pubbliche, affermando, in particolare, che "il baricentro per discriminare la giurisdizione ordinaria da quella contabile si è spostata dalla qualità del soggetto (chepuò ben essere un privato o un ente pubblico non economico) alla natura del danno e degli scopi perseguiti, cosicché sussiste la giurisdizione della Corte dei conti nei confronti di società privata che abbia beneficiato di fonti pubblici nazionali e comunitari nell'ambito di un programma operativo multiregionale diretto alla promozione dello sviluppo imprenditoriale e abbia realizzato uno sviamento dalle finalità perseguite dalla pubblica amministrazione così determinando un danno erariale". Tali interventi, come più volte sottolineato, hanno innovato profondamente l'oggetto del giudizio contabile, senza tuttavia affrontare i numerosi problemi pratici che essi portano con sé. Primo fra tutti il problema della possibile interferenza dell'azione di responsabilità amministrativa esercitata dalla procura della Corte dei conti rispetto all'azione di responsabilità sociale che i soci possono intraprendere nei confronti degli amministratori o dei dipendenti delle società partecipate dai soggetti pubblici. La giurisprudenza, infatti, sta discutendo se l'accertamento di responsabilità di questi soggetti ricada esclusivamente sotto la giurisdizione della Corte dei conti, o se invece spetti anche (o solo) alla giurisdizione ordinaria intervenire. La scelta ha importanti implicazioni, perché la responsabilità amministrativa (quella accertata dal giudice della Corte dei conti) risulta significativamente meno gravosa di quella derivante dal diritto privato e societario. A ciò si aggiunga che le regole che guidano il processo 86


contabile spesso - come si è visto nelle pagine che precedono - sono in contrasto con i principi propri del sistema civilistico e con le garanzie assicurate alle parti. Servirà probabilmente un intervento legislativo per dirimere la controversia dei giuristi. Allora, è importante capire in quale direzione dovrebbe muoversi il legislatore. In proposito, uno dei rari interventi giurisprudenziali sul punto si rinviene nella sentenza della Corte dei conti, Sez. Giur. Lombardia, 22 febbraio 2006, n. 114, nella quale si legge che "la presente pronuncia non si potrà mai porre in contrasto con quelle scaturenti da possibili azioni di responsabilità sociale intentate, ai sensi del codice civile, nei confronti dei medesimi soggetti, attese le diversità tra i presupposti e le finalità delle due azioni (officiosa e connotata da elementi di natura sanzionatoria questa innanzi la Corte dei conti, facoltativa ed esclusivamente recuperatoria quella innanzi al giudice ordinario). La natura pubblica di tali tlpologie di società non diminuisce ma, anzi, amplia la tutela degli azionisti privati, che cumulano alle normali azioni previste dalla normativa civilistica quelle di stampo pubblicistico, connesse alla finzione giurisdizionale della Corte dei conti. Tale maggior tutela non si sostanzia in un'irragionevole disparità di trattamento ma bilancia i minori poteri dei medesimi azionisti privati statutariamente posti (come si è visto) in una posizione minoritaria all'interno della compagine sociale. In ogni caso, ove l'esito di una delle due azioni (sia quella proposta innanzi al giudice civile che quella proposta innanzi al giudice contabile) dovesse comportare la piena soddisfazione delle ragioni degli azionisti, si porrebbe non una questione di giurisdizione ma una questione afferente ai limiti della proponibilità della domanda avanti al giudice adito per secondo (una simile questione, quindi, concernerebbe esclusivamente i limiti interni della sua giurisdizione, sotto ilprofilo dell'eventuale pericolo di violazione del principio del ne bis in idemY'. PERCHÉ FINO ALLA RIFORMA DEL PROCESSO CONTABILE LE REGOLE PROCESSUALI SONO SINDACABILI DAVANTI ALLA CORTE DI CASSAZIONE

La giurisdizione contabile, così come quella amministrativa, ha avuto riconoscimento di rilevanza costituzionale attraverso l'art. 103 della Costituzione. Pertanto la specialità di tale giurisdizione, radicata nella ratio materiae, viene esaltata nei suoi caratteri peculiari in quanto tali materie vogliono una specializzazione del giudice. Ma non certo l'esclusione di questo giudice dal campo di applicazione dei principi fondamentali che 87


l'ordinamento costituzionale pone a base di qualsiasi forma di jus dicere. "Ogni processo", dice il secondo comma dell'art. 111, si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. Anzi, si può ben aggiungere che la riconosciuta specializzazione del giudice rafforzà l'esigenza di un suo pieno adeguamento ai principi del giusto processo, come principi fondativi dell'ordinamento. Lultimo comma dell'art. 111, rimasto immutato, sancisce che il ricorso in Cassazione contro le decisioni della Corte dei conti (così come del Consiglio di Stato) è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione. Per una consolidata giurisprudenza della Suprema Corte, tale norma è stata intesa nel senso che il ricorso è ammesso soltanto per motivi attinenti ai limiti cosiddetti esterni della giurisdizione, con esclusione dei motivi di violazione di norme di diritto che regolano il processo (cosiddetti limiti interni). Tale giurisprudenza si è formata prima della novella costituzionale del 1999. Ne va dunque verificata la ratio alla luce dei nuovi principi del giusto processo. Si tenga, in ogni caso, presente che il comma dell'art. 111 riguardante la limitazione dei motivi di ricorso in Cassazione per le decisioni di Consiglio di Stato e Corte dei conti chiudeva, nel vecchio testo dello stesso articolo, un insieme di norme che garantivano la motivazione dei provvedimenti giurisdizionali e l'ammissione, in ogni caso, dei ricorsi in Cassazione per violazione di legge. La giurisprudenza citata - nell'interpretare la limitazione apposta alla generale ammissibilità dei ricorsi in Cassazione per violazione di legge - ha trovato la sua ragion d'essere nel fatto che la Costituzione, nel dare rilevanza costituzionale alla giustizia amministrativa e a quella contabile, prendeva atto della loro tradizionale organizzazione ed autonomia. All'epoca, tali giurisdizioni erano esercitate in un solo grado. La Costituzione ha voluto salvaguardare le caratteristiche dell'organizzazione di tali giurisdizioni. Questa articolazione (oggi in due livelli dopo la costituzione delle Regioni ordinarie e la realizzazione del decentramento regionale) deve essere tuttora rispettata. Quindi vale il criterio di limitare il ricorso in Cassazione ai motivi attinenti ai limiti esterni. Può la distinzione tra limiti interni ed esterni della giurisdizione essere opposta di fronte alle questioni derivanti dai nuovi principi del giusto processo? Ovviamente può e deve valere ma - lo sottolineamo - soltanto dopo che tali principi trovino applicazione in una nuova e aggiornata regolazione del processo. Questo si può già dire in buona parte avvenuto per il processo ammini88


strativo, profondamente ridefinito nelle regole con la legge n. 205 del 2000 che ha tenuto conto della novella costituzionale del 1999. Senza dire del rilievo che ha avuto, anche in termini di parità delle parti, la "storica" sentenza delle Sezioni unite della Cassazione n. 500 del 1999 che - nel sancire la risarcibilità degli interessi legittimi - ha scardinato molte impostazioni della dottrina e della giurisprudenza amministrativa. Sono venuti meno tradizionali privilegi della Pubblica amministrazione che hanno avuto effetti di grave disparità fra le parti nel processo amministrativo. Tutto ciò non si può dire per il processo contabile il quale, malgrado alcune modifiche parziali della responsabilità amministrativo-contabile intervenute nel corso degli anni Novanta, rimane sostanzialmente disciplinato da leggi degli anni Trenta: Testo unico delle leggi sulla Corte dei conti (RD 12 luglio 1934, n. 1214) e Regolamento di procedura (RD 13 agosto 1933 n. 1038). Nelle condizioni date dell'ordinamento, la distinzione fra limiti interni ed esterni perde di significato, dovendo essere primaria e prioritaria l'attenzione sulla congruità delle regole del processo al dettato costituzionale in materia di svolgimento dei processi. In assenza di una attuazione legislativa dell'art 111 Cost. nella disciplina del processo contabile e in assenza di un intervento di interpretazione adeguatrice dello stesso giudice, è necessario che il giudice della giurisdizione si faccia promotore di una interpretazione in grado di ricondurre la giurisdizione contabile entro i confini posti dalla Costituzione anche relativamente ai limiti interni. Altrimenti si continuerebbe a riconoscere piena validità alla "forza della prevenzione" che proprio il giusto processo vuole evitare. Non si tratta, dunque, di costituire - in ragione dell'art. 111 della Costituzione - un terzo grado della giurisdizione speciale, bensì di apprestare i mezzi affinché questa venga adeguata celermente al nuovo dettato costituzionale. Prima che vengano prese efficaci iniziative legislative, l'adeguamento del processo contabile ai principi costituzionali passa attraverso interventi giurisdizionali che facciano opera di interpretazione adeguatrice delle norme vigenti ai nuovi principi costituzionali. Ovvero ne constatino il carattere di dubbia costituzionalità affinché il giudice delle leggi possa valutarle al fine di una eventuale declaratoria di incostituzionalità. Tutti i poteri del giudice contabile vanno necessariamente riconfigurati alla luce dell'art. 111, secondo una interpretazione restrittiva contro quei poteri discrezionali che il sistema fin qui aveva consentito.

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CE Corte dei conti, ordinanza delle Ss.Uu. n. 19667 del 22 dicembre 2003. Citata nella Relazione del Procuratore Regionale Ignazio Del Castello, in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario 2004. 2 F. FIG0RILLI,11 giusto processo contabile" in

Atti del convegno La giurisdizione contabile dieci anni di attività della Corte dei conti in Umbria, a cura di Marco Lucio Campiani e Ludovico Principato. Come sottolinea P. SANTORO, Prolegomeni al giusto processo contabile in «Riv. Corte conti» n. 212002, 299. Peraltro E FIG0RILLI, op. ult. cit., evidenzia che "la portata generale del testo novellato dal legislatore costituente assume una valenza più generale ed avanzata rispetto alle disposizioni da ultimo citate, posto che la formula utilizzata dall'art. 6 della Carta dei Diritti dell'Uomo non prevede l'estensione del giusto processo a quelle controversie che vedono coinvolti i soggetti che esercitano funzioni pubbliche". L'Autore esprime le proprie riserve in ordine alle disposizioni della nuova Costituzione europea, nella quale analoghi riferimenti non sembrano trovare un'adeguata sottolineatura. ' Si è evidenziata la diversità del testo confluito nell'art. 111 Cost. con quello elaborato dalla Bicarnerale del 1997, articolato su due parti: la prima riguardante tutti i processi, e la seconda riferita al procedimento (penale). Nel testo attuale, a differenza di quello solo ipotizzato dalla Commissione, le garanzie che si volevano introdurre. anche per il procedimento penale sono state limitate al "processo". 55. PILATO, La formazione delle prove nei giudizi dinanzi alla Corte dei conti. L'integrazione del rito contabile con il codice di procedura civile e con i princzpi del giusto processo, in «Riv. Corte conti», n. 112002, 322 Ss.. 6 Si veda al riguardo la sentenza emessa dalla Corte di Giustizia delle Comunità europee in data 10 luglio 2001 nella causa T-277/97, Società Ismeri S.r.l contro Corte dei conti. 7 Ancora A. BUSCEMA, op. ult. cit. 8 Nelle parole di Mario Ristuccia, Presidente 90

di Sezione e Procuratore generale aggiunto della Corte dei conti, già la Corte costituzionale (cE sent. n. 2911995) ha voluto assicurare "la necessaria distinzione tra la funzione di controllo e la funzione giurisdizionale, evocando il principio

di garanzia degli "inviolabili diritti della difesa, garantiti a tutti i cittadini in ogni giudizio dall'art. 24 Cost.... anticipando i principi del giusto processo successivamente introdotti nella Carta costituzionale dalla novella dell'art. 111 Cost.". Quest'ultimo ora indica il principio di garanzia dei diritti inviolabili di difesa quale elemento di distinguo rispetto all'attività di controllo, in quanto la prima è "una attività di giudizio che, avendo ad oggetto ben definite posizioni soggettive contrapposte, richiede la necessità di una pari tutela processuale". La regolazione del rapporto tra controllo e giurisdizione è pertanto fondata in primis sull'individuazione delle norme atte a "salvaguardare la posizione dei soggetti sottoposti a dette attività", a fronte della (problematica) mancanza di iegole in ordine al concreto svolgimento dei poteri istruttori del PM: "soltanto il pieno rispetto delle garanzie di difesa può conferire al giudizio di responsabilità amministrativa la dignità di vero e proprio giudizio tra parti in posizione di parità come previsto dall'art. 111 Cost., e quindi donare forza ad una istruttoria che sia svolta dalla parte pubblica nella piena osservanza di dette garanzie". In M. R1STUCCIA, "I rapporti tra il controllo e le funzioni giurisdizionali della Corte dei conti", 52° Convegno di studi amministrativi I controlli sulle autonomie nel nuovo quadro istituzionale. Varenna, 22 settembre 2006. 9 cfr. G. CARBONE, voce Corte dei conti in Enciclopedia del Diritto, IV Aggiornamento, p. 497. IO cfr. A. BUSCEMA, Il 'giusto processo" nel giudizio contabile, in «Il Giusto Processo», luglioagosto 2002, pp. 5 1-64. M. RISTUCCIA, Applicabilità dei principi del giusto processo al giudizio contabile, in «Riv. C. conti», n. 1/00, parte IV, 200. 12 S PILATO, op. ult. cit., 322, Corte cost. nn. 25411992, 25511992, 36111998.


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S. P!i.xro, op. ult. cit., 329.

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FIG0RIw, op.ult. cit.

ibidem. PASQUALUCCI E, "L'evoluzione del rito contabile: dal giudizio di conto fino all'attuale giudizio di responsabilità". Da http://www.amcorteconti.it/ 17 C. conti, sez. Il, 28 gennaio 2002, n. 201A; Sez. Abruzzo, ord. 2 giugno 2004, n. 56; C. conti, sei. Giur. Puglia, 17 luglio 2001, n. 578). 18 FIG0RILLI, op. ult. cit., 130 19 Fioiuu.i, op. ult. cit., 130 20 C. conti, sez. centrali, 2 ottobre 2001, n. 208/A e 5 dicembre 2001, n. 249/A3i vedano inoltre C. conti, Sez. lI, 22 febbraio 2001, n. 80/A sull'integrazione del contraddittorio; C. conti, Sez. Lazio 28 maggio 2001 n. 1897 e Sez. TI del 28 gennaio 2002 n. 20 sul potere di ricerca delle prove; nonché Sez. 122 génnaio 2002 n. 16 sul principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. 21 F. PASQUALUCCI, L'attività istruttoria. Problemi ed ipotesi ricostruttive, in «Riv. Corte c.», 1/2006, 307. 22 F. PASQUALUCCI, op. ult. cit., 307. L'Autore riporta nel testo una singolare dialettica tra la Procura e la Sezione giudicante per il Lazio. È orientamento risalente che le ordinanze istruttone debbano essere eseguite a cura della sezione 15

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che le ha emanate, tranne quelle che dispongono la produzione di atti e documenti già in possesso delle parti ovvero accertamenti diretti ai sensi dell'ultima parte dell'art. 14 del regolamento di procedura. Sulla base di tale orientamento, la Procura regionale del Lazio ha impugnato diverse ordinanze della Sezione con cui veniva disposta l'esecuzione delle attività istruttorie da parte della Procura. La sezione ha ritenuto inoltre centrale il problema della compatibilità con l'art. 111 Cost. e con i principi in materia di onere della prova, affermando che gli accertamenti da svolgere in contraddittorio dovessero essere delegati ad un componente del Collegio; mentre l'acquisizione delle prove che riteneva di disporre in base alla suddetta funzione maieutièa doveva essere affidata alle parti che ne avevano interesse. 23 M. RJSTIJCCIA, op. ult. cit., p. 212. 24 M. RISTUCCIA, op. ult. cit., p. 212. 25 V. C. conti, Sez. Giur. Friuli Venezia Giulia, 30 giugno 2005, n. 467; Id., 3 febbraio 2006, n. 32; Id, 8 luglio 2006, n. 349; Id., 4 agosto 2006 nn. 417 e 418; C. conti, Sei. Giur. Trentino Alto Adige, 18 luglio 2006, n. 58; C. conti, Sez. Giur. Lombardia, 14 luglio 2006, 446. Per le società partecipate, da C. conti, Sez. Giur. Marche, 4 luglio 2001, n. 28; C. conti, sez. Giur. Umbria 35412006).

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queste istituzioni n. 145 primavera 2007

Storia del comma infame e dell'invenzione dei "reati contabili" di Joe Certa voce

27 dicembre 2006 Il Consiglio dei ministri vara un decreto legge (n. 299 del 2006) con il quale è abrogato il comma 1343 della Finanziaria 2007 - I. n. 27 dicembre 2006, n. 296 - appena approvato: il cosiddetto "emendamento Fuda". Prima di avere un cognome, il comma in questione si era fatto notare, salendo alla ribalta delle pagine della cronaca (e del commento e del gossip) nazionale. L'EPILOGO, PER COMINCIARE Innanzitutto, questo è il testo della norma abrogata: "Al comma 2 dell'articolo i della legge 14 gennaio 1994, n. 20, le parole 'si è verificato il fatto dannoso' sono sostituite dalle seguenti: 'è stata realizzata la con„, dotta produttiva di danno . i,,t un testo che di per se ,e' ben poco comprensibile in prima lettura, ma che è semplice spiegare. La norma misteriosa riguarda la responsabilità amministrativa che spetta alla Corte dei conti giudicare. La legge n. 20 del 1994 contiene Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti. Ora, avviene che il "fatto dannoso” è identificato, nell'interpretazione consolidata della Corte, come quello che si realizza al momento del concreto esborso di danaro da parte della Pubblica amministrazione a seguito di una decisione o di un comportamento illecito o illegittimo che sia da qualificare come frutto di colpa grave o di dolo dei dipendenti pubblici o degli amministratori. Poiché fra il comportamento gravemente colpevole o doloso e il materializzarsi del danno può intercorrere del tempo, spesso non poco, avviene che la prescrizione possa diventare molto più che quinquennale. Può facilmente essere di sette, Otto e passa anni. Il comma 1343 voleva, invece, che il termine fosse calcolato partendo dalla condotta, colpevole o dolosa, che ha prodotto il danno. Una richiesta del tutto ragionevole. Non solo dal punto di vista di quanti sono in attesa di giudizio, ma anche dal punto di vista dell'interesse generale ad una rapida (e perciò efficace) azione da parte della Procura e a giudizi di durata ragionevole e non sbrindellati nel tempo. 92


Sul sito del Governo e nella relazione introduttiva al decreto-legge si leggeva che: "Con tale abrogazione si pone così immediato rimedio ad un mero errore redazionale in corso di predisposizione del maxiemendamento presentato dal Governo al testo della legge finanziaria 2007". Perché un errore redazionale? Perché una norma come il comma 1343 affronta male e assai parzialmente la questione della responsabilità amministrativa? O perché, comunque, non è materia da affrontare in legge finanziaria? O piuttosto perché tutto sta bene e non c'è alcunché da emendare o modificare nelle norme sulla responsabilità e nell'interpretazione che ne dà la Corte dei conti? La discussione parlamentare dovrebbe dare lumi in proposito. E quel che vedremo andando a ricostruire gli intrecci del caso che tanto ha occupato uomini di governo e parlamentari.

ATTO I

14 dicembre 2006 All'improvviso uno sconosciuto. In Aula, durante la discussione della legge finanziaria, i senatori Salvi e Manzione denunciano che nel maxiemendamento - entro il quale, negli ultimi tempi, viene costretta l'intera legge finanziaria - è ricòmparso un comma che era stato precedentemente espunto per volontà dell'Aula e del Governo. Prima ancora, nella notte tra il 13 ed il 14, il Capo di gabinetto del ministero dell'Economia, Paolo de loanna, avendo notato la norma che definisce "per la prescrizione breve", ne dava comunicazione ad Enrico Letta al fine di compiere una verifica politica. Viene quindi data disposizione di eliminare la norma che a quello stadio si articolava in due commi. Ma uno sopravvive perché - si dice' - non contiene la parola chiave usata nel corso della ricerca informatica per rintracciare il testo da espungere nel mare magnum del maxiemendamento: "Corte dei conti". A questo punto, è Claudio De Rose, Procuratore generale della Corte dei conti, ad accorgersene e a scrivere al senatore Cesare Salvi. Ecco perché questo ne dà notizia in Aula. Sécondo il Procuratore, il testo dell'emendamento "se approvato, causerebbe l'estinzione della maggior parte dei procedimenti di responsabilità amministrativa in corso e, per ilfiituro, inciderebbe sulle possibilità concrete di dare avvio all'azione di responsabilità per danno alle pubbliche finanze. Ciò in quanto, con l'zpotesi normativa proposta, si anticipa notevolmente il compimento del termine prescrizionale per 93


l'esercizio dell'azione di responsabilità da parte del Pubblico ministero presso la Corte dei contf. Dunque, sembra ragionare il Procuratore generale, si verrebbe così a cambiare il modello generale di responsabilità amministrativa. Tale implicita conclusione è tutta da verificare. Poi, il Procuratore De Rose non manca di sottolineare - qui pienamente a ragione - che "l'emendamento in questione è in palese difformità con quanto disposto dall'art. 11, comma 3 della legge 5 agosto 1978 n. 4682, che non consente l'introduzione nella legge finanziaria di norme a carattere ordinamentale". Sostiene Lettieri. Il Governo - nella persona del Sottosegretario Mario Lettieri - si limita a sostenere l'errore redazionale. A questo punto, è evidente che il Governo non intende discutere e meno che meno opporsi alla Corte dei conti, della quale prende per buoni gli argomenti. In che cosa consiste, allora, il casus belli? Certo non ha a che vedere - come si potrebbe candidamente pensare con l'annosa questione della responsabilità contabile amministrativa (Wittgenstein ammoniva: "In certe cose una logica troppo perfetta e liscia è pericolosa, perché ci si può scivolare come su una lastra di ghiaccio. Datemi l'attrito ed il terreno ruvido"), bensì con quel che ormai rimane: la ricerca dell'infame "traditore del Parlamento e del Governo" (parole di Di Pietro) Chi trama in incognito? Continuiamo a seguire il caso partendo dalle note ufficiali. La Velina rossa di Pasquale Laurito assicura che il maxiemendamento è uscito dal ministero dell'Economia senza comma Fuda. Il delitto si è dunque compiuto al Senato, con la firma "di tutti i rappresentanti dei gruppi di maggioranza; nessuno escluso. E tra questi anche il rappresentante dell'Italia dei Valori". Esonerato il Governo, ha inizio la caccia al reo. ATTO TI

15 dicembre 2006 Brancaleone alle Crociate. Con Di Pietro in testa, è bastato poco, pochissimo anzi, per risalire all'autore dell'emendamento dal quale è stato estratto il comma incriminato, chiesto da destra, da sinistra e dal centro: Pietro Fuda, senatore del Gruppo misto (unico senatore del Partito democratico meridionale) che appoggia l'Ulivo dopo una lunga militanza 94


nelle fila di Fi, è l'artefice del testo. Ci sono altri firmatari. Sono dell'Unione, con prevalenza di senatori dell'Ulivo: Franco Bruno, Antonio Boccia, Nuccio lovene, Salvatore Ladu, Giannicola Smisi e Luigi Zanda. Ma che colpa abbiamo noi? A questo punto, le cronache parlamentari rappresentano un fuggi fuggi generale da ogni coinvolgimento e responsabilità. A mezzo stampa, lovene dichiara: "Confesso un duplicé peccato di leggerezza ed eccesso di fiducia". Nel corso delle prime sedute di Assemblea del Senato sull'argomento, il senatore Zanda (seduta n. 90 del 15 dicembre 2006) chiarisce presto la contrarietà della maggioranza alla norma, ascrivendo l'incidente "alla concitazione ed all'impossibilità di esercitare un controllo rigoroso". In ogni caso, osservato che: "La ricerca di contraddizioni e lacune nella manovra è esercizio fin troppo facile all'interno delle attuali regole del gioco", ricorda che la norma firmata in origine "aveva una formulazione diversa e prevedeva un secondo comma che avrebbe meglio definito e meglio regolamentato la materia". Nelle parole del senatore si intravede la consapevolezza che le questioni sottostanti sono di rilievo. Fermo il punto che non è questo il momento di entrare nei merito, non si ravvisa, invece, acquiescenza rispetto ali allarme lanciato dal Procuratore Generale. Tu quoque! Nelle prime versioni dei fatti, anche il senatore Aniello Formisano è nella lista nera. Tuttavia, il suo nome risulta inserito a penna, senza firma, tra i nomi di Fuda e Smisi, in calce al comma Fuda bis (quello stralciato). Per fatto personale: la sfida. Dopo alcune insinuazioni di stampa niente affatto velate, il senatore Cesare Salvi chiede di intervenire, ed interviene in Aula per fatto personale (seduta n. 90, pom., del 15 dicembre 2006). Smentisce le illazioni (del sen. Ciccanti) secondo le quali egli avrebbe individuato "un ministro del Governo" tra i principali beneficiari interessati al comma Fuda "in quanto inquisito per danni patrimoniali quando era sindaco di Roma" (Rutelli? Per la serie "di che colore è il cavallo bianco di Napoleone?"). In realtà, una storia ormai sepolta prima del comma infame. Ciccanti dichiara di essersi limitato "a riferire il contenuto di un colloquio riportato da un'agenzia di stampa". Salvi secco: "Se quella del senatore Ciccanti è una ritrattazione di quanto detto nella sua dichiarazione, l'accetto. Altrimenti, sono costretto a ricorrere allo strumento che il Regolamento prevede in questi casi, vale a dire la costituzione di un Giuri donore . Non rimane che tornare a Fuda. I

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20 dicembre 2006 Onorevoli discriminazioni. Veniamo allora allo sfogo di Pietro Fuda. In una lettera al direttore de La Stampa (20 dicembre 2006), egli scrive di essere oggetto di "una scorretta quanto deludente disinformazione da caccia alle streghe": "oggi anche su La Stampa (n.d.r.: v. Amedeo La Mattina, Colpo di spugna, fuori il colpevole, 20.12.2006) compare questo riprovev6le quanto banale gioco alla rincorsa dei colpevoli. Atteggiamento tutto italiano: molto più facile cercare il capro espiatorio di turno, condendo le proprie tesi con inesattezze e falsità ai limiti della diffamazione - per le quali mi riservo di adire le vie legali - che cercare di comprendere la realtà dei fatti". Qual è questa realtà? Sempre Fuda: "Il mio obiettivo principale non era tanto quello di difendere l'articolato disegno di legge dal quale è stato estrapolato il primo comma, quanto di sottolineare la necessità e l'urgenza di trovare una soluzione definitiva ad un problema che esiste, che deve essere affrontato, e che non si può cancellare con la facile, errata e velleitaria dialettica che fa parte di un superato background culturale. Mi piacerebbe, infatti, verificare le fonti di chi, partendo dalla tesi 'la Calabria è tutta corrotta' ed accomunando l'antitesi 'Fuda è calabrese', arriva alla sintesi 'Fuda lavora per aiutare i corrotti' 3 ... Nessuno ha sottolineato che non c'è, che non ci può essere, retroattività, ma che si tratta solo ed esclusivamente di stabilire un principio in grado di punire chi commette illeciti, di far arrivare nelle casse dell'erario le somme derivanti dal risarcimento del danno e di garantire un giusto processo, eliminando tutte le contraddizioni che vessano le autonomie locali in tema di reati contro la Pubblica amministrazione commessi nell'espletamento delle procedure espropriative". Non è dato sapere quale sia il disegno di legge cui Fuda si riferisce. Alfiero Grandi, sottosegretario di Stato all'Economia e alle Finanze, definisce comunque il testo originale dell'emendamento un "obbrobrio". 23 gennaio 2007 Tornando al punctum dolens, la decorrenza della prescrizione, il Governo si è espresso con le parole di Mario Lettieri, sottosegretario del ministro Padoa-Schioppa. Egli, nel corso della seduta n. 67 del 23 gennaio 2007 (Senato, la Commissione "Affari Costituzionali", resoconto sommario), ha ricordato che "la Corte dei conti ha più volte sottolineato che il termine della prescrizione della responsabilità amministrativa decorre dal momento in cui si verifica l'evento dannoso o dal momento in cui es96


so emerge, mentre l'ipotesi di una prescrizione che decorra dal momento in cui si realizza la condotta produttiva del danno contrasterebbe con l'articolo 2935 del codice civile, che disciplina la decorrenza della prescrizione, e con il principio della difesa di diritti in giudizio di cui all'articolo 24 della Costituzione. Osserva che, in particolare nel caso di responsabilità indiretta, il comma 1343 avrebbe potuto determinare la prescrizione ancor prima dell'avvio dell'azione per responsabilità amministrativa. Inoltre, l'entrata in vigore del comma 1343 avrebbe avuto gravi conseguenze, a causa del principio della norma sanzionatoria più favorevole". Ecco la supina acquiescenza agli argomenti della Corte, tutti discutibili. 31 gennaio 2007 La versione di Fuda. Sempre nell'Aula di Palazzo Madama, il senatore Fuda rivendica la coerenza e l'organicità del testo dell'emendamento originario dal quale è stato estrapolato il comma 1343. Il testo, infatti, rispettava la durata quinquennale del termine di prescrizione secondo la legge n. 20 del 1994, e "tendeva unicamente a renderlo applicabile anche ai procedimenti per danno indiretto, consentendo così al pubblico amministratore di difendersi concretamente nell'ambito dei principi del giusto processo iaciaove i inciagato viene cniamato a risponciere davanti alla Corte dei conti solo a conclusione del giudizio civile risarcitorio intentato dai cittadini nei confronti della Pubblica amministrazione, con la conseguenza abnorme che il termine di prescrizione, nel caso, si amplia a dismisura, spesso addirittura per decenni". Pertanto, rispondeva ad un'istanza di civiltà giuridica, stante l'inammissibilità di un'indefinita durata dei procedimenti amministrativi. Invece, secondo Saro, Viespoli e Storace, Castelli e Divina, e Pastore senatori dell'opposizione - il comma 1343 segna il ritorno alla cultura dell'illegalità determinando un vulnus gravissimo al giudizio contabile che, a seguito dell'abolizione dei controlli di legittimità, segna l'ultima frontiera per l'accertamento della responsabilità amministrativa. "

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È ormai chiaro che Pietro Fuda, artefice sì dell'emendamento, al di là dell'enfasi dell'autodifesa, non ha altre colpe che quella di aver forzato (uno fra tanti!) la logica della legge finanziaria e di aver tentato la furbizia di un piccolo correttivo in una materia che merita ben altra trattazione normativa. Eppure il comma sarà consegnato alla storia dell'infamia con il suo nome. 97


INTERMEZZO

3-5 gennaio 2007 Provaci ancora, Clem! Alla fine, Clemente Mastella non si è più trattenuto: "Basta criminalizzare il comma Fuda. Qui occorre una valutazione più serena di tutta la vicenda". Sulle pagine de La Stampa (Ma io non difendo i ladri, 5 gennaio 2007) egli - a partire dalla difesa della certezza del diritto quale assunto base di ogni Stato democratico, e quindi in difesa della cessazione del potere statale di infliggere sanzioni: "anche per tali illeciti (n.d.r: penali), salvo alcuni, la pretesa punitiva dello Stato non può più essere esercitata oltre il tempo espressamente stabilito dalla legge. Sulla decorrenza di tale termine vi è assoluta certezza; esso corrisponde al giorno della commissione del fatto. Anche per gli illeciti amministrativi il termine decorre dal giorno della violazione. Nella materia degli illeciti contabili, il problema della prescrizione è un problema annoso e controverso" - rivendica anche la ragionevolezza della decorrenza della rescrizione a partire dal verificarsi dell atto, poiche il danno erariale e solo conseguenza di quello". Le interpretazioni della norma, dice Mastella, sono spesso frutto della contingenza. "I principi generali, quelli sui quali si fonda la nostra civile convivenza sono un'altra cosa e ad essi non dovrebbe mai derogarsi, in nessun caso". Il vendicatore nero, come Calimero. È stato trovato il "mandante"? Chi lo sa. Comunque, conta poco. Intanto, Pietro Fuda, il quale dice di sentirsi (il Corriere della Sera, 3 gennaio 2007) "come Calimero, quel pulcino tutto nero, sfortunato, che nessuno vuole...". Miracolo, a questo punto: Pietro Fuda ci ha quasi commosso. Finché non ci si (ri)mette il ministro Mastella (v. intervista di Angela Frenda, Mastella: prescrizione giusta. Di Pietro zavorra morale. Il Corriere della Sera, 5 marzo 2007) a dipingerlo come il "vendicatore di tanti amministratori pubblici costretti da una legge iniqua a non beneficiare di una prescrizione per un reato contabile. I ladri sì e i sindaci no! Cose da pazzi. Tantissimi amministratori pubblici ci chiedono il riequilibrio di questa ingiustizia. Non si può essere rei a vita. Ma ci sono anche sentenze della Cassazione che spingono in tal senso". Sempre Mastella: "Poveretto. È venuto da me sconvolto e sconfortato, e gli ho dovuto fare coraggio. Fino a prova contraria è una persona perbene. Ha ideato questo comma solo per evitare una via crucis a tanti amministratori locali, cosa che ho anche tentato di spiegare a Prodi. Ma oramai si era scatenata la gazzarra su Fuda, visto come il diavolo tentatore 98


e diventato famoso per una cosa che infame non è. Gli hanno buttato fango addosso solo perché è un brutto anatroccolo del Sud". Tutti per uno, uno per tutti. Nel frattempo, Francesco Storace presenta un emendamento (n. 1102: "Il Governo rende noti... i nomi dei cittadini italiani che avrebbero beneficiato della norma contenuta nel comma 1343 della legge finanziaria 2007") volto ad individuare il responsabile materiale dell'inserimento del comma nel maxiemendamento attraverso una vera lista di proscrizione. Ma se lo vede bocciare con l'apporto fondamentale dei voti dei senatori leghisti e forzisti. Tutti motivati dalla contrarietà alla "procedura che sottintende". È una minaccia allo Stato di diritto ed alla legalità, secondo Centaro. C'è un forte "fumus di incostituzionalità" perché mette Parlamento e Governo nelle mani di un potere terzo, le magistrature, afferma l'ex Guardasigilli Castelli.

ATTO III i febbraio 2007. In occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario, il Procuratore Generale della Corte dei conti De Rose fa una stima del costo del comma Fuda per l'erario, se fosse stato approvato: 900 milioni di euro che sarebbero potuti arrivare anche a 3 miliardi4 . Strano conto, se si pensa che si tratta di giudizi pendenti. Ma si sa che i procuratori si sentono sempre accusatori e giudici. maggio 2007 La Gogna: cui prodest? La storia del comma infame dovrebbe essere finita. Diciamo: morta e sepolta. Invece no. C'è la gogna tentata. Notizia del Sole 24 Ore: in Senato, un elenco di 3.800 nomi in trecento pagine per mettere in fila i nomi dei beneficiari del comma Fuda. Consultabile in loco ma non riproducibile. La Corte dei conti l'ha consegnato alla Commissione Affari costituzionali (con molti omissis) a seguito di un'interrogazione parlamentare al Governo (tra gli altri, i senatori forzisti Palma e Centaro, nel corso delle sedute n. 67 del 23 gennaio e n. 98 del 31 gennaio 2007). Agli onorevoli dell'opposizione che hanno contestato la decisione di segretare la lista della vergogna (Palma, Villone e Calderoni, il quale ha parlato di "omertà di Stato"), Marini ha risposto adducendo una ragione: non dare in pasto alla stampa - ed alla pubblica piazza - "un elenco così grande di amministratori nelle situazioni piui diverse". 99


Il maggiordomo o un «oscuro frnzionario" (alias: chi ha incastrato Fuda?). Alla fine della storia, il quesito "chi ha inserito il comma infame nell'ultima stesura della finanziaria?" non ha trovato risposta. Giustamente, si può dire. Essendo un quesito di assai scarso rilievo. Calderoni ha detto: "è sorta in me la convinzione che il colpevole è stato, come in tutti i gialli della migliore tradizione, il maggiordomo". Nel balletto delle ipotesi di colpa non sono affatto mancate quelle di misteriosi funzionari ed altre ignote presenze che si aggirano per le aule dei Palazzi. Dice Di Pietro (La questione morale, Il Corriere della Sera, 5 gennaio 2007): "solo un funzionario governativo poteva fare una roba del genere. Il mandante politico, poi, è da scoprire. Intanto voglio il nome del funzionario che ha tradito Parlamento e Governo. E che va cacciato subito via. Ho sventato il colpo di spugna che si voleva realizzare con quel comma". Secondo Vegas (Fi), già sottosegretario al Tesoro, la caccia al funzionario mira a coprire la responsabilità politica di chi ha firmato, "il quale potrà anche non aver letto il testo - è già successo - ma, ai sensi dell'articolo 28 della Costituzione, se ne deve assumere tutta la responsabilità politica. Non ci si può nascondere dietro una foglia di fico". Così anche Palma: "Senza fare il gioco delle tre carte, la responsabilità politica risiede nel fatto di avere inserito nella legge finanziaria un atto di grave irresponsabilità e poco importa, senatore Storace, sapere chi è il funzionario". Ad entrambi risponde Castelli: "È chiaro che questo emendamento è stato pensato da qualcuno del Governo che ha ordinato a qualche funzionario di introdurlo nel testo e quindi esisteva una responsabilità precisa. È del tutto ovvio, senatore Vegas, che la responsabilità politica è del firmatario del maxiemendamento, ma così facendo sarebbero emerse anche delle responsabilità personali che poi avrebbero innescato da parte del colpevole, funzionario o meno, la necessità di fare il nome dell'uomo di Governo che ha scritto l'emendamento. Forza Italia in questo modo ha impedito che ernergesse la verità. È un atteggiamento davvero sconcertante, che non riesco a capire NON CI RESTA CHE...

E qui facciamo il punto. Una questione che poteva essere chiusa subito, con un rigoroso richiamo al citato art. 11 della legge n. 468 - rimasto il comma comunque in piedi per le mere tecnicalità connesse alla necessità del voto di fiducia sulla legge finanziaria entro tempi certi - è diventata 100


l'esempio, ormai mortificante per le istituzioni, di uno sproloquiare a vuoto senza mai sapere di che cosa si parla. Tutti avvinti nelle logiche di quel cortile delle comari cui tanto spesso da teatrale rappresentazione il Parlamento e più in generale l'area politica italiana. Nelle pagine e pagine dei resoconti parlamentari non c'è altro che questo: polemiche e strascichi di polemiche. Niente di serio in merito alla responsabilità amministrativa come questione sulla quale fare riflessioni necessarie e fornire risposte certe. Niente sulla funzione (e sui modi di svolgerla) della Corte dei conti nel. merito.

Quello che gli altri non dicono. In queste avvincenti variazioni del dibattito parlamentare (vogliamo chiamarle così?), nessuno sembra essersi accorto dei reali problemi: l'uso improprio ed incostituzionale della legge finanziaria (così come del ricorso e dell'abuso di altri strumenti normativi non idonei alla materia da regolare ed alle finalità da perseguire) per introdurre norme di carattere ordinamentale senza incorrere nel rischio del dibattito in Commissione ed in Aula (di questo si è già parlato sulle pagine di questa rivista. Da ultimo, cf. n. 144 del 2007); l'insoddisfatta necessità di una soluzione che dia certezza in materia di responsabilità contabile di pubblici amministratori e funzionari. Dalla legge n. 20 del 1994 che portò la prescrizione da dieci e cinque anni, eliminando la colpa lieve dall'alveo della responsabilità, le cronache registrano un solo tentativo di rispondere a questa esigenza, per vie (appena) più idonee ed appropriate: il decreto legge n. 543 del 1996, convertito in legge n. 639 del 1996 (in particolare, v. art. 3, comma i e 4 sull'azione di responsabilità, che vanno ad integrare e correggere l'articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20). Tuttavia, non si può certo dire che l'incertezza attuale sulla decorrenza del termine per l'esercizio dell'azione di responsabilità serva a qualcosa se non a scoraggiare un'azione amministrativa che non segua i percorsi più tradizionali e sicuri, fuori di ogni innovazione, o a suggerire espedienti sempre nuovi di difesa o di attenuazione della responsabilità. Est modus in rebus. Una breve ma assai autorevole testimonianza a proposito delle disfunzioni del Parlamento in materia di responsabilità amministrativa è quella di Valerio Onida5 , già presidente della Corte costituzionale (2004-05). A suo parere, lo scandalo non è, tutto sommato, nel ricorso a disposizioni inserite nella legge finanziaria annuale per modificare il regime della responsabilità per danno erariale davanti alla Corte 101


dei conti (vanno ricordati i commi 231-233 della legge finanziaria per il 2006, n. 266 del 2005, sui sistema di "patteggiamento" in appello, "con riduzione della condanna entro il 30% del danno, ma a discrezione della Corte dei conti, per coloro che in primo grado siano stati condannati"), quanto invece nella generale inconsapevolezza del Parlamento di quanto stava accadendo, mortificandone il ruolo e, aggiunge Napolitano 6, distorcendo la formazione delle leggi in un ambito essenziale quale quello del bilancio dello Stato. La stessa Corte, in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario 2007, ha detto basta a provvedimenti estemporanei del Governo e dei Parlamento, che non siano supportati da "adeguata analisi". "Al Governo e al Parlamento - ha detto il Procuratore generale Claudio De Rose - devo manifestare l'esigenza che alle modifiche e innovazioni legislative concernenti la Corte dei conti, tanto sui versante del controllo quanto su quello della giurisdizione, non si giunga con provvedimenti normativi estemporanei, se non addirittura improvvisati, per di più inseriti in contesti inappropriati". Le eventuali innovazioni dovranno invece essere inserite in "disegni di legge organici, supportati da un'adeguata analisi della realtà di fatto e di diritto su cui vanno ad incidere". C'è però da dire che all'orrendo patteggiamento in appello la Corte si è accomodata, forse perché è, in definitiva, nella logica di quel "potere riduttivo" (dell'entità del risarcimento) che appartiene al suo vecchio dna di giurisdizione "patriarcale", come la chiamò Massimo Severo Giannini nel famoso saggio del 1963 intitolato Discorso generale sulla giustizia amministrativa.

Ilincombenza della giustizia contabile. Un merito a Mastella va infine riconosciuto: l'aver individuato - nella solerte intenzione di difendere Fuda e distoglierne le attenzioni morbose di stampa, onorevoli e cittadini - il fulcro del vero dibattito nel rapporto tra norme e sistema di controllo amministrativo (deficitario) e giurisdizionale (intempestivo). La prescrizione degli illeciti contabili è un problema frusto. Se è vero che non appare ragionevole l'imprescrittibilità, tuttavia la giustizia contabile deve operare con adeguata severità e celerità, in ragione dell'assenza di un controllo preventivo e consultivo adeguato, di supporto alle decisioni dei pubblici amministratori in campo contabile. Anche perché, come illustrato nella sent. n. 3198 del 2006, può capitare che la Corte dei conti (sezione giurisdizionale della Sicilia) commini una sanzione pecuniaria anche se la delibera (si 102


tratta, nel caso, dei consiglieri del Comune di Catania) non ha avuto effetto (perché la Cassa depositi e prestiti ne ha bloccato la procedura). La condanna, pertanto, non riguarda il risarcimento di un danno erariale, ma serve a punire "una condotta pericolosa per i sani equilibri della finanza pubblica e per la sana gestione finanziaria". Esempio clamoroso di come quando il giudice, a sua discrezione, lo ritenga opportuno - si tiene conto del momento genetico (la condotta produttiva di un danno) e non del concreto materializzarsi del danno. Insomma, la Corte potrà mettersi al riparo da probabili nuovi "incidenti" redazionali lavorando bene e coerentemente, e contribuendo essa medesima ad impostare una compiuta definizione legislativa della materia. Sapendo che poi sono poche le somme recuperate, come risulta dalle sue stesse denunce. Rimanere ad interpretare semplicemente il Babau 7 degli amministratori e dei dirigenti pubblici non è poi un esito brillante. È la stampa, che tristezza! Calato il sipario sulle cronache parlamentari, resta un'(altrettanto) amara ma facile considerazione in merito alla stampa che ha ospitato e riprodotto ogni minima dichiarazione, senza mai premurarsi di selezionare una diversa - più utile e pertinente - chiave di lettura ed interpretazione del caso. Anzi. Le prime pagine dei principali quotidiani, da la Repubblica a il Corriere della Sera passando per La Stampa, hanno rincorso onorevoli, ministri ed informatori, titolando per settimane a proposito di fantomatici "reati contabili". Poco importa che la responsabilità amministrativa sia pacificamente ed unanimemente rubricata una fattispecie sanzionabile della responsabilità civile, contrattuale o extracontrattuale (se ne discute). Basta che un giovane di redazione, magari neo-laureato in giurisprudenza, faccia qualche riscontro sui manuali (è facile!). Il mito statunitense del citizen journalism, del watch-dogè sempre più un'utopia. Niente affatto creativo e rigenerativo, quando paragonato alla realtà. Realtà di politici e giornalisti che, per dirla con il principe Totò, non sanno "per andare dove devono andare, da che parte devono andare

Sorpresa finale: Fuda, i reati contabili li ha inventati lui! Stavamo per chiudere questa ricostruzione dando a ciascuno il suo, contenti di aver ripristinato la reputazione del senatore Fuda. Quando abbiamo letto, negli atti parlamentari del 31 gennaio (seduta n. 97), quel che segue: "E stato detto infatti che la proposta ridurrebbe il termine pre103


scrizionale allo scopo di operare un colpo di spugna per i reati contabili, mettendo così a rischio quasi 70.000 processi" (uno); "Si tratta pertanto di una norma non applicabile a tutti i reati contabili, ma soltanto ai giudizi..." (due); etc.. Ma allora, senatore, come la mettiamo? Anche lei pensa che la Corte dei conti giudichi di reati? Siamo sbalorditi. La situazione, certo, non è seria. È veramente disperata.

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Nelle parole del Sottosegretario Lettieri: "Intervenuta la determinazione di espungere dal testo già elaborato le norme sulla prescrizione della responsabilità amministrativa, si è proceduto ad una ricerca informatica". Così Pastore (Fi): "è stata compiuta una ricerca in base ai programmi del computer, sulla voce Corte dei conti; si sono cancellati i commi, guardate, forse più significativi e più importanti dell'emendamento. Però, ahi noi, alla voce Corte dei conti non è stato messo in evidenza il primo pezzo dell'emendamento che contiene, invece, l'amnistia". Senato della Repubblica, Commissione Affari costituzionali (la), seduta di martedì 23 gennaio 2007, n. 67. 2 "La legge finanziaria non può contenere norme di delega o di carattere ordinamentale ovvero organizzatorio". CE ANTONIO Di PIETRO alla stampa: "Abbiamo riparato un grave errore, anche se io non credo che si sia trattato di errore, ma di un tentativo truffaldino di indurre in errore le istituzioni, con l'aggravante del 'nottetempo". ' "Il Procuratore Generale della Corte dei conti ha confermato, anzitutto, che i dati sono necessariamente approssimativi; essi si basano su criteri oggettivi e prudenziali e fanno riferimento sia al numero dei procedimenti suscettibili di pronunce di prescrizione e conseguente estinzione dei processi, sia all'ammontare complessivo delle condanne già pronunciate in primo grado: sulla base dei dati relativi al periodo 2001-2006, il numero dei giudizi destinati 104

all'estinzione sarebbero 3475, con un ammontare complessivo delle condanne pari a più di 814 milioni di euro, a cui si deve aggiungere la rivalutazione monetaria, gli interessi legali e le spese di giustizia per un'incidenza media del 20 per cento. Si dovrebbero considerare, inoltre, gli effetti a regime, cioè i giudizi non ancora definiti in primo grado, pari a circa 90.000 casi, nonché quelli che non si aprirebbero neppure per l'abbreviazione dei termini di prescrizione. La mancata conversione del decreto-legge n. 299, quindi, produrrebbe una riduzione dei risarcimenti di danno erariale di vari miliardi di euro, in ogni caso non inferiore a tre volte l'ammontare suindicato. Il Procuratore Generale della Corte dei conti sottolinea anche il rischio che l'entrata in vigore del comma 1343 vanifichi il recupero di ingenti importi, come i 32 milioni di euro versati dal Comune di Roma in esecuzione di una condanna, e sottolinea che la funzione di garanzia della giustizia contabile va oltre il calcolo quantitativo dei recuperi finanziari e si connota di valori di tutela e di ripristino della legalità, con effetti monitori nei riguardi dei disonesti e degli incapaci e di giusto riconoscimento delle doti di onestà e capacità professiònale che invece prevalgono negli appartenenti alla Pubblica amministrazione". Senato della Repubblica, Commissione l, seduta del 30 gennaio 2007, n. 71.

V. ONIDA, Va abbandonata questa legislazione fatta di espedienti, «il Sole240re», 28 dicembre 2006, p. 5


6 Cf. Discorso augurale del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, alle Alte Magistrature dello Stato, Palazzo del Quirinale, 20 dicembre 2006. 7 Figura mitica dell'immaginario folkorico ri-

salente alle memorie delle invasioni saracene del IX-X secolo, spesso utilizzata per spaventare i bambini. Essere indefinito, uomo nero, spauracchio, strumento pedagogico nella cultura popolare.

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queste istituzioni n. 144 primavera 2007

La trasparenza impossibile: note sulla riforma (continua) della legge 241 di Claudia Sensi

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a dinamica dell'alternanza politica, concretizzatasi in Italia dal 1996 ad oggi, è stata salutata da diversi commentatori come un elemento positivo per un Paese come il nostro, caratterizzato da quasi mezzo secolo di sostanziale immobilismo della classe politica di governo. La concorrenza reale, effettiva, tra schieramenti di diversa impostazione strategica, ma reciprocamente riconosciuti come legittimi competitori alla responsabilità di governo, è una componente imprescindibile del modello democratico. Ma non basta a garantirne una reale effettività. Come ha ricordato Giovanni Vetritto in un suo editoriale, "Alla fine dell'età della Costituzione"!, le maggioranze di governo succedutesi, appunto, dal '96 fino ad oggi hanno sempre più impoverito il valore della Carta costituzionale e si sono dimostrate, senza soluzione di continuità, insensibili a quel galateo istituzionale che altri Paesi occidentali promuovono per evitare i danni di una logica dell'alternanza basata sul "the winner takes it all'. Invece, in Italia, ogni vincitore pensa soprattutto a rimuovere o modificare la formazione, anche quella più generale e di contesto, elaborata dal governo precedente. Lo si sta facendo con la legge di riferimento per l'azione amministrativa, la legge n. 241 del 1990. La legge che ha, pur con fatica e qualche contraddizione, realizzato, dopo quasi mezzo secolo, i principi costituzionali in tema di pubblica amministrazione, e, proprio per questo, diviene di volta in volta oggetto di riforme e modifiche, forse anche utili, ma comunque impeditive di un consolidamento temporale delle culture e delle prassi operanti nel concreto svolgersi del lavoro amministrativo.

L'autrice collabora alla cattedra di Diritto amministrativo presso la Facoltà di Scienze politiche all'Università degli studi Roma Tre ed è consulente della Ques.i.re . 106


Tutte le legislature ed i governi, sin dal 1991, si sono voluti occupare della legge n. 241/1990. Ad una prima lettura dell'intensissima, diremmo pervicace, volontà riformatrice si potrebbe pensare che le modifiche siano riconducibili alla necessità di fornire all'azione amministrativa una maggiore tempestività ed efficacia, in uno scenario caratterizzato dalle sfide per la globalizzazione e dalla diffusione delle tecnologie dell'informazione. Ma quello che sembrava un paradosso che avesse investito il solo istituto della "Conferenza di servizi", modificata (almeno) sei volte dalla sua origine2 , sembra essere stato esteso all'intero impianto della normativa. Non basta. Oggi assistiamo a ben due disegni di legge di riforma della legge n. 241/1990. Ilddl Ac1428, (Capezzone ed altri), "Sostegno alle Regioni ed agli Enti locali nell'attuazione della Riforma costituzionale", propone di modificare l'art. 19 della legge n. 241/1990, potenziando lo strumento della dichiarazione di inizio attività, ed autorizza il Governo ad emanare un regolamento modificativo del d.PR n. 447/1998, per estendere il ricorso all'autocertificazione ed alla DIA (dichiarazione di inizio attività), per semplificare il procedimento ed abbreviare i termini. Il ddl del ministro della Funzione pubblica Nicolais, "Disegno di legge in materia di efficienza delle amministrazioni pubbliche e di riduzione degli oneri burocratici per i cittadini e per le imprese", addirittura, ne modifica completamente l'impianto, promuovendo anche deleghe incisive per riforme di altri fondamentali impianti normativi, introducendo, tra l'altro, forme di risarcimento obbligatorio al cittadino, come conseguenza del ritardo dell'amministrazione nella conclusione del procedimento, la cui rilevanza avrebbe bisogno di un approfondimento a sé. La Pubblica amministrazione, nella versione tradizionale del cosiddetto "Stato di diritto amministrativo", impersonava un interesse pubblico esterno, e, in larga misura, avvertito come sostanzialmente contrapposto a quello dei cittadini. L'amministrazione agiva, perlopi1, tramite provvedimenti unilaterali ed imperativi che si atteggiavano quale astratta espressione di potere nei confronti degli amministrati, rispetto ai quali gli stessi potevano vantare scarsi e non ben definiti poteri di intervento. Essa veniva quindi considerata un'entità sovraordinata ed estranea al concreto contemperamento degli interessi privati, la cui notevole autorità (quando non autoritarismo) era percepita nell'esperienza concreta quale arbitrio: il provvedimento si caratterizzava spesso come beneficio, in questo modo 107


svuotando completamente il senso del principio di legalità, trasformato in mero adempimento di requisiti formali 3 . Nei destinatari dell'attività amministrativa si è quindi diffusa la convinzione che la stessa emissione di atti amministrativi costituisca una sorta di benevolenza o di favore, (o in un'ingiustificata violazione dei propri diritti, in caso di provvedimento negativo), con un sostanziale svuotamento delle aspettative ed un progressivo depotenziamento delle tutele. La vocazione autoritativa della PA non può oggi resistere alla democratizzazione dell'amministrazione, o, più in generale, all'aggiornamento dello Stato di diritto in senso sociale pluralistico e della stessa nozione di interesse pubblico. Un lungo percorso ha portato prima la dottrina e la giurisprudenza, poi il legislatore ad individuare nuovi modi di concepire e strutturare l'amministrazione e la sua azione. La trasformazione dell'amministrazione si determina sulle coordinate, non solo della garanzia, ma anche della partecipazione e della consensualità delle parti destinatarie del provvedimento finale, che ne appaiono conseguenze necessarie. Si è delineato così il profilo di un'amministrazione democratica progressivamente più aperta alle istanze ed ai contributi della società e ad una gestione del pubblico in grado di còntemperare eguaglianza e potere 4 . E le istituzioni di diritto positivo tengono conto di questa evoluzione. In questa prospettiva la legge n. 241 del 1990, come novellata, costituisce ben più di una legge sul procedimento amministrativo e si caratterizza correttamente come una legge generale sull'azione amministrativa tout court. La legge 11 febbraio 2005, n. 15 5 ha, infatti, inserito nel corpo della 241 elementi forniti dalla giurisprudenza, ma anche una serie di indicazioni ed orientamenti presenti nella riforma costituzionale del Titolo V (contenente la costituzionalizzazione del principio di sussidiarietà), e di quelle della Presidenza del Consiglio dei ministri, delle autonomie locali e del pubblico impiego, che costituiscono il segno di discontinuità certamente decisivo nei confronti dello Stato amministrativo. In dette riforme, complessivamente, trova affermazione una nuova definizione del ruolo dell'amministrazione quale gestore e garante dei diritti sociali (di servizio e di prestazione) e di strumento della democrazia costituzionale. UN'pav1MINIsT1zIoNE APERTA E DEMOCRATICA

Il procedimento amministrativo si apre, quindi, alla composizione dinamica dei diversi interessi - pubblici e privati - che in esso trovano rappre108


sentazione e reciproco bilanciamento secondo un aggiornato rapporto fra autorità e libertà. Il decentramento, la deconcentrazione, la semplificazione, sul piano del procedimento amministrativo determinano lo spostamento del baricentro dall'atto come esito finale, all'attività di.preparazione ed elaborazione della scelta: il procedimento diviene pienamente la forma della funzione amministrativa, di per se stessa valutabile e misurabile, per cui il giudizio non è più (solo) sull'atto, ma sull'iter stesso di formazione della decisione. Anzi, a ben vedere, ciò che caratterizza l'attività amministrativa diviene lo stesso svolgersi di un procedimento, che non postula necessariamente un atto amministrativo conclusivo, ben potendo chiudersi, ad esempio, con un accordo, con una convenzione, all'interno della quale, soggetti pubblici e privati, si trovino in condizione di sostanziale equiparazione. Già dai primi articoli della legge 11 febbraio 2005, n. 15 si può notare come la novella abbia tra i suoi obiettivi principali di favorire il cittadino che entra in contatto con la Pubblica amministrazione ed il creare una serie di garanzie atte a tutelano da eventuali abusi dei soggetti pubblici. Prima ancora di scendere nell'esame del testo dell'articolo i è necessario considerare la modifica del testo della rubrica dove accanto alla dicitura "Principi" viene specificato che si tratta di principi generali che attengono a tutta l'attività amministrativa, ovvero ad ogni comportamento attraverso il quale la Pubblica amministrazione manifesta la propria volontà. In questo modo viene ampliato il campo di riferimento della legge, non limitandola esclusivamente ad atti e provvedimenti, ciò a sottolineare quanto già noto in dottrina. Il testo dell'articolo 1 della legge, come ora novellata, si riferisce a tutti i principi generali che regolano lo svolgersi della attività amministrativa. Si mantiene fermo, esplicandone la natura sostanziale, il principio di legalità ( Lattivita amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ) e lo si estende, assumendo finalmente piena consapevolezza delle conseguenze relative al diritto amministrativo interno della partecipazione italiana all'Unione europea, inserendo, nel comma 2, il rispetto dei principi dell'ordinamento comunitario. In tal modo viene codificato ciò che era stato già introdotto nell'ordinamento dalla legge 57/1997, art. 20, comma 8-lett. e), "adeguamento della disciplina sostanziale e procedimentale dell'attività e degli atti amministrativi ai princìpi della normativa comunitaria, anche sostituendo al regime concessorio quello autorizzatorio". 109


La principale novità apportata all'art. 1, comma 1, dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15 risulta però realizzarsi nella codificazione della trasparenza come regola a cui deve attenersi l'agire pubblico. In questo modo viene esplicitato ciò che fino ad ora era implicito e già da tempo riconosciuto come tale dalla prevalente dottrina e giurisprudenza. L'enunciazione positiva del criterio di trasparenza comporta che, se l'azione amministrativa deve svolgersi secondo modalità estrinsecate nella legge stessa le quali assicurino una reale accessibilità e conoscibilità da parte dei soggetti aventi diritto, (quest'ultima parte richiama espressamente il preesistente principio di pubblicità, rafforzandolo), tuttavia deve anche svilupparsi in modi che siano idonei a consentire il controllo democratico dell'attività, e soprattutto permetta ai soggetti in qualche modo coinvolti nel procedimento, di informarsi sulle modalità procedurali adottate, di conoscere, in ogni fase del procedimento, le motivazioni dell'azione amministrativa, e quindi di realizzare una partecipazione consapevole all'iter procedurale. TRASPARENZA PER L'IMPARZIALITÀ

Come risulta da tale assunto, la normazione positiva della trasparenza va a rafforzare i già codificati criteri di pubblicità e partecipazione. Gli stessi criteri rappresentano, quindi, la modalità di attuazione concreta del principio di imparzialità sancito dall'art. 97 della Costituzione. L'Amministrazione nel perseguire l'interesse pubblico si pone in una posizione inter partes, deve valutare cioè tutti gli interessi, sia pubblici che privati, coinvolti nell'emanazione di un provvedimento amministrativo. In ordine al criterio di trasparenza, non si può non prendere atto che, nella legge sul procedimento ante riforma, il riferimento positivo a tale criterio compariva solo all'art. 22, laddove veniva individuato come finalità del diritto di accesso la "trasparenza" e lo svolgimento "imparziale" dell'attività amministrativa. Ora la trasparenza, da finalità, si atteggia, pit correttamente, quale strumento, quale prassi metodologica per il raggiungimento delle finalità, costituzionalmente sancite, dell'imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione. In questo senso la giurisprudenza amministrativa ha più volte collegato il diritto di accesso e di partecipazione al concetto di trasparenza (ancorché non positivamente normato). Quindi, è più volte intervenuta, valo110


rizzando il principio di trasparenza come elemento fondamentale all'interno del rapporto tra pubblica amministrazione e soggetti privati. Vale ad esempio ricordare l'affermazione che: "Dopo l'approvazione della legge 7agosto 1990 n. 241 non èpiù ammissibile un'attività svolta da un organo della Pubblica amministrazione che non dia conto in maniera trasparente delle scelte operate; pertanto il procedimento deve essere improntato ai seguenti principi: 1) rispetto del principio d'informazione, che impone le comunicazione dell'avvio del procedimento nei confronti del soggetto che risulterà destinatario dell'atto conclusivo di Amministrazione attiva posto in essere dall'organo procedente; 2) accettazione del contraddittorio con i destinatari dell'atto; 3) tentativo di contemperare gli interessi pubblici e privati coinvolti nella vicenda amministrativa (TAR Liguria, Sez.t I, 30 aprile 1997n. 190). Si sottolinea poi come la stessa giurisprudenza abbia rilevato come "l'art. 7 1. 7 agosto 1990, n. 241, che sancisce la partecipazione dell'i nteressato all'azione amministrativa, concretantesi nel rispetto dei principi del giusto procedimento e della trasparenza, ha una portata generale che non ammette deroghe se non nei casi espressamente previsti" (TAR Lombardia, sez. Brescia, 9 marzo 1998, n. 156). Tale obbligo di comunicazione sussiste anche nell'ipotesi di atti in qualche modo vincolati e fondatÌ su presupposti (quale può essere un accertamento circa la rispondenza ai requisiti essenziali) verificabili in modo immediato ed univoco (TAR Lazio sez. III, 14 maggio 1998, n. 1093). COME SI REALIZZA LA TRASPARENZA

Si vuole qui ricordare come l'introduzione del principio di trasparenza vada di pari passo con la quasi totale riscrittura della disciplina dell'accesso, istituto che pii'J di ogni altro mirava a realizzare la pubblicità, (e allora anche.la trasparenza), dell'operato della PA, e definito ora, nel solco di una giurisprudenza costante, principio generale dell'attività amministrativa. Ed è quindi anche nella nuova regolamentazione dell'accesso che va vista la ratio giustificatrice dell'introduzione all'art. 1 comma 1 del principio di trasparenza. Come si è visto, prima della novella, la trasparenza si palesava quale criterio elaborato in dottrina e giurisprudenza, che trovava nel principio di pubblicità un valido, ma ancora relativo strumento di attuazione, mentre oggi ha trovato riscontro positivo, oltrechè nella codificazione all'art. 1, 111


nei modi previsti dagli artt. 22, 23 24, 25, 26, 27, 28 della legge 241/90 come novellata dalla legge 15/05. Infatti il nuovo art. 22 comma 2 legge 241/90 afferma che l'accesso ai documenti amministrativi "costituisce principio generale dell'azione ammi nistrativa alfine di favorire la partecipazione e assicurarne l'imparzialità e la trasparenza". Questa affermazione, vista in combinato disposto con il nuovo art. 1, comma 1, porta a fare dell'accesso uno strumento di realizzazione diretta della trasparenza, (ferme restando ovviamente le norme sulla partecipazione procedimentale che attengono e mirano anch'esse alla conoscibilità della procedura amministrativa). Ossia, col nuovo disposto mentre la trasparenza mira a rendere conoscibile all'interessato gli atti del procedimento che lo riguarda (per il tramite del diritto di accesso), la pubblicità, invece, attiene al rapporto tra la PA e la generalità dei consociati per far sì che essi vengano a conoscenza dei criteri generali dell'agire dell'amministrazione come previsto proprio dall'art. 26, comma 1, legge 24 1/90. Ora, quindi, sono normati entrambi i principi: attinenti uno al rapporto procedimentale interno (trasparenza) e l'altro a quello esterno (pubblicità) tra PA e privati. Tale dinamica va nella direzione della chiarezza, affinché il procedimento amministrativo sia un "giusto procedimento", cioè sostenuto da tutte le garanzie per conformarlo al principio costituzionale del buon andamento. Come esempio, si può ricordare l'art. 8 della legge 241, che infatti stabilisce che debbono essere noti "la data entro la quale, secondo i termini previsti dall'art. 2, commi 2 e 3, deve concludersi il procedimento e i rimedi esperi bili in caso di inerzia dell'amministrazione" e "nei procedimenti ad iniziativa di parte, la data di presentazione della relativa istanza". Quanto alla prima parte, viene rafforzata la conoscenza che i soggetti interessati acquisiscono fin dall'inizio degli elementi occorrenti allo sviluppo successivo del procedimento che li attiene. Per quanto concerne l'introduzione della seconda norma quest'obbligo mette al riparo, almeno potenzialmente, dal rischio che il termine di decadenza si verifichi per ignoranza dello stesso da parte del privato. Ancora. L'art. 10-bis enuncia "(..)prima della formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano all'accoglirnento della domanda. Entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione, gli istanti hanno il diritto di presentare per iscritto le loro osservazioni, eventualmente corredate da documenti. (..)".

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La trasformazione sta nel fatto che nei procedimenti amministrativi avviati per istanza di parte, agli interessati è concesso di presentare eventuali osservazioni e documenti dei quali l'amministrazione dovrà tener conto ai fini della decisione definitiva, obbligo ulteriore a quello precedentemente previsto nella fase istruttoria. Si viene quindi a realizzare un modello procedimentale caratterizzato da un'interazione tra le parti molto incisiva anche nella fase immediatamente antecedente l'emanazione del provvedimento. Lo stesso risulta quindi condiviso dalle parti ed il privato cittadino non potrà più percepire il provvedimento di rigetto quale arbitraria compressione dei propri diritti, ma potrà riconoscerlo quale contemperamento armonico all'interesse pubblico, debitamente motivato, delle diverse posizioni giuridiche sulle quali il provvedimento stesso vada ad incidere. Il nuovo impianto, per il quale si prospetta una riforma a breve proposta all'interno dell'attuale Legislatura, risalta confermare l'impostazione metodologica sottesa all'originaria emanazione della legge sul procedimento amministrativo. La codificazione del principio di trasparenza ed il suo affiancamento a quelli di pubblicità, di àccesso e di partecipazione, intensifica sempre più il processo di trasformazione enunciato in premessa. ALCUNE OSSERVAZIONI SULLEVOLUZIONE DELLA LEGGE 6

La legge 241/1990, come detto, assume il ruolo di una legge di sistema. Il nostro ordinamento non prevede forme di legislazione intermedie fra la Costituzione e la legge ordinaria 7 tuttavia si può pacificamente riconoscere la maggiore rilevanza di alcuni testi all'interno del sistema normativo. Per quanto, dunque, non sia possibile ricondurre a certe norme una forza e una resistenza peculiari, ci si può tuttavia domandare se l'intervento del legislatore non debba essere in questi casi particolarmente accorto. La legge sul procedimento amministrativo e l'accesso è stata più volte modificata8 : alcuni interventi possono essere ritenuti di dettaglio, mentre altri hanno inciso profondamente in istituti cardine come la Conferenza di servizi ed il diritto di accesso. In buona parte gli interventi hanno seguito le regole di una corretta nomotetica; ad esempio evitando la frammentazione dell'atto e quindi novellando lo stesso testo ed inserendo poi le rubriche agli articoli (con la legge 192005). Alcune riflessioni sono necessarie per quanto attiene alle modifiche rav vicinate apportate nel corso dell'anno 2005. Nella mens legis di quegli in,

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terventi appare una certa confusione, documentata dalla necessità di intervenire con un decreto legge a distanza di un mese dalla pubblicazione della legge n. 15/2005, che si proponeva d'essere una novella integrale e coerente della legge n. 241/1990, modificandola e sostituendone interi articoli. Inoltre gli interventi sul testo della legge n. 241 / 1990 sembrano non essere finiti. Per ben due progetti di legge è in corso l'iter di approvazione parlamentare 9 . È opportuno rilevare come l'analisi economica del diritto sottolinei che i comportamenti, soprattutto economici, sono determinati o fortemente influenzati dal quadro delle regole. Ragione per cui si cerca giustamente di modificarli per costruire, conformare, un ambiente normativo adeguato alle prospettive che si vogliono perseguire. Bisogna però non dimenticare che la certezza del diritto resta uno dei principi fondamentali tanto della nostra cultura giuridica quanto di qualsiasi ambiente normativo che si voglia funzionante. Non si può pensare di utilizzare la legge come un qualsiasi strumento di politica economica, soprattutto se questa normativa, come nel caso della legge n. 241 / 1990, costituisce uno degli assi portanti del comportamento del più grande operatore economico del Paese ed il principale filtro del rapporto fra amministrazione e cittadini. Ancora meno è accettabile che si intervenga sulla legge n. 241 / 1990 in chiave quasi propagandistica. Ci si augura che le integrazioni future, pur necessarie alla modifica di determinazioni normative ancora ambigue o non compiutamente realizzate nella pratica, non inc jdano negativamente sui risultati che, questa lenta, ma continua rivoluzione culturale, sta conseguendo. LASPETTO COMUNITARIO: IL PRINCIPIO DEL CONTRADDITTORIO

È ormai acquisita l'effettività di un diritto amministrativo comunitario che interagisce con il diritto amministrativo interno degli Stati membri dell'Unione europea'°. Come è stato evidenziato sia dalla giurisprudenza che dalla dottrina, diverse disposizioni del Trattato, così come la disciplina impartita attraverso i Regolamenti e le Direttive, possiedono un'efficacia diretta nei rapporti amministrativi interni. Per comprendere l'ampiezza dei rapporti amministrativi comunitari basti pensare alla pervasività di materie quali la regolamentazione del commercio, la tutela della concorrenza e quella relativa all'ammissibilità di aiuti e sovvenzioni per lo sviluppo economico e sociale dei territori amministrati dagli Stati membri. 114


La comunità imprenditoriale e sociale è, quindi, ormai da tempo, posta in relazione con l'amministrazione comunitaria e con i suoi organi dotati di competenze imperative sulle posizioni giuridiche soggettive dei cittadini: questo nei termini procedimentali mutuati dal diritto interno dei diversi Stati appartenenti all'Unione. A questo punto, vi è da chiedersi in quale misura la disciplina italiana sul procedimento amministrativo veda confermata nell'ordinamento comunitario la propria sfera di garanzia per le posizioni giuridiche che si qualifichino come diritti ed interessi dei singoli e delle istituzioni plurisoggettive private. L'amministrazione italiana, come premesso, si pone in termini di parità, di equiordinazione, di fronte all'interesse privato: è così anche per quel che riguarda il procedimento amministrativo comunitario? In primo luogo deve notarsi come non esista a tutt'oggi una disciplina positiva del procedimento amministrativo condotto dagli organi della Comunità europea. I termini di una disciplina del procedimento devono quindi essere desunti dalla giurisprudenza della Corte di giustizia europea. Una giurisprudenza copiosa ed in gran parte omogenea, non diretta però, come il modello interno italiano, a definire gli ambiti di relazione tra interesse privato ed interesse pubblico, ma, più specificatamente, ad individuare i casi di responsabilità degli organi amministrativi comunitari per faute de service, che possa configurarsi in termini di comportamento omissivo o commissivo delle istituzioni dell'UE che provochi un danno alla sfera di attribuzioni giuridiche del soggetto privato. Vi è quindi la definizione di ambiti di responsabilità extracontrattuale degli organi amministrativi comunitari, ma non una precisa disciplina del procedimento che limiti e prevenga la possibilità di lesione delle posizioni giuridiche private. Come risulta dall'art. 215 del Trattato e dall'art. 43 dello statuto della Corte di giustizia, la responsabilità extracontrattuale delle istituzioni comunitarie e il conseguente diritto al risarcimento del danno dipendono da un complesso di condizioni relative all'esistenza di un illecito delle istituzioni comunitarie, di un danno reale e di un nesso di causalità tra di essi. Si vuole qui ricordare la posizione espressa dalla Corte di giustizia europea nella sentenza del 10 luglio 2001: Ismeri Europa Srl contro Corte dei conti delle Comunità europee'. Le motivazioni del gravame vertevano appunto sulla lesione del fondamentale principio del contraddittorio che deve sottendere ad ogni ema115


nazione di potere di potestà istituzionale pubblica che possa influire sulla posizione giuridica di un soggetto privato. Nel caso in questione, la Corte dei conti europea, all'interno della relazione speciale n. 1/96, del 30 maggio 1996, sui programmi MED 12 , aveva formulato diverse critiche alla gestione degli stessi, mettendo specificamente in evidenza confusioni di interessi nel sistema generale di gestione. Uno dei soggetti destinatari di diversi rilievi negativi espressi dalla Corte dei conti era la società Ismeri Europa s.r.l., assegnataria di uno dei due uffici di assistenza tecnica per i programmi MED. Per questo motivo la società scrisse alla Corte dei conti per comunicarle le sue osservazioni sulla relazione n. 1/96 e chiederle di rettificare i punti di questa relazione che la concernevano. La Corte dei conti rispose che confermava i suoi rilievi iniziali e si rifiutò di pubblicare la rettifica richiesta. Successivamente, il Parlamento europeo adottò una risoluzione sulla relazione n. 1/96 che acquisiva le notazioni della Corte dei conti, invitando la Commissione ad adottare misure energiche per evitare il ripetersi delle condotte biasimate dall'istituzione di controllo. La società ha quindi adito il Tribunale, richiedendo il risarcimento del danno arrecato alla sua reputazione e del danno derivante dalla risoluzione dei contratti e dal lucro cessante, che essa avrebbe subito in seguito alla pubblicazione della relazione n. 1/96. Come predetto, in merito alla violazione del principio del contraddittorio, il Tribunale, nella sentenza di primo grado ha ricordato che, per far sorgere la responsabilità della Comunità, non basta che sia stato commesso un illecito, ma è necessario anche che venga fornita la prova di un nesso di causalità tra tale comportamento e il danno lamentato. Il Tribunale ha dichiarato che, anche qualora la ricorrente fosse stata invitata a far valere il suo punto di vista sulla relazione prima dell'adozione e della pubblicazione di tale documento, la Corte dei conti non ne avrebbe modificato il contenuto, rilevando che, in ogni caso, uno scambio di informative era intercorso, successivamente alla pubblicazione della relazione, con la società ricorrente e che la stessa Corte aveva provveduto a confermare le sue valutazioni. Il Tribunale ha, di conseguenza, respinto il motivo senza però rispondere alla questione se la ricorrente potesse o meno avvalersi dinanzi alla Corte dei conti del principio del contraddittorio per ottenere il diritto di essere ascoltata prima dell'adozione della relazione n. 1/96. 116


È questo un punto notevole. Il principio del contraddittorio dovrebbe infatti valere prima dell'emanazione di un provvedimento lesivo di interessi privati, e non successivamente, quando l'eventuale danno, in termini di immagine e di perdita di chance imprenditoriali si dovesse essere comunque concretizzato. Per questi, oltre che per specifiche motivazioni di merito, la società propose ricorso alla Corte di giustizia per l'annullamento della sentenza impugnata. E qui le dichiarazioni della Corte di giustizia entrano nel fuoco del tema relativo alla trasparenza dell'azione amministrativa comunitaria. Il rispetto del principio del contraddittorio, che impone di sentire gli interessati prima dell'adozione di una decisione che li riguarda, costituirebbe una condizione fondamentale per l'esercizio di un potere discrezionale da parte di un'autorità pubblica. Tale condizione si imporrebbe, ai sensi dell'art. 206 del Trattato CE (divenuto, in seguito a modifica, art. 276 CE), sia nei confronti delle istituzioni comunitarie sia nei confronti degli altri soggetti di diritto sottoposti al controllo della Corte dei conti. Essa sarebbe anche un elemento necessario della procedura di discarico dinanzi al Parlamento europeo. Da parte sua la Corte dei conti, nella sua difesa, ha ricordato che i tre requisiti per dichiarare accertata la responsabilità extracontrattuale della Comunità, tra i quali figura l'esistenza di un nesso causale tra un illecito ed un danno, sono cumulativi e che il Tribunale non era tenuto a pronunciarsi sugli altri due requisiti se riteneva che uno di essi fosse mancante. La società Ismeri ha contestato alla sentenza di primo grado di avere eluso la questione, centrale secondo la ricorrente, del carattere illecito della mancata applicazione al caso di specie del principio del contraddittorio. E qui si va a riscontrare un'evidente lacuna del sistema amministrativo comunitario rispetto alle garanzie sancite nell'ambito del nostro ordinamento interno. La Corte di giustizia europea ha infatti rilevato come la Corte dei conti non sia tenuta, in base alle disposizioni che regolano la sua procedura, né a sottoporre a terzi i suoi progetti di relazione alle stesse condizioni che essa deve rispettare nei confronti delle istituzioni comunitarie, né a pubblicare, in seguito alle sue relazioni, le risposte degli interessati. La procedura prevista agli arti. 188 C, n. 4, del Trattato CE (divenuto, in seguito 117


a modifica, art. 248, n. 4, CE) e 206 del Trattato ha infatti lo scopo di contribuire a migliorare la gestione finanziaria della Comunità con la trasmissione delle relazioni alle istituzioni e l'elaborazione delle loro risposte. Ora, l'invito a terzi a partecipare a tale procedura non può contribuire all'obiettivo perseguito. Ma il principio del contraddittorio è comunque da considerarsi, ed in questo la Corte accetta i rilievi della ricorrente, un principio generale del diritto di cui la Corte di giustizia assicura il rispetto. Esso si applica ad ogni procedura che possa sfociare in una decisione di un'istituzione comunitaria che pregiudichi sensibilmente gli interessi di una persona'3. "Sebbene' sempre secondo la Corte di giustizia, "l'adozione e la pubblicazione delle relazioni della Corte dei conti non siano decisioni che incidono direttamente sui diritti delle persone in esse menzionate, esse possono avere per queste persone conseguenze tali che gli interessati devono essere messi in condizione di esprimere osservazioni sui punti delle dette relazioni che li riguardano nominati vamente, prima che esse siano definitivamente adottate". E qui il giudice comunitario conferma che la procedura di adozione della relazione della Corte dei conti è stata inficiata da una violazione del principio del contraddittorio. In conclusione, si deve quindi riscontrare come le norme interne sul procedimento amministrativo, come evidenziato all'interno del presente scritto dimostrano costituire una maggior tutela nei confronti dell'azione amministrativa. E questo dovrebbe essere considerato anche nel dibattito relativo alla percezione dei "cittadini europei" nei confronti della "loro" burocrazia.

Cfr. G. VETRITrO in «queste istituzioni», n. 132/inverno 2003-2004. 2 Cfr. art. 2, comma 14, della legge 24 dicembre 1993, n. 537; art. 3-bis, decreto legge 12 maggio 1995, n. 163; art. 17, legge 15 maggio 1997, n. 127, nel testo integrato dall'art. 2, legge 16 giugno 1998 n. 191, poi sostituito dall'art. 9, legge 24 novembre 2000, n. 340; art. 8, legge 11 febbraio 2005, n. 15. 3 Cfr. A. CELOITO, La legge 241 del 1990 no118

vellata tra Stato, Regioni ed Enti locali: un problema ancora aperto, in AA. Vv., La semp4fìcazione tra Stato, Regioni e Autonomie locali. Il caso della legge 241, Quaderni Formez, 50, Roma 2007, p. 33. 4 Cfr. saggio di E SATTA, I soggetti dell'ordinamento. Per una teoria della responsabilità civile della Pubblica Amministrazione, in «Riv. Dir. Civ.» 1977, p. 29, nonché F. BENVENUTI, Funzione amministrativa, procedimento, processo, in


«Riv. Trim. Dir. Pubbl.», 1952, p. 118, e G. L'amministrazione condivisa, in http://www.fondazionedivittorio.it/up/forumdocs/arena.pdf. 5 "Modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull'azione amministrativa", Gazzetta Ufficiale n. 42 del 2 1-2-2005. 6 Considerazioni del dott. M. Di Carlo. Se non per le particolari tutele accordate alle materie escluse dai referendum abrogativi, nelle quali l'elemento determinante è però il contenuto e non la forma, ed altri casi finora marginali. 8 Vedi legge 24 dicembre 1993, n. 537; DL 12 maggio 1995, n, 163 (convertito in legge 11 luglio 1995, n. 273 ); legge 15 maggio 1997, n. 127; legge 16 giugno 1998, n.191; legge 3 agosto 1999, n. 265; legge 24 novembre 2000, n. 340; legge 23febbraio 2001, n. 45; D.lgs. 30

ARENA,

giugno 2003, n. 196, 9)1. 11febbraio 2005, n.15; DL 14 marzo 2005, n. 35 (convertito in legge 14 maggio 2005, n. 80). Cfr. Per un quadro sinottico delle modifiche apportate con gli interventi principali, si veda AA. Vv., La semplificazione tra Stato, Regioni e

Autonomie locali. 11 caso della legge 241, cit., pp. 176 ess. 9 I c.d. disegni di legge Capezzone e Nicolais. IO A tale proposito appare di notevole interesse il volume di M.P. CHITI, Diritto amministrativo europeo, 20 ed., Giuffrè, Milano, 2005, pp. 133-160 (Diritto amministrativo europeo e diritti amministrativi nazionali). Il Ricorso contro una pronuncia del Tribunale di primo grado nella causa C-315199 P. 12 Cfr. Cu C 240, 19 agosto 1996, pag. 1 13 Si veda, in tal senso, sentenza 23 ottobre 1974, causa 17174, Transocean Marine Paint/Commissione, Racc. pag. 1063, punto 15.

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saggio

queste istituzioni n. 145 primavera 2007

Il modello istituzionalista come paradigma per una corretta gestione della proprietà co ll etti va* di Cristiano Andrea Ristuccia

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i tema che mi è stato affidato mi consente due ordini di considerazioni. Il primo di carattere generale sui recenti sviluppi della teoria economica, ed in particolare su quelli della teoria economica istituzionale. Qui farò un discorso a grandi linee, inteso a sottolineare gli insegnamenti ed i suggerimenti che provengono da quest'area di ricerca per quanto riguarda lo studio delle proprietà collettive. In particolare mi riferirò agli studi di Elinor Ostrom ed alla sua opera del 1990 Governing the Commons appena tradotta in italiano. Mi sembra, però, - e questo è il secondo ordine di considerazioni - anche possibile provare a dare un esempio fattivo dell'applicabilità di queste teorie a casi puramente concreti di gestione di risorse comuni. Da storico economico proporrò un'applicazione dei concetti elaborati dalla Ostrom ad una tipologia di agricoltura diffusissima in epoca storica nei Paesi nord occidentali europei a vocazione cerealicola: il sistema dell'openfieldo dei campi aperti. Negli ultimi quindici anni le discipline economiche hanno visto un vero ritorno di interesse verso l'economia istituzionale. E questo riguarda sia la cosiddetta "vecchia" economia istituzionale di marca storicista tedesca ed americana, che la "nuova" scuola di stampo austriaco "alla Menger". Non che quest'area di ricerca fosse mai stata del tutto abbandonata ma sul finire degli anni Ottanta ed in particolare negli anni Novanta i limiti di un approccio allo studio dello sviluppo economico che prescindesse dalle condizioni istituzionali in cui tale crescita avviene divennero sempre pii'i stridenti. Da una parte, teorici come Sen notavano come lo studio delle condizioni istituzionali che presiedono allo sviluppo economico sia fondamentale per capire le ragioni di ritardi e di permanenze nei differenziali di tale sviluppo. La critica è qui ad una teoria economica più tradizionale che vedeva nelle istituzioni solo condizioni di contorno, modificate, in meglio, dalle sorti inevitabili e progressive L'Autore è Yellow e Director of Studies in Economics a Triniry Hall, Cambridge, UK, 121


dello sviluppo stesso ed in quanto tali irrilevanti nel processo di analisi della crescita economica. Secondo Sen l'assenza di condizioni istituzionali che favoriscono l'attiva partecipazione della popolazione di un Paese al processo di sviluppo, non preclude soltanto uno sviluppo equo ma anche lo sviluppo tout court. Inoltre, le condizioni istituzionali ottimali per lo sviluppo non si riducono, come voleva la teoria tradizionale, alla sola assenza di ingerenza della sfera pubblica nel funzionamento del mercato, al laissez-faire, al governo minimo e minimale volto a garantire, al massimo, i diritti di proprietà necessari al funzionamento del mercato, ma al contrario tali condizioni istituzionali ottimali si concretizzano in scelte volte a favorire le capabilities dei singoli, l'abilità dei cittadini di accedere ai mercati e di partecipare ai processi decisionali che rendono possibile lo sviluppo. La non ingerenza da parte di uno Stato minimo non aiuta molto lo sviluppo se i cittadini non hanno accesso ad istituzioni che promuovano sufficienti livelli di istruzione, l'uguaglianza sostanziale fra i sessi, condizioni minime di salute, e l'accesso a processi effettivi di controllo democratico. Il ruolo delle istituzioni non è dunque solo negativo, di assenza, ma fondamentalmente positivo, di incoraggiamento, di promozione, e di garanzia. Non solo questo ruolo più interventista delle istituzioni sarebbe condizione necessaria allo sviluppo, ma secondo Sen sarebbe anche parte dello sviluppo stesso. Così, per esempio, un Paese in cui vi fosse assenza di istituzioni democratiche, o anche solo di istituzioni democratiche che favoriscano un'ampia partecipazione al voto è destinato a vedere un minore sviluppo economico in termini puramente monetari, di PIL. Inoltre, se tale Paese fosse in grado, per assurdo, di ottenere gli stessi tassi di crescita di un Paese compiutamente democratico, non ne otterrebbe lo stesso grado di sviluppo in quanto le istituzioni democratiche sono anch'esse componente essenziale della definizione stessa di sviluppo. Non a caso il lavoro di Sen è stato al centro della definizione di vari indici di sviluppo umano, che si sono concretizzati nel Human Development Index delle Nazioni Unite. Ovviamente il problema con questi indici di sviluppo è la definizione dei pesi da assegnare a ciascuna componente dell'indice. Quanto deve pesare il livello di istruzione rispetto alla reddito pro capite? Quanto deve pesare l'aspettativa di vita rispetto alla presenza di istituzioni democratiche? Quale che sia la risposta a queste domande, risposta che non può che essere soggettiva, qui la critica che viene dal capabilities approach si sposa 122


con le più recenti critiche al concetto di sviluppo stesso che vengono dall'happiness theory, lo studio della felicità. Mi riferisco al fiorire di una letteratura negli ultimi dieci anni, da Layard a Becchetti, che sposta il fuoco dell'attenzione della teoria economica dal concetto di sviluppo in termini di produzione a quello di sviluppo in termini di felicità. Il concetto di sviluppo è stato fortemente associato negli ultimi centocinquanta anni con due ur-misure: prodotto interno lordo e reddito pro capite. Quando governi, media, e pubblico parlano di sviluppo si riferiscono in grande misura, consciamente o no, alla crescita di questi due aggregati. Nel parlare comune il tasso di crescita del Prodotto Interno Lordo è, di fatto, sinonimo di crescita economica. Se le motivazioni di tale stretta associazione, se non intercambiabilità dei termini, sia da ricercarsi nella semplicità di computo o nell'emergere nell'Ottocento dello Stato nazionale ed in particolare della sua nuova centralità nella lotta alla povertà è questione che meriterebbe di per sé una relazione a parte. Qui ci basti notare che oggigiorno le fondamenta stesse di tale associazione terminologica sono messe in dubbio dall'armamentario delle ricerche a campione sul benessere, che dimostrano come, sia a livello aggregato sia a livello individuale, contentezza, soddisfazione e felicità da una parte, e prodotto interno lordo, reddito pro capite ed anche reddito minimo dall'altra non siano affatto positivamente correlati. Semmai emerge la sconcertante constatazione che vi possa essere una correlazione negativa fra di essi. È noto che i cittadini di Paesi con alti redditi pro capite spesso si dichiarano meno felici di altri che vivono in Paesi con livelli di reddito più bassi. Ma fin qui c'è poco da preoccuparsi in quanto potrebbe essere l'effetto di altri fattori esterni che influiscono sul benessere psicologico della popolazione. Ben più preoccupanti sono le ricerche che con sempre maggiore regolarità mostrano come, nonostante vi siano stati sostanziali incrementi nel reddito pro capite di Paesi industrializzati, post-industriali, o di recente industrializzazione, la felicità dichiarata da coloro che prendono parte a queste indagini a campione a vasto raggio sia in costante declino in ogni Paese. Ancora peggio all'interno di ciascun Paese i livelli di felicità, al di sopra di livelli di reddito molto bassi, sembrano non avere nessuna correlazione con i livelli di reddito ed averne molta con altri fattori per esempio con il tempo libero. Eppure i nostri governi si ostinano a perseguire quasi unicamente obiettivi di crescita in termini di prodotto interno lordo e prodotto pro capite e noi ci ostiniamo a lavorare sempre di più per poter portare a casa un reddito maggiore. 123


Per assurdo, proprio mentre la teoria economica trionfante andava sempre più sostenendo il ruolo minimo, negativo di non ingerenza, delle istituzioni preposte al governo delle grandi variabili macroeconomiche - e questo vale sia per le politiche fiscali che per quelle monetarie - il pensiero economico si orientava anche verso un ripensamento in positivo del ruolo delle istituzioni preposte al governo ed al controllo di altri fattori di sviluppo. Questo è il caso per esempio delle teorie di sviluppo endogeno, prettamente neoclassiche nelle premesse. Si pensi a Romer, Aghion, Salay-Martin e Barro che, nel sottolineare l'importanza per lo sviluppo del capitale umano, suggeriscono che le istituzioni debbano (o almeno possano) influenzare in positivo l'accumulazione di questa risorsa - il capitale umano - attraverso una maggiore attenzione al problema della scolarità e dell'istruzione in genere. Si noti che fino a qui abbiamo parlato del ruolo delle istituzioni, adottando per queste ultime un'accezione ristretta, istituzioni con la I maiuscola: governi, governi locali, la sfera politica in genere, lo Stato. E abbiamo suggerito come ci sia un ritorno in vari filoni di ricerca economica ad una sottolineatura della funzione positiva, fattiva, di promozione che tali istituzioni possono e debbono avere nel promuovere lo sviluppo inteso in senso sia di stretta quantificazione del prodotto lordo e del reddito pro capite, ma anche nel senso più allargato di sviluppo o persino di ricerca della felicità. Si noti, però, che questa definizione ridotta e riduttiva del concetto di istituzioni non è quella tradizionalmente adottata dalla teoria economica istituzionalista. Al contrario, l'economia istituzionale definisce le istituzioni in maniera molto più ampia, come tutti quei sistemi di regole durature che strutturano l'interazione sociale. Così, sono istituzioni: la moneta, la legge, i sistemi di misura, le imprese, il sistema di intermediazione finanziaria, il bon ton, le imprese, i governi, le autonomie locali, le proprietà collettive, l'istruzione e la cultura della fiducia reciproca. Spesso istituzioni e cultura sono dunque sinonimi. E che lo studio delle istituzioni, in senso lato in questo caso, debba essere al centro dell'analisi dello sviluppo economico e del funzionamento dei mercati, non può che essere un assunto quasi lapalissiano per uno storico economico. Si pensi, per esempio, non solo alla già citata vecchia scuola di matrice storicista ma anche al Nobel North o Oliver Williamson o infine a Paul David che spesso sono egualmente noti come storici economici e come teorici istituzionalisti. Infatti, senza istituzioni e cultura non può esserci storia e l'invarianza temporale delle interazioni sociali si risolve nel ripetersi infinito 124


di massimizzazioni a-temporali di mercato in cui l'utilità dei singoli è interamente definita dal ritorno economico individuale. Dunque, la rinascita dell'economia istituzionale torna ad interessarsi di culture come fattori di sviluppo. Per esempio, l'importanza del trust, la fiducia, nel promuovere gli scambi e nel favorire l'emergere di strategie individuali che siano allo stesso tempo ottimali e cooperative, e che superino gli equilibri subottimali alla Nash che il solo egoismo, il self-interest spesso provoca in teoria dei giochi. E qui vale la pena citare lo splendido studio di uno storico economico di stampo istituzionalista, come Avner Grief sulle comunità di mercanti medioevali fra il Magreb e il Mediterraneo, in cui lo studioso americano dimostra l'importanza della vicinanza, della familiarità degli operatori, del riconoscersi, senza necessariamente conoscersi, in una certa cultura con particolari codici e norme di comportamento che favoriscono lo scambio e la cooperazione. Qui la cultura è istituzione in quanto routine, e la presenza di routine nel limitare il numero dei comportamenti, delle strategie che i partecipanti aLmercato possono adottare consente di evitare trappole in cui l'egoismo porta al perpetuarsi di risultati economicamente subottimali. Qui le routine sono, in fondo, ripetizioni di giochi attraverso le quali i partecipanti imparano a cooperare e a fidarsi. Queste routine, dunque, si fanno cultura, istituzioni con la i minuscola. Ed è qui che la teoria economica istituzionalista recente produce alcuni dei suoi frutti più fecondi per coloro come noi che si interessano di proprietà collettive. Lo studio dell'economia delle istituzioni indica come uno dei compiti positivi delle istituzioni con la I maiuscola sia quello di favorire l'instaurazione di strutture normative temporanee che nel lungo periodo consentano agli agenti di. sviluppare routine culturali, abitudini, che consentano il superamento delle strutture normative temporanee stesse. Per esempio, la Ostrom nel suo famosissimo Governing the Commons del 1990 suggerisce che le proprietà collettive siano istituzioni, spesso inizialmente garantite dall'alto, cioè istituzioni con la I maiuscola, ma che col tempo favoriscono lo svilupparsi di norme comportamentali cooperative che - attraverso la familiarità o l'evolversi di una cultura comune, o finanche di conformismi - favoriscono l'instaurarsi di comportamenti di fiducia, di cooperazione cioè di istituzioni che sono sì istituzioni con la i minuscola ma che hanno il grandissimo vantaggio di essere autoregolanti e ottimizzanti. Ovviamente, sottolineare l'importanza del contesto istituzionale sulla crescita economica non significa occuparsi unicamente di sviluppo a li125


vello nazionale ma può anche significare crescita al livello regionale o anche a livello di disaggregazione più spinta come il livello delle comunità locali. Però lo sviluppo non è necessariamente l'unico obiettivo di governo del cambiamento. Sviluppo sostenibile, riproducibilità delle risorse, equità distributiva, e salvaguardia della cultura locale possono, anzi devono essere al centro dell'attenzione per chi come noi si occupa di comunità, del loro governo e possibilmente del loro autogoverno. Qui non si può che tornare a Governing the Commons, una delle opere più importanti del nuovo istituzionalismo economico degli ultimi decenni che finalmente, dopo sedici anni dalla sua uscita in inglese, è stato pubblicato in italiano per i tipi di Marsilio. La settimana scorsa guardavo gli scaffali sull'economia istituzionale nella Marshall Library ofEconomics, una delle biblioteche di ricerca di economia più grandi del mondo. Ebbene a testimonianza dell'importanza fondamentale di questo libro della Ostrom, questa era l'opera con più copie multiple presente sugli scaffali. Molti fra coloro che hanno seguito queste giornate di ricerca trentine negli ultimi undici anni probabilmente conoscono la Ostrom di persona o, se non altro, il suo contributo teorico allo studio delle proprietà collettive. Vale la pena qui sottolinearne alcuni suggerimenti decisivi. Non solo, come appena detto le proprietà collettive possono contribuire al formarsi ed al permanere di comunità di operatori, all'emergere di culture di cooperazione e fiducia che garantiscono lo sfruttamento ottimale del bene (e qui l'ottimalità è soprattutto dovuta alla minimizzazione dei costi di monitoraggio e sanzione). Ma l'analisi Ostromiana va oltre, fino a suggerire che la proprietà collettiva di beni naturali scarsi ne garantisce spesso anche la preservazione nel tempo. Si passa, cioè, da un concetto di sviluppo semplice ad un concetto di "sviluppo sostenibile" garantito dalla cooperazione fra gli operatori che da tale risorsa traggono beneficio. La bellezza e la popolarità della tesi di Ostrom, testimoniata da tanta eco nella letteratura recente, risiede, in larga parte, nel suggerimento liberatorio in essa contenuto che la gestione delle risorse comuni sia non una claustrofobica sequela di rigide scelte dicotomiche (pubblico/privato, organizzazione/anarchia), ma bensì la ricerca di soluzioni ottimali su un continuum di infinite combinazioni possibili e che le opzioni presentate nei tradizionali modelli binari non costituiscano che gli estremi dell'insieme di tali possibili soluzioni organizzative. In particolare, la Ostrom fa notare che nei casi oggetto dei suoi studi il problema fondamentale che gli utilizzatori di un bene scarso e deperibile di uso comune si trovano a 126


dover risolvere è quello di darsi una struttura organizzativa che incoraggi la scelta di strategie individuali cooperative. Giustamente Ostrom nota che in condizioni di incompletezza e di disomogenea distribuzione delle informazioni concernenti la natura del bene oggetto dello sfruttamento, è importante riconoscere che tale struttura può, anzi deve, essere elastica, mutevole e capace di adattarsi alle nuove conoscenze sulla risorsa che gli utilizzatori acquisiscono nel tempo con il continuo uso della risorsa stessa. Strutture eteroimposte hanno spesso il grande svantaggio di essere caratterizzate da procedure rigide, e da processi di decisione ed arbitraggio complessi e protratti nel tempo. Al contrario, gli utilizzatori sono spesso in situazioni di vicinanza e familiarità duratura col bene oggetto di sfruttamento che consente loro di darsi strutture organizzative più pronte al cambiamento dinamico e meglio adattabili alle trasformazioni gestionali suggerite dall'emergere di nuove conoscenze. Anzi, Ostrom consiglia di considerare tali strutture organizzative non tanto come una cornice di riferimento statica atta ad ingenerare comportamenti individuali cooperativi ma come un processo partecipativo dinamico. Attraverso tale processo gli utilizzatori divengono al tempo stesso consci dell'interesse comune, capaci di massimizzare i propri utili attraverso sequenze di azioni largamente caratterizzate da cooperazione, nonché compartecipi di un sistema allocativo equo. Il secondo aspetto che ha reso la tesi di Elinor Ostrom così influente nelle scienze sociali nell'ultimo quindicennio è il concetto di local empowerment, concetto tanto caro alla tradizione conservatrice anti-federalista americana, quanto consonante con la linea ambientalista, alternativa, e a volte antagonista, del think giobaily and act locally. Qui non si tratta solo di ciò che in altri tempi sarebbe stato descritto come la possibilità di autogestione delle risorse locali, ma della ben più importante possibilità per tali comunità di definire autonomamente le regole fondamentali di uso/appropriazione del bene comune. Non solo. Ostrom dimostra come nelle inevitabili condizioni di informazione asimmetrica ed incompleta, tipiche delle risorse naturali di sfruttamento comune, la somma del costo di acquisizione delle informazioni necessario a definire tale sistema di regole d'uso, del costo di monitoraggio degli individui che tali risorse usano ed, infine, del costo dell'azione punitiva nei confronti di coloro che tali regole ignorano e trasgrediscono, sia spesso inferiore a quella dei costi in cui si incorrerebbe in situazioni regolamentari eterodirette. E qua il discorso vale sia nel caso in cui tale soluzione eterodiretta sia la privatizza127


zione del bene di uso comune, che nel caso in cui l'intervento esterno si concretizzi nell'imposizione dall'alto di legislazione volta a proteggere la risorsa naturale oggetto dello sfruttamento comune ed a regolarne lo sfruttamento. L'attacco di Ostrom alla dicotomia privatizzazione-socializzazione del bene comune scarso è basato su una serie di intuizioni fondamentali. Da una parte, la possibilità di privatizzare beni comuni del tipo descritto sopra è limitata dalle caratteristiche stesse del bene. Per esempio, spesso è molto costoso imporre diritti di pesca esclusivi: i banchi si muovono, il valore di una particolare area di prelevamento ittico è di difficile determinazione senza dettagliate conoscenze locali, il costo del monitoraggio e prevenzione della pesca di frodo può essere proibitivo per il singolo titolare della licenza di prelievo ittico. In queste condizioni, la privatizzazione dei diritti di sfruttamento produce i comportamenti tipici che portano alla distruzione stessa del bene per sfruttamento eccessivo: free riding, utilizzo miope del bene, assenza di misure volte a preservarne la sopravvivenza nel lungo periodo. D'altro canto, Ostrom giustamente osserva che questo di per sé non significa che l'opposta soluzione - la socializzazione del bene - debba necessariamente essere la risposta ottimale ai problemi che ne impediscono un uso continuato ed equo. Spesso, infatti, i costi per la definizione delle regole e per il loro successivo enforcement sono notevoli. Solo in alcuni casi, relativamente rari, i costi relativi all'acquisizione di quelle informazioni sulla natura del bene stesso che sono necessarie per definire regole d'uso ottimali in termini sia di conservazione del bene sia di massimizzazione del flusso degli utili attesi possono essere definiti come costi di modesta entità. Così come sono inusuali i casi in cui i costi associati alle funzioni di monitoraggio e di sanzione siano sostanzialmente irrilevanti. In altre parole, Ostrom nota che spesso i modelli suggeriti dai teorici della imposizione dall'alto di regole d'uso, sono incompleti perché, ad esempio, non tengono conto del prelievo fiscale o del costo necessario per ottenere una licenza di sfruttamento. Tale dimenticanza sbilancia l'analisi dei costi e benefici a favore dell'intervento esterno da parte dello Stato o della sostanziale privatizzazione del bene. Ma fiscalità e costi di concessione sono necessari a finanziare proprio le funzioni svolte dall'autorità statale per l'acquisizione delle informazioni attinenti alle caratteristiche della risorsa, per la definizione delle regole relative al suo sfruttamento, e infine per 1' enforcement. 128


Si noti che questa opera è anche volta a sfatare il mito della Tragedy of the Commons, la tragedia dei beni collettivi, che tanto profondamente ha informato la teoria economica tradizionale sulle forme proprietarie comuni. Il libro della Ostrom mostra che lungi dall'essere il portato inevitabile delle proprietà collettive, la Tragedy of the Commons può spesso essere evitata, proprio perché tali forme esistono. Attraverso una corretta definizione di norme d'uso collettive si possono evitare conseguenze tragiche non solo per l'esistenza stessa di coloro che sfruttano il 'bene ma anche per l'intera società e talvolta per l'intero genere umano. Come Kurlansky' ha fatto notare in un divertente libro di divulgazione uscito qualche anno fa, il totale collasso dei banchi di merluzzo atlantico davanti alle coste del Canada orientale negli anni Ottanta e nei primi anni Novanta del ventesimo secolo e quello ritenuto imminente sulle coste comunitarie del Mare del Nord, costituisce una tragedia che va ben al di là delle comunità costiere del Newfoundland e dei pescatori scozzesi e inglesi, che su tale pesca fondavano le loro fortune. Per esempio, incide profondamente su usi e costumi culinari millenari e fondanti il sentire comune di comunità che vanno dall'Europa Nord Occidentale (fish and chzs), all'area mediterranea, dalla penisola iberica a quella italiana (si pensi al fatto che il baccalà non è più pietanza popolare ma ricercata raffinatezza per palati fini). E la tragedia va ben oltre aspetti puramente culturali, incidendo profondamente su una delle più grandi concentrazioni di risorse proteiche (appunto, i banchi ittici dell'Atlantico settentrionale) a disposizione del genere umano. Per quanto mi riguarda, voglio qui proporre alcuni spunti che dalla lettura di Governing the Commons si possono trarre, se la lezione di Ostrom viene tenuta a mente in un'area a me familiare: quella della storia agraria europea. La tesi secondo la quale l'abbandono di antiche ed inefficienti forme di utilizzo comune delle risorse agricolo/forestali da parte di un Paese sia condizione necessaria per la sua modernizzazione agricola e, dunque, sia indirettamente presupposto per la prosperità nazionale e persino della sua industrializzazione, è stata al centro del dibattito economico sin dai tempi di Arthur Young, del gruppo degli improvers inglesi e dei fisiocrati francesi a cavallo fra Settecento ed Ottocent0 2 . In Inghilterra il movimento delle Parliamentary Enclosures venne ad assumere un ruolo determinante, se non a dominare, la scena politica inglese del diciottesimo secolo. Da un punto di vista strettamente pratico tale processo consentì l'ulteriore con129


centrazione della proprietà terriera, tanto che fra il 1700 ed il 1800 l'estensione media dei possedimenti terrieri in Inghilterra passò da 65 a 100-150 acri3 . Le premesse teoriche che sostennero l'azione politica degli improvers britannici erano saldamente basate sul profondo convincimento che il tradizionale sistema di rotazione agraria imperniato sull'istituzione dell'open fie1c/ sistema comune a molte economie cerealicole dell'Europa nord occidentale, fosse profondamente inefficiente sia in termini di output che di produttività. Secondo il caratteristico discettare positivista degli improvers (ma lo stesso vale per i fisiocratici francesi), solo una profonda trasformazione in senso privatistico dell'economia agraria inglese avrebbe permesso quegli incrementi in produzione e produttività necessari a garantire l'auspicata crescita economica e demografica del Paese e, da ultimo, a consolidarne lo stato di potenza emergente nel panorama geopolitico del Settecento europeo. Il teorizzato aumento della produttività agricola conseguente alla completa privatizzazione dell' open field si basava sul presupposto che un'agronomia tradizionale basata sui campi aperti, nei suoi aspetti di gestione collettiva del territorio, di cambiamento consensuale e nella sua eccessiva enfasi sul valore primario di usi, costumi tradizionali e diritti acquisiti nel determinare l'appropriazione del prodotto agricolo/forestale, fosse fondamentalmente statica e perciò inadatta a cogliere le profonde trasformazioni che la tecnica agronoma del Seicento e Settecento andava suggerendo con crescente frequenza ed intensità. In altri termini, l'open field era, secondo gli improvers, l'epitome di un'agricoltura inerziale, irrazionalmente avversa al rischio e ottusamente tradizionalista; un'istituzione che ostava alla necessaria trasformazione innovativa dell'economia agraria nazionale. Al contrario, una compiuta proprietà privata della terra avrebbe consentito una maggiore autonomia decisionale da parte dei singoli proprietari. Ciò perché sarebbe stata esaltata la ricerca del tornaconto personale, incentivando di conseguenza l'abbandono di usi del territorio di pura sussistenza a favore di un'agricoltura più aperta al mercato, più monetizzata e perciò più reattiva ad innovazioni nelle pratiche agronome volte ad incrementare raccolti e resa degli allevamenti. Come tale il sistema dell'open field doveva essere superato, se necessario con l'intervento d'autorità del parlamento attraverso le Parliamentary Enclosures. Secondo queste teorie, l'istituto dell'open field era dunque una concrezione del passato, un lascito medioevale indesiderato e pericoloso. La sua rimozione avrebbe liberato l'agricoltura inglese, permettendo quell'espan130


sione nella produzione di prodotti agricoli, in primis cibo, necessaria per la crescita economica in un periodo in cui produzione e consumo di tali prodotti non poteva che avvenire in ambito regionale, se non addirittura locale. La premessa basilare per una tale interpretazione di questa diffusa tipologia di organizzazione agraria era la sua fondamentale rigidità di fronte a cambiamenti nelle tecniche agrarie, dovuta - vale ricordare l'argomento - al carattere collettivo del processo decisionale. Si noti qui che Ostrom teorizza che la sopravvivenza, nel lungo periodo, di forme di sfruttamento collettivo di risorse comuni sia funzione del grado di elasticità dimostrato dalle strutture istituzionali preposte al governo di tali risorse comuni a fronte delle sfide poste da cambiamenti ambientali e trasformazioni tecnologiche 4 . Ora, dato che il sistema dell' open field si trovò a dominare il panorama agricolo di gran parte dell'Europa nord occidentale per parecchi secoli è difficile negare che la sua sopravvivenza, per un periodo così protratto nel tempo, costituisca, essa medesima, l'indice del suo successo come istituzione volta a regolamentare l'accesso a risorse scarse. Poiché fra le sue caratteristiche c'è chiaramente la proprietà comune, si può dire che ad essa si applicano i precetti suggeriti da Elinor Ostrom, incluso quello sulla adattabilità istituzionale come prerequisito per la sopravvivenza ed il successo nell'assicurare l'uso di risorse comuni nel lungo periodo. Dunque, o tali precetti sono da considerarsi obiettivamente insufficienti, o bisogna prendere atto che tale era semplicemente il giudizio negativo espresso dagli improvers convinti dell'insita rigidità del sistema da essi aborrit0 5 . Il sistema dell'open field si può, quindi considerare come un case study fornitoci dalla storia per testare la capacità euristica dell'interpretazione Ostromiana. Per tale verifica è utile presentare un modello schematico, e sottolineo schematico, di villaggio rappresentativo del sistema (Figura 1). Si supponga un villaggio posto al crocevia di due strade che corrono rispettivamente da nord a sud e da est ad ovest. Il territorio del villaggio sarà suddiviso in quattro aree principali nei quadranti NE, SE, So e No. I quadranti a NE, SE e No sono di buona terra agricola. Ciascuno di essi costituisce un open field. Chiaramente il numero esatto di open fields di un villaggio poteva essere maggiore o minore di tre e ciò dipendeva in larga misura dalle caratteristiche orografiche, geologiche e di antropizzazione specifiche a ciascun insediamento. Qui utilizziamo l'ipotesi dell'esistenza di tre soli open fields per motivi di semplicità espositiva pur senza 131


Figura i

perdere di generalità. Ciascuno di questi open fields era a sua volta suddiviso in appezzamenti contigui e paralleli (a gruppi) di forma oblunga. Ciascuno di tali appezzamenti era di proprietà privata ma il suo uso era sottoposto al sistema di rotazione di colture adottato dall'intero villaggio e limitato da diffuse servitù d'uso (generalmente nel periodo fra il raccolto e la semina). Occorre a questo punto aggiungere che il sistema non era necessariamente caratterizzato da un'equa distribuzione della proprietà terriera. Al contrario, il più delle volte la proprietà terriera era altamente concentrata nelle mani di poche persone ciascuna delle quali aveva un largo numero di tali appezzamenti distribuiti sui tre campi (spesso si dava il caso di villaggi dominati da un unico proprietario terriero con la maggioranza dei terreni agricoli). Tipicamente, le proprietà terriere erano caratterizzate da discontinuità territoriale (un certo numero di strisce variamente situate nei tre campi). I vantaggi di una tale disposizione sul terreno derivavano da una minore concentrazione del rischio dovuto all'alta variabilità del 132


raccolto di ciascuna coltura praticata di anno in anno ed alla presenza di microclimi. In sostanza, maggiore era la disponibilità di strisce maggiore risultava la possibilità di distribuirle in modo da minimizzare la variabilità dell'output dovuta ad eventi microclimatici o ad agenti patogeni e infestazioni localizzate. Ciò, peraltro, non escludeva la contestuale presenza di una proprietà agraria di minore entità; così, accanto al caso di grandi proprietari terrieri, si dava anche quello di piccoli agricoltori diretti, magari con un'unica striscia su un singolo openfield. Sia chiaro che qui siamo di fronte a una proprietà privata sottoposta a vincoli d'uso. Dunque, il sistema descritto non deve essere in alcun modo frainteso con una gestione collettivistica del territorio di un passato agrario alternativamente idealizzato o vituperato ma raramente corrispondente alle reali situazioni storiche europee nell'ultimo millennio. Quali che fossero l'entità di ciascuna proprietà e le caratteristiche di gestione (coltivazione diretta, in affitto, etc.), tutto l'arabile era organizzato in strisce di larghezza simile all'interno di openfiel4s e sottoposte agli stessi limiti d'uso. Tali limitazioni d'uso, al centro delle accuse settecentesche al sistema, erano largamente legate ai sistemi di rotazione agraria prevalenti. Supponiamo che il villaggio avesse adottato un sistema di rotazione triennale grano/orzo/maggese. In un dato anno tutti gli appezzamenti del quadrante No dovevano essere seminati a grano, quelli del quadrante NE a orzo e quelli del quadrante SE lasciati a maggese. Fanno successivo la coltivazione del grano si svolgeva nel quadrante NE, quella di orzo nel quadrante SE, e il quadrante a No veniva lasciato a maggese e cosi via in successione geografica. Dunque, il proprietario di ciascun appezzamento godeva in esclusiva del suo prodotto ma non poteva scegliere autonomamente il tipo di coltivazione effettuata sulla sua terra. Inoltre, esso doveva arare e seminare in contemporanea con gli altri proprietari, cosa che, tra l'altro, spesso comportava notevoli risparmi in fase di aratura dovuti alla presenza in luogo di un giogo di buoi o cavalli e di un aratro. Inoltre, a raccolto compiuto, i campi erano sottoposti a diritto consuetudinario di spigolatura e raccolta delle ristuccie e, successivamente, al pascolo da parte delle bestie della mandria o del gregge del villaggio. Si noti che anche per il bestiame vale lo stesso discorso (supponiamo che in questo caso si tratti di capi bovini ma il discorso si applica allo stesso modo ad altre tipologie di bestiame ed in particolare agli ovini). Il ,, cc bestiame e del villaggio non nel senso di proprieta collettiva, ma solo di gestione condivisa e regolamentata di capi di bestiame di proprietà priva133


ta. È il proprietario di ciascun capo che decide come e quando mungerlo, tosano, portarlo al macello, o consumarlo direttamente. È lui che decide se farlo accoppiare, che lo cede al mercato, o che ne vende i prodotti da esso ottenuti; è sempre il proprietario del capo che decide se metterlo al giogo o ingrassarlo, ed è certo lui, non l'astratta comunità del "villaggio", che intasca i proventi che da esso ne derivano. E che le strutture proprietane che governano il bestiame fossero speculari a quelle che governavano la proprietà dell'arabile è conseguenza del fatto che l'open field system si configurava come un metodo di gestione integrata delle risorse agro/pastorali. Il che ci porta a parlare del quarto quadrante del nostro schema di villaggio. Mentre, come visto sopra i quadranti di No, NE e SE sono nel nostro caso costituiti da terra arabile, l'ultimo quadrante è invece il common. Si tratta di un'area che per ragioni orografiche e/o geologiche non si presta con facilità o affatto alla coltivazione. Nei casi più comuni si trattava di aree semi-umide soggette a frequenti inondazioni stagionali, o brughiere collinari esposte a venti o con insufficienti depositi di humus, terreni dal suolo sabbioso, o addirittura aree boschive. In generale si può affermare che il common era l'area a minore vocazione arabile fra quelle appartenenti al territorio del villaggio stesso. Quanto alla proprietà di tali aree si trattava dell'aspetto del sistema che più da vicino può essere assimilato a forme di proprietà prettamente collettiva. Il più delle volte tali aree appartenevano alla corona, al signore locale, o alla parrocchia del villaggio. Talvolta, come in vaste zone della Germania sud orientale, tali aree erano non solo di fatto proprietà del villaggio ma erano tali anche de iure in quanto possedute da una associazione di capifamiglia aventi diritto ereditario su tali aree 6 . L'esistenza del common forniva accesso, per gli aventi diritto, a risorse fondamentali come combustibili (tipicamente rami caduti, torba, ginestre, e rovi), supplementi alimentari per la propria famiglia (funghi, frutti di bosco, erbe, noci, castagne, lumache, etc.) e per i propri animali (ghiande, fieno etc.) e talvolta a materiali di costruzione, quali albero di alto fusto, felci, cortecce e paglia. Ma la centralità del common nel sistema agro-pastorale integrato dell'open field può essere apprezzata pienamente solo considerandone la funzione di separazione spaziale fra zone coltivate e bestiame, in un sistema di pastorizia brada o semi-stabulare. Gli armenti potevano pascolare liberamente sul common senza rischi per il raccolto e dunque minimizzando l'investimento in staccionate, muretti e siepi a 134


difesa del seminato a quelle necessarie a proteggere il perimetro esterno di ciascun open field. Contemporaneità nelle pratiche agrarie e omogeneità per open field delle colture eliminavano la necessità di separazione fisica fra ogni appezzamento all'interno dell'open field. Inoltre, l'esistenza di una mandria di villaggio nel common minimizzava anche i costi associati alla gestione e al controllo del bestiame stesso. A raccolto avvenuto, i terreni venivano prima brevemente aperti, secondo gli usi civici consuetudinari, alla spigolatura e alla raccolta delle ristuccie7 , e successivamente aperti al pascolo da parte della mandria del villaggio fino alla successiva aratura. La presenza della mandria del villaggio sull' open fielci garantiva l'apporto e l'omogenea distribuzione di nutrienti nella forma di letame. Dunque, nel caso dell'open fielel village la presenza di aree di proprietà collettiva è complemento necessario per una complessa gestione di un sistema agropastorale che al contempo garantisce, ai proprietari o ai gestori dei terreni privati, la minimizzazione degli investimenti fissi e dei rischi specifici associati alla forte variabilità dei raccolti dovuta ad eventi microclimatici o alla forte disomogeneità micro-spaziale dell'incidenza di eventi avversi di natura biologica. I benefici relativi alla gestione sinergica di proprietà comune e privata sono dunque maggiori dei benefici derivanti da un diverso assetto proprietario delle terre afferenti al villaggio. Si noti che in questo caso i benefici diretti ottenibili dalla gestione comune del common non sono tali, di per sé, da giustificarne la permanenza sotto forme proprietarie comuni. Ma è la sua funzione complementare alla produzione sui terreni privati, il suo portato in termini di minimizzazione dei costi fissi e dei rischi che rende il common così importante nei sistemi agricoli caratterizzati da agricoltura a campi aperti. Si noti qui come la limitazione dei diritti di sfruttamento della risorsa scarsa oggetto della gestione comune, attraverso la chiara definizione restrittiva di coloro che costituiscono la comunità degli aventi diritto è un'altro dei principi fondamentali individuati da Elinor Ostrom per la solidità nel tempo di istituzioni preposte alla gestione comunitaria di beni naturali scarsi. Si noti, inoltre, che come hanno dimostrato Shaw-Taybr e Winchester per l'Inghilterra, 8 Vivier per la Francia, 9 Warde per la Germania sud e De Moor per le Fiandre," il bene comune in molti casi non fosse poi tanto comune, in quanto i diritti consuetudinari di sfruttamento del bene (specialmente quelli più importanti dal punto di vista economico) erano appannaggio di una ristretta cerchia di 135


privilegiati, tipicamente proprietari terrieri abbienti. Per esempio, ShawTaylor dimostra come solo un 15% dei lavoratori agricoli dei dieci villaggi in quattro contee del sud dell'Inghilterra da lui studiati, avesse diritti di pascolo (il più importante dei common rights in termini di sussistenza) sui commons di tali insediamenti. Di per sé questo escludeva dal godimento del più importante dei diritti sul bene comune almeno la metà della popolazione (ovviamente quella meno abbiente) 12 La preservazione del bene comune era, in questo caso, ottenuta afferendone i diritti di sfruttamento proporzionalmente alla proprietà terriera e, in aggiunta, a predefiniti cot-tages. Dunque, oltre ai proprietari terrieri o ai loro affittuari, ne beneficiavano anche coloro che vivevano in tali abitazioni, o per diritto di proprietà o perché fattori in affitto. Tali diritti erano tipicamente indivisibili e, dunque, fissavano anche il carico massimo di bestiame sul bene comune. Era quindi questo un sistema che, associando strettamente i diritti d'uso sul bene comune alla struttura proprietaria della terra, ne garantiva uno sfruttamento organico e speculare alle pratiche di gestione integrata silvo-agricolo-pastorale del territorio e, al contempo, evitava il deterioramento del bene comune per uso eccessivo. Si noti che in questo caso siamo di fronte a strutture istituzionali che, se da un lato legano la sopravvivenza nel lungo periodo del bene comune alla relativa concentrazione della proprietà terriera, dall'altro inducono a tale concentrazione limitando l'accesso al bene comune (il common) senza il quale la proprietà terriera spesso non garantisce, al di sotto di certe soglie di arabile, la sopravvivenza dell'agricokore in condizioni di alta variabilità del prodotto agricolo. In pratica, in un sistema a campi aperti l'accesso al common garantisce al contadino la possibilità di praticare anche un poco di pastorizia e, dunque, di ridurre il rischio complessivo legato alla propria attività agricola. Tornando al caso del nostro villaggio inglese, si potrebbe persino affermare che se da una parte l'esclusività dello sfruttamento del common garantiva la sostenibilità del sistema agro-pastorale a campi aperti nel lungo periodo, dall'altra, agendo come fattore di concentrazione della proprietà terriera, costituiva una forza che spingeva in direzione del suo abbandono. Infatti, tanto più disomogenea è la distribuzione della proprietà terriera fra coloro che partecipano al sistema dell'openfie1a tanto più divergenti saranno i costi ed i benefici associati alla continuazione del sistema stesso inclusi quelli dovuti allo sfruttamento integrato del common. Un grande proprietario terriero avrà meno bisogno del sistema per minimizzare la variabilità dei propri rendimenti agricoli. Inoltre, poiché i rendi.

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menti agricoli sono proporzionali all'estensione dell'azienda mentre i costi fissi associati alla recinzione della proprietà sono proporzionali al suo perimetro e poiché, per elementari ragioni geometriche, l'area di un poligono cresce più che proporzionalmente al crescere del suo perimetro, i costi fissi in recinzioni, associati all'abbandono del sistema a campi aperti e all'adozione delle enclosures, avranno un'incidenza proporzionalmente molto più rilevante sul reddito di un piccolo agricoltore che su quello di un grande proprietario. La Ostrom nota nel suo libro che forme di proprietà e gestione comune emergono e sopravvivono con maggiore facilità e frequenza qualora i benefici ed i costi degli utilizzatori sono maggiormente omogenei. In questo caso si potrebbe suggerire che la crescnte disomogeneità degli interessi dei partecipanti all' open field system, associata ad una generale diminuzione nella variabilità del gettito agricolo ed all'introduzione della pastorizia stabulare, portò al declino di questa istituzione fra il Cinquecento e l'Ottocento. Concludendo, non resta che notare quanto la portata euristica dei principi individuati dalla Ostrom sembri essere confermata nel caso dell' open field system. Ancor più importante in questa sede è sòttolineare come la proprietà comunitaria possa e debba essere interpretata come una soluzione desiderabile, non tanto come difesa di culture marginali, come sorta di museo vivente degli usi e costumi antichi, ma quanto una possibile soluzione ai sempre più pressanti problemi di difesa dei beni scarsi. Qui non si tratta solo di preservare diversità culturali e culture locali, ma anche di salvare, per tutti, l'ambiente stesso in cui queste comunità operano e forse di estendere tali modelli ad altri e nuovi contesti ambientali.

* Relazione presentata alla 12A Riunione scientifica sui tema: Tutela e valorizz.azione delle risorse naturali della proprietà collettiva tenuta presso l'Università degli studi di Trento, il 16-17 novembre

2006.

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KURLANSKY, M., Cod. A biography ofthefish that changed the world, New York: Walker Publishing Company, 1997. Pubblicato in Italia da Mondadori nella collana Oscar saggi, 1999. 2 Si veda, per esempio, il classico MINGAY, G. E. (a cura di), Arthur Young and his times, London: Macmillian 1975. Per Quesnay si veda: IvLJ( PERLMAN, M., McCA1'N, C. Jr., (a cura di) The Pillars ofEconomic Und.erstanding: Ideas and Traditions, Ann Arbor: University of Michigan Press, p. 179; oppure CURRIE, J. M., The Economic Theory ofAgricultural Land Tenure, Cambridge: Cambridge University Press, 1981, p. 8. 3 ALLEN, R.C., Agriculture during the industrial revolution 1700-1850, in R. Floud e P. Johnson (a cura di) The Cambridge Economic Histo,y ofModern Britain. Volume I. Industrialisation, 1700-1860, Cambridge: Cambridge University Press 2004, p. 100. Non a caso l'idea che le risorse di proprietà comune fossero inevitabilmente destinate al collasso produttivo, e il nome stesso di tale scenario (The tragedy of the commons), si cristallizzò, come è noto, con la pubblicazione dell'omonimo saggio del 1833 di William Lloyd, che si riferiva proprio al caso dei commons agrari inglesi. Egli suggeriva che la struttura degli incentivi associata alla proprietà comune di una risorsa naturale, (benefici di sfruttamento privati associati a costi di sfruttamento socializzati) genera comportamenti da parte di coloro che tale risorse sfruttano che oggi chiameremmo miopie e strategie da free rider. Ciò avrebbe condotto inesorabilmente alla distruzione della risorsa stessa. 5 Peraltro, tutta una serie di recenti studi diometrici getta forti dubbi sulla supposta minore capacità di innovazione nelle tecniche agronomiche dei villaggi a campi aperti rispetto alle enclosures. Indirettamente, queste ricerche mettono anche in dubbio la maggiore produttività delle enclosures stesse. Su questo tema si vedano ad esempio: BRUNT, L,. Nature or Nurture? Explaining English Wheat Yields in the Industrial Revolution, c.1770, in.»Journal ofEconomic History», V. 64, No. 1, 2004, pp. 193-225; e 138

ALLEN, R. C., Agriculture during the industrial revolution 1 700-1850, in R. FLOUD E P. JOHNSON (a cura di), The Cambridge economic history

ofmodern Britain. V I: Industrialisation, 17001860, Cambridge: Cambridge University Press 2004, pp. 96-116. 6 Sulle due forme principali di gestione di risorse agricole comuni nella Germania sud-occidentale fra il 1500 ed il 1850 (Gemeind.e, e Genossenschafi) si veda WARDE, P., "Common rights and common lands in south-west Germany, 1500-1800", in (a cura di) M. DE MooR, L. SHAW-TAOR, and P. WARDE, The management of common land in north west Europe, c. 15001850, Turnhout Belgium: Brepols, 2002, p. 201. 7 Questi sembrano essere stati tipicamente diritti consuetudinari indiscriminati. Ciò è forse spiegato dal fatto che per un proprietario terriero o un fattore che dovesse impiegare lavoro salariato nel loro espletamento, tali attività, intensive in termini di input lavorativo, non risultassero sufficientemente remunerative. Al contrario, per quella porzione della popolazione contadina che viveva su livelli di mera sussistenza di lavoro salariato o di piccolissima proprietà terriera tali attività potevano contribuire utilmente al magro bilancio familiare. Non è dunque un caso che, spesso, in età moderna tali diritti fossero genericamente afferiti, a differenza, come abbiamo visto, dei ben pit remunerativi diritti di pascolatico, alla generalità dei poveri e degli indigenti. 8 SHAW-TAYLOR, L., "Parliamentary enclosure and the emergence of the English agricultural proletariat", in «Journal of Economic History», V. 61, No. 3, Sept. 2001, pp. 640-662; SHAWTAYLOR, L., "Labourers, cows, common rights and parliamentary enclosure: the evidence of contemporary comment c.1760-1810", in «Past and Present», No. 171, May 2001, pp. 95-126; WINCHESTER, A. J. L., "Uplands commons in northern England", in (a cura di) M. DE MooR, L. SHAW-TAYLOR, and P. WARDE op. cit., pp. 33-57; SHAW-TAYLOR, L., "The management of common land in the lowlands of southern


England circa 1500 to circa 1850", in (a cura di) M. DE MooR, L. SHAW-TAYLOR and P. WARDE O. cit., pp. 59-85. Per un approccio differente si veda: NEESON, J. M., Commoners. Com-

mon Right, Enclosure and Social Change in England, 1700-1820, Cambridge: Cambridge University Press, 1996. 9 VIVIER, N., "The management and use of the commons in France in the eighteenth and nineteenth centuries", in (a cura di) M. DE MooR, L. SI-IAw-TAYL0R, and P. WARDE op. cit., pp. 143-171 (in particolare Table 6.1 p. 157).

WARDE, P., "Common rights and common lands in south-west Germany, 1500-1800", in (a cura di) M. DE MooR, L. SHAW-TAYLOR, and P. WARDE op. cit., pp. 195-224. DE MooR M., "Common land and common rights in Flanders", in (a cura di) M. DE MooR, L. SI-IAW-TAYLOR, and P. WARDE op. cit., pp. 113-141. 12 SHAW-TAYLOR, L., "Parliamentary enclosure and the emergence of the English agricultural proletariat", in «Journal of Economic History», V. 61, No. 3, Sept. 2001, pp. 640-662. IO

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Il Consiglio italiano per le Scienze Sociali Il Css è un'associazione con personalità giuridica. Fondata nel dicembre 1973, con l'appoggio della Fondazione Adriano Olivetti, ha raccolto l'eredità del Comitato per le Scienze Politiche e Sociali (Co.S.Po.S.), che svolse a suo tempo, negli anni Sessanta, grazie a un finanziamento della Fondazione Ford e della stessa Fondazione Olivetti, un ruolo fondamentale nella crescita delle scienze sociali italiane. Le finalità che ne ispirano l'azione sono: • contribuire allo sviluppo delle scienze sociali in Italia, ed in particolare promuovere il lavoro interdisciplinare; • incoraggiare ricerche finalizzate allo studio dei principali problemi della società contemporanea; • sensibilizzare i centri di decisione pubblici e privati, affinché tengano maggiormente conto delle conoscenze prodotte dalle scienze sociali per rendere le loro efficaci. scelte consapevoli, razionali e

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