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dazione assistita, rispetto alle quali i credenti hanno posizioni che non sono conformi a quelle della dottrina della Chiesa. Sciolla ha ricordato che nella sua rilevazione il 55% degli intervistati si dichiarano un po' lontani alla religione istituzionale, mà credenti; dato che in Francia e in Spagna aumenta al 75/80%. Percentuali che mostrano un processo di individualizzazione, di erosione dei riferimenti assoluti, su cui varrebbe la pena discutere. La secolarizzazione, se vista come processo di allontanamento dalla religione istituzionale è, quindi, molto meno presente in Italia rispetto ad altri Paesi. E un discorso puramente comparativo, ma che dà per scontato che anche l'Italia è secolarizzata. Nel corso di venti anni c'è stata una controtendenza, nel senso che è cresciuto in Italia il numero dei praticanti, mentre in Spagna, ma soprattutto in Francia, è diminuito. Sempre in termini comparativi, in Italia è cresciuta la fiducia nella Chiesa, mentre in Spagna, in Francia e in altri Paesi è diminuita; è cresciuto anche l'associazionismo cattolico. I dati a cui ha fatto riferimento Margiotta Broglio si rifanno agli ultimi quattro anni, ma Sciolla non li ha tenuti in considerazione, perché i suoi punti di riferimento sono stati i dati della European values survey e della-Wor1d values survey, rilevazioni che vengono svolte ogni 10 anni. La ricerca si ferma 'dunque al 2000. A proposito di dati sulla religione, Sciolla ricorda che c'è un volume recente di Inglehard e Norris, "The sacred and the secular", che affronta il problema della secolarizzazione su scala mondiale, in cui sono presi in considerazione molti pi1 aspetti di quelli contenuti nella ricerca, ma che arriva a risultati identici. Da quella ricerca, ad esempio, risulta che nella scala di secolarizzazione, ad un polo ci sono l'Irlanda, gli Stati Uniti e l'Italia, e dall'altra parte ci sono i Paesi nordici, la Gran Bretagna, la Spagna, la Francia. Sciolla è ritornata poi alle osservazioni svolte sul problema dei valori dichiarati e agiti, affermando che la differenza fra le dichiarazioni e i comportamenti vale non soltanto per l'Italia, ma anche per gli altri Paesi. Non si può, in altre parole, affermare che gli italiani sono naturalmente più ipocrtf"dei francesi o degli spagnoli; è una questione di desiderabilità sociale, nel senso che l'affermazione sulla tiecessità di pagare le tasse (o, ciò che è lo stesso, dire che è un comportamento lesivo dell'interesse pubblico non pagarle) non è riferita ai propri comportamenti, ma al giudizio dei rispondenti su cosa sia socialmente desiderabile; ciò che può portare le persone a esporsi di più. 119


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