PreTesti • Occasioni di letteratura digitale • Marzo 2012 • Numero 3 • Anno II

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pretesti Occasioni di letteratura digitale

Cin cin

di Camilla Baresani

La non contemporaneità contemporanea di Marina Cvetaeva di Laura Boella

Questa casa senza ricordi che nascerà per noi di Edith Piaf

L’ultima freccia di Massimo Lugli

Marzo 2012 • Numero 3

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I TUOI LIBRI SEMPRE CON TE E UN’INTERA LIBRERIA A DISPOSIZIONE APERTA 24 ORE SU 24!

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Editoriale Questo numero lo dedichiamo a tutte le donne, quelle del giorno dopo la festa della donna. Le coinquiline di questo mondo, straordinarie scrittrici, poetesse, intellettuali, manager, attrici, cantanti, compagne di viaggio alle quali dobbiamo sempre il grazie di una fiducia senza condizioni, e che pertanto sanno essere anche terribili custodi della loro bellezza. Nelle pagine seguenti scoprirete una storia inedita di Camilla Baresani, la poesia elegante di Marina Cvetaeva nel saggio di Laura Boella, le inedite parole d’amore di Edith Piaf, le tendenze degli acquisti di ebook nell’indagine di Daniela De Pasquale, la nostra lingua che cambia con Matilde Paoli dell’Accademia della Crusca (presieduta, tra l’altro, da una donna, la professoressa Nicoletta Maraschio). E poi ancora il racconto di Massimo Lugli, l’evoluzione degli acquisti digitali con Roberto Dessì, la prima edizione di Lolita con Luca Bisin, la città di Milano con Francesco Baucia e la mamma che non c’è più di Massimo Gramellini, il cui ultimo libro ci ha commosso a tal punto da farci venire voglia di dedicare proprio a sua mamma questa festa. Tutti insieme, uomini e donne. Con le nostre debolezze e le nostre solitudini, perché nessuno è migliore di un altro, ma semplicemente unico e irripetibile anello di una catena umana che si tiene insieme anche grazie alla letteratura. Quella letteratura che ci insegna che nessuno è maestro di fronte alla vita. Quella letteratura che viene dalla vita e dal momento che tutti dobbiamo la vita a una donna, non possiamo far altro che augurarci che anche la letteratura abbia a cuore le donne. Così le vogliamo festeggiare! Buoni PreTesti a tutti. Roberto Murgia

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Indice

Testi

Il mondo dell’ebook

Rubriche

05-11 Racconto Cin cin di Camilla Baresani

28-33 Chi dice eBook dice donna? di Daniela De Pasquale

37-39 Buona la prima Vladimir Nabokov “Lolita” (1955) di Luca Bisin

12-18 Saggio La non contemporaneità contemporanea di Marina Cvetaeva di Laura Boella

34-36 Da mattone ad html, la libreria diventa virtuale di Roberto Dessì

40-43 Sulla punta della lingua Italia(no) in crisi? Tutta colpa dello Spread! di Matilde Paoli

19-22 Anticipazione Questa casa senza ricordi che nascerà per noi di Edith Piaf

44-46 Anima del mondo Straniero nella propria città di Francesco Baucia

23-28 Racconto L’ultima freccia di Massimo Lugli

47-51 Alta cucina Il cuoco-sciamano di Francesco Baucia 52 Recensioni 53 Appuntamenti 54 Tweets / Bookbugs

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Racconto

CIN CIN di Camilla Baresani

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I

nalisti del settore life style, cioè belle case, ncontro in treno Clara, una mia ex begli arredi, grandi alberghi e beauty farm compagna di classe. Già un miracolo – insomma, esperti di tutto quello che doriconoscersi. Io non ho perso neanche vrebbe rendere esteticamente corretta la vita un capello da allora, però ce li ho tutti dei ricchi ‒, si vola a Pechino, a spese di un bianchi, e il mio corpo è raddoppiato. Lei consorzio di mobilieri. Dobbiamo prendeè simile a com’era in quegli anni, le donne re coscienza dei meravigliosi progressi del si curano di più rispetto a noi maschi, ma design italiano in terra cinese. E al ritorno comunque ha le zampe di gallina e i capelli scriverne, tentando di infondere ottimismo tinti. Mantova, Liceo Virgilio, maturità 1981. produttivo nei nostri connazionali avviliti Poi, più visti né sentiti. Trent’anni di estrada un decennio di crisi economica. Ingoloneità. E sì che abitiamo entrambi a Milano. sirli a cambiare arredi di Lei fa la scrittrice e ogni casa, fargli credere che tanto ne sento parlare. Io vivono nel migliore dei il giornalista e lei non lo mondi produttivi possisapeva. Già questa sarebbile, e tutto questo grazie be una prima sconfitta. ai cinesi, i rampanti ciMa niente… Siamo, io e nesi che desiderano solo lei, sul treno Alta Velociriempirsi le case di sedie, tà Torino-Milano. Per via lampade, piastrelle modella caduta di un cavo saico, sanitari e docce efdell’alta tensione restiafetto-cascata prodotti in mo bloccati nella campaA Clara viene in mente Italia. Evviva. gna ‒ risaie a destra, ridi farmi raccontare saie a sinistra ‒, e a Clara una bella storia di All’arrivo mi fa tutto viene in mente di farmi fallimento: quale sia schifo. Ma la colpa è del raccontare una bella storia di fallimento: quale stata la mia sconfitta cielo. Alle 3 del pomeriggio è buio e sporco, come sia stata la mia sconfitta più bruciante una massa di fango che più bruciante. Sarà per il anziché starti sotto i piedi ti incomba sulla fatto che è una sconfitta fresca fresca, o pertesta. Penso che i 50 microgrammi al metro ché lei è una scrittrice ‒ cioè un’esperta di cubo di PM10 che ammorbano l’esistenza fatti altrui, come gli psicanalisti ‒, o per via di noi milanesi, ai cinesi devono sembrare delle risaie che evocano scambi con l’Orienaria di montagna. Come fanno a vivere così te, be’, finisce che vuoto il sacco, all’imbruoppressi dalla mancanza di luce e aria? Nel nire, in uno scompartimento di prima claspercorso dall’aeroporto all’albergo, interrose semivuoto, e le racconto il mio bruciante go la ragazza italiana che è venuta a prenfallimento cinese. derci con l’autista. ‒ È sempre così il cielo a Pechino? Come fai “Tutto inizia meno di un anno fa. Ottobre. a sopportarlo? Con una delegazione di sette italiani, gior-

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che non so cosa sia, ma sul nostro program‒ Non ci faccio caso. Lavoro e basta. Non ho ma è scritto così. Esco dalla stanza e…. tempo per il paesaggio. Sto sempre chiusa Il cielo si è trasformato, me lo ritrovo terso, negli showroom. di un azzurro carico, paradisiaco, addirittuLa ragazza è a Pechino da un anno per orra squillante. Un sovvertimento totale, che ganizzare l’avviamento di quattro concept mi riempie di stupore e allegria nonostante store di mobili italiani. Parla a macchinetlo stomaco vuoto. Salgo sul pullman, saluto ta di oggetti di design e dello straordinario i colleghi, saluto una ragazza cinese che mi successo che incontrano in Cina. Il problesaluta. È seduta accanto a me. Molto sottima sono le copie. È fondamentale spicciarsi le, per fortuna, perché, a vendere i mobili come vedi, già da solo in giacenza, perché occupo quasi un posto rischi di trovartee mezzo. Si presenta: li contraffatti nei “Sono Margherita, la negozi di mezza vostra interprete. Vi Cina, a un decimo accompagnerò nelle del prezzo. Rinnotappe di questa espevare continuamenrienza cinese,” dice con te i modelli, ecco le tipiche elle cinesi al cosa bisogna fare. posto della erre. MalArriviamo al Bamghelita, la vostla inboo Hotel, e si mettelplete, espelienza… te a piovere come Si presenta: così da ora in poi, fino in Blade Runner: “Sono Margherita, alla fine di questa stofitto, grigio, incesla vostra interprete. ria, senza che stia più sante. Almeno due Vi accompagnerò nelle a segnalartelo. Però, di noi cominciano già a provarci tappe di questa esperienza questo stupido dettacon l’italiana. La cinese,” dice con le tipiche glio, questa incapacità invitano a spasso, elle cinesi al posto della erre cinese di pronunciare le erre, come nei fumeta cena, in camera ti e nei cartoni animati quando c’è di mezzo per darle i giornali portati dall’Italia. La soun cinese, be’ mi mette di un buon umore lita sindrome “rappresentante di commercio inimmaginabile. alla convention”. Io mi considero immune, e Margherita distribuisce a tutti noi, con una li guardo con un senso di noia e imbarazzo. specie di sorriso teneramente stereotipato e un accenno di inchino, il suo biglietto da viLa mattina mi alzo e mi lavo di malumore sita. È celeste, con il suo nickname italiano perché sono già un po’ in ritardo. L’appune, sotto, il vero nome cinese. Chen Xiuwen. tamento è alle 8: visita alla Città proibita, E-mail e qualifica professionale (“interprete pranzo con imprenditori cinesi e italiani, per lingua italiana e inglese”) completano i visita di showroom e cena all’Art District –

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dati del biglietto. Né telefono né indirizzo. Tutti ci precipitiamo a consegnarle i nostri biglietti, e Schipani, di House & Life, le spiega ‒ ti riferisco le parole esatte che usa ‒, le spiega che il nostro lavoro è scrivere e divulgare “i piccoli piaceri che impreziosiscono la vita”. E io provo vergogna. Piccoli piaceri che impreziosiscono la vita! Una definizione più kitsch era difficile inventarsela. Ma poi vedo che Margherita sorride, e forse non ha capito il contesto mentale che sta dietro la scelta di parole simili. Del resto, il linguaggio è il principale fattore di incomprensione tra esseri umani: ognuno dà un valore diverso alle parole, anche quelli che parlano la stessa lingua, figuriamoci cosa può succedere tra una cinese e un italiano. Comunque inizia tutto da quella vergogna bruciante, dalla presa di coscienza di dove si sia andato a infilare il nostro decadente mondo occidentale. Una sensazione violenta, devastante ‒ guarda che non scherzo. Come se, di fronte a una cinese, avessi provato una specie di senso di colpa per le stupidaggini di cui è fatta la nostra vita di europei decadenti. E contro quel fesso di Schipani, in opposizione a lui, mi sento all’improvviso vincolato a Margherita. Naturalmente, nel corso della settimana cinese la cosa monta, cresce dentro di me e anche in lei – ma questo te lo spiego dopo. Cresce, ma è già un’emozione forte sin dall’inizio. A partire da quel momento sono solo un uomo che arranca, arranca dietro a lei, nel sottopasso tra la piazza Tienanmen e l’ingresso della Città Proibita, fra i fumi d’in-

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censo del Tempio dei Lama. Sono perennemente impegnato nel tentativo di sedermi accanto a Margherita, al ristorante, nel pullman, nella saletta conferenze di un qualche mobiliere di Lissone. Le chiedo di tutto, lei, la Cina, lei, la Cina… non perdo una risposta nemmeno quando le domande gliele fanno gli altri. Le faccio anche domande intime, mentre camminiamo. Sei fidanzata? No. Sei sposata? No. Vuoi sposarti e fare bambini? No. Non vuole niente, tutto il contrario dell’idea che mi sono fatto sui cinesi, sulle cinesi. Dopo decenni di divieti, di figli unici, non sogna né il matrimonio né una famiglia numerosa. Pensa che siano una fregatura. Lei vuole lavorare e far carriera. Ah, vorrai sapere se Margherita è bella. A modo suo sì, benché di una bellezza tutta diversa dalla nostra. È – direi ‒ graziosa. Anzi: piena di grazia. Io mi incanto a guardarla. È radicalmente priva di volgarità. Ma andiamo avanti. Al quarto giorno, due prima di ripartire, mentre ci arrampichiamo lungo i ripidissimi gradoni della Grande Muraglia, col fiato mozzo per la fatica e il vento contrario, nella fiumana ascendente e discendente di turisti cinesi, riesco a sfiorarla ripetutamente. La stringo, come per non perderla e non farmi inglobare da qualche altro gruppo di gitanti. E la accarezzo. E lei reagisce. Cioè: non si ritrae. Probabilmente si spinge contro di me, mi cerca. Ce l’ho fatta. Cioè: penso di avercela fatta. Gli ultimi due giorni li vivo ormai posseduto. Di lei mi eccita ogni dettaglio. Come poggia i piedi per terra, per esempio: in fretta ma con armonia. È un’aliena ma ha tutti gli elementi di femminilità primordiale che ogni uomo ha sempre sognato.

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Torno a Milano e sono in trance, una trance operosa. Nel senso che, anziché scrivere delle meraviglie del design italiano in Cina, scrivo a Margherita dieci, venti volte al giorno.

È elegante, è seria, ma quando sorride… è la dea di un’altra religione. E io voglio convertirmi. Insomma, finisce la settimana e bisogna tornare in Italia. Il penultimo giorno, accanto al camerino di una sartoria dove mi sono fatto fare una giacca, ci abbracciamo strettissimi e la bacio, vicino alla bocca, non proprio sulla bocca perché lei si gira, e però mi stringe con una forza che non le puoi sospettare e le dico che la amo, che la amo e che la voglio, e che farò il possibile per rivederla presto. ‒ Mi ami anche tu? ‒ le chiedo. Niente, non risponde ma sorride. Forse non ha capito. Glielo richiedo. Non risponde e sorride. Mi stringe. Sarà così perché è cinese, mi dico. Sono irretito. Forse nessuno dei due capisce niente dell’altro. All’aeroporto di Pechino, Margherita scende con noi, e, prima che se ne torni in città, andiamo ad abbracciarci in

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una nicchia vicino agli imbarchi. Tutto finisce, mi dico pieno di strazio, rimpianto e sollievo. Perché lo capisco anch’io che se vivi a Milano con moglie e tre figli non puoi innamorarti di una ventiseienne cinese che abita a Pechino. Torno a Milano e sono in trance, una trance operosa. Nel senso che, anziché scrivere delle meraviglie del design italiano in Cina, scrivo a Margherita dieci, venti volte al giorno. Non le telefono mai, benché lei mi abbia dato il suo numero di cellulare: temo fraintendimenti, interruzioni della linea, imbarazzi… insomma, le scrivo mail interminabili. E lei risponde. Poche righe, amorose come nelle lettere dei bambini al papà e alla mamma. Del resto, non è la sua lingua. Dopo due mesi, riesco a infilarmi nel viaggio di una delegazione di imprenditori di componentistica per auto. Questa volta, an-

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ziché Pechino, si va a Chongqing, “la città più grande del mondo”, 35 milioni di abitanti. Io Chongqing non l’ho mai sentita nominare, ma fa lo stesso. Con un colpo di ingegno riesco a far ingaggiare Margherita come interprete. Non ci danno lo stesso albergo, purtroppo, ma già prefiguro lei che dorme da me o io da lei, con uscita furtiva dalla camera all’alba, per non creare imbarazzi e dicerie. Arrivo, e scopro di essere nella città degli sputi. Tutti scaracchiano e sputano a più non posso, anche sul pavimento dell’aeroporto, anche il taxista, fuori dal finestrino mentre guida. Ma non importa. Tutto è grigio, di un caldo umido inquinato, ma non importa. Non ci sono fiori ovunque come a Pechino, ma non importa. I palazzoni sono nuovi e già scrostati, oppure in costruzione seriale, ma non importa. La polvere dei cantieri riveste tutto, ma non importa. La moquette dell’albergo puzza in modo infernale, ma non importa. Lei è felice di rivedermi, io sono felice. Lei viene nella mia camera e ci baciamo e ci abbracciamo stretti. Non la forzo. Non facciamo l’amore; lei resta mezz’ora, poi se ne va. Visitiamo una fabbrica di componentistica. E lei mi accarezza vicino a una toilette. Mangiamo teste d’anatra e grugni di maiale a un banchetto sotto uno stuolo di grattacieli. E lei mi stuzzica e ride del mio orrore. Viene nella mia camera. Di nuovo, mi bacia, mi stringe. Quando cerco di farla sdraiare sul letto, si irrigidisce. Le sfioro il seno. Mi scosta la mano. Cerco di non forzarla ma siamo al terzo giorno di quattro. E comincio a disperarmi.

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Mancano 24 ore. Ancora una notte ed è finita. Dopo che ci siamo baciati a lungo, accanto allo stanzino delle scope di uno Starbucks, le chiedo: come fai a resistere, non stai male dalla voglia di fare l’amore? E glielo chiedo convinto che questa volta sia decisiva. Che raggiungerò in taxi il suo albergo o lei il mio e dormiremo insieme, faremo l’amore tutte le volte che mi riesce, per ore. ‒ Se non l’abbiamo fatto significa che non ne ho voglia. E non c’è nemmeno una erre pronunciata elle, non posso nemmeno far ridacchiare confidenti e amici raccontandogli la mia dabbenaggine e facendole il verso. Se non l’abbiamo fatto significa che non ne ho voglia. Niente, me ne sono andato. Ognuno per la sua strada, cioè lei a una fermata d’autobus e io a piedi verso l’albergo dalla moquette puzzolente; lei con la sua camicia elegante che trabocca dalla giacca e io con un sorriso morto e defunto, dimenticato sulle labbra dal giorno in cui l’avevo conosciuta. Clara, dimmi, cosa voleva quella donna da me? Soldi, regali, possibilità? Non mi ha mai chiesto niente. Era curiosa dei baci, solo di quelli? Mai sentito nulla di simile. La verità è che io credo di essermi innamorato di una marziana. Niente: torno a Milano e dopo qualche giorno di tormento e offesa non resisto e le scrivo. Le scrivo che la amo, che possiamo riprovarci, che le offro una vacanza in Italia, che se il problema è che ho famiglia possiamo parlarne, la vita con loro è solo formale e voglio ricominciare da capo, con lei. Lei risponde, dice che mi ama anche lei, ma tace sulle mie proposte. Insomma: si ricomin-

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cia, penso. Di nuovo ambiguità e strazio. E poi… poi mi dimentico di spegnere il computer, mia moglie entra nella mia casella di posta, e tu credi che impazzisca di gelosia, che mi implori di rinsavire e cose simili? Niente di tutto questo. Mia moglie mi confessa che ha una storia con un uomo d’affari di origine cinese ma nato in Italia, uno che vive a Bologna, un sanguemisto di madre italiana! E poi cosa fa? Solidarizza, quasi mi paga il biglietto in business class perché torni da Margherita,

perché lei, dal momento che anch’io amo un’altra, lei che si era fatta scrupoli a lasciarmi perché mi credeva tutto d’un pezzo e diverso dagli altri buontemponi cornificatori, be’ non ci crederai… perché la mia vera sconfitta non è con Margherita, la vera sconfitta è con mia moglie, che ne approfitta e mi lascia e si trasferisce a Bologna dal suo Luigi Yen Zhou – si chiama così ‒, coi tre figli e tutto quanto. E insomma, mia cara, dimmi sinceramente: ti puoi immaginare un fallimento peggiore di questo?”. •

Camilla Baresani Camilla Baresani è nata a Brescia. Ha esordito nella narrativa con il romanzo Il plagio (Mondadori 2000; Bompiani 2006), seguito da Sbadatamente ho fatto l’amore (Mondadori 2002; Bompiani 2011). Per Bompiani ha pubblicato nel 2003 il saggio Il piacere tra le righe, nel 2005 il romanzo L’imperfezione dell’amore, nel 2006 TIC. Tipi Italiani Contemporanei (con Renato Mannheimer) e nel 2010 il romanzo Un’estate fa. Con Allan Bay ha scritto La cena delle meraviglie (Feltrinelli 2007). Collabora con “Sette”, settimanale del “Corriere della Sera”, e con “Il Sole 24 Ore”. I suoi libri L’imperfezione dell’amore, Sbadatamente ho fatto l’amore e Un’estate fa sono disponibili in ebook da Biblet. Disponibile su www.biblet.it

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Saggio

Marina Cvetaeva

LA NON

CONTEMPORANEITÀ CONTEMPORANEA DI MARINA CVETAEVA Comprendetemi nella mia posizione solitaria (alcuni mi considerano ‘bolscevica’, altri ‘monarchica’, altri ancora – l’una e l’altra cosa – e tutti – fuori bersaglio) – il mondo va avanti e deve andare avanti: io invece non voglio, non MI PIACE, ho il diritto di non essere contem­po­ranea a me stessa, giacché se Gumilev dice: Sono cortese con la vita d’oggi… Io con lei sono sgarbata, non le faccio oltrepassare la mia soglia, la getto giù – semplicemente – dalle scale.

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di Laura Boella

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L

a poesia di Marina Cvetaeva non fu mai consolazione o fuga dall’epoca o dalla società: contro l’epoca e contro la società fu immersione e sfida nell’immensa e terribile contemporaneità della Russia del ʼ900. Contemporaneità per la russa Marina Cvetaeva fu la rivoluzione – con tutto ciò che la precedette e tutto ciò che la seguì: rivolgimento politico e culturale, annunciatosi già all’inizio del ʼ900 con l’abbandono dello stile di vita borghese aristocratico e la fine di una cultura e di una tradizione letteraria, precipitato con la guerra e la rivoluzione bolscevica, la povertà e l’esilio. Nessuna più di Marina Cvetaeva poteva prendere sul serio la rivoluzione. Il suo modo di sentirsi poeta aveva molto a che fare con le forze barbariche, eroiche della rivoluzione, con il suo irrompere nella vita dei singoli con la furia distruttiva, carica di novità e di ignoto, che Kleist, all’epoca della rivoluzione francese, rappresentò nella Pentesilea che irrompe nel campo degli Achei. Eppure Marina Cvetaeva si sentì non contemporanea rispetto alla sua epoca, fu in disaccordo sia con i rivoluzionari in politica, sia con i rivoluzionari in letteratura. L’interesse della sua posizione sta nel fatto che essa non è riducibile all’antitesi tra vita storico-politica e vita poetica. È vero che la tensione tra il vivere e la vita, tra il quotidiano e l’eterno, tra banalità e ispirazione, nutre la sua poesia. Ma essa diventa una forza di straordinaria efficacia per entrare dentro il suo tempo, il tempo della rivoluzione, per esserne la cronista che dice tutto, cioè dice la verità. Più che un divario, quelle tensioni producono movimenti sismici e ampi spostamenti nei diversi, solidissimi strati corrispondenti

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Vladimir Majakovskij

alle vaste coordinate del mondo di Marina Cvetaeva. In primo luogo c’è la Russia, il mito esotico degli intellettuali europei e in particolare tedeschi degli anni ’10 e ’20, che vedevano il paese di Tolstoj e di Dostoevskij come un’India avvolta nella nebbia, un Oriente che non è segnato sulle carte geografiche, e che la stessa Marina Cvetaeva vive come estremo confine terrestre il cui volto viene definitivamente mutato dalla guerra e dalla rivoluzione. Quindi c’è la Germania di Kant e di Goethe, amata da una donna di formazione “classica”, di vasta ed eccellente cultura (parlava e leggeva correntemente il tedesco e il francese). Ci sono ancora il mito e la Bibbia, il folclore popolare e infine la natura, le selve boeme, la montagna capace di ricomparire nel mezzo della metropoli, a Parigi durante l’esilio, nella vecchia casa “non

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costruita, bensì scavata”, con le scale “ammonticchiate” in cui abita la pittrice Natal’ja Goncarova. L’essere poeta di Marina Cvetaeva ha tutta l’ampiezza e la molteplicità di espressioni del suo rapporto con il mondo storico, culturale e spirituale. Forse solo il termine tedesco dichten/Dichter – poetare, ma anche accumulare, condensare – aiuta a cogliere il carattere di una poesia che era attorniata, preceduta e seguita, nasceva per drenaggio da un’attività multiforme di scrittura, nasceva nel quaderno, si modellava nelle lettere e prendeva quindi la forma di un saggio o di un poema o di una lirica. La poetascrittrice compone testi che sono, volta a volta, ghiaia o materia compatta, esigono drenaggio o scomposizione, sono grumi di pensiero da sciogliere o massa informe e fluttuante da prosciugare e rendere petrosa e risonante come una caverna. Solo in questa prospettiva è possibile capire in che modo la rivoluzione/contemporaneità, ben lungi dall’essere vissuta come un disgraziato incidente individuale e collettivo, acquisti per Marina Cvetaeva significati molteplici, non riducibili a quelli politico-

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sociali e spesso di indice rovesciato rispetto a quelli accettati comunemente. Chateaubriand si schierò contro la rivoluzione francese, ma iniziò la rivoluzione del Romanticismo. Il Prode della stessa Cvetaeva non è un poema sulla rivoluzione, ma è la rivoluzione. Questo è il problema che si pone Marina Cvetaeva, un problema, come si vede, del tutto storico e reale, perché ha al centro le vicende e le scelte del poeta e dell’intellettuale di fronte alla rivoluzione. Per citare due figure a lei molto vicine: Majakovskij si schierò platealmente con la classe operaia, Pasternak, in una posizione più solitaria e complicata, si sentì comunque in dovere di confrontarsi con le questioni economiche e sociali del regime sovietico. Marina Cvetaeva, si è detto, prende Boris Pasternak totalmente sul serio il nesso di rivoluzione e contemporaneità che aveva invaso a tal punto la sua esistenza e la sua epoca da finire per condurre a una totale identità dei due termini. Lo prende sul serio e lo dilata per far sì che esso accolga tutto quanto spumeggia sulla superficie dell’epoca, ma anche il suo contrario. La rivoluzione appare allora nella sua accezione più vasta e solenne: attività creatrice

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Goethe, ci sono poeti sfasati rispetto al loro di un’epoca. Questa fu l’opera (e il destino) tempo: anche loro sono contemporanei, ma dei grandi poeti come Goethe e Puskin – credi un’epoca a venire, oppure, come nel caso scere organicamente con e dentro il proprio di Hölderlin, contemtempo. Lo stesso poranei della grecità, rapporto sembra si quindi in ritardo di riproponga per la molti secoli, ritardo pittrice a cui Mariche poi miracolosana Cvetaeva dedicò mente viene colmato, uno splendido rinel momento in cui, tratto in prosa: Nanel XX secolo, vengotal’ja Goncarova. no sentiti vicini e atEmigrata già prima tuali. della rivoluzione Proprio questo “mie radicata a Parigi racolo” significa che senza perdere nulla contemporaneila delle sue origini tà/rivoluzionarietà nella campagna rusdell’arte non è disa, è una creatura mensione di un temche si muove liberapo scandito da unità mente nello spazio, Pescatori di Natal’ja Goncarova fisse e ordinate (pasnon è soffocata né sato-presente-futuoppressa da nulla. L’arte, quando è vera, è ro), bensì appartiene Appare subito chiasempre rivelatrice e creatrice a un tempo intermitro che questo tipo di un’epoca e pertanto è tente e discontinuo, di contemporaneisempre contemporanea dotato di una mobilità, capace di creare tà veloce, concentrata un’epoca, ha molto in punti/eventi che riuniscono in sé il vivo della vittoriosa sovranità sul tempo dei clasintreccio dei tempi, l’inizio e la fine, il passasici: essa non contempla infatti né avanguarto e il futuro. die né retroguardie, se non come fanalini di Punti che non stanno certamente sempre al coda, attraversa liberamente il passato e il centro, anzi spesso si collocano in zone di presente. È un’attualità che è profonda auconfine, di periferia, quelle, per esempio, tenticità. L’arte, quando è vera, è sempre ridella Russia trasformata dalla rivoluzione, velatrice e creatrice di un’epoca e pertanto è in cui le città non sono più città e la campasempre contemporanea. gna non è più campagna. Rivoluzione per Marina Cvetaeva non poteQuello del poeta è un tempo in trasformaziova però anche non designare la condizione ne, in fermento, in movimento accelerato. È del poeta contemporaneo, che non cresce il tempo, certo, dell’accelerazione rivoluziopiù organicamente, anzi è in dissidio con la naria, ma con una differenza fondamentale: propria epoca. A differenza di Puskin e di 15

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non aspetta palingenesi o rigenerazioni globali del mondo né ha bisogno della conferma o sanzione del presente. Il suo presente è sempre altrove. Ecco allora profilarsi il difficile e aspro rapporto del poeta con il presente. C’è un lato di dipendenza, di servitù e di violenza nel rapporto del poeta con il suo tempo, che si trasforma in una “personale sfida”. Il poeta diventa infatti la voce del tempo contro se stesso, maledizione e invocazione perché contende al tempo qualcosa che non appartiene né all’uno né all’altro: l’eterno.

tarlo, né, probabilmente, imparare alcunché da esso e dalla sofferenza che esso gli procura. Piuttosto, sente che fa parte della sua carne, che gli entra dentro come attraverso una ferita. Marina Cvetaeva ha i suoi buoni motivi per disdegnare fosse anche il problema dell’applauso, dell’accettazione o del contenzioso con il proprio tempo. Il poeta è infatti un “avvenimento del suo tempo”, allo stesso titolo, appunto, della rivoluzione bolscevica, perché, analogamente ad essa, sia pure in forme molto diverse, contribuisce a costituirlo. È vero che ciò è possibile a condizione che la storia venga vista come forza naturale che agisce allo stesso modo dei salici, delle isbe e della pioggia, energia che nutre, ma è anche d’ostacolo.

Come ben sapeva Marina Cvetaeva, sul poeta incombe, soprattutto nelle epoche rivoluzionarie, il rischio del tradimento, dell’abiura della propria vocazione

Come ben sapeva Marina Cvetaeva, sul poeta incombe, soprattutto nelle epoche rivoluzionarie, il rischio del tradimento, dell’abiura della propria vocazione. Il poeta, dunque, è trafitto al suo tempo. Ben lungi dall’esserne indenne o indifferente, si trova nel suo punto più doloroso: non vuole certo rappresen16

Vengono a illuminarci stupefacenti inversioni. La poesia di Marina Cvetaeva, Perekop, scritta nel 1920 a Mosca e dedicata agli ufficiali Bianchi, “suona” molto di più per i Rossi, celebrati, se ne dovrebbe concludere, con la lingua del nemico. E ancora: poemi scritti in solitudine da Marina Cvetaeva, che non fece mai parte di gruppi o scuole, in Russia avevano un pubblico, per quanto anonimo, mentre gli ascoltatori di una serata letteraria parigina, il pubblico dell’emigrazione che magari la ammirava e pubblicava i suoi libri, non rappresentavano in

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grande apertura mentale: riconosce la granalcun modo una rottura del suo isolamento. dezza tragica di Majakovskji e insieme ritiene Si annuncia un’accezione di tempo e di storia Rilke “indispensabile al nostro tempo come molto più ampia di quel segmento di epoca, un sacerdote sul campo di battaglia: per presul cui altare molti scrittori hanno sacrificato gare, per chiedere – per gli uni e per gli altri, la propria vocazione. Tempo e storia intesi per loro e per noi – la luce sugli ancora vivi e come contesto spirituale, geografico e cultuil perdono per i cadurale: la Russia, certo, ti”. Come se il più rima anche un passato voluzionario dei poeinteso come eredità e ti e il più appartato, tradizione, che aiuta a refrattario e sognante, capire perché Rossi e segretamente si alleasBianchi vibrino sugli sero per prendere la stessi toni epico-castoria a contrappelo e vallereschi. svelarne gli abissi naLa contemporaneità scosti o l’indecifrabile del poeta è dunque amarezza che accomuun andare al passo na il destino dei vinti e con il tempo nel senso dei vincitori. più intimo e intenso, Occorre tuttavia chiastando in prima linea rire che la storia di Mao sul punto di soprarina Cvetaeva, che ha vanzarlo. Il suo caratl’intensità e l’intimità tere rivoluzionario è del battito cardiaco, assumere il “ritmo” il “passo” e l’impulso bellicoso della rivoluRainer Maria Rilke dell’evento rivoluziozione, la sua pulsazione intesa come forza Marina Cvetaeva si sottomise, nario, e d’altra parte parla, si manifesta atvitale dello stesso tipo come tutti i grandi poeti, traverso la solidità di dell’albero di Esenin alla maledizione di una una fortezza, l’inutilità o degli acquazzoni di vita sempre sull’orlo della di un’isba abbandonaPasternak. Se il poeta è ta, l’inesorabilità di un il suo tempo, prendecatastrofe uragano, più che attrarà ordini direttamente verso ambigue azioni umane, non è una stoda esso, non certo dal partito. La contemporia naturale o originaria più vera di quella raneità intesa in questo modo diventa allocombattuta e sofferta sui campi di battaglia, ra distillare i fenomeni del tempo, non solo nelle piazze o nei parlamenti. È piuttosto riecheggiarli, ma a volte tacerli, cercare dei una storia che raccoglie dalla rivoluzione la contrappesi – la solitudine eroica che fronspinta simbolica ideale all’autenticità, alla teggia il mito collettivista – degli antidoti. rivelazione e creazione di un’epoca, ma ne Marina Cvetaeva può così mostrare la sua

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respinge la fiducia nella felicità, nell’abolizione del negativo e del doloroso. Marina Cvetaeva si sottomise, come tutti i grandi poeti, alla maledizione di una vita sempre sull’orlo della catastrofe. La vulnerabilità di fronte all’insuccesso umano nelle sue svariate forme, dalla tortuosità dei desideri alle infedeltà del cuore alle ingiustizie del mondo, furono il prezzo da lei testardamente, non certo passivamente, pagato per il dono poetico e per la probità intellettuale ad esso immancabilmente legata. Marina Cvetaeva non si sottrasse alla maledizione del poeta – quella che già faceva dire agli antichi che gli dei mandano in rovina alcuni “eletti”, perché ci sia materia di canto e di ricordo – perché sapeva che essa è l’unico scandaglio sull’epoca in grado di farci sentire, insieme, l’irrimediabile infelicità, oltre ogni sogno di trasformazione economico-sociale, e la forza rigeneratrice insita nella catastrofe.

Molti poeti a lei contemporanei – Majakovskji, Pasternak, Brecht – furono travolti dalla compassione per il genere umano, dalla volontà di rendere migliore un mondo malvagio e ciò li portò in irrimediabile rotta di collisione con la vocazione poetica. L’eroica assunzione su di sé di una non contemporaneità contemporanea protesse sempre Marina Cvetaeva da questo pericolo. Mai il “dolore” della sua esistenza fu interamente trasfigurato dalla benedizione della parola poetica, perché, da poeta qual’era, sapeva che si trasfigura ciò che si ama, e riservò sempre a sé l’aspro diritto di odiare alcune, molte cose. Mai le sue metafore ambirono di esprimere totalmente l’infelicità storica reale, perché sapeva che la poesia può succhiare l’energia dalla ferita, può trovare il momento augurale della sciagura, “accade” essa stessa e lenisce alcune pene con il canto, ma non potrà mai far sì che il male non sia accaduto. •

Laura Boella Laura Boella insegna Filosofia morale all’Università degli Studi di Milano. Ha analizzato il pensiero femminile del Novecento in numerosi libri, tra cui Cuori pensanti. Hannah Arendt, Simone Weil, Edith Stein, Maria Zambrano (Tre Lune 1998), Le imperdonabili. Etty Hillesum, Cristina Campo, Ingeborg Bachmann, Marina Cvetaeva (Tre Lune 2000) e i volumi monografici Hannah Arendt. Agire politicamente, pensare politicamente (Feltrinelli 1995) e Maria Zambrano. Dalla storia tragica alla storia etica: autobiografia, confessione, sapere dell’anima (Cuem 2001). Tra i suoi saggi più recenti ricordiamo Sentire l’altro. Conoscere e praticare l’empatia (Cortina 2006), Neuroetica. La morale prima della morale (Cortina 2008) e Credere oggi (con Enzo Bianchi, Il Margine 2012).

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Anticipazione

QUESTA CASA SENZA RICORDI CHE NASCERÀ PER NOI Edith Piaf

Mio azzurro amore Lettere inedite

Archinto isbn 978-88-7768-596-4

di Edith Piaf 1951: ha inizio la tormentata passione tra la più grande cantante francese di tutti i tempi e Louis Gérardin, famoso ciclista, più volte campione di Francia, un atleta come Marcel Cerdan, il grande amore della Piaf scomparso tragicamente in un incidente aereo – un lutto dal quale la cantante pensava di non riprendersi più. Poi, quando Gérardin entra nella sua vita, Edith è subito travolta. Letteralmente soggiogata da quest’uomo sposato, lo supplica di divorziare, vuole costruirgli una casa, dargli un figlio, offrirgli la propria fortuna, avviargli un’attività. Gli promette di smettere di bere e di diventare ordinata. Ma passano le settimane e Gérardin non si rende libero, anzi, sembra che le continue suppliche dell’amante lo inducano a fuggire. Dopo aver strisciato ai suoi piedi per diversi mesi, con un vero e proprio coup de théâtre, nel luglio 1952 Piaf gli annuncia di aver sposato Jacques Pil e la storia d’amore si chiude bruscamente. Le lettere, scoperte nel 2009 e vendute all’asta a un compratore che ha voluto mantenere l’anonimato, sono scritte con un’impu-

Pubblichiamo in esclusiva per i lettori di PreTesti due lettere di Edith Piaf tratte dal volume Mio azzurro amore (Archinto, con una prefazione di Cécile Guilbert) in libreria in questi giorni.

Mio azzurro amore

Edith Piaf

Lettere d’amore inedite

Archinto

21/12/11 13.37

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Monsieur Nicolas Cherry 5 rue Gambetta Boulogne s/Seine Seine Mezzanotte e mezza Un giorno di rovina Caro che mi appartieni, Sì, un giorno di morte, un giorno in meno da vivere senza di te, un giorno di tristezza sepolto! Innanzi tutto, c’è una cosa che devo mettere subito in chiaro… ti secca molto che io ti scriva su dei fogli di quaderno? Se sì, ti scriverò su della carta da lettere ma è così gradevole scrivere su fogli di quaderno, mi sembra che sia più ordinato, ma alla fine sarai tu a scegliere! Questa sera ho cantato Plus bleu que tes yeux, il tuo inno. Mi sembrava di vederti lì davanti a me, era una sensazione così forte che ero quasi convinta di poterti toccare allungando la mano, canterò sempre questa canzone e in quel momento lascerò del tutto il mio pubblico per essere interamente solo noi due, cantandola questa sera ti rivedevo mentre la cantavi in salotto, ti vedevo anche mentre la registravi sul registratore, sentivo la tua bella risata che amo tanto e vedevo tutta la bellezza dei tuoi occhi così meravigliosi! Ho anche cantato C’est d’la faute à tes yeux. Ho quasi fatto un repertorio per il mio amore! A momenti, quando mi rendo conto che un Questa sera ho cantato giorno saremo insieme, cadrei in ginocchio Plus bleu que tes yeux, talmente il mio cuore batte a tutto spiano per il tuo inno. Mi sembrava di la felicità, è così meraviglioso per me angelo vederti lì davanti a me mio, ah sì ti renderò felice caro, questa casa senza ricordi che nascerà per noi dal tuo pensiero; come l’amerò, come ci starò bene, e come saprò imparare a essere quella che tu vuoi che io sia, credo che non avrai un granché da rimproverarmi. L’altro giorno parlavi dell’amore e della tenerezza, non credi che una tenerezza che nasce da un grande amore non sia più bella di una tenerezza che nasce dall’abitudine? Amore e tenerezza sono due cose meravigliose, io che amo in entrambi i modi lo so bene, provo un amore così grande per te e al contempo una dolce tenerezza, te l’ho già detto o scritto, tu sei il mio amante che adoro ma anche il mio bambino; sei il mio padrone ma sento anche di poterti dare una specie di protezione, sono certa che tutto andrà sempre bene per te quando ti sarò accanto, in una parola ti amo in tutti i modi. Amo quando siamo a letto e tu appoggi la tua testa adorata contro la mia spalla, mi fa un effetto terribile, non mi muoverei per nulla al mondo. Tutto è meraviglioso con te, il minimo gesto tu lo fai meglio degli altri. Mio caro che adoro, se sapessi come tutto mi piace di te, cerco sempre una nota discordante ma non l’ho ancora trovata, tu sei un angelo, un bell’angelo biondo con gli occhi azzurri. Questa sera guardavo un sacco di uomini che stavano nel mio camerino e immaginavo che tu fossi lì, mi facevi l’impressione di una montagna, li schiacciavi tutti ai miei occhi, per quel che mi riguarda non credo che un uomo possa uguagliarti, trovo che sei così grande mio caro tesoro! Ogni notte sogno di te, non mi lasci un solo istante, ed è

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bello sai amarti così intensamente. Ecco mio azzurro amore, ti lascerò in questa lettera ma ti prenderò nel mio cuore, nei miei occhi, nella mia anima, nel mio corpo per addormentarmi con te, la cornice con la tua fotografia accanto a me e una mano sopra per darmi l’impressione di toccarti. Il tuo donnino Davvero tuo! Se potessi scrivermi, quanto mi faresti piacere, ma se la cosa ti secca non farlo! Ti amo, mio adorato. Ginette ti manda un bacio, quanto a me non parliamone… Io… *** Monsieur Nicolas presso Madame Alice Colin Rue des Gîtes Vaucouleurs Meuse Parigi 13 aprile (1952) Mio piccolo angelo che adoro, Hai appena riagganciato il telefono e vedi, ti scrivo subito! Sono felice appena sento la tua voce… Amor mio, amor mio, più vado avanti e più ti amo, sei tu che mi hai stregata e hai fatto maledettamente bene perché è meraviglioso! Sì è meraviglioso amarti al punto di vivere per una telefonata! Forse mi hai fatto molto soffrire; ma mi dai anche delle gioie immense! Mi piace tutto di te: non sono riuscita a trovare la nota discendente, sei bello dappertutto, ti amo così come sei, con i tuoi difetti che per me diventano qualità! Così, mio piccolo angelo, non preoccuparti per me, agisci seguendo il tuo cuore, non è possibile che io non possa conquistarti un giorno! Dio mi mette alla prova ma saprò essere degna del mio amore aspettandoti con tutte le mie forze! predisporrò tutto per te, tutto deve essere migliore me compresa. Lavorerò sodo per prepararti la casa più graziosa, dove l’arredatore sarà la gioia! E poi, se non ho vinto la partita, è perché non ti merito! Sarei così felice se ti avessi che forse è una felicità troppo grande per me. Ignoro che cosa sia il paradiso ma, per me, non può esserci felicità più grande che quella di essere tua moglie davanti a Dio! Dunque mio caro non fare nulla per il momento, smetti di tormentarti, resta con Bichette e io mi accontenterò di quello che sarai disposto a darmi! Non ho forse già moltissimo sapendo che tu mi ami, che non vuoi perdermi, che stai bene quando sei con me? Oh sì amor mio, ho già molto visto che occupo un posto nel tuo cuore adorato, chiudimi dentro per bene, sii egoista con me, è il solo modo per me di essere felice. Sii molto esigente, ti ringrazio per le lacrime che mi farai versare, tutto quello che 21

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viene da te va bene: voglio essere totalmente sotto il tuo dominio, te ne supplico mio adorato, sii spaventosamente egoista con me. Fa’ come se non fosse successo nulla, chiedi tutto e sii felice mio bell’amore! comprerò un terreno e mentre sarò in America, tu ti occuperai della costruzione della casa che forse un giorno sarà tua se Dio mi concede la grande grazia di averti completamente per me. Così pian piano ti abituerai a questa casa e non ti sentirai spaesato se un giorno ci verrai! Io, sarò reduce dalla grande tournée che devo fare e organizzerò la mia vita per adattarla in tutto e per tutto alla tua, forse così avrò il diritto di averti. Forse potrai anche organizzarti per concedermi qualche giornata per intero di tanto in tanto! Il lavoro che sceglierai ti consentirà forse di spostarti e staremo insieme per qualche giorno, e io sarò la donna più felice del mondo! Sapremo nasconderci bene in modo che tu non abbia delle noie in casa tua e avremo ancora dei grandi momenti di gioia! E poi in fondo, mi rendo conto che la mia vita non è abbastanza regolata per accoglierti, mi rendo conto di tutti gli sforzi che saranno necessari per mettere tutto in ordine; ma fidati di me, sto lavorando per queFa’ come se non fosse sto! Voglio saperti felice, se uno di noi due successo nulla, chiedi tutto deve soffrire, voglio essere io! Quando sarò e sii felice mio bell’amore! in America, ti manderò tutti i miei guadagni, e tu investirai questi soldi per noi due più tardi, per organizzare una bella attività, così potrò finalmente permettermi di riposare accanto all’uomo che amo! sono certa che sarà il mio amore a vincere: ti amo in un modo troppo completo per non averti un giorno! Dunque, mio piccolo uomo che adoro, stai tranquillo, ho fiducia in te e so che non puoi fare nulla d’ingiusto, se dev’esserci una colpa, è un difetto che deve riguardare sicuramente me! Vorrei poter andar via per qualche giorno da sola con te, da qualche parte dove ti avrò completamente ventiquattr’ore su ventiquattro, la separazione sarebbe dolorosa ma che dolore meraviglioso, quelle ore passate con te, vorrei servirti, coccolarti, essere ai tuoi piedi e fare l’amore sin quasi a morirne, annientata da te, fare l’amore ancor meglio, non avere più alcun pudore, abbandonarmi totalmente al desiderio, non essere più su questa terra, essere stanca al punto di non avere neppure più la forza di dire “ti amo”. Sì, ecco quello che vorrei prima di partire per l’America, essere così spossata, così piena d’amore, da non poter più fare l’amore per dei mesi e aspettare il meraviglioso ritorno per essere di nuovo tua come una cagna! Oh i tuoi occhi quando fai l’amore… e la tua pelle… e la tua voce… se appena ci penso ho la sensazione di essere lì ed è davvero bello!!! M’amore torna presto, che io ti tocchi bene dappertutto; che io senta il calore del tuo corpo, che le tue mani mi accarezzino e io perda tutta la mia dignità! Ecco caro il mio uomo che adoro, schiacciami con forza fra le tue braccia e stretta contro di te, prendimi dolcemente, a lungo, teneramente e selvaggiamente! Il tuo donnino•

Traduzione di Anna Morpurgo.

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Racconto

L’ULTIMA FRECCIA di Massimo Lugli

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a pioggia divenne diluvio. L’acqua inzuppava le gualdrappe e i finimenti, scivolava sulle selle, sulle asce da guerra e i mazzafrusti fissati agli arcioni. I grandi cavalli da guerra sbuffavano emettendo nuvole di vapore e scalciavano nel fango, preparandosi alla battaglia. I cavalieri francesi finivano di affibbiarsi le armature, maledicendo il freddo e la pioggia che si infilava sotto le cotte di maglia. Molti estraevano la spada, controllavano il filo, la conficcavano a terra e si inginocchiavano a pregare davanti all’elsa fatta a croce. Alcuni bevevano lunghi sorsi di vino acidulo tentando di addormentare la sbronza della sera prima.

John si strinse nel giubbotto di pelle di pecora non conciata, rabbrividendo. Una pacca sulla spalla lo fece quasi cadere a terra e gli strappò un’imprecazione. “Maledizione a te, Anthony, bestia che non sei altroˮ grugnì voltandosi invelenito verso la sagoma massiccia del londinese che lo sovrastava di tutta la testa. L’altro gli appioppò una seconda pacca ancora più vigorosa. Poi indicò i cavalieri che continuavano i preparativi nella pianura, molto più in basso rispetto al loro punto d’osservazione. “Il fango impedirà ai destrieri di galoppare. Dovranno risalire la collina lentamente e saranno un bersaglio perfetto – osservò estraendo da una bisaccia un pezzo di for-


sobborghi cittadini, al comando di Edoardo maggio con lunghe striature verdastre – non III e di suo figlio, il sedicenne Edoardo che essere nervoso, ragazzo.ˮ qualcuno cominciava a chiamare il “Princi“Non sono nervoso, guardavo e bastaˮ prope Nero” per il cotestò John. lore funereo della “Lo sono tutti alla sua armatura prefeprima battaglia, non rita. Dopo le vittorie c’è da vergognarsi. di Caen e BlancheVuoi?ˮ John guardò taque, l’invasione il formaggio e lo stodella Normandia si maco gli si rivoltò. era trasformata in Riuscì ad annuire e una estenuante, instaccò un pezzo con terminabile marcia le mani, poi si cotra i boschi, sotto la strinse a masticarlo. pioggia torrenziaSapeva di topo morle, inseguiti dall’arto. “Bravo ragazzo, Sull’altura che dominava mata, sempre più cerca di stare calmo. il pianoro, Edoardo aveva tracotante, di FilipE prega, che non si deciso di fermarsi e di po. Sull’altura che sa mai...ˮ Anthony dare battaglia. Quel 27 dominava il pianofrugò ancora nella agosto dell’anno di grazia ro, Edoardo aveva bisaccia, ne trasse la deciso di fermarsi corda del lungo arco 1346 si decideva tutto. e di dare battaglia. di tasso (un sottile Quel 27 agosto dell’anno di grazia 1346 si cavo di budello intrecciato di canapa e cadecideva tutto. pelli femminili) e si preparò a incoccarlo. Le frecce erano conficcate in un mucchio di le“Spiegheranno l’orifiammaˮ mormorò John. tame, ulteriore oltraggio ai mangiarane che “Al diavolo, è solo un pezzo di stoffa rossa lui e i suoi compagni si preparavano a uccie gialla.ˮ Il commento sbruffone di Anthony dere. non lo tranquillizzò. Il vessillo del re di Francia, in battaglia, aveva un significato sinistro: La piana di Crecy formicolava di uomini e nessuna misericordia. Alla vista dello stencavalli e risuonava delle grida e degli ordardo a tre punte che si diceva fosse stato dini nella lingua morbida e strascicata dei bagnato dal sangue di San Dionigi i francesi francesi. Le dimensioni dell’esercito guidasi battevano come invasati. John sentì uno to da Filippo VI avevano ormai smesso di stimolo irreprimibile a orinare. Contrasse impressionare gli inglesi che si erano abila vescica ma capì che non sarebbe riuscituati all’idea dell’enorme disparità di forze: to a trattenersi. Molti dei suoi compagni si almeno trentamila tra cavalieri (il fiore della sbottonavano le braghe o alzavano la tunica nobiltà francese) fanti e balestrieri genovee pisciavano sul posto mugolando di sodsi contro meno di diecimila inglesi, sopratdisfazione ma lui questo non poteva farlo. tutto arcieri arruolati nelle campagne o nei 24

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“Il tuo formaggio è fatto con la merda – grugnì ad Anthony – mi ha squagliato l’intestino.ˮ L’altro lo guardò con una smorfia ironica. “È la strizza che ti fa cacare addossoˮ gli urlò dietro. Ansimando, John raggiunse un cespuglio isolato, si guardò intorno, si strappò le braghe e finalmente si accucciò lasciando andare un lungo getto di urina. Nessuno doveva vederlo. Nessuno doveva sapere. Abigail era diventata John dieci mesi prima. Il giorno che i tre cavalieri erano entrati nella casupola dove sua madre stava preparando una zuppa di lepre per la cena. Lei, d’istinto, si era nascosta nel fienile ma aveva visto la scena dalla porta che nessuno si era curato di chiudere. I tre avevano legato i cavalli ed erano entrati sferragliando, senza salutare, senza chiedere permesso. Perché avrebbero dovuto? Avevano agguantato il pane raffermo che sarebbe dovuto durare almeno altri tre giorni e l’avevano sbranato, assieme a qualche rimasuglio di salsiccia tenuta in serbo per i giorni più duri dell’inverno. Poi avevano tracannato il poco vino disponibile e avevano costretto sua madre a finire di cucinare la zuppa. Immobile, terrorizzata, tremante, Abigail li aveva visti ingozzarsi come cinghiali, diventare sempre più sbronzi dando fondo alle borracce che si erano portati dietro. Recitando senza sosta il Pater era rimasta al suo posto come un coniglio in trappola. Dopo la cena i tre avevano stuprato sua madre. Uno dopo l’altro, grugnendo e sghignazzando, l’avevano montata da dietro, spingendola contro il tavolo ancora disseminato dai resti di cibo, celiando e incoraggiandosi l’un l’altro. Lei aveva subito tutto 25

in silenzio, ondeggiando sotto le loro spinte, rassegnata e sottomessa. Quando l’ultimo cavaliere, il più giovane, si era staccato da lei, le aveva dato uno schiaffo sul sedere e aveva gettato sul tavolo qualche moneta di rame. Poi se n’erano andati, cantando una canzone che parlava di vino, taverne e bagasce. Quando Abigail era rientrata in casa, il viso inondato di lacrime, sua madre si era già ricomposta e stava rimettendo in ordine la cucina. Le lacrime della figlia l’avevano impietosita e l’aveva accolta tra le braccia. Odorava di fumo, di maschio in calore, di vergogna. “Quando papà lo saprà li ucciderà tuttiˮ

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aveva singhiozzato Abigail. Suo padre era nei boschi a cacciare di frodo, un’attività che poteva portarlo dritto sulla forca. “Non c’è alcun bisogno che tuo padre lo sappia – aveva replicato la madre, dura – gli daresti solo un dispiacere. E comunque hanno pagato, no? Gli diremo che sono venuti tre cavalieri del re, hanno chiesto da mangiare e ci hanno dato i soldi.ˮ “Ma mamma quei tre ti hanno...ˮ Lo schiaffo le aveva fatto sanguinare un labbro. “So benissimo cosa mi hanno fatto, ragazzina, sono stata io a farmi fottere, non tu - la voce di sua madre strideva come una lama sul vetro - sono cavalieri, fanno quello che vogliono con la gente come noi, è bene che cominci a capire come va il mondo... E adesso aiutami a rimettere a postoˮ. Il giorno dopo Abigail era scappata. E aveva deciso di non essere più una donna. Il fisico angoloso e il viso paffuto, da adolescente, l’avevano aiutata, ma la sua abilità con il long bow, il lungo arco di tasso da cinquanta libbre era stata determinante. Suo padre le aveva insegnato a usarlo fin da bambina, cominciando ad allenarla con un’arma costruita apposta per lei e i muscoli delle spalle e delle braccia le si erano sviluppati e induriti come quelli di un ragazzo. Abigail si era tagliata i capelli con un frammento di lama, senza manico, che aveva comprato da un fabbro in cambio di un fagiano e che portava sempre alla cintura, aveva indossato abiti informi e si era spostata di villaggio in villaggio, vincendo qualche gara di tiro, fino a quando si era unita a una delle tante bande di arcieri che erano andate a ingrossare l’esercito di Edoardo nell’invasione della Normandia. Odiava i cavalieri. Inglesi o francesi non aveva importanza. 26

Odiava la loro spocchia, la loro insolenza, la loro violenza, le loro armature, le loro spade, le lance e soprattutto i loro cavalli, quelle bestie massicce, sgraziate, brutali che in battaglia diventavano essi stessi un’arma e potevano uccidere un uomo a morsi o spappolarlo sotto gli zoccoli. Animali da guerra, nati e allevati per combattere, coccolati come cortigiane che mangiavano e dormivano meglio di tanti contadini e avevano l’odio nel sangue. Adesso, finalmente, poteva ucciderli. Ma tremava di paura. Si rimise i pantaloni e tornò al suo posto, nella fila. La pioggia continuava a scrosciare. Nel campo francese qualcosa si stava muovendo. “Mandano avanti i genovesi, bastardi...ˮ imprecò una voce arrochita dal vino. I balestrieri avanzarono per qualche centinaio di metri e puntarono le armi contro gli inglesi, schierati in tre divisioni, che li fronteggiavano dall’alto. “Non hanno i pavesi...Vogliono farsi massacrare, quegli idiotiˮ constatò Anthony. I larghi scudi di legno dei balestrieri, che li proteggevano mentre ricaricavano le armi, erano rimasti con le salmerie, ma nessuno, tra gli inglesi, poteva saperlo. Le corde delle balestre erano inzuppate d’acqua perché non potevano essere staccate e tenute all’asciutto come quelle dei long bow e la pioggia di quadrelli si impantanò nel fango a distanza. La risposta fu una scarica di frecce che si abbatté come una mannaia sulle file dei genovesi. John lasciò partire il dardo e lo vide alzarsi in volo e ricadere come un falco nello schieramento nemico poi, senza un istante di tregua, ne incoccò un secondo. Un arciere mediocre poteva

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scoccare otto frecce nel tempo che un balestriere impiegava per tirarne due. I genovesi ondeggiarono, indietreggiarono e, dopo meno di dieci minuti, ruppero in fuga. A quel punto accadde l’imprevedibile. “Uccidete quella marmaglia, uccidete, uccidete.ˮ Il grido del conte d’Alençon scatenò il massacro. Ebbri di furia e di frustrazione, ostacolandosi l’un l’altro, bestemmiando e urlando i cavalieri francesi si gettarono sui loro stessi alleati, non protetti dalle armature, li infilzarono sulle lance, li fecero a pezzi con le spade e le asce, li massacrarono a colpi di mazza, scure e martello da guerra. Poi, come un’orda disordinata, senza aspettare i comandi dei nobili, si lanciarono alla carica sulla collina. Il fango, come previsto da Anthony, impediva ai cavalli di rompere al galoppo e la

verso i nemici che li insultavano tenendosi a distanza e continuavano a bersagliarli fino a quando non crollavano a terra. Gli inglesi più coraggiosi si scagliavano in avanti con i coltellacci e le misericordie in pugno, agguantavano i nemici impacciati dall’armatura, bloccati come tartarughe capovolte, li trascinavano al suolo e li uccidevano infilando le lame nella celata e nelle giunture delle protezioni metalliche. I francesi morivano imprecando, piangendo, insultando e supplicando, senza riuscire a capire come quei bifolchi, che avevano sempre considerato meno di animali, li stessero uccidendo come bestiame. Dalla divisione del Principe Nero si levarono urla e invocazioni. “Vostro figlio è stato attaccato duramente, sire.ˮ Un cavaliere coperto di sangue si in-

Le lunghe frecce perforavano corazze e usberghi, sfondavano elmi e scudi, abbattevano destrieri, seminavano morte e dolore ovunque tremenda carica di cavalleria corazzata, ginocchio contro ginocchio, che aveva deciso la sorte di mille battaglie, si trasformò in una penosa avanzata al passo o al piccolo trotto, sotto un diluvio di dardi. Le lunghe frecce perforavano corazze e usberghi, sfondavano elmi e scudi, abbattevano destrieri, seminavano morte e dolore ovunque. Molti cavalieri, irti di dardi come porcospini agitavano inutilmente le spade e le mazze

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chinò davanti al viso corrucciato di Edoardo. “È morto, ferito?ˮ “No, sire, per grazia di Dio.ˮ “Allora non seccatemi più. Deve guadagnarsi gli speroni.ˮ Il massacro durò fino a notte. Spinti da una follia suicida, i francesi continuarono a caricare a ondate, in salita, sacrificandosi a migliaia. Alcuni cavalieri si decisero a smontare per combattere a piedi, roteando le spade

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o monconi di lancia ma erano troppo lenti per gli inglesi armati alla leggera che si divertivano ad agganciarli con uncini o archi, farli stramazzare a terra e finirli a colpi di pietra. Abigail aveva quasi finito le frecce. Le spalle le dolevano a forza di tirare, l’indice e il medio della mano destra (le due dita che i francesi tranciavano agli arcieri prima di castrarli quando li catturavano vivi, le dita che gli inglesi alzavano verso il nemico in segno di dileggio) erano scarnificati e sanguinanti. Stava per tornare verso il campo a prendere altre frecce quando un cavaliere gigantesco, con una sopravveste verde e lo scudo simile a un puntaspilli per i dardi, tirò le redini, smise di ripiegare verso le file francesi, girò il destriero e tornò a muoversi verso lo schieramento degli arcieri, urlando insulti e maledizioni. Altre frecce lo centrarono sull’armatura ma rimbalzarono via, una si infisse nella sella, vibrando.

Il cavaliere continuò ad avanzare, la spada protesa in avanti. Molti inglesi girarono sui tacchi, terrorizzati. “Scappa, John, cazzo, quello è il diavolo o un suo compagno, non muore mai.ˮ Anthony cercò di strattonare Abigail che si scrollò la sua mano di dosso. Poi prese l’ultima freccia e la incoccò con calma. Il fragore della battaglia si era attenuato e le sembrò di sentire il rumore degli zoccoli del cavallo che trapestava al trotto, avanzando inesorabile. La punta della spada, dritta verso di lei. I muscoli esausti, incapaci di trattenere ancora la corda. L’arco cominciò a tremare. Il cavallo su di lei, gigantesco, coperto di bava e di sangue. La spada che si abbassava. L’ultima freccia partì ronzando come un calabrone infuriato. Un fragore di metallo. Poi solo il rumore della pioggia. •

Massimo Lugli Massimo Lugli, nato a Roma nel 1955, è inviato speciale di “Repubblica” e si occupa di cronaca nera. Ha pubblicato Roma maledetta. Cattivi, violenti e marginali metropolitani (Donzelli 1998) e i romanzi La legge di Lupo solitario (2007), L’istinto del lupo (2008, finalista al premio Strega), Il carezzevole (2010), L’adepto (2011) e Il guardiano (2012), tutti editi da Newton Compton. I libri di Massimo Lugli sono disponibili in ebook da Biblet. Disponibile su www.biblet.it

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Il mondo dell’ebook

CHI DICE EBOOK DICE DONNA? Alla scoperta delle quote rosa nell’editoria digitale, tra stato dell’arte e scenari futuri di Daniela De Pasquale

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donne (68% contro 32%); tuttavia le lettrici, er parlare di quote rosa nell’edisoprattutto le trentenni e le cinquantenni, toria digitale è utile partire dal hanno un carrello mediamente più grande mercato tradizionale, poiché i ed effettuano ordini più spesso degli uomidati del settore sono un bene raro. ni, che invece acquistano di più nella fascia Giovanni Peresson dell’AIE parla di una 38-40 e 46-48 anni. Le preferenze di lettura fuga di 700mila lettori dopo un trend positiricadono per entrambi i sessi sui romanzi, vo di quattro anni e un picco nel 2010, anno in particolare thriller e noir. Poi le strade si in cui, per l’ISTAT, 1 italiano su 2 (46,8%) dividono: storia, politica e attualità per gli ha letto almeno un libro: i lettori forti sono uomini, rosa e gialli per le donne, che ansolo il 15% e, in generale, si legge di più se che in questo caso fanno l’en plein di ficsi è giovani del nord con titoli di studio e tion. Come racconta Louann Brizendine (Il incarichi professionali alti. cervello delle donne), ci sono vere e proprie Sul fronte eBook, per l’AIE a dicembre 2011 teorie di psicologia cognitiva che tentano di dovremmo aver raggiunto i 3 milioni di spiegare il fiction gap euro (circa lo 0,1% del tra lettori e lettrici: la mercato). Anche in ItaSu Biblet Store le maggiore capacità di lia sono i lettori forti gli immedesimazione early adopter degli eBook, preferenze di lettura femminile, anche di che nel digitale divenricadono per entrambi fronte a opere nartano fortissimi: 665.000 i sessi sui romanzi, in rative, sarebbe doe-lettori, il 3% del totale particolare thriller e noir. vuta a una maggiore e l’1,3% della popolazione over 14. Un dato che Poi le strade si dividono: presenza di neuroni aiuta a rintracciare parte storia, politica e attualità specchio, generatori di empatia. Ma, per di quei 700mila lettori per gli uomini, rosa e dirla con Oreste del smarriti. gialli per le donne. Buono, “il rosa per le Quanto ai generi, le donne è come la rosa donne di tutte le età legper i maschi, intendendo in quest’ultimo gono più degli uomini, con il 53,1% rispetto caso La Gazzetta dello Sport”. Altre teorie anal 40,1% e un picco del 65% tra i 20 e i 24 tropologiche guardano all’infanzia: le bamanni. È così dagli anni ’70: da allora hanno bine sarebbero capaci di restare ferme più a dominato il campo della lettura soprattutto lungo e quindi di approcciarsi alla lettura in di piacere. modo più naturale. Di sicuro nessuno crede Per il digitale, la stessa AIE ammette che è ormai che le donne leggono di più perché difficile segmentare il target perché alcuni hanno più tempo. operatori non divulgano i dati per scelte di Tuttavia, stando ai dati, è l’uomo quaranpolicy. Un riferimento importante per una tenne a rappresentare il lettore tipo italiavisione d’insieme è Biblet Store, che oggi no di eBook. Dunque i libri di carta sono vanta in Italia il più vasto catalogo di eBook per le lettrici e gli eBook per i lettori? Non di varia e professionale. La percentuale di proprio. A quanto pare, il futuro è rosa. utenti uomini è più che doppia rispetto alle

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Gli unici dati nazionali ufficiali risalgono a Editech 2010: nella lettura digitale, gli uomini superano le donne con un rapporto di 51% a 49%, ma sarebbe in atto una rimonta femminile, dato che nel 2006 la forbice era di 63% a 37%. Fuori dai nostri confini, la più recente ricerca americana di Book Industry Study Group avvalora l’ipotesi: il 66% dei maggiori acquirenti di eBook (almeno uno a settimana) è costituito da donne, che scelgono prevalentemente fiction, genere che si aggiudica il 20% del mercato, al pari di fantascienza e romanzi. Anche la composizione del ca-

le logiche di quello del libro e quindi tenderà a vedere la supremazia delle lettrici. Per molti diventa strategico guardare al binomio donne-tecnologia. Partiamo da quotidiani e magazine: Forrester Research conferma che le donne preferiscono gli eReader, oltre a spingere il settore degli abbonamenti alle riviste online. Che, naturalmente, sarebbe meglio leggere a colori: dunque anche chi produce tablet è avvisato. Per entrambi i produttori, niente di più sbagliato che proporre linee pink da abbinare ai beautycase: la Consumer Electronic Association avverte che le principali variabili

Gli uomini sono early adopter dei device, ma più la diffusione si fa mainstream più il mercato degli eBook sembra seguire le logiche di quello del libro e quindi tenderà a vedere la supremazia delle lettrici. talogo italiano, aggiornata dall’AIE, segue il trend: narrativa e best seller coprono il 28,7%, i classici il 16,4%, i saggi il 13,7% e i manuali il 9,6%. Altri dati utili riguardano le preferenze di acquisto di device. Negli USA, Nielsen rivela che nel 2011 le donne possiedono più eReader, device votati esclusivamente alla lettura, degli uomini (61 a 39). La preferenza confermerebbe per il digitale quello che The Observer ha verificato per la carta nel Regno Unito: le donne sono per lo più page-turner, ossia finiscono i libri velocemente, mentre gli uomini sarebbero shelves, collezionisti di libri che non sempre leggono. Per una volta, lo shopping compulsivo premia le donne invece degli uomini. In sintesi, gli uomini hanno acquistato prima i device, ma più la diffusione dei supporti si fa mainstream più il mercato degli eBook sembra seguire 31

di acquisto anche per le donne sono prezzo, qualità e funzionalità. Abbasso dunque strategie focalizzate sul packaging, viva prodotti leggeri e maneggevoli per fisici e mani più piccoli. Inteso come genere, il rosa piace alle donne. In principio fu il romance britannico, consacrato da Barbara Cartland, trasformato oltreoceano in bodice rippers (strappa corsetti) da Harlequin che, mantenendo il punto fermo del lieto fine, ha avviato la fusione con altri generi come thriller, humor, fantasy. Seguendo la scia rosa, oggi sono nati due nuovi filoni: il primo è la chick-lit, tenuta a battesimo da Bridget Jones, l’antieroina di Helen Fielding, presto raggiunta da un folto gruppo capitanato da Becky Bloomwood, protagonista della serie di Sophie Kinsella I love shopping. Anche da noi romanzi come Amore, zucchero e cannella o Un diamante da

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Tiffany sono bestseller in tutti gli store. Le protagoniste sono diverse da quelle dei romanzi rosa classici: indipendenti, affermate professionalmente e alle prese con esperienze tragicomiche alla ricerca del principe azzurro. Non temono il passare del tempo, perché sanno che potranno vivere da protagoniste nuove avventure tuffandosi nella mummy-lit, il secondo filone emergente: qualche candelina e qualche ruga in più e figli da allevare. Insomma, il genere cresce insieme alle lettrici più avide, che stanno

do iniziano a invecchiare “imprigionate in una relazione stanca, impantanate nella casalinghitudine” (Isabel Berwick, Financial Times). Insomma, leggere paccottiglia sentimentale, come la chiama Francesca Serra, non significa essere esposte a disastri emotivi o perdersi nelle storie fino a meditare il suicidio come moderne Emma Bovary, ma scegliere consapevolmente di concedersi qualche ora di leggerezza staccando la spina da impegni e responsabilità. Sempre in tema di presunta spazza-letteratura, anche

entrando in una nuova fascia d’età, cercando di intercettarne i nuovi interessi. Molti arricciano il naso di fronte a questi titoli, considerandoli sciatti e prevedibili. Eppure vendono, ancora di più in eBook. Da un’indagine Bookscan nel Regno Unito, nel 2011 le vendite digitali in rosa hanno superato quelle cartacee, probabilmente per la privacy garantita dall’eReader. Il loro segreto non starebbe nella pretesa di raccontare la carriera o la maternità, ma nel descrivere cosa succede alle donne quan-

Antonia Senior lancia un allarme dalle pagine del Guardian: le vendite di eBook sono trainate da titoli di fantascienza, narrativa, horror, erotico che la gente trova imbarazzante leggere in pubblico, ma che reperisce facilmente e a poco prezzo. Dopo l’euforia legata all’acquisto di un device, che spinge a comprare molti classici, a lungo andare si tende a mettere sugli scaffali di casa i libri che ci fanno sentire intelligenti e colti e a riempire l’eReader di letture d’evasione di incerta qualità.

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In realtà, assodato che non è il genere a determinare la qualità ma la scrittura e la creatività dell’autore, tutte le declinazioni della narrativa potrebbero dare un grande impulso agli eBook. In Italia c’è un limbo composto da 2 milioni di persone che, pur non avendo mai acquistato un eBook ha sviluppato l’abitudine a leggere sugli schermi di pc, iPad e iPhone e che va ancora “coinvolto”. Pubblicare solo titoli “commercialmente vivi” significa trascurare titoli vecchi o di nicchia che in digitale potrebbero trovare nuova vita e creare nuovi business. Due esempi italiani di piccoli editori digitali di genere sono EmmaBooks, dedicato a letteratura scritta da donne per le donne, e

Lite-editions, che pubblica racconti erotici puntando sulla riservatezza del loro contenitore. Ma molto si potrebbe immaginare, da collane come Urania ai fumetti, entrambi prodotti digitali ancora troppo timidi. Se aggiungiamo che l’eBook ha il plus di far diventare utente della libreria digitale sia chi non frequenta quella “brick and mortar” preferendo edicola o supermercato, sia chi è spinto alla lettura proprio dall’avere un device tra le mani, ben venga la nascita di una nuova domanda e nuove abitudini di lettura. In un’epoca dominata dalle immagini, si può solo essere contenti che, a prescindere da gusti e formati, si legga. •

L’eBook è una grande opportunità per la narrativa di genere: in digitale titoli vecchi o di nicchia potrebbero trovare nuova vita e creare nuovi business.

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Il mondo dell’ebook

Da mattone ad html, la libreria diventa virtuale La carta soppiantata dal bit, le librerie sul Web in piena evoluzione: come rapportarsi alla nuova realtà? di Roberto Dessì

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“I prezzi, naturalmente” risponderà il ciniuattro passi per negozi, una co. Un fattore che ha però perso peso in temdelle attività antistress più appi di Legge Levi e sconti calmierati, lascianpaganti nelle nostre vite frenedo spazio ad altri aspetti: l’ampiezza del catiche. Le narici si riempiono di talogo, l’atmosfera, la facilità nel reperire il tiepida aria d’inizio primavera, lo sguardo volume d’interesse se il libraio è assente, o vaga senza meta accompagnato dal ritmo la sua cortesia e competenza se è presente, blando imposto dalle gambe, finché quall’appeal della vetrina. cosa non lo cattura. Piccoli dettagli che Una vetrina. Un neÈ possibile applicare gli fanno di un negozio il gozio. Di libri, nella stessi parametri selettivi negozio, refugium pecfattispecie. Volumi utilizzati per una libreria catorum della nostra mollemente adagiati bulimia letteraria. nella valutazione di un su ripiani ad altezze Per noi che all’unisfalsate, introdotti da eBook store? verso digitale dedielementi scenograchiamo sempre un occhio di riguardo, la dofici a tema ed esaltati da luci accuratamenmanda si trasforma in una missione appate studiate, come si conviene alle boutique rentemente impossibile: applicare gli stessi d’abbigliamento più chic. Un invito a nozze parametri selettivi utilizzati per una libreria per una capatina dentro: in fondo fa ancora nella valutazione di un eBook store. fresco, una pausa dopo tanto camminare è Il paragone sembra blasfemo. Eppure, con provvidenziale, e sarà un’ottima occasione un piccolo sforzo di immaginazione, molper gettare un occhio alle novità della settiti degli ingredienti di una libreria digitale mana. O senza voler menare troppo il can per di successo sono gli stessi della versione l’aia: cosa ci fa scegliere un negozio di libri?

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fiancati a long seller e selezioni tematiche. “reale”. Previa un’adeguata riqualificazioSuperata l’iniziale timidezza, ci addenne lessicale e una riponderazione dei pesi triamo nel negozio con fare baldanzoso. specifici in gioco. D’altronde i libri, poco importa se cartacei Ripartiamo da zero. Cancelliamo la salutao digitali, sono il nostro habitat naturale. re passeggiata e sostituiamola con una più Bisogna solo prendere le misure al nuovo sedentaria query su Google, alla ricerca di mezzo, e capire dove e come trovare ciò che un eBook store. La scelta è ampia, teoricastiamo cercando. Di commessi o librai nepmente infinita benché l’algoritmo del mopure l’ombra, ma se l’eBook store è stato ben tore di ricerca sia tirannico nell’ordinare progettato non ne avremo bisogno: le nostre per pertinenza i risultati. Un viale popodita saranno presto a lato di sole librerie distanza di pochi clic virtuali, ognuna con Dalla forma alla sostanza, dal titolo d’interesse. la propria vetrina a Consultazione libera distanza di un clic, si il look and feel lascia genera dinanzi a noi spazio ai veri protagonisti o tematica? Ai clienti indecisi, di quelli nello spazio di una dello store: gli eBook che “entrano giusto frazione di secondo. a dare uno sguardo Già, la vetrina. Il bialla sezione viaggi”, tassonomie ben defiglietto da visita di qualsiasi negozio che nite semplificano notevolmente la vita e si rispetti, quindi anche di un eBook store. favoriscono l’acquisto, proprio come fanno Il primo parallelismo sensato è con la honelle librerie i titoli lasciati in bella vista tra mepage, principale espositore e atrio dove uno scaffale e l’altro. Per chi va a colpo siogni sito web si gioca tutto, in pochi decisicuro, un motore di ricerca interno efficace è vi secondi. Qui nulla può essere lasciato al più che sufficiente. caso: dalla scelta dei colori e delle tonalità Qualcuno l’ha forse nominato? Non ci eraalla disposizione e armonia degli elementi vamo certo dimenticati del libraio, cuore nella pagina; perfino la facilità di lettura dei pulsante della libreria, che si muove tra font scelti è un discrimine tra uno store ben immensi scaffali come un’ape nel proprio progettato e uno approssimativo. Questioalveare, veloce nell’assisterci e saggio nel ne di gusti si dirà, eppure decine di studi e consigliarci. È vero, gli eBook store sono manuali ‒ molti reperibili anche in formato self-service per necessità, ma alcuni degni eBook ‒ hanno evidenziato l’importanza di surrogati ne assolvono efficacemente le paroline come emotional e neuromarketing. principali funzioni. Dalla forma alla sostanza, il look and feel Problemi tecnici? Il libraio virtuale inforlascia spazio ai veri protagonisti dello ca i suoi occhialetti geek e ci aiuta a risolstore: gli eBook. La vetrina diventa le veverli: spiegandoci le “regole della libreria” trine, i titoli in evidenza danno un primo sotto forma di FAQ o di customer service, là assaggio della profondità del catalogo, e dove le problematiche più frequenti non si proprio come nelle vere librerie appaiono adattino allo scopo. Se siamo a corto d’iin bella mostra scaffali di nuove uscite af-

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spirazione un libraio in carne e chat ‒ ma più spesso carne e newsletter settimanale ‒ ci guida tra le primizie e le specialità della casa, adatte a ogni palato. Un tocco più personale lo danno gli algoritmi che prevedono e suggeriscono ‒ sulla base dei precedenti acquisti ‒ titoli degni di essere inseriti nel nostro carrello, che tra l’altro comincia a diventare parecchio pesante. In termini di byte, s’intende! Meglio avviarci alla cassa, cogliendo l’occasione per un’ultima occhiata agli scaffali delle promozioni… magari ci scappa un’aggiunta. Sarà una lunga e frustrante attesa davanti a una commessa imbranata? Dipende: la qualità del servi-

zio è valutata in modo inversamente proporzionale al numero dei clic necessari, con una nota: al primo acquisto verrà richiesto qualche dato in più, consideriamola al pari della creazione di una tessera fedeltà. Contanti o carta di credito? La scelta è obbligata, una veloce strisciata virtuale della banda magnetica e la transazione è conclusa. Il negozio è ormai alle nostre spalle, ma a guardar bene è sempre con noi. Non dimentichiamolo, anche un eBook reader, un tablet o uno smartphone possono trasformarsi come per magia in un negozio nel quale ogni nostro desiderio letterario è a portata di clic. •

Anche un eBook reader, un tablet o uno smartphone possono trasformarsi come per magia in un negozio nel quale ogni nostro desiderio letterario è a portata di clic

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Buona la prima Storie di libri ed edizioni

VLADIMIR NABOKOV “LOLITA” (1955) di Luca Bisin

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on c’è niente di più rumoroso di un albergo americano”. Nel mezzo dell’inganno che, tra astute menzogne e la complicità di un destino beffardo, lo ha condotto a vagabondare insieme alla “figlia” dodicenne, la ninfetta Lolita, Humbert Humbert giace immobile sulla sponda del letto in una stanza dell’albergo “I cacciatori incantati”. Lolita, l’agognata, desiderata, sognata Lolita, dorme al suo fianco, appena intravista nella penombra notturna della stanza e nella nudità di bambina che sfugge alla sua camicia da notte, mentre Humbert, finalmente al riparo da occhi indiscreti, bruciante di desiderio, appena sul punto di possedere l’oggetto proibito, ne sorveglia attento il respiro, ne spia i movimenti nel dormiveglia, ne misura la distanza, ne indovina il tepore. La sfiora cauto, si ritrae, l’abbraccia, lascia che si scosti. Finché, teso tra la brama e la circospezione, si ferma, resta immobile sul suo abisso: “Aspettiamo”. Ma se i rumori più molesti del mondo decidessero di riunirsi a convegno, lo farebbero di certo in un albergo americano: gli schianti del cancello dell’ascensore, i clamori di ospiti vocianti nel corridoio, lo scroscio ripetuto di un WC “virile, energico, baritonale”, il rombare dei camion nella notte. Difficilmente Nabokov avrebbe potuto offrirci una rappresentazione più efficace della sua proverbiale intolleranza verso “i suoni non richiesti” che facendoli irrompere, importuni e assillanti, in questo momento fatale del suo capolavoro. In ciò, per la verità, le case americane non sembrano migliori degli alberghi e la moglie Véra dovette dedicare non poche energie a far tacere il mondo intorno all’abitazione dei Nabokov a East Seneca Street, nella città di Ithaca, di cui Vladimir lamentava “la sfortunata disposizione sonora”. Del resto, quella di assicurare al marito la quiete necessaria al suo lavoro di scrittura, non è che una delle tante fatiche che la signora Nabokov offre in pegno alla nascita di Lolita. È lei che as-

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segna una direzione alla vorticosa immaginazione di Vladimir, scoraggiandone i parti più bizzarri (tra cui un progettato romanzo sulle vicende amorose di una coppia di gemelli siamesi) e orientandola alla intravista grandezza di un’opera che, per la sua materia scabrosa, non prometteva certo maggior fortuna alle incerte finanze dei due coniugi. È lei, soprattutto, che frena gli eccessi di sconforto e frustrazione in cui Valdimir, sopraffatto dalle difficoltà della scrittura, vorrebbe dare alle fiamme il proprio lavoro. “La mia storia d’amore con la lingua inglese”, dirà Nabokov di Lolita. Ma, come si conviene agli amori più appassionati, anche questa è una storia tormentata e non manca di reciproche incomprensioni, liti furibonde, drammi sfiorati, patetiche riappacificazioni. Nell’autunno del 1948, quando il manoscritto è già a buon punto, lo studente Dick Keegan giunge alla casa dei Nabokov giusto in tempo per assistere a un mancato autodafé: nel giardino sul retro, Vladimir ha acceso un falò in un bidone ed è intento a gettarvi mucchi di fogli quando Véra si precipita furibonda fuori dalla casa e, scostato risolutamente il marito, si affanna a salvare dal rogo pagine preziose che saranno poi mantenute nella versione finale del romanzo. Nella sua nota a Lolita, riportando l’episodio, Nabokov ometterà del tutto il ruolo della moglie. Ma questo silen-

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zio è forse il segno di una comunanza spirituale tanto intima da non poter quasi essere detta: a un intervistatore che gli chiedeva se potesse raccontare il ruolo della moglie nel suo lavoro di scrittura, Nabokov rispondeva lapidario: “No, non posso”. Con i suoi capelli bianchi e il portamento elegante (così distante dall’immagine della capricciosa ninfetta, come si affretteranno a notare con sciocco sarcasmo i giornali francesi all’indomani dell’uscita del romanzo e come lei stessa vorrà sottolineare con divertita autoironia facendosi fotografare con gli occhiali a forma di cuore in stile Lolita), Véra non doveva certo dare adito a particolari turbamenti quando, dalla fine del 1953, si presentava ai vari editori con lo scottante manoscritto nella borsa: mandarlo per posta sarebbe stato troppo rischioso (la legge americana considerava un reato la spedizione di materiale pornografico) e Vladimir preferiva che l’identità dell’autore restasse anonima, almeno fino a quando non avesse trovato un editore. In effetti, quel che i primi lettori di Lolita seppero riconoscere in quelle pagine non fu certo la “storia d’amore con la lingua inglese”, la scintillante ricchezza dello stile, la maestria della costruzione narrativa, la potenza nel rivelare l’anima più torbida e segreta dell’America puritana, ma soltanto la materia pruriginosa di una vi-

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cenda catalogata senz’altro come oscena. I rifiuti degli editori si susseguono inevitabili e anche quando lo scoramento spinge Vladimir e Véra a rivolgersi all’estero, sarà infine un personaggio a sua volta eretico e “scandaloso”, il parigino Maurice Girodias, già editore di William Borroughs, Henry Miller, Anaïs Nin, a consentire finalmente nel settembre del 1955 la pubblicazione del romanzo. Ma è solo qualche mese più tardi che Lolita comincia a esercitare il suo effetto dirompente: richiesto dal Sunday Times di Londra di segnalare i tre migliori libri di quell’anno lo scrittore Graham Greene vi nomina anche quel romanzo del tutto sconosciuto, introvabile in Inghilterra come negli Stati Uniti, dando così avvio alla catena di eventi (le numerose traduzioni, la pubblicazione negli Stati Uniti, il film di Stanley Kubrick) che a un Nabokov già più che sessantenne e con dodici romanzi alle spalle regalerà finalmente una notorietà di cui, conversando con la moglie, egli lamentava ironicamente che non fosse giunta trent’anni prima. Quanto alle polemiche che, in Europa e negli Stati Uniti, accompagnano insistenti la parabola editoriale di Lolita, all’imbarazzo e all’indignazione che persino conoscenti

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e amici dello scrittore manifestano (spesso senza prendersi la briga di una lettura) verso l’opera “ignobile” e “licenziosa”, Nabokov avrà forse derubricato tutto ciò come l’ennesima, importuna invadenza di suoni non richiesti. Solo raramente risponderà di persona alle accuse, lasciando piuttosto alla moglie l’incombenza di smorzare anche quel trambusto affinché egli potesse piuttosto prestare orecchio a vibrazioni più seducenti e armoniose: quelle, anzitutto, amatissime, delle parole scelte con cura, pronunciate con dedizione, fatte risuonare nella lettura, incastonate nella precisa cornice di una pagina scritta. Del resto, una delle cose che Nabokov, poeta prima di diventare romanziere, aveva anzitutto amato in Véra, nei loro primi anni di Berlino, era stata proprio l’esattezza a cui lei, traduttrice e poliglotta, lo costringeva nel parlare: “io inizio a parlare, tu rispondi / come se stessi rifinendo un verso”. E non è certo un caso che, nel romanzo, la prima dichiarazione della sua bruciante ossessione Humbert l’affidi proprio a un suono: quello del nome stesso di Lolita, delle tre sillabe che lo compongono e del percorso che la lingua compie sul palato nel pronunciarle. •

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Sulla punta della lingua

Come parliamo, come scriviamo

Rubrica a cura dell’Accademia della Crusca

ITALIA(NO) IN CRISI? TUTTA COLPA DELLO SPREAD! di Matilde Paoli

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he, soprattutto a partire dalla seconda metà del Novecento, nella lingua italiana, anche in quella corrente, si siano immessi numerosi termini mutuati dalla lingua inglese, o per meglio dire, angloamericana, è un fatto di cui, oltre ai linguisti, si sono accorti perfino i parlanti più distratti. Anche perché ormai queste forme non subiscono più nessun adattamento e si dichiarano per quello che sono nella grafia e nella pronuncia: a nessuno oggi verrebbe in mente di proporre la grafia pìrsin per piercing, né tantomeno di aggiungere una -o finale; nemmeno sarebbe proponibile la pronuncia italianizzata [pièrcing]. A questo proposito negli ultimi tempi mi è capitato di sentir pronunciare da persone giovani, “che sanno l’inglese”, come [sprèi] la parola spray, attestata in italiano, con la pronuncia [sprài], addirittura dal 1927! Conviviamo ormai da decenni con questa nostra anglofilia linguistica (e non solo linguistica) che, a parte qualche levata di scudi individuale, non sembra suscitare, almeno apparentemente, consistenti reazioni.

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Ci sono però momenti in cui questa intromissione di anglicismi (termine settecentesco coniato da Giuseppe Baretti) nella nostra lingua ci appare più consistente, ci crea più fastidio. Uno di questi momenti è quello che abbiamo vissuto recentemente e che ancora adesso stiamo vivendo: dalla scorsa estate le ansie degli italiani intorno al proprio futuro e al futuro del Paese hanno avuto come colonna sonora una costellazione di termini stranieri ed “estranei”: nei TG nazionali hanno fatto la loro pressante comparsa parole come rating, default, swap, credit crunch, bond, futures, treasury, outlook, downgrade… e soprattutto il famigerato spread. Come spesso accade in queste occasioni, la tendenza alla drammatizzazione di alcuni giornalisti e anche l’esigenza di una comunicazione rapida e pregnante hanno trovato un valido supporto nel prelievo di tecnicismi dall’ambiente che costituisce il teatro della notizia. In questo caso si tratta di termini del mondo dell’alta finanza, un settore che si è sviluppato abbastanza recentemente e che ha avuto un’ulteriore accelerazione negli ulti-

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mi due decenni e i cui protagonisti fanno parte di una comunità sovranazionale e si esprimono in un linguaggio internazionale, ovvero, come è noto, l’angloamericano, la lingua della maggiore potenza economica del XX secolo. Le singole nazioni – anche laddove, come in Francia o Spagna, si pratica una politica linguistica istituzionalizzata – non sono state in grado di elaborare un

cennio, in alcuni casi da più di due: lo stesso spread, divenuto nel bene e nel male la parola-bandiera di questi mesi, è databile all’ultimo decennio del Novecento. Inoltre è probabile e, se si è attenti, se ne riescono a cogliere già i primi segnali, che alcune di esse, dopo il successo iniziale, vengano progressivamente abbandonate a favore di una forma italiana, come è avvenuto in

proprio vocabolario specifico ed esaustivo: infatti, seppure in quantità numericamente meno consistente e accompagnato da accorgimenti grafici e spiegazioni tra parentesi, lo spread ha fatto la sua comparsa anche sulla stampa francese e spagnola. Per riportare il fenomeno di questa “invasione verbale” angloamericana alle sue reali proporzioni (che in ogni caso non sono da sottovalutare) occorre collocarlo nella giusta prospettiva di occasionale ricaduta nel linguaggio comune di termini altamente specialistici. Peraltro queste voci di ambito finanziario sono in gran parte attestate nei maggiori dizionari di lingua da oltre un de-

altri ambiti caratterizzati da massiccia immissione di termini inglesi. Una cosa del genere è accaduta per esempio nell’ambito dell’informatica dove, nell’uso comune, si è ormai abbandonato directory (pronunciato all’inglese [dàirectori]) per il più rassicurante cartella e attachment per il burocratico allegato. Insomma è probabile che fra un po’ di tempo torneremo a sentire più frequentemente parlare di differenziale che di spread, e di fallimento, stato di insolvenza o bancarotta, piuttosto che di default. Anche se, a onor del vero, in questi ultimi giorni, affievolitasi l’attenzione sul nostro spread e sul default della Grecia, stanno salendo le quotazioni

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della spending review, che altro non è che la revisione dei capitoli di spesa (pubblica): il problema è che la tempesta finanziaria in cui si trova il Paese ha tempi molto più lunghi di un blizzard (tanto per citare un altro esotismo risuonato di recente). Che i linguaggi tecnico-scientifici e settoriali abbiano un elevato tasso di forme importate è facilmente comprensibile, perfino banale: la cultura che produce più innovazioni concettuali e tecniche crea le parole per indicarle e più è elevato il grado di tecnicità più è difficile sostituire queste parole con una traduzione (pensiamo a byte o chip). Diverso il caso del linguaggio giornalistico che spesso si trova a far da mediatore tra questi mondi specializzati e la comunità e che ha come elemento fondante la funzione di informare; e per informare il presupposto è la chiarezza. Ciò che rende i termini italiani equivalenti meno “appetibili” per il linguaggio giornalistico è che essi paiono meno perspicui, non perfettamente univoci, come invece sembrano i corrispettivi angloamericani. In realtà molto spesso le forme che noi importiamo hanno una realtà poli-

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semica nella lingua originale ed è proprio il loro essere estrapolati dal contesto che li rende così pregnanti. Quando il pubblico italiano sente parlare di spread lo associa ormai immediatamente al ‘differenziale tra il rendimento dei buoni del tesoro pluriennali emessi dallo stato italiano e quello degli equivalenti BUND tedeschi’, mentre in realtà in inglese, ed è solo uno dei significati, indica ‘the difference between two rates or prices’ ovvero ‘la differenza tra due misure o prezzi’; insomma né più né meno che differenziale. Altre volte è invece una sorta di effetto di astrazione che sembra garantito dal forestierismo: sono gli stati e le grandi banche ad andare in default mentre le nostre aziende molto più concretamente possono dichiarare fallimento o bancarotta. Per ciò che riguarda invece le parole ormai acquisite nel linguaggio comune, spesso si affida al termine straniero, più recente, la rappresentazione dell’evoluzione che la realtà associata a quel termine ha subito: per fare un solo esempio si pensi a baby-sitter e a bambinaia e all’immagine che queste parole evocano. Difficilmente associamo alla seconda un so-

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stegno a madri lavoratrici offerto da giovani studentesse o anche studenti (il termine inglese non porta la marca di genere!) che autofinanziano i loro studi e viaggi all’estero. Così come non ci figuriamo una baby-sitter con la divisa bianca che porta in giro una carrozzina nel parco della villa padronale. Detto questo resta comunque da chieder-

quanto meno di valutare la possibilità di una pressione autorevole (moral suasion per gli anglomani), almeno sull’ambiente intellettuale e dell’informazione perché, laddove è possibile, si offra al pubblico se non altro un’alternativa di scelta. Che istituzioni e aziende parlino anche l’inglese crediamo sia necessario, che lo parlino anche tutti i

La cultura che produce più innovazioni concettuali e tecniche crea le parole per indicarle e più è elevato il grado di tecnicità più è difficile sostituire queste parole con una traduzione. si se non sia il caso anche nel nostro Paese di porre la questione di un possibile intervento propositivo di alternative italiane e di come concretamente questo possa essere attuato. Certamente il numero dei termini angloamericani e inglesi che vengono accreditati in italiano, per quanto non così rilevante come viene percepito in superficie, aumenta progressivamente e, soprattutto nei casi in cui esistano già il concetto e anche il termine nella nostra lingua (è il caso dei cosiddetti “prestiti di lusso”), può essere del tutto legittimo non certo imporre, ma piuttosto proporre la scelta del termine italiano. Di fatto tra i linguisti, alla posizione di chi tende a sdrammatizzare il fenomeno, comincia ad affiancarsi quella di chi cerca

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cittadini sarebbe auspicabile, ma che l’inglese costituisca l’unica lingua possibile per esprimere la cultura contemporanea, come sembra ci si avvii a riconoscere in certi ambiti universitari, ci pare senza fondamento scientifico, oltre che lesivo dei diritti degli studenti italiani. Come si è molto lavorato per dare agli italiani una lingua comune da parlare a fianco della propria varietà locale, senza per questo dover rinunciare alla propria lingua madre che era, e ancora è per molti, il dialetto, così fare in modo che i nostri connazionali almeno capiscano l’inglese è una possibilità da offrire, a fianco però della piena padronanza di una lingua nazionale esaustiva, ricca e anche, perché no?, sovrabbondante. •

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Anima del mondo Paesaggi della letteratura

STRANIERO NELLA PROPRIA CITTÀ Visioni di Milano in Un amore di Buzzati

di Francesco Baucia

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uale può essere la città “dove l’ombra / quasi più deliziosa è della luce” ‒ come scrive Vittorio Sereni nei primi versi di Appuntamento a ora insolita ‒ se non Milano, la Milano che per Lucio Dalla “ride e si diverte”, ma “quando piange, piange davvero”? Forse l’oscurità della metropoli è deliziosa proprio per questo, perché è il rovescio delle sguaiatezze più scintillanti, del sole che asciuga “le sue contraddizioni”, perché è il nascondiglio in cui quel pianto si può versare con pudore. O forse ancora è deliziosa per la sua rarità, essendo Milano la città in cui “invece di stelle / ogni sera si accendono parole” (Umberto Saba), e quindi dove il buio è cacciato via anche quando scende la notte. Non c’è forse opera che accolga questa compresenza di oscenità e dramma, di luce artificiale e tenebra che investono

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la metropoli lombarda meglio di Un amore, romanzo di Dino Buzzati apparso da Mondadori nel 1963. Vi si racconta l’incedere di un sentimento violento e totalizzante, coltivato da parte di un borghese maturo e apparentemente realizzato, per una ragazzina capricciosa e disperata che dietro al suo aspro sex appeal nasconde un mondo muto di fragilità e ingenuità. Al centro della vicenda, quasi terzo personaggio per importanza, c’è la città di Milano, scenario spettrale e vertiginoso in cui si riflettono, come in un gioco di specchi, le illusioni e le gelosie del protagonista. Se in Lolita di Vladimir Nabokov, i viaggi nel cuore degli Stati Uniti di Humbert con al fianco la sua preda bambina possono essere letti come l’innamoramento di un “vecchio” europeo per il “giovane” continente americano, quasi allo stesso modo le “traversate” di Milano di An-

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proprio nel corso, a quel “gruppo di vectonio Dorigo ‒ protagonista di Un amore ‒, chissime case addossate le une alle altre in solo con la sua passione bruciante, sono il un groviglio di muri, di balconi, di tetti, di tentativo di un uomo non più giovane di comignoli. Dove lo spirito della città antica, riconquistare una città che non comprende non quella dei signori ma quella dei poveri, più, che gli sfugge ogni giorno dalle mani. sopravviveva con una singolare potenza”. E Laide, la ragazza che “affanna e consola”, Se provassimo a ripercorrere oggi le orme che lo trascina in un vortice di angoscia e di Antonio, non troveremmo più niente di desiderio, è il simbolo perfetto della città in tutto ciò. Ma già lo mutamento, perché stesso protagonista su di lei si riflettono osserva il disfarsi rale immagini che Anpido di quel “paese tonio cesella nella incistato fra lo schiepropria mente, senramento delle case”, za però mai riuscirperché, pensa, “i bene a catturare il vero stiali non capiscono profilo. Emblema queste cose e con di questa vertigine il peso dei miliardi è l’episodio racconspianano i sozzi e tato da Buzzati nel polverosi quartieri quarto capitolo del dei millenni a scopo libro. Nell’appartaLaide, la ragazza che di lucro”. Avvista la mento della ruffiana “affanna e consola”, ragazza sul corso e, che li ha presentati, Antonio contempla che lo trascina in un vortice quasi rapito, la segue nell’intrico di abitaLaide mentre prova di angoscia e desiderio, zioni attraverso l’anun vestito. Sofferè il simbolo perfetto della gusto passaggio di mandosi su quel volcittà in mutamento Vicolo del Fossetto. to dal “taglio genuiHa come superato no, con una proterva una porta magica che lo conduce in un unisicurezza di sé” l’uomo avverte nel proverso distante ma al contempo vicinissimo fondo della sua memoria “uno scatto, una alla sua vita di tutti i giorni. Stradette senza specie di misterioso rintocco, come quando nome, la debole illuminazione di lampain una grande solitaria campagna si sente dine giallastre, echi di litigi e di ululati di una voce lontanissima che chiama”. Ricorcani: è quello “un pezzo di Milano impreda all’improvviso di aver già visto quella vedibile […]. A parte le luci elettriche, e una ragazza e di esserne rimasto attratto. Si troVespa lasciata dinanzi a una porta, tutto era vava allora, qualche mese prima, in corso come un secolo, due secoli prima”. Cullato Garibaldi, nel pieno centro della città, di da quella meraviglia un po’ sinistra ‒ “Chi ritorno dal suo studio di architetto verso ci vive? Che cosa vi succede di notte? È un casa, in piazza Castello. Passava accanto,

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dare a puttane), l’intellettuale attratto dai ghetto di miserabili? È un covo della maquartieri popolari, ma che ne teme la vita, lavita o del vizio?” si domanda ‒, Antonio alla fine si dimostra “vigliacco come al sosmarrisce nel frattempo la ragazza mistelito”. Accende una sigaretta e si allontana riosa che sta inseguendo. E spentosi l’invada quel luogo, perché lì si sente straniero. samento della conquista, rabbrividisce del E pensa che “il lavoro, i viaggi, la gente” luogo in cui si trova solo, sospeso tra il desigli facciano dimenticare quell’esperienza, derio di conoscerlo meglio e l’istinto di torcome se si trattasse narsene al più presto di un brutto sogno. sotto le luci familiari “I bestiali non capiscono Ma quella “condel corso. “Avrebbe queste cose e con il peso turbante figuretta” voluto esplorare i vicoli circostanti;” scridei miliardi spianano i sozzi femminile si è incistata “nei profondi ve Buzzati “fin dove e polverosi quartieri dei sotterranei della sua si estendeva quella millenni a scopo di lucro” memoria” così come cittadella segreta? il vecchio quartiere […] Si poteva uscire nel cuore della città. Non vuole scomparidall’altra parte in via Statuto o in via Pare, e tornerà di lì a poco con il suo bagaglio lermo?”. Se proseguisse, magari potrebbe di vitalità brutale e di passione disperata a incappare di nuovo nella ragazza. Ma Ansconvolgere il destino dello “straniero” Antonio, l’amante delle donne che non ha mai tonio. conosciuto l’amore (e che preferisce an-

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Alta cucina Leggere di gusto

IL CUOCO-SCIAMANO Babette, Kamante Gatura e Karen Blixen

di Francesco Baucia

Karen Bixen

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ella prima lettera ai Tessalonicesi San Paolo dice ai fedeli che il giorno del Signore arriva “come un ladro di notte”, in maniera sconvolgente e inattesa. E già prima di Cristo, la mitologia pagana raccontava le sorprendenti forme e occasioni che gli dèi sfruttavano per entrare in contatto con gli uomini. Perché stupirsi, allora, se il divino, la grazia del mondo soprannaturale, si palesa nelle vesti di una cuoca francese di nome Babette? È proprio quanto accade nel racconto di Karen Blixen Il pranzo di Babette, reso celebre dal delizioso film che ne ha tratto nel 1987 il regista danese Gabriel Axel. Martina e Filippa, attempate zitelle figlie di un pastore luterano norvegese, accolgono presso la loro abitazione una donna francese scampata alla sconfitta dei communards di Parigi. La donna, Babette Hersant, che nella soppressione della rivolta ha perso tutto, os-

re religiose e caritatevoli ispirate dalla venerata memoria del defunto padre. Questi, infatti, era stato il fondatore di una comunità spirituale nel paese di Berlevaag, dove le due sorelle vivono, che nel tempo era andata perdendo il fervore mistico degli esordi, riprecipitando i fedeli in balia di antichi dissapori e animosità. Dopo dodici anni a servizio delle sorelle, Babette scopre di essere venuta in possesso di una fortuna – diecimila franchi – vinta alla lotteria. Prega Filippa e Martina di poter preparare un pranzo alla maniera francese, dopo anni di scrupolosa osservanza della severa dieta delle figlie del pastore, una interminabile litania di stoccafisso e zuppe di birra e pane. Un pranzo, oltretutto, che diventerebbe così un’occasione per celebrare il centesimo anniversario della morte del pastore. Inizialmente spaventati dalla prospettiva di farsi trascinare nel peccato dalle magie culinarie di una donna

Cucinando, Babette ha saputo, come uno sciamano, evocare la grazia divina sulla tavola sia famiglia, lavoro e affetti, giunge da loro su raccomandazione di Achille Papin, un famoso cantante d’opera che un tempo aveva amato Filippa, senza essere corrisposto. Diffidenti, le due donne assumono tuttavia Babette come domestica, e questa si rivela ben presto un sostegno prezioso per le sorelle che, sgravate dalle occupazioni domestiche, possono dedicarsi con più intensità alle ope-

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papista, i fedeli di Berlevaag, tutti invitati al pranzo di Babette, si lasceranno tuttavia conquistare dalle pietanze cucinate dalla cuoca. E la meraviglia dei sensi si trasmetterà alle loro anime, come se un angelo dispiegasse le proprie ali benedicenti su quel consesso. Sarà uno dei convitati, il malinconico generale Loewenhielm – l’unico uomo di mondo seduto a quella tavola – a riconoscere nelle

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portate la firma della grande cuoca di un tempo del Café Anglais di Parigi. E a ricordare come quella cuoca sapesse trasformare un pranzo “in una specie di avventura amorosa – una di quelle avventure amorose nobili e romantiche in cui non si distingue più tra la fame, o la sazietà, del corpo e quella dello spirito”. Esattamente ciò che in quel momento sta accadendo nella modesta abitazione di Martina e Filippa. Cucinando, Babette ha saputo, come uno sciamano, evocare la grazia divina su quella tavola. Timori e malignità del passato scompaiono allora come per miracolo perché, secondo le parole del generale, “la grazia ci stringe tutti e proclama un’amnistia generale. Ecco! Ciò che abbiamo scelto ci è dato, e pure, allo stesso tempo, ci è accordato ciò che abbiamo rifiutato […]. Perché la misericordia e la verità si sono incontrate, la rettitudine e la felicità si sono baciate!”. E nel dono di quel pranzo speciale, la cuoca Babette è generosa e capricciosa come una divinità: generosa perché ha profuso nel banchetto tutti i soldi vinti alla lotteria, capricciosa perché il movente di quella straordinaria messa in scena gastronomica è la ricerca di un nuovo applauso per il suo talento, dopo il lungo esilio dal “palco” del Café Anglais. Reduce da un soggiorno a Venezia in cui aveva sperperato molti soldi, Karen Blixen

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scrisse questo racconto nel 1949 un po’ per raggranellare del denaro, un po’ per vincere una scommessa con l’amico inglese Geoffrey Gorer. Blixen aveva pubblicato un racconto intitolato Il campo del dolore sulla rivista americana Ladies’ Home Journal e Gorer aveva azzardato con lei che non sarebbe stata in grado di scrivere un testo adatto al pubblico del Saturday Evening Post. Blixen aveva accolto la sfida, accettando allo stesso tempo di buon grado i suggerimenti di Gorer sui gusti dei lettori americani. Questi infatti si era raccomandato che il tema del racconto fosse il cibo, a suo parere una vera e propria ossessione del mercato letterario statunitense (una moda che, guardando le classifiche, sembra essersi diffusa oggi anche nel vecchio continente). Anche se il Pranzo di Babette non fu alla fine accettato dalla redazione del Saturday Evening Post, la sfida con Gorer valse certamente la nascita di uno dei più riusciti esempi dell’arte di Karen Blixen. Judith Thurman, vincitrice dell’American Book Award con una bellissima biografia dell’autrice danese, ha scritto forse il giudizio più sintetico e preciso su questo racconto: “Come nel caso di certe imprese in cucina, la leggerezza del lavoro finito nascondeva la ricchezza degli ingredienti. Il racconto infatti si fonda su una sorta di aut-aut, il dualismo inconciliabile dell’esperienza, e mostra

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come, nell’opera d’arte, possano fondersi il ‘sublime’ e l’’onesto’”. Non solo però temi “alti” traspaiono nel Pranzo di Babette, ma vi si riflettono anche ampi spunti autobiografici. La meraviglia del banchetto preparato dalla cuoca francese riecheggia le cene preparate, nel lungo soggiorno africano di Karen Blixen, dal suo adorato cuoco Kamante Gatura. La storia del rapporto tra Blixen e Kamante vale senza dubbio la pena di essere raccontata. La scrittrice lo incontrò quando questi

stabilito, gli affidò dapprincipio il compito di accudire i propri cani, salvo poi scoprire che aveva un talento straordinario in cucina. La mandò in apprendistato presso grandi chef del Norfolk, del New Stanley e del Muthaiga, poi nel 1926 Gatura assunse l’incarico di capocuoco presso la residenza di Karen Blixen, che così scrisse di lui ne La mia Africa: “Nella cucina, nel mondo culinario Kamante aveva tutti gli attributi del genio: l’impotenza dell’individuo davanti ai propri poteri”. Un grande artista, dunque, l’origi-

“Nel mondo culinario Kamante aveva tutti gli attributi del genio: l’impotenza dell’individuo davanti ai propri poteri”

aveva una dozzina di anni, e quel ragazzino della tribù kikuyu gli sembrò “l’oggetto più pietoso su cui si fossero posati i [suoi] occhi”. Era ferito e bisognoso, e non aveva nessuno al mondo, come Babette quando si presenta alla porta di Filippa e Martina, con in mano soltanto la lettera di presentazione di Achille Papin. Blixen lo fece curare e, quando si fu

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nale su cui è forse plasmata la figura di Babette Hersant. Difficile dire, però, se anche le pietanze preparate da Kamante siano state modello per quelle presentate nel racconto. Una di esse in particolare – la zuppa “Luisiana” a base di tartaruga – per quanto di origine “esotica”, ha ascendenze affatto americane e cajun piuttosto che africane. Per chi voglia ripercorrere le orme di Babette, esiste dal 2003 una guida preziosa e godibile scritta da Allegra Alacevich e intitolata A pranzo con Babette. Le ricette di Karen Blixen (Il leone verde Edizioni). Oltre a curiose interpretazioni del racconto (una di esse ispirata alla Cabala e alla mistica ebraica), questo libro riporta le ricette di tutte le pietanze cucinate da Babette, oltre ad alcuni classici della cucina danese. Senza volersi rendere complici di massacri di simpatiche tartarughe, possiamo preparare lo stesso la zuppa “Luisiana”, con ingredienti più politically correct, come suggerisce l’autrice. Dopo aver preparato un buon brodo di carne (che nell’originale

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è carne di tartaruga), cuociamo cinque porri sminuzzati in abbondante burro, finché non diventano morbidi. Aggiungiamo mezza tazza di farina e attendiamo, sempre mescolando, che questa si rapprenda, poi uniamo la purea ricavata dalla polpa di due o tre pomodori, e lasciamo cuocere per qualche minuto. Cucinando per dieci o dodici persone, versiamo nella stessa pentola una decina di grosse tazze di brodo, insieme a una tazza di sherry e a mezza tazza di salsa worcester,

poi facciamo sobbollire per un quarto d’ora. In seguito aggiungeremo mezzo chilo di funghi freschi tagliati a fettine e tre uova sode ridotte in pezzetti, lasciando cuocere per un altro quarto d’ora scarso. Terminata la cottura, uniremo mezzo bicchiere di prezzemolo tritato e il succo di mezzo limone prima di servire. La zuppa “Luisiana”, seguendo i dettami di Babette, è da accompagnare a un bicchiere di Amontillado, un vino liquoroso spagnolo simile allo sherry.•

ZUPPA “LUISIANA” CON FUNGHI Ingredienti per 10 persone 1 litro abbondante di brodo di carne 1 etto di burro 5 porri 1 etto di farina la purea di due o tre pomodori 20 cl di sherry 10 cl di salsa worcester 500 g di funghi freschi tagliati a fettine 3 uova sode a pezzetti prezzemolo tritato il succo di mezzo limone

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“Conosci te stesso”

Recensioni

FAI BEI SOGNI

di Massimo Gramellini Massimo Gramellini è noto al grande pubblico in particolar modo per il suo acume nello svelare i retroscena culturali, politici ed economici del nostro tempo. Potremmo dire che non gli sfugge nulla di ciò che accade nel nostro paese. Eppure c’è qualcosa che gli è sfuggito per molti anni. Quarant’anni senza sapere con esattezza che cosa fosse accaduto a sua madre. L’unica certezza è stata l’aver perso la mamma all’età di nove anni. Ci vuole tanto coraggio allora per accettare di scriverne come fa nel suo nuovo libro Fai bei sogni edito da Longanesi e da qualche settimana ai primi posti delle classifiche dei libri e degli ebook più venduti. Fai bei sogni è un romanzo autobiografico, una lunga e dettagliata analisi della propria vita, delle proprie paure e delle proprie mancanze. Spesso abbiamo letto sulla Stampa di un Gramellini critico verso un evento. Ora lo leggiamo autenticamente critico verso se stesso e verso quella rimozione che con sincerità ammette di aver praticato. Il silenzio con gli amici, con le persone vicine alla sua famiglia, con suo padre è stato la costante di una vita passata a scavare nelle vite degli altri. Ecco perché il romanzo si accende verso tre quarti della lettura. Quando si comincia

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a identificare il bambino protagonista con il giornalista della Stampa e si rilegge nella vita di quel bambino che diventa cronista la vita di Massimo Gramellini. Nello scoprire lentamente chi è il protagonista, la scrittura si fa meno meticolosa, meno rigida, le parole misurate e precise lasciano il posto a un vuoto che si spiega solo con la scoperta della sorte della madre Giuseppina Pastore. Tanto più ci si avvicina al cuore caldo della nostra storia tanto più il giornalista lascia il posto all’uomo debole e disarmato al quale il destino ha riservato una sorte beffarda. L’aver voluto raccontare questa miopia individuale è quindi il più incredibile dei fenomeni letterari attuali. Tanto più perché viene da un giornalista noto che inizia a scrivere il romanzo come un editoriale e lo finisce come uno scrittore, vuoto di tutto, Disponibile su soprattutto di affetti. Brawww.biblet.it vo Massimo, che hai voluto mostrare la tua debolezza! Non è cosa comune in un paese di superuomini, salvatori della patria prima che di se stessi. Del resto non c’era un tale una volta che disse: “Conosci te stesso”? Morì avvelenato per mano dello Stato. Quello stesso Stato che oggi, dopo duemilacinquecento anni, danno come fallito. Grazie Massimo.

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BOLOGNA CHILDREN’S BOOK FAIR

Appuntamenti

e gli altri eventi del mese

BOLOGNA CHILDREN’S BOOK FAIR Stando ai dati, il mercato librario ha perso nell’ultimo anno ben settecentomila “lettori forti” (per chi voglia approfondire, invitiamo a leggere l’articolo di Daniela De Pasquale a p. 29 di questo numero). In una tale congiuntura critica appare quanto mai importante per il mondo dell’editoria rivolgersi ai ragazzi, alle nuove leve della lettura, con l’obiettivo di riconquistare fasce di aficionados. Merita particolare attenzione pertanto la Fiera del libro per ragazzi, che si svolgerà al Quartiere fieristico di Bologna (ingresso Piazza Costituzione) e che si è imposta negli anni come la vetrina principale per quanto concerne l’offerta editoriale indirizzata ai più giovani. Evento di spicco di ogni edizione è la Mostra degli illustratori che vedrà quest’anno come paese ospite d’onore il Portogallo con una rassegna dei migliori talenti lusitani dell’illustrazione per ragazzi dal titolo Como as cerejas (Come le ciliegie). La fiera riserva ai visitatori molti altri appuntamenti importanti, tra cui ricordiamo il premio BolognaRagazzi Award (che si arricchisce quest’anno di una nuova sezione dedicata all’editoria digitale) e il convegno annuale TOC. Tools of Change for Publishing (con sede al Palazzo dei Congressi) riservato a dibattiti e workshop su ebook, applicazioni e e-commerce librario. Tuttavia nella cornice della manifestazione non si guarderà solo al futuro: sarà infatti celebrato con numerose iniziative nella città il bicentenario della nascita di Charles Dickens. Tra queste segnaliamo la mostra bibliografica realizzata in collaborazione con la Cooperativa Giannino Stoppani che raccoglierà un repertorio di edizioni dickensiane provenienti da tutto il mondo. Dal 19 al 22 marzo

lavori possono imbattersi, sempre a Bologna, in una curiosa rassegna sulla microeditoria d’arte e l’editoria autoprodotta (con sede negli spazi del Quadriportico di via Bolognetti). Saranno esposti “oggetti editoriali” a metà tra l’opera d’arte e il libro prodotti da laboratori artigianali e da piccoli editori underground, e chi vorrà potrà cimentarsi con le pratiche della lavorazione del libro (dalla grafica alla stampa) grazie a laboratori riservati sia ai bambini che agli adulti. Grande spazio sarà anche riservato al rapporto tra carta stampata e immagine, con dibattiti e laboratori sull’illustrazione, il fumetto e le riviste. Dal 20 al 24 marzo I NUOVI ALFABETI DELLA BIBLIOTECA La lettura non è soltanto piacere privato, ma anche condivisione e deposito dei saperi in una dimensione pubblica. Per questo è importante interrogarsi, come si propone di fare questo convegno che si svolgerà a Milano alla Fondazione Stelline (Corso Magenta 61), sul ruolo delle biblioteche “nell’era dei bit”. Argomenti come educazione alla lettura, linguaggi e strumenti della biblioteconomia, nuovi scenari dell’archiviazione e dell’indicizzazione saranno affrontati nelle sessioni dell’evento dai più autorevoli esponenti dell’Università e delle amministrazioni culturali. Tra i molti interventi indichiamo, di particolare interesse, la relazione del filosofo Maurizio Ferraris dal titolo Documentalità: l’esplosione della scrittura e l’avvenire della memoria (15 marzo, in mattinata) e la tavola rotonda Alfabeti, tecnologie e professioni al servizio della narrazione a cura della Fondazione Arnaldo e Alberto Mondadori e della Regione Lombardia (15 marzo, sessione pomeridiana). 15 e 16 marzo

FRUIT SELF-PUBLISHING EXHIBITION Senza allontanarsi di molto dagli scenari della Fiera del libro per ragazzi, visitatori e addetti ai

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Tweets @TuttoCultura itale Newton Ebook: nuova collana dig anove” & Compton. “Zeroquarant gine 1000 ripropone i famosi “100 pa lire” a € 0,49.

@Antagre Appartengo alla gene razione del vinile e dei libri di carta, ma viva gli mp3 e viv a gli ebook!

@SkyTg2 4 L’ebook? Lo prend o in prestito dalla bib lioteca.

@France sco ma quan Abate do un #e book fa mica lo p schifo uoi scag liare con muro e/o t ro il b ballando ruciarlo nel cam mino in tondo al fuoco .

@danielemargutti

Quanto resisterò prima di spendere i miei primi euro in un ebook?

@riotta sono gli ebook non n ze an Fr o d n Seco i non ci . Secondo Citat o per lettori seri ri. Ragazzi, siam se ri o tt le iù p o son . seri per favore

Bookbugs

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pretesti Occasioni di letteratura digitale

PreTesti • Occasioni di letteratura digitale Marzo 2012 • Numero 3 • Anno II Telecom Italia S.p.A. Direttore responsabile: Roberto Murgia Coordinamento editoriale: Francesco Baucia Direzione creativa e progetto grafico: Fabio Zanino Alberto Nicoletta Redazione: Sergio Bassani Luca Bisin Fabio Fumagalli Patrizia Martino Francesco Picconi Progetto grafico ed editoriale: Hoplo s.r.l. • www.hoplo.com In copertina: Camilla Baresani L’Editore dichiara la propria disponibilità ad adempiere agli obblighi di legge verso gli eventuali aventi diritto delle immagini pubblicate per le quali non è stato possibile reperire il credito. Per informazioni info@pretesti.net

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