PreTesti • Occasioni di letteratura digitale • Giugno 2012 • Numero 6 • Anno II

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pretesti Occasioni di letteratura digitale

Molfetta. Ritratto di un anarchico

di Emanuele Trevi

Giovanni Arpino ÂŤchicco individuoÂť

di Rolando Damiani

La carezza della regina di Gerbrand Bakker

Giugno 2012 • Numero 6

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Bilocale arredato di Marco Archetti

pretesti | Giugno 2012


Il meglio della narrativa e della saggistica italiana e straniera in oltre 24.000 titoli

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Editoriale “Gialla… come il liquore che strega le parole”, così canta la rosa Vinicio Capossela, così la rosa “stat pristina nomine, nomina nuda tenemus”, solo il nome resta delle cose e del liquore lo spirito non è che sostanza aerea, immateriale, intoccabile. Non toccateci dunque il Premio Strega, giallo come le rose della gelosia, volatile come la bellezza delle parole che premia: il Premio per antonomasia della letteratura contemporanea italiana. E quest’anno non toccateci lo Strega, anche perché, in tempi non sospetti, abbiamo voluto ospitare un racconto di uno scrittore formidabile come Emanuele Trevi, che oggi si ritrova selezionato nella cinquina in concorso per la vittoria finale del Premio Strega. E oggi lo leggiamo nella storia di copertina del numero di giugno di “PreTesti”. E insieme a Trevi avremo anche il racconto inedito di Marco Archetti, promessa già mantenuta della letteratura italiana emergente. Celebriamo poi il grande scrittore Giovanni Arpino, del quale ricorre quest’anno il venticinquennale dalla scomparsa, con la riflessione di Rolando Damiani, curatore per i Meridiani Mondadori delle sue opere. Anticipiamo quindi un brano del libro Giugno di Gerbrand Bakker in uscita in Italia per Iperborea. Per “Il mondo dell’ebook” Daniela De Pasquale analizza la recente situazione del mercato che presenta una forte contrazione dei volumi e del fatturato dell’editoria. Stiamo diventando un popolo di analfabeti? Roberto Dessì, al contrario, si concentra sulla possibilità che gli ebook possano invece essere un volano di cultura per i paesi emergenti. Valeria Della Valle e l’Accademia della Crusca per “Sulla punta della lingua” va a caccia delle nuove parole della lingua italiana e Fabio Fumagalli in “Buona la prima” ci fa conoscere la storia di Casa di bambola di Henrik Ibsen. Luca Bisin ci porta invece in viaggio sulle rotte di Corto Maltese e Francesco Baucia ci fa scoprire la cucina di Pellegrino Artusi. Ubriacatevi allora nelle storie dei nostri autori. Dateci dentro: lasciatevi stregare dalla letteratura. Buoni PreTesti a tutti. Roberto Murgia

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Indice

Testi

Il mondo dell’ebook

Rubriche

05-11 Racconto Molfetta. Ritratto di un anarchico di Emanuele Trevi

30-34 Il digitale? “The next big thing” della lettura di Daniela De Pasquale

39-41 Buona la prima Henrik Ibsen “Casa di bambola” (1879) di Fabio Fumagalli

12-18 Saggio Giovanni Arpino «chicco individuo» di Rolando Damiani

35-38 Gli eBook fanno bene di Roberto Dessì

42-44 Sulla punta della lingua Parole nuove nella lingua italiana di Valeria Della Valle

19-22 Anticipazione La carezza della regina di Gerbrand Bakker

45-47 Anima del mondo Senza mettere radici di Luca Bisin

23-29 Racconto Bilocale arredato di Marco Archetti

48-51 Alta cucina Fare una ricetta è men che niente... di Francesco Baucia 52 Recensioni 53 Appuntamenti 54 Tweets / Bookbugs

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Racconto

MOLFETTA. RITRATTO DI UN ANARCHICO di Emanuele Trevi

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Puntuale, il momento arrivò. Ci eravamo spinti in un quartiere ostile e lontano, per attaccare dei manifesti in onore di Geronill’eventualità di prenderle di sanmo, il capo pellerossa, esempio per tutti i ta ragione, prima o poi, ci avevo popoli oppressi dagli americani. L’agguato pensato un sacco di volte ‒ cerfu rapidissimo. Tutte le battaglie di quarcando di immaginarmi l’eventiere di quei temi, in realtà, anche quelle to nei minimi dettagli. Il vecchio Molfetta, più gravi, dove potevano scapparci morti che era il decano del circolo anarchico che e feriti gravi, duravano pochissimi minuti. frequentavo, e che era sempre prodigo di Ci arrivarono addosso quando ormai penconsigli con noi novellini, a questo proposavamo di averla fatta franca. Non erano stito era categorico. “Per imparare ad antanti, ma era gente abituata a picchiare, ardare a cavallo”, sentenziava col suo indemata di catene, cresciuta in quella zona dellebile accento di emigrato pugliese, “devi la città. Non restava che darsela a gambe, cadere, giusto? E allo stesso modo, per escercando di non rimanesere un bravo anarchico re completamente soli. devi prenderle: poco ma “Per imparare ad Fu proprio questo il mio sicuro. In certe situazioandare a cavallo”, errore. Non so come, mi ni, quando sei circondato sentenziava col suo ritrovai con due brutti da un gruppo di fascisti indelebile accento di ceffi alle calcagna, nel sio celerini, è inutile anlenzio di un cortile conemigrato pugliese, che solo pensare di difendersi. Fate come le “devi cadere, giusto?” dominiale deserto. Dal collo taurino di uno dei tartarughe: rannicchiatedue bruti pendeva una vi per terra, difendete la svastica d’argento. Con buona pace del faccia”. Quanto alla cicatrice che lui stesvecchio Molfetta, le cose che temi non sono so, Molfetta, aveva sullo zigomo sinistro, mai come te le sei lungamente immaginate. si diceva che non c’entrassero né i fascisti Non ci fu tempo di assumere l’ingloriosa né la polizia, ma fosse opera di una donma efficace posizione della tartaruga. Uno na gelosa, la prima moglie lasciata al paedei due tizi mi colpì alla fronte con un case, una bigotta assolutamente ostile al libero sco, brandito come un’arma. Il bordo della amore degli anarchici, che Molfetta, a suo visiera, in plastica dura, mi causò un terridire, aveva sempre praticato fieramente. bile, bruciante dolore. Al momento di tocMa insomma, prenderle era il destino dei care terra dovevo essere già svenuto ‒ più bravi anarchici. Erano gli splendidi, feroper la paura, credo, che per la botta in sé. ci, irripetibili anni Settanta, avevo diciasInvece che a una tartaruga, dovevo assosette anni, e non desideravo di meglio che migliare a uno straccio abbandonato sul diventare un bravo anarchico. L’idea di pavimento. E così mi hanno trovato i miei prenderle non mi piaceva affatto. Ma il decompagni, tornati sui loro passi quando, fistino, per citare ancora una volta il saggio nito l’assalto, si erano accorti che mancavo e loquace Molfetta, era il destino: “un porall’appello. co al servizio dei padroni, molto spesso”. 1

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così profonda, che mai nella mia vita, ancora così inesperta sotto tutti i punti di vista, avevo immaginato che si potesse stare Le cose, lo ripeto, non sono mai come te le così a disagio, perdendo il piacere, la curiosei immaginate. Un dolore, una gioia, una sità, la fame di esperienze. La conseguenpaura, al momento di diventare reali assuza più grave di quella nuova e inaspettata mono la loro veste definitiva di fatti unici, e condizione era che non avevo più voglia irripetibili. Finché facevano parte degli indi mettere piede fuori di casa. Me ne stavo finiti repertori dell’immaginazione, questi nella mia stanza, senza nemmeno la voglia fatti erano puri schemi astratti, senza peso di sentire un disco, di leggere un fumetto. e senza colori reali, e pensavamo di poter Ai miei avevo raccontato di una caduta reagire ad essi come nei film, o nei racconti dal motorino. Erano, i nostri, i genitori più degli altri. Ma la nostra vita è un’altra cosa: smarriti, inadeguati, incapaci di esercitare più limitata e più imprevedibile nello stesun qualunque tipo di autorità, che la storia so tempo. E così, io mi ero cullato a lungo umana abbia mai conosciuto. Quell’orda di nell’idea che, una volta che le avessi prese ‒ ragazzini in rivolta cercando di limitare che si erano trovati i danni con il ricorso davanti li sgomentaalla posizione della va. Avrebbero fatto tartaruga ‒ un’altra di tutto per darsela a tappa del mio apgambe. In ogni caso, prendistato di anarfingevano di credere chico sarebbe stata a molte più cose di raggiunta e superaquelle che effettivata. Come i guerrieri mente credevano. E antichi, sarei potucosì, anche la storia to andare fiero delle del motorino era staeventuali ammaccaCarlo Carrà, I funerali dell’anarchico Galli ta accettata. Del reture e cicatrici. Sarei sto, la ferita era vistosa, ma non grave, e nel stato (e questo era il premio più prezioso) giro di qualche settimana, come decretò il l’eroe di un racconto, da ripetere all’infinimedico della mutua, l’escoriazione si sarebto agli amici con progressivi aggiustamenti be del tutto rimarginata. Quello che proprio e variazioni degne di un aedo greco. Nulnon riuscivo a rimarginare apparteneva a la di tutto questo accadde. Avevo un taglio un dominio, a un territorio della realtà del che mi attraversava la fronte da un lato tutto differente. Lì, nel regno invisibile delall’altro, simile al corso di un lungo fiume le paure e delle emozioni, dei desideri e dei tropicale sulla cartina di un paese esotico. rimpianti, si era aperta un’altra ferita, tanMa all’orgoglio dell’eroe si era sostitituita, to larga e profonda che leccarsela in qualfin dalle prime ore, una profonda tristezche modo mi appariva un compito assurdo za mista a paura e vergogna. E questo ined impossibile, come svuotare il mare con nominabile, sconosciuto sentimento si era un secchio. Quello che stavo vivendo, era impadronito di me in maniera così totale, 2

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una specie di triste battesimo: la scoperta, per così dire, dell’invivibilità della vita. Tale scoperta si ripete, ahimé, in molti momenti cruciali dell’esistenza. Per qualche rarissimo poeta o filosofo è una fonte, dalla quale ricavare insegnamenti amari e preziosi. Per la maggior parte dell’umanità, è solo un’esperienza orribile, come quella che stavo facendo io, rinchiuso nella mia stanzetta, guardando l’ombra di una tenda allungarsi lentamente sul soffitto, un pomeriggio dietro l’altro.

monolocali e seminterrati ai margini estremi della città. Me lo ricordo come fosse ieri, con il suo barbone sale e pepe, la camicia a quadri curva sotto il peso della grande pancia come una vela gonfia di vento, il basco calcato sulla testa che portava estate e inverno. Si scusò bofonchiando qualcosa. Mia madre e mia sorella, incuriosite da quel mio strano amico, lo invitarono a sedersi a tavola con noi. Molfetta non se lo fece ripetere due volte. Gli serviva pochissimo per trasformare l’impaccio in familiarità. Cos’erano, in fondo, le classi sociali?

Gli serviva pochissimo per trasformare l’impaccio in familiarità. Cos’erano, in fondo, le classi sociali? Le vecchie ingiustizie, si poteva dire, avevano i giorni contati, come la neve alla fine dell’inverno. 3 Gli unici aiuti che contano davvero, bisogna ammettere, sono quelli che provengono da dove meno te lo aspetti. Fu il vecchio Molfetta, quel solenne rompiscatole, quella miniera inesauribile di aneddoti, a tirarmi fuori dal vicolo cieco in cui mi ero cacciato. Aveva saputo della rissa, e si aspettava di rivedermi al circolo anarchico, assieme agli altri ragazzini che si sentiva in dovere di istruire sulle profonde verità della vita e sulle tecniche della rivoluzione. I miei amici gli avevano raccontato che l’avevo presa male, che stavo sempre chiuso in casa. E un giorno, eccomelo di fronte, introdotto dalla donna di servizio in una sala da pranzo borghese che non poteva che metterlo in impaccio, lui che era sempre vissuto in

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Le vecchie ingiustizie, si poteva dire, avevano i giorni contati, come la neve alla fine dell’inverno. Come se mia madre e mia sorella potessero davvero andarne fiere, sottolineava spesso, passando dall’universale al particolare, come io, ancora così giovane, potessi già considerarmi un bravo anarchico, qualcuno in grado di affrettare l’arrivo dei tempi nuovi. “Certo”, aggiunse a un certo punto accompagnando le parole con un vistoso occhiolino, “bisogna guidare con prudenza !!!”. 4 Ed eccoci barricati in camera mia, io e l’instancabile, loquace, sudato Molfetta. Dopo un primo momento di imbarazzo, causato dal fatto che stavo rivelando a quell’auten-

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Quell’Humpty Dumpty barbuto, con gli occhi nerissimi sempre accesi come carboni scintillanti, in qualche oscuro e poetico modo rappresentava tutta l’Anarchia

tico proletario la mia condizione di borghese, servito a tavola da una cameriera in una sala da pranzo più grande di tutte le case che aveva mai abitato, quella visita mi aveva fatto piacere. A dispetto della logica, nel mio sfuggire il mondo mi sentivo dimenticato. E Molfetta veniva a dimostrarmi che la mia sofferenza era presa nella giusta considerazione. Quell’Humpty Dumpty barbuto, con gli occhi nerissimi sempre accesi come carboni scintillanti, in qualche oscuro e poetico modo rappresentava tutta l’Anarchia, con il suo interminabile corteo di eroi e di martiri. Ma adesso, rimasti faccia a faccia, tra noi si era steso un leggero velo di disagio, come ogni volta che qualcuno, che per noi è sempre stato un personaggio, si accosta a noi come una persona. Per noi ragazzini, Molfetta era sempre stato una maschera comica. Gli volevamo bene, ma lo prendevamo in giro appena voltava le spalle. Proprio io ero il più abile nell’imita9

re la sua cadenza pugliese, e i suoi interminabili discorsi sul libero amore e sulla pace perpetua tra i popoli. Ed eccolo qui, invece, di fronte a me, che scrutava la mia ferita mentre si accendeva una delle sue puzzolenti Nazionali senza filtro. “Quando torni al circolo? I tuoi amici ti aspettano... siete un bel gruppetto di anarchici in erba. Io, alla vostra età... ma lasciamo perdere, lo so che mi prendete in giro per tutte le storie che racconto. Che te ne stai a fare qui, sotto le gonne di mamma? È una donna simpaticissima, e una vera signora, per inciso... ma insomma, mi hai capito.” “Sto un po’ a casa, Molfetta. Presto torno a trovarvi. Ho anche avuto... un po’ da fare.” “Cose così importanti da trascurare i tuoi amici, tutte le persone che ti vogliono bene?” “Ma no, che dici...” “Stammi a sentire: io per queste cose ci sono passato molto prima di te. Non è che

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anche una cosa buona, in tutto questo. La per caso, da qualche parte dietro quella sai quale?” fronte sgarata, tu stai coccolando l’idea che “No, non la so.” le persone che erano con te, quella sera di“E allora te lo spiego io. Quando rimani da sgraziata, non ti hanno difeso abbastanza, solo è duro, in tutti i casi. Ma se stai da solo non sono stati capaci di capire da che parte impari l’arte ‒ mi capisci?” eri scappato?” “Ma che arte dovevo imparare?” Decisamente, Molfetta conosceva l’animo “L’arte di prendere le botte. Non è facile. umano, questo congegno così delicato e Non c’è nessun libro che te la può insegnacosì stupido nello stesso tempo. Eccolo lì re. Me le vorrei essere stanato, e messo a prese io, che sono vecnudo come un verchio e coriaceo, le tue. me solitario estratto Ma quelle erano per dalle viscere, il vero te. E di sicuro te la sei rancore che nutrivo cavata bene: non hai nel mio isolamento. chiesto pietà al nemiSarebbe stato molco, non hai tradito te to duro confessarlo. stesso. Sei ancora qui, Ma Molfetta non vocon la vita davanti.” leva confessioni. Le cose sono vere molEra proprio vero: ero to al di là di quanto ancora lì, e la vita mi e come le confessiamo. “Quando rimani da solo è stava davanti, come se fosse una campagna “Fatti dire una cosa, raduro, in tutti i casi. fiorita, una pista da sci, gazzino. I nostri comMa se stai da solo impari un’acqua limpida in cui pagni sono la cosa più l’arte – mi capisci?” nuotare. Il vecchio Molpreziosa che abbiamo. fetta, con la sua visita Ed è per questo che li così provvidenziale, mi aveva guarito dal vorremmo sempre vicini, quando le cose si dolore di avere imparato qualcosa. Perché mettono male. Ma non possono. Da quello quando davvero impari qualcosa, non puoi che mi hanno detto, sei rimasto indietro, e farla franca: questa cosa ti farà male. E l’upoi sei scappato in un cortile chiuso. Sei rinica variabile a cui puoi badare, tutto sommasto solo.” mato, è se ne valeva davvero la pena, oppu“Dài Molfetta, inutile rivangare, non è stata re era meglio rimanere ignoranti. Ad ogni colpa di nessuno.” modo, il circolo anarchico si sciolse, con“Non è a me che devi dirlo, ragazzino. Sei fluendo in una più vasta organizzazione, tu che stai spargendo colpa come fosse merma per molti anni non ho perso del tutto di da. Su di te e sugli altri. Ma ogni tanto, nella vista Molfetta. Ogni manifestazione, ogni vita, solo ci rimani. Davvero senza colpa di assembramento umano in cui fosse possinesuno, come tu fingi di pensare. Però c’è

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bile distribuire del materiale anarchico, prima o poi lo vedeva apparire, col suo basco e il barbone sempre più candido. Ci appartavamo a fumare una sigaretta, a parlare della rivoluzione. Negli occhi dardeggiavano le stesse braci di sempre. Da una bacchetta appoggiata alle sue spalle, pendeva il drappo nero degli anarchici, con la sua A cerchiata. È un onore sventolare quella bandiera. Nessuno degli ideali di quell’uomo si è mai realizzato, eppure ancora oggi penso che nulla di più giusto ed utile sia stato

pensato dagli uomini a favore dei loro simili. Non ero un intimo di Molfetta, e non so che fine abbia fatto. L’ultima volta che l’ho visto, mi confidò di essere stanco e malato, e di avere voglia di passare gli ultimi tempi al suo paese, in Puglia. Tanti che sono stati giovani a Roma durante gli anni allegri e folli della grande rivolta, si ricordano di Molfetta, del suo basco e dei suoi aneddoti. E non c’è tomba migliore, direbbe lui, che il cuore dei propri compagni, il cuore fiero e generoso degli anarchici.

Quando davvero impari qualcosa, non puoi farla franca: questa cosa ti farà male. E l’unica variabile a cui puoi badare, tutto sommato, è se ne valeva davvero la pena. L’ultimo libro di Emanuele Trevi

Emanuele Trevi Emanuele Trevi (Roma, 1964) è scrittore e critico letterario. Ha esordito come autore di narrativa con I cani del nulla (Einaudi, 2003), ha pubblicato per la collana Contromano di Laterza Senza verso (2005), L’onda del porto (2005) e per Rizzoli Il libro della gioia perpetua (2010). Il suo ultimo romanzo, Qualcosa di scritto (Ponte alle Grazie 2012), è finalista al Premio Strega 2012. È autore di numerose curatele e saggi: fra questi, i volumi Istruzioni per l’uso del lupo (Castelvecchi 1994) e Musica distante (Mondadori 1997). Ha inoltre pubblicato i libri-intervista Invasioni controllate (con Mario Trevi, Castelvecchi 2007) e Letteratura e libertà (con Raffaele La Capria, Fandango 2009). Collabora con la Repubblica, il manifesto, Il Messaggero e Il Foglio. È conduttore di programmi radiofonici per Rai Radio 3. I suoi libri Senza verso, Il libro della gioia perpetua e Qualcosa di scritto sono disponibili in ebook da Cubolibri. Disponibile su www. cubolibri.it

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Saggio

GIOVANNI ARPINO «CHICCO INDIVIDUO» Pensieri, parole e opere di un anarchico-borghese di Rolando Damiani


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ochi giorni dopo l’agguato brigatista a Carlo Casalegno, suo amico e vicedirettore alla «Stampa», Arpino pubblicò un articolo coraggioso sul ruolo dell’intellettuale, poi raccolto nel quinto volume delle sue Opere edite da Rusconi in una sezione intitolata Autoritratto. Scrisse, guardando di riflesso a se stesso: L’intellettuale, già. Ma chi sarebbe? Vorrei citare Carlo Emilio Gadda, che intellettuale totalmente fu. Parlando di buon risotto, ci teneva a indicarlo come un cibo composto da «chicchi individui», chiaramente separati l’uno dall’altro. E nel nostro doloroso, forse immondo, «risotto storico», l’intellettuale non può essere altro che un chicco individuo. Non appartiene a una corporazione, non può costituire clan […] Il primo coraggio dell’intellettuale consiste nell’individuare il male, il bubbone, la piaga e nell’opporsi a coloro che teorizzano o «inventano» il male anche dove non c’è pur di creare falsi scopi e sollevare nuovi fanatismi. Non solo nel modo di pensare e di essere ma in primo luogo nella sua natura di scrittore e chroniqueur è stato un «chicco individuo» l’autore presentato da Vittorini nel revers di Sei stato felice, Giovanni (decimo dei «Gettoni» apparso nel giugno 1952) come unicamente radicato «nella propria generazione», e già qualche anno dopo capace, poco più che trentenne, di realizzare con La suora giovane «un capolavoro» in un genere indefinibile per il fatto stesso di «essere tuttora in fieri», diceva Montale nella recensione sul «Corriere». E un autodidatta, senza il modello di maestri nep-

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pure fra i narratori prediletti alla cui testa c’era Flaubert, Arpino volle fino all’ultimo dichiararsi, talora in “confessioni” come quella annessa nel 1983 al racconto Il viale nero pubblicato dalla SEI. Le diede per titolo Perché ho scelto questo mestiere, immaginando di rivolgersi a esordienti nelle attività che svolgeva. Si presentò in abito di lavoro, ammettendo di poter fare a tratti «certe cose con pochissima fatica». Pressato dal giornale, riusciva a redigere in mezz’ora articoli magari accolti poi con elogi: durante le Olimpiadi o ai Mondiali di calcio era giunto all’exploit di dettare al telefono un pezzo quasi di seguito alla conclusione della gara o partita di cui doveva riferire. Al contrario ogni storia per un romanzo o un racconto lo obbligava a lunghe riflessioni e a uno stato fisico alterato: era come se la temperatura gli salisse «intorno ai 40 gradi» e di conseguenza, alla maniera di un malato, si chiudeva in se stesso, diventava assente, taceva con tutti delle sue immagini mentali. Non era reticente nel dichiarare in quali condizioni scriveva, ma consigli o ammonimenti era certo che da lui mai sarebbero arrivati per un motivo spiegabile in breve: Nessun scrittore vero può dar consigli su come e perché e cosa scrivere a chi gli domanda: vorrei scrivere, mi aiuti. Non c’è aiuto che tenga. Uno scrittore si alleva da solo, e mentre sta allevandosi neppure se ne accorge. […] Qualcuno disse che la vita è un compito da affrontare in piedi. E così è lo scrivere. Chi non sa scrivere in piedi, moralmente parlando, è uno che imbroglia, un facilone che bracca il successo e non la verità dolente ma sovrana della Scrittura.

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A Bruno Quaranta doveva ripetere, negli ultimi mesi che gli restavano, una convinzione già fissata in gioventù: Non ho mai voluto né potuto considerare un vivente come un maestro. Ho sempre obbedito a me stesso, all’imperativo categorico avvertito sin da piccolo: essere scrittore. Il mio mestiere (ammesso che lo sia) sfugge ai consigli. Non c’è aiuto che tenga: il narratore di storie si alleva da solo (o non esiste). Piuttosto, lungo il cammino verso la maturità (l’ossessione di Pavese) mi hanno accompagnato «maestri di libro», con cui via via mi sono misurato, talvolta concordando. Altre no. In questa lunga intervista destinata a uscire postuma nel volume di Quaranta Stile Arpino. Una vita torinese (SEI, 1989) preferì guardare a giornalisti più che a narratori nel riconoscere un affine per temperamento e fece il nome di Montanelli, che lo

Il film Profumo di donna tratto da Il buio e il miele

“Qualcuno disse che la vita è un compito da affrontare in piedi. E così è lo scrivere.” aveva accolto al «Giornale» dal novembre 1979 perché vi scrivesse un po’ a suo piacimento. Si spinse a definirlo «un fratello, talvolta molto più giovane e impulsivo» di lui stesso: Apparteniamo, pur venendo da radici ed esperienze diverse, alla razza degli anarchici-borghesi, una definizione che piaceva a Prezzolini ma inventata nientemeno che da Jean Gabin. Siamo moderni, europei veri, con retaggi risorgimentali, con un certo senso dello 14

Stato, con un pessimismo della ragione correggibile solo attraverso il dovere (il quale, nella nostra inguaribile stolidità, non ci «fa fatica»). La sembianza di anarchico-borghese era stata assunta da Arpino sin dai primi racconti ed esibita in Sei stato felice, Giovanni, il suo «gettone d’esordio picaresco, anarchico, corsaro», come amava chiamarlo. Non l’avevano mascherata neppure le raffinatezze della Suora giovane, «deliziosa» trama all’insegna dell’«arte per l’arte», se-

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condo Montale. Viaggi con spirito ribelle di di Promemoria della raccolta Fuorigioco e improvvise partenze e dissimulazioni uscita nel ’70: «Non chiedere di me, io non ci sono già temi costanti in queste opere giosono, / non vedo, non capisco, non perdovanili ed egli stesso nell’avventura innanno, / non sento, non ribatto, non appaio / zitutto di scrittore dovrà di volta in volta là dove sembro, non mordo, non abbaio. / ripartire, cargar la suerte (espressione da lui Quello che è stato è stato e mi condanna / spesso citata quasi come un proprio stemquello che ho avuto ho avuto e non è manma araldico), bruciare i vascelli alle spalle, na / quello che ho perso è mio e mi ci straessere molteplice e versatile sino a rendere zio / non ho più fame ma non sono sazio». inafferrabile la sua fisionomia. «Si direbbe Fughe dagli altri e anche da sé si replich’egli diffidi delle qualità che farebbero cano nella narrativa di Arpino: scappa e di lui un narratore lirico, senza programsi nasconde nella genovese via di Prè il mi e intenzioni, un narratore, absit iniuria, «Bello» alter ego dell’autore nel romanzo “puro”», scrisse in un’altra occasione Moninaugurale, e di nuovo alla fine dell’azzartale al suo riguardo, imputandogli un ecdo vissuto si trova davanti a un treno e a cesso di capacità come un’altra meta possibile; «evidente ostacolo». “Arpino, in Sei stato felice, come pure il ragionier Era del resto un piano Mathis dopo l’incontro Giovanni , ha voluto per l’intera esistenza con i genitori di suor raffigurare l’alternativa annunciato da una poSerena in cui culmina radicale alla poetica esia dell’aprile 1946, la sua detection amoroVita d’uomo, posta in sa, controlla alla stazioneorealista, un’altra apertura di Dov’è la ne di Mondovì i cartelprospettiva, un modo luce?, la plaquette liriloni degli orari e vede totalmente diverso di ca che aveva pubblicache «una riga d’unto» proporre, nella letteratura, to a diciannove anni, rende illeggibili i nula vita” prima di sperimentare meri delle partenze per la vastità del mondo: Torino, mentre «è lin«Io vivo in un deserto. / Talvolta solo la mia do, senza uno strappo» il manifesto in cui ombra / è accanto a me, distesa. / E nulsono indicate le corse da Torino a Milano la attorno […] / Poi il deserto si popola / e da lì a Ferrara, dove Serena ha chiesto di diventa moltitudine: / tutti gli uomini enessere trasferita. trano in me. / E su di essi scorre il mio In modo analogo vagabonda da Torino a sguardo / e in ogni sguardo / si ritrova. Napoli con un giovane militare nel ruolo di / Solitudine e folla: / ecco cos’è / la mia succube attendente il cieco capitano Fauvita». sto, protagonista di Il buio e il miele (portato Nella sua stagione ulteriore, dopo successi sugli schermi da Risi in Profumo di donna e e premi (fra i quali lo Strega nel 1964 per poi riadattato nel remake di Martin Brest), L’ombra delle colline) non era mutata l’inclicon la mira di unirsi in uno spettacolare nazione a introiettare il mondo in se stesso e duplice suicidio al commilitone vittisino allo smarrimento dei lineamenti del ma del suo stesso incidente alle manovre. proprio io, come mostravano i versi beffarPiglia il volo verso un luogo misterioso a 15

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Le colline nei pressi di Bra

conclusione delle sue prodezze “Domingo il favoloso”, primattore nel romanzo pubblicato dapprima a puntate sulla «Stampa» dal dicembre 1973; e anche Saverio Piumatti nel Primo quarto di luna del 1976 evade dalla società volendo un giorno, con la fermezza di un rinunciante, mettersi a letto e non alzarsi più, per scomparire infine nella forma di una labile «macchia sul muro» o di «disegno fra le nuvole». E dalla sua stanza di malato dove sta per entrare Madama Requiem fugge il vecchio Bertola, emerito di Matematica, sfidando l’ignoto per le strade di una Torino sconsolante e autunnale, simile a una terra desolata. L’aforisma in apertura del romanzo, scritto con «incerta grafia» sulla lavagna e «occhieggiato» dall’allievo Carlo Meroni con cui il professore si incontra per dialogare e giocare a scacchi, «La vita o è stile o è errore», può dirsi un “pensiero” un po’ da moralista francese di Arpino, colpito durante la stesura di Passo d’addio nel 1985 dal verdetto di «giudici velati e crudeli» (quali gli erano parsi nel settembre del medesimo anno gli oscuri deliberatori della morte di Italo Calvino, suo confrère pur differente da lui per specie come «un uccello e un rinoceronte» o «un coccodrillo e una tartaruga»). Mentre raccontava di 16

Giovanni Bertola invalido alla vita, Arpino già pativa nel suo organismo i sintomi di una malattia incurabile. Stava per chiudersi il cerchio della sua narrativa in una saldatura con i geniali inizi ed egli anche per proprio conto rifletteva nei termini attribuiti sul finire del romanzo a Meroni: Pensò a quell’illustre letterato argentino che aveva detto: «io so di un labirinto greco che è un’unica linea retta. In questa linea unica e retta si sono perduti tanti filosofi». Ma uno scienziato gli aveva risposto: «è vero, però con l’aiuto di Dio il matematico non si smarrisce». L’aiuto di Dio, e già. Se Dio vuole. Se Dio si degna. Se non gioca ai dadi. Altrimenti rimane quella linea unica, retta, labirintica ma retta, che Meroni intuì come immediato avvenire, il rasoio su cui camminavano intrecciate la vita sua e quella del professore. Solo la fuga poteva evitargli d’affrontare la soluzione a cui portava il labirinto della linea retta… Per una via retta e labirintica Arpino torna sui propri passi compiendo quello “d’addio”. È un uomo solo il vecchio Bertola, desideroso di una morte per eutanasia quando sia un organismo allo stato vege-

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“Cinquantanove anni e tre mesi; mai compiere i sessanta, o almeno ritardarli barando senza requie”

tativo, perché si ribella alla meccanica caduta delle gocce di vita dalla strettoia di una clessidra in alto ormai vuota. Al limite opposto dell’esistenza si specchia nel giovane stirneriano che sfida la sorte per una «felicità da coltello» in una Genova del dopoguerra vista nei suoi angoli di casbah o di “Quai des brumes”. Da qui era sbocciata la poetica di Arpino «chicco individuo», mantenuta “rettamente” pur nel labirinto di deviazioni affrontate per il rischio e l’avventura in territori ideologici o in partibus infidelium, per così dire, come accadde per i romanzi Gli anni del giudizio (Einaudi, 1958) e Una nuvola d’ira (Mondadori, 1962) degno tuttavia di sembrare a Borges una «storia buenosairense». Per riconsiderarlo nella sua specie naturale di scrittore e nella sua singolarità di «chicco individuo» bisogna ripartire dal primo romanzo, dono di una giovinezza d’eccezione, sul quale si diffusero subito dei malintesi. Fu letto di norma, per l’avallo di Vittorini, da una visuale neorealistica, forzatamente limitata dinanzi agli orizzonti dischiusi dall’idea in esso espressa che «la felicità è nell’avventura, in una vita senza rimorsi che inizia e termina e muore ogni giorno: ogni giorno una nuova vita, nell’attesa di nuove guerre, pesti, terremoti, e nell’ingenua speranza che il vuoto morale si riempia da sé». Dal coro spiccava nel 1952 la voce di un solista, “felice” di

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una gioventù fine a stessa, estraneo a precetti vincolanti, «corporazioni» e «clan». C’erano la forza e la sprezzatura dell’outsider, quasi venuto dal nulla, nel suo gesto iniziale e programmatico che rovesciava come un castello di carte tutta l’impalcatura teorica del neorealismo. Barberi Squarotti disse al momento di raccogliere il romanzo nell’edizione delle Opere: Arpino, in Sei stato felice, Giovanni, ha voluto raffigurare l’alternativa radicale alla poetica neorealista, un’altra prospettiva, un modo totalmente diverso di proporre, nella letteratura, la vita: un’idea dell’essere come avventura dei sensi e dell’anima, il cui significato morale sta nel fatto che tutto ciò che il protagonista sperimenta e compie è senza inganno e senza frode, e ha la purezza un poco irresponsabile, ma mai menzognera, del giovane «divino», che passa fra le cose e gli uomini senza lasciarsene mai troppo coinvolgere, pur con il rispetto che a tutti si deve. Due istantanee autobiografiche danno attendibilità all’immagine di Arpino che passa agile fra cose e uomini e all’altra figura del fautore di un agire con purezza e onestà. Di sé al tempo delle riunioni di cellula all’Einaudi parlò nell’intervista di Quaranta:

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Quasi ogni sera si svolgeva la riunione di cellula. Vi partecipavano tutti i redattori, meno il sottoscritto, che non ha mai aderito a un partito. […] Il clima in breve si surriscaldava, grondavano i cerebralismi, si spremevano i sacri testi. Erano il miele e il fiele di casa Einaudi. In essi venivano riposte le speranze di ordinare finalmente il mondo e di risistemare, se possibile, il paradiso. Nell’inverno 1985 si trattava invece per lui di spiegare a un pubblico svizzero, rispondendo all’interrogativo Insegnare il giornalismo?, il senso che dava al suo “secondo mestiere”. Citò una massima sapienziale già conveniente al suo doppio del debutto romanzesco e valida ancora per quanto scriveva: «Tutto quello che fai, fallo con gioia», dice la regola di un certo ordine religioso. A me, laico anche se tentato, quando manca la purissima gioia spetta il compito di «fare» con buona volontà.

E almeno questo spero che sia stato capito dagli amici italo-zurighesi (che pur qualche umana «gioia» me l’hanno data). Sin dall’archetipo narrativo gioia o felicità erano state congiunte alla gioventù come stagione esemplare della vita e stato primaverile dell’anima. Nel romanzo postumo, La trappola amorosa, il protagonista Giacomo Berzia che ha lo stesso cognome del leggendario nonno artefice della villa sulle colline di Bra dove Giovanni trascorreva da ragazzo l’estate, dichiara spavaldo a quali «ordini» unicamente si attiene: «Cinquantanove anni e tre mesi; mai compiere i sessanta, o almeno ritardarli barando senza requie». Il confine dei sessanta era stato varcato da Arpino nel gennaio 1987 e pochi mesi gli restavano per barare sulla propria età, per ottemperare alla promessa del distico in epigrafe alle poesie del Prezzo dell’oro dedicate alla moglie Rina quando entrambi erano giovani: «Vedrai rinnovarsi in più tempi / la mia giovinezza ostinata».

Rolando Damiani Rolando Damiani insegna Letteratura italiana a Ca’ Foscari. Di Giovanni Arpino ha curato le Opere scelte nei «Meridiani» (Mondadori 2005). Nella medesima collana ha pubblicato le Opere di Giovanni Comisso, un Album Leopardi e, fra il 1988 e il 2006, dello stesso Giacomo Leopardi le Prose, lo Zibaldone e le Lettere. Da Mondadori è anche uscita una sua biografia di Leopardi, All’apparir del vero, che ha avuto di recente un’edizione francese (Silvia, te souvient-il?, Allia, Parigi 2012).

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Anticipazione

La carezza della regina

16 giugno 1969: una visita di Juliana d’Olanda muta per sempre il destino di una famiglia

di Gerbrand Bakker

Pubblichiamo, in esclusiva per i lettori di PreTesti, un brano del libro Giugno (Iperborea, 332 pagine, 17 â‚Ź), in libreria dal 2 luglio.


P

Ora la donna le è di fronte, ha il respiro un rima di salire, la regina si guarpo’ affannato dalla corsa. da intorno. Ci sono bandiere che “È uscita di casa tardi?” le domanda la re­ sventolano quasi a ogni casa e, gina. parcheggiato di traverso, sull’al“Sì. Io...” tra spon­ da del grande canale navigabile “Che amore di bimba. Come ti chiami?” che divide in due il paese, vede di nuovo La bambina, che avrà al massimo due anni, il furgone scintillan­te. Solo ora si domanla fissa con grandi occhi azzurri. da perché sia fermo lì. O la zona servita dal “Allora, come ti chiami?” fornaio è così piccola che se la cava in una “Anne”, farfuglia la mattinata? La gente piccola. si allontana dal­la Pol“Hanne”, la corregge derhuis, si volta ancola madre. ra a guardare, senza La sovrana si sfila il però accalcarsi intorguanto destro. “Non è no all’automobile. facile dire la ‘h’.” CaOgnuno torna alle sue rezza la bambina sulla faccende quotidiane, i guancia. Lei si spavenbambini saranno forse ta e nasconde il viso già seduti ai banchi. nel collo della madre. No, avranno avuto va“E lei è?” canza nel pomeriggio, La re­gina vede una “Anna Kaan, signora.” oggi è giorno di festa. giovane donna Toh, questa donna sa Forse c’è una piscina arrivare quasi di corsa, come le piace essere nel paese. Poi la re­ controcorrente rispetto chiamata. “Il tempo è gina vede una giovane al fiume di folla che si volato più del previsto donna arrivare quasi assottiglia stamattina?” di corsa, controcorrenLa donna la fissa. Il suo te rispetto al fiume di sguardo spaventato cede il posto a un sorfolla che si assottiglia. Ha in braccio una riso. Non risponde. La bi­cicletta che aveva bambina, fa fatica a camminare perché con appoggiato al fianco scivola lentamente per l’altra mano tiene la bicicletta. Ah, qualcuterra e sbatte contro l’asfalto. no che è in ritardo. Che arriva di corsa per La regina protende d’istinto entrambe le poterla vedere, anche solo di sfuggita. Lei mani. fa un cenno all’autista e si dirige verso la “Non è niente”, dice la donna. donna, con la coda dell’occhio vede che la “Dobbiamo andare”, interviene la Roëll. Roëll la segue. “Che cosa fa?” le chiede la Intanto i fotografi continuano scattare, la sua segretaria personale. regina non li vede, li sente. Fastidiosamente Lei non risponde, aspetta la donna. vicini. Fuori programma della sovrana. Un al“L’ora, dobbiamo tenere d’occhio l’ora”, tro possibile titolo per i giornali di domani. dice la Roëll.

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“Ha sentito?” dice rivolta alla donna. “Dobbiamo andare. Ciao Hanne.” “Buongiorno, signora. E molte grazie.” “Per cosa?” “Perché si è presa il disturbo…” “Nessun disturbo”, dice lei. Quando si vol­ ta, non c’è la Roëll, ma Jezuolda Kwanten alle sue spalle. Vicinissima. Sente il suo alito caldo lambirle il viso. È come se la suora volesse cat­turare ogni poro, ogni imperfezione della sua pelle. Perché la sua «testa in bronzo» risulti più fedele possibile. La suora dell’Ordine delle So­relle della Carità si sposta di lato e la segue a un passo di di-

“Perché?” “Con tutto il rispetto, ma delle capre!” “Sì?” “Come ci arrivano a Soestdijk?” “Ha già provveduto Van der Hoeven.” “E quella tizia con la bambina.” “Era in ritardo, può capitare a tutti.” “Può anche lasciar perdere cose del genere.” “Ma io non voglio lasciarle perdere. È stato bello, no? Per lei, per la bambina. Non dimenticheranno mai questa bella giornata di giugno piena di sole.” Aspira una boccata di fumo. “Non che io lo faccia per questo, ovviamente.”

“È stato bello, no? Per lei, per la bambina. Non dimenticheranno mai questa bella giornata di giugno piena di sole.” stanza fino alla macchina. Lei accenna un ultimo saluto in direzione del portale della Polderhuis, dove il sindaco e sua moglie aspettano compiti. Poi le portiere si chiudono. Prima ancora che l’auto si metta in moto, la Roëll ha già ripreso in mano tut­te le sue carte, tra cui rovista con una certa impazienza. La regina accende una sigaretta. L’auto svolta a destra e procede con estrema lentezza verso la periferia del paese. Guardan­do alla sua destra la regina vede un cimitero, proprio dietro la Polderhuis. Cosa di cui prima non si è accorta e a cui nessuno ha fatto cen­no. Superano un acquedotto e un’idrovora. All’estrema periferia del paese c’è un mulino sotto un argine. “Quelle caprette”, dice la Roëll. “Sì?” “Come si fa a fare una cosa simile?” 21

La Roëll stringe le labbra e si concentra sulle sue carte. “Provi a mettersi nei panni degli altri, per una volta. Che differenza vuole che facciano quei pochi minuti?” La sua segretaria personale non risponde. “Milleottocentoquarantasei”, dice poi. “Il pol­der porta il nome della consorte di re Gugliel­mo II.” “Questo non ha bisogno di dirmelo. Come si chiama il prossimo sindaco?” “Warners.” “E cosa prevede il programma?” “Una dimostrazione di sci nautico. Oggi po­meriggio alle due e mezzo. Al Vecchio Pontone.” “Ah sì?” “La quarta prova è sci a piedi nudi.” La regina spegne la sigaretta e rinfila il guan­to destro. Guarda fuori dal finestrino.

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Anche qui il paesaggio è leggermente diverso rispetto al comune precedente. Strade diverse, fattorie diverse, meno prati. Fosse già passata quella sto­ria dello sci nautico. Ci saranno vecchi anche lì. Fosse già passata anche la visita a Den Helder. Non vede l’ora di essere a bordo del Piet Hein, sono mesi che non mette piede sullo yacht. Il legno di pero lucido, le poltrone Rietveld fode­rate di verde, i letti a castello. «Papi» forse in quello superiore. E altrimenti una chiacchiera­ta tranquilla, davanti al mobile bar aperto, con Van der Hoeven. E domattina magari un giret­to con lei al timo-

ne, o comunque al fianco del comandante. Tra due mesi qualche altro giorno a bordo, per la parata della Marina durante le Giornate della Pesca a Harlinger. “Sciare a pie­ di nudi”, mormora. “Ma come vengono in men­te alla gente certe idee?”

Tratto da Giugno di Gerbrand Bakker (Iperborea) Traduzione e postfazione di Elisabetta Svaluto Moreolo © 2009, Gerbrand Bakker e Uitgeverij Cossee BV © 2012, Iperborea S.r.l.

Gerbrand Bakker Gerbrand Bakker, nato a Wieringerwaard nell’Olanda del Nord nel 1962, ha studiato Letteratura Nederlandese prima di diventare doppiatore di documentari naturalistici, autista e giardiniere. C’è silenzio lassù (pubblicato in traduzione da Iperborea nel 2010) è il suo primo romanzo. Premiato con l’IMPAC Dublin Literary Award, il Prix Initiales 2010, il Prix Millepages 2009, il Gouden Ezelsoor, il Debutantenprijs, è stato un bestseller in Olanda, tradotto in dieci paesi (tra cui Francia/Gallimard, Germania/Surkhamp e Inghilterra/Harvill Secker). Nel 2010 è stata realizzata la riduzione cinematografica.

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Racconto

BILOCALE ARREDATO di Marco Archetti

I

l primo appuntamento è alle otto del mattino davanti alla Coop di via Veneto. Si presenta un ragazzo con la faccia larga e simpatica. Ha il fiatone e mi fa: “Buongiorno, scusi il ritardo.” “Buongiorno.” “Vado subito al dunque: il bilocale per cui ci ha chiamato è in questo palazzo. È abitato da un professore di origini rumene e sarà libero in due settimane. Le confermo…” scartabella fogli stropicciati, “che è arredato in ogni sua stanza.” Gioisco: il giorno prima avevo contattato un’altra agenzia per avere dettagli su un annuncio che parlava di un bilocale arredato ed era andata così.

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“C’è solo la cucina,” aveva esordito l’agente del franchising. E io: “Scusi, ma allora non è arredato.” “Be’, mi permetta, non è nemmeno vuoto”. Incredibile, vero? Avevo perso il pomeriggio in altre telefonate dello stesso tenore. Ma forse adesso ci siamo, mi dico mentre saliamo in un minuscolo ascensore. Intanto penso a Ceausescu, a quante vite consumino le case, e a come quattro mura contengano romanzi. Il trabiccolo timbra piano dopo piano e l’agente mi fa: “Spero che lei non abbia problemi per il fatto che…” “Che?” “Ci siamo capiti.” “Cosa intende?”

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“Be’, che il signore…” “Il signore?” “Voglio dire, è rumeno.” “E allora?” “Non le da fastidio?” “No.” “Però è una brava persona.” “Le dico che non mi da fastidio.” Sbarchiamo all’ultimo piano – il sesto. La brava persona ci accoglie sul pianerottolo: settant’anni, pantofole sformate, cardigan verde marcio. Poco incline alla socializzazione, con le sue grandi, fosche sopracciglia, ci fa cenno di entrare. “C’è un po’ di disordine,” dice, “ma tanto è per farvelo vedere solo cinque minuti, no?” Le cattive premesse c’erano tutte: per esempio, la moquette del corridoio era rosso uccello. Ma deglutisco e mi dico: pazienta, è intera-

Chiedo di vedere la cucina. L’agente si fa strada e me la mostra – piccola, piccolissima. Poi c’è un salotto molto ampio che si apre come un ventaglio, dotato di una grande vetrata. Penso: finalmente la possibilità di un’occhiata spaziosa, vasta, panoramica. Peccato solo che anche il salotto esali un’essenza macabra e obitoriale. Il balcone sembra davvero l’unica salvezza. La vista? Notevole. Restiamo appoggiati alla ringhiera a chiacchierare un po’. Ho già deciso che sarà un no, ma c’è ancora la camera da letto. Mi chiedo: si può ruzzolare ulteriormente in basso? Si può. Il letto è sfatto, spanciato. Le lenzuola attorcigliate come liane, rovesciate di lato. Finestra chiusa da secoli, anche qui.

Dilato le narici: l’odore che ristagna, se anch’esso lo potessi esprimere con un colore, direi essere grigio tortora – la tortora non bisogna immaginarla viva, ovviamente mente arredato – cosa fondamentale – e poi dai, questo è solo l’ingresso. Quindi alzo gli occhi. Le pareti del corridoio sono giallo senape. Dilato le narici: l’odore che ristagna, se anch’esso lo potessi esprimere con un colore, direi essere grigio tortora – la tortora non bisogna immaginarla viva, ovviamente. Così mi guardo intorno sempre più scoraggiato, la sensazione è che quella casa abbia trattenuto secoli di ombra.

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Lo scendiletto è un tappetino nero, di plastica, da interno auto. Mi mostrano il bagno: piastrelle bordeaux, a rombi verde acido. Ringraziamo il professore e ce ne torniamo giù, condividendo un secondo viaggio in ascensore. È lui, l’agente, a parlare per primo. “Io… Be’, sa… non l’avevo mai visto, questo appartamento.” “M-m.”

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“Insomma, credo che ne dovrò parlare in agenzia perché… va bene tutto, ma… diciamolo: fa proprio schifo.” Io sorrido. “Più che altro mi aspettavo qualcosa di meno triste. Ma pazienza.” “La vista era bella, però.” “Bella, sì.” “Ma non è che uno vive in terrazzo, no?” “No, infatti”. “…” “…” “Ecco, signor Archetti, come vede, questo è il mio lavoro.” “Non è facile, vero?” “No. È proprio difficile.” “E scusi, non trova altro?” “Sono laureato in Filosofia.” “Immagino. Be’, arrivederci.” “Arrivederci.” “E buona giornata.” “Faccia un po’ lei.” Il secondo appuntamento è alle quattro del pomeriggio. Aspetto il mio uomo e passeggio sotto il portico di un condominio altissimo, costruito negli anni ’60, schietta architettura sovietico-lombarda. Passa una ragazza brutta che porta il cane a pisciare. Un vecchio entra al bar e si appende a una slot di donne nude. Un tizio in cappotto, seduto all’aperto a bere, sembra Enrico Maria Salerno in “Anonimo veneziano”. La giornata è grigia; tra poco farà buio su questi caseggiati bulgari, sulle massicciate di cemento senza speranza, sul brullo parco giochi in cui una badante biondastra sta

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facendo deambulare un’anziana in tuta color pesca. Ma una musica alta si preannuncia in lontananza. Un martellamento da discoteca. Ed ecco che il mio anti-Godot balza giù dall’auto: camicia di quelle col colletto di un colore e il resto di un altro, giacca grigia, ciuffo che spiove sugli occhi, calzoni grigi anch’essi, a metà caviglia, e mocassini neri a punta. “Ciao grande, come stai?” e mi porge la mano. “Sei Archetti, giusto? Bene, dopo di te ne ho altri sette.” Suona un campanello. Mentre saliamo mi sommerge di chiacchiere su quello che chiama il contesto, molto tranquillo, come posso vedere – lo vedo? Quindi mi presenta la proprietaria, sosia di Jessica Fletcher, che viene ad accoglierci sul pianerottolo, pigolando. “Signora Maddalena!” sbraita l’agente abbracciandola. La signora Maddalena lo bacia, gli da una pacchetta sul di dietro e mi chiede: “Lei si chiama?” Ma non mi ascolta; con un gesto un po’ amichevole e un po’ autoritario mi abbranca e fa: “Se permette, le spiego tutto io. Questa è la cucina.” Niente di realmente depressivo, a guardarlo così. Ma se si aguzzava la vista, risultava chiaro che i mobili erano scollegati stilisticamente – il classico tentativo di conciliazione tra avanzi eteroprovenienti. La vecchia prosegue: “Qui c’è la lavastoviglie… Vede? Poi il suo bel lavello… E questo è il frigor. Le piace?”

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“Non male.” “Guardi che popò di “Lo credo bene. Io e vista. Guardi. Dove la mio marito ci siamo trova una vista così?” detti: perché non renTutto è grigio topo: padere bella una casa, noramica su un parco anche se ci deve abigiochi da “Decalogo” tare una persona che di Kieslowski e il tornon conosciamo? In reggiante, minaccioso ogni caso, conosciapinnacolo di un incemoci un po’: come mai neritore. non è sposato?” “È rimasto senza pa“Ma… Non so… Perrole? Non se l’aspetché lo vuol sapere?” tava eh? Ah, e poi dia “Ho notato che non ha un’occhiata qui.” la fede. Poi sa, io le ofE passa a dettagliarmi, fro un appartamento di quel salotto di rapcon tutti i confòr ed è presentanza, mobile ovvio che lei debba riper mobile; a un certo Scendo le scale e spondere alle mie doimmagino la mia vita lì – punto impernia tutto mande.” ma non posso, non me la il trallallà su una tova“Be’, non sono sposaglietta di viscosa rosa sento. to perché… non sono salmone a losanghe sposato.” crema, che ricopre un Il giovane agente, alle spalle della vecchia, mobile color martora che aveva bisogno di fa silenziosi segni di non poterne più, daptutto tranne che di ulteriori insolenze esteprima mimando uno che trasporti con una tiche. carriola i propri testicoli, quindi inscenanPoi si interrompe e mi fa: “Scusi se torno do una sbrigativa autocrocifissione all’atsull’argomento, ma… Ha detto fidanzata, taccapanni. vero?” Io rilancio: “Se le può andar bene, signora, “Sì.” sono fidanzato.” “Fidanzat-a?” “Uff… Chi non è fidanzato, al giorno d’og“Sì. Fidanzat-a.” gi? Passiamo al salotto, che è meglio.” “Ah, ecco. Sennò non se ne parlava nemMa no, il salotto non era meglio. meno.” Tuttavia lo presenta così: La camera da letto è anch’essa arcaica e “Questa è la sala di rappresentanza.” buia, satura di afrori etruschi. Quindi tira dritto verso l’immensa portaPoi la visita finisce e la vecchia dice: “Mi ha finestra, conta fino a tre, solleva la tappafatto una buona impressione, glielo devo rella – il coup de théâtre della visita – e fa: dire.” 26

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Non penso la stessa cosa, né di lei né della casa. Scendo le scale e immagino la mia vita lì – ma non posso, non me la sento. Il giovane agente, trotterellandomi accanto, mi pressa: “Come ti è sembrata? Secondo me ti è piaciuta molto.” “Mah. Ci devo pensare.” “Non ti è piaciuta?” “Forse no.” “Be’, l’avevo capito subito che non ti era piaciuta. E non ci crederai, ma… ta-da-dà! Ho una cosa che fa al caso tuo. Molto più di questa catapecchia.” “In che senso?”

Via Lombroso, sì. Una perla. L’arredamento è recente. Che dici? Come la vedi? A me puoi dirlo. Allora?” “Non saprei. Sempre su questo prezzo?” “Poco di più. Ma poco. Però tieni conto di una cosa. Questo posto ti rappresenta alla grande.” “Cioè?” “Cioè, prendi punti. Tipo che una ci entra, ti salta addosso e… zam zam! Ci siamo capiti.” Mi affibbia una pacca sulla spalla più forte di quel che avrei desiderato e andandosene fa: “Chiamami domattina, mi raccomando.” Salta sulla Mini, fa un saluto dal finestrino, e in un energico pulsare hip hop vola via.

“Guarda, te ne parlo in via del tutto confidenziale.” Arriviamo da basso. Fuori imperversa il classico, scoraggiante buio novembrino. Lui mi tira in un angolo e bisbiglia: “C’è questo posto… una specie di loft… In via… dunque, vediamo… Lombroso.

Il terzo appuntamento è la mattina successiva. Con me c’è un’agentessa bionda e sbrigativa – secca, dritta, capelli corti, vestita di pelle rossa, tacchi alti, sessant’anni. Il palazzo è nello stesso quartiere in cui sono nato. Ci fermiamo davanti a una porta sottilissima di legno bianco; in cima, a sbavare di luce morta il pianerottolo, una lampadina a forma di pera. Poi guardo meglio: la porta stessa non è un pezzo unico, ma è composta da due grandi fasce di legno tenute insieme da una zeppa di compensato inchiodata di traverso e crivellata in basso da decine di puntine da disegno. La bionda, inspiegabilmente seccata mentre cerca le chiavi e le fa rullare nella serratura, dice: “Se le dà fastidio, possiamo far mettere tutto a posto, eh.” “Grazie, per fortuna l’ha detto lei. Una porta così non è il massimo.”

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“Intendevo la lampaditra, lavandino e water. na.” Entriamo. Mi figuro grotteschi L’appartamento è simitrasferimenti dall’una le a una grande cameall’altra parte, talvolta ra di motel sulla statale reggendomi un asciuin cui, nell’immaginagamano intorno a un rio caro a certo cinema fianco, talora a braghe horror, si consumano calate. delitti feroci ad opera I rubinetti perdono tutdi taciturni e rabbiosi ti, rintoccando il conto disadattati coi capelli a alla rovescia per il mio spazzola. suicidio. Neon nel corridoio, che Poi l’agentessa mi ribalbetta su una cucina chiama in soggiorno. angusta. Ritta vicino alla fineLa moquette, per dirla stra, solleva al massiL’appartamento è simile col Della Casa, putisce. mo la tapparella del a una grande camera di Il frigorifero è un vecdecadente corridoio e motel sulla statale in cui, con legnosa assenza chio frigo da roulotte nell’immaginario caro a d’ironia, aggiunge ciincastrato in una sede certo cinema horror, si liegine a una torta che che non è la sua, inchioconsumano delitti feroci vede solo lei. dato in un vano che lascia ampi vuoti laterali Si bilancia su un tacco ad opera di taciturni e in cui, a una superfie proclama: “Le faccio rabbiosi disadattati coi ciale indagine, risconnotare che in questo capelli a spazzola tro forme biologiche spazioso appartamenche non primeggiano to sono ben tre i pregi nella tassonomia universale; ma il gioiello piuttosto rari altrove. Innanzitutto, il balcoè la figurina appiccicata sullo sportello, un ne.” po’ opaca e un po’ grattata via, di GeróniPregio che però si presenta sotto le mentite mo Barbadillo, Avellino, stagione calcistica spoglie del difetto: una lingua di cemento 1983/84. stretta e spavimentata, che corre dalla striIl salotto ha poltrone che non solo sembrascia di Gaza del cucinino fino al salotto, dove no unte, ma lo sono davvero. finisce in un rovinoso cumulo di ciottoli. L’aria è quasi farinosa, talmente zeppa di Secondo pregio: “Vogliamo trascurare l’apolvere da sembrare velata di fumo. ria condizionata?” Il rapido tour prosegue al bagno, diviso No. Almeno quella, non trascuriamola. in due parti: in una, vasca e bidé; nell’alAnzi, trascuriamola meno dell’intonaco del

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soffitto e della sua lunga sindone di umido a forma di Gesù Cristo crocifisso. Terzo: “Non dimentichi il ripostiglio!” Certo, il ripostiglio. Col retrogusto di canile. E che contiene, misteriosamente, un vecchio bidé zampe all’aria. Mentre riabbassa le tapparelle, conclude: “Bene, andiamo sul pratico: quattro mesi anticipati, non i soliti tre – sa, la padrona ci tiene. E poi scusi, signor Barchetti, ma lei ha un lavoro?” “Sì, certo.” “E che lavoro fa?” “Scrivo.” “Dicevo lavoro.”

“Scrivo ed è il mio lavoro.” “Busta paga che lo dimostri, grazie. La padrona valuterà.” E se ne va così, disseminando il vano scale dei suoi tacchi rimbombanti. Resto al buio, sul pianerottolo. Fuori comincia a piovere. Tre minuti, e mi squilla il cellulare. È ancora l’agentessa. Mi fa: “Signor Marchetti, dimenticavo: niente in contrario se nella sua scheda metto in cerca di occupazione, vero?” “No. Niente in contrario.” “Bene. Se non ci sentissimo più, in bocca al lupo per tutto.”

Marco Archetti Marco Archetti è nato a Brescia nel 1976. Ha scritto cinque libri, caratterizzati da una felice mescolanza di generi. Tra questi, ricordiamo: Maggio splendeva (Feltrinelli 2006), romanzo fantastico ambientato nel ventennio fascista che parla di un ragazzino in possesso di poteri paranormali; Gli asini volano alto (Feltrinelli 2009), romanzo comico sul viaggio picaresco di due fratelli; Sabato, addio (Feltrinelli 2011), noir teso e cupo che narra una vendetta e una storia d’amore impossibile: i protagonisti sono Filippo, uomo senza donne, e Marlén, una ballerina bellissima. Ha collaborato al soggetto del film Tutta colpa di Giuda di Davide Ferrario. Suoi reportage sono apparsi su “Vanity fair”, “D-Repubblica”, “Vogue”. Scrive per il “Corriere della Sera” (pagine di Brescia) e ha una rubrica intitolata L’infiltrato speciale. (Altre informazioni sul sito www.marcoarchetti.it.)

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Il mondo dell’ebook

IL DIGITALE? “THE NEXT BIG THING” DELLA LETTURA L’emorragia di lettori che emerge dalle ricerche ufficiali sposta la riflessione dalla battaglia tra carta e eBook alla competizione tra la lettura e tutte le altre opzioni del mutato mercato culturale e di intrattenimento di Daniela De Pasquale

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S

numeri che non compensano l’emorragia iamo a metà 2012 e finalmente abdi lettori: per il CEPELL l’eBook rappresenbiamo a disposizione molti dati ta appena l’1,1% del mercato nel 2011 (567 sulla lettura: se da un lato è un mila gli acquisti contro i 22,7 milioni di cobene, perché i numeri sono spesso pie cartacee). Raddoppia la quota di lettomerce rara soprattutto nel digitale, dall’alri: 1.100.000, il 2,3% tro rimane doloroso della popolazione. farne un’analisi perché Ossia: nella metà dei sono sempre preceduti casi scarichiamo gradal segno meno. tuitamente gli eBook. A marzo Gian Arturo Per l’AIE (l’occaFerrari, presidente del sione è il Salone di Centro per il Libro e la Torino, dedicato Lettura (CEPELL), prequest’anno alla prisenta i risultati del rapmavera digitale) gli porto commissionato a e-lettori sono passaNielsen L’Italia dei libri ti dallo 0,1% di fine definendoli “catastrofi2010 allo 0,9% di fine ci”: il mercato librario 2011, percentuale denel 2011 ha perso il 10% stinata ad aumentare di acquirenti, con un nel 2012 alla luce del 20% in meno di spesa fattore Amazon, con complessiva in libri. i suoi due eReader a A maggio l’ISTAT conGian Arturo Ferrari, presidente CEPELL cavallo dei 100 euro, ferma che nel 2011 poco e il fattore Google. meno di 26 milioni di Gli italiani sono i Dati meno incoragItaliani di 6 anni e più maggiori utilizzatori di gianti sono stati però hanno letto almeno un diffusi dalla stessa libro nei 12 mesi preceSocial Network e Blog: AIE al termine del denti l’intervista, per domina Facebook, con contest “è-book fuomotivi non strettamente scolastici o professiona- 21 milioni di utenti, il 70% ri lo slogan” rivolto li: i lettori passano dal del totale dei navigatori, agli studenti universitari con l’obiettivo 46,8% al 45,3% della poche vi trascorrono un di intervistarli per polazione. quarto del loro tempo capire se sono pronti Questi lettori si sono online complessivo a studiare in digitaforse tuffati nel mercale. Solo il 19,9% usa to digitale? Verrebbe gli eBook (ma è davvero un dato negatida dire che è impossibile, perché gli eBook vo se rapportato alle percentuali citate?). sono di fatto dei libri e quindi i dati doDunque tirando le somme: meno di 1 itavrebbero ricomprendere anche la lettura liano su 2 legge libri, solo 2 ogni 100 hanno digitale. Dai paragrafi dedicati, emergono

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La battaglia non è tra carta e eBook, ma tra lettura e nonlettura: i libri non competono tra loro sul piano dei formati, ma con altri prodotti e servizi culturali nello smisurato e fluido contesto del media consumption letto un eBook, 2 studenti universitari su 5 imparano in digitale. Cosa possiamo dire di questi dati? Chi opera nel settore dei libri digitali è un ottimista per definizione, innanzitutto perché ha scommesso su un settore nuovo, per cui deve utilizzare tutte le sue energie per farlo risultare reale, tangibile e con delle potenzialità di successo, e poi perché si inserisce in un trend negativo, per cui deve necessariamente fare emergere aspetti di business convincenti per chi deve investire. Per trovare risposte tangibili e convincenti è necessario provare a porsi le giuste domande. La prima: dove vanno a finire i lettori che spariscono dalle statistiche e cosa fanno nel tempo che prima dedicavano alla lettura?

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L’ufficialità del pensare comune arriva dal Social Media Report di Nielsen: noi italiani siamo i maggiori utilizzatori di Social Network e Blog. A dominare la scena c’è Facebook, con 21 milioni di utenti, il 70% del totale dei navigatori, che vi trascorrono un quarto del loro tempo online complessivo. Trovano conferma le riflessioni di chi si occupa di editoria digitale: il mercato della cultura, dell’intrattenimento e della comunicazione è cambiato con la rete. Non ha senso concentrarsi sulla battaglia in difesa della carta o dei bit. I due estremi del continuum non sono i libri e gli eBook, ma la lettura e la non-lettura. I libri devono competere non tra loro, sul piano dei formati, ma con altri prodotti e servizi nello smisurato

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e fluido contesto del media consumption, per conquistarsi uno spazio nelle preferenze non dei lettori ma di tutti. Rispetto alla carta, gli eBook hanno un vantaggio, perché condividono con i Social Network la tecnologia, i supporti e gli stili di fruizione, soprattutto in mobilità. E ci dice l’ISTAT che la tecnologia è una grande alleata della lettura: la propensione a leggere e il grado di alfabetizzazione culturale si riflettono nelle forme di fruizione del web: più si legge più si usa la rete per acquisire informazioni o consultare un Wiki, indice di una possibile complementarietà tra media di informazione e conoscenza tradizionali e innovativi.

Diventa allora fondamentale trovare dei punti di contatto, per fare in modo che chi legge o leggeva sia agevolato nel farlo seguendo le sue nuove abitudini, e chi invece non legge possa scoprire un nuovo piacevole impiego del tempo online. Che, dal lato editore, vuol dire intercettare un nuovo target. Per farlo, sono necessarie nuove competenze: l’editore deve essere in grado di creare discorsi attorno ai libri e veicolarli sui Social Network, ma anche attraverso strategie pianificate su tutti i new media. Newton Compton è un esempio di editore che ha compreso l’importanza del dialogo 33

con i suoi lettori, e usa in modo interessante Facebook per trovare spazi per dare visibilità ai suoi libri. Einaudi fa lo stesso su Twitter. Cubolibri, tra gli eBook store, è tra i pochi a sperimentare la costruzione di un dialogo sugli eBook oltre gli eBook. Mentre la strada offline degli eventi, della formazione o dei meeting resta una valida occasione per fare cultura sull’editoria digitale, il negozio virtuale di Telecom Italia sta lavorando direttamente online, e lo fa dalle pagine che state leggendo. “PreTesti” ha un payoff eloquente e chiede agli scrittori ospiti di ogni numero di confrontarsi con l’evoluzione del proprio ruolo e di quello del lettore, creando occasioni di letteratura digitale in cui i contenuti siano al passo con il cambiamento dei contenitori (tablet, eReader e smartphone). E soprattutto siano liquidi e pensati per essere fruiti anche in maniera non lineare, come avviene in Cubolibri café. Si tratta del Social Reader di “PreTesti”: gli utenti di Facebook possono rimanere all’interno del Social Network per leggere, condividere e commentare i racconti e gli articoli del magazine. L’idea è coinvolgere il lettore nel processo di creazione di valore contemporaneamente alla lettura, svecchiando alcune precedenti esperienze di social reading che, per quanto creative e appassionanti, richiedono al lettore uno sforzo doppio: se c’è poco tempo per leggere, ce n’è ancora meno per i discorsi intorno alla lettura. Un’applicazione di lettura come Cubolibri café si inserisce nel percorso di cambiamento dello stesso Facebook, che è diventato un network di azioni: se prima ci si poteva limitare a dire che un contenuto o un’azienda ci piaceva, ora è possibile scoprire in tempo reale a cosa i nostri amici giocano, cosa

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PreTesti chiede agli autori contenuti al passo con il cambiamento dei contenitori e liquidi, pensati per essere fruiti anche in maniera non lineare, come avviene in Cubolibri café, il nuovo Social Reader

ascoltano e, nel nostro caso, cosa leggono. Azioni che colmano il vuoto tra un aggiornamento di status, la pubblicazione di una foto, il check-in in una pizzeria. Insomma, nei momenti morti del tempo di svago si può decidere di leggere un articolo condiviso da un amico, scoprirne altri e, perché no, avviare una conversazione sull’argomento letto. È un nuovo modo di mettere in relazione utenti e contenuti. Un servizio di consegna di contenuti a domicilio serviti su un piatto d’argento: si tratta solo di un esempio di come il lettore venga pensato come Maometto e l’editore come la montagna. Un’altra domanda da porsi in quest’ottica è: gli store, ma soprattutto gli editori, possiedono le competenze e la tecnologia per sperimentare su queste strade? E sono consapevoli che potrebbero/ dovrebbero investire in questa direzione? Certo, si tratta di contenuti gratuiti, capaci di catturare l’attenzione dell’utente per un periodo non troppo lungo. A questo punto nuove domande sono d’obbligo: chi è un lettore? Cosa deve leggere per essere considerato tale? E cosa intendiamo con testo digitale? Il report di Nielsen parla di blog oltre che di Social Network: se invece di leggere il libro ‒ inteso come testo chiuso ‒ di un autore-esperto-giornalista, si leggono appunti ed esperienze sul suo blog

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e sui suoi profili sociali, con la possibilità di interagire con lui intorno a questo nuovo testo arricchito e trasmesso in pillole su diverse piattaforme, ci si può considerare un lettore? Se si leggono contenuti digitali autopubblicati da uno scrittore, magari una raccolta di articoli, o un unico approfondito pezzo in stile long-form-journalism, si sta o non si sta leggendo un eBook? L’ISTAT vede nell’online un modo per avvicinarsi alla lettura e un nuovo canale di accesso ai prodotti culturali, in particolare nell’e-commerce: i non lettori e i lettori deboli costituiscono un terzo di chi mette nel carrello libri, giornali o riviste online. Forse si leggono meno libri ma si legge di più in generale. D’altra parte, come sostiene la scrittrice Ursula Le Guin, cos’altro puoi fare nel mondo digitale senza leggere? I confini sono davvero sfumati, la convergenza è in atto, l’ambiente di fruizione è già stato creato ed è ampiamente frequentato, la strada da percorrere è fatta di integrazione di funzionalità nuove ed eliminazione di barriere vecchie che riducono la circolazione dei contenuti. In questa prospettiva si può abbandonare la battaglia in difesa del libro tradizionale e concentrarsi sulle risposte da dare alle nuove richieste di chi legge. Il digitale non è il nemico della carta, ma “the next big thing” della lettura.

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Il mondo dell’ebook

GLI EBOOK FANNO BENE Non solo piacere della lettura, o cibo per la mente. I libri digitali potrebbero garantire istruzione a basso costo nei paesi in via di sviluppo. E in parte già lo fanno.

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’è un mondo fatto di sprechi, e uno fatto di stenti. Un mondo all’ultimo grido, e uno all’ultima spiaggia. Un mondo che costruiamo, e uno che dimentichiamo. I due mondi camminano su binari paralleli, ma sempre più distanti. Il terzomondismo si è affermato come dottrina dal successo mediatico e accademico inferiore soltanto alla mole di fallimenti collezionati sul campo, eppure continua a proporre paternalisticamente le proprie ricette di crescita ai paesi “in via di sviluppo”. Ultima in ordine cronologico, gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio: un mastodonte messo in piedi dalle Nazioni Unite con la collaborazione di economisti dal discusso curriculum e testimonial assoldati dallo star system per portare all’attenzione dei potenti della terra le otto principali fonti di povertà e iniquità che affliggono il terzo mondo, ormai retro-

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di Roberto Dessì cesso a quarto con l’emergere dei paesi del BRICS. Ma dopo un incalcolabile fiume di soldi spesi, ed a tre anni dalla loro conclusione, con il colpo di grazia assestato dal disimpegno dei paesi finanziatori – causa ricorrenti crisi finanziarie – gli Obiettivi rischiano di passare alla storia come l’ennesima zavorra nel fardello che l’uomo bianco ha tentato invano, per sessanta anni, di scrollarsi dalle spalle e dalla mente. Limitandoci all’ambito di cui siamo soliti occuparci, gli ultimi tre anni potrebbero aver portato sostanziali novità nell’ambito del secondo obiettivo, garantire a ogni bambino almeno l’istruzione primaria. Costi d’acquisto di libri e materiale didattico abbattuti grazie agli eBook, scolari che studiano e si collegano alla Rete attraverso eReader alimentati da impianti a energia solare ed eolica, superamento dell’apar-

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riore e inversamente proporzionale alle potheid digitale. Che siano i libri elettronici tenzialità che la lettura sprigiona. Il primo la luce in grado di squarciare la cappa di progetto pilota in Ghana, i primi successi, ignoranza e povertà che opprime i paesi in l’interesse del governo keniota e un terzo via di sviluppo? progetto in Uganda. Grazie ai libri digitali Se ne discute più o meno dal 2009, quando gli scolari possono leggere di più, leggere dinanzi al grande successo ottenuto negli meglio, maneggiando tecnologie fino ad alStati Uniti dal Kindle Amazon prima, e dai lora poco conosciute e migliorando il prosuoi concorrenti Kobo, Nook e Sony a stretprio rendimento scolastico. to giro di posta, anche tra i burocrati delL’idea di Risher è diventata matura grazie la solidarietà monta il ragionevole dubbio: a un pugno di volonperché non utilizzare tari; ma Worldreader gli eBook in Africa? non è sola, e ha trovaPerché non sperimento per strada importare la tecnologia che tanti partnership che sta rivoluzionando fanno convivere sotto l’editoria e l’apprendilo stesso tetto Amamento proprio sotto il zon, Random House, nostro naso? Hulu e Penguin. NeNon sorprenderà così gli occhi, un obiettivo scoprire che uno dei ambizioso: portare progetti pilota, conun milione di eBook dotto dalla ONG L’idea di Risher è nei villaggi africani. Worldreader, porta diventata matura grazie a Ambizioso sì, ma non forte in sé l’imprinting Amazon. Il suo idea- un pugno di volontari; ma così inarrivabile. tore è David Risher, Worldreader non è sola, Se un progetto condotto in minuscoli viluno degli artefici del e ha trovato per strada laggi rurali vi sembra grande balzo in avanti importanti partnership poco per avvalorare della società nei primi anni del 2000, quando che fanno convivere sotto tanto entusiasmo, ben più impressionante ancora gli eBook eralo stesso tetto Amazon, è il caso del Banglano più un concetto che Random House, Hulu e desh, più del doppio un prodotto. Eppure Penguin di abitanti dell’Italia è stato proprio lui a di cui circa la metà comprendere tra i priunder 16. Il ministero dell’istruzione benmi che un eReader non era poi così lontagalese ha deciso di offrire tutti i libri di teno parente di un telefono cellulare – unica sto per le scuole primarie in formato eBook, altra tecnologia diffusa anche nei piccoli gratuitamente scaricabili da un portale web. villaggi dell’Africa subsahariana – ma con La digitalizzazione dell’apprendimento naun consumo energetico infinitamente infe-

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sconde in questo caso un’esigenza pratica: considerate le difficoltà nel reperire libri di testo in Bengali, e lo scarso supporto dei “colossi” della traduzione online, al governo di Dhaka non è rimasta altra via se non la completa liberalizzazione dei contenuti. Il problema è semmai aggirare lo scoglio dei costi della diffusione tecnologica. In Bangladesh soltanto il 40% delle famiglie possiede un PC, ed è un tasso neppure malvagio confrontato con quello di altri paesi nei quali possedere un computer è pura utopia. Ecco perché, quando per la prima volta si è parlato del progetto One Laptop per Child – obiettivo dichiarato realizzare un PC portatile acquistabile con meno di 100 dollari

ancora ben oltre i 100 dollari, quasi quanto un netbook. Di recente OLPC ha ripiegato sulla moda del momento, proponendo un tablet a ricarica solare denominato XO3. Per ora poco più che un prototipo, ma capace di riscuotere tanta curiosità e simpatia alle fiere di settore. Il laptop low cost ha paradossalmente registrato le critiche più feroci proprio tra i destinatari del progetto, definito “l’ennesimo atto di arroganza del mondo occidentale”, “incapace di capire le reali esigenze dei paesi che pretende di aiutare”, e “un altro modo inventato dall’occidente per spillare soldi” ai paesi il cui debito con l’estero pesa ben più della loro stessa arretratezza, e ne è anzi concausa. Le innovazioni “autoctone” hanno così avuto la meglio dalla peni-

Il ministero dell’istruzione bengalese ha deciso di offrire tutti i libri di testo per le scuole primarie in formato eBook, gratuitamente scaricabili da un portale web studiato per la didattica nei paesi del terzo mondo – governi occidentali e media hanno gridato al miracolo. L’iniziativa, avviata da Nicholas Negroponte e sostenuta economicamente da colossi dell’IT del calibro di Google, eBay e AMD, non ha però sortito il successo sperato: a fronte di oltre due milioni di pezzi venduti direttamente ai governi degli stati commissionanti, il laptop costa

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sola indiana fino al sud est asiatico, uniche aree del globo realmente definibili in via di sviluppo. Aakash in lingua hindi significa “cielo”, e se la scommessa del governo di Nuova Dehli – che mira a produrre questo tablet per 35 dollari e regalarne uno a ogni studente – verrà vinta, sarà un cielo incredibilmente terso. Le difficoltà, come per ogni idea utopistica, non mancano: il progetto tablet low cost ha subito ritardi, rice-

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David Risher, fondatore della ONG Worldreader

vuto critiche su più fronti e convissuto con limiti squisitamente tecnici, derivanti dalla difficoltà nel produrre un dispositivo a un prezzo così basso senza andare in perdita o dissanguarsi elargendo sovvenzioni pubbliche. Ubislate, la versione commerciale del tablet, per ora costa quasi il doppio del preventivato, e quella destinata agli studenti pare non riuscirà a scendere sotto i 50 dollari. Una strada lunga ma non impercorribile, e neppure desolata: le Filippine nel 2010 hanno messo in cantiere la realizzazione di un analogo dispositivo destinato all’istruzione al prezzo calmierato di 75 dollari, la Thailandia ha di recente siglato un accordo commerciale con la Cina per l’importazione di centinaia di migliaia di tavo-

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lette, da distribuire tra le scuole primarie. Gocce nel mare. Inutili azzardi. Depauperamento di preziose risorse. Chissà. Ma nel mondo sprecone e autoreferenziale che viviamo quotidianamente, sono piccoli segnali che le cose possono cambiare dall’interno, o senza ricorrere sistematicamente a pompose collette del millennio.

Che siano i libri digitali la luce in grado di squarciare la cappa di ignoranza e povertà che opprime i paesi in via di sviluppo?

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Buona la prima Storie di libri ed edizioni

HENRIK IBSEN

“CASA DI BAMBOLA” (1879) di Fabio Fumagalli

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uando ci si appresta a entrare nel piccolo salotto borghese messo in scena dalla penna di Henrik Ibsen, bisogna farlo di soppiatto, sbirciando dall’uscio della serratura, non disturbando. Vedremo allora i personaggi che lo occupano, con i propri desideri e le proprie emozioni, muoversi sulla scena dando la sensazione che la loro dimora sia il mondo intero, incuranti di chi li potrebbe osservare o giudicare. I loro pensieri meschini, le loro voglie incestuose, il lezzo della menzogna che regna sovrano, vengono da Ibsen messi alla berlina dell’uomo qualunque, spettatore ingenuo del dramma umano che si sta vivendo. È proprio qui che sorge spontanea la domanda: perché fare ciò? Quale diritto (“divino”?) dà il permesso a un artista di entrare impunemente nel focolare domestico, il luogo più privato che esista? La vulgata propone una semplice risposta: Ibsen è il primo (certo non il solo) che, attraverso un’opera dominata da un forte spirito illuministico, vuole porre in primo piano la liberazione spirituale degli esseri umani. Come scrive Alberto Savinio: “Ibsen in un primo tempo pensò che era destinato a salvare il mondo, in un secondo tempo che era destinato a salvare la società, in un terzo che era destinato a salvare l’uomo, in un quarto pensò che era destinato a salvare la donna… Qui, per la prima volta, la missione salvatrice di quest’uomo trovò terreno fertile e attecchì”. Ibsen come proto-

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femminista, dunque. Ibsen salvatore della donna. In effetti, negli anni settanta-ottanta dell’Ottocento, la “questione femminile”, in Scandinavia, prese fuoco. Il critico letterario e filosofo danese Georg Brandes nel 1869 tradusse il saggio di Stuart Mill Sulla soggezione della donna, mentre Ibsen stesso entrò in contatto con alcune intellettuali femministe come Camilla Collett e Aasta Hansteen. Eppure, c’è qualcosa che non torna. Le dichiarazioni di Ibsen innanzitutto: “Tutto ciò che ho scritto si è collocato al di là di ogni cosciente letteratura di propaganda”. E ancora: “Non mi è chiaro che cosa sia propriamente questa causa [femminile]. Il mio fine è solo la descrizione degli esseri umani”. Non resta allora che porsi sul piano della semplice descrizione psicologica, emarginando ogni volontà di redenzione. In questo modo sembra interpretabile l’opera più famosa dell’autore norvegese, Casa di bambola, la cui prima edizione apparve a Copenaghen il 4 dicembre 1879. Già il titolo, infatti, nasconde alcune sorprese. L’originale norvegese, Et dukkehjem, “Una casa di bambola”, con l’articolo indeterminativo (et), sottolinea come tale dimora sia una fra le tante, scoprendo la volontà dell’autore di delineare un exemplum di una vasta fenomenologia della vita familiare di fine Ottocento. Il dramma, suddiviso in tre atti, è ispirato a una storia vera. La scena è dominata da un conflitto. Nora, la protagonista, ha contratto un debito dall’equivoco procuratore legale Krogstad, falsificando una firma, per salvare il marito, l’avvocato Helmer. Quest’ultimo, all’oscuro di tutto, dopo una serie convulsa di avvenimenti scopre la

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verità. E, come sempre nell’opera di Ibsen, quest’ultima ha un effetto devastante sulle relazioni familiari. Inizialmente, Helmer inveisce contro la moglie, ma poi, con la remissione della cambiale, la perdona. Nora però decide ugualmente di abbandonare il tetto coniugale. Il successo dell’opera fu clamoroso ancor prima di essere rappresentata (la prima rappresentazione avvenne al Det Kongelige Theater di Copenaghen il 21 dicembre 1879). Ne dà testimonianza lo stesso Ibsen in una lettera del 3 gennaio 1880 all’Intendente dei regi teatri di Svezia: “Questo mio nuovo dramma […] ha sollevato in Danimarca una fortissima reazione; le fazioni si fronteggiano bellicose; l’intera grande tiratura del libro, 8000 esemplari, è andata esaurita nel giro di due settimane e si sta già preparando una ristampa”. Poi, sibillino, aggiunge: “Oggetto della contesa non è comunque il valore estetico del dramma, ma il problema morale che pone. Che da molte parti sarebbe stato contestato, lo sapevo in anticipo; se il pubblico nordico fosse stato così evoluto da non sollevare dissensi sul problema, sarebbe stato superfluo scrivere l’opera”. È chiaro quindi che Ibsen scrive anche tenendo conto del pubblico, quell’umanità nordica che Franco Perrelli definisce “barbarica”, puntando su certi effetti bassamente contenutistici. Casa di bambola, infatti, rompe definitivamente con la pièce bien faite, cioè con l’opera, di origine francese, che consente alla classe borghese di rispecchiarsi a teatro solo a condizione di restare un prodotto gradevole e di facile consumo. In Ibsen il teatro diventa, invece,

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lo specchio critico della società. Cos’è, infatti, una “bambola”? Non è altro che un essere alienato, una maschera il cui ossigeno, per lei vitale, è la menzogna. Ma è, soprattutto, la ribellione di Nora a scandalizzare. È però, la sua, una vera rivolta? Oppure è essa stessa una maschera? L’ultima battuta del dramma sembra, a un’attenta lettura, lasciare queste domande senza risposta. Helmer, affranto dalla partenza di Nora, esprime un ultimo barlume di speranza (è la didascalia, sempre importantissima nel teatro ibseniano, a confermarcelo) quando si domanda cosa sia il “meraviglioso” di cui Nora costantemente attende l’avvento. Parola chiave di Casa di bambola (vidunderlig in norvegese; se ne contano 19 ricorrenze nel testo, ma ben 4 riunite nell’ultima pagina della pièce) il “meraviglioso” assume qui il significato di una vera unione tra la legge maschile e la legge femminile, pur nella

loro reciproca indipendenza. Eppure, non è questa speranza, questo “sogno”, un’ennesima maschera che Nora indossa dopo aver constatato che quella della “bambola”, protetta dal suo “eroe” Helmer, non le si addice più? Forse ha ragione lo psicoanalista Georg Groddeck quando, con grande acume, afferma che Nora è essenzialmente una creatura che vive in una dimensione fiabesca e mitopoietica. Certo è, però, che questa forza creativa Ibsen la concede esclusivamente all’essere femminile, mettendola in scena con una grande energia prima di ogni altro. È questo il segreto dell’ibsenismo: poesia dell’eterno conflitto cosmico tra il principio maschile e quello femminile, esaltazione dell’abisso che separa da sempre la donna dall’uomo. Ma, come afferma Savinio, anche gli abissi debbono essere colmati. Il modo per farlo però è ancora tutto da scoprire.

Mariangela Melato interpreta Nora

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Sulla punta della lingua

Come parliamo, come scriviamo

Rubrica a cura dell’Accademia della Crusca

PAROLE NUOVE NELLA LINGUA ITALIANA di Valeria Della Valle

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ella lingua italiana vengono estetico, più che grammaticale. L’obiezione coniate continuamente parole più frequente e immediata nei confronti del nuove. Penso che sia un bene. nuovo è che si tratti «di una brutta parola», Se il nostro lessico rimanesse o di una parola «che suona male». Ammetimmobile e sempre uguale a sé stesso, vortiamolo: tutto quello che è nuovo ci apparebbe dire che la nostra lingua non riesce re linguisticamente brutto e insopportabipiù a produrre parole per le nuove necesle, perché obbliga a confrontarci non tanto sità. Voglio ricordare che il rapporto tra con qualcosa che non abbiamo mai letto o la lingua italiana e le parole nuove è stato ascoltato prima, ma con un nuovo concetsempre difficile: la nostra lingua, per secoli to, con una nuova tendenza, con un nuofortemente condiziovo fenomeno sociale. nata dalla tradizione L’obiezione più frequente Ne sono testimonianza letteraria, e per lunle parole usate per ine immediata nei go tempo stretta fra il dicare cariche, mestieri confronti del nuovo modello fiorentino, la o professioni femminiè che si tratti «di una pressione proveniente li, che hanno l’unico brutta parola», o di una difetto di essere state dalle lingue straniere, i richiami all’ordine parola «che suona male» usate solo in tempi redelle varie ondate pulativamente recenti, da riste, ha fronteggiato con difficoltà la nasciquando la donna ha cominciato a svolgeta e la diffusione delle nuove parole e delle re ruoli prima riservati esclusivamente agli nuove espressioni. La censura nei confronti uomini: termini come avvocata, ministra, delle novità linguistiche non riguarda solo sindaca o chirurga e molti altri sono del tutto il passato: anche nell’età contemporanea il legittimi e accettabili dal punto di vista delcomune parlante oppone, di fronte ai neola formazione strutturale, ma continuano a logismi, resistenze e pregiudizi di stampo essere respinti, o usati con una connotazio-

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ne ironico-spregiativa, o messi tra virgoletsegretamente qualcosa alle spalle di qualte, anche se ormai progressivamente legitticuno. In questo e in moltissimi altri casi, a mati e accolti dai più importanti vocabolari fare da cassa di risonanza ai nuovi termini della lingua italiana. A proposito di vocae alle nuove espressioni che poi entrano in bolari, assistiamo da anni, con il lancio delcircolo sono proprio i mezzi di informaziole nuove edizioni, non a caso definite «milne: radio, televisione, cinema, pubblicità, e, lesimate», come se si trattasse di vini presoprattutto, giornali e periodici, che in più, giati, all’ostentazione pubblicitaria del nurispetto agli altri media, hanno il vantaggio mero di neologismi registrati: da una parte, di consacrare e conservare ufficialmente, dunque, ci si scandalizza per il numero di nella loro veste di fonte scritta, la nuova ennuove parole che si affacciano quotidianatrata. Se ne rese conto, nel lontano 1905, il mente nel nostro lessico, considerate stravagiornalista e scrittore Alfredo Panzini, che ganti, brutte, inutili, dall’altra i neologismi per primo ebbe l’idea di raccogliere parole vengono usati come richiamo pubblicitae locuzioni nuove registrate al loro primo rio. Anche nell’innoapparire, ricavandovazione linguistica, le anche dai giornaTermini come avvocata, del resto, si riflettono ministra, sindaca o chirurga li, dalle riviste, dal mode, tic, vizi e precinema, dalle canzoe molti altri sono del tutto gi della società che li ni, ecc. La tradizione legittimi e accettabili produce: basti peninaugurata da Panzidal punto di vista della sare alla fortuna non ni è stata continuata, solo giornalistica di nel tempo, da chi ha formazione strutturale un’espressione come pubblicato diziona«i furbetti del quartierino», coniata nel 2005 ri particolari, i dizionari di neologismi. Si non da uno scrittore, da un intellettuale, da tratta di repertori a parte, che svolgono una un giornalista, ma da Stefano Ricucci, lo funzione “di servizio” rispetto ai dizionaspregiudicato finanziere di Zagarolo, per ri generali: registrare, documentare, datare alludere ai piccoli lestofanti che si davano e munire di firma, quando è possibile, le tono e importanza, ma che cercavano di agnuove formazioni. Fonte privilegiata sono girare le difficoltà con trucchetti da poco, i quotidiani, che contribuiscono a svolgecon manovre di piccolo cabotaggio, tipire una funzione informativa e divulgativa, che di chi sbarca a malapena il lunario con diffondendo nel lessico d’uso comune sia i imbrogli da bar di periferia. Oppure all’etermini che provengono dai settori speciaspressione «compagni di merende», usata listici, sia le parole straniere che circolano da Mario Vanni nel 1994 durante il procesin ambito internazionale. In questo modo, so per gli omicidi di Firenze, poi entrata i giornalisti svolgono un ruolo fondamennell’uso comune per indicare ironicamente tale nel processo di arricchimento e innopersone legate da complicità che tramano vazione del lessico di una lingua: termini

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A fare da cassa di risonanza ai nuovi termini e alle nuove espressioni che poi entrano in circolo sono proprio i mezzi di informazione: radio, televisione, cinema, pubblicità, e, soprattutto, giornali e periodici come ateo devoto, buonista, ciecopacismo, glocale, inciucista, non-luogo, mediacrazia, sprecopoli, stipendificio o velinismo, per citarne solo alcuni, circolano ormai da tempo non solo nei discorsi e negli scritti di editorialisti e politici, ma, sempre più spesso, nella comunicazione quotidiana. Più recentemente, altre parole e altre espressioni sono entrate in circolo: da esodato a spread, da titoli tossici a nativi digitali, da facebookiano a twitteratore, fino all’irruzione mediatico-giudiziaria del tristemente noto bunga-bunga.

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A proposito di molti di questi termini, è difficile fare previsioni sulla loro durata e sulla loro capacità di reale attecchimento nella lingua italiana. Chi avrebbe scommesso, anni fa sulla vitalità di espressioni come tangentopoli, mani pulite, celodurismo, cetomedizzazione, finanza creativa? Neologismi che forse sembreranno ancora, a qualcuno, «brutti sporchi e cattivi», ma ormai indispensabili e insostituibili per rievocare momenti, umori e fasi della nostra vita e della nostra società.

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SENZA METTERE RADICI

Anima del mondo Paesaggi della letteratura

Gli orizzonti di Corto Maltese di Luca Bisin

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l profilo di un’isola, che si mostra via via in lontananza tra le frange e i guizzi di un oceano dai confini imprecisi, a rompere il cerchio d’un orizzonte che pareva inflessibile, è per l’uomo di mare una vista a un tempo consolante e malinconica. La promessa di terraferma riesce dolce dopo i lunghi giorni sospesi, ondeggianti, barcollanti, beccheggianti in balia di onde dalle geometrie imprevedibili, e tuttavia l’urgenza del viaggio già sale al modo di un pungolo insospettato, già incita quasi, non ancora approdati, a prendere nuovamente il largo. Quella vista, però, non è meno pungente quando sia racchiusa nella cornice ben squadrata di una vignetta, in un angolo poco appariscente di una tavola a fumetti: è così che Hugo Pratt, nel 1967, fa apparire la “Escondida”, “la misteriosissima isola del misteriosissimo ‘Monaco’”, covo di pirati e leggende, segreti ed enigmi, intorno a cui si dipana la storia di Una ballata del mare salato, prima avventura di Corto Maltese. Del resto, l’entrata in scena dello stesso Corto Maltese non

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è molto più appariscente: anch’egli si profila all’orizzonte di un mare che non è certo avido di imprevisti, catturato nella lente impietosa di un cannocchiale che ce lo restituisce legato a una zattera, abbandonato alla deriva in quella che sembra essere piuttosto la fine ingloriosa che non l’inizio scintillante di un’avventura. Come l’“Escondida”, in effetti, Corto ci si presenta già carico di misteri, già preso nel passaggio da un’avventura all’altra: forse, come egli stesso racconta all’amico/nemico Rasputin che lo salva dal mare, è stata una faccenda di pirati, ammutinamenti e amori non corrisposti a condurlo sulla soglia di una ballata del grande Oceano. Ma forse, invece, è stato soltanto il passaggio di un varco immaginario, di quelli che collegano segretamente gli spazi e i tempi: come quando, al termine di un’altra avventura, Favola di Venezia, Corto si reca in uno dei luoghi magici che la città lagunare riserva ai suoi più profondi conoscitori, e bussando a una delle porte che vi si affacciano chiede semplicemente di entrare “in un’altra sto-

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ria e in un altro luogo”. “Sono costretto… non Questo intreccio di realisono di quelli che metsmo e fantasia, tanto agtono le radici”. E anche grovigliato da lasciarci il severo avvertimento ogni volta incerti sui ridell’indovina, che mette spettivi confini, è certo un in guardia il vagabondo ingrediente importante dall’ostinarsi a cercare del fascino del Maltese, il qualcosa che forse non quale si muove con nonesiste o che forse egli ha curanza tra i casi di una già davanti agli occhi, se Storia fin troppo vera, solo non fosse così acper lo più rabbiosa e imcecato dalla smania del placabile, fatta di guerre, viaggio, non può che insurrezioni, avidità, efmuoverlo a una consiferatezza, e la seducenderazione disincantata e te lievità delle leggende ironica, di quelle che così e dei sogni, del gioco e spesso abitano le storie di dell’invenzione. È certo Corto: “Può darsi, Bocca la promessa di avventuDorata… Ma è affar mio ra a muovere ogni passo accorgermene”. di Corto Maltese, pirata Questo consapevole az“Allora, bel e avventuriero, romanzardo di indipendenza marinaio, parti?” tico e spregiudicato, la è forse ciò che riscatta il seduzione di un viaggio “Sono costretto… non personaggio di Pratt dalche è forse la segreta rila consuetudine, accattisono di quelli che cerca di qualcosa che non vante ma facile, dell’eroe, mettono le radici.” ci è dato sapere, forse la dandogli la dignità di fuga da un passato che una figura letteraria. Perci rimane ignoto, incastonato nella biografia ché, come notava lucidamente Oreste Del del Maltese che Pratt, nel susseguirsi degli Buono, l’avventuriero Corto Maltese “non si albi, ha ricostruito solo per cenni e allusioni, lascia ingannare da certe apparenze dell’Avsapientemente dosando rivelazioni e silenventura, è istruito sulla trama, sull’approdo zi, biografia e leggenda. Eppure quel vagastorico dell’Avventura stessa. È disincantato re non ha poi bisogno di una motivazione o e scettico sulla bontà della natura umana. E una meta, non risponde ad altro disegno che persino sulla sua complessità eroica”. E così, “la libertà, la scoperta, l’incontro e il vaganei viaggi di Corto la favola non è mai un bondare tra un arcipelago e un altro”. Così semplice pretesto di evasione, ma la lente quando nel corso di un’avventura brasiliadi rifrazione di una realtà che reclama ogni na, Un’aquila nella giungla, l’indovina Bocvolta il proprio scotto e di una umanità che ca Dorata chiede a Corto Maltese: “Allora, fa valere anche le proprie debolezze: scambel marinaio, parti?”, egli non può che dare pato alla morte nel corso di un’avventura voce a un’urgenza recondita e inafferrabile: africana (…e di altri Romei e di altre Giuliette), 46

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dopo una fuga ingloriosa che ha quasi i tratti della viltà, Corto Maltese può cedere allo sconcerto e allo smarrimento di una impietosa diagnosi su se stesso: “Non sono un eroe io… Sono come gli altri… e ho il diritto di sbagliare come tutti, tranquillamente, senza dover ogni volta fare l’esame di coscienza”. È vero allora, come ha scritto Gianni Brunoro, che la legge segreta delle peripezie di Corto è “non tanto la prospettiva salgariana dell’azione, quanto quella dell’inquietudine”. Ed è sul filo dell’inquietudine, assai più che dell’impresa favolosa o del gesto intre-

mare salato, Corte Sconta detta Arcana) si ritrova certo il suo innato gusto per il racconto, vi manca però il suo talento per lo scorcio allusivo, la sua tensione ad “arrivare a dire tutto con una linea”, come amava ripetere, la sua dedizione verso l’evocativa pregnanza di un sapiente tratto di china che sappia catturare lo sguardo a una forma che si annuncia all’orizzonte – forse il profilo di un’isola da scoprire o la sagoma incerta di un avventuriero con cui smarrirsi. Corto Maltese è egli stesso questa linea pronta a spiegarsi nell’irrompente disegno di un tutto. E forse è ancora un segno della natura beffarda e sfuggente di questo esploratore d’altri tempi, che sia proprio il suo sgraziato alter

“Sono un autore di ‘letteratura disegnata’”, rivendicava Hugo Pratt: “Il mio disegno cerca di essere una scrittura. Disegno la mia scrittura e scrivo i miei disegni”

pido, che Corto attraversa i paesi, incrocia gli eventi storici, insegue le leggende, lambisce i destini di personaggi immaginari o reali (Jack London, Herman Hesse, Ernest Hemingway…). “Sono un autore di ‘letteratura disegnata’”, rivendicava orgogliosamente Pratt in risposta agli ottusi detrattori del fumetto: “Il mio disegno cerca di essere una scrittura. Disegno la mia scrittura e scrivo i miei disegni”. Sicché nei romanzi che egli stesso vorrà ricavare da alcune storie di Corto (Una ballata del 47

ego, ben più avido, feroce, indifferente, a pronunciare infine la regola più intima della sua esistenza: quando, nell’ultima avventura di Corto (Mu, la città perduta), Rasputin si lascia infine convincere a seguirlo nell’ennesimo viaggio: “Ma sì, può essere bello, se c’è la speranza di trovare il solito tesoro... Ma anche se non si trovasse niente... è l’arcano, il mistero, l’ambiguità, la sfinge, l’allegoria, la sciarada quello che conta... è il simbolo, il gioco, l’avventura!”

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Alta cucina Leggere di gusto

FARE UNA RICETTA È MEN CHE NIENTE… Pellegrino Artusi in Odore di chiuso di Marco Malvaldi

di Francesco Baucia


I

romanzo giallo Odore di chiuso (Sellerio 2011). l crimine ha attraversato la vita di Nella prefazione alla terza edizione del suo Pellegrino Artusi in maniera brutale opus magnum, Artusi scriveva che le funzioni e drammatica, quando egli era ancoprincipali della vita umana sono la nutriziora un giovane uomo. In una sera del ne e la riproduzione, e in quanto tali meritagennaio 1851, la banda di briganti capitano di essere studiate in maniera scientifica. nata dal celeberrimo Passatore (il “Passator Molte miglia lontano, e nel campo della ficcortese” di Pascoli) prese in ostaggio la sua tion piuttosto che della trattatistica, quasi nefamiglia: la sorella Gertrude subì la violenza gli stessi anni si sosteneva che anche l’uscita dei delinquenti e in seguito non riuscì mai dalla vita merita di essere studiata in maniea riprendersi dal trauma dello stupro, tanto ra strettamente scientifica. Specie quando da precipitare irrimediabilmente nella follia. tale uscita è di natura violenta e non naturaErano lontani i tempi in cui l’Artusi, con role. Il delitto, al pari della cucina e del sesso, busto piglio positivistico, si sarebbe imbarè un’arte (avrebbe detcato nell’avventura di sito più tardi Raymond stematizzare le abitudini Artusi scriveva che Chandler) e come tale culinarie della sua giole funzioni principali merita i propri escluvane e ancora disgregata della vita umana sono sivi studiosi. Nascevapatria in un libro il cui tino così Auguste Dupin tolo è già un manifesto e la nutrizione e la una dichiarazione d’in- riproduzione, e in quanto dalla penna di Edgar Allan Poe e Sherlock tenti: La Scienza in cucina tali meritano di essere Holmes da quella di e l’Arte di mangiar bene studiate in maniera Arthur Conan Doyle, (1891). E nemmeno imprimi (e ineguagliati) di scientifica maginava che di nuovo, una lunga serie di imiverso i settant’anni, la tatori. Ed è proprio con un rosua esistenza sarebbe incappata manzo di Conan Doyle sotto in un delitto. Anzi, quasi in due: un braccio (e un cesto ripieno un avvelenamento e una tentata dei suoi due amati gatti Bianfucilazione a colpi di doppietta chino e Sibillone sotto l’altro) da caccia. Chi si avventuri, però, che Pellegrino Artusi si presennella ricca mole di opere biograta, nel primo capitolo di Odore fiche dedicate al primo “sciendi chiuso, presso il castello del ziato del gusto” dell’Italia unita, barone di Roccapendente, in difficilmente troverà traccia di Maremma. Cova nella mente questi episodi. E non se ne dol’idea di trascorrere qualche vrà stupire, dal momento che giorno di riposo in compagnia in realtà non sono mai accadudel suo ospite e magari di curiosare nelle ti. Nascono invece dalla brillante fantasia di cucine della dimora, per carpire qualche seMarco Malvaldi, che ha fatto di Pellegrino greto utile ai suoi “studi”. Ma i suoi piani Artusi uno dei protagonisti del suo recente

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picapo, dunque, per il dedovranno essere disattesi. Inlegato di polizia Artistico, nanzitutto perché, al risveglio ansioso però di risolverlo dopo la prima notte trascorsa per farsi bello con il suoal castello, viene trovato nelle cero, l’ufficiale dei carabicantine, ucciso da un bicchienieri Onorato Passalacqua. re di Porto avvelenato, il magMa il delegato Artistico pogiordomo Teodoro. E il giorno trà avvalersi di un aiutante dopo la fidanzata di quest’uld’eccezione per le sue intimo, la giunonica e avvenendagini: il sornione Artusi, te cameriera Agatina, tenta di che si rivelerà quanto mai sparare di nascosto al barone, curioso e perspicace. Tutintento in una passeggiata per tavia far luce sui misteri di le sue proprietà in compagnia Roccapendente non è davdel dagherrotipista Ciceri. Marco Malvaldi vero ciò che sta più a cuore Quali segreti si nascondono al gourmand romagnolo: egli è più impegnadietro tali eventi criminosi, straordinari per to dal tentativo di scoprire la ricetta del polla sonnacchiosa piccola nobiltà di Roccapettone “all’uso zingaro” che la cuoca Paripendente? Certo non è difficile immaginare sina ha preparato per il suo arrivo al castello. qualche losco retroscena. Perché il castello Entrambe le indagini, in ogni caso, avranno è un covo di vipere, come ha modo di conuna soluzione. E per non guastare la lettustatare Artusi sin dal suo arrivo. I rampolli ra di questo godibilissimo romanzo, riveleGaddo e Lapo sono due giovanotti vanesi e

“È meglio fare da soli più che si può, e non fidarsi se non dei propri occhi e dei propri sensi. Questo vale massimamente per la cucina.” stizzosi, persi l’uno dietro velleità letterarie, l’altro dietro le sottane; le cugine Cosima e Ugolina Bonaiuti Ferro hanno a cuore soltanto il loro piccolo e antipatico yorkshire Briciola; il barone Romualdo e la baronessa madre sono oltremodo alteri e sprezzanti, e la dama di compagnia della nobildonna è costretta a ricorrere segretamente all’assenzio per sopportarla. Solo la giovane Cecilia è benevola e intelligente, ma il credo maschilista della famiglia le impedisce perfino di coltivare il piacere della lettura. Un bel rom-

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remo qui l’esito soltanto di quella culinaria. Artusi dice di essere “uno che è stato buggerato tante di quelle volte che ha imparato che è meglio fare da soli più che si può, e non fidarsi se non dei propri occhi e dei propri sensi. Questo vale massimamente per la cucina”. Così, più che far tesoro delle indicazioni di Parisina enunciate in italiano approssimativo misto a vernacolo toscano, Artusi preferisce osservarla all’opera dietro ai fornelli. E solo dopo aver riprodotto il piatto in prima persona, nel raccoglimen-

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to della propria residenza fiorentina, potrà affermare di padroneggiarne la preparazione. Dai racconti di Parisina, di interessante impara solo che le ascendenze “gitane” del piatto sono dovute proprio al fatto che degli zingari lo insegnarono al padre della cuoca, col quale commerciavano in bestiame. Ma veniamo alla ricetta. Si tagliano a listarelle due peperoni gialli, precedentemente spellati e puliti. In una padella, si aggiungono alle fettine di sedano già fatte soffriggere e si lasciano colorire per qualche minuto. Nel frattempo, si ammolla del pane raffermo in due decilitri di latte bollente. Si sbriciola mezzo chilo di tonno sott’olio in una pentola, e a fuoco moderato si attende che si asciughi l’olio in eccesso. A questo punto, si uniscono al tonno i peperoni, il sedano, un etto di olive taggiasche snocciolate, il pane accu-

ratamente strizzato, una presa abbondante di prezzemolo fresco tritato, sale e pepe. Un volta raffreddato il composto, lo si mescola a due uova e a un decilitro di panna. Imburrata una teglia, e spolveratala di pan grattato, vi si versa l’amalgama ottenuta e la si cuoce in forno. “Il fare un libro è men che niente, se il libro fatto non rifà la gente” dice Artusi, citando Giuseppe Giusti, a proposito del proprio libro La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene. Lo stesso vale per le ricette: a nulla servono, se chi le legge non può “trarne piacere e nutrimento” riproducendole. E se ancora i libri a qualcosa valgono, Odore di chiuso sarà utile tra l’altro a questo: a insegnarvi a prestare attenzione a chi, al dessert, vi versa del Porto nel bicchiere.

POLPETTONE ALL’USO ZINGARO Ingredienti per 4 persone 500 gr di tonno sott’olio 2 peperoni 3 coste di sedano 300 gr di pane raffermo 100 grammi di olive taggiasche snocciolate 2 uova 2 dl di latte 1 dl di panna prezzemolo tritato pangrattato olio sale pepe

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DARE UN SENSO, DARE SENSAZIONI

Recensioni

Rizzoli Max e Fabbri Life

Tempo d’estate. Si promuovono nuovi libri, da leggere magari sotto l’ombrellone (almeno chi può). Se l’ombrellone invece rimane un miraggio, è comunque bene non privarsi della compagnia di un libro. E se questo accade per colpa della crisi, non sia che il prezzo scoraggi quanti vorranno distrarsi dalla calura con una storia che faccia sognare. RCS Libri lancia così due nuove collane per l’intrattenimento popolare, per sfidare appunto la crisi, per riportare il pubblico dei lettori ai libri, per promuovere talenti: si tratta di Rizzoli Max e Fabbri Life. Nelle prime due settimane di giugno sono usciti dieci titoli a 8 euro e 80 centesimi in edizione cartacea e in promozione in edizione digitale a 4 euro e 99 centesimi. Per Rizzoli Max sono usciti Invictus, L’altare delle ossa maledette, Gente letale, La parola del diavolo, Il giustiziere, L’uomo che odiava Sherlock Holmes. Per Fabbri Life sono usciti Cosa indossare con un cuore spezzato, Il libro dei profumi perduti, Voglio prenderti per mano, Il ristorante degli chef innamorati. Due nuovi marchi che ci fanno capire subito come anche RCS Libri voglia puntare sul filone del genere, percorrendolo in forma industriale come già altri editori hanno fatto nel recentissimo passato (si vedano Newton Compton e Fanucci con TimeCrime). Rizzoli

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Max si rivolge a un pubblico maschile (o machista?) e Fabbri Life si rivolge a un pubblico femminile (non femminista!). Un target ben identificato dove indirizzare la propria offerta editoriale che punta alla qualità delle storie, che sono tutte di livello, anche se generalmente prive di forza linguistica, alla bellezza del prodotto (le copertine sono chiare e prive di ambiguità) e al prezzo contenuto. Dieci romanzoni per cominciare bene l’estate con scrittori italiani e stranieri. Tra gli italiani Simone Sarasso ci consegna un Costantino inedito e soprattutto “Invictus”, mentre tra gli stranieri troviamo M.J. Rose e il suo Libro dei profumi perduti che ci fa scoprire un senso raramente esplorato dalla letteratura come l’olfatto. E forse il vero senso di questa operazione editoriale è racchiuso proprio nello sforzo di stimolare nuove sensazioni nei lettori. “Dare un senso” al prezzo e al genere, “dare un senso” alla letteratura che distrae, ma che nel momento in cui ci fa sognare produce in noi nuove sensazioni, nuovi mondi. E se queste nuove collane riusciranno davvero a far provare a ciascun lettore una sensazione differente, avranno forse raggiunto lo scopo: quello, cioè, di non presentare libri rivolti a un solo genere, ma capaci di parlare al cuore di tutti. Buona fortuna Rizzoli Life, buona fortuna Fabbri Max (... e non è un refuso!).

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LETTERALTURA 2012

Appuntamenti

e gli altri eventi del mese

LETTERALTURA 2012 Ai molti meriti che vengono ascritti a Francesco Petrarca è da aggiungere, fuori dall’ambito letterario, quello di essere il primo alpinista della storia, e il giorno della sua ascensione al Mont Ventoux (26 aprile 1336) è considerato la data di nascita dell’alpinismo. Non è dunque così peregrina la liaison tra letteratura e ambienti di montagna sancita dal festival LetterAltura, giunto oggi alla sesta edizione. La manifestazione, che si tiene come di consueto nel suggestivo territorio del Verbano Cusio Ossola, ha come filo conduttore proprio la passione per la montagna, per il viaggio e l’avventura. Oltre sessanta ospiti dall’Italia e dal mondo saranno protagonisti di reading, spettacoli e laboratori. Tra i molti eventi proposti, segnaliamo lo spettacolo Uomini e cani (basato sui libri di Jack London) di e con Marco Paolini, il 30 giungo a Verbania; l’incontro con Luis Sepulveda (in dialogo con Lella Costa) dal titolo Patagonia. La grande storia del Sud del mondo, il primo luglio, sempre a Verbania; la rievocazione di Giuliana Sgrena (originaria della Val d’Ossola) delle esperienze partigiane dei suoi genitori, il 7 luglio a Crodo; il ricordo di Walter Bonatti con Roberto Mantovani, Marco Berchi e Luigi Zanzi, a Macugnaga il 21 luglio. Per il programma completo del festival, si può consultare il sito www.letteraltura.it. Verbania: dal 28 giugno al 1 luglio; Valle Antigorio: 7 e 8 luglio; Lago d’Orta: 14 e 15 luglio; Macugnaga: 20, 21 e 22 luglio PAROLE SPALANCATE 2012. 18° FESTIVAL DI POESIA DI GENOVA Il 16 giugno è una giornata particolare per gli appassionati di letteratura: è il giorno che James Joyce ha eternato nel suo romanzo Ulisse (e per gli appassionati di gossip “colto” anche

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quello in cui lo scrittore incontrò sua moglie). La città di Genova, nel contesto del Festival di Poesia, rende omaggio allo scrittore irlandese e al suo (anti)eroe Leopold Bloom ospitando l’edizione italiana del Bloomsday in 23 luoghi del centro storico cittadino. Inoltre, nei giorni di chiusura del Festival si renderà omaggio alla poesia ecuadoriana contemporanea (con una lettura di Ramiro Oviedo, sempre il 16), alla figura di Giorgio Caproni e al poeta americano David Young (domenica 17). Fino al 17 giugno K.LIT. IL FESTIVAL DEI BLOG LETTERARI È noto che i blog sono spesso il territorio di caccia favorito degli editor alla ricerca di nuovi fenomeni editoriali. Il romanzo d’esordio di Michela Murgia ad esempio, è nato come un blog, poi è diventato un romanzo e infine un film per la regia di Paolo Virzì. I blog dunque sono le incubatrici in cui si irrobustiscono le storie più accattivanti. Il festival di Thiene (Vicenza), unico nel suo genere in tutta Europa, si propone di esplorare questa selva oscura telematica spesso difficile da attraversare senza suggerimenti e chiavi di lettura. Scenari del presente e del futuro affrontati però, come tengono a precisare gli organizzatori, con lo spirito degli antichi caffè letterari; non solo tavole rotonde e dibattiti, dunque, saranno al centro della manifestazione, ma anche concerti, mostre e workshop multimediali. Tra gli eventi ricordiamo, proprio in merito al legame tra editoria mainstream e blog letterari, l’incontro con Jacopo De Michelis (responsabile della narrativa per Marsilio) e con il critico Marco Dotti, sabato 7 luglio. Per scaricare il programma, si veda il sito www.klit.it. 7 e 8 luglio

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Tweets

@manah Leggere ebook p rec sfoggiar e la cope lude dallo rtina del davanti i libro compagn i di viagg in treno. io

@sellerioeditore i ebook meno ecologici de libri? È proprio vero che a l’editoria elettronica è un cosa piuttosto complessa.

@fourthalf Ho scopert o un meto do che risp to agli ebo etok fa rispa rm il 100% de i soldi spesi iare circa in libri: si chiama bib lioteca pu bblica. @mrjones1981 Mai letto Thomas Pync hon? Presto potrete farlo in ebook e la notizia non era af fatto scontata..

@Pianeta_eBook

Anno 2016: Auto volanti? Torna la Lira? Juve in B? Difficile. Più probabile che 1 americano su 2 legga #eBook.

@SilviaSu rano #eBook: pace fatt a tra #Go e gli edit ogle ori franc e si. Si chiu il conten de zioso ape rto nel 2 006.

Bookbugs

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PreTesti • Occasioni di letteratura digitale Giugno 2012 • Numero 6 • Anno II Registrazione Tribunale di Cagliari N. 14 del 09-05-2012 Telecom Italia S.p.A. Direttore responsabile: Daniela De Pasquale Direttore editoriale: Roberto Murgia Coordinamento editoriale: Francesco Baucia Direzione creativa e progetto grafico: Fabio Zanino Alberto Nicoletta Redazione: Sergio Bassani Luca Bisin Fabio Fumagalli Patrizia Martino Francesco Picconi Progetto grafico ed editoriale: Hoplo s.r.l. • www.hoplo.com In copertina: Emanuele Trevi • foto di Leonardo Cendamo L’Editore dichiara la propria disponibilità ad adempiere agli obblighi di legge verso gli eventuali aventi diritto delle immagini pubblicate per le quali non è stato possibile reperire il credito. Per informazioni info@pretesti.net

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