4 minute read

DIVENTARE GENITORI IL PROCESSO DI ATTACCAMENTO

Lo sappiamo bene ed esiste dalla notte dei tempi: la relazione genitore-bambino è una componente fondamentale per lo sviluppo di quest’ultimo in quanto costituisce il suo mondo affettivo e sociale, determina la struttura delle sue difese e porta alla formazione di rappresentazioni riguardanti le aspettative rivolte alle relazioni con gli altri. La famiglia si presenta come nucleo all’interno della quale si intrecciano fattori di rischio e fattori protettivi che influenzano lo sviluppo dell’infante e risulta quindi di primaria importanza analizzare le molteplici situazioni che si pongono come l’origine di numerosi disturbi, tra cui la depressione.

In tale analisi è importante considerare diverse dinamiche che determinano la molteplicità di situazioni che il bambino si trova a vivere, dinamiche che sono pre - senti ancor prima che il bambino arrivi nel nucleo familiare, come il vissuto della genitorialità.

La genitorialità non coincide con la nascita di un figlio, ma anzi è il risultato di un lungo processo di elaborazione e riorganizzazione delle proprie esperienze di vita e dei propri vissuti.

Diventare genitori comporta anche un processo definito il “lavoro del lutto” che implica la rinuncia al ruolo di bambino che si ricopriva con i propri genitori e il doversi identificare con questi ultimi per poter svolgere la funzione genitoriale. Al bambino, il genitore delega una parte dei suoi desideri e bisogni infantili attraverso meccanismi di identificazione proiettiva, non necessariamente patologici, ma che, anzi, solitamente permettono lo stabilirsi dell’empatia e favoriscono lo sviluppo psichico del bambino.

Il “lutto dello sviluppo” implicato nella genitorialità reca in sé la possibilità, quindi, di generare depressività, determinando lo sviluppo di una conflittualità genitoriale che dipende dall’elaborazione dei lutti della propria infanzia, cioè quelli riguardanti un oggetto realmente perduto e quelli che implicano invece un oggetto fantasmatico.

Le dinamiche genitoriali

I vissuti legati alla genitorialità sono molto complessi e possono portare all’insorgere di diverse problematiche, infatti, Palacio Espasa descrive quattro tipi di dinamiche genitoriali, tra cui si evidenziano in particolare due tipologie patologiche: la genitorialità masochistica e la genitorialità narcisistico-dissociata.

La genitorialità masochistica è caratterizzata da lutti basati sul senso di colpa e prevede due tipo - logie di casi: nel primo caso i neo genitori hanno avuto a loro volta dei genitori con forti tendenze depressive e sono stati vissuti come figli “difficili”; nel secondo caso i genitori hanno vissuto i propri genitori come indegni, abbandonici e tendono ad essere molto protettivi nei confronti del proprio figlio. Allo stesso tempo si identificano con il genitore indegno, a cui hanno rivolto le proprie accuse in passato, sottomettendosi al bambino, all’aggressività che proiettano su di lui, mossi dal bisogno di espiazione masochistica. Tali genitori possono favorire l’insorgere, nel proprio figlio, di alcuni fenomeni patologici come disturbi dell’autostima, causati dall’atteggiamento sottomesso che assumono nei confronti dei genitori, determinando una trasmissione intergenerazionale della depressività. Inizialmente il bambino presenta vissuti di grandio - sità veicolati dalle identificazioni proiettive del genitore, portando a comportamenti molto difficili e tirannici, ma tale grandiosità lascia poi spazio alle immagini svalorizzanti che si rafforzano negli scambi con i genitori “vittime”.

Diventare genitori comporta anche un processo definito il “lavoro del lutto” che implica la rinuncia al ruolo di bambino che si ricopriva con i propri genitori e il doversi identificare con questi ultimi per poter svolgere la funzione genitoriale.

Le identificazioni proiettive su cui si basano i conflitti della genitorialità narcisistica-dissociata sono unidirezionali e deformanti rispetto all’immagine del bambino e sono caratterizzate dalla proiezione di immagini negative di se stessi, che assumono per il bambino il carattere di persecutorietà.

Le identificazioni proiettive su cui si basano i conflitti della genitorialità narcisistica-dissociata sono unidirezionali e deformanti rispetto all’immagine del bambino e sono caratterizzate dalla proiezione di immagini negative di se stessi, che assumono per il bambino il carattere di persecutorietà. La conflittualità genitoriale viene negata e coperta da immagini parentali positive, non conflittuali, assumendo così un narcisismo di base di tipo distruttivo e generando nel bambino disturbi dell’attaccamento. Tali genitori, con le loro identificazioni proiettive patologiche, deformano l’immagine del figlio e lo sommergono di immagini negative del loro passato. L’interazione tra madre e figlio, in particolare, diventa molto problematica a causa dell’atteggiamento materno rifiutante e distanziante, generando vissuti di frustrazione e pericolo nel bambino, che tenderà a difendersi da ciò tramite meccanismi tipici dell’Io narcisistico primario. Il bambino si identificherà con l’immagine di rifiuto, trasmessa dalla madre, e tale immagine diventa il nucleo fondante della sua struttura psichica, generando profonde difficoltà nell’attaccamento tra madre e bambino. Inevitabilmente gli scambi fisici tra madre e bambino, fondamentali per lo sviluppo emotivo, non riescono ad essere piacevoli e a dare il via a tutte le funzioni fondamentali per un corretto funzionamento psichico, determinando l’insorgenza dei disturbi dell’umore (Palacio Espasa, 2004).

Il sistema di attaccamento

Il punto vero della questione è che l’attaccamento è un sistema motivazionale innato e biologicamente adattivo, caratterizzato da tre elementi fondamentali: la ricerca di vicinanza al caregiver, l’effetto “base sicura” (il legame che permette al bambino di sentirsi capace di esplorare l’ambiente e di trovare conforto nei momenti di ansia) e la protesta per la separazione.

Il sistema di attaccamento, da un punto di vista evoluzionistico, permettendo di mantenere e sollecitare la prossimità alla figura di riferimento, aumenta le probabilità di sopravvivenza del bambino, data la sua scarsa autonomia e le sue capacità limitate.

Il sistema di attaccamento del bambino, tuttavia, si intreccia con quello del genitore, predisponendo quest’ultimo a determinate risposte e dinamiche nell’accudimento; la qualità di tali risposte determinerà la formazione nel bambino di quelli che Bowlby chiama “Modelli Operativi Interni”. Questi ultimi sono delle mappe rappresentazionali che si costruiscono attraverso le interazioni tra bambino e caregivers; in base alle risposte di questi ultimi, si creeranno nel bambino una serie di aspettative, immagini di sé e assunti che guideranno le relazioni. Il bambino, in questo modo, diviene capace di usare questo sistema rappresentazionale per predire il proprio e altrui comportamento e quindi gli stili di interazione e regolazione degli affetti che si consolidano nel corso dello sviluppo; saranno dei prototipi per i successivi processi di mediazione che consentiranno di instaurare relazioni sociali e di mantenere un senso di sicurezza nelle situazioni stressanti.

This article is from: