PreTesti • Occasioni di letteratura digitale • Settembre 2012 • Numero 9 • Anno II

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pretesti Occasioni di letteratura digitale

Mezzo pollo di Andrea Vitali

La scienza presa nella rete di Telmo Pievani

Un calendario grande come il mondo di Eduardo Galeano

Una proposta: che si elimini la gola dai peccati capitali di Simonetta Agnello Hornby

Settembre 2012 • Numero 9

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Speciale FESTIVALETTERATURA DI MANTOVA

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Editoriale “PreTesti” compie un anno e abbiamo fatto “tredici”: numero fortunato per gli oltre ventimila download e le tante adesioni di scrittori italiani e stranieri al nostro progetto editoriale. A distanza di un anno ritorniamo a Mantova per il Festivaletteratura 2012 insieme ad Andrea Vitali (sua è la storia di copertina), a Simonetta Agnello Hornby, a Roberto Diodato, a Eduardo Galeano, a Enrico Paradisi e a Telmo Pievani. Saremo lieti di incontrarvi tutti nello Spazio Telecom Italia in piazza Sordello, vero cuore del Festival, dove poter conoscere tanti dei suoi famosi protagonisti. Continuate a seguirci, seguite il Festivaletteratura di Mantova, seguite la letteratura. Se anche qualche racconto o libro dovesse mai tradire le vostre emozioni, cambiare non vi darà alcun senso di colpa. Questo è il vantaggio della finzione: ritornare ogni volta nel Paradiso terrestre. Buoni PreTesti a tutti. Roberto Murgia

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Indice

Testi

Il mondo dell’ebook

Rubriche

05-11 Racconto Mezzo pollo di Andrea Vitali

26-29 Scuola digitale di Daniela De Pasquale e Roberto Dessì

12-17 Saggio La scienza presa nella rete di Telmo Pievani

30-34 Idee in connessione: comunità virtuale, ipertesto e critica nella rete di Roberto Diodato

35-37 Buona la prima Joe R. Lansdale “La sottile linea scura” (2002) di Francesco Baucia

18-20 Anticipazione Un calendario grande come il mondo di Eduardo Galeano 21-25 Gusto Una proposta: che si elimini la gola dai peccati capitali di Simonetta Agnello Hornby

38-40 Sulla punta della lingua Il linguaggio sportivo di Enrico Paradisi 41-42 Anima del mondo Sintra: l’ultimo rifugio di Fabio Fumagalli 43-46 Alta cucina La colazione di Santiago Nasar di Luca Bisin 47 Recensioni 48 Appuntamenti 49 Tweets / Bookbugs

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Racconto

MEZZO POLLO di Andrea Vitali

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I

l Birmani non c’è più. È morto dieci…, Lui, no. Onesto fino in fondo, quando ci inno, più di dieci anni fa. Non c’era ancontravamo di nuovo, mi informava. cora l’euro. Con lui se n’è andata una “Ho indovinato”, oppure: delle persone più intelligenti che abbia “Ho sbagliato”. mai conosciuto. Intelligenza speculativa, si Non deve meravigliare l’intervallo di sette dice. Non per niente era un gran lettore di giorni tra un incontro e l’altro: sette, cascasgialli. Se non stava lavorando, passava il se il mondo. E sempre il giovedì, per più di tempo con un libro in mano. A metà aveva vent’anni, giorno di mercato, quando passagià capito chi era l’assassino o il ladro. Dimovo a incassare il plateatico, perché facevo il strazione che la scuola serve fino a un certo vigile urbano, e lui l’ambulante. Per la precipunto, diplomi e lauree sono belle cose ma sione, pollivendolo. se uno ha le qualità, può farne a meno. Come Quando è morto, il Birmani, che di nome fail Birmani, che aveva cominciato a lavorare ceva Asmodeo, non aveva ancora sessant’angiovanissimo e la scuola l’aveva frequentani. Non gli piaceva mica tanto quel nome. ta fino al momento di prendere il libretto di Ma è stato grazie a quello che abbiamo colavoro. Nonostante ciò, sono pronto a scomminciato a entrare in confidenza. Che storia! mettere che avrebbe fatto bene in qualunque Era uno dei miei primi servizi al mercato. campo se solo ne avesse avuta la possibilità. La prima cosa che notai di lui, fu la scritta che Detta così, sembra che stia parlando dell’escampeggiava sul retro del suo camioncino. sere perfettissimo eccetera. Invece era un “I polli del Birmani costan poco e sono sani.” uomo anche lui. Nel senso Ero fresco di assunzione che anche lui era soggetto allora, fresco di regolaLa prima cosa che a commettere qualche ermenti. Avevo il dubbio notai di lui, fu la scritta rore. Pochi. Come si dice, che per scritte di quel geche campeggiava l’eccezione che conferma nere fosse necessario pasul retro del suo la regola. Li ammetteva, gare una tassa. Come se camioncino. non andava a cercare scumi avesse letto nel pen“I polli del Birmani se, giustificazioni, non si siero, quando mi presenarrampicava sui vetri. tai il Birmani mi chiarì le costan poco e sono Per esempio, se gli capiidee: disse innanzitutto sani.” tava di sbagliare a indiviche aveva piacere di coduare l’assassino o il ladro in uno di quei linoscermi e poi, come se niente fosse, che per bri gialli che leggeva senza soluzione di conla scritta, prima di dipingerla si era informatinuità, me lo confessava senza bisogno che to. Nessuna tassa era dovuta. io glielo chiedessi. Potevo dimenticare che, “Lo so”, risposi. la settimana precedente, con in mano il libro Poi gli chiesi se era lui l’autore della rima. in corso di lettura, mi aveva detto: Ridendo rispose sì. Quindi tirai fuori il “Ho già capito chi è”. blocchetto delle ricevute.

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“Stia attento a non mettersi a ridere lei, adesso”, disse il Birmani. “Ma davvero?”, chiesi quando mi dettò il nome. “Sic voluit!”, rispose lui. Che cultura aveva! Tanto per dimostrare che anch’io non ero proprio ignorante, gli dissi che se voleva la legge offriva la possibilità di cambiarsi il nome. Mi rispose che ormai glielo avevano dato e se lo teneva. Piuttosto, memore della lezione, suo figlio l’aveva battezzato con un nome normale, Emilio o Ersilio, non me ne ricordo bene. Prima di salutarci mi allungò un pacchetto: c’era dentro uno dei suoi polli, già bello e cotto. Da allora in casa mia

invece, fatti i diciotto anni, gli disse che non aveva alcuna intenzione di andar per pollai. Voleva fare il musicista invece e visto che se la cavava abbastanza bene con il sax in mano, trovò subito da aggregarsi a un complesso che batteva balere e locali delle periferie affamate di ballo liscio. La delusione del Birmani fu notevole. Per qualche settimana infatti mi capitò di vederlo senza uno di quei gialli sotto gli occhi nei momenti di pausa e, secondo me, fu tale che si trasferì anche alla famosa scritta che, da quel momento in avanti, cominciò a sbiadire un po’. A dire il vero, tentò anche un’ultima carta per convincere il figlio a rinunciare alla sua vagabonda carriera, proponendogli di finanziare

Ma il giovanotto era stato irremovibile. Aveva ribadito che la sua vita era quella del musicista e aveva cominciato ad andare di qua e di là, vestito come un girasole, sax contralto nell’orchestra “Fiori di campo”. per pranzo, il giovedì, pollo arrosto: per la gioia di mia moglie che ai fornelli ci stava mica tanto volentieri. Buoni, come prometteva la scritta sul furgone, anche dopo. Quando, cioè, il Birmani fu costretto in virtù delle circostanze a passare dall’allevamento domestico a quello industriale. Il fatto è che con il passare degli anni la sua clientela si era allargata, faceva sei mercati alla settimana, e per sostenere il carico di lavoro aveva fatto conto di avviare il figlio Emilio, o Ersilio, a quel mestiere, impiegandolo nella gestione dell’allevamento. Quello

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una macelleria-rosticceria dentro la quale lui sarebbe stato padrone, gestendola come meglio gli fosse piaciuto. Pure la moglie, mi raccontò il Birmani, si era alleata con lui per cercare di convincere il figlio ad abbracciare la sua proposta, offrendosi addirittura di seguirlo ovunque decidesse di andare per aiutarlo come una semplice dipendente: perché non era pensabile aprire un negozio del genere nel posto dove risiedevano, anche quello un pollaio di non più di millecinquecento anime. Ma il giovanotto era stato irremovibile. Aveva ribadito che la sua vita era quella

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del musicista e aveva cominciato ad andare di qua e di là, vestito come un girasole, sax contralto nell’orchestra “Fiori di campo”. Un dispiacere enorme, per lui e anche per la moglie. Più per lei, devo dire. Perché l’idea di una macelleria-rosticceria l’aveva solleticata per bene, aveva cominciato a farci su fantasie. E un bel giorno aveva chiesto al marito perché non l’avviavano loro due un’attività del genere. Il capitale l’avevano, l’esperienza pure, con la gente lui ci sapeva fare e prima o poi la vitaccia dell’ambulante gli avrebbe presentato il conto: adesso che erano ancora relativamente giovani era il momento per tentare la sorte. Il Birmani aveva fatto finta di prendere in considerazione l’idea della moglie, ma alle sue domande dirette aveva sempre dato risposte vaghe. Perché quella vita gli piaceva, non avrebbe saputo rinunciare, nemmeno alle levatacce, alle fatiche eccetera. “Potrei stancarmi io!”, aveva minacciato a un certo punto la donna, “O ammalarmi e non essere più in grado di fare la mia parte!” Che non era poca cosa, eh! La moglie del Birmani infatti badava a quello che definire pollaio sarebbe riduttivo. Provvedeva all’acquisto dei pulcinotti, dava loro da mangiare, teneva pulito, raccoglieva le uova, quand’era ora tirava il collo ai polli, li puliva e strinava, pronti per essere infilati nello spiedo e venduti. Era stato in quel frangente che, per tutta risposta, il Birmani aveva deciso di eliminare il pollaio domestico, tenendo giusto quelle quattro galline per le uova e il brodo del risotto, e affidarsi a un allevamento industriale. Posso garantire che, nonostante il cam-

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bio, i suoi polli non cambiarono mai il sapore. Nemmeno il prezzo, soprattutto per me. Diversamente da tanti altri che facevano il suo stesso mestiere, il Birmani andava personalmente a scegliere le sue vittime, una per una. Diceva che anche i polli hanno un’anima che si riflette negli occhi e gli bastava guardare qualcuno, pollo o uomo che fosse, per intuirne il carattere, le propensioni. Vero o no che fosse, è fuori discussione che al Birmani era stata conferita spontaneamente un’autorità nel mondo degli ambulanti. A lui ricorrevano soprattutto i nuovi, per chiedere consiglio circa le migliori piazze da battere con la merce che vendevano. Non sbagliava mai: giudicava non solo il tipo di clientela ma anche il tipo del venditore. “Ci vuole sintonia tra uno e l’altro”, affermava, “se no il mestiere zoppica.” Anche noi vigili, perlomeno io, ci fidavamo del suo parere. Affermo senza vergogna che prima di trasmettere all’ufficio competente una nuova domanda per un posto al mercato, chiedevo la sua opinione. Se mi dava l’imprimatur, si dice così, no?, stavo tranquillo. Dicevo della scritta sul furgone: a un certo punto notai che era sbiadita quasi del tutto, fin quasi a scomparire. Anche il Birmani, a dire il vero, era diventato pallido, sembrava affaticato, non leggeva più con la lena di un tempo. E un bel giovedì mi trovai davanti alla sua piazza vuota e tra le mani un bel certificato medico: il Birmani era ammalato. Chi l’avrebbe mai detto? Niente pollo, quindi. Che, detto così, sembrerebbe un pensiero volgare, prosaico, gretto. Non se si tiene conto che a causa di

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quello, cominciarono i litigi con mia moglie. Cominciando così a favorire il nascere di Lei si aspettava il solito pollo, io le rispovoci circa le mie difficoltà domestiche. si che non era una regola scritta che tutti i In un paese certe voci corrono, sono meglio giovedì dovessi pensare io al pranzo, lei mi di un aperitivo per fare la punta a un cerdisse che dovevo perlomeno avvisarla, io fui to tipo di appetito. Meglio ancora se colpiironico e le chiesi a che menu di alta scuoscono qualcuno che, per una ragione o per la avrebbe pensato in alternativa, lei gridò l’altra, è più in vista del resto della gente. che se la sua cucina non mi andava bene poUn vigile urbano non può sfuggire a una certevo sempre andare al ristorante, io chiarii ta dose di popolarità, paga il fio dell’indossache la sua non era cucina ma un susseguirsi re una divisa e si espone al ridicolo quando di scatolette e cibi già pronti e via di questo pretende di far rispettare leggi e regolamenpasso, fino a che, a furia ti mentre in casa sua di litigare e scambiarci Può un matrimonio andare vige l’anarchia. Fui insulti, scoccò l’ora di ria gambe all’aria partendo costretto a inventare prendere il servizio, cosa le balle più estrose da una cosa come il che feci a stomaco vuoto. pur di salvaguardamangiare? Direi di sì, Quella stessa sera volevo re la mia dignità e a giudicare dalla dare una bella lezione a compresi, tardi, di mia esperienza. mia moglie, mi presentai aver fatto un irrimein casa dicendo che avediabile passo falso vo già cenato, cosa non vera. Mia moglie mi quando giustificai la mia quotidiana presenrispose: za in trattoria al proprietario stesso inven“Buon per te, perché io non ho preparato tandomi di sana pianta una malattia della niente”. pelle contratta da mia moglie per la quale lo Può un matrimonio andare a gambe all’aria specialista aveva ordinato una dieta speciale partendo da una cosa come il mangiare? e tutt’altro che attraente: per non indurla in Direi di sì, a giudicare dalla mia esperienza. tentazione mi ero deciso a pranzare in tratPerché, dopo due giorni di scatolette aperte toria, sino a guarigione avvenuta. di nascosto e musi lunghi, decisi di riempir“Guardi che io non le ho chiesto niente”, fu mi per bene lo stomaco pranzando in tratla tranciante risposta dell’oste, cui seguì un toria. Quel giorno mia moglie aveva fatto, o sorrisetto più esaustivo di cento discorsi e, più probabilmente comperato, lasagne. Me infine, la proposta di stipulare un contratto le trovai sotto il naso la sera, riscaldate. Le che mi avrebbe permesso di risparmiare. avevo già mangiate a mezzogiorno, in tratNon volevo credere che la gente mormorastoria. Alla notizia, mia moglie afferrò la tese alle mie spalle, nemmeno volevo credeglia e la svuotò nella spazzatura. Poi disse: re che le cose tra me e mia moglie fossero “Allora vacci anche domani”. messe così male, anche se parlavamo poco e Cosa che feci. quel poco era per litigare, sottovoce, poiché

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già un paio di volte i vicini avevano bussato al muro per chiedere che abbassassimo il volume. Erano passate quattro settimane ormai dal primo scontro, quattro giovedì senza il Birmani del quale, nonostante avessi chiesto a questo e a quello, non riuscii ad avere informazioni. Per una sorta di affezione e di buon augurio anche, riuscii a tenere vuota la sua piazza, nonostante numerose richieste perché quel posto e quella clientela facevano gola a molti. Non avevo dubbi che il pollivendolo sarebbe ritornato al suo posto e, anzi, in certe fantasie notturne, mentre stavo per cadere nel sonno (dormivo ormai sul divano, mia moglie nella nostra camera con la porta chiusa a chiave), fantasticavo che tutto sarebbe ritornato come prima con il ritorno del Birmani e il pollo arrosto del giovedì. Fu quindi una vera gioia del cuore quando, dopo ben due mesi di assenza, Asmodeo Birmani riprese la postazione che gli spettava di diritto, accolto dai colleghi ambulanti da un applauso che irruppe nel silenzio delle ore mattutine. Un po’ smunto, anche

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dimagrito, mi raccontò di aver pagato in un sol colpo il fio di tutte le fatiche accumulate sino ad allora con una polmonite micidiale che l’aveva tenuto in ospedale un mese intero e poi un altro mese in casa, convalescente. Sorridendo, disse che la guarigione definitiva era stata più rapida del previsto grazie alla moglie, la quale non aveva fatto altro che cercare quotidianamente di convincerlo a mollare definitivamente la sua vita girovaga e aprire invece una rosticceria-macelleria. “O guarire del tutto o cedere alla sua insistenza”, disse. Aveva scelto la prima strada, quella della sua vita. Mi complimentai e attesi che arrivasse il momento del solito omaggio cui avevo ormai assegnato un significato quasi sacrale. Il Birmani poteva essersi scordato dell’abitudine. Ero pronto a fargliela ritornare alla memoria, addirittura ero disposto a pagarglielo di tasca mia, il pollo della rinascita. Invece non dovetti spingermi a tanto. “Le tradizioni vanno rispettate”, sentenziò il Birmani.

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“Le tradizioni vanno rispettate”, sentenziò il Birmani. E preso un pollo lo tranciò a metà con un colpo secco che mi rimbomba ancora adesso nelle orecchie.

E preso un pollo lo tranciò a metà con un colpo secco che mi rimbomba ancora adesso nelle orecchie. Me lo tese socchiudendo gli occhi, un gesto solidale. Io so, voleva dire, cose che capitano. Quel giovedì, col mezzo pollo in mano, trovai la casa vuota, mia moglie era sparita. Da allora, di mezzi polli al giovedì ne ho consumati a decine e in solitudine, fino alla morte del Birmani, circa dieci anni fa, come dicevo.

Dopo di lui è arrivato un altro pollivendolo, più giovane, moderno, con un camion tutto meccanizzato, i guanti per servire e una bustina in testa. “Sic transit”, avrebbe detto il Birmani che era uomo di cultura. Cedetti il posto a un collega giovane anche lui, appena assunto. Trascorsi gli anni sino alla pensione nel mio ufficio. Carne di pollo, da allora, non ne ho mai più mangiata.

Andrea Vitali Andrea Vitali è nato nel 1956 a Bellano, sulla riva orientale del lago di Como dove esercita la professione di medico di base. Nel catalogo Garzanti sono presenti: Una finestra vistalago (2003, premio Grinzane Cavour 2004, sezione narrativa, e premio letterario Bruno Gioffrè 2004), Un amore di zitella (2004), La signorina Tecla Manzi (2004, premio Dessì), La figlia del podestà (2005, premio Bancarella 2006), Il procuratore (2006, premio Montblanc per il romanzo giovane 1990), Olive comprese (2006, premio internazionale di letteratura Alda Merini, premio lettori 2011), Il segreto di Ortelia (2007), La modista (2008, premio Ernest Hemingway), Dopo lunga e penosa malattia (2008), Almeno il cappello (2009, premio Casanova; premio Procida – Isola diArturo – Elsa Morante; premio Campiello sezione giuria dei letterati; finalista al premio Strega), Pianoforte vendesi (2009), Il meccanico Landru (2010), La leggenda del morto contento (2011), Zia Antonia sapeva di menta (2011) e Galeotto fu il collier (2012). Nel 2008 gli è stato conferito il premio letterario Boccaccio per l’opera omnia. Il sito di Andrea Vitali è: www.andreavitali.net. I libri di Andrea Vitali sono disponibili in ebook da Cubolibri. Disponibile su www.cubolibri.it

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Saggio

LA SCIENZA PRESA NELLA RETE

Conoscenza scientifica e comunicazione pubblica al tempo di internet di Telmo Pievani


L

e praterie della letteratura scientifica digitale, come anche di tutta la letteratura ispirata in un modo o nell’altro alla scienza, devono ancora essere in gran parte esplorate. Nasceranno nuovi protagonisti. Si affacceranno personaggi inediti, metodi impensati, mostri inaspettati, ibridi rivelatori di chissà quali inaudite contaminazioni. Per ora, oltre alla vertigine di un’accelerazione di mezzi e di contenuti che comprime il futuro (chi si azzarda a immaginare come sarà il web tra soli dieci anni?) e ci fa venire incontro nuove possibilità a velocità quasi luminali, la sensazione che prevale osservando la scienza presa nella rete è quella di un’ambivalenza radicale, di contraddizioni esplosive e insanabili, ma proprio per questo umane e aperte al futuro. Grazie alla rete, le modalità di “comunicare la scienza” si sono trasformate sempre più in occasioni per “condividere” la cultura scientifica. I principi metodologici del passato erano inadeguati e la rete ne ha accelerato l’obsolescenza. Sono crollati i modelli basati sulla convinzione che la ricerca scientifica necessitasse di un semplice “trasferimento” di informazioni dalle comunità scientifiche alla società, di una “divulgazione” caritatevole e paternalista. Questa mappa concettuale presupponeva: che nel passaggio da un contesto di discussione a un altro non vi fosse alterazione del messaggio e dei contenuti (come una sorta di diluizione senza filtri, senza selezione, senza rimasticature); che gli effetti di questa comunicazione per trasferimento fossero uniformi, quantitativi, prevedibili,

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rispetto agli atteggiamenti e alle reazioni che potevano suscitare nel ricevente. Il bonario Public Understanding of Science anglosassone (riempire il gap fra chi ne sa di scienza e il pubblico), per quanto a lungo socialmente meritorio, oggi ha fatto il suo tempo. In questo scenario rinnovato la letteratura scientifica digitale sta offrendo il meglio che può, rispondendo a una crescente esigenza sociale. Il successo di massa – che si misura in centinaia di migliaia di presenze, facendone casi di studio internazionali – di manifestazioni come i festival della scienza e le mostre scientifiche è la prova di come nella società civile italiana vi sia una straordinaria domanda di scienza, di comprensione critica e di partecipazione curiosa alla cultura scientifica, domanda che non ha un corrispettivo nell’offerta giornalistica tradizionale. Il digitale ha saputo interpretare bene, e al contempo co-costruire, questo movimento. Per rimanere al caso italiano, sono nati ottimi portali di aggiornamento scientifico in varie discipline. Network di scienziati di eccellenza hanno promosso luoghi di discussione e di condivisione dei risultati della ricerca, come Scienza in Rete (www.scienzainrete.it). Importanti riviste scientifiche nazionali e internazionali trovano ora nel web e negli strumenti multimediali un’espansione contenutistica fondamentale, che cambia i linguaggi e ridefinisce le modalità di interazione con il pubblico. Ma è soprattutto all’interno della comunità scientifica, e nell’interfaccia tra questa e i giornalisti scientifici e gli internauti, che si registrano i progetti più innovativi, come i

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comunità scientifica e cittadini che non ha podcast, i wiki e i blog scientifici di discusprecedenti nella storia, per qualità e intensità. sione tenuti da ricercatori (dai quali si possoTutto ciò convive però in rete con il suo contrano evincere informazioni cruciali, che emerrio, con la minaccia del suo svilimento, poiché gono dall’interno del mondo della ricerca, l’analisi critica da parte dei pari si applica seguendo per esempio in presa diretta gli soltanto in minima parte alle informazioni avanzamenti delle scoperte al CERN di Giche scorrono in rete, poiché l’informazione nevra commentate da giovani fisici coinvoldigitale non è necessariamente più pluralista ti nell’impresa), le reti di sensibilizzazione di quella tradizionale e poiché le pretese di online e persino ora di auto-finanziamento segretezza e di privatizzazione restano forti. della ricerca, le agenzie informative tematiVi sono quindi ragioni strutturali ed econoche, le riviste open access che guadagnano miche che impediscono sempre più autorevolezza (e che secondo un docuSiamo entrati in una ancora ai nuovi media di essere i luoghi di formamento recente della Royal fase di dialogo tra zione della cittadinanza Society inglese dovrebbecomunità scientifica scientifica del futuro (lo ro diventare la norma in e cittadini che non ha spiegano bene Pietro Grefuturo1), i social network scientifici necessari per precedenti nella storia, co e Nico Pitrelli in Scienza per qualità e intensità e media ai tempi della globaprogrammi di ricerca che lizzazione, Codice Edizioormai coinvolgono attivani, Torino, 2009). Per limitarci solo ad alcumente migliaia di ricercatori in tutto il monne di queste cause, non bisogna nascondersi do (soprattutto nei settori della fisica delle che scienza e comunicazione pubblica hanno particelle, dell’astrofisica, della biologia moepistemologie differenti, per le loro tempilecolare). stiche (necessariamente lenta e ponderata la La mole dei dati scientifici è oggi tale che prima, concitata la seconda), per le modalità le appendici online degli articoli su rividi diffusione delle conoscenze, per le procesta sono sempre più essenziali, così come dure di controllo incrociato dei risultati, per la condivisione dei risultati in tempo reale. la costante provvisorietà e falsificabilità dei Il mondo della scienza – che deve esserisultati scientifici (incompatibile con le esire un’impresa aperta, un’attività sociale genze sempre più pressanti del “marketing” di permanente e metodica auto-correzioe del consumo delle notizie). La comunicane – brulica di idee, di ipotesi, di dibattiti, zione nel dibattito pubblico, anche su web, di novità, di sotto-comunità agguerrite, di possiede oggi logiche tali per cui non è più epidemie terminologiche e immaginifiche nemmeno scontato che la scienza (data da che corrono rapide su web e si disseminametodi plurali, confronti paritari, costruziono generando effetti moltiplicativi inaspetni di consenso, ipotesi dibattute, proiezioni tati. Siamo entrati in una fase di dialogo tra

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ri, soprattutto religiosi (Scegliere il mondo che e predizioni, conflitti disciplinari) sia opporvogliamo, Il Mulino, Bologna, 2006). tunamente “comunicabile”. Può succedere, per esempio, che gli uffici stampa di istituNel mondo digitale vediamo chiaramente zioni scientifiche, avidi di visibilità, sfruttino come la tecnologia non abbia scalfito le notecniche aggressive di comunicazione non stre attitudini più antiscientifiche e irraziosempre in linea con la prudenza scientifica. nali. Per verificarlo basta accendere il palNon è facile quindi rispettare le soglie del mare o navigare su internet e assistere alla rigore scientifico e dell’autorevolezza delle sfrenata esibizione in massa di guaritori, fonti dinanzi alla frammentarietà delle esiveggenti, uomini che sussurrano agli angeli genze che si palesano su web, alla molecocustodi, impostori convinti di fare “controinlarizzazione delle aspirazioni, al pluralismo formazione”, cartomanti, maghi, astrologi, valoriale, alla disponibilità indefinita di riteorici di complotti, sedisposte scientifiche e di psicologi che riscoexpertise, al fatto di poter Non è facile rispettare centi prono (a tariffa variabileggere in pochi secondi le soglie del rigore le) i consigli della nonna. su un motore di ricerca il scientifico Ma, rete o non rete, i cersignificato di una diagnoe dell’autorevolezza chi nel grano sono gli si medica infausta. Che delle fonti dinanzi stessi da decenni. Così fare dinanzi all’ipotesi alla frammentarietà pure la ricerca del Sanche un laboratorio pubdelle esigenze che si to Graal, le avventure blichi online la sequenza palesano su web dei templari, i rapimencompleta di un superti alieni, le scie chimiche, virus ingegnerizzato? i sogni premonitori, i mostri nascosti nei L’immaginario si è espanso (in rete scienlaghi e, va da sé, la fine del mondo immiza e fantascienza spesso si compenetrano), nente prevista da ignare civiltà del passato. indebolendo le demarcazioni disciplinari, Non è soltanto il tecno-millenarismo esoteproducendo nuove miscele di linguaggi, farico a trovar fortuna su web. Temi delicati cendo dilagare l’opinionismo disinformato. e urgenti che richiederebbero saggezza e Come nota Massimiano Bucchi, scienza e visione – come le crisi ambientali, il nucleasocietà talvolta non si capiscono perché pur re, le biotecnologie – vengono frullati in un parlando lingue diverse sono troppo vicivortice di opinioni polarizzate, maciullati ne e troppo pasticciate l’una con l’altra. Ne in social network che assomigliano sempre deriva una nuova forma di doppio “sciendi più a sessioni collettive di auto-coscientismo”: lo “scientismo attivo” e acritico di za, con attori esagitati nascosti dietro i loro taluni entusiasti della tecnoscienza e futuronicknames. Sappiamo quanto sia favorevologi improvvisati; lo “scientismo passivo” e le questo terreno di apparente anarchia incontrappositivo dei teorici della subordinaformativa per l’estremismo politico e per il zione della scienza alla società e ai suoi valo15

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fondamentalismo religioso, ma non dimentichiamo che proprio il web è oggi il grande investimento anche per negazionisti di ogni sorta, soprattutto in materia climatica e di evoluzione. Costoro trovano proseliti in numero crescente, diffondendo ad arte menzogne che negano evidenze scientifiche consolidate oltre ogni ragionevole dubbio. Non è facile per uno scienziato rispondere a provocazioni tendenziose da parte di avversari in malafede. Esistono per esempio facoltosi movimenti creazionisti che pagano la pubblicità su siti giornalistici online, in cambio di un’informazione asservita alle loro campagne di mistificazione. Quando le pagine web di integralisti religiosi usano per sé aggettivi come “razionale” e “scientifico” significa che il linguaggio è impazzito e che ci 16

si può solo affidare al senso critico dei lettori. Qui tocchiamo forse un punto essenziale, nella proporzionalità diretta fra aumento di informazioni accessibili e necessità di più educazione. Con il digitale l’evoluzione culturale umana naviga in nuovi domini del possibile, lacerati da inevitabili ambiguità. Anziché fuggire da se stessa, come molti vorrebbero, la società umana trova un altro mezzo per capire un po’ di più se stessa e per trasformarsi. Dovremmo essere più preparati a discernere, a distinguere le fonti serie dal rumore di fondo. Capita sempre più spesso agli scienziati che le domande al termine di una conferenza prendano spunto da bizzarre assurdità lette su internet, inteso da alcuni ormai implicitamente come fonte in ogni caso attendibile. È quindi interessante

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che nascano siti come Download The Universe di Carl Zimmer (www.downloadtheuniverse.com), che non offre notizie di prima mano, bensì un servizio di “science ebook review” per orientarsi nell’oceano della letteratura digitale (comprese le App, le TED conferences e altri prodotti). La scienza presa nella rete ha insomma ancora molto da imparare, tra debolezze interne di espressione e attacchi esterni, tra slanci e cadute. Come ha scritto Luciano Floridi, se la rivoluzione dell’informazione ci ha catapultati in un nuovo ambiente – che è intrinsecamente imprevedibile in quanto ne facciamo parte e contribuiamo a farlo evolvere – allora l’etica dell’informazione dovrà essere una nuova “etica ambientale”

estesa alla infosfera (La rivoluzione dell’informazione, Codice Edizioni, Torino, 2012). Dobbiamo imparare a gestire la nostra inattesa nicchia ecologica digitale, con curiosità, spirito critico e indipendenza intellettuale, senza falsi miti di trasparenze assolute e anarchie risolutive. Non è detto, per esempio, che lasciar esprimere a tutti i propri rigurgiti (basti pensare a che cosa sono diventati i commenti in coda agli articoli online) sia un esercizio di democrazia. Su web molti fantasticano di velleitarie condizioni “trans-umane”, di discontinuità epocali e altre tecno-profezie in attesa di smentita. Ma è da tanto tempo che la nostra natura è ibrida. Purtroppo o per fortuna, alla fine dell’umano ci sarà qualcos’altro di umano.

Telmo Pievani Telmo Pievani è associato di Filosofia della Scienza presso l’Università di Milano Bicocca. È autore di 142 pubblicazioni nazionali e internazionali (elenco completo: http://boa.unimib.it) fra le quali: La teoria dell’evoluzione (Il Mulino 2006); Creazione senza Dio (Einaudi 2006); La vita inaspettata (Raffaello Cortina 2011); Homo sapiens. La grande storia della diversità umana (Codice Edizioni 2011, con L.L. Cavalli Sforza); Introduzione a Darwin (Laterza 2012). Fa parte del Consiglio Scientifico del Festival della Scienza di Genova e del Comitato Scientifico della Fondazione Umberto Veronesi. Socio corrispondente dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti, fa parte dell’Editorial Board di riviste scientifiche internazionali come “Evolution: Education and Outreach”. È direttore di “Pikaia”, il portale italiano dell’evoluzione. Collabora con il “Corriere della Sera” e con le riviste “Le Scienze”, “Micromega” e “L’Indice dei Libri”. I suoi libri La teoria dell’evoluzione, Perché siamo parenti delle galline? E tante altre domande sull’evoluzione (Editoriale Scienza 2010, con F. Taddia) e Introduzione a Darwin sono disponibili in ebook da Cubolibri.

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Anticipazione

UN CALENDARIO GRANDE COME IL MONDO

Giorno per giorno, splendori e miserie dell’uomo e della storia di Eduardo Galeano

Pubblichiamo, in esclusiva per i lettori di “PreTesti”, un brano del libro I figli dei giorni (Sperling & Kupfer, 440 pagine, 19,50 €), in libreria dall’11 settembre. Si tratta di un volume unico nel suo genere: si presenta come un’agenda in cui, per ciascuno dei 366 giorni dell’anno, con un linguaggio poetico e dissacrante, Galeano ricorda un evento nascosto o dimenticato, o denuncia una menzogna della Storia scritta dai vincitori. Abbiamo scelto qui di presentare le storie raccontate nei giorni che coincidono con lo svolgimento del Festivaletteratura di Mantova, con la speranza che i visitatori del Festival e i lettori di “PreTesti” possano leggerle di giorno in giorno come piccole preghiere laiche. Infine, ci è piaciuto concludere con l’omaggio di Galeano a un grande narratore italiano di cui l’anno scorso si sono celebrati i cent’anni dalla morte: Emilio Salgari.


La comun

ità inter

overo à: uccidi un p t r e v o p la ti t Comba

Sole. rancia, il Re F i d re , IV X ntro cque Luigi se guerre co o ri lo g e ll Nel 1638 na a dosi , dei isse dedican cca ricciuta u rr a p a u s Il Re Sole v della lto. i e al riparo e col tacco a rp a c s e u s e i suoi vicin e dell ro più idi mantelli ssive uccise e c c u s e suoi splend ti s care regno, due Sotto il suo si. Blaise ni di france l fatto che a ie z ra di due milio g ifra calcolasapere la c lo prima, la o c e s o Si venne a z z e ,m razie a a inventato il motivo g re e p a s Pascal avev a e n a politica co ica. E si ven n n o a u c b c e a L m “ e : tric scrisse fame coloro tempo dopo i d e h c re , ri e o ir a m lt Vo e far segreto: com to s e u q e c s ere”. no li altri di viv g a o n o tt e che perm

nazionale Il cuoco convocò il vitello zo, la c , il maia apra, il lino da cervo, i niglio, l latte, lo l pollo, l’ a pernic struzanatra, e, il pav merluzz la lepre one, la o, la sa , il cocolomb rdina, i gamber a, il fag l baccal etto, il c i a n à, il ton o, il alamaro ruga, ch no, il p e perfin e furono o l p o, il o il gran gli ultim E quand chio e la i ad arri o ci furo t a rtavare. no tutti, per dom il cuoco andarvi spiegò: in che s Allora q “Vi ho r alsa vol ualcuno iuniti e t e e d s sere ma ei convi sere ma ngiati”. tati diss ngiato i e: “Io no n nessu Il cuoco n modo n voglio conside ” . esrò concl usa la ri unione.

Il visitatore

hiarazione del ic D “ la o n ro esi elabora ttantanove Pa to n ce , 0 0 0 2 ondo. ani dell’anno drammi del m i i tt tu e ltiplicare la qu er o lv In questi giorn m a so i ri it a sc a u v ri a lista: si è e li impegn non era nella to Millennio”, ch n iu g g ra li. to erie ivo che è sta piti così diffici m co ti n a rrendo le perif v a L’unico obiett co er re a p rt a o v p a st er li esperti olmes necessari p e uno di queg s Mercedes H tità di esperti ch la e e ir d d a rí to a ti M n signora ingo ho se ?”. l pollaio della a A Santo Dom ti n a v a me ne dà una d i ò le , rm a h fe e si in celo ll d a n l suo telefono ente quante g co delle città qua m a se tt es a n es n o co ic d si ò il GPS, : “Se io le “Lei ha o tattile, attiv e le domandò tore di pixel: m ta er n h co sc il n e co n le io portati e in funz E accese il suo tellitari e mis sa to fo i d a il sistem lulare 3G con e galline”. voro, mi centotrentadu ual è il suo la q o ic d le io e ò una. no resa zitta: “S E ne acchiapp nale. Me ne so es non rimase io d z a ce rn er te M in s la to e aría d io pollaio è un esper La signora M trodotto nel m gli disse: “Lei in è ra o si ll , A to . a ?” m a allin o l’avesse chia esto mi ha chie n u q su restituisce la g er es p n e e o ch ev a già sap è venuto senz qualcosa che io to et conto perché d a h i m , e il permesso senza chieder so”. sto un compen

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Il Giorno d

ell’alfa

betizzaz Sergipe ione , Norde st del B nuova rasile: P giornat aulo Fr a di lav molto p eire ini oro con overi, c zia una u n grupp he si st “Come o di con anno a stai, Joã lfabetiz tadini o?” João st zando. a zitto. Stropic e infine cia il ca dice: “N ppello. on son notte se Lun o riusc nza chi ito a do go silenzio, udere o Non gl rmire. cchio”. i escon Tutta la o altre mormo parole ra: “Ier dalla b i ho scr volta”. occa, fi itto il m nché io nom e per la non prima

Statue

llino a un cava a p p o r g sue do, in combatten governò le e e s tr is n v e s M a . g n ponle stelle José Arti mucca e u ndo sotto i e d m r io o h d c s e o un te creolo, e per tron b b e , e r e b in terre li rme. io, e morì o il if s e n u in a ò ic d un ne an cho come indosso se a v e v a e h c conCon quel bronzo ci i d ia tr a ella ella p miseria. dall’alto d e padre d , m o r r o ie n e tr s e n ace d Adesso u di un viv o ll a v a c a uay. ntico a templa, dell’Urug te n ta r loria, è ide o g p la im r e iù p p nera. igliato piazza mondo ve rioso, abb il to e it h v c e i o r r a ’e Quell api milit di tutti i c i g ffi e . le tutte sé Artigas Jo e r e s s e i Lui dice d

Il viaggiatore immobile

Malesia. e pirata, tigre della pe ci in pr , an ok mpand aggi che hanno acco nel 1883 nacque Sa e, on al rs m pe i do tr or al e ric m n co no i, Se ilio Salgar ori dalla penna di Em Sandokan venne fu liane. Non ia. gato oltre le coste ita vi na ai m a ev av gnato la mia infanz n na, e no gli schiavi lgari, era nato a Vero catán, o nei porti de Yu llo de a st re Suo papà, Emilio Sa fo lla lle isole Filippine, o di Maracaibo, o ne de lfo rle go pe l di ne i to or at da sc an era mai e conosciuto i pe est. e non aveva neppur , io or Av o i bufali del Far W d’ a, ta ic os fr C A ll’ de della ffe ra gi le o i pirati del mare, o conosciuti. i sultani d’Oriente, ari mi stato, io sì che li ho no so ci e , i romanzi di Salg ch sa sì ca io i, di lu o a ol ie ng az l’a gr ro a, M dare diet a non mi lasciava an m am m ia m o nd e altri mari. ua Q gante; il ari del mondo e anch m tte se i re ssibile; Yanez il navi ga po vi im na e or am o su portarono a il arianna, o perché lo Sandokan e lady M e lui aveva inventat ch i ic am i nt ta e Salgari mi presentò o, ic o nem orata, la figlia del su ine. Corsaro Nero e Hon assero nella solitud gn pa m co ac lo e e salvassero dalla fam

Los hijos de los días Copyright © 2012 Eduardo Galeano © 2012 Sperling & Kupfer Editori S.p.A. Traduzione di Marcella Trambaioli

Philip José Farmer

Eduardo Galeano, giornalista e scrittore, è nato nel 1940 in Uruguay e ha vissuto in esilio durante la dittatura, dal 1973 al 1985. I suoi libri (tra cui: Le vene aperte dell’America Latina; Memoria del fuoco; Splendori e miserie del gioco del calcio) sono tradotti in venti lingue. Ha ricevuto prestigiosi riconoscimenti, fra i quali, negli USA, il Premio Lannan per la libertà culturale e, in Svezia, il Premio letterario Stig Dagerman. Il suo libro Splendori e miserie del gioco del calcio è disponibile in ebook da Cubolibri.

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Gusto

UNA PROPOSTA:

CHE SI ELIMINI LA GOLA DAI PECCATI CAPITALI di Simonetta Agnello Hornby

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ei sette peccati capitali la gola è il quinto, assieme a superbia, avarizia, lussuria, invidia, ira e accidia. In un mondo laico come il nostro, molti dei cosiddetti peccati capitali sono soltanto attributi più o meno spiacevoli di una persona. Considerare la gola un peccato capitale è un atteggiamento negativo verso la vita. Sono stata allevata in una famiglia in cui tutto ciò che aveva a che fare con il cibo era importante, da rispettare e non sprecare, e fonte di piacere, senza alcun senso di colpa. Era anche un modo di celebrare la vita e contrassegnare le feste religiose, che, scandite ciascuna dalle proprie pietanze e/o dai propri dolci, inducevano in me un grande affetto per i santi del giorno. Il mangiare magro, il pesce della vigilia di Natale, i piatti di verdure che celebravano il digiuno, l’astenersi da certi dolci per i famosi fioretti della Quaresima, non erano altro che un modo di dar valore al cibo. E mi spingevano ad apprezzare

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quello che c’era in tavola e ad anticipare la goduria dei giorni di festa. Rinunciare ai dolci durante la settimana santa, nella certezza che il giorno di Pasqua avremmo mangiato la cassata, era davvero un sacrificio modesto. Dal momento che vivo all’estero, ho dovuto fare a meno del ritmo scandito dai dolci dedicati a un particolare santo da mangiare soltanto il giorno della sua festa. Questi dolci variano da paese a paese e sono in genere regionali. Mantengono dunque la devozione al santo e l’identità del popolo. In genere, questi dolci si comprano in pasticceria e non si preparano in casa. A Londra il mese di novembre mi sembra monco senza i pupi di zucchero delle feste dei Morti e i biscotti di San Martino, duri e speziati. A Palermo, in dicembre, la cuccìa di Santa Lucia annunciava i buccellati di Natale con maggior efficacia delle novene che recitavamo accanto al presepe. E il 19 marzo, i fioretti della Quaresima venivano sospesi per gustare le “sfincie” di

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san Giuseppe, una sorta di bignè impastato con lo strutto e fritto che dev’essere croccante fuori e soffice dentro, farcito con crema di ricotta e scaglie di cioccolato. Ancora oggi, Pasqua per me non è Pasqua senza la cassata e i cannoli, senza le pastenuove e le pecorelle di pasta reale ripiena di pistacchio tritato e zucchero. Questi dolci tradizionali erano e sono per me fonte di felicità e null’altro. Farne una scorpacciata – dopotutto, è solo una sola volta l’anno! – o mangiarli con moderazione è sempre e soltanto un piacere. I ricchi hanno sempre avuto un rapporto non completo con il cibo, direi quasi malsano, nel senso che non ne conoscono la mancanza e che possono avere tutto ciò che desiderano: oggi più che mai, il cibo viaggia in aereo ed è sempre a disposizione di chi lo vuole, tutto l’anno. La ricchezza abolisce la stagionalità, fondamentale per una buona dieta e per il piacere della tavola. Ho vissuto in America, in Africa e in Europa, in paesi in cui il cibo a cui ero abituata nella mia Sicilia non era reperibile o non cresceva; per me è stato uno choc scoprire che in Zambia non si faceva il formaggio anche se c’era il latte di ovini e bovini, che in Inghilterra la ricotta non esisteva fino a qualche anno fa e che non una delle verdure selvatiche che crescono a Mosè è conosciuta all’estero. La sofferenza non consisteva soltanto nel desiderio dei sapori della mia infanzia, ma nell’assenza del loro potere evocativo. Zucchina bollita con i tenerumi era la nostra cena per sei mesi l’anno. Un piatto semplicissimo – le zucchine, pelate e tagliate a dadini, erano messe a bollire assieme alle foglie tenere e ai boccioli della loro stessa pianta, poi erano scolate e servite in un poco del loro brodetto, condite con un filo d’olio e abbondante succo di limone – e squisito. Dopo aver mangiato la 22

verdura era de rigueur immergere pezzetti di pane nel brodino rimasto e portarseli alla bocca con la forchetta senza farli cadere. Ricordo le chiacchierate mentre mangiavamo; si discuteva con grande serietà se i dadi di zucchina erano ben cotti o scotti, o duri, se i tenerumi erano stati puliti, come diceva mia madre, “per bene”, cioè prendendo soltanto le foglie piccole e tenere, o “accomegghiè”, ovvero prendendo quasi tutto il verde, anche quello duro e filamentoso. Pur essendo convinti che la cucina siciliana era la migliore del Mediterraneo, e quella della nostra tavola – in particolare – tra le migliori della Sicilia, in casa nostra eravamo curiosi del cibo e delle pietanze degli altri, e desiderosi di imparare. Quando qualcuno tornava da un viaggio, la prima domanda di mio padre era: “Come hai mangiato?”, e la seconda: “Cosa mangiano nel paese che hai visitato?”. Però non avremmo mai rinunciato alle basi della nostra cucina: la pasta, lo spezzatino, le scaloppine, gli arrosti di carne, le innumerevoli pietanze create dall’unione della pasta di pane con verdure e olive, come nello “sfincione”, nelle “inchiummate” e nelle “schiacciate”. Se nella nostra famiglia non esisteva il concetto di peccato di gola, quello della moderazione era ben radicato per due motivi: perché l’eccesso avrebbe distrutto il piacere non soltanto del mangiare ma anche del benessere successivo al pasto, e per vanità – sia mio padre che mia madre sapevano di essere belli, e tenevano alla linea. Quando ero ragazzina, a Palermo c’era una pasticceria che si chiamava “I peccatucci di mamma Anna”; credo che appartenesse a una signora del Nord che aveva imparato magistralmente a fare i nostri dolci. Li compravamo spesso, sia per regalarli, sia per mangiarli. Io ne avevo una

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al punto che i fornelli e il frigorifero hanno riserva. Erano ottimi, ma perché chiamarli una funzione limitata rispetto ai moltissimi peccatucci? Perché associare il concetto di macchinari usati per questi tipi di cucina, irpeccato a quei dolcini piccoli, ottimi, che al ripetibili nelle case della gente comune. peccato proprio non potevano portare? Poco La televisione del mondo occidentale si è tempo dopo appresi da un film, allora di arricchita di canali di cucina di tutti i generi moda, la triste storia di Sissi, una principessa e di cuochi per tutti i gusti: il cuoco stellato bavarese morta infelice a causa del digiuno Michelin, gruppi di cuochi, coppie di cuochi, che si era autoinflitta, non per motivi religiogare di cucina. E i libri di cucina si sono molsi – i santi e gli eremiti che digiunavano camtiplicati in maniera direttamente proporziopavano bene e a lungo – ma per sua volontà. nale alla diminuzione dell’attività culinaria, Soffriva di una malattia mentale, l’anoressia, perché – dai supermercati ai negozietti – il che – a quanto mi era stato detto – esaltava il cibo precotto o liofilizzato, o in scatola, o surcontrollo del cibo che mangiamo e dunque gelato, o insaccato, o affumicato impera. Soil controllo su noi stessi, e che fa credere al prattutto, sono scomparse la cucina familiare, malato di essere grasso, e che essere grassi cioè i piatti che richiedono una lunga preparasignifichi essere brutti. Ogni epoca ha i prozione, e la cucinata che pri flagelli e i propri coinvolge tutti i famisanti. L’aumentare e il Perché includere il liari e non la sola cuoca dilagare dell’anoresconcetto di peccato in (in genere, la madre). sia è un flagello della dolcini piuttosto piccoli, Come il mangiare poco nostra epoca. Essere ottimi, che proprio non è di moda, così il cucimagri è bello, così ci nare di fretta è diventaè stato inculcato dalla potevano portare al to un’arte. Jamie Oliver, moda, dalle arti, dal cipeccato? un famosissimo cuoco nema. Eppure, fino agli inglese che rispetto enormemente per il suo inizi del secolo scorso la donna rotondetta impegno sociale, ha pubblicato un libro di ripiaceva ed era molto ammirata dagli uomicette che si preparano in mezz’ora – non un ni. Oggi la situazione è capovolta: le floriminuto di meno, non un minuto di più – e de ragazze di Rubens piacciono meno delche è stato il best seller tra i libri di cucina le figure allungate di Modigliani; gli abiti dell’anno. I miei amici mi dicono che nelle femminili “vestono” piccolo; la donna filiforfamiglie in cui ambedue i genitori lavorano me e ossuta su cui gli abiti sono appesi come non c’è più tempo per cucinare, e allora ben su stampelle negli ultimi trent’anni è divenvenga Jamie Oliver! Ma è triste la società che tata pian piano il modello di bellezza. dedica soltanto mezz’ora all’attività più fonNello stesso periodo sono cresciute enordamentale per l’essere umano, ovvero manmemente l’industria del cibo, l’attenzione giare e preparare il cibo. al mangiar sano, la moda dei ristoranti dapCome dice Brillat-Savarin, la cucina e il cuprima di lusso, poi inconsueti, poi tradiziocinare differenziano l’uomo dagli animali. nali. La cucina ha incontrato la scienza nella La tavola è il solo luogo dove non ci si annoia cosiddetta nouvelle cuisine, poi nella cucina mai durante la prima ora. Questo aforisma del molecolare, poi ancora in quella dissociata: 23

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tamente, e non si dovrebbe mai privarsi del grande pensatore e gastronomo è veritiero. piacere di un certo tipo di cibo perché in ecIo sostengo anche che cucinando non si incesso può far male. Da due secoli, il cioccovecchia. E, inoltre, che il tempo trascorso in lato è considerato il cibo peccaminoso per cucina non si rimpiange mai. I piaceri della eccellenza. La pubblicità ne esalta l’aspetto vita si godono meglio quando si pregustano, positivo, il conforto che dà, la sua squisitezsi desiderano in anticipo: una pietanza che za, l’ottimismo, l’allegria e il successo che inrichiede una preparazione di ventiquattr’oduce. Il cioccolato diventa così il modo par re è una vera gioia. Prendiamo per esemexcellence di celebrare l’amore e le cose belle. pio la fagiolata cara a tutti gli Hornby: coMa anche il fatto che è peccaminoso, sexy. mincio col mettere i fagioli a mollo il giorno Altri, perlopiù salutisti, lo descrivono come prima – li lavo, li faccio cadere nella ciotola dannoso alla pelle, ingrassante e portatore come se fossero pietruzze, ne osservo il codi brufoli. Ci sono anche modi di cottura che lore, tolgo quelli che non sono buoni e che tutto a un tratto diventano nemici del buon galleggiano, levo eventuali sassolini, poi cogusto e del salutismo. Le brave mamme oggi pro i fagioli con abbondante acqua fredda. inculcano nei bambini Dopo qualche ora pall’avversione per la fritpo i fagioli e li mescolo Come dice tura: il fritto fa male, chi per eliminare eventuaBrillat-Savarin, mangia i fritti non vive li piccoli vuoti di aria; la cucina e il cucinare a lungo e nella migliore prima di andare a letto, differenziano l’uomo delle ipotesi si ammalecontrollo che non si siarà. Alcuni cibi tradiziono gonfiati al punto da dagli animali nali ora sono da evitare: assorbire tutta l’acqua. oltre a tutti i salumi, dal salame al prosciutto, La mattina dopo vado a lavorare contenta, anche il vino non fa più bene, e secondo certi quando li vedo belli gonfi e grossi: so che mi salutisti anche se bevuto con moderazione. aspetteranno così fino al mio ritorno, quanAlle donne gravide si dice di non bere vino; do li metterò a bollire. Appena entro in casa io, da gravida, ebbi ordinato dal mio ginecovado dritta dritta in cucina; preparo le verlogo londinese di bere un bicchiere di vino dure e poi le metto insieme ai fagioli nel penrosso a pasto. Oggi non si dà il vino annactolone di acqua fredda; cuoceranno per due quato ai bambini, nemmeno per celebrare ore, all’inizio ribollendo, poi bofonchiando occasioni particolari, come si faceva quando piano mentre l’aroma della minestra di faero piccola. Il risultato è che della bevanda gioli riempie la casa. vietata, quando finalmente viene concessa, Quant’è bello leggere un libro sapendo giovani e giovanissimi finiscono per abusache presto quell’odore si mariterà al gusto re, fino all’alcolismo. di un’ottima minestra nella mia scodella! Spero che il lettore pensi che il cibo fa parÈ come il culmine di un ciclo, la trasformate della nostra vita in modo gioioso. Il cibo zione degli ingredienti in pietanza. Che altro è piacere. Bisogna goderne senza eccedere, non è che la celebrazione domestica del notrattare il nostro corpo così che non sia né stro essere creature umane. troppo magro né troppo grosso, curandolo Brillat-Savarin mi ha insegnato un’altra cosa: come curiamo il nostro animo. bisogna mangiare tutto e di tutto modera24

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Il settimo aforisma di Brillat-Savarin dice: Il piacere della tavola è di tutte le età, di tutte le condizioni, di tutti i paesi e di tutti i giorni, può associarsi a tutti gli altri piaceri e rimane per ultimo a consolarci della loro perdita. Non perdiamo questo piacere! Auguro a tutti i lettori di avvicinarsi al cibo, alla sua preparazione e alla sua condivisione, allegramente, senza paura di sbagliare e senza drammatizzare se

si eccede; un’abbuffata a volte fissa un’esperienza nella mente. Prima ancora di essere sette, i peccati capitali erano otto. Nel Medioevo ce n’era un altro: la tristezza. Sono lieta di confermare che è stato abolito, e saggiamente nessuno lo ricorda più. Vorrei tanto che si abolisse anche il peccato della gola. Vivremmo meglio con i rimanenti sei peccati, e più santamente.

Simonetta Agnello Hornby Nata e cresciuta a Palermo, Simonetta Agnello Hornby è avvocato specializzato nel diritto di famiglia e dei minori a Londra. Nel 2000 ha iniziato a scrivere romanzi e ha pubblicato con Feltrinelli La Mennulara (2002), La zia marchesa (2004), Boccamurata (2007), Vento scomposto (2009), La monaca (2010) e La cucina del buon gusto (con Maria Rosario Lazzati, 2012); ha pubblicato inoltre Camera oscura (Skira 2010) e Un filo d’olio (Sellerio 2011). Tutti i suoi libri sono stati best seller e sono stati tradotti in molte lingue. Dal 2008, pur continuando a esercitare l’attività di avvocato, si dedica principalmente alla scrittura. I libri di Simonetta Agnello Hornby sono disponibili in ebook da Cubolibri. Disponibile su www. cubolibri.it

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Il mondo dell’ebook

SCUOLA DIGITALE Il futuro del libro lo decidono i ragazzi

di Daniela De Pasquale e Roberto Dessì


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a classe entra in aula a ranghi Comparatele con l’attuale dato di diffusparsi; le occhiate spente degli sione degli eBook in Italia, 1% o giù di lì, studenti si appoggiano su vetri e vi renderete conto che la scuola semmai oltre i quali si intravede la liberè un’isola felice. A maggior ragione consità; giovani schiene si adagiano scomposte derando il vacuum legis in materia, eccezion su sedie impiastricciate da smielate dedifatta per una legge del 2008 sull’adozione che ad Anna di terza B. Il prof, dietro la obbligatoria di testi disponibili anche in cattedra, li scruta impaziente dagli occhiaformato elettronico, e qualche vaga dichialetti. Attende che anche l’ultimo ritardatarazione d’intenti del ministro di turno. rio si accomodi e finalmente, nel silenzio, La differenza tra il “cos’è” e il “cosa poesclama: “Prendete i vostri iPad e fate tap trebbe essere” con un minimo di applicasull’App Geografia”. zione è meglio comQuando per anni hai Il prof, dietro la cattedra, prensibile gettando lo fatto ricerche scolastisguardo oltre oceano. scruta impaziente dagli che barcamenandoti a In Florida è stata proocchialetti gli studenti. raccattare nozioni dai posta l’adozione degli Attende che anche quattro libri contemeBook su iPad come poraneamente aperti unico supporto didatl’ultimo ritardatario si sotto il naso, la prima accomodi e finalmente, tico, dal 2015-16; per parola che ti viene alla lo stesso anno scolanel silenzio, esclama: mente è “ingiustizia”. stico la Corea del Sud “Prendete i vostri iPad La seconda è “inviera addirittura pronta e fate tap sull’App dia” (preceduto o sea mandare in pensioguito da “tremenda”). ne e al macero tonGeografia”. La terza è “fantasciennellate di libri scolaza”. Soprattutto localizzando i protagonisti stici, rimpiazzandole con miliardi di dell’incipit in una qualche aula di un qualbyte e “un tablet per ogni alunno”. che istituto di una qualche regione d’Italia. La prudenza ha poi preso il sopravvento, L’ultima associazione mentale proposta e le rivoluzioni sono state posticipate di potrebbe però diventare presto obsoleta. E qualche anno. Ma sono segnali importanti, se non vi fidate dell’istinto di chi vi scrive, scosse telluriche di un cambiamento regileggete qualche numero rilasciato dall’AIE, strato anche dai numeri delle tante statistil’associazione degli editori italiani: uno stuche a tema. dente universitario su cinque, nel nostro paSecondo un sondaggio Wakefield Research, ese, usa gli eBook al posto dei libri di testo. tra gli studenti dei college americani quasi Il 13,5% possiede un tablet, l’11,5 un eReuno su due ha preparato almeno una volader. Le scuole superiori viaggiano presta un esame usando gli eBook. Il 58% non sappoco sulle stesse grandezze. Irrisorie? riuscirebbe neppure a completare le lettu-

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re assegnate dai docenti, senza l’ausilio e sottolineature. Rendendo l’eBook una vera la portabilità dei libri digitali. Un secondo evoluzione del libro, e non soltanto una sua sondaggio, condotto da Kelton Research fedele copia digitale. per Kno, ha addirittura scoperto che per Le software house si trasformano così in rimpiazzare i tomi scolastici con gli eBook, case editrici, le case editrici allargano i progli studenti USA sarebbero disposti a sacripri orizzonti e aprono ai programmatori. ficare i propri weekend per un intero anno Nel mezzo, Apple prospera e incoraggia, scolastico, a seguire un corso alle 8 del matoffrendo tool come iBooks Author, per astino fino alla laurea, o perfino ad affrontare semblare in proprio materiali didattici con un periodo di castità. That’s amore! video, link ai siti web, animazioni. Scherzi a parte, è facile giustificare simili E nel nostro Paese? In Italia Hoplo ha svifioretti se la contropartita è l’alleggerimenluppato Scuolabook.it, libreria scolastica to di uno zaino che in media pesa 10 kg, digitale nata nel 2009 come scommessa garantendo nel contempo un risparmio verso un futuro ancora incerto e che oggi medio del 30-50% ed appare già più staevitando il pericolo bile. A Scuolabook.it di dover ricomprare Un sondaggio ha scoperto aderiscono 38 editori che per rimpiazzare i tomi che, con i loro quasi lo stesso titolo l’anno successivo perché 5000 titoli in catalogo, scolastici con gli eBook, sono cambiate le cogli studenti USA sarebbero hanno trovato una sopertine e due paraluzione integrale per disposti a sacrificare i grafi; e ancora la poscominciare a risponpropri weekend per un sibilità di effettuare dere ai bisogni delle intero anno scolastico ricerche in presa difamiglie di risparmio retta, consultare voeconomico e di allegcabolari ed enciclopedie online e utilizzare gerimento dello zaino dei ragazzi. applicazioni che rendono l’apprendimento Per Federconsumatori quest’anno si speninterattivo. Per davvero. deranno in media 507 euro per ogni raProprio l’interattività è il settore più progazzo, tra libri e dizionari, +5% rispetto al mettente per questo segmento dell’edito2011, raggiungendo picchi di 1.200 euro se ria: c’è chi come Touch Press la interpreta si considerano corredo scolastico e ricambi. con spettacolari e immersive animazioni Per questo dall’osservatorio nazionale stesche portano ora nello spazio profondo, ora so arriva la richiesta di incentivare l’editoa esplorare i misteri delle tavole leonardiaria elettronica. Il prezzo medio di un libro ne; e c’è chi, come Inkling, alle animazioni scolastico digitale è infatti inferiore del 30abbina la possibilità di scambiare note con 40% rispetto al suo corrispondente cartai compagni e i professori, richiedere supceo. Il risparmio arriverebbe al 45-50%, ma porto allo studio, aggiungere annotazioni e va valutata l’IVA, calcolata al 4% per i libri

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cartacei e al 21% per gli eBook, considerati beni di consumo e tassati come un prodotto software. Resta soltanto un dubbio da fugare: ma non sarà che tutta questa interattività vada a scapito dell’apprendimento? Citando numerosi studi a riguardo, la giornalista del “Time” Maia Szalavitz qualche mese fa metteva in guardia dai “pericoli dell’eBook”: rallentano la memorizzazione delle nozioni, affaticano la vista nel caso dei tablet, o sono poco versatili in quello degli eReader. Aggiunge-

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teci le continue distrazioni che la Rete offre, e su cui i pargoli si fionderebbero, ed ecco che il dubbio diviene una quasi certezza. Fortunatamente, esistono un’infinità di casi di successo scolastico (anche italiani) registrati tra i banchi: il rendimento delle classi cresce, i voti medi aumentano. E con loro, il successo dell’eBook, degli eReader e dei tablet nelle scuole. Con buona pace di chi, come Bill Gates in una recente intervista al “Chronicle”, manifesta le proprie perplessità sullo studio “touch”.

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Il mondo dell’ebook

IDEE IN CONNESSIONE: COMUNITÀ VIRTUALE, IPERTESTO E CRITICA NELLA RETE

di Roberto Diodato

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razie all’estendersi della rete si è in varie forme sviluppata una nuova idea di comunità, comunità virtuale, intelligenza collettiva, mente globale. Un tipo di comunità che fa del suo essere relativamente effimera ed aperta il suo elemento fondante. Un approccio descrittivo potrà dar conto di quali tipologie di comunità si siano realmente costituite in rete, di come funzioni in esse la comunicazione rispetto alle possibilità offerte dal

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medium nel web 2.0 ecc. Dal punto di vista teoretico però i nuovi modelli di comunità implicano una coerente ridefinizione delle nozioni di individuo e di comunità. L’individuo della comunità virtuale è infatti un individuo nominale. Nella comunità virtuale è la definizione linguistica del ruolo che configura l’essere questo, ovvero identifica l’individuo, permettendone l’appartenenza. Si tratta quindi di un individuo “linguistico” le cui propensioni e capacità non sono

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assoluto si rovescia in un realismo assoluto. mediate o integrate dal linguaggio, bensì si È stato Jean-Luc Nancy, nel suo La comunità sciolgono nel linguaggio ipermediale che asinoperosa, a compiere il tentativo di pensare sume. Si può dire, forse, che l’individuo di una comunità inessenziale, costruendo a liuna comunità virtuale è esemplare, ossia è vello teorico un modello che potrebbe essere un esempio, in quanto l’essere esemplare è rappresentato dalle comunità virtuali. A pail puramente linguistico, ovvero ciò che non rere di Nancy il radicale essere finito dell’uoè definito da alcuna proprietà tranne l’esmo può esprimersi nella formula “l’esistenser detto, o meglio: dall’esser detto “come”. za è senza essenza”: l’essere umano, così L’esempio, in altri termini, non designa l’escome qualsiasi altro esistente, in quanto esiser-rosso ma l’esser detto rosso, o ape, o coste è in se stesso “di passaggio”, è transitivo, struttore di aquiloni ecc. Nell’esempio è l’esovvero radicalmente “esposto”. A parere di ser detto la proprietà che fonda le possibili Nancy non si dà un “soggetto” che entra in appartenenze, cioè la proprietà che stabilisce relazione con altri, bensì una singolarità che l’essere comune delle individualità, che per“compare”, e compare solo, nella comunità, mette una comunità. Comunità soltanto line ancora non si dà un essere comune da reguistica, che si dà solo in uno spazio di comualizzare attraverso l’opera, per esempio l’onicazione non fondato, in linea di principio, pera della politica, bensì una comunità più su appartenenze reali. Si intravvede quindi originaria dell’indivila possibilità di comuduo e quindi dei leganità inessenziali (per Sono i collegamenti mi sociali che questo usare il termine adopeelettronici (link) che istituisce. La comunirato da Agamben in La tà c’è quando singocomunità che viene), cioè complessivamente larità si espongono e, comunità in cui il concreano un “testo” «non restando tali, condivenire non concerne lineare o, propriamente, vidono la loro esposiin nessun modo un’eszione. Nancy insommultilineare o senza (determinazione ma si sforza di sottraro funzione che consenmultisequenziale» re l’idea di comunità te una definizione non a quella di un essere puramente nominale), comune sostanziale che si dovrebbe reacioè comunità presenti solo nello spazio dellizzare attraverso l’opera politica, per penla comunicazione, le quali ovviamente assare la comunità come dato originario, più sumono tanto più senso e forza quanto più originario di qualsiasi altro legame sociale, gli spazi tecnologici, sociali e politici della economico o politico, di pensarla cioè come comunicazione consentono. Nella comunità “comparizione”: che è un radicale apparire virtuale si fa spazio insomma un senso forinsieme che ci consegna gli uni agli altri ma te e inaugurale della nominazione, che traconservandoci come singolarità distaccasforma delle individualità in membri di una te che condividono la loro stessa divisione. classe la quale ha per limiti solo le proprieSi fa perciò esperienza della comunità semtà linguisticamente comuni ai suoi membri. pre come limite, come ciò che rappresenta Paradossalmente insomma un nominalismo 31

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un rischio per il legame sociale, come pare appunto accadere per le comunità che vivono come linguaggi in quell’enorme ipertesto elevato a potenza che è la rete. Al contempo le tecnologie informatiche consentono la costruzione di ipertesti di varia natura, funzione, estensione, che sollecitano problemi teorici. Il più immediato forse riguarda la stessa definizione di ipertesto, una definizione che deve essere generica, comprensiva, che deve disegnare i limiti di una galassia in espansione di cui andrebbe redatta un’accurata fenomenologia. “Ipertesto” è termine coniato da Theodor H. Nelson negli anni Sessanta, e originariamente si riferisce a una forma di testo elettronico che si caratterizza quale scrittura non sequenziale – cioè un testo che si dirama e consente al lettore di scegliere differenti percorsi di fruizione; come preciserà negli anno Novanta Georg Landow nel suo celebre Hypertext, un ipertesto è una serie di brani di testo (costituiti da scritture, musiche, fotografie, video ecc.;) tra cui sono definiti dei collegamenti che consentono al fruitore differenti percorsi. Sono i collegamenti elettronici (link) che complessivamente creano un “testo” «non lineare o, propriamente, multilineare o multisequenziale». Rimane però il problema della differenza tra non lineare e multilineare, lasciata nell’ambiguità dai teorici dell’ipertesto: multilineare è infatti un rafforzamento, quantitativo, di lineare, così come multisequenziale è un rafforzamento di sequenziale; dunque se l’ipertesto è propriamente un testo multilineare, allora lungi dal rappresentare e sperimentare modelli di iscrizione, di scrittura o di pensiero non lineare, conferma e rafforza modelli consueti di produzione lineare. Da questo punto di vista, sia per il produttore sia per il fruito32

re dell’ipertesto non cambia sostanzialmente nulla rispetto alla lettura di un testo a stampa. Il fruitore avrà l’impressione di una maggiore libertà (il navigare...), e forse potrà trarre un peculiare piacere da tale sentimento (il dolce navigare...). Può non essere poco, anche se tale libertà è fittizia e imposta da una programmazione occulta e pervasiva. Del resto la figura del lettore creativo, del lettore più o meno cooperante o del lettore nel testo, connessa all’inesistenza del testo come cosa in sé, è un luogo comune della critica e può essere forse di qualche interesse aggiornarla alle strategie ipertestuali. Già consentendo al lettore di costruire nuovi collegamenti sia con materiali nuovi, sia all’interno dell’ipertesto costituito, si potrebbe per un certo verso accentuare la sua cooperazione. Circolando l’ipertesto in rete chiunque può, come di fatto avviene, contribuire alla sua espansione; così l’ipertesto diventa il termine di una sorta di crea-zione collettiva, con la relativa perdita di firma e di eventuali diritti autoriali. Tutto ciò però, si noti, non ha nulla a che vedere con un pensiero o una scrittura (sono due problemi) non lineari: un qualsiasi ipertesto, e specialmente un ipertesto narrativo, agisce in modo lineare: da un qualsiasi (programmato) punto (l’inevitabile “inizio”) partono connessioni causali che fanno proliferare trame, le quali possono svilupparsi verso una climax oppure, ovviamente, scegliere una differente strategia della dispositio. Da questo punto di vista i narratologi possono stare tranquilli: le vecchie categorie (fabula, narratio, plot ecc.) funzionano anche per l’ipertesto. La questione diventa solo più complicata perché l’ipertesto (in particolare l’ipertesto narrativo creato per la rete) realizza alcune possibilità, cioèalcunimondipossibili,consentitidaltesto.

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Da questo punto di vista si può dire che la costruzione di un ipertesto implica un’eccedenza di creatività rispetto alla costruzione di un testo, eccedenza che consiste nella costruzione dei collegamenti tra blocchi: l’ipertesto è quel testo in formato elettronico che contiene bottoni di collegamento, e pare (se vogliamo sfruttare una vecchia idea dell’estetica filosofica) che l’ipertesto sia tanto più creativo quanto meno i bottoni svolgono una mera funzione di utilità. Dall’eventuale punto di vista di una critica preoccupata del proprio senso, alcuni proble-

selezione, di congettura) che stanno alla base della pratica filologica, cioè dell’attuale struttura epistemica della disciplina. Da questo punto di vista non si tratta che di sfruttare al meglio, attenendosi a tali consuetudini, le possibilità permesse dall’ambiente elettronico. Altro è credere, per sfuggire alla possibilità dell’interpretazione illimitata del testo (quella che Eco chiamava “deriva ermetica”), accentuata dalla peculiare rizomaticità dell’ipertesto elettronico, che si possa far riferimento all’idea di comunità, autorevole, degli interpreti.

Come si può costituire un giudizio critico su un ipertesto? Come si può costruire una ‘buona’ edizione (che sia cioè ritenuta tale da un giudizio critico) ipertestuale di un testo a stampa? mi, certamente tra loro assai diversi, a questo punto si intrecciano: come si può costituire un giudizio critico su un ipertesto? Come si può costruire una “buona” edizione (che sia cioè ritenuta tale da un giudizio critico) ipertestuale di un testo a stampa? Come salvaguardare la dignità della critica in quell’immenso ipertesto in espansione che è internet, dove ogni sito, che a sua volta è un ipertesto, svolge funzione di lessia? Mi limito ad alcune rapide considerazioni, che non riguardano il problema della celebre usability, ma interessano il giudizio critico relativo a quella specie di ipertesti che hanno a vario titolo a che fare con la letteratura e la storia letteraria. Un conto è sostenere che la libertà dell’interprete-editore elettronico è vincolata dalla responsabilità di appartenere a una tradizione dell’editoria critica, la quale ha quelle consuetudini precise (quel minuzioso lavoro di ricostruzione, di confronto, di 33

Perché tale comunità dovrebbe essere “di esperti”? Non vedo ragioni: una comunità di interpreti si costituisce sulla base della convenienza delle interpretazioni, convenienza guidata per lo più da molteplici ragioni sociali, tra le quali l’“esperienza” mi pare tra le più deboli. Se una ipotetica, ed eventualmente formidabile per peso numerico, comunità di utenti di siti letterari conviene, per esempio, nel ritenere che il Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini di Mario Luzi sia una pessima opera (è un caso apparso agli albori della rete), quell’opera sarà effettivamente tale, almeno per tale comunità. Sarà poi molto difficile fare dialogare comunità di interpretanti, ognuna delle quali riterrà se stessa, ovviamente, autorevole. È comunque una questione di forza comunicativa. Il riferimento ad altri parametri, che non siano la forza della persuasione, che per lo più dipende dalle strategie comunicative,

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conduce alla credenza in una oggettività esistente e penetrabile del testo, anche se tale oggettività si traveste da intersoggettività ragionevole, e tale oggettività, nonostante le cautele, trascina con sé una filosofia della sostanza e del soggetto, ossia un’ontologia essenzialista e una gnoseologia realista. In altri termini: o si suppone che il testo abbia un significato individuabile, o no. Ora se per testo si intende un plesso di senso costituito da intentio operis, intentio auctoris, intentio lectoris, ovviamente è sufficiente che cambi una componente perché cambi tale senso, e non si vede come l’intentio lectoris possa rimanere stabile. Del resto, altrettanto ovviamente, o il testo è per un lettore, o è una mera cosa. Ma se è veramente arduo, o denso di presupposti, sostenere che un testo abbia un significato individuabile, addirittura garantito da una qualche intenzione (dell’autore, magari mascherato da categoria dell’interpretazione, o dell’opera: della “struttura” dell’opera), forse si può sostenere che il testo abbia un qualche significato i cui limiti sono assai sfrangiati eppure adatti a costituire comunque un confine. Sarebbe però da individuare (limitare, confinare, definire) l’idea di limite, confine, margine, e ci si troverebbe di fronte a problemi notevoli. E comunque, anche in questo caso, si dovrebbe supporre che un atto linguisti-

co, nel nostro caso una scrittura, dica un contenuto oggettivo. E che tale contenuto dipenda da un “voler dire”, da un’intenzione significante donatrice di un “senso”. Ciò comporta la restaurazione, ovviamente del tutto possibile, di una metafisica del soggetto (il “voler dire” o la buona volontà) e dell’oggetto (le cose che esistono “fuori” dalla lingua, oppure, che è lo stesso, le cose fissate nell’”oggettività” della scrittura). Certo può essere un programma, se assunto con consapevolezza, stimolante e coraggioso; si tratta comunque di preoccupazioni squisitamente filosofiche. C’è una ragione teorica, mi pare, che sollecita (ma a mio avviso non giustifica) tali preoccupazioni sostanzialiste: siccome il proprio dell’ipertesto, rispetto a un testo, è, come si diceva, il link, allora l’ipertesto tende a comparire come insieme di relazioni, anzi a essere questo insieme, esibendo, per dir così, l’insussistenza del suo nucleo. Da qui una reazione di difesa. Del resto tale novità è relativa: l’ipertesto non presenta un pensiero, né una scrittura, non lineari, la cui novità frantumerebbe le consuetudini della critica. Forse la critica potrebbe invece, con qualche profitto, valutare le specie del genere ipertesto in funzione della qualità dei collegamenti, della complessità delle mappe che costituiscono, della eventuale creatività che comportano.

Roberto Diodato Roberto Diodato insegna Estetica all’Università Cattolica del Sacro Cuore e alla Facoltà di Teologia di Lugano. Si è occupato del rapporto tra estetica e ontologia nell’età moderna e contemporanea e del rapporto tra estetica e nuove tecnologie. Tra i suoi libri: Vermeer, Gongora, Spinoza. L’estetica come scienza intuitiva (Bruno Mondadori 1997), Estetica del virtuale (Bruno Mondadori 2005), Percorsi di estetica. Arte, bellezza, immaginazione (Morcelliana 2009, con E. De Caro e G. Boffi), Estetica dei media e della comunicazione (Il Mulino 2011, con A. Somaini), Logos estetico (Morcelliana 2012).

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Buona la prima Storie di libri ed edizioni

JOE R. LANSDALE

“ LA SOTTILE LINEA SCURA” di Francesco Baucia

(2002)

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n anno fa il magazine “PreTesti” è stato tenuto a battesimo da un padrino d’eccezione: Joe R. Lansdale. Orgogliosamente abbiamo presentato al Festivaletteratura di Mantova il numero 0 della rivista con in copertina il faccione ammiccante di Champion Joe e all’interno un sapido racconto inedito che ci catapultava in poche pagine nel suo universo ironico e crudele. Dodici numeri dopo, abbiamo ritenuto doveroso rendere un omaggio al nostro beniamino parlando di lui in questa rubrica nella quale, di solito, presentiamo dei classici. Il fatto che il nostro tributo a Lansdale si trovi in queste pagine non è dunque un caso: sì, perché riteniamo che gli spetti, ormai di diritto, l’appellativo di “classico vivente”. E si badi, non è certo il nostro giudizio quello che conta. Vale la pena, ad esempio, tenere a mente quanto affermato dal suo principale traduttore in Italia, Luca Conti: “L’abilità narrativa e linguistica di Lansdale è ormai, da lungo tempo, un dato di fatto, ed è solo la pigrizia mentale, associata a una robusta dose di snobismo che contraddistingue i censori e i recensori ufficiali del nostro Paese, a impedire che il Nostro ottenga una buona volta il riconoscimento che gli spetta”, ossia quello di Scrittore con la “esse” maiuscola, non semplicemente di artefice di storie “di genere”. O ancora, non fa male ricordare quanto detto molto efficacemente da Niccolò Ammaniti: “Consiglierei a un analfabeta di imparare a leggere solo per poter conoscere Lansdale”. Lo scrittore texano, dotato di una personalità e di una vena creativa straripanti (ha scritto ro-

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suscitare come per incantesimo riso o pianmanzi a decine e racconti a centinaia, senza to, amore o paura, gioia o disperazione. contare sceneggiature per fumetti, graphic C’è poi una parte della sua opera, sempre più novels, film e cartoni animati), ha pagato consistente negli ultimi anni, che affonda le forse negli anni uno scotto troppo alto per radici nei grandi temi della tradizione letil suo eclettismo che, come spesso accade, teraria americana, proponendone allo stesviene ritenuto sinonimo di scarsa serietà so tempo una ripresa e un rinnovamento. artistica. Ma chi conosce l’opera di LansdaSi tratta di un filone inaugurato nel 2000 con le in modo non superficiale sa che Joe è un il romanzo The bottoms (In fondo alla palude), impareggiabile artigiano della parola, e che premiato con il prestigioso Edgar Award, e l’aureo e soffice equilibrio della sua proproseguito poi con A fine dark line (La sotsa, sospesa tra trasfigurazione della lingua tile linea scura, 2002), Sunset and sawdust parlata e narrazione classica, è il risultato (Tramonto e polvere, 2004), All di un attento lavoro. E poi, la the earth, trown to the sky (Cielo varietà dei temi e degli stili di sabbia, 2011) ed Edge of dark che fuoriescono come giochi water (Acqua buia, 2012). Sono di prestigio dal suo cappello storie di grande respiro, scritnon può certo essere un mote da Lansdale con nel cuore le tivo di svalutazione: è piutvoci dei suoi numi tutelari ditosto da considerare come un chiarati: Mark Twain, il capoblasone, un fiore all’occhiello. stipite del romanzo americano Lansdale si presenta ai lettoDisponibile su (secondo Ernest Hemingway), ri come mojo storyteller, e se www. cubolibri.it e l’amatissimo John Steinbeck. investighiamo il significato Da Twain lo scrittore texano della parola mojo scopriremo deriva l’umorismo salace e che l’epiteto è quanto mai azl’attenzione per il mondo dei zeccato. Si tratta di un termigiovani adulti, dal momento ne proveniente dalle credenze che molti dei romanzi qui cireligiose e folkloriche afroatati sono storie di formazione; da Steinbeck mericane dell’hoodoo, e indica un amuleto trae l’anelito al riscatto e alla giustizia, la composto da un sacchetto di tessuto contecompassione per i poveri e i diseredati, la nente una serie di oggetti magici, variabimeraviglia e il timore per gli scenari nali in base allo scopo che l’amuleto deve far turali, oltre all’ambientazione storica, che ottenere al suo possessore (può trattarsi di in molti casi coincide con gli anni Trenerbe, monete, ossa o altre parti di animali, ta e il periodo della Grande depressione. pietre). Non c’è dunque immagine più effiA tali elementi Lansdale combina altri temi cace di questa per rappresentare il lavoro di molto americani quali il mistero del male Lansdale: un insieme di elementi disparati e la perdita dell’innocenza, che spesso non (giallo, horror, fantascienza, avventura) racè solo lo smarrimento della purezza di un colti sapientemente da uno stregone della solo individuo, ma la comprensione della parola nel contenitore della pagina, pronti a

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malvagità che si annida in ogni consesso umano e in senso lato anche nella storia di una nazione. Il razzismo, ad esempio, è un argomento trasversale a molti racconti di Champion Joe, che lo affronta di petto da sincero democratico del Sud. È esemplare in questo senso il romanzo La sottile linea scura, alla cui vicenda principale fanno da contraltare ampi richiami alla violenza e alla segregazione razziale. Qui lo scenario slitta dalla Grande depressione di In fondo alla palude e Cielo di sabbia (tra gli altri) alla fine degli anni Cinquanta, epoca in cui certi conflitti sociali brucianti nella società americana erano tutt’altro che risolti. Il tredicenne Stanley Mitchell Jr, figlio del proprietario di un drive-in, si imbatte in un mistero sepolto nei cuori omertosi degli abitanti della cittadina di Dewmont, un enigma che coinvolge la morte brutale di due giovani donne. Stanley ne scoprirà i risvolti pagando un oneroso tributo per questo suo rito di passaggio all’età adulta, tanto che potrà affermare: “Dovevo aver sicuramente offeso gli dèi del male, dovevo aver fatto loro varcare di gran carriera la sottile linea scura

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che separa i misteri delle tenebre dalla realtà”. Sì, perché i mostri che Stanley credeva popolassero soltanto lo schermo del cinema di papà si annidano ancora più temibili nella vita di tutti i giorni, e lottare contro di essi a supporto del bene è un compito ancora più gravoso di quello dei supereroi. Proprio perché il cuore umano è fragile e “ingannevole più di ogni altra cosa” (frase biblica resa immortale dall’esergo di un altro grande romanzo americano del Sud, Altre voci, altre stanze di Truman Capote), e non può contare su poteri speciali, se non sulla sua innata capacità di darsi forza di fronte agli ostacoli. La sottile linea scura ci sembra dunque, per questa combinazione di tematiche tipiche e per una miracolosa felicità di scrittura che lo attraversa, il punto d’osservazione privilegiato non solo sul filone mainstream dell’opera di Lansdale, ma anche sull’intera sua produzione, se non addirittura su un vasto panorama di letteratura americana novecentesca che ne condivide le intenzioni e gli aneliti. Caratteristica, questa, che è senza dubbio capace di fare di un libro un vero “classico”.

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Sulla punta della lingua

Come parliamo, come scriviamo

Rubrica a cura dell’Accademia della Crusca

IL LINGUAGGIO SPORTIVO

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l linguaggio sportivo è da tempo sotto gli occhi dei linguisti. Un capitolo dedicato ad esso non può non comparire in qualsiasi manuale o compendio della lingua italiana del ’900. Perché tanto interesse? Prima di tutto, perché ne è coinvolto un numero considerevole di italiani: lo sport rappresenta uno dei consumi culturali più estesi e costanti (attraverso ben tre grandi quotidiani sportivi, fatto unico nel mondo occidentale, riviste, radio e tv locali e nazionali). Poi c’è l’interesse per il suo specifico carattere linguistico: i termini, le figure retoriche e espressive, tranne rari casi (ricordo G. Brera), non sono molto originali e creativi, ma possono sentirsi sulla bocca di persone che mai nella quotidianità (al di là di certi ruoli professionali) si esprimerebbero con tanta ricercatezza terminologica e con tanto slancio espressivo. Sono cliché che vengono ripetuti, provenienti soprattutto dagli sport più popolari, che influenzano l’interpretazione dei fatti. Il linguaggio sportivo (ls) è considerato un linguaggio settoriale. Gli fanno compagnia, fra gli altri, il linguaggio politico e giornalistico e, soprattutto, il linguaggio pubblicitario per la somiglianza nella formazione delle parole, nella “disinvoltura sintattica” (Beccaria), nel bagaglio retorico e nel ricorso alle iperboli. Si distin-

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di Enrico Paradisi

gue dai linguaggi tecnici (scientifici: matematica, fisica, economia, biologia ecc.), perché in essi i termini sono introdotti da precise definizioni e i loro denotata sono certi, non possono essere vaghi o ambigui. Qui la creazione dei termini è necessitata da esigenze referenziali (dare un nome a qualcosa che prima non esisteva o non si conosceva), più che da esigenze narrative e stilistiche. Semmai, dai linguaggi tecnici il ls riprende una certa stringatezza con forti ricorsi alle ellissi e alla nominalizzazione (ma queste gli vengono anche dalla sua diffusione per mezzo della stampa e degli altri media) e una connessione di parole prive di preposizioni subordinanti (tiro-gol, parata-salva risultato, tiro-cross, sfida-scudetto/retrocessione). Naturalmente, il ls è ricco di termini tecnici. Solo che essi sono parassitari del lessico comune. O meglio, i neologismi sportivi usano queste parole, adattandole e ravvivandole a nuova esistenza semantica (traversa, palo, area, volata, rovesciata, rigore, servizio ecc.). Alla base c’è l’esigenza di coprire il resoconto di una gara o di una esibizione in tutte le sue fasi e aspetti con una ricchezza terminologica che ricorda la dettagliata nomenclatura in uso in certe arti e mestieri. A differenza dei linguaggi tecnico-scientifici qui c’è meno rigore e univocità nella scel-

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ta: un sinonimo o un’espressione più vaga non compromettono la cronaca (mettere in rete o nel sacco, fare gol o rete, atterrare o fare fallo, trasformare o eseguire il rigore o il penalty o la massima punizione, sfiorare o fare la barba al palo, vincere in volata o allo sprint ecc.). Il rapporto tra lingua comune e linguaggio sportivo. È un reciproco dare e avere. Conosciamo tutti chi “è sceso in campo” in politica, chi “è entrato a gamba tesa” contro di noi, chi si è levato d’impaccio “rilanciando la palla”, quale scorrettezza di un collega “è stata una invasione di campo”. E chi non “ha fatto pressing” su una persona o non “ha abboccato alla finta” di un rivale, o non “è stato preso in contropiede” nella vita di tutti i giorni? Tra la lingua comune e il ls i confini sono sempre aperti e il contagio reciproco sempre attivo. I cliché terminologici e figurati del ls sono riproducibili a getto continuo, senza un grande intervento soggettivo di chi ne fa uso. Il ls può prestarsi perciò ad incanalare un pensiero acritico e di parte, soprattutto quando entrano in gioco i valori dell’identità e della supremazia nazionale (ma anche del campanilismo locale). Ma non sono i termini tecnici o le abusate metafore che portano la colpa del settarismo e dell’omologazione del pensiero della maggior parte dei tifosi. È il modo in cui è organizzato il discorso sportivo, che merita la maggiore attenzione dei linguisti, finora dediti soprattutto alla classificazione terminologica. In esso il non-detto può contare più del detto, quello che si fa intendere più di quello che si mostra, la connotazione più della denotazione. Concludo facendo solo qualche esempio.

Dire e non dire. Nel monitoraggio di un gran numero di radio/tele-cronache di partite di calcio sono state notate alcune “innocenti” variazioni nel racconto degli stessi episodi. Prendiamo il fallo calcistico decretato dall’arbitro. Un episodio che si ripete frequentemente durante una gara, ma che in certe posizioni e in certe fasi può risultare decisivo. A seconda che l’intervento scorretto venga subito dal giocatore italiano (I) o straniero (S), possono risultare le seguenti varianti descrittive (consapevolmente o no, non importa): I subisce il fallo: “I viene atterrato”, “S atterra I in area”. S subisce il fallo: “S cade/va a terra in area”. L’arbitro decreta un calcio di rigore o un’espulsione: “È fallo da espulsione, è rigore!”, se è a nostro vantaggio. “È fallo da espulsione, è rigore, secondo/a giudizio dell’arbitro”, se è a nostro svantaggio. Si tratta di inezie? Un verbo intransitivo invece del transitivo, un inciso metalinguistico. Cosa è successo? Apparentemente nulla di grave. La realtà effettuale non è stata tradita: non c’è dubbio che un giocatore, che viene atterrato, cade per terra e non c’è dubbio che è l’arbitro che prende ogni decisione nel corso della gara. Dunque il cronista è stato rispettoso dei fatti, la sua imparzialità è a tutta prova denotativa. Ma è a questo punto che l’analisi del discorso (ove lo si voglia) mostra la presenza di significati non esplicitati. (È chiaro qui quali siano). I più non notano, ma assorbono, queste innocenti variazioni linguistiche. Dunque, viene introdotta nella radio/tele-cronaca l’idea che la partita giudicata possa non coincidere con la partita effettuata

Tra la lingua comune e il linguaggio sportivo i confini sono sempre aperti e il contagio reciproco sempre attivo

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e che c’è sempre un altro punto di vista che può pretendere un’altra interpretazione rispetto a quella “decretata” (è ovvio che gli arbitri possono sbagliare, ma non è questo il punto). Il diritto all’interpretazione soggettiva di ogni evento sportivo, attraverso il discorso sportivo, può divenire nei tifosi più superficiali la predisposizione alla protesta e alla non-accettazione, quando i risultati sono negativi. Non scambiamo l’interpretazione soggettiva con la visione di parte. Nelle competizioni internazionali, quando le giurie non premiano gli atleti italiani (può succedere), “gli arbitri italiani sono i migliori del mondo” (addirittura!) viene ripetuto come un mantra dagli stessi giornalisti che, per il resto dell’anno, un giorno sì e l’altro pure, si dilettano a massacrarli, nei tele-processi e con articoli feroci, per i loro “incredibili errori”. La manomissione delle parole. Riporto il caso di una polemica recentissima. (La Nazione 13/8/12) Titolo grande: “Zeman esonera Conte: ‘Non deve allenare’”. Ma che cosa ha detto veramente Zeman? Mi baso sulle parole citate dal giornalista: “Credo che un tecnico che abbia una lunga squalifica non dovrebbe poter allenare”. Primo, Zeman non ha esonerato Conte (non avrebbe potuto, anche se avesse voluto: è la magistratura sportiva che esonera). Secondo, Zeman non ha detto che Conte non deve allenare. La descrizione indefinita “un tecnico che abbia una lunga squalifica” in logica-semantica viene rappresentata attraverso un quantificatore universale, cioè, “ogni/qualunque tecnico che…”. Questo quantificatore può essere reso vero (“soddisfatto”) da qualsiasi allenatore, non solo da Conte, che si trovi nella situazione di avere (avuto) una squalifica. Ammettiamo pure che Zeman pensasse a Conte. Ma non l’ha detto direttamente, come invece fa intendere il giornale.

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Terzo, il verbo epistemico “credo che” introduce un contesto opaco, cioè un contesto tale che il soggetto di “credo” non può assumere il valore di verità oggettiva della proposizione completiva/dipendente. E così deve essere inteso da tutti. Si dirà che i titoli non sempre corrispondono al testo dell’articolo, che i giornali enfatizzano i toni, per vendere di più. È proprio qui il punto. Nelle feroci polemiche seguite sui massmedia e nelle discussioni dei tifosi, quale versione delle parole di Zeman, quella autentica o quella “enfatizzata”, credete che abbia avuto il sopravvento? Il biscotto spagnolo. “Il biscotto”, di etimologia incerta nel senso figurato (accordo sottobanco da parte di alcuni per danneggiare un terzo; forse proveniente dall’ippica) ma di certissimo uso italiano, ha tenuto banco nei giorni del campionato europeo di calcio in tutti i media italiani sportivi e non. Alcuni giornalisti, cantori del “più grande biscottificio del mondo” (M. Travaglio), erano preventivamente sdegnati con gli spagnoli sospettati di farci indebita concorrenza sul mercato dei dolci contraffatti. Erano per lo più gli stessi giornalisti che da un mese andavano tutti i giorni riempiendo pagine e pagine dei loro giornali, per informarci dello stato miserrimo del calcio italiano: partite truccate, scommesse clandestine, finti gol e autogol, omesse denunce. Tutti erano sicuri, media e tifosi, che la Spagna “avrebbe fatto il biscotto” (si sa, ognuno giudica gli altri a partire da ciò che farebbe lui nelle stesse circostanze). Finì bene. La Spagna fece il risultato da noi auspicato. D’altronde, gli spagnoli erano sicuri di non poter competere con noi nel campo della fabbricazione dei biscotti, ma nel campo di calcio, sì. Eccome: 4 a 0 per loro nella finale.

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Anima del mondo Paesaggi della letteratura

SINTRA: L’ULTIMO RIFUGIO Una camera con vista per Wystan H. Auden, Christopher Isherwood e Stephen Spender

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volte, il fluire della Storia sembra rallentare, lo Spirito del Mondo prendersi una pausa dal suo eterno cangiare. Ciò avviene quando, dopo essere esplose in un evento traumatico, le forze vitali che sorreggono costantemente l’agire umano si affievoliscono rientrando nei binari di una cieca e arida quotidianità. È questa la situazione in cui l’Europa si trova dopo la fine della Prima guerra mondiale. Le macerie, i morti, la violenza sono alle spalle, il futuro assomiglia al piatto orizzonte che si osserva restando comodamente seduti sulla spiaggia, dove mare e cielo si sfiorano in armonia. Anche l’arte sembra provata dagli eventi. Venuta meno la forza dirompente delle avanguardie (ormai già “storiche”) essa cerca il compromesso, il suo volo è sempre più basso, scende a patti con la terra. L’osservatore attento però non si fa ingannare. L’energia spirituale, infatti, si accumula negli anfratti, nelle pieghe del mondo, preparandosi len-

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di Fabio Fumagalli

tamente, come il magma che cresce all’interno di un vulcano, a una nuova esplosione. La troviamo così in quelle figure che, pur non occupando il centro della scena, le sono tuttavia coessenziali. Si tratta di quei personaggi che la cultura ufficiale bolla come esuli, stranieri, diversi, quasi che affibbiando loro tali etichette possa prevenire il contagio del senso comune. Pochi nomi tra le due guerre mondiali possono avvalersi di tale onore. Christopher Isherwood, Stephen Spender e Wystan Hugh Auden sono i principali. Tutti e tre scrittori inglesi, tutti e tre omosessuali (“diversità” imperdonabile per l’epoca) e, infine, tutti e tre alla deriva, alla ricerca di un luogo impossibile in cui fermarsi per poter meglio riflettere sulla propria arte. Seguendo da vicino il loro incessante vagabondare per l’Europa nel corso degli anni Trenta ci ritroviamo a Sintra, cittadina situata a pochi chilometri da Lisbona, meta simbolica e, per certi versi, epocale nella vita di tutti e tre gli autori. Posta sul versante settentrio-

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nale della Sierra de Sintra, tra dirupi, boschi appartenente al gruppo di Bloomsbury, dee sorgenti, essa si presenta come un angolo scritto dal genero, l’editore Anthony Blond, di pace e di verde convertitosi nel tempo in come “il solo membro non celebre di una uno dei luoghi di ritiro favorito dai monarfamiglia famosa da generazioni”; e tanti alchi e dagli artisti di tutte le nazionalità. Le tri ancora. Circondati da simili personaggi, colline che la circondano sono solcate da inpian piano emerge l’alterità essenziale dei numerevoli stradine le quali, intrecciandosi tre scrittori, l’impossibilità di restare uniti le une con le altre, portano al Cabo da Roca, nella catastrofe. I contrasti tra loro, attraverun’impressionante scogliera di 140 metri di so la lettura del diario comune e della corrialtezza che, fronteggiando l’oceano, rapprespondenza privata, sembrano partire da episenta il punto più occidentale del continensodi di poco conto (come il diverso rapporto te europeo. Oltre si trova solo l’America, la con i rispettivi compagni, Heinz Neddermaterra promessa, l’“altro tempo” meraviglioyer e Tony Hyndman) ma, ben presto, si trasamente cantato da Auden. Ma non è ancosformano in conflitti che coinvolgono diverra il momento giusto se visioni del mondo. per attraversare l’At- “Qualunque sia la fede che La Storia ricomincia, lantico. Pur essendo infatti, ad accelerare. professano, tutti i poeti, in giunti al punto estreSi percepisce, prima mo dell’Europa, i tre quanto tali, sono politeisti” in maniera flebile poi scrittori intuiscono che sempre più marcata, lo Spirito del Mondo non ha ancora chiuso i l’accumularsi delle energie che da lì a pochi conti con il Vecchio Continente. Sintra, dunanni (siamo nel 1935) porteranno l’Europa que. Un mondo nel mondo. Qui, infatti, i tre nel baratro. L’artista si fa veggente, e il fugiovani artisti non si trovano per caso ma, al turo che gli si pone innanzi lo forza ad assudi là del simbolismo, perché vi è un numeromersi le proprie responsabilità. Qui i destini so gruppo di inglesi che, come loro, si sentodivergono, le strade si separano. Isherwood no stranieri in patria. Il Circolo di Sintra, mee Auden, avendo concluso alcune opere in ravigliosamente descritto nel diario comune collaborazione (tra cui ricordiamo lo splenche Spender e Isherwood decidono di tenedido dramma The Ascent of F6), partiranno re una volta giunti in Portogallo, comprenper l’America nel 1939, definitivamente esude una variegata schiera di figure che solo li e consci che “la poesia non fa succedere con un eufemismo si possono definire “straniente”. Stephen Spender, invece, scenderà ne”. Possiamo trovare Miss Mitchell, pronell’arena restando in Europa durante la prietaria di Alecrim du Norte, la villa in cui guerra e cercando costantemente e testardasoggiornano i tre scrittori, pittrice con una mente di ridefinire il ruolo dell’intellettuale passione per l’esoterismo e l’occulto; oppure impegnato. Nulla però sarà più come priLady Carrick e la sua compagna Miss Pearma. Come scrive Auden in uno dei suoi force, che vivono in una proprietà appartenuta midabili Shorts: “Qualunque sia la fede che un tempo a Sir Francis Cook, la cui moglie professano, tutti i poeti, in quanto tali, sono era la veggente e femminista Tennessee Cepoliteisti”. Molteplici agli occhi altrui, indeleste Claflin; Mary Norton, famosa scrittrice finibili a loro stessi. di libri per bambini; John Strachey, pittore 42

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Alta cucina Leggere di gusto

LA COLAZIONE DI SANTIAGO NASAR Cibi e destini in Gabriel García Márquez di Luca Bisin


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quale luogo del mondo c’è una donna che ell’agosto del 1950 il poco più prepara il suo spuntino secondo le istruzioni che ventenne Gabriel García arabe, cinesi o malesi”, la seconda scoperta Márquez, studente e giornalista ha piuttosto il segno di un turbamento inauil cui talento letterario è fino ad gurale e definitivo: quel tentativo d’infinito, allora consegnato alla pubblicazione di alcunel rifrangersi interminabile delle illustrani racconti e alla stesura, appena iniziata, del zioni l’una nell’altra, ha dovuto scontare suo primo romanzo Foglie morte, pubblica l’umiliazione del limite quando il disegnasul periodico “El Heraldo”, dove egli firma tore, giunto al terzo omino, ha interrotto la regolarmente con lo pseudonimo di Septiprogressione risolvendosi alla figurazione, mus la rubrica “La Jirafa”, una fulminanallusiva e deludente, di un “eccetera”. Cosa te riflessione sulla lattina d’avena “Quaker grave, nota García Márquez, perché “quanOats”: quella lattina, per García Márquez, è do i bambini scoprono l’eccetera e capiscono “il primo modo che un bambino trova per il segreto dell’etichetta terribile, si sentono penetrare nel mondo delle lingue”. All’insicuramente sull’orlo della pazzia”. differente consuetudine con cui la madre A riguardarlo dalla compiuta grandezza dei intenta a cucinare maneggia quella confesuoi capolavori, questo zione, nell’attenta deesercizio giovanile deldizione alla tempeLa preparazione lo scrittore rivela forse ratura dell’acqua, ai gastronomica che più da la profondità di un’intempi di cottura, alle procedure culinarie vicino lambisce il tragico tuizione che attende di affinché l’avena posdestino di Santiago Nasar venire svolta. Perché l’opera di García Mársa trasformarsi in una è certamente quella delle quez offrirà più di un minestra o una frittelfrittelle di yuca esempio in cui l’occala, il bambino oppone sione apparentemente infatti la meraviglia minima di una preparazione gastronomica di una duplice, fatale scoperta: quella delo lo scorcio appena intravisto di una cucina le diverse lingue in cui l’etichetta riporta indaffarata sembrano disporre il varco per gli ingredienti e le preparazioni, e quella l’irruzione di un destino, uno smarrimento, di un’illustrazione dove compare un omiun caso fatale. Così, in Cent’anni di solitudino che tiene nella mano destra un’etichetta ne, il “savio catalano” che ha abbandonato la “Quaker Oats” in cui, di nuovo, compare un decadente Macondo per fare ritorno al suo omino che ha in mano un’etichetta “Quaker villaggio natio in Catalogna, “sconfitto dalOats” dove, ancora, un omino ha in mano la nostalgia di una primavera tenace”, semun’etichetta in cui s’indovina appena un bra quasi indovinare il segreto turbamento omino che a sua volta… Se la prima scoperdi una ricetta scritta in più lingue diverse: ta innalza il bambino all’eccitazione delle quando, nelle notti d’inverno, facendo cuolingue, alla spensierata esplorazione delle cere nel camino quella minestra di cui sofparole che dicono diversamente la medesifriva la nostalgia nell’afa dei pomeriggi troma cosa, “senza preoccuparsi di sapere in

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brutalità risveglia in Santiago lo spavento di picali, si scopre improvvisamente afflitto da un minaccioso presagio, che dovrà avverarsi una nostalgia inversa, quella verso il caldo quando, dopo la sua uccisione, il suo corpo di Macondo e il sopore della siesta, finché subirà in quella stessa cucina la profanazio“stordito da due nostalgie opposte come ne di una improvvisata autopsia; il negozio due specchi” egli perde “il suo meravigliodi Clotilde Armenta, che fin so senso della irrealtà” e si piega dalle prime ore dell’alba venalla sentenza inflessibile che la de latte e generi alimentari ma memoria non ha vie di ritorno, dalle sei del pomeriggio si tra“che qualsiasi primavera antica è sforma in bettola, e più volte irrecuperabile”. accoglie i fratelli Vicario che, Ma è soprattutto in Cronaca di una già armati di coltelli, sono alla morte annunciata che sembra di poricerca della loro vittima deter riconoscere quasi una plastica signata – ma anche del coragrappresentazione del “segreto gio per adempiere al loro predell’etichetta terribile”: l’ignaro sunto obbligo o di un pretesto aggirarsi di Santiago Nasar lungo qualsiasi per poterlo onorevolle vie della cittadina di Mompox, mente scansare; la tavola dove nelle poche ore d’alba che sepaDisponibile su www. cubolibri.it il colonnello Lázaro Aponte, rano la sua uscita di casa dal suo alcade del paese, consuma la brutale accoltellamento di fronpropria colazione con umido di fegato cote alla porta di quella stessa casa, per mano perto di anelli di cipolla, prima di venire più dei fratelli Vicario che intendono così riscatvolte e inutilmente avvertito dell’imminente tare l’onore della sorella Angela Vicario, si esecuzione; la bottega del macellaio Faustisvolge infatti come il fatale compimento di no Santos che già alle tre del mattino apre il un “eccetera”, l’adempimento di un destino bancone delle trippe (per fornire tra l’altro il di fronte al quale siamo impotenti perché – fegato che servirà alla colazione dell’alcade), come annoterà il giudice istruttore durante e dove i fratelli Vicario si procurano le lame il processo – “la fatalità ci rende invisibili”. E rudimentali con cui daranno seguito al loro non è un caso, forse, che quella fatalità si diproposito. pani tutta tra i fumi e gli umori delle cucine e Ma la preparazione gastronomica che più da delle botteghe in cui gli abitanti di Mompox vicino lambisce il tragico destino di Santiadanno inizio alla loro giornata: la cucina delgo Nasar è certamente quella delle frittelle la famiglia Nasar, una stanza “enorme, con il di yuca che, nel romanzo, la madre del narsussurro del fuoco e le galline addormentate ratore sta preparando per la sua famiglia: sulle grucce”, che “pareva respirare col fiato invitato a gustarle per colazione, Nasar, che sospeso”, dove Santiago consuma “una gran ne è ghiotto, accetta volentieri, prima che la tazza di caffè rustico con uno schizzo d’alcol fatalità o il destino o l’ingovernabile spiradi canna”, mentre la cuoca Victoria Guzmán le di un “eccetera” lo conducano per le vie è intenta a eviscerare un coniglio gettandone del paese, a un passo dalla cucina dove stanle trippe ai cani – un gesto la cui ordinaria

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no prendendo forma quelle frittelle che egli non assaggerà mai e che, forse, gli avrebbero salvato la vita. Sia pure senza la minaccia di un destino brutale e, magari, in un’occasione più comoda che una colazione all’alba, le frittelle di Santiago Nasar sono facilmente replicabili da chi voglia assaggiare un piatto tipico della cucina caraibica. La yuca, o manioca, è una radice a tubero diffusissima in tutti i paesi dell’America latina dove viene impiegata in innumerevoli preparazioni sia dolci che salate, diverse secondo i vari paesi nel nome e nelle varianti. Le “carimañolas de yuca”, a cui fa riferimento García Márquez in Cronaca di una morte annunciata, sono una sorta di piccoli calzoni ripieni di carne e fritti. Per la preparazione della pasta, occorre sbucciare la yuca, tagliarla a pezzi e cuocer-

la in abbondante acqua salata, avendo cura però di ritirarla dal fuoco prima che cominci a disfarsi. Quindi si aggiunge l’olio e si procede a schiacciare la yuca con una forchetta o con uno schiacciapatate fino ad ottenere un impasto omogeneo. Per il ripieno, si prepara un soffritto di cipolla, aglio e peperone tritato, quindi si aggiunge la carne e il cumino, infine la passata di pomodoro. Si aggiusta di sale e si fa cuocere a fuoco medio. Terminata la cottura della carne si procede alla preparazione delle carimañolas: prelevare un pugno di impasto di yuca e lavorarlo con le mani fino a ottenere una forma tonda e schiacciata che andrà farcita con un cucchiaio di ripieno e richiusa su se stessa. Infine, si friggono le carimañolas finché siano dorate su entrambi i lati.

FRITTELLE DI YUCA RIPIENE (carimañolas de yuca)

Ingredienti per 4 persone: Per la pasta Yuca (manioca) 450 g Cucchiaini di olio 3 Cucchiaio di sale 1 Per il ripieno Tazza d’olio 1/4 Cipolla 1/2 Spicchi d’aglio 2 Peperone tritato 1 Carne macinata di vitello 450 g Cucchiai di pomodoro passato in scatola 2 Cucchiaino di cumino macinato 1/4 Cucchiaino di sale 1

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Non solo un “nome”: bisogna sempre onorare i debiti di fiducia

Recensioni

Il rumore dei baci a vuoto di Luciano Ligabue

C’è una certa tendenza dei grandi editori a scommettere e investire su libri di autori provenienti dal mondo dello spettacolo e un’altra tendenza a lasciare le attività di scouting dei giovani esordienti al mondo del self-publishing o della piccola editoria indipendente. Il 2012 è stato un anno abbastanza rappresentativo di questa duplice direzione che il mercato dell’editoria in tempo di crisi sta perseguendo. Francesco Guccini, Elton John, Pupo e Luciano Ligabue sono i nomi di cantanti che subito ci colpiscono fra i cataloghi dei libri pubblicati negli ultimi mesi. Chi con memorie, chi con autobiografie e chi invece con storie di pura finzione: ecco come gli artisti della canzone cambiano mestiere. Luciano Ligabue su tutti aveva già mostrato in passato poliedriche capacità espressive: si ricordaDisponibile su no i film Radiofreccia (1998) e Da www. cubolibri.it zero a dieci (2002) dei quali era stato regista; senza tralasciare la poesia di Lettere d’amore nel frigo (2006). Nell’aprile 2012 Ligabue è ritornato alla prosa con la serie di racconti Il rumore dei baci a vuoto uscita per Einaudi e in poche settimane già in vetta alle classifiche di vendita. Merito della notorietà dell’autore? O della recensione di Antonio D’Orrico apparsa sulla Lettura del “Corriere della Sera” a fine aprile 2012 nella quale il critico paragonava Ligabue a Raymond Carver? Partiamo dall’ultima considerazione: quanti lettori che si sono avvici-

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nati a Ligabue prosatore conoscono Raymond Carver? Non mi sentirei di sbagliare se dicessi molto pochi. Appare evidente allora che non può essere stato D’Orrico a far emergere Ligabue nelle classifiche di vendita. Dobbiamo quindi propendere per la prima considerazione: merito della notorietà dell’autore in altra arte. Ma il credito di fiducia che i fans del Ligabue musicale offrono al Ligabue prosatore non è senza motivo: credito sì al nome, ma l’opera ha un suo “perché”. Parlare di Raymond Carver italiano è esagerato (quanto inutile), ma sicuramente il Ligabue prosatore scrive bene o quantomeno la forma della sua prosa ricorda molto i ritmi dei testi delle sue canzoni. Ecco perché chi conosce il Ligabue musicale ci si ritrova. Ecco perché allora tanto successo anche in questo libro: quantomeno perché statisticamente il numero dei fans del Ligabue musicale è di gran lunga superiore al numero dei lettori forti del nostro Paese. E in fondo la prosa del Liga tale rimane: una canzone lunga quanto un libro, tredici storie quante possono essere contenute in un disco. Se così non fosse, infatti, se bastasse la semplice notorietà del nome a rispondere al credito di fiducia del pubblico, non pensate che anche l’omonimo Ligabue pittore (di nome Antonio) avrebbe goduto in parte del successo del Ligabue musicista (di nome Luciano)? (Luigi Orlotti)

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FESTIVALETTERATURA

Appuntamenti

di Mantova e gli altri eventi del mese FESTIVALETTERATURA DI MANTOVA Nei pressi di Mantova, nel 70 a.C., nacque Virgilio (chi non ricorda il suo celebre epitaffio: Mantua me genuit…?), il più grande poeta della latinità e uno dei massimi della storia universale. Ai nostri giorni Mantova, ogni inizio settembre, diventa la capitale della letteratura grazie al festival più amato dai lettori italiani e, se lo potesse sapere, il poe-ta ne sarebbe di certo felice. Specie quest’anno, dopo che la terra ha tremato infliggendo sofferenze e danni alle persone e alle meraviglie artistiche della città: mai dunque come nella presente edizione la risposta del pubblico sarà segnale, oltre che di passione per le “belle lettere”, anche di amore per la splendida città che offre loro asilo. La formula del festival risulta sostanzialmente invariata, ma perché cambiarla quando garantisce da anni costanti soddisfazioni? Si rinnovano ovviamente gli ospiti, che rappresentano un variegato catalogo del panorama letterario attuale, italiano e internazionale. Impossibile qui citarli tutti, ci limitiamo a fornire qualche piccolo suggerimento: il premio Nobel 1995 Seamus Heaney (che in qualità di traduttore dantesco apprezzerà di certo l’invito nella Mantova virgiliana), David Lodge, Lars Kepler, Claudio Magris, il premio Nobel 1993 Toni Morrison, Edgar Morin. Ricca anche la partecipazione di Telecom Italia, che per l’edizione 2012 moltiplica la sua presenza grazie a due differenti iniziative. In piazza Sordello, vero cuore del Festival, sarà allestito anche quest’anno uno spazio Telecom Italia che ospiterà la terza edizione di Tracce, un ciclo di 23 incontri con importanti scrittori come, fra gli altri, Andrej Longo, Simonetta Agnello Hornby e Laura Boella. Ma la grande novità di quest’anno è Scrittorinellarete, un ciclo di 8 incontri con grandi autori internazionali selezionati dal programma principale di Festivaletteratura – Massimo Gramellini, Joe R. Lansdale, Luciano Ligabue, Claudio Magris, Melania Mazzucco, Zygmunt Bauman, Carlo Lucarelli e Natalia Aspesi – trasmessi in streaming live e on demand su telecomitalia.com, offrendo così un nuovo modo di essere presenti a Festivaletteratura: delocalizzato, fatto di partecipazione, dialogo, interazione in tempo reale con i suoi autori. Vale inoltre la pena di ricordare l’iniziativa delle “biblioteche circolanti”, due bus che porteranno in giro per la città, ai lettori che troveranno sul loro cammino, le bibliografie essenziali scelte da quattro autori ospiti:

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Alberto Manguel, Massimo Recalcati, Claudio Bartocci e Marco Romanelli. Per più esaustive informazioni sulle location, i costi dei biglietti e per scaricare il programma completo degli eventi rimandiamo al sito del festival: www.festivaletteratura.it. Dal 5 al 9 settembre PORDENONELEGGE “Ci siamo ripromessi di non parlare della crisi economica”, scrivono i curatori della Festa del Libro con Autori, nell’invito presentato sul sito della manifestazione. Non per sfoggiare un atteggiamento snob, ma per evitare di cadere nella retorica vittimistica ostentata (anche se spesso a ragione) dagli operatori culturali. Perché c’è forse qualcosa che, più della cultura, deve continuare a resistere, anche nei momenti bui? Così, sia fatto largo al dialogo, all’incontro, alla curiosità e alla libertà della conoscenza. È questo insomma l’obiettivo che vuole rilanciare la kermesse ospitata nella città friulana. E nel mare in tempesta dei nostri tempi, sarà dolce lasciarsi guidare dalla Mappa dei sentimenti (una delle proposte più interessanti di Pordenonelegge) tracciata da importanti autori italiani: Gianni Biondillo parlerà della felicità, Donato Carrisi dell’amore, Giorgio Faletti della speranza, Marcello Fois dell’invidia, Massimo Carlotto dell’amicizia ecc. È possibile qui, tuttavia, tracciare solo un profilo orizzontale del continente ricchissimo rappresentato da questo consolidato festival. Per gli esploratori più curiosi, che ne desiderano una mappa dettagliata, suggeriamo di connettersi al sito www.pordenonelegge.it. Dal 19 al 23 settembre WOMEN’S FICTION FESTIVAL Si sta chiudendo l’estate che sarà ricordata dai bibliofili per il caso letterario delle Cinquanta sfumature sexy-chic di E.L. James. Quale sarà la prossima sorpresa editoriale che ci riserverà la narrativa al femminile? Potremo forse scoprirlo grazie a questo festival, evento unico nel suo genere in tutta Europa. Nato da un’idea di Elizabeth Jennings, Maria Paola Romeo, Mariateresa Cascino e Giovanni Moliterni, il Women’s Fiction Festival di Matera, che si avvale della collaborazione di Harlequin Mondadori, propone un ricco programma che comprende un congresso internazionale riservato agli autori, master class di scrittura ed editoria, incontri con editor e agenti, oltre a presentazioni di libri e concorsi letterari. Per ulteriori informazioni, si consulti il sito www.womensfictionfestival.com Dal 27 al 30 settembre

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Tweets @geron1mus ra Cioè davvero stiamo anco qui a parlare del profumo dei libri?

@mfioretti_it uno dei cambiamenti degli e ebook: non c’è più ragion essere per cui una storia debba lunga 350 pagine.

@alebegoli comunque @gluca ieri sera mi ha dato l’ispirazione, l’ebook di Natale quest’anno sarà “5 0 sfumature di buonsenso in ret e”.

@TheGoodG digitale Quanto più tutto diventa fermo mi e multimediale tanto più ccare innamorato in libreria a to oio. copertine e agendine di cu

@Jovanz74 ... Ritrovata l’Agenda Digitale lla de era in un cassonetto . differenziata... per la carta

@Blowersda

ug

hter #FestivalDe llaLetteratu ra ready? Sto g ià segnando gli incontri d’interesse ;)

Bookbugs

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Settembre 2012 • Numero 9 • Anno II Registrazione Tribunale di Cagliari N. 14 del 09-05-2012 ISSN 2280-6385 Telecom Italia S.p.A. Direttore responsabile: Daniela De Pasquale Direttore editoriale: Roberto Murgia Coordinamento editoriale: Francesco Baucia Direzione creativa e progetto grafico: Fabio Zanino Alberto Nicoletta Redazione: Sergio Bassani Luca Bisin Fabio Fumagalli Patrizia Martino Francesco Picconi Progetto grafico ed editoriale: Hoplo s.r.l. • www.hoplo.com In copertina: Andrea Vitali • Foto di Leonardo Cendamo L’Editore dichiara la propria disponibilità ad adempiere agli obblighi di legge verso gli eventuali aventi diritto delle immagini pubblicate per le quali non è stato possibile reperire il credito. Per informazioni info@pretesti.net

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