PreTesti • Occasioni di letteratura digitale • Aprile 2012 • Numero 4 • Anno II

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pretesti Occasioni di letteratura digitale

La festa dei giorni d’erba di Roberto Piumini

11 scene per un film sulla vita di Tonino Guerra di Salvatore Giannella

Jane Austen, maestra di vita di William Deresiewicz

Alzare le pareti di Davide Longo

Aprile 2012 • Numero 4

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Il meglio della narrativa e della saggistica italiana e straniera in oltre 24.000 titoli

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Editoriale Nel mese di marzo ci hanno lasciato due figure fondamentali della letteratura e del cinema italiano degli ultimi cinquant’anni: Tonino Guerra il 21, Antonio Tabucchi il 25. A distanza di pochi giorni, ma con grande differenza di età, perdiamo due scrittori che tutto il mondo ci ha invidiato e che hanno esportato l’Italia nella sua forma più elevata al di là delle Alpi e oltreoceano. Tonino Guerra sceneggiatore per Fellini, Rosi, Antonioni, Tarkovskij e altri, e Antonio Tabucchi scrittore italiano del Portogallo, della sua storia, dei suoi odori, dei suoi poeti. Insieme hanno in comune, oltre al nome di battesimo, un altro grande nome del cinema mondiale che è quello di Marcello Mastroianni, protagonista di tanti film di Tonino Guerra e di Sostiene Pereira tratto dal romanzo di Tabucchi. Proprio con Tonino Guerra abbiamo inaugurato la rubrica “Anima del mondo” di PreTesti e ancora conserviamo gelosamente il manoscritto che ci diede sui “luoghi dell’anima”. Ad Antonio Tabucchi non abbiamo fatto in tempo a chiedere nulla, e per questo ora lo ricordiamo nella rubrica “Buona la prima” con Il libro dell’inquietudine del suo amato Fernando Pessoa. E siccome i giganti della letteratura devono essere di esempio per le nuove generazioni, questo numero, che dedichiamo a Tonino Guerra e ad Antonio Tabucchi, è in gran parte rivolto alla letteratura per l’infanzia. La copertina di Roberto Piumini e il suo racconto inedito, la riflessione di Daniela De Pasquale per “Il mondo dell’ebook”, i paesaggi di Jules Verne raccontati da Luca Bisin per “Anima del mondo” e le ricette per la rubrica “Alta cucina” di Francesco Baucia tratte dai libri dell’autore della Fabbrica di cioccolato Roald Dahl vanno esattamente nella direzione di una scoperta della rilevanza universale della letteratura per i bimbi e per i ragazzi. Non di poco conto è la scrittura per i bimbi, semmai essa rappresenta uno stato di purezza primigenia da raggiungere affinché la scrittura si universalizzi al massimo grado. Così i dialetti possono considerarsi l’infanzia di una lingua ‒ e di dialetti e vernacoli leggeremo nella rubrica a cura dell’Accademia della Crusca ‒, così i libri a poco prezzo e di piccolo formato studiati da Roberto Dessì rappresentano un grado minimo della diffusione della cultura che è forse massima sapienza nell’istruire le masse. I bimbi portano con sé la semplicità del mondo che è armonia della natura e bellezza del creato. È più difficile raggiungere con le parole il loro cuore che quello dei grandi colmi di pregiudizi frutto degli stratagemmi tipicamente adulti di resistenza alla vita. A tale stadio di originaria disponibilità tendono in fondo tutte le parole; alla purezza di gesti, di disegni, di istanti innocenti hanno guardato gli scritti di Tonino Guerra e di Antonio Tabucchi. Tra le macerie di un mondo spesso devastato da violenze e brutture, essi ci hanno preso per mano e ci hanno fatto sognare luoghi innocenti. Ci hanno preso per mano come bambini. Ci siamo seduti, li abbiamo ascoltati. Forse abbiamo pianto pensando al “dovremmo essere così” ma “c’è qualcosa che ci trattiene”. Ora che i maestri sono usciti dall’aula, continuiamo a stare in silenzio. Se facciamo attenzione, essi stanno continuando a raccontarci le loro storie. Buoni PreTesti a tutti. Roberto Murgia

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Indice

Testi

Il mondo dell’ebook

Rubriche

05-11 Racconto La festa dei giorni d’erba di Roberto Piumini

34-38 Gli eBook per ragazzi non hanno ancora il lieto fine di Daniela De Pasquale

16-22 Saggio 11 scene per un film sulla vita di Tonino Guerra di Salvatore Giannella

39-41 Breve (ed economico) è bello di Roberto Dessì

42-44 Buona la prima Fernando Pessoa “Il libro dell’inquietudine” (1982) di Luigi Orlotti

23-26 Anticipazione Jane Austen, maestra di vita di William Deresiewicz 27-33 Racconto Alzare le pareti di Davide Longo

45-47 Sulla punta della lingua Vernacolo o dialetto in Toscana? di Annalisa Nesi 48-51 Anima del mondo Le geografie del possibile di Luca Bisin 52-55 Alta cucina Incantatore, affabulatore, gourmand di Francesco Baucia 56 Recensioni 57 Appuntamenti 58 Tweets / Bookbugs

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Racconto

La festa dei giorni d’erba di Roberto Piumini

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sei, o ventiquattro, con la differenza che un a Tribù fermò il cammino nelle numero è uguale e secco, fermo e freddo, vicinanze del fiume oggi chiamamentre le dita sono diverse, calde, mobili e to Elkhorn, e allora Acqua del Sole piene di sangue. nascente, perché scorreva verso il punto in cui, al mattino, il sole usciva come “Mio padre oggi ha ucciso due bufali,” disun frutto di fuoco dalla pianura. se Piccola Pioggia, muovendo la testa su e La Tribù lasciò andare un po’ avanti la stergiù, come Lepre di due colori quando parlava minata mandria di bisonti, a settentrione, nel cerchio dei grandi. “Il grasso dei bufali come una bassa e scura foresta mobile. I biche ha ucciso sarà bruciato nella festa.” sonti, chiamati Fratelli del Cibo, non si fer“Tuo padre è un bravo cacciatore,” disse mavano mai, ma il loro cammino era lento, Coltello Pulito, seduto viperché pascolavano di cino a lui, e lo guardava, giorno e di notte dormie muoveva la testa su e vano, così si avanzava giù, come Piccola Pioggia. solo dieci lanci di freccia “Mio padre ha ucciso ogni giorno. l’altro bufalo, quello più La Tribù, quella volta, grosso,” disse Mano Chiusi sarebbe fermata tresa aggrottando la fronte. mano-giorni, perché era “Il grasso di quel bufail tempo della Festa dei lo, da solo, è abbondante giorni d’Erba, e bisognacome quello dei due che va ringraziare gli Spiriti Era il tempo della Festa tuo padre ha ucciso.” della Terra, dell’Acqua dei giorni d’Erba, e “Anche tuo padre è un e della Luce, innalzando bisognava ringraziare grande cacciatore,” disse un totem, purificando il gli Spiriti della Terra, Coltello pulito. corpo, bruciando grasso di bisonte misto a fiori, dell’Acqua e della Luce “Tuo padre, Piccola Pioggia, ha ucciso i due buraccontando storie attorfali, perché il suo cavallo è molto veloce,” no al fuoco, ballando e cantando di giorno disse Rana del Canneto. e anche di notte, sotto la luna, i canti sacri “È vero,” disse Coltello Pulito, che ammiradel popolo. va molto sua sorella, cinque anni più granDopo la Festa avrebbero smontato le tende, de di lui. rimesso il totem sulla slitta trascinata dal Tutti nella Tribù erano più grandi di lui, cavallo più forte, e ripreso il cammino dietranne Fiore dell’Alba, che ancora beveva il tro l’immensa mandria dei bisonti. latte dalla madre e non camminava. La Tribù non era grande. Da Lepre di due CoDei sei bambini della Tribù, Coltello pulito lori, che quasi non camminava più, alla pice Rana del Canneto erano fratelli, e avevano cola Fiore dell’Alba, che ancora non sapeva due sorelle più grandi. Anche Fiore dell’Alba camminare, il numero era mano-mano-mae Mano Chiusa erano fratelli. no-mano-mano, cioè venticinque, o venti-

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do la Tribù passava di là le vecchie raccoPiccola Pioggia non aveva fratelli o sorelle, glievano le terre, le mettevano in sacchetti perché sua madre era morta quando lui era di pelle e le conservavano per colorare il tonato. tem e la faccia dei guerrieri durante le feste. Pietra con Tana, che non parlava quasi mai, Sul totem, c’era la figura di un coyote, e soaveva due fratelli più grandi, che già avepra c’era una faccia, e sopra ancora il muso vano cambiato il nome. di un bisonte. “Vento Caldo, madre di mia madre, dice La ragazzina guardava attentamente. Quelche il totem, quest’anno, ha la faccia cattilo che Vento Caldo aveva detto era vero: la va,” disse Rana del Canneto. “Vuol dire che faccia era diversa, la bocca era cattiva, facela caccia dei bisonti non sarà buona come va spavento. l’anno scorso.” Rana del Canneto guar“Mio padre ne ucciderà dando, si avvicinò al totanti come l’anno scortem di un passo. Anche so,” disse Mano Chiusa gli occhi della faccia eracon disprezzo. “Anche no diversi, ma non proquest’anno mio padre prio cattivi: erano tristi. sarà un bravo cacciatore!” Perché la faccia del toPiccola Pioggia aprì la tem era insieme cattiva bocca per dire la sua, e triste? pensò Rana del quando dal cerchio delle Canneto. Se uno è cattivo tende uscì Cavallo Nero, non è triste. Quando uno uno dei fratelli grandi di Sul totem, c’era la figura è triste, non è cattivo. Pietra con Tana, agitando di un coyote, e sopra Ma forse le facce dei tole braccia. c’era una faccia, tem non sono come quel“Via, cuccioli chiacchieroni!” gridò. “Che fate e sopra ancora il muso le degli uomini. I totem sono sacri, e hanno la lì, seduti? Basta il vento di un bisonte magia. della prateria a muovere Rana del Canneto fece un altro passo. Ora, l’erba! Credete di essere il consiglio della se avesse allungato la mano avrebbe potuto Tribù? Andate ad aiutare le donne! Pietra toccare il totem: ma non lo faceva, perché con Tana, hai portato il puledro a bere?” un totem non si doveva toccare senza un Senza alzare la faccia i bambini si alzarono buon motivo. I grandi lo toccavano durane corsero via, ciascuno in una direzione dite le preghiere, cantando le canzoni sacre, versa. invocando gli Spiriti Amici o ricordando i Piccola Pioggia rivolse un’occhiata scura al nomi dei morti, nelle feste all’inizio d’infratello, prima di sparire nella tenda. verno. Rana del Canneto stava di fronte al totem, che Poi la ragazzina si accorse di una cosa: non era alto più di un uomo. Nella metà supeera vero che la bocca del totem era cattiva, riore c’erano figure dipinte con i colori che e gli occhi tristi. Era successo che la vernisi trovavano nelle Terre di Tramonto. Quan-

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ce si era sciolta. Forse il totem non era stato ben protetto nel viaggio. Forse le piogge abbondanti del mese avevano imbevuto le pelli in cui era avvolto, e la vernice rossa della bocca scivolava agli angoli, e la bocca sembrava cattiva. La vernice blu degli occhi scivolava verso le guance, e gli occhi sembravano tristi. Il totem non era triste né arrabbiato, pensò Rana del Canneto. Togliendo la vernice colata, la faccia sarebbe tornata serena, e la caccia sarebbe stata buona come gli altri anni. Rana del Canneto pensò che adesso poteva toccare il totem, perché aveva un buon motivo. Si sputò tre volte sulle dita, alzò la mano e cominciò a pulire un angolo della bocca. La vernice si scioglieva facilmente, e in breve metà della bocca tornò serena. La ragazzina sputò sulle dita dell’altra mano e l’alzò per completare il lavoro, ma non ci riuscì: uno schiaffo forte, da dietro, la colpì e la mandò a ruzzolare sull’erba. Tenendosi una mano sulla faccia guardò in su. Vide contro il sole l’alta figura di Acqua dei Monti, e sentì le sue dure parole: “Ti ha morso il serpente pazzo, Rana del Canneto? Non sai che il totem può essere toccato solo dai grandi? Non sai che una bambina non può disegnare figure?” Lei si alzò, e a faccia bassa disse: “Acqua dei Monti, io ho visto che…” Un altro schiaffo la colpì, facendola tacere. L’uomo la guardava con occhi terribili. Rana del Canneto fece due passi indietro e scappò dietro la sua tenda. S’inginocchiò nell’erba, si piegò in avanti, e strinse i pugni, mentre Pelo Dritto e Zanna Forte, due dei sei cani della Tribù, l’annusavano e uggiolavano, girandole attorno.

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Il vento della prateria soffiava da settentrione. Portava l’odore dei Fratelli del Cibo che pascolavano a migliaia, quietamente, a mezza giornata di cammino, verso l’Acqua del Sole Nascente. Il vento portava anche il canto dei giovani cacciatori, che danzavano lontano dalle tende, nella stessa direzione, per prepararsi alla Festa: mancavano due notti alla luna piena. I bambini della Tribù si erano riuniti a un tiro di freccia dall’accampamento, a meridione, così che il vento portasse le loro voci verso l’Acqua del Sole Nascente e non verso le orecchie dei grandi. I giovani cacciatori danzavano in lontananza, e si sentivano i loro canti e i colpi dei piccoli tamburi. I grandi erano nella tenda degli anziani a fumare e parlare. Le donne erano al centro dell’accampamento, a preparare la focaccia vicino al fuoco. I bambini erano sdraiati nell’erba alta, in modo che nessuno li potesse vedere. Avevano le teste vicine, e si guardavano negli occhi. “Ho pensato molto,” disse Piccola Pioggia, muovendo la testa su e giù. “Volevo dirvi il mio pensiero.” “Tu sei un grande pensatore, Piccola Pioggia,” disse Coltello Pulito, sdraiato vicino a lui, muovendo la testa su e giù. “Dì il tuo pensiero, Piccola Pioggia,” disse Rana Del Canneto. “Il mio pensiero è di andare, adesso, dove i giovani cacciatori stanno danzando, e dire: ‘Noi siamo i bambini della Tribù. Insegnate anche a noi la danza, così, nel giorno e nella notte della luna piena, danzeremo con voi e con le donne, e gli Spiriti ci vedranno e sentiranno.’” I bambini rimasero in silenzio per un momento, spaventati dalla proposta.

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“Se facciamo questa cosa, Cavallo Nero ci prenderà tutti a calci,” disse Coltello Pulito. “Non c’è solo Cavallo Nero, là a ballare” disse Piccola Pioggia. “Io la danza la so già fare” disse Mano Chiusa. “L’ho imparata guardando e ascoltando i cacciatori di nascosto, e l’ho danzata molte volte.” “Anch’io so battere già il tamburo, come le donne,” disse Rana del Canneto. “Ma danza e musica si fanno insieme. Un cavallo con una zampa sola non corre.” “Lo dice sempre anche mia madre!” disse Coltello Pulito, e rise. “Io vi ho detto il mio pensiero,” disse Piccola Pioggia con una smorfia di sdegno. “Io penso che il tuo pensiero è buono” disse Rana del Canneto. “Andiamo dai giovani cacciatori, a chiedere di danzare con loro. Io, se vogliono, posso suonare il tamburo.” “Andiamo” disse Mano Chiusa alzandosi in piedi nell’erba. “Io non ho paura.” 9

“Anch’io non ho paura” disse Coltello Pulito. “Però parlerai tu ai giovani cacciatori, vero, Piccola Pioggia?” “Parlerà chi avrà la voce” disse Rana del Canneto, ridendo. “Anche questo dice mia madre!” disse Coltello Pulito, e rise anche lui. Tutti guardarono Pietra con Tana. Non aspettavano che dicesse qualcosa, ma desse un segno. Il piccolo alzò la mano chiusa, poi allungò l’indice e il medio uniti, in segno di approvazione. I quattro giovani cacciatori danzavano, battendo con ritmo regolare sui piccoli tamburi che tenevano sotto il braccio, e lanciando le invocazioni agli Spiriti della Terra, dell’Acqua e della Luce. Nella notte della Festa dei Giorni D’Erba, avrebbero danzato insieme ai grandi cacciatori. I tamburi sarebbero stati suonati dalle

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lo Pulito, che si nascondeva dietro gli altri. donne, così i giovani cacciatori avrebbero “Cosa volete, allora? Perché venite a disturpotuto muovere anche le braccia: adesso barci?” chiese aspro Cavallo Nero, guardanerano loro a dover suonare, come avevano do Piccola Pioggia negli occhi. fatto i padri e i nonni quando erano stati Il bambino rispose, cercando di tenere gli giovani cacciatori. occhi fermi in quelli del giovane cacciatore. Ai giovani cacciatori piaceva molto danza“Siamo venuti a chiedervi di insegnarci la re. Erano contenti ed eccitati. Cavallo Nero e danza. Così potremo danzare anche noi, Lancia Veloce alzavano le gambe più in alto, quando ci sarà la luna piena, e gli Spiriti ci battevano i tamburi con più violenza, e grisentiranno. Rana del Canneto potrebbe suodavano le invocazioni con più voce. Si sennare il tamburo.” tivano forti come biCavallo Nero si volsonti. Presto avrebtò verso gli altri tre bero chiesto agli angiovani cacciatori, ziani di andare nella che lo guardavano, prateria a visitare le incerti. Poi si mise a altre Tribù, e cercarsi ridere forte, e anche una moglie giovane gli altri risero. e forte. “Avete sentito?” Dopo la Danza della disse ai compagni. Buona Pioggia, i quat“I cuccioli di coyotro giovani parlarote drizzano il pelo e no fra loro, ridendo, Ai giovani cacciatori mostrano i denti! Voe fu proprio allora piaceva molto danzare. gliono danzare come che nell’erba spuntò Erano contenti ed eccitati. noi nella notte della la piccola processioCavallo Nero e Lancia luna piena! Forse vone di bambini. Cavallo Nero spenVeloce alzavano le gambe gliono anche venire a cacciare il bisonte se il suo sorriso e si più in alto, battevano i e domare i cavalli! alzò. tamburi con più violenza, Tu, Piccola Pioggia, “Che fate qui?” dise gridavano le invocazioni che parli tanto, vuoi se brusco. “Stiamo con più voce. anche scendere lunpreparando la danza go il fiume, a cercarti sacra, e non vogliauna sposa? Cosa darai in dono a suo padre? mo cuccioli fra i piedi!” Il cane della tua tenda?” Lancia Veloce, Braccio Levato e Falco in Attesa I giovani cacciatori ridevano e battevano risero tutti insieme, battendo forte i tambupiano sui tamburi, come se le parole di Cari per spaventare i bambini. Ma i bambini vallo Nero fossero una canzone. non si spaventarono. Davanti a tutti c’era I bambini fecero un passo indietro. Piccola Pioggia, poi Mano Chiusa, poi Rana Quando le risate finirono, Cavallo Nero si del Canneto, poi Pietra con Tana, e poi Coltel-

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voltò verso i piccoli e sputò per terra vicino ai loro piedi. “Tornate alle tende, piccoli serpenti! Andate, prima che vi prendiamo a calci! Dovete crescere, prima di fare la danza! Chissà come rideranno i vostri padri, quando racconteremo quello che avete detto! Via!” Il primo a scappare fu Coltello Pulito, che si mise a correre verso le tende a grandi balzi. Gli altri quattro si voltarono e camminarono in fila, come erano venuti, in silenzio. Il vento portava le risate dei giovani cacciatori. Poi ricominciarono i colpi di tamburo, e gli scoppi delle voci nel canto. Coltello Pulito, correndo, si voltò, e vide che i compagni erano indietro. Si fermò ad aspettarli. Passarono davanti a lui. Piccola Pioggia teneva la faccia bassa e i pugni stretti davanti al petto. Mano Chiusa si tirava i capelli vicino all’orecchia come se volesse strapparli. Rana del Canneto aveva le labbra che tremavano. Pietra con Tana era molto pallido. Coltello Pulito si mise in coda, e abbassò la testa, guardando i piedi di Pietra con Tana che pestavano l’erba davanti a lui. Cercò di mostrarsi molto scontento. Pietra con Tana andò al fiume, a guardare i cavalli che bevevano. I cavalli della tribù erano mano-mano, uno per ogni cacciatore, due per le slitte pesanti e un puledro pezzato bianco e nero. Il padre di Pietra con Tana, Aquila che Stringe, l’aveva catturato con l’aiuto di Cavallo Nero da pochi giorni, prima di guadare il fiume. Era troppo piccolo per essere domato, ma abbastanza grande per correre come gli altri cavalli. Era molto giocoso, e Pietra con Tana lo guardava spesso, pensando che, anche se lui non sapeva

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ancora domare i cavalli, quando suo padre o Cavallo Nero, o Lancia Veloce, lo avessero domato, lui avrebbe potuto cavalcarlo. I cavalli, dopo la bevuta, si staccarono dal fiume e si raggrupparono vicino alle tende per la notte. Solo il puledro pezzato restò indietro, annusando l’acqua quieta vicino alla riva. La luna, che sarebbe stata piena la notte dopo, si rifletteva nell’acqua, tremolando, fra sue le zampe. Ogni tanto l’animale alzava la testa e guardava il bambino seduto sulla sponda, come per fargli capire che si era accorto di lui, poi abbassava di nuovo il muso nell’acqua. Il vento era calato, come sempre di sera in quella stagione, ma dalle tende arrivava a tratti, più forte di quello del fiume, l’odore delle piccole frittelle che le donne stavano preparando per la Festa. Il puledro uscì dall’acqua, spezzando con gli zoccoli il disco argentato della luna. Si sentivano i coyote, lontani e sparsi nella prateria. I cani della tribù rispondevano, ma senza minaccia, come per un saluto. D’improvviso, Pietra con Tana ebbe un pensiero. Rana del Canneto svegliò i compagni. Lei poteva svegliarsi quando voleva, e così poco prima dell’alba uscì e andò a picchiare con le dita sull’esterno delle tende, nel punto in cui sapeva che i compagni, all’interno, erano stesi a dormire. Piano piano, senza sfiorare i grandi addormentati, ciascuno dei bambini uscì nell’aria ancora fredda di notte. Rana del Canneto, Pietra con Tana e Coltello Pulito rimasero fuori dal cerchio delle tende, nascosti nell’erba. Un velo di latte saliva dall’erba, ad oriente.

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C’era luce, ormai, in cielo: Il tamburo era sotto la slitun immenso latte rosato ta di Lepre di Due Colori, il allargava di minuto in mipiù anziano della Tribù, nuto lo spazio e svelava e veniva usato solo due o verdi lontananze. tre volte all’anno, quando Solo allora, camminando c’era da prendere un’impiano, seguiti dai cani delportante decisione. Era la tribù, silenziosi e incugrande come una testa di riositi, Rana del Canneto, puledro, legato con lacci a Pietra con Tana e Coltello un largo anello di strisce Pulito entrarono nel cerdi pelle intrecciate. chio delle tende, e si agIl suo nome era Grande Rigiunsero ai compagni. chiamo, e il suo suono era Sedettero tutti attorno al sacro e indiscutibile. Toglierlo da sotto la slit- Si sentivano i coyote, totem, rivolti a oriente. lontani e sparsi nella Coltello Pulito porse a Pietra ta non fu difficile, anche perché non c’era nessuno prateria. I cani della con Tana il bastone corto e in giro, così presto. Piccotribù rispondevano, grosso con cui sua madre la Pioggia e Mano Chiusa, ma senza minaccia, Luna del Giorno conciava le pelli: portare quel bastone silenziosi come volpi in come per un saluto. era il suo compito, e lui caccia, sollevarono le pello aveva eseguito. I cani, li, slegarono i lacci che teaccucciati attorno, aspettavano in silenzio, nevano Grande Richiamo e lo portarono al con il muso fra le zampe, soffiando ogni totem. Poi, mentre Mano Chiusa teneva il tanto dall’umido naso nero. tamburo sotto un braccio, Piccola Pioggia, Il primo colpo di vento mosse i capelli dei appoggiandosi al totem, si arrampicò sulle bambini e i peli delle bestie. Poi, in un rosspalle del compagno, che era più robusto. so barbaglio, il sole spuntò sopra l’erba, tinIn cima, tenendosi al totem con un braccio, gendo di luce le cinque facce attente. abbassò l’altro e Mano Chiusa, cercando di Pietra con Tana si alzò in piedi, alzò il bracnon spostarsi, gli passò il tamburo. Piccola cio, e con tutta la sua forza colpì tre volte Pioggia infilò l’anello di pelle intrecciata inGrande Richiamo. torno alla testa di bisonte, lo fece scorrere in basso, sopra la faccia dalla vernice sciolta, Strano fu il risveglio della Tribù, quella fino al muso di coyote. Poi saltò giù dalle mattina. spalle di Mano Chiusa. Alzando le braccia Tre colpi profondi, dal centro dell’accampasistemarono insieme l’anello di pelle nella mento, scacciarono il sonno dalle teste dei scanalatura che, come un collare del coyogiovani, delle giovani, delle madri, dei pate, correva tutto attorno al totem, e lo fecero dri, delle vecchie e dei vecchi. Tutti si svescorrere fino a quando il tamburo pendette gliarono, tranne la piccola Fiore dell’Alba, verso il centro dell’accampamento.

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che continuò a dormire sotto le pelli. La Tribù uscì dalle tende, vide i bambini seduti attorno al totem, e rimase sorpresa. Tutti guardarono Lepre di Due Colori, che osservava i bambini in silenzio. Poi l’anziano andò a prendere nella tenda il Bastone del Giudizio, e tornò fuori, camminò verso il totem, e sedette di fronte ai bambini. Allora tutta la tribù andò a sedere attorno a loro, in un largo giro completo. Lepre di Due Colori parlò. “Vedo una mano di bambini,” disse il vecchio con voce consumata, ma ancora sicura. “Ho sentito tre forti colpi di tamburo. C’è qualcosa da decidere, nella Tribù. Parlate.” “Padre della Tribù,” disse Piccola Pioggia a voce alta, “I bambini vogliono parlare di cose accadute, e fare una domanda.” Lepre di Due Colori mosse appena il capo,

“Vedo una mano di bambini,” disse il vecchio con voce consumata, ma ancora sicura. “Ho sentito tre forti colpi di tamburo. C’è qualcosa da decidere, nella Tribù. Parlate.” con serietà, perché il piccolo continuasse. “Qualche giorno fa eravamo riuniti a parlare,” disse Piccola Pioggia. “Parlavamo dei nostri padri, Lupo Ardente e Aquila che Stringe, e della caccia dei bisonti. Parlavamo insieme, fuori dal cerchio delle tende. Venne Cavallo Nero, ci sgridò, disse che stavamo facendo vento all’erba, e ci fece scappare.” Piccola Pioggia tacque. Lepre di Due Colori chiese:

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“Solo questo è accaduto?” “No” rispose Rana del Canneto. “Qualche giorno fa, guardando il totem, vidi che la vernice della faccia si era sciolta, e dava al totem una faccia cattiva e triste. Pensai che potevo toccare il totem, perché avevo una ragione per farlo, e cominciai a pulire la faccia. Fui colpita da Acqua dei Monti, che mi sgridò perché avevo toccato il totem, e avevo disegnato figure. Volli dire cosa stavo facendo, ma lei mi colpì di nuovo, e mi scacciò.” Nel silenzio, Lepre di Due Colori fece segno di continuare. Parlò Mano Chiusa. “Ieri, Padre della Tribù, siamo andati dove i giovani cacciatori danzavano e cantavano, e abbiamo chiesto di imparare la danza e il canto, per fare la Festa, e chiamare gli Spiriti. Siamo stati derisi da Cavallo Nero, e dagli altri. Cavallo Nero ha chiesto se volevamo anche cacciare i bisonti o cercare spose nelle altre Tribù, e ha sputato per terra verso di noi.” Mano Chiusa tacque. Il cerchio della Tribù stava immobile, in silenzio. Lepre di due Colori si voltò verso Cavallo Nero, che sedeva dietro di lui, un po’ verso destra. “I cuccioli della Tribù hanno parlato di te, Cavallo Nero,” disse. “Hanno fatto un racconto. Il racconto è falso o vero?” “È vero, Padre della Tribù,” rispose il giovane cacciatore a faccia alta. Il vecchio si voltò verso un’altra parte del cerchio, di fronte a lui. “Rana del Canneto ha parlato di te, Acqua dei Monti. Ha fatto il suo racconto. Il suo racconto è falso o vero?”

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“È vero, Padre della Tribù,” rispose la donna. Il vecchio tornò a guardare Cavallo Nero, e disse: “Cavallo Nero, giovane cacciatore, figlio del valoroso Aquila che Stringe, che è figlio mio, sembra che tu sappia molto su quello che possono o non possono fare i cuccioli della Tribù. Puoi dirci quale Spirito te lo ha rivelato?” “Nessuno Spirito, Padre della Tribù” rispose Cavallo Nero, meno sicuro di prima. “Io ho detto le cose dell’uso della gente, per quello che io sapevo.”

alta, guardando il totem: “Saggio è ciò che è giusto. Impariamo dai Fratelli del Cibo, dai Coyote, dagli Uccelli: i loro piccoli, appena possono fare una cosa, la fanno. Appena possono correre, corrono. Appena possono cacciare, cacciano. Appena possono volare, volano. Se i cuccioli sanno parlare, parlino fra loro, e parlino ai grandi, nel rispetto. Se i cuccioli sanno fare figure, le facciano, nel rispetto. Se i cuccioli sanno danzare e cantare, danzino e cantino, nel rispetto. Questo è il buon uso della gente, che toglie il danno e non ne fa. Ho detto.”

“Saggio è ciò che è giusto. Impariamo dai Fratelli del Cibo, dai Coyote, dagli Uccelli: i loro piccoli, appena possono fare una cosa, la fanno.” Il vecchio chiese ad Acqua del Monte: “Anche tu, donna, hai detto le cose dell’uso della gente?” “Sì, Padre della Tribù,” rispose lei, a bassa voce. Il vecchio si rivolse ai bambini: “Ora dite, cuccioli, qual è la vostra domanda?” Coltello Pulito aveva un altro compito, quel giorno. Disse: “Possono i cuccioli della Tribù riunirsi a parlare, fare figure, danzare e cantare?” “Questa è anche la domanda del piccolo Pietra con Tana?” chiese il vecchio. Pietra con Tana inghiottì, strinse i pugni, e disse: “Sì, Padre della Tribù.” Lepre di Due Colori appoggiò il Bastone del Giudizio alle gambe incrociate, alzò le mani, cantando una breve preghiera. Poi prese il bastone, e tenendolo sollevato, disse a voce

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Poi Lepre di Due Colori si alzò, e andò a sfilare Grande Richiamo dal totem, e lo riportò sotto la slitta. Il fuoco era acceso davanti al totem, il grasso dei bufali sacri era tutto bruciato, la Tribù aveva mangiato e bevuto, erano cominciati i canti e le danze, le mani delle donne battevano i tamburi. La luna era tonda e bianchissima nel cielo fitto di stelle. Non c’erano nuvole, e il vento si era calmato da un poco. I cani della Tribù, impauriti dal fuoco, dal rumore e dal movimento, si erano accucciati dietro le tende, dove iniziava il silenzio della prateria. Il fuoco mandava lampi gialli sui danzatori e sul totem, e ombre sulle tende e sull’erba. Due bambini, nel cerchio dei cacciatori, danzavano e cantavano. Altri due, che non

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sapevano danzare, battevano vicino al totem dei bastoni al ritmo dei tamburi, e gridavano le invocazioni. Rana Del Canneto batteva con la sua mano leggera sul tamburo di una delle sorelle che erano andate in altre Tribù. Batteva con la mano e con le dita. Danzava con la mano e le dita sul tamburo. Battendo, faceva invisi-

bili disegni, segreti e veloci, sulla pelle tesa del bisonte. Lepre di due Colori e gli altri due anziani sedevano con le spalle al totem, e cantavano le invocazioni con le vecchie mani alzate verso la luna. Nella tenda, Fiore dell’Alba dormiva. •

Roberto Piumini Roberto Piumini, nato in provincia di Brescia nel 1947, è uno degli autori più amati dai giovani e dagli adulti. Ha scritto fiabe, poesie, filastrocche, romanzi, racconti, testi per il teatro, la televisione e i cartoni animati, e tradotto opere di Browning, Shakespeare, Milton e Plauto. Ha pubblicato libri presso oltre settanta editori italiani. Nella sua ricchissima bibliografia ricordiamo, tra le opere più recenti, Volare alto. La gioia delle piccole cose (con illustrazioni di Marco Somà, Giunti 2012), il romanzo L’amatore (Barbera 2011) e l’autobiografia L’autore si racconta (Franco Angeli 2012). Il suo libro La gazza Rubina (con Giulia Orecchia, Feltrinelli 2010) è disponibile in ebook da Biblet. Disponibile su www.biblet.it

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Saggio

11 SCENE

PER UN FILM SULLA VITA DI

TONINO GUERRA

Immagini e parole di un amante della bellezza di Salvatore Giannella

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1. Lugano, casa di via Motta 33. Sulla targhetta: Giuseppe Prezzolini. Interno notte. Un uomo scrive una lettera: “Caro Valentino Bompiani, presidente di tutti gli Autori ed Editori… Non conosco personalmente Antonio Guerra, autore de Il polverone, ma ho il coraggio di affermare che il Guerra scrive come un classico, pensa come un moderno e conclude con spirito; la sua chiave di casa sta sul pianerottolo della porta d’uscita. Inizia i suoi raccontini in versi liberi con qualche battuta che sembra una scemenza e finisce con una chiusura che vi fa pensare. È un coraggioso ‘umorista’, non si dà delle arie. Pare che dica: ‘Senti questo scherzo’. È proprio contemporaneo. Cito: ‘Un contadino quando si accorse che la moglie lo aveva tradito, fece apparecchiare per tre. E mangiarono tutta la vita guardando il terzo piatto vuoto davanti a loro’. È un breve, sintetico, profon- Guerra con Fellini do racconto: un capolavoro… Di passata osserverò che alcune delle ‘vignette’ del Guerra furono concepite in dialetto romagnolo; ma mi dispiace di non avere familiarità con quella parlata, e non credo che i paragoni tra le due versioni giovino molto a capire l’una e l’altra. Il senso è chiaro, tanto nell’una che nell’altra. Cito ancora: ‘La prima parola che ho sentito / nella mia vita / è stata: «Dove vai?» / Eravamo in un camerone. Io e la mamma, / seduti su dei sacchi / di granoturco. / Avevo un anno in tutto / e non sapevo / che cos’erano le parole / e dove andavano a finire’. Vedete come ci possa stupire un bimbo di un anno, con quattro versi in dialetto. Furono versi scritti in dialetto? E poi tradotti? O prima furono in lingua? E che cosa importa? Piuttosto ci vorrebbe un lapis di un Longanesi per rifare i gesti, pieni d’infinito, come certe poesie dell’Ungaretti e del Leopardi?

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Altre volte la storiella non è così semplice, e anzi penetra in quei più riposti antri dell’animo umano che capita a molti di scavarsi nel proprio intimo. Sentite questa: ‘Due donne mangiano un panino su una panchina ai giardini pubblici, perché sono state abbandonate dai rispettivi amanti. Si sentono così sole che pensano di andare a dormire assieme. Quella delle due che aveva offerto la casa per la notte vide l’altra così appetitosa che pensò di farla dormire dalla parte del letto che abitualmente occupava lei tenendo per sé quella dell’uomo che amava. E soffrì di gelosia, perché sentì di guardare l’amica come l’avrebbe guardata lui’. Mi direte: ‘Beh, che cosa c’è di straordinario? Saprei scriverne una anche io, altrettanto carina’. E io risponderei: ‘Non lo so’. Scrivere semplice pare facile, ma invece è molto più difficile di quanto pensiamo… Non conosco personalmente il Guerra e ci siamo scambiati forse una cartolina. Ho scritto questo articolo per lui, ma più che per lui per il principio della semplicità, della verità, della concretezza, delle molte cancellature; e del genio che a esse s’affida. Suo, Giuseppe Prezzolini.” 2. Roma, piazzale Clodio. Interno giorno. Guerra scrive a Prezzolini: “Pazienza, vorrà dire che dovrò esserle riconoscente per tutta la vita”. È la frase che ricalca i suoi grazie mandati già a Carlo Bo, che nel ’46 ha voluto arricchire con una preziosa prefazione un libretto di poesie in dialetto pubblicato a sue spese (I Scarabòcc, Gli scarabocchi) “e così mi ha tirato fuori dall’ombra”; è il segno di gratitudine che ha mandato all’amatissimo Elio Vittorini, il quale ha accolto due suoi libri nella collana I gettoni; e la riconoscenza che ha rinnovato a quel “grande uomo” che si chiama Gianfranco Contini, autore di un saggio su I bu, la raccol-

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ta di Antonio (ribattezzato Tonino da Federico Fellini) di tutte le poesie in romagnolo. 3. Troisdorf, città della Renania-Vestfalia, in Germania. Auditorium comunale. Interno giorno. Che ci fa Tonino Guerra in questa grande città tedesca, fatta di casette con tetti spioventi a comporre quartieri intorno a strade dai nomi scioglilingua? Lui è tornato perché l’amministrazione comunale, mezzo secolo dopo la fine

“Le faccio una proposta: venga a vivere da noi. L’aria è buona. E il paese, tutta la valle bagnata dal Marecchia, ha bisogno di un poeta, dell’arte e della regia di un poeta.” della seconda guerra mondiale, ha dedicato in suo onore un ciclo dei suoi migliori tra i 120 film sceneggiati per i maggiori registi del Novecento, Fellini e Antonioni in primo luogo, e che gli meriteranno nel 2011 il Jean Renoir Award, premio alla carriera assegnatogli in doppia cerimonia, a Hollywood e a New York, dalla Writers Guild of America, associazione degli sceneggiatori statunitensi. Tornato a Troisdorf, perché in tempo di guerra, nella foresta confinante, qui Tonino finì in un campo

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di lavoro e di concentramento. Non uno dei più terribili, ma certo costruito con lo stesso proverbiale stampino con il quale furono forgiate le varie Dachau. Qui quel piccolo italiano, arrestato dai fascisti in un rastrellamento a Santarcangelo di Romagna mentre portava da mangiare ai gatti su ordine di suo padre, era ai lavori forzati più deprimenti in una fabbrica di esplosivi. Lavorava e sognava la casa in Italia. Sul volto del borgomastro tedesco c’è una leggera tensione quando Tonino prende la parola. Che dirà? Riporterà alla luce quell’antico scheletro nell’armadio della città? Avrà parole aspre? Saranno sufficienti le scuse ufficiali e postume avanzate dalla città? Il poeta presto scioglie la tensione con le sue parole. Quel periodo di internato non è stato mai da lui maledetto, anzi spesso indicato come sorgente della sua vena creativa nel cinema e nella letteratura. Era nato in quelle baracche, acceso dalla sofferenza, il suo talento poetico. Qui Gioacchino Strocchi, medico ravennate, suo compagno di prigionia, annotava i testi poetici che Tonino recitava ai compagni perché non perdessero l’allegria neanche nei posti più bui. Così, al ritorno in Romagna, fiorirono “I scarabocc”. “Se non ci fosse stata la guerra, io non sarei diventato qualcuno. Quei giorni drammatici che ho passato in prigionia a Troisdorf, avevo 23-24 anni, ogni giorno con l’idea della morte, mi hanno fatto diventare uomo, scrittore, poeta. Ancora adesso quei momenti mi sembrano i più avventurosi della mia vita. I miei primi versi sono nati a Troisdorf per i miei compagni di prigionia romagnoli. La sera mi chiedevano di dire qualcosa in dialetto che li aiutasse a distrarsi e a dormire. Io, non avendo carta e penna, cercavo tutto il giorno di imparare quelle poesie a memoria mentre lavoravo. A guerra finita il dottor Strocchi, che era riuscito a trascriverle, me le portò. Carlo Bo, il rettore dell’università di Urbino, le lesse, gli piacquero e così decisi di pubblicarle.” Fu con il sale del dolore che Tonino condì la “cucina

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e presiedo la fiera dell’antiquariato. I suoi genitori conoscevano bene questo borgo dell’Appennino, culla dei Malatesta. Le faccio una proposta: venga a vivere da noi. L’aria è buona. E il paese, tutta la valle bagnata dal Marecchia, ha bisogno di un poeta, dell’arte e della regia di un poeta.”

astratta”, preparando ai compagni di sventura le tagliatelle unicamente con la fantasia e con la sua innata arte di raccontare le storie facendole sembrare realtà. 4. Napoli, un bar storico all’angolo di via Chiaia, tra la nuova e la vecchia città. Esterno giorno. Tonino sta collaborando alla sceneggiatura del film Matrimonio all’italiana, di Vittorio De Sica. Il regista, in una pausa dei lavori, lo invita a bere un caffè. Lo stanno gustando quando entrano due persone che chiedono quattro caffè, li pagano ma ne bevono soltanto due. “E gli altri due?”, chiede Tonino a De Sica. La risposta che ottiene è questa: “Gli altri due caffè sono rimasti sospesi, cioè a disposizione di chi non può permettersi la tazzina”. E infatti, qualche minuto più tardi, un uomo povero entra e domanda: “Scusate, c’è un caffè sospeso?”. “Come no”, e gliel’hanno servito. Sul diario, Tonino annota: “Gesti così, a Napoli, ce ne sono tantissimi”.

6. Pennabilli, Casa dei Mandorli, esterno giorno. Un uomo scrive una pagina di diario: “Da anni cerco delle risposte, voglio sbarcare da qualche parte per vivere in modo diverso. Ho pensato a Tbilisi e anche a New York, a Parigi e anche a Mosca, in quel pianeta Russia che mi ha regalato mia moglie Lora. La Russia è una terra che mi ha dato moltissimo, mi ha regalato il modo di capire e di inventare delle cose. Mi ha riportato a dipingere, come facevo da ragazzo. Mi ha fatto sentire la grande musica che non stava nelle orecchie. E invece un giorno, lasciata Santarcangelo, ho attraversato con Gianni un ponticello sul Presale, che è un affluente del Marecchia, e sono arrivato a calpestare le foglie di un orto disordinato e accogliente… A molti farebbe bene arrivare in un orto di campagna. Mescolare i pensieri tra le foglie dell’insalata e l’aria pulita sventolata dalle foglie dei cavoli. Gli anni Novanta ormai li abbiamo sulla punta della lingua. Credo che saranno gli anni in cui noi, vuoti di ideologie, avremo gli occhi sulla natura, con gli alberi, con la pioggia, con la neve. Dobbiamo riallacciare i fili di seta con il prossimo, altrimenti il ghiaccio della solitudine ci chiuderà nella tri-

“Se ci capiterà di incontrare un albero fiorito, ormai sarebbe ora di salutarlo incantati togliendoci il cappello”

5. Santarcangelo di Romagna. Piazza Grande, davanti al Caffè Centrale. Esterno giorno. Tonino è seduto al tavolino sotto casa. Sta gustandosi un caffè prima della consueta pausa dopo pranzo. Gli si avvicina uno sconosciuto, alto, senza tempo. “Scusi, sto cercando il poeta Guerra. Mi hanno detto che frequenta questa piazza…” “Sono io, sono Tonino Guerra. Desidera?” “Sono Gianni, vengo da Pennabilli, a trenta chilometri da qui. Lì faccio il barbiere

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stezza della sua morte. La natura non è inquinata, è l’uomo che lo è. Lavoriamo sull’uomo, dunque. Impareremo a tagliarci le unghie per non graffiare? Potrebbero essere gli anni della spiritualità e della poesia; una poesia non solo

“Non parlare di memoria”, mi ha raccomandato l’ultima volta che l’ho visto, il giorno prima che nella sua casa entrasse il silenzio. “Parla di progetti e di futuro.” di parole ma soprattutto di gesti. Per esempio: se ci capiterà di incontrare un albero fiorito, ormai sarebbe ora di salutarlo incantati togliendoci il cappello.” 7. Strada Marecchiese, tra la Riviera romagnola e Pennabilli. In un’auto che avanza sotto la pioggia, tra dirupi e picchi in miniatura che ricordano gli sfondi dei quadri di Piero della Francesca e di Leonardo da Vinci, due uomini dialogano. Hanno volti noti: Federico Fellini, venuto a trovare per l’ultima volta l’amico e collaboratore Tonino Guerra, con il quale ha vinto l’Oscar a Los Angeles per Amar-

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cord. Il grande regista parla delle storie che sta inventando ma che è diventato difficile mandare in porto e farne dei film. TONINO: “La Valmarecchia è una valle piena di storia. Ma io la grande storia, i grandi castelli li lascio alle spalle. Io voglio consigliare ai viaggiatori, con i miei luoghi dell’anima e le mie invenzioni poetiche, di vedere la valle in un altro modo. Tappeti di mosaico, alberi d’acqua, orti dei frutti dimenticati, musei con un quadro solo. Posti che poca gente ha visto, trascurati, dove poter incontrare se stessi. Posti che potrebbero fare da cornice a film…” FELLINI: “Tonino, ma non ti rendi conto che noi continuiamo a fare gli aeroplani ma non ci sono più aeroporti?” 8. Roma, Palazzo del Quirinale. Interno giorno. Tonino, premiato con il David di Donatello, parla al capo dello Stato Giorgio Napolitano: “Signor Presidente, quando sono venuto a Roma, cinquant’anni fa, un mio amico pittore, Renzo Vespignani, mi ha portato a vedere le cose più belle della città. Era un giorno molto caldo, piazza San Pietro era deserta. Gli chiesi come mai non ci fosse nessuno. ‘Guarda meglio’, mi rispose. Pian piano vidi che tutta la lunga ombra dell’obelisco era piena di gente. Signor Presidente, noi siamo la sua ombra, contenti se tiene in tasca la nostra Costituzione!”. 9. Santarcangelo, casa Guerra, esterno giorno. Tonino è a letto, nuovamente aggredito dalla malattia. Dal cronista amico ha appena ricevuto la copia staffetta dell’ultimo, nuovo libro (Polvere di sole. 101 storie per accendere l’umanità) pubblicato dalla sua prima casa editrice, la Bompiani. Si rivolge al giornalista, diventato nonno, con consigli di laureato in pedagogia com’è. “Ai tuoi nipoti rendi sapienti le mani. Meglio insegnare a un ragazzo dove mettere le luci nella casa e il tavolo e l’armadio e le sedie da comprare, piuttosto che ripetergli che la Cappella Sistina è fatta da Michelangelo.”

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10. Pennabilli, giardino della Casa dei Mandorli. Esterno giorno. Il cronista amico parla alla moglie Lora, al figlio Andrea e a chi ha voluto bene a Tonino. Sono davanti al suo corpo senza vita, spirato (beffa del destino) nella Giornata mondiale della poesia, il 21 marzo 2012. “Non c’è bisogno che vi parli dello sceneggiatore di 120 film con i più grandi registi del mondo, del poeta Omero della civiltà contadina, dell’architetto del paesaggio e dell’unico regista di una valle. Lo conoscete tutti, e quindi non vi parlerò di quest’uomo tenero e rude, ironico e generoso, geniale maestro e umile ascoltatore, fustigatore e consolatore. Un uomo che è una colonna della cattedrale laica della civiltà. Né vi parlerò di memoria, quel continente da cui lui traeva linfa vitale. ‘Non parlare di memoria’, mi ha raccomandato l’ultima volta che l’ho visto, il giorno prima che nella sua casa entrasse il silenzio. ‘Parla di progetti e di futuro. E ai sindaci della Valmarecchia dì di restare uniti.’ Ma è della sua più vitale sceneggiatura che voglio parlarvi, del suo principale progetto dei suoi 23 anni vissuti a Pennabilli, da quel 1989 in cui Gianni Giannini lo avvicinò nella Piazza Grande intuendo che poesia fa rima anche con economia. È il progetto della Valmarecchia come Valle Dipinta: questa valle dell’Appennino centrale (che Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani e già ministro dei Beni culturali italiani, si è spinto a definire “la più bella d’Italia”) va arricchita di numerose altre invenzioni poetiche e colorate, come i suoi luoghi dell’anima. Questo sforzo comporterà creatività e unità (ricordiamoci che i mandorli della valle fioriscono tutti insieme). Comporterà una connessione inedita tra cittadini e sindaci. Per esempio, mi piace pensare che presto, uscendo dall’autostrada al casello di Rimini Nord-Santarcangelo, si possa leggere questo ulteriore cartello: Valmarecchia, la Valle Dipinta di Tonino Guerra.

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Abbiamo una grande responsabilità: trasferire la nostra linfa vitale perché le opere e i progetti di Tonino possano continuare a produrre altra linfa, altra bellezza, altra vita. Siamo uniti, state uniti nel nome di Tonino. Nell’ultimo incontro Tonino mi ha incitato: ‘Ricordaglielo anche tu alla gente e ai sindaci. Devono essere legati dallo scorrere dell’acqua di un fiume che non conosce la geografia politica se non quella che potrebbe essere disegnata dalla Bellezza, che è il petrolio della nostra Italia. Per esempio, dai fiori che, ansa dopo ansa, dalla riviera fino alla sorgente del Marecchia, potrebbero con una manciata di semi segnare con profumi e colori diversi, nel cambiare delle stagioni, il viaggio dell’acqua del fiume. Perché in questa Valle Dipinta un frutto possa dissetare un viaggiatore. E perché si possa tornare a salutare, incantati, un albero fiorito togliendosi il cappello.” 11. Lugano, Biblioteca cantonale, sezione Archivio Prezzolini. Il cronista sfoglia le pagine di diario dello scrittore. Affiora una pagina scritta dalla sua terrazza sul mare a Vietri, nell’amata Costiera Amalfitana. “Ora quando vedete una nuvoletta che attraversa lentamente il cielo, s’attarda a guardare il mondo… pensate che forse mi son trasformato in quella, son fuggito dalla porta o dalla finestra di casa o da una fessura come un fumo di sigaretta e sto recuperando una innocenza lontana come se mi fossi tuffato in quel mare sotto la mia terrazza.” • Ciao Tonino, il tuo amico e discepolo, Salvatore Giannella

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Una vita in 13 tappe 1920 Antonio Guerra nasce a Santarcangelo di Romagna. 1938 Si diploma maestro elementare. 1944-45 È prigioniero nel campo di concentramento di Troisdorf (Germania). 1946 Ritorna a casa. Nello stesso anno si laurea in Pedagogia a Urbino. Pubblica a sue spese il suo primo libro, I scarabocc. 1952 Pier Paolo Pasolini pubblica Poesia dialettale del Novecento, dove si sofferma a lungo sul romagnolo Guerra. Inizia il fortunato viaggio di Tonino poeta e scrittore. L’equilibrio e L’uomo parallelo, editi da Bompiani, saranno i libri tra le sue prime prose che amerà di più. 1953 Scrive la sua prima sceneggiatura per il film di Aglauco Casadio Un ettaro di cielo. È l’avvio della sua prolifica attività di sceneggiatore (oltre cento film). 1960 Firma L’avventura, con Michelangelo Antonioni. Comincia un sodalizio artistico che dura fino alla scomparsa del regista. 1973 Esce Amarcord, prima sceneggiatura scritta con Federico Fellini: il film ha un successo strepitoso. Vince l’Oscar a Los Angeles. 1977 Si sposa in seconde nozze, a Mosca, con Eleonora Kreindlina. 1981 Dà avvio con Il miele alla stagione dei poemi, sempre in dialetto. 1984 Lascia Roma per trasferirsi in Romagna, a Santarcangelo prima e poi, dal 1989, a Pennabilli, nel Montefeltro storico, tra Romagna e Marche. Qui indirizza il suo talento creativo per valorizzare la Valmarecchia. 2012 Muore a Santarcangelo il 21 marzo, Giornata mondiale della poesia.

Salvatore Giannella Salvatore Giannella, giornalista, ha diretto “Genius” (1984), “L’Europeo” (1985), “Airone” (1986-1994) e ha curato, dal 2000 al 2007, le pagine di cultura e scienza del settimanale “Oggi”. Ha scritto libri e sceneggiato documentari per “La Storia siamo noi”.

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Anticipazione

JANE AUSTEN, MAESTRA DI VITA Emma, un romanzo che può cambiare l’esistenza di William Deresiewicz

Pubblichiamo, in esclusiva per i lettori di PreTesti, un brano del libro La vita secondo Jane Austen (TEA, 258 pagine, 13 €), in libreria dal 19 aprile.


P

a causa dell’estrema fiducia che ri­pone nel restare attenzione ai “piccoli partiproprio giudizio, ingarbuglia sempre tutto, colari” significa notare la vita che anche se per motivi tutt’altro che dilettevoli. scorre, prima che finisca; e non Questo però accade per­ché in realtà la sua solo. Ponendo l’ac­cento sulle loro coscienza è intorpidita, come lo era la mia. piccole attività quotidiane, non limitandosi a Non riesce a sentire ciò che sente, né a sapediscuterne, ma ripetendole e riprendendole re ciò che vuole. più volte (rac­contando la stessa storia ora Comunque alla fine Emma impara che la in sintesi ora per esteso, ora in un salotto, vita di ogni gior­no non solo è più gioiosa ora in un altro) ‒ i personaggi di Emma in ‒ e più drammatica ‒ di quanto pos­sa imeffetti non fanno che aggrapparsi alla vita. maginare, ma è anche più gioiosa e dramTessono la trama della comunità, un filamenmatica di quan­to avesse immaginato, di tutte to di conversazione alla volta. Creano il loro le sue macchinazioni e mondo parlandone. dei suoi sogni a occhi Ancora una volta in difaperti. Lei giocava coi ficoltà è proprio Emma. sentimenti, tuttavia Ama spet­tegolare con la monotona, banala sua migliore amica, le, vecchia vita quotila signora Weston, ma, diana è il luogo in cui quando interviene la sii sentimenti esistono gnorina Bates, non vede realmente. Quando lo l’ora di allon­ tanarsi e scopre, comprende anritiene che le lettere di che qual è l’uomo che Jane Fairfax siano un destino peggiore delLa vita per Emma diviene dovrebbe sposare, e allo stesso modo io ho la morte. È la persofinalmente reale, na più intelligente e di e leggendola io sentivo capito infine che questo è l’obiettivo a cui bell’a­ spetto della sua che lo stesso stava il romanzo mirava fin cerchia, oltre che la più accadendo a me dall’inizio. Il libro sa ricca e di buona fami­ fin dalle prime pagine glia, eppure pensa di qual è il romantico futuro dell’eroina, ma meritare una vita più interessante di quello rivela molto lentamen­te, è un segreto celala offerta da Highbury. Al pari di un cattivo to nel profondo. Non è vero che Emma di­fetta lettore, è alla ricerca di intrighi e avventure, nell’intreccio; anzi, è talmente ingegnoso eppure finisce solamente per isolarsi da tutti da riuscire a rimanere celato fino all’ultimo, quelli che la circondano, e di conseguenza per quando tutti i pezzi prendono improvvisaestraniarsi da se stessa. L’aspetto divertenmente il loro posto, richiamati da una forza te del romanzo è dato dal fatto che l’eroina,

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invi­sibile, come la limatura di ferro attirata dalla calamita. La vita per Emma diviene finalmente reale, e leggendola io sentivo che lo stesso stava accadendo a me. Vivere i miei giorni da sonnambulo non mi soddisfaceva più. Leggere Emma, sentirmi chiedere di prendere sul serio la vita di personaggi come Harriet Smith e Jane Fairfax ‒ non le vite eccitan­ ti di eroi ed eroine, con le quali è tanto gratificante identificar­si, né quelle affascinanti delle celebrità, così divertenti da leg­gere, e nemmeno le vite impressionanti delle persone autore­voli che mi era capitato di conoscere da lontano e che mi face­vano sentire tanto importante, ma le vite quotidiane di perso­ne comuni, degne di nota per l’unica ragione di essere vite ‒ alla fine mi ha portato a cominciare a prendere sul serio la mia stessa vita. Non che non avessi mai considerato seriamente i miei pro­getti e le

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mie grandi ambizioni, certo che l’avevo fatto. Quello di cui non avevo mai tenuto conto erano i piccoli avvenimen­ti, quei minuscoli frammenti di emozione di cui la vita è pie­na. Io non ero Stephen Dedalus, né il Marlow di Conrad. Ero Emma. Ero Jane Fairfax. Ero la signorina Bates. Non ero un ribelle, ma un buffone. Non fluttuavo in uno splendido isola­mento a un milione di miglia sopra la massa. Ero parte della massa. Dopotutto, ero una persona normale. Soprattutto, ero una persona. Cominciando per la prima volta a prendere sul serio la mia vita, cominciai anche a prendere sul serio il mondo. Di nuo­vo, mi sorprese l’idea di non averlo mai fatto davvero. Non mi ero sempre preoccupato dei grandi problemi: la politica, la giustizia sociale, il futuro? Non avevo passato un sacco di tempo a discuterne con gli amici, a decidere come risolverli? Ma in definitiva tutti quei discorsi erano soltanto teorici, non più

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La Austen mi aveva insegnato cosa significa serietà morale nel senso profondo del termine: assumersi la responsabilità delle piccole cose, non di quelle grandi. Essere responsabili di se stessi. reali nei sentimenti che li riguardavano dei progetti di Emma di mettere ordine nelle vite di chi le stava intorno. La Austen mi aveva insegnato cosa significa serietà morale nel senso profondo del termine: assumersi la responsabilità delle piccole cose, non di quelle grandi. Essere responsabili di se stessi. A mano a mano che procedevo nella lettura di Emma, la mia vita cominciò ad assumere un senso di gravità mai speri­mentato prima. Era uno di quegli sbalorditivi momenti in cui ti guardi intorno e vedi il mondo come se lo vedessi realmente per la prima volta; a un tratto ne percepisci la presenza co­me una realtà anziché come un insieme di

concetti: l’acqua è davvero bagnata, il cielo è veramente azzurro, il mondo è l’u­nico che abbiamo. Come disse Virginia Woolf, la più intuitiva tra le lettrici della Austen, a proposito di Clarissa Dalloway: “sempre aveva l’impressione che vivere, anche un solo gior­no, fosse molto, molto pericoloso”. Non perché la vita sia così pericolosa, ma perché è tanto importante. •

Tratto da La vita secondo Jane Austen di William Deresiewicz (TEA) Traduzione di Claudio Carcano © William Deresiewicz, 2011 © 2012 TEA S.p.A., Milano

William Deresiewicz William Deresiewicz, professore associato di inglese presso l’Università di Yale fino al 2008, ha pubblicato numerosi saggi e collabora come critico letterario per alcune tra le principali testate statunitensi, “The New York Times”, “The New Republic”, “The Nation”. È autore anche di Jane Austen and the Romantic poets, saggio letterario dedicato alla grande scrittrice inglese.

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Racconto

ALZARE LE PARETI di Davide Longo

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lzare le pareti gli era parsa la faccenda più seria affrontata in vita sua, fino a quando non si era trattato di mettere mano al tetto. Era stato a cavalcioni di una trave, afflitto da problemi di inclinazione e trigonometria, che la vita gli aveva palesato, con la chiarezza di un croco in un campo polveroso, una di quelle verità di cui fa sporadicamente dono ai suoi viandanti: saper entrare in una casa e costruirne una non sono la stessa cosa. Detto questo, non si era perso d’animo; occorreva solo pensarci due volte prima di piantare ogni singolo chiodo, e quando il martello era pronto ad abbattersi, pensarci

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ancora una volta. Il che avrebbe significato tempi più lunghi. Niente di grave: la stagione buona sarebbe durata un altro mese e terminata la copertura avrebbe lavorato al riparo per tutto l’autunno. Talvolta, nel tardo pomeriggio, quando il cielo restituiva i vapori della giornata in rapidi e furiosi acquazzoni, Thomas guardava attraverso i vetri del furgone la casa immobile sotto la pioggia, come un’arca in costruzione: qualcosa di biblico e profondamente morale. Cercava allora una stazione che trasmettesse un pezzo per clavicembalo solo (il che non accadeva mai), quindi abbassava il sedile e restava a fissare le pareti e lo scheletro del

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tetto prendere confidenza con il temporale. ‒ Facciamo tutto con il braccio meccanico – Una volta che le nubi si erano avviate verso disse l’uomo, che nel frattempo aveva porla pianura, usciva dal furgone e si accendeva tato lo sguardo sulla costruzione alle spalle una sigaretta. Era stato un fumatore accanidi Thomas. Anche il giovane, fermo accanto, ma ora non lo era più. Quando si accendeto alla portiera del camion, fissava la casa. va una sigaretta ora sapeva esattamente cosa Le guance butterate e gli occhi grandi facestava facendo e perché. vano pensare a uno di La schiena poggiata quei ragazzi le cui anal cofano, soppesava tenne non riescono a con lo sguardo il legno captare troppo lontachiaro del tavolato conno. Thomas ne aveva tro quello compatto e conosciuti e alcuni li selvaggio del bosco. aveva voluti a lavorare ‒ Pace! ‒ gridava agli con sé: in una squadra alberi, al lago e ai venci vuole sempre qualti chilometri quadrati cuno che non abbia senza anima viva attorla tentazione di esseno alla sua piccola prore creativo; gente che - Pace! - gridava agli prietà. pensa di saperla più Nel pomeriggio arrivò lunga degli altri e del alberi, al lago e ai venti il camion con le tegochilometri quadrati senza destino ce n’è anche le. Aveva avvertito che troppa. anima viva attorno alla c’erano alcuni chilome‒ Ottimo – disse. – Alsua piccola proprietà tri di sterrata da percorlora, se non vi spiace, rere, ma quando i due io continuo con il tetto. operai scesero non avevano comunque l’aria Arrivato alla scala, si voltò: i due erano nella contenta. ‒ Cristo Santo, ‒ sentì dire al più stessa posizione in cui li aveva lasciati. Il più giovane ‒ credevo non sarebbe finita più! vecchio aveva alzato la visiera del berretto Il più vecchio, un uomo che sembrava penda baseball, come gli servisse altro campo videre da una parte, gli venne incontro e gli sito per rendersi conto della cosa. porse la mano. Masticava qualcosa che pote‒ Giù al lago – fece Thomas ‒ c’è una cassa va essere un pezzo di cuoio. di birra al fresco. Per quando avrete finito, se ‒ Problemi? ‒ domandò Thomas. vi va. ‒ Abbiamo visto di peggio – fece quello con ‒ Ci va eccome! ‒ dissero, ma nessuno dei l’aria di uno che dice di una donna grassa due mosse un passo. che è semplicemente un po’ in carne. – Dove Quando si decisero non gli ci volle molto: il scarichiamo? braccio meccanico sollevava con disinvoltu‒ Ho fatto un po’ di spiazzo – indicò Thomas. ra le tegole imballate e le posava a terra con ‒ Volete una mano? la delicatezza di una balia.

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Alle cinque i due gettarono nel cassone gli elastici che avevano trattenuto le tegole. Thomas scese dal tetto, infilò i guanti da lavoro nella tasca posteriore e si diresse al lago che ciondolava mansueto una trentina di metri più in basso. Mentre i due sedevano, Thomas prese le birre. Sul terreno intorno c’erano qualche torsolo di mela, una buccia di banana e alcuni tozzi di pane: avanzi dei pasti che aveva consumato godendosi lo sciabordio dell’acqua. Erano due settimane che non tornava nella stanza presa in affitto in paese. I due presero le birre e ringraziarono con il capo. Il più vecchio diede un altro lungo sguardo alla casa.

posso cavarmela benissimo da solo. L’uomo e il ragazzo guardarono Thomas ridacchiare. Nei minuti che seguirono bevvero in silenzio: sorsi brevi e frequenti, finché l’uomo non si mise in piedi. ‒ Abbiamo un bel po’ di strada – disse. ‒ Sì – fece Thomas – mi dispiace di non avere di meglio… ‒ Anche troppo – disse l’uomo – anche troppo. Il ragazzo si diresse a lunghe falcate verso il camion con l’evidente scopo di arrivare per primo. Vedendolo arrancare lungo il pendio, Thomas pensò a un uccello preistorico rimasto impantanato a metà del guado evolutivo.

E poi ti ho già detto che ci sono cose che non si chiedono, una ha a che fare con il guidare e l’altra con le donne. O si capisce quando è il momento oppure è meglio lasciar perdere. ‒ Si è preso una bella gatta da pelare, eh? Thomas sorrise. ‒ Con calma si fa tutto – disse. L’uomo si studiò le dita intorno alla lattina. Il ragazzo giocava con un rametto cercando di farci salire una formica guerriera. Di tanto in tanto sbirciava anche lui la casa, ma come si guarda e non si guarda la donna di un amico quando si spoglia. ‒ Come si chiama quel tale che abita appena dopo il ponte? – chiese l’uomo. ‒ Il vecchio Luther – disse il ragazzo. ‒ Il vecchio Luther! – disse l’uomo. ‒ Potrebbe farsi dare due dritte da lui. Un tempo ci sapeva fare con le costruzioni. ‒ Ci sono stato ‒ annuì Thomas. ‒ Ha detto che è un quadrato con quattro stanze:

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‒ Posso guidare? – domandò non appena Thomas e l’uomo l’ebbero raggiunto. ‒ No, – fece l’uomo ‒ mi fai venire la nausea quando guidi. In sette anni di marina non ho mai avuto la nausea come quando tu ti metti al volante per cinque minuti. E poi ti ho già detto che ci sono cose che non si chiedono, una ha a che fare con il guidare e l’altra con le donne. O si capisce quando è il momento oppure è meglio lasciar perdere. Chiedere è l’ultima cosa da fare. Il ragazzo scivolò imbronciato sul sedile del passeggero. Quando si accorse che Thomas lo fissava toccò qualcosa sul cruscotto, come ci fossero dei tasti che era suo compito tenere sotto controllo e premere al momento giusto. ‒ È mio nipote – disse l’uomo. – È un po’ len-

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to, ma prima o poi il lavoro gli entrerà in testa e allora lo farà meglio di molti altri. Thomas annuì. ‒ Alcune persone sono l’ideale per certi lavori – disse. ‒ Una volta che hanno capito di cosa si tratta. ‒ Il concetto è proprio questo! – disse l’uomo lasciando intravedere per un momento il pezzo di cuoio che non aveva mai smesso di masticare. ‒ Sembra un pezzo di cuoio quello che ha in bocca – disse Thomas. ‒ Ormai non ci faccio più caso. Lo metto in bocca la mattina e la sera mia moglie deve ri-

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cordarmi di buttarlo prima di andare a letto. Lo tengo anche quando mangio. ‒ Immagino servirà a qualcosa. L’uomo si accarezzò le reni. ‒ Qualche mese fa sento dire in tv che i dolori alla schiena derivano quasi sempre da una cattiva masticazione: mandibole poco allenate. Il tale dice di tagliare a pezzi vecchie scarpe di cuoio o una borsa. Cuoio vero, roba animale, niente roba sintetica o trattata. Farne dei dischetti e masticarli. Io mi dico: “Abbiamo provato tutto, proviamo anche questa”. Ed eccoci qua. ‒ Sta meglio la sua schiena?

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‒ Una bellezza. ‒ Ottimo. ‒ Già – disse l’uomo, quindi afferrò la maniglia della portiera per salire sul camion, ma poi si bloccò. Riportò a terra il piede che stava ormai sul predellino e guardò Thomas. ‒ Posso farle una domanda? Quanti anni si è fatto alla fine? ‒ Dodici. ‒ Niente sconti? ‒ Niente sconti. ‒ Deve averli fatti incazzare parecchio! ‒ ridacchiò l’uomo soffiando fuori l’aria con il suono che fa la vescica natatoria di un pesce quando viene forata.

Carolin è abituata alla vita in campagna. Siamo cresciuti nello stesso paese. Quando lei faceva l’università siamo stati insieme tre anni, poi però io presi un’altra strada… Thomas pensò fosse un caso. Non aveva l’aspetto del pescatore e nemmeno di uno che se ne sta seduto a guardare documentari sui pesci. Il fatto che fosse stato in marina non voleva dire niente. La maggior parte dei marinai non sa pescare, come la maggior parte della gente che è nata su un’isola non sa nuotare. ‒ Da quanto è fuori? – chiese l’uomo. ‒ Tre anni, più o meno. ‒ E cosa ha fatto? Prima di capitare qui, intendo. ‒ Sa tenere un segreto? ‒ Non mi capita spesso di doverlo fare. Mia

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moglie me lo chiede ogni tanto, ma sono faccende che non interessano a nessuno, anche se lei pensa il contrario. Dunque non faccio nessuna fatica a tenermele per me. ‒ Fa lo stesso. Ho fatto consulenze per sistemi di sicurezza: gente con molto denaro che cerca di tenerselo stretto. ‒ Un bel lavoro. ‒ Di giorno non è male, ma poi la sera ti ritrovi da solo e in mutande in una camera d’albergo, con i pedalini afflosciati alle caviglie e l’aria stanca. Ci ho messo un paio d’anni, ma ho capito che non era il modo di invecchiare che faceva per me. L’uomo guardò il lago, l’azzurro del cielo riflesso sull’acqua e l’enorme aureola nera degli abeti. ‒ Certo qui è un’altra cosa – disse. – Ha intenzione di viverci solo? ‒ Non sono questi i programmi. ‒ Una donna? ‒ Proprio così. ‒ Spero non abbia intenzione di cercarla da queste parti. L’unica che valesse qualcosa era Margit, la figlia del borgomastro, ma ha finito col farsi ingravidare da un rappresentante di Zurigo. Le altre o sono brutte o non sono di grande compagnia. E per lo più entrambe le cose. ‒ Ho intenzione di pescare fuori zona. ‒ Per la gente della nostra età quelle dell’Est sono la cosa migliore. Anche quelle asiatiche, ma soffrono troppo il freddo e sono silenziose. In un posto così le sembrerebbe di avere in casa un fantasma. ‒ Carolin è abituata alla vita in campagna. Siamo cresciuti nello stesso paese. Quando lei faceva l’università siamo stati insieme tre anni, poi però io presi un’altra strada…

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‒ Quant’è che non la vede? ‒ Trentadue anni – disse Thomas. – Ora però ha divorziato, ha un figlio grande che lavora all’estero, finito il tetto conto di andarla a trovare con qualche fotografia della casa e chiederle di trasferirsi qui con me. L’uomo sfregò una scarpa sull’altra e durante l’operazione tenne gli occhi fissi sui piedi, come non fosse del tutto certo che fossero i suoi. ‒ Lei che ne dice? – chiese Thomas. L’uomo alzò le spalle. ‒ Prese alla sprovvista le donne possono fare cose molto avventate. Credo che con la figlia del borgomastro sia andata… ‒ Intendo della casa – lo interruppe Thomas. ‒ La casa? L’uomo sollevò lo sguardo su quelli che avrebbero dovuto essere i solidi montanti per il tetto. ‒ Quando proverà a metterci le tegole verrà giù all’istante – disse. ‒ Perché? Cos’ha che non va? ‒ Non saprei da dove cominciare, ma è quello che succederà. ‒ È messa così male? ‒ È la casa più brutta che io abbia mai visto e quel che è peggio è pericolosa. Le cadrà in testa e se non succede, cosa di cui dubito, le verrà qualche accidenti per via dell’acqua e degli spifferi. ‒ Qual è il suo consiglio? ‒ Faccia una bella fiammata, sporga denuncia all’assicurazione, compri altro legname e chieda a Luther di darle una mano. È molto avido, le basterà tentarlo con un po’ di denaro.

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Il suono del clacson frantumò il silenzio e ogni cosa intorno per qualche secondo sembrò raccogliersi in se stessa nel tentativo di resistere all’urto. Anche Thomas e l’uomo incassarono la testa tra le spalle facendosi piccoli. Poi il frastuono cessò e quel che ne rimaneva si allontanò ondulante, come una serpe che senza fretta svanisce fra gli sterpi. Allora l’uomo fece un passo indietro e guardò il ragazzo che, rimessosi al suo posto, li fissava con grandi occhi primordiali. ‒ Non credi basti bussare sul vetro? – gli disse – Oppure chiamarmi e dire: “Zio Johan, mi sono stufato, portiamo a casa il culo!”. Lo so che sei tonto, ma cerca di metterci del tuo, Cristo Santo! Ci sono mille modi per attirare l’attenzione, ma quando io e questo signore siamo a due passi, suonare il clacson è l’ultimo che ti deve passare per la testa. Lo capisci? Il ragazzo lo scrutava attento. ‒ Lo capisci o no? Il ragazzo annuì. ‒ Devi dire “Sì, zio”, altrimenti non sono sicuro che tu abbia davvero capito. ‒ Sì, zio – disse il ragazzo. ‒ Bravo ragazzo. Una volta sul camion, con la retromarcia già ingranata e il motore che sbuffava, l’uomo si sporse dal finestrino. ‒ Quella alla banca di Berna comunque fu la migliore. Conservo ancora l’articolo del giorno dopo. ‒ Fummo fortunati – fece Thomas. ‒ Sempre e solo fortuna? Anche le altre volte?

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‒ Quali altre volte? – scosse la testa Thomas. L’uomo sorrise mostrando il suo pezzo di cuoio. ‒ Per la casa segua il mio consiglio – disse iniziando a retrocedere piano. ‒ Vada da Luther con qualche centinaio di franchi in una busta. Risolverà un sacco di problemi e nessuno si farà male. Thomas levò in alto la birra come a dire “Ok”.

‒ E in bocca al lupo con quella sua… ‒ Carolin! ‒ Carolin – disse l’uomo. L’ultima cosa che Thomas vide, quando il camion era già in fondo al vialetto, fu il ragazzo che inclinava la testa e la poggiava sulla spalla dello zio, come un cane che una volta seduto cerca la gamba del padrone, per avere qualche contezza di sé. •

Davide Longo Davide Longo è nato a Carmagnola, non lontano da Torino. Nel 2001 ha pubblicato per la Marcos y Marcos il romanzo Un mattino a Irgalem con il quale ha vinto il Premio Grinzane opera prima e il Premio Via Po. Dello stesso anno è il libro per bambini Il laboratorio di Pinot. Nel 2004 è uscito il suo secondo romanzo il Mangiatore di pietre (Marcos y Marcos), Premio Città di Bergamo e del Premio Viadana. È regista di documentari (Carmagnola che resiste, Memorie dell’altoforno), autore di testi teatrali (Pietro fuoco e cobalto, Il lavoro cantato, Ballata di un amore italiano, About Fenoglio) e autore radiofonico per RadioRai (Centolire, Luoghi non comuni). Ha scritto per “Repubblica”, “Avvenire”, “Slow Food”, “Donna”, “GQ”, “Travel” e il quotidiano olandese “Ncr.next”. Del 2006 è La vita a un tratto (Corraini). Nel 2007 ha curato per Einaudi l’antologia Racconti di montagna, e pubblicato per Corraini il libro E più non dimandare, realizzato con il pittore Valerio Berruti. Nel gennaio 2010 è uscito per l’editore Fandango il suo terzo romanzo L’uomo verticale, vincitore del Premio Lucca. Nell’estate dello stesso anno, il volume Il signor Mario, Bach e i settanta (Keller Editore). È ora nelle librerie con il suo ultimo romanzo, Ballata di un amore italiano, edito da Feltrinelli. Vive a Torino dove insegna scrittura presso la Scuola Holden. I suoi libri sono tradotti in molti paesi.

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Il mondo dell’ebook

GLI EBOOK PER RAGAZZI NON HANNO ANCORA IL LIETO FINE I “nativi digitali” sono già pronti a leggere gli eBook, ma il libro elettronico sta ancora sperimentando modalità e contenuti adatti ai più piccoli.

di Daniela De Pasquale 34

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I

I bambini oggi si avvicinano prestissimo bambini sono il futuro. Anche dei lialla lettura. Il progetto “Nati per leggere” bri. L’editoria sotto il metro e cinquanvede pediatri e bibliotecari promuovere la ta è una sineddoche dell’editoria tout lettura ad alta voce non per far addormencourt: un pianeta in miniatura, perché tare i bambini ma per svegliarne la mente, piccoli sono i destinatari, le dimensioni del meglio di un videogame. Paragone azzeccamercato, il numero di editori e titoli in catato, dal momento che si tratta di “nativi dilogo, ma che ci può dire molto dell’univergitali”, come Mark Prenski ha definito nel so di cui fa parte. Innanzitutto perché rap2001 la generazione dei nati dal 1990: per presenta il più conveniente investimento di loro le tecnologie sono scontate, come lo era lungo periodo per un editore: far appassiol’acqua in casa per i loro genitori e faticano a nare un bambino ai libri significa fidelizzarimmaginare un mondo senza internet. lo fino a quando sarà vecchio. Basti pensare Eppure i dati che riguardano l’editoria dial fenomeno Harry Potter, che ha avvicinato gitale per ragazzi non seguono la logica del alla lettura tanti ragazzi accompagnandodiscorso e rimangoli verso l’età adulta o a tanti personaggi divenNel 2001 Mark Prenski ha no delle dimensioni di una nicchia che tati protagonisti di saghe definito “nativi digitali” la fatica a decollare. e libri seriali, soprattutto generazione dei nati a Escludendo i classici fantasy. Inoltre si tratta liberi da diritti, siamo di un settore ad alta inpartire dal 1990: passati dai 420 titonovazione dove nascono per loro le tecnologie li di gennaio 2010 ai e si sperimentano nuovi sono scontate, come lo 1.182 a febbraio 2012: prodotti editoriali. era l’acqua in casa per i meno del 5% del cataSono proprio i più giovani a trascinare le vendite loro genitori, faticano a logo digitale italiano. di libri: secondo i dati immaginare un mondo A contendersi questa piccola fetta c’è solo Istat elaborati dall’AIE senza internet, hanno il 42% degli editori per la Children’s Book un innato rapporto di attivi nel segmento: Fair di Bologna, l’edi82 competitor, casimpatia con i tablet toria per ragazzi vanpitanati dal gruppo ta per il 2011 un 2% Giunti che detiene il 30%, seguito da Salani di crescita. Il 56,9% dei ragazzi tra i 6 i 17 (12%) e Piemme (11%). anni ha letto almeno un libro, dato inferioPer vedere cosa succederà entro cinque anni, re rispetto al 2010 ma più alto della media possiamo sbirciare nel mercato americano, nazionale che raggiunge appena il 45%. ma solo per scoprire che, percentuali a parIl merito va ai genitori che fanno crescere te, la situazione è simile: Scholastic, princiuna domanda più qualificata anche nella pale editore di settore, registra un ricavo da fascia prescolare, a soddisfare la quale trodigitale pari a al 7,4% laddove case editrici viamo 197 editori che hanno immesso sul per adulti raggiungono il 20%. mercato 2.317 novità.

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Come mai? A quanto riferisce il “New York Times”, una motivazione è legata al costo dei device (il 44% dei bambini vive in famiglie a basso reddito), ma più in generale sono proprio i genitori a non comprare eBook per i loro figli. Ha fatto il giro della rete il video di una bimba che clicca invano sulle pagine di un magazine. La mamma scrive: “Per mia figlia di un anno le riviste di carta sono iPad rotti. Sarà così per il resto della sua vita, Steve Jobs ha codificato parte del suo sistema operativo”. Ironia non colta dagli immancabili detrattori che l’hanno addirittura accusata di non essere una buo-

gia dell’età evolutiva alla Sapienza, mentre la conoscenza dei bambini si basa su tutti i sensi, l’eBook coinvolge solo la vista e crea distacco tra se stessi e il testo. Giuste considerazioni, se si accetta che l’eBook non nasce per soppiantare la lettura classica, ma le si affianca, offrendo l’opportunità di sperimentare nuovi linguaggi e forme di apprendimento. Non è stato necessario coinvolgere psicologi quando furono inventati i libri pop-up o quando sul mercato comparvero i librigame o i mangiadischi che introducevano i bambini nel mondo delle fiabe sonore.

Gli eBook per i più piccoli rappresentano un’evoluzione più che di una rivoluzione della lettura, in cui i confini tra apprendimento e gioco, computer e giocattoli, consumo e produzione si fanno più sfumati na madre per non aver insegnato a sua figlia a riconoscere la carta nella sua immutabile, odorosa e sfogliabile tangibilità. Anche chi è più propenso a leggere eBook e lavora con eReader o tablet fa fatica a pensare alla lettura digitale come supporto nell’educazione dei figli: un intruso digitale catturerebbe troppo l’attenzione del bambino, rovinando l’intima atmosfera della lettura di una favola della buonanotte. Considerazione supportata anche da psicologi e specialisti. Per Junko Yokota (Centro per la didattica presso la National Louis University di Chicago), forma e dimensione di alcuni libri sono fondamentali per l’esperienza emotiva legata alla lettura, e non si prestano a una conversione digitale. Per Anna Oliverio Ferraris, docente di psicolo-

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Più che di una rivoluzione si tratta di un’evoluzione della lettura, in cui i confini tra apprendimento e gioco, computer e giocattoli si fanno più sfumati. Per Allison Druin (Università del Maryland), più le tecnologie permetteranno di riprodurre la lettura su carta più l’attenzione si sposterà sul contenuto. Nel frattempo, c’è chi prova a percorrere la strada dei contenitori, proponendo tablet baby-friendly, indistruttibili e dal prezzo contenuto come l’iXL di Fisher Price o il Nook Kids. Se non li avete mai sentiti nominare è forse perché gli stessi bambini non si accontentano di un giocattolo e preferiscono l’eReader di mamma e papà, a cui sono in grado di spiegare funzionalità sconosciute, come già avviene con i cellulari. Si può azzardare l’idea che

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il momento in cui si usa il tablet insieme ai bambini sia un’ottima occasione per familiarizzare con le tecnologie, e limitare il digital divide tra genitori e figli. Le numerose app per bambini in commercio aprono l’importante capitolo degli enhanced eBook. Si tratta di eBook arricchiti che possono essere letti e sfogliati come un libro, ascoltati come audiolibro, studiati grazie a funzionalità aggiuntive che abilitano ricerca, evidenziazione, annotazione ed esplorati grazie a elementi interattivi e

Ci sono poi i bambini che non amano leggere: per loro esistono app che prevedono uno storytelling interattivo con un intervento sulla struttura narrativa molto simile a quello del gaming: per esempio, alla fine di ciascun capitolo il bambino può proseguire la lettura solo se guadagna punti giocando. Nella fascia di età 7/10 torna utile la distinzione fra libro arricchito e libro digitale, da proporre in base alle abilità di lettura acquisite. Come fa notare Judy Newman, presidente di Scholastic Book Club, “intorno agli 8 anni

di condivisione. In questo modo la lettura diventa un’esperienza multisensoriale che può stimolare le competenze linguistiche. La giornalista e redattrice Laure Deschamps (L’enfant et la tablette. Genèse du livre numérique jeunesse) analizza i vantaggi della lettura digitale per le diverse fasce d’età e parte dagli apprendisti lettori: quando si incontra una parola difficile si può attivare l’audio o il dizionario, si può scegliere di leggere o ascoltare la storia, mentre le parole vengono evidenziate per seguire il testo.

si comincia a perdere interesse per la lettura. I media digitali sono in competizione per attirarsi l’attenzione dei ragazzi. È molto importante per noi, come editori, l’impegno nella produzione di contenuti che spingano i bambini a leggere per divertimento”. A supporto, una ricerca inglese rivela che i bambini sotto i dieci anni sono più bravi a navigare in rete e a usare le nuove tecnologie che a leggere e vestirsi da soli. In questo processo, allo scrittore è richiesto uno sforzo notevole per rivedere il suo ruolo, e l’edi-

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tore deve ricorrere a nuove professionalità per garantire una qualità elevata ai prodotti digitali, che non renda passiva la fruizione e trovi quell’equilibrio tra testo immagine che caratterizza i migliori libri pop-up. Brutte illustrazioni, testi scritti o tradotti male, animazioni inutili possono stimolare un’attività ludica, ma non invogliare alla lettura. Le sperimentazioni modello non mancano: è il caso del neo premio Oscar The Fantastic Flying Books of Mr Morris Lessmore, o Timbuktu, newsma- Gianni Rodari gazine su iPad che propone l’attualità ai più piccoli unendo le potenzialità delle app gioco e quelle educative. Ottimo anche perché è realizzato da una donna italiana under 35 e laureata in Comunicazione che ha vinto il contest “Mind the Bridge” per volare a San Francisco e far decollare la sua startup. Un duro colpo ai luoghi comuni che si annidano in almeno cinque concetti di questa frase. Si aprono dunque enormi prospettive per

un genere rimasto fino ad oggi appannaggio del cartaceo per esigenze di qualità e fruibilità. Joe Wikert di O’Reilly sostiene che così come le prime trasmissioni televisive erano la mera ripresa di trasmissioni radiofoniche, anche l’editoria digitale oggi non sta sfruttando tutto il suo potenziale. Resta il problema della compatibilità dei formati, al momento lontani da un modello aperto multidispositivo e multipiattaforma. Chi realizza eBook per ragazzi non può fare a meno di Apple e dell’iPad per mancanza di alternative concrete. È stato proprio Steve Jobs a creare il nuovo mercato e ancora lo domina. Uno dei più grandi autori per bambini, Gianni Rodari, scriveva nella sua Grammatica della fantasia che a vedere per primi le cose si può passare da sognatori. Ma ora che il sogno è quasi realtà, l’eredità non va tralasciata: tocca ai grandi per primi usare fantasia e immaginazione per proporre ai più piccoli novità da favola. •

Gli eBook arricchiti devono mantenere il giusto equilibrio tra testo e immagine, e ogni animazione deve essere funzionale al racconto, per rendere il lettore non fruitore passivo ma coprotagonista

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BREVE

Il mondo dell’ebook

(ED ECONOMICO)

È BELLO

I libri millelire risorgono e si trasformano in eBook: per una lettura breve ma intensa, per riscoprire un classico d’annata, per dare una chance al libro digitale di Roberto Dessì

C’

Newton Compton. Erano certo altri tempi, era una volta il millelire. Il licon telefoni a gettoni al posto di ultrasofistibretto tascabile che si comcati smartphone. Con Internet ancora monprava per pochi spiccioli, rica delle tre “w” che l’hanno resa celebre. nunciando al caffè o al resto Tempi in cui i libri profumavano di carta e del quotidiano, dapprima in edicola e più in inchiostro, si compravano in libreria e al più là nel tempo anche nelle librerie. Letture brein edicola. Quelli elettronici a noi tanto cari vi e a buon mercato, ma non per questo prierano dei pupi, prototipi in fasce sconosciuve di piacevolezza e interesse. D’altronde, ti al grande pubblico e senza adeguati supautori come Epicuro, Stendhal e Shakespeaporti hardware: il primo rozzo eReader sare non sono proprio degli ultimi arrivati. rebbe arrivato giusto Sono passati più di venti anni da quan- I millelire sono una filosofia, un paio di anni dopo. La storia però è cido il pioniere Marun’idea. Tanto forte da clica, e le buone idee cello Baraghini dieessere ripresa e imitata ‒ soprattutto quelle de vita, con la sua premature per i loro creatura controcornegli anni a venire. tempi – sono Fenici rente Stampa Alterpronte a rinascere adattate ai nuovi contenativa, a ben più che un prodotto letterario: sti: benvenuti nel XXI secolo, quello della i millelire sono più una filosofia, un’idea. Rete con la “r” maiuscola che manda gambe Tanto forte da essere ripresa e imitata negli all’aria giornali e le tv in crisi di identità e anni a venire, addirittura citata in un’encicredibilità, dove gli eBook rappresentano il clopedia, divenuta sostantivo a memoria presente e il futuro dell’editoria, necessitanpresente e futura. Idea ben presto seguita da do tutt’al più di una ulteriore spintarella per un’altra casa editrice di occhio molto lungo:

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in feuilleton. Sulla scia di Newton Compton spiccare definitivamente il volo. Sarà forse il e Feltrinelli, anche le Edizioni Piemme hanmillelire a dargliela? no recentemente tenuto a battesimo una Ah già, anche le mille lire non ci sono più da propria striscia di eBook brevi ed economiun pezzo, sostituite dagli euro più di un deci. Gli Shots sondano i sette vizi capitali con cennio fa. Basta però un rapido calcolo per sette brevi saggi a 99 centesimi l’uno. E chisla conversione: zero e 51 centesimi, commersà che i peccati non diventino presto più dei cialmente arrotondati a zero e 49. Che, guarcanonici sette. da caso, è anche il nome scelto da Newton Oltreoceano il dono della sintesi ‒ o chissà, Compton per riproporre in formato digitale l’indolenza dello scrittore ‒ è stato spunto la serie dei Gialli Economici, tanto celebri neper l’ennesima riuscigli anni ’90. Tornano a ta iniziativa editoriale mietere successi sotto I piccoli ed economici Amazon, che ne ha rinuove insegne il telibri hanno fatto trionfale battezzato i frutti sinmibile Abate Nero di Wallace, il pacato deingresso nelle classifiche gles. Un chiaro omaggio ai singoli musicatective Charlie Chan dei best seller digitali, li, anch’essi retaggio di Biggers, e i Trentabivaccandovi con di un passato lontano nove scalini di Buchan impressionante regolarità fatto di juke box e vida cui trasse ispirazionili 45 giri, e un pane il maestro della surallelismo musical-letterario quanto mai spense Alfred Hitchcock. Dall’oblio rispunazzeccato: gli eBook pubblicati come single tano anche i fantasy e la letteratura classica, sono più brevi di un romanzo ma più lunghi moderna e contemporanea. 200 nuove uscidi un semplice racconto, adatti a sviluppate previste per il 2012, tutte rispettanti ‒ di re nel dettaglio una buona idea, un piccolo nome e di fatto ‒ l’antica equivalenza “100 saggio o un reportage giornalistico. Anche pagine uguale mille lire”. in questo caso venduti a prezzo tanto basBisogna però essere realisti: il tasso di camso da indurre all’acquisto d’impulso: finora, bio reale è quello più mnemonico, ma assai stando ai numeri dichiarati dalla società, gli meno conveniente, uno a mille, un euro per impulsi sono stati più di 2 milioni. ogni banconota Montessori. Prezzo su cui Successo presto emulato anche alle nostre ha deciso di attestarsi un altro prodotto edilatitudini: i piccoli ed economici libri hantoriale digitale diretto discendente dei milleno fatto un trionfale ingresso nelle classilire. Con la collana Zoom, Feltrinelli rispolfiche dei best seller digitali, bivaccandovi vera pezzi da novanta del proprio catalogo con impressionante regolarità. Oltre a Banquali Benni, Yoshimoto e De Luca, lancianduna, una menzione d’onore spetta all’inedo nel contempo, non senza sapienti scelte dito Super Santos di Roberto Saviano che di marketing, le nuove leve della letteratura ha rapidamente conquistato critica e pubitaliana. Banduna, di Alessandro Mari, è il blico, ma ben si stanno comportando ancase study perfetto di come un editore posche gli altri eBook della collana Feltrinelli, sa sfruttare il doppio canale di prezzo cone le proposte low cost di Newton Compton. tenuto e sintesi, declinandolo ulteriormente 40

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Le performance di questi eBook stanno rovesciando i tradizionali paradigmi commerciali anche tra gli editori più conservativi. Il “Wall Street Journal” di qualche settimana fa registrava l’inversione di tendenza di Simon & Schuster, membro del famigerato cartello delle six sisters of publishing, gettatasi nella mischia per sfruttare gli eBook in versione “assaggio letterario” come Cavallo di Troia, banco di prova per testare autori emergenti o di prodotti sul cui successo non si scommetterebbe più di un dollaro. In questo caso, a copia digitale. A favore degli scettici del low cost, si può dire che

proprio la forza degli eBook millelire ne costituisce anche la principale debolezza. La sensazione trasmessa dal discount è sì di convenienza, ma parallelamente di bassa qualità; un fattore già messo in luce, tra gli altri, da un’inchiesta sull’“Huffington Post”. Parafrasando un Bill Gates d’annata, occorre però ricordare che “the market is king”: è il mercato a decidere, a decretare il successo o il fallimento di un’iniziativa editoriale. In questo caso, oltre agli autori e alle loro storie, parlano e raccontano i numeri. E tutti hanno il segno “più” davanti. •

Le performance di questi eBook stanno rovesciando i tradizionali paradigmi commerciali anche tra gli editori più conservativi

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Buona la prima Storie di libri ed edizioni

FERNANDO PESSOA

“IL LIBRO DELL’ INQUIETUDINE” (1982) di Luigi Orlotti

F

ernando Pessoa non avrebbe mai immaginato che prima di vedere pubblicato il proprio Libro dell’inquietudine sarebbe dovuto trascorrere esattamente lo stesso numero di anni, dopo la morte, del suo soggiorno sulla terra. Fernando Antonio Nogueira Pessoa, nato a Lisbona il 13 giugno 1888 e morto nella stessa città il 30 novembre 1935, è l’autore-non autore del Livro do Desassossego, scritto da Bernardo Soares, eteronimo-semieteronimo, autore falsamente vero dell’immaginazione assolutamente falsa di Fernando Pessoa. Ci sarebbero voluti esattamente quarantasette anni perché Jacinto do Prado Coelho, con Maria Aliete Galhoz e Teresa Sobral Cunha, riuscissero a venire a capo di quanto aveva disseminato qui e là quell’impostore di un contabile portoghese che rispondeva al nome di Fernando Pessoa. Si potrebbe anzi dire che con la morte del poeta-romanziere abbia avuto inizio per gli studiosi portoghesi un viaggio nell’al di là simile a quello compiuto da Dante Alighieri “nel mezzo del cammin di nostra vita”, che li avrebbe sottoposti alle stesse prove terribili e faticose per riuscire a far emergere dall’altro mondo quel mirabile capolavoro tradotto poi in più di quaranta lingue nel nostro mondo. Pessoa si esclissa a quarantasette anni nell’altra dimensione della vita, quella esoterica dalla quale si era sempre lasciato affascinare con gli esperimenti

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medianici e l’interesse per l’occultismo, e per recuperare il suo romanzo incompiuto tre ricercatori affrontano il viaggio dei viaggi, quello nell’al di là, facendone ritorno però con un manoscritto inedito, sensazionale, straordinario: il Livro do Desassossego. Nel 1982 appare dunque la prima edizione mondiale del Livro do Desassossego. Nel 1986 esce la prima traduzione italiana a cura di Antonio Tabucchi e Maria José de Lancastre: si parlerà quindi di Libro dell’inquietudine. Scrive Antonio Tabucchi nella sua introduzione alla traduzione italiana a proposito della parola desassossego: “Desassossego, derivato regressivo di desassossegar, indica in portoghese una perdita o una privazione: la mancanza di sossego, cioè di tranquillità e di quiete. Ma Soares allarga le frontiere del desassossego fino a zone assai remote: dalla connotazione vagamente decadente di certi testi in cui il desassossego appare associato al tedio, fino allo snervamento, all’ansia, al disagio, alla pena, al turbamento, all’inadeguatezza e alla ‘incompetenza verso la vita’”. E più avanti, sempre nell’introduzione di Tabucchi, leggiamo quanto ci saremmo immaginati, visti gli elementi cronologici di contatto fra tutti i protagonisti di questa vicenda umana e editoriale: “Bernardo Soares non sogna, perché non dorme. Egli ‘sdorme’, per usare una sua parola; frequenta cioè quello spazio di iper-coscienza o di coscienza libera che precede il sonno. Un sonno che tuttavia non arriva mai. Il libro dell’inquietudine è un’enorme insonnia”. Ecco allora condensato in questa primigenia intuizione un caso clamoroso nella storia della letteratura: il romanzo di un autore-non autore morto-non

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morto che vive e si tramanda nel lavoro dei suoi interpreti. Poco importa allora se la prima edizione italiana del Libro dell’inquietudine sarà all’incirca la metà dell’edizione portoghese di Jacin-

Antonio Tabucchi

to do Prado Coelho e che verrà tradotta per intero da Piero Ceccucci soltanto nel 2005. A cosa serve infatti un libro di frammenti, un testo incompleto, se non abbiamo altro modo di leggerlo che quello con il quale si affrontano i pensieri anonimi dei “baci perugina”? In fondo è a questa accusa di superficialità, di estemporaneità, di provvisorietà, spesso rivolta a tutta l’opera di Fernando Pessoa (perché la maggior parte di quest’opera è stata pubblicata postuma da altri), che risponde il genio di lettore e studioso di Antonio Tabucchi e di Maria José de Lancastre. Il libro dell’inquietudine diventa allora paradigmatico per avvicinarsi a tutta l’ope-

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ra poetica di Fernando Pessoa, che è opera di insonnia, o di veglia per altri sogni, come accade nel Marinaio, tradotto sempre in una memorabile edizione da Antonio Tabucchi. Così accade che il plurimo Pessoa dorma nella veglia del suo interprete italiano più noto: Antonio Tabucchi. E accade che un grande editore come Feltrinelli, grazie a un altrettanto grande, e mai abbastanza ricordato, direttore editoriale come Franco Occhetto inseriscano nel 1986 in una collana di allora recente ideazione da parte dello stesso Occhetto, Impronte, questo “libro dell’al di là”, che diventa in pochi anni il nuovo riferimento mondiale della letteratura portoghese. Fu la rinascita di un nuovo interesse da parte del grande pubblico per gli scrittori di lingua portoghese del secondo Novecento, dopo gli anni di oscurantismo della dittatura salazarista. Antonio Tabucchi sarà tanto capace di vegliare il sonno del poeta Pessoa da diventare lui stesso un altro Fernando Pessoa, eteronimo tra gli eteronimi del poeta. È un destino raro per i cultori di Pessoa, sicuramente il destino

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al quale tutti ambiscono. E ora che Tabucchi non c’è più non dobbiamo abbatterci. Basterà sognare il sonno degli studiosi, di Franco Occhetto, di Antonio Tabucchi, di Luciana Stegagno Picchio per citarne alcuni, di tutti coloro che hanno contribuito a tramandare l’opera dell’ortonimo Pessoa, e che oggi non sono più tra noi, per diventare noi stessi testimoni di un ideale chiamato letteratura, che si inserisce a sua volta in quella corrente di equivoci di identità fra autori reali e personaggi inventati che ha radice in Omero e passa per Shakespeare. A noi lettori non resta che chiedere in dono la speciale sensibilità del poeta di Lisbona e di tutti i suoi eteronimi sparsi per il mondo: “Sentire tutto in tutte le maniere; saper pensare con le emozioni e sentire con il pensiero; non desiderare molto se non con l’immaginazione; soffrire con civetteria; vedere chiaramente per scrivere correttamente; conoscersi con finzione e tattica, naturalizzarsi differenti e con tutti i documenti; in definitiva, utilizzare dall’interno tutte le sensazioni, sgranellandole fino a Dio”. •

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Sulla punta della lingua

Come parliamo, come scriviamo

Rubrica a cura dell’Accademia della Crusca

Vernacolo o dialetto in Toscana? di Annalisa Nesi

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a maggior parte dei toscani risponderebbe alla domanda affermando che in Toscana l’italiano è “di casa”, cioè endemico, e il parlare quotidiano, familiare, se ne discosta per pochi tratti. Dunque non si può definirlo dialetto, ma vernacolo. Nella regione, escludendo la Lunigiana e la Romagna Toscana linguisticamente appartenenti ai dialetti settentrionali, si distingue «il parlar bene»,

possessivo (piacciano per piacciono, si va a i’ cine per andiamo al cinema, i’ mi hane per il mio cane). De Amicis, nell’Idioma gentile, non esenta certo i toscani e i fiorentini, nati e cresciuti nella culla della lingua, dal dovere di una maggior cura nell’evitare i “dialettismi”, a maggior ragione perché riconosciuti dagli altri italiani “maestri dalla nascita”. L’autore del libro Cuore non è l’unico ‒ nel perio-

Tutti i dialetti dell’area centrale d’Italia (umbro, marchigiano, laziale) distano meno dalla lingua e anche a questi viene spesso attribuito la statuto di vernacolo, a sottolineare un diverso o minor grado di dialettalità cioè sorvegliato e aderente alle regole della lingua (per quanto possa essere obbiettivo non sempre e facilmente raggiunto nel caso della caratteristica pronuncia spirante: casa, ma la hasa, per citare un esempio classico) e «il parlar male», con meno attenzione alla pronuncia (sono andaho per sono andato) o a certe forme del verbo o dell’articolo o del

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do fra Otto e Novecento ‒ a riconoscere la presenza del dialetto in Toscana, sono però gli stessi toscani a non valutare come tale lo scarto dalla lingua che considerano, a ragione, minimo in confronto alla distanza dei «veri» dialetti. In realtà anche tutti i dialetti dell’area centrale d’Italia (umbro, marchigiano, laziale)

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distano meno dalla lingua e anche a questi i dialetti del territorio italiano (fatta ecceviene spesso attribuito la statuto di vernazione per le lingue minoritarie) hanno una colo, a sottolineare un diverso o minor grabase comune nel latino e ne rappresentano do di dialettalità. l’evoluzione con le diversità proprie delLa consultazione dei dizionari storici perle differenti aree geografiche. Nella storia mette di mostrare come vernacolo sia stato linguistica del nostro paese assistiamo alla usato in modo generico per dialetto anche in formazione dei volgari – così si denominano riferimento ad aree non toscane come trole realtà linguistiche conseguenti ai mutaviamo negli autori (ad esempio in Foscomenti subiti dalla lingua latina parlata luolo o in Pascoli) o nei titoli di dizionari che go per luogo – che possiamo considerare presentano in realtà il lessico dialettale o tutti sullo stesso piano finché uno fra i tanti in raccolte di poesie e racconti, soprattutto non emerge e viene prescelto come modulo di area toscana, umbra o laziale, ma anche espressivo della lingua letteraria. Si tratta per i dialetti triestino, pavese o napoletano. Ma al di La parola dialetto e l’aggettivo là dell’uso o del significato dialettale, pur con le opportune visti attraverso il tempo, differenze di sostanza rispetto al resto oggi vernacolo (aggettivo d’Italia, sono da impiegare anche per e sostantivo) e vernacolare le varietà toscane (aggettivo) sono da riferirsi all’uso scritto dei dialetti toscani in testi soprattutto poetici (la poedel fiorentino dei grandi autori del Trecensia in vernacolo pisano di Renato Fucini, ad to e dunque lingua scritta sulla quale si fonesempio) e in testi teatrali (il teatro vernada la norma. La forma scritta fissa e rende colo fiorentino, livornese). stabile il fiorentino di quel periodo che nel Dialetto, secondo la definizione scientifica, parlato cambia, si evolve, come del resto gli è un sistema linguistico presente in un’area altri dialetti toscani e non toscani. Si pensi territoriale di estensione variabile, ma coa buono, tuono che portano alla lingua il camunque circoscritta, che viene impiegato ratteristico dittongo che si chiuderà in bono in ambiti sociali e culturali ristretti. Di fatto e tono nel secolo successivo. Le forme senza il dialetto si definisce in rapporto o in condittongo sono fuori dalla lingua, dunque trasto con la lingua: dunque, secondo un dialettali. criterio spaziale, la lingua si distribuisce su La parola dialetto e l’aggettivo dialettale, pur tutto il territorio nazionale, è impiegata – con le opportune differenze di sostanza riseppure secondo varietà e gradazioni – da spetto al resto d’Italia, sono da impiegare tutti, permette una comunicazione a largo dunque anche per le varietà toscane. Infatraggio in tutti gli ambiti culturali e istituti, soprattutto in base a fenomeni fonetici, zionali. Quanto all’origine sia la lingua che di pronuncia, la Toscana presenta diverse

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varietà dialettali: accanto a quella fiorentina (certamente la più nota e generalizzata ad orecchio non toscano) si hanno quelle senese, pisano-livornese, lucchese, elbana, aretina, amiatina, garfagnina, massese. Citando dal fiorentino, frasi come la hosa he t’ha’ fatto ‘la cosa che hai fatto’ o come i’ che tu fa’ poi? ‘che cosa fai dopo’ si collocano a livello di dialetto, così come penzare, inzieme per ‘pensare’ e ‘insieme’ (tipica pronuncia del pistoiese o del senese), i’ cane per ‘il cane’ (fiorentino o pratese), andonno per ‘andarono’ (certamente oggi meno diffuso e avvertito come arcaico o rustico), èramo per ‘eravamo’ (senese e elbano, ad esempio). Anche il lessico toscano, che pure si è riversato largamente nella lingua, mostra il lato dialettale con significative differenze interne alla regione. Si pensi al frutto denominato cachi per il quale si hanno sia varianti che denominazioni altre; per citarne solo alcune e prescindendo dalla loro appartenenza ai diversi dialetti toscani: cachì, caco, cacco,

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diòspero, lòto e lóto, pómo, pomocaco e pomocacco. Ancora, quelle che con parola tecnica chiamiamo efèlidi ‒ e con parola italiana corrente lentiggini ‒ sono in Toscana anche crusca e frusca, sémbola e sémbela, sémmola e sémola, lenticchie, per citare i più diffusi. Per ‘bambino, ragazzo, figlio’ e in certe aree anche ‘fidanzato’ si ha citto, senese e aretino, bimbo, pistoiese, lucchese, pisano-livornese, bambino, fiorentino e pratese. A volte la regione ‒ intesa nei confini linguistici ‒ risponde compattamente, acquaio ‘lavandino da cucina dove si lavano le stoviglie’, ma non concorda certamente col resto d’Italia. Resta tuttavia l’idea comune che in Toscana non ci sia un dialetto anche se quel che si parla in Toscana è riservato – come per quelle parlate che anche intuitivamente definiamo dialettali ‒ ad un livello di comunicazione familiare, amicale, tendenzialmente informale. Ecco dunque che la parola vernacolo è stata a lungo riservata alla toscanità linguistica, proprio per questa condizione speciale determinata dalla storia. •

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LE GEOGRAFIE DEL POSSIBILE

Anima del mondo Paesaggi della letteratura

I viaggi (non troppo) immaginari di Jules Verne

di Luca Bisin

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l signor Jeorling è soprattutto un uomo di scienza, non cede facilmente alle seduzioni della fantasia e tuttavia non si può certo dire che lo spirito d’avventura gli faccia difetto: i suoi studi di geologia e mineralogia valgono bene una spedizione fino alle estreme latitudini meridionali del mondo e una lunga permanenza sulle isole Kerguelen, gli ultimi scorci di civiltà prima che il deserto antartico distenda i suoi ghiacci inospitali e ancora largamente incogniti. Ma anche quando, avendo ormai concluso le proprie ricerche e non trovando più grandi attrattive nel lungo e buio inverno di quelle regioni sempre sferzate dal vento gelido, si risolve finalmente a fare ritorno nel natio Connecticut, egli non manca di assecondare il proprio gusto per l’imprevisto: l’occasione di un passaggio sulla goletta Halbrane, sotto l’esperta conduzione

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del capitano Len Guy, offre la lusinga irresistibile di un viaggio del quale sia fissata la meta ma restino incerti la durata e l’andamento, secondo il fatidico avvertimento di Edgar Allan Poe, di cui Joerling oltre che conterraneo è assiduo lettore: “fare sempre i calcoli con l’imprevisto, l’inatteso, l’inconcepibile”. L’inconcepibile, in effetti, non tarda a palesarsi proprio nella figura del capitano Guy, che dello scrittore americano si rivela essere non soltanto un estimatore altrettanto entusiasta, ma persino un fedele adepto: la storia fantastica di Gordon Pym, imbarcatosi di nascosto su una baleniera in partenza dall’isola di Nantucket, e di lì trascinato nel vorticoso concatenarsi di eventi straordinari fino all’epilogo tragico e incerto, proprio nei territori misteriosi del continente antartico, questa storia che Poe ha consegnato alla finzione letteraria di

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rinaio della Jane, l’ufficiale Patterson, il perun diario tenuto dallo stesso Gordon Pym, sonaggio secondario di un’avventura che rappresenta per il capitano Guy la fedele così, dalle pagine fantasiose del romanzo di esposizione di eventi realmente accaduti, Poe, irrompe improvvisamente nella realtà tanto indubitabili da spingerlo a condurre gettando nello scompiglio la lucida mente la Halbrane e il suo equipaggio alla ricerca del signor Jeorling: “Tutto ciò era dunque dei presunti superstiti di quelle avventure vero!... Edgar Poe, dunque, aveva appronimmaginarie. Progetto troppo audace antato un’opera da storico e non da romanche per lo spirito ardito del signor Jeorling, ziere!... Per un moil quale non può che mento credetti che la risolversi a tenere testa mi scoppiasse, per folle il capitano che diventassi pazGuy e a manifestazo, io che accusavo il re discretamente il capitano Len Guy di proprio scetticismo: esserlo!... Ma alla fine “Così voi non crededovetti arrendermi te, signor Jeorling…” all’evidenza dei fatti. “Né io, né alcun altro Len Guy si girò verso vi crederebbe, capidi me e guardandotano Guy; siete il primi disse: ‘Ci credete mo che io abbia udiora?...’ ‘Ci credo… ci to sostenere che non “Tutto ciò era dunque credo!’ balbettai”. si tratta di un semvero!... Edgar Poe, dunque, Ciò che spinse soplice romanzo…” prattutto Jules VerMa quello con l’inaveva approntato ne a pubblicare nel concepibile è un conun’opera da storico 1897 La sfinge dei to che, per quanta e non da romanziere! ” ghiacci non è forse il cura ci si è messa, proposito di dare un spesso non torna. compimento e una spiegazione alla storia Sulla rotta per l’isola di Tristan da Cunha – che Poe, sessant’anni prima, aveva invece la medesima rotta che nel suo romanzo Poe voluto lasciare sospesa all’incertezza e al fa seguire alla goletta Jane prima che questa mistero, quanto piuttosto il bisogno di racs’inoltri verso il polo sud, verso i mari inecontarci questo cedere balbettante della rasplorati dell’Antartide e verso un destino gione di fronte a una fantasia che si fa realtà inesorabile e misterioso – l’avvistamento di sotto ai nostri occhi smarriti. A Edmondo un iceberg alla deriva scompagina i piani De Amicis, che gli fa visita nel 1895, Vere incrina le certezze, quando lo sciogliersi ne svela questa regola segreta della sua imdel ghiaccio lascia lentamente affiorare la maginazione letteraria: nella scrittura dei presenza inquietante di un corpo umano. propri romanzi egli non inventa anzitutto i Issato a bordo, questo si rivela essere, senza personaggi e i fatti, non escogita gli avvenipossibilità di dubbio, il cadavere di un ma-

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menti, gli intrecci, le peripezie per collocarli poi nell’allestimento meticolosamente accurato dei luoghi più esotici e fantasiosi. Al contrario, egli crea dapprima questi stessi luoghi dando loro la plastica esattezza di un personaggio nella meticolosa dedizione alle regole della scienza, della tecnica, della storia, della geografia, dà una forma e una logica ai mondi prossimi o distanti,

le, dei fiumi, degli astri, dei cieli, delle città: non semplicemente lo sfogo di una fantasia sfrenata, temeraria, spesso preveggente, bensì la trepidazione di spingersi là dove il confine tra la geografia del reale e quella dell’immaginario si fa liquido e incerto. Forse, allora, Roland Barthes mancava il segno quando, commentando L’isola misteriosa, notava che l’intenzione fondamentale di Verne sarebbe quella di ridurre il mondo a uno “spazio noto e chiuso”, il bisogno, borghese e ingenuamente positivista, di appropriarsi, chiudersi, installarsi; e nella quasi maniacale dedizione dello scrittore

Se una storia è inverosimile dobbiamo forse concludere che non è vera?, domanda lo scrittore all’inizio de Il castello dei Carpazi

Jules Verne

reali o immaginari, lasciando poi che siano essi stessi a ispirare i Phileas Fogg, i Nemo, gli Otto Lindenbrok, i Michele Strogoff, i Michel Ardan, a suggerire i viaggi e le avventure, a disporre i margini del possibile e del fantastico. E potrebbe essere proprio questo il cruccio che Verne insegue lungo i suoi Viaggi straordinari nei mondi conosciuti e sconosciuti, attraverso l’infaticabile affastellarsi degli abissi, dei deserti, delle iso-

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per l’invenzione tecnologica, lo scrupolo scientifico, la precisione geografica riconosceva il puntiglio un po’ pedante dell’enciclopedista o la smania di ridarci, quasi al modo di un pittore fiammingo, l’immagine dettagliata di un mondo senza vuoti e incertezze, finito e minuzioso, “mentre fuori la tempesta, cioè l’infinito, infuria vanamente”. Perché, invece, proprio lungo i margini di ciò che è noto, o che potrebbe diventarlo un giorno, Verne vede affacciarsi il profilo di un altrove che, anche quando si presenta nella figura improbabile di un viaggio al centro della terra o di un mondo sottosopra, non smette tuttavia di offrirci l’appiglio di una regola e una decifrazione, lo spazio di una comprensione possibile

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che non ce lo rende però meno inquietante. Se una storia è inverosimile dobbiamo forse concludere che non è vera?, domanda lo scrittore all’inizio de Il castello dei Carpazi. E l’avvertimento a guardarci da questo abbaglio non rilancia tanto la provocazione del fantastico, la minacciosa incombenza di una dimensione imperscrutabile e recondita, ma ci annuncia piuttosto l’insondabile vastità del mondo che già abitiamo: “Se il nostro racconto non è verosimile oggi, può esserlo domani, grazie alle risorse scientifiche che sono patrimonio del futuro”. Forse, è proprio dalla loro persistente plausibilità, da questo bisogno di un’invenzione che esige anzitutto di essere creduta e di un luogo che, sia pure il più irraggiungibile e incerto, reclama tuttavia per sé uno spazio e un tempo, che i viaggi di Verne traggono

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la loro potenza simbolica, la forza di una seduzione che, come accade a tutti i grandi scrittori per ragazzi, scansa la facile lusinga del bizzarro e del sensazionale per assurgere alla dimensione del mito. Perché l’ignoto che ha una longitudine e una latitudine, che può essere indicato su una carta geografica, realizzato in un ingegnoso esercizio della tecnica, esposto nella precisa pertinenza a un ordine della scienza non ci riesce per questo meno grave e angosciante. Esso, invece, reca in sé la promessa inquietante di poter farcisi incontro, un giorno, per reclamare il nostro credito, sopraffare la nostra titubanza, imporci, come al signor Joerling, l’ammissione di uno straordinario che ci stava già sempre davanti agli occhi: “Ci credo… ci credo!”. •

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Alta cucina Leggere di gusto

INCANTATORE, AFFABULATORE, GOURMAND Roald Dahl: favole, avventure e ricette di una vita straordinaria di Francesco Baucia


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di Agente 007 - Si vive solo due volte, uno dei ell’introduzione ai suoi corsi più riusciti film della serie di James Bond). sui capolavori della letteratuE dopo queste vicende, una fortunata carra Vladimir Nabokov era soriera di narratore di favole, sia per ragazzi lito ricordare ai suoi studenti che per adulti, caratterizzate da ampie dosi che ogni grande scrittore associa in sé tre di humour e di un apparente cinismo che qualità fondamentali: l’affabulatore, l’insenasconde uno sguardo disincantato sulle gnante e l’incantatore. Sarebbe difficile non virtù, ma soprattutto sui vizi, del mondo riconoscere questi tre profili in Roald Dahl, che lo circonda. Ma se appunto l’intento di l’autore britannico di origine norvegese che “correggere i costumi ridendone” (sopratè largamente riconosciuto come il beniatutto se si tratta dei costumi che riguardano mino dei giovani lettori di tutto il mondo. i rapporti tra il mondo dei bambini e quelE altrettanto difficile sarebbe immaginare lo degli adulti) costituisce la spinta iniziauna figura più adatta della sua ‒ un uomo le della sua scrittura, Dahl non mette mai sornione e imponente con le fattezze dei da parte il proprio talento di incantatore. giganti scandinavi ‒ per sedersi accanto a E così, da buon mago, un fuoco e intrattenedà fondo ai materiali re con la magia della Già la vita stessa di che la sua inseparabiparola e del racconDahl, senza l’intervento le valigetta (in questo to un’ideale tribù di della sua ingegnosa caso la memoria e l’aubambini curiosi. Già tobiografia) gli mette la vita stessa di Dahl, fantasia, basterebbe a senza l’intervento deltenere incollati alla serie a disposizione per ricavarne incanti nuovi la sua ingegnosa fantadi avventure che ne e divertenti per il suo sia, basterebbe a tenere incollati alla serie di compongono la sequenza giovane pubblico; illusionismi che tuttavia i avventure che ne comgenitori farebbero bene a non liquidare con pongono la sequenza: un’infanzia difficile, sufficienza come l’ennesima distrazione. segnata dalla morte prematura del padre, Come tutte le favole degne di rispetto, ane trascorsa tra le mura di inquietanti istiche le sue hanno una morale. Ne è l’esemtuti scolastici; il lavoro in Africa orientale pio perfetto uno dei suoi libri più famosi, per una compagnia petrolifera, poco dopo i La fabbrica di cioccolato (1964). Vi si racconta vent’anni; lo scoppio della seconda guerra la visita-premio in una industria dolciaria mondiale e il servizio nella Royal Air Force offerta a cinque bambini dal suo proprietacome pilota di caccia; le numerose missioni rio, l’eccentrico e gigionesco Willy Wonka. nel Mediterraneo e in Africa, alcune segnaLa fabbrica in questione non è però un ordite da drammatici incidenti che lo portano nario stabilimento. È piuttosto un labirinto, a un passo dalla tomba; l’attività di spioun’immensa giostra, un universo che semnaggio svolta per conto del servizio segrebra uscito dalla fantasia di Lewis Carroll, to britannico (di cui forse fa tesoro nel 1967 dove una tribù di omiciattoli canterini (gli quando si trova a scrivere la sceneggiatura

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Umpa-Lumpa) lavora indefessamente alle strampalate invenzioni di Wonka: i confetti senza confini (che si possono leccare per più di un anno senza comprometterne la dimensione), i croccantini che fanno crescere la barba, le caramelle a cubetto che si girano da sole come tante piccole facce, la teletrasmissione delle barrette di cioccolato. Ma anche la visita-premio non è proprio quello che si direbbe una passeggiata: è invece un percorso a ostacoli, una gara a eliminazione attraverso cui Wonka intende selezionare il fortunato tra i bambini che meriterà di ricevere in eredità il suo impero dolciario. Questi sarà il poverissimo Charlie, l’unico tra i suoi simili a es-

comunque in serbo, al termine dell’avventura, una scorta a vita di dolci, in un perfetto lieto fine. Scritto sulla scorta di un ricordo d’infanzia ‒ l’azienda alimentare Cadbury inviava agli alunni della scuola frequentata da Dahl i propri prodotti da assaggiare e votare ‒, questo libro ha al centro un tema frequentissimo nelle pagine dell’autore: il cibo. Si tratta di una cucina fantasiosa, alla pari delle ingegnose creazioni di Wonka, un ricettario fantastico disegnato per suscitare il riso, la meraviglia e, a volte, anche il disgusto dei piccoli lettori. Lo stesso Dahl, insieme alla seconda moglie Felicity e a Josie Fison, ha cerca-

Come tutte le favole degne di rispetto, anche le sue hanno una morale. Ne è l’esempio perfetto uno dei suoi libri più famosi, La fabbrica di cioccolato sere portatore sano di valori infantili, mentre gli altri incarnano i vizi che l’opulenza carica sulle spalle dei piccoli maleducati: la teledipendenza, l’obesità, la masticazione compulsiva di chewing gum, il capriccio. Ma Wonka, come Dahl, conosce bene la massima qualis pater, talis filius, e così anche i genitori dei giovani mostri saranno vittima, alla stregua dei figli, dei trabocchetti della fabbrica di cioccolato, mentre l’unico a scampare sarà il nonno di Charlie, Joe, incantato da tutto almeno quanto il nipote, e forse di più. Anche per i villains, Wonka ha

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to di renderle realizzabili (e in alcuni casi più appetibili) nel libro Le rivoltanti delizie di Roald Dahl (Ugo Mursia Editore). Di cibo, di pietanze predilette e di ricordi, l’autore ha raccontato anche in Memories with food at Gypsy House (Viking Press), scritto sempre con Felicity e pubblicato postumo nel 1991. Dal momento che questo libro non è mai stato tradotto, i lettori italiani si potranno consolare ottimamente con il saggio di Elena Massari I bravi bambini mangiano cioccolata. Il cibo e gli affetti nella vita e nei racconti di Roald Dahl (Cleup). Oppure ancora potran-

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no sfogliare i due godibilissimi (non solo da parte dei ragazzi) volumi autobiografici di Dahl, Boy e In solitario (entrambi editi da Salani), a caccia di suggestioni culinarie. Ne presentiamo qui una tratta dal secondo libro, e precisamente dall’episodio in cui al giovane Roald, allo scoppio della guerra, viene affidato dall’esercito britannico il comando di un plotone per tenere d’occhio la colonia tedesca di Dar es Salam. Il sergente della truppa improvvisa con i pochi ingredienti a sua disposizione quello che Dahl definisce: “il miglior risotto che avessi mai mangiato”, anche se gli ingredienti sono solo riso integrale e banane. “Le fette di banana erano calde e dolci e facevano da

condimento al riso, come il burro”, scrive Dahl. Senza sposare l’austerità della cucina militare, si può riprodurre questa ricetta dalle ascendenze indiane arricchendola con una presa di curry. Una volta preparato un soffritto con sedano e poca cipolla si fa tostare il riso e lo si cuoce versando poco per volta del brodo vegetale. Nel frattempo si fanno dorare nell’olio le fette di banana, poi a cottura del riso ultimata si uniscono, mescolando per bene, il curry e le banane, e si guarnisce con una manciata di prezzemolo fresco tritato. Un bicchiere di Gewürztraminer fresco si accompagna ottimamente a questo risotto, singolare almeno quanto il suo “narratore”. •

RISOTTO ALLE BANANE Ingredienti per 4 persone 350 gr di riso integrale (o basmati) 1 costa di sedano 1/2 cipolla olio d’oliva 800 ml di brodo vegetale 2 banane verdi 2 cucchiaini di curry 1 manciata di prezzemolo fresco tritato

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Leggere un film

Recensioni

GIBUTI

di Elmore Leonard tusso, si aggira per il golfo di Aden inseguendo È ormai arcinoto l’aneddoto secondo cui Marle gesta dei corsari contemporanei, per trovarsi tin Amis, recandosi in visita dal premio Nobel invischiata in una ragnatela di doppi giochi e Saul Bellow, si sia sorpreso intravvedendo sugli trame che celano la complicità di malavita, terscaffali delle librerie dello scrittore “laureato” rorismo, finanza e servizi segreti. Inconsapenumerosi volumi di Elmore Leonard. La dovolmente emulo di Emilio Salgari, Leonard ha manda spontanea potrebbe essere: cosa ci fanscritto Gibuti senza muoversi dagli States, come no i libri del decano dei crime novelist nella biha confidato in una recente intervista a “Reblioteca di un autore “alto” come Bellow? Ma la pubblica”. Non risente tuttavia di profondità domanda è mal posta e, soprattutto, ammantadescrittiva l’intreccio, che come ta di una snobistica diffidenal solito ha per fiori all’occhielza. Che tanto Amis quanto lo piuttosto il montaggio delle Bellow sono disposti a rispescene e le impareggiabili pagidire al mittente, dal momenne di battute scambiate dai perto che si trovano d’accordo sonaggi, per merito delle quali su questa affermazione: “Per Leonard si è meritato, da parte una credibile e generosa indi Stephen King, l’appellativo fusione di piacere narrativo di miglior dialoghista della letin una prosa miracolosamenteratura americana (battute che te purgata da ogni falsa quaperaltro hanno profondamenlità, non c’è davvero nessuno te influenzato anche le scenegal pari di Elmore Leonard”. giature di Quentin Tarantino). Per i lettori che ancora non E sempre sorprendente risulta abbiano sperimentato il propoi l’artificio che da tempo codigioso cocktail letterario di stituisce una delle cifre stilistimarca Leonard, si presenta che dell’autore: quell’abilità di in questi giorni una nuova Disponibile su avvincere i lettori agli eventi occasione per assaporarlo. È www.biblet.it narrati non raccontandoli diretuscita, in libreria e in ebook tamente, ma facendoli apparire per Einaudi, la traduzione proprio attraverso i dialoghi dei protagonisti, di Gibuti, penultima fatica dell’ottantaseiena fatti avvenuti. Leonard crea così un incastro ne autore originario di New Orleans. Dopo le di prospettive che, invece di annacquare, increatmosfere western e noir dei due precedenti romenta la suspense permettendo al contempo ai manzi usciti in italiano (Su nella stanza di Honey lettori di penetrare più fondo nella mente dei e Road dogs), Leonard sorprende i suoi fans con personaggi in scena. Così nel romanzo seguiauna storia ambientata nell’Africa orientale, tra mo gli eventi di Gibuti insieme a Dara e Xavier pirati, terroristi e registi di documentari. È promentre visionano il girato del loro documentaprio una filmaker sexy e intraprendente, Dara rio, provando la sensazione, pagina dopo pagiBarr, la protagonista di Gibuti: in compagnia del na, di stare sperimentando un’esperienza unisuo cameraman di fiducia, il settantenne afroaca: quella di “leggere” un film. mericano Xavier LeBo, dall’aspetto di un wa-

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LONDON BOOK FAIR

Appuntamenti

e gli altri eventi del mese LONDON BOOK FAIR Giunta alla quarantunesima edizione, la London Book Fair apre i battenti il 16 aprile e si conferma un appuntamento irrinunciabile per operatori e appassionati. Il ricchissimo programma della tre giorni londinese dedica quest’anno una particolare attenzione alla Cina, mercato emergente dalle straordinarie potenzialità, ma anche fucina di importanti talenti letterari. Più di 180 editori e 21 autori provenienti dalla Cina parteciperanno a una serie di iniziative in cui verranno approfondite le dinamiche attuali del mercato editoriale cinese, i possibili scenari di sviluppo dell’industria editoriale, le tendenze più recenti del panorama letterario, le problematiche legate alla traduzione. Ospiti d’onore saranno lo scrittore inglese Peter James, creatore della serie di thriller che ha per protagonista l’ispettore Roy Grace, giunta al suo ottavo capitolo con il romanzo Not Dead Yet (in Italia sono uscite le prime quattro avventure); lo scrittore e sceneggiatore cinese Bi Feiyu, vincitore del Man Asian Literary Prize del 2010; lo scrittore per ragazzi Patrick Ness, di cui sono apparsi in Italia Il buco nel rumore (2008) e il recente Sette minuti dopo la mezzanotte (2012). Tra gli altri autori presenti alla kermesse Anthony Horowitz, Sarah Hall, Jung Chan. Dal 16 al 18 aprile INCROCI DI CIVILTÀ - INCONTRI INTERNAZIONALI DI LETTERATURA A VENEZIA Sarà il neuroscienziato e scrittore portoghese Antonio Damasio a inaugurare la quinta edizione del festival letterario veneziano dedicato all’incontro tra le culture. Organizzata dal Comune di Venezia e dall’Università Ca’ Foscari, la manifestazione accoglierà in varie sedi della città lagunare scrittori, saggisti, intellettuali da 17 paesi, tra i quali lo scrittore olandese Cees Nooteboom, gli svedesi Steve Sem-Sandberg e Per Olov Enquist,

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la giallista spagnola Alicia Giménez-Bartlett, gli italiani Roberto Calasso e Andrea Molesini. La scrittrice egiziana Ghada Abdel Aal, l’algerina Malika Mokkedem e la libanese Alawiya Sobh discuteranno della letteratura araba al femminile; lo scrittore russo Vladimir Sorokin presenterà un testo inedito ispirato alla città di Venezia; Wim Emmerik e Giselle Meyer, poeti olandesi della lingua dei segni, offriranno un saggio del loro suggestivo e particolarissimo linguaggio poetico. Dal 18 al 21 aprile SALONE INTERNAZIONALE DEL LIBRO Il Salone Internazionale del Libro di Torino compie venticinque anni: la prima edizione si inaugurava infatti il 18 maggio 1988. Per festeggiare l’evento l’edizione del 2012 chiuderà una serie di manifestazioni, in corso già da febbrario, che sotto il titolo “La Città Visibile. Torino 1988-2012” intendono approfondire il rapporto simbiotico tra il Salone del Libro e la città di Torino, ripercorrendone le vicendevoli influenze e il dinamico evolversi delle rispettive identità nel corso degli ultimi venticinque anni. Il motivo conduttore del Salone di quest’anno è “Vivere in rete: le mutazioni indotte dalle tecnologie digitali”, in cui autori, editori, lettori torneranno a interrogarsi sugli scenari prevedibili o auspicabili che ci riserva l’inarrestabile evoluzione delle tecnologie digitali, con la loro ricaduta sui modelli dell’industria editoriale, ma anche e soprattutto sulle pratiche stesse della scrittura, della lettura, dell’apprendimento. I Paesi ospiti di quest’anno sono la Spagna e la Romania, cui saranno dedicati incontri, dibattiti, presentazioni, e che saranno rappresentati da autori come Norman Manea, Mircea Cartarescu, Fernando Savater, Javier Cercas, Ildefonso Falcones, Antonio Soler. Dal 10 al 14 maggio

pretesti | Aprile 2012


Tweets

@melamela a Buongiorno. Una si svegli la mattina e, bevendo il k. caffè, si compra tre eboo

@Pianeta_eBook Abbonamento a rivist e digitali “a sazietà” per 10 do llari al mese. È il futuro del commercio dei contenuti digitali?

@giuliop asserini Ebook Tutti a p iangere ri e il pro i colofumo de lla carta. poveri re E ai ggilibri c hi ci pen sa?!

@lastrad abreve Cioè, un o si legg e un eBo Edition e ok Kindle non può aggiung Anobii. M erlo su o Come fa tivazione? “Perc r scappa hé no.” re gli ute nti.

@sgnacchero

gli ebook avranno sicuramente tutti i pregi del mondo, ma io sono attratto dai difetti.

@theincipit ook Chi legge gli eb legge di più.

Bookbugs

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pretesti | Aprile 2012


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pretesti Occasioni di letteratura digitale

PreTesti • Occasioni di letteratura digitale Aprile 2012 • Numero 4 • Anno II Telecom Italia S.p.A. Direttore responsabile: Roberto Murgia Coordinamento editoriale: Francesco Baucia Direzione creativa e progetto grafico: Fabio Zanino Alberto Nicoletta Redazione: Sergio Bassani Luca Bisin Fabio Fumagalli Patrizia Martino Francesco Picconi Progetto grafico ed editoriale: Hoplo s.r.l. • www.hoplo.com In copertina: Roberto Piumini • foto di Lara Scapaccino L’Editore dichiara la propria disponibilità ad adempiere agli obblighi di legge verso gli eventuali aventi diritto delle immagini pubblicate per le quali non è stato possibile reperire il credito. Per informazioni info@pretesti.net

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