2 minute read

IL DRAMMA SOCIOLOGICO DEI NEET AL SUD

Occorre fare un importante lavoro culturale ed economico di Mario Campanella

Se la questione dei Neet ha una rilevanza globale, nel Sud Italia i suoi effetti sono certamente più marcati.

Advertisement

Sia per un’economia di fondo molto più povera rispetto ad altre aree del Paese e quindi a un tasso di disoccupazione reale più evidente, sia per altre ragioni che investono aspetti sociologici più complessi.

Il tasso di abbandono scolastico nel Meridione è ancora elevato ma regge contemporaneamente l’adesione a un percorso formativo primario che termina con il diploma di scuola media superiore.

Nel passato, tanto per fare un esempio più articolato, molti ragazzi del settentrione più opulento abbandonavano la scuola dopo la fase dell’obbligo per immettersi subito nel mondo del lavoro, mentre nel Meridione si compivano regolarmente gli studi pre-universitari.

Questo per garantire almeno l’accesso al pubblico impiego che rimaneva la fonte essenziale di occupazione.

Oggi i Neet meridionali sono lo specchio di una sorta di restanza residuale.

Nonostante ottime università, la gran parte dei giovani emigra ed a farlo sono i figli della borghesia destinati, peraltro, a non ritornare.

Gli istituti professionali che erano una buona risorsa, sia per la formazione nelle PMI che nel terziario, registrano forti cali mentre permane l’aderenza ai percorsi liceali propedeutica all’emigrazione successiva.

Il rischio concreto è che il saldo tra emigrazione intellettuale e carenza strutturale, in assenza di una politica industriale adeguata, siano proprio i Neet.

Negare che questa letargia sia stata favorita dal reddito di cittadinanza sarebbe ipocrita. E del resto, il punto debole del RDC sta proprio nella individuazione di un sostegno a categorie di persone che per età dovrebbero, invece, entrare nel mondo del lavoro.

Le statistiche sui Neet meridionali sono inevitabilmente dopate dal lavoro nero che rimane presente più che in altre realtà geografiche. Sono ancora tanti i giovani che lavorano senza garanzie e sono altrettanti quelli parcheggiati nei call center con tipologie contrattuali a volte atipiche che non fanno emergere un’occupazione reale.

L’altro rischio di fondo è la paralisi della generazione della restanza. Iniziative seppure meritorie come “Resto al Sud” non hanno prodotto risultati rilevanti. Le regioni ad alto tasso di industrializzazione come la Puglia hanno vissuto una forte crisi. E fatica ad emergere un possibile modello di autonomia gestionale dedicato al turismo e alla cultura che rimangono due possibili opzioni lavorative poco esplorate.

Le grandi ondate di emigrazione di manodopera del dopoguerra sono frenate dalle mutazioni del nostro sistema industriale.

Oggi si emigra per andare a studiare, laddove è possibile, anche senza un motivo valido, avendo ottime facoltà in loco.

Il disagio dei Neet meridionali riflette quello di una popolazione più vasta che nei decenni passati affidava gran parte delle sue aspettative occupazionali allo Stato.

L’agricoltura, che potrebbe essere un altro segmento chiave, è prevalentemente affidata alle vecchie aristocrazie.

C’è da fare un lavoro culturale ed economico che assegni nuovi obiettivi a generazioni potenzialmente brillanti. Che faticano a diventare parte attiva e che allontanano tristemente ipotesi di ricambio della classe dirigente.

Il tasso di abbandono scolastico nel Meridione è ancora elevato ma regge contemporaneamente l’adesione a un percorso formativo primario che termina con il diploma di scuola media superiore.

This article is from: