Il Camino del Cuore - Passo 7: Oddriamo la nostra vita insieme a lui

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Città del Vaticano - 3 dicembre 2019 (aggiornato a marzo 2023) San Francesco Saverio - 175 anni di Apostolato della Preghiera

CARI AMICI NEL

SIGNORE

Il Cammino del Cuore è l'itinerario spirituale proposto dalla Rete Mondiale di Preghiera del Papa. È il fondamento della nostra missione, una missione di compassione per il mondo. Fa parte del processo avviato da Papa Francesco con l'Evangelii Gaudium, "La Gioia del Vangelo". È il risultato di un lungo processo spinto da P. Adolfo Nicolás, allora Superiore Generale della Compagnia di Gesù. All'inizio, con un'équipe internazionale guidata da padre Claudio Barriga SJ, è stata elaborata una bozza, qui chiamata "quadro di riferimento". Abbiamo presentato questo itinerario a Papa Francesco che lo ha approvato nell'agosto 2014; poi lo abbiamo pubblicato in un documento intitolato: "Un cammino con Gesù, in disponibilità apostolica" (dicembre 2014 - Doc. 1). Questo documento ha presentato un nuovo modo di intendere la missione dell'Apostolato della Preghiera, in una dinamica di disponibilità apostolica, come era all'inizio. Il Cammino del Cuore è essenziale per la ri-creazione di questo servizio ecclesiale,

oggi

Rete

Mondiale

di

Preghiera del Papa. È un

approfondimento

della

tradizione

spirituale dell'Apostolato della

Preghiera e articola in modo originale gli elementi essenziali di questo tesoro spirituale con la devozione al Cuore di Gesù. Può essere visto come un adattamento degli Esercizi Spirituali di Sant'Ignazio. Il Cammino del Cuore è la chiave di lettura della nostra missione. Il commento scritto nel 2017 voleva aiutare le équipe nazionali della Rete di Preghiera del Papa ad approfondire ogni passo del Cammino del Cuore e ad entrare nelle sue dinamiche interne, in modo da poter proporre, con la propria creatività, materiali adatti al proprio contesto locale. Troviamo questo testo in ogni libro sotto il titolo "Dinamica interna del passo".

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Ci siamo presto resi conto che era importante aiutare le équipe nazionali ad approfondire Il Cammino del Cuore, senza il quale sarebbe stato difficile avanzare nel processo di ricreazione di quest'opera pontificia. Pertanto, nel 2018 abbiamo iniziato a scrivere 11 libri con un'équipe internazionale. Questa équipe era coordinata da Bettina Raed, oggi Coordinatrice Internazionale del Cammino del Cuore. È dalla terra di Papa Francesco, con il sostegno di diversi compagni gesuiti e laici, che abbiamo portato avanti questo lavoro. Nel 2020 abbiamo pubblicato questo lavoro in spagnolo, sotto forma di un sito web con 86 video, 86 podcast e diverse centinaia di schede di presentazione: www.caminodelcorazon.church. Qui trovate la traduzione in italiano dei libri del Cammino del Cuore. Una traduzione è sempre limitata e lasciamo a voi il compito di adattarla localmente. Ci auguriamo che questo materiale vi aiuti a proporre questa missione di compassione per il mondo con creatività (ritiri spirituali, sessioni di formazione, incontri del primo venerdì del mese, ecc). È il nostro modo di entrare nella dinamica del Cuore di Gesù.

P. Frederic Fornos SJ Direttore Internazionale

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Schema per orientare il passo Parola chiave: DONARSI. Obiettivo: Aprirsi a una vita eucaristica, al servizio per gli altri. Chiavi attitudinali: Seguirlo sotto il segno della Croce. Cosa

vogliamo ottenere - Frutto: Perseveranza e determinazione nel

combattimento spirituale. Dinamica interna del passo: Da me, all'offerta della mia stessa vita - alla disponibilità apostolica per la missione di Gesù – per unire la mia vita a Cristo secondo la mia capacità d'amore.

Quadro di riferimento Unire la nostra vita a Cristo ci dovrebbe portare a donare la nostra vita per gli altri come ha fatto Lui. Ci fa scoprire che, nonostante le nostre povertà e i nostri limiti, la nostra vita è utile per gli altri. Il fatto di saperci amati e scelti da Lui, e che Egli vive in noi, ci dona una dignità e ci riempie di gratitudine. Di fronte a tanti benefici ricevuti non possiamo rispondere che offrendo la nostra vita nella disponibilità alla sua missione. Noi la offriamo reagendo contro il nostro egoismo e la nostra pigrizia, che spesso fanno ostacolo al desiderio di Dio in noi. Il Signore ci invita a donargli il nostro “sì” con generosità, come fece Maria di Nazareth. Non vuole salvarci né cambiare il mondo senza di noi. Anche se l’offerta della nostra disponibilità può sembrarci poca cosa, è utile agli altri, perché il Padre associa questa offerta alla vita e al Cuore del suo Figlio, che si dona per noi sulla croce. Associati a Gesù ci facciamo più vicini alle sofferenze del mondo e cerchiamo di rispondervi come Lui. Esprimiamo al Padre la nostra disponibilità attraverso una preghiera di offerta quotidiana. Supplichiamo lo Spirito Santo con umiltà di non farci essere un ostacolo alla sua azione. Riceviamo dalla celebrazione dell’Eucaristia, in modo del tutto speciale, ispirazione e nutrimento, riconoscendo il dono perfetto del Cristo al Padre, modello della nostra vita offerta.

Dinamica interna del passo Rispondere a questo amore che desidera attirarci a lui, conoscere tutta la sua altezza, larghezza ampiezza e profondità nell’Eucaristia, ci porta ad offrire noi stessi. Ringraziamento – Eucaristia L’amore che traspare da questo cuore «mite e umile» (Vangelo secondo Matteo cap. 11,29) di Gesù, si può capire solo seguendo l’itinerario della sua vita fino alla sua fine. Questa «effusione di amore che nessuna parola spiegare senza addolcirla», la Chiesa

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l’acclama con pudore «raccontando come è arrivato l’Amore, commemorando (nell’Eucaristia) la morte e la resurrezione di Cristo» (P. Robert Scholtus)

Questo è il mio corpo. Questo è il mio sangue. Tutto è qui.. L’Eucaristia ci rivela l’amore che va “fino in fondo”, un amore che non ha misura, che è la forza della resurrezione. Gesù Cristo vuole condurci su questa strada «Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me» (Vangelo secondo Giovanni cap. 6,57). Nella comunione con il suo corpo e sangue, Cristo vuole essere profondamente unito a noi. Ci comunica il suo Spirito Santo. Come lo descrive Sant’Efrem il Siro: «Chiamò il pane suo corpo vivente, lo riempì di sé stesso e del suo Spirito. (…) E colui che lo mangia con fede, mangia Fuoco e Spirito. (...) Prendetene, mangiatene tutti, e mangiate con esso lo Spirito Santo. Infatti è veramente il mio corpo e colui che lo mangia vivrà eternamente». Con il dono del suo corpo e del suo sangue, Cristo fa crescere in noi il dono del suo Spirito, effuso già nel Battesimo e dato come “sigillo” nel sacramento della Confermazione. Con l’Eucaristia assimiliamo, per così dire dice San Giovanni Paolo II, il “segreto” della risurrezione, una risurrezione che inizia oggi stesso nel cuore del mondo. Perché vuole farci questo dono immenso di comunicare Sé stesso a noi, di comunicare il suo Spirito? Perché vuole che noi diventiamo come Lui. Ci dà la capacità di amare, di offrire la nostra vita, con Lui, per il Regno di Dio, un nuovo mondo che è già in fase di realizzazione. È per questa ragione che la Rete Mondiale di Preghiera del Papa – L’Apostolato della Preghiera – da oltre 175 anni, ci invita a diventare disponibili ogni mattina alla missione di Cristo (Esercizi Spirituali n° 91-100). Mediante una preghiera di offerta diciamo a Gesù: “Io sono qui!”, “Puoi contare su di me”. Offrirmi per il servizio di Cristo, ogni mattina, significa accogliere, pieno di gratitudine, il dono gratuito dell’amore di DIO; è rispondere a questo amore mettendo la mia vita al servizio del Regno, e questo nonostante le mie incoerenze, limiti e fragilità. Tramite questa offerta, entro in un’esistenza eucaristica, una vita dedicata al servizio del Signore e degli altri, al servizio della Chiesa nel mondo. Questa offerta mi fa partecipare attivamente al proposito dell’amore di Dio per l’umanità. Gesù ha vissuto la sua vita come un’offerta eucaristica. La sua Ultima Cena ha ripreso tutta la sua vita offerta e consegnata per amore. Questo cammino non lo ha portato ad un vicolo cieco, bensì alla risurrezione e alla vita in abbondanza. È questa vita di felicità eterna che vorrebbe per ciascuno di noi! Ed è per questo che Lui vuole coinvolgerci in questa “danza dell’amore”, anche se si deve passare attraverso la Croce.

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Il combattimento spirituale Tuttavia, entrare nello stesso itinerario di Gesù, amare come Lui ci ha amati, fino al punto di «dare la propria vita per i suoi amici», può condurci ad una lotta spirituale: «Non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che li custodisca dal maligno» (Vangelo secondo Giovanni cap. 17,15). Vivere questa lotta interiore è un criterio di fedeltà a Gesù: «Un servo non è più grande del suo padrone, né un apostolo è più grande di chi lo ha mandato» (Vangelo secondo Giovanni cap. 13,16). Tutti lo sperimentiamo. C’è in noi complicità con il male, la menzogna, tutto ciò che è rifiuto della vita, però Cristo non ci ha lasciati soli, ha inviato lo Spirito Santo, lo Spirito di verità che procede dal Padre, e che smaschera il nemico, e aiuta a scegliere la vita. Rispondere alla chiamata personale che mi fa Gesù mettermi, con molti altri, a sua disposizione, al servizio della missione della Chiesa nel mondo di oggi, con tutte le sue sfide, può sembrare emozionante. Spesso ci immaginiamo, come gli apostoli, uniti al Cuore di Gesù, camminando con lui lungo le strade della Galilea, attraverso verdi pascoli con tanti fiori, o lungo le rive del lago annunciando il Vangelo… ma ci dimentichiamo della croce. A volte siamo come i discepoli, come Pietro, perché Gesù è il Messia che aprirà la strada, per abbassare le montagne, di colpo, senza alcuno sforzo da parte nostra, come se avessimo una bacchetta magica, come se potessimo, solo per il semplice fatto di stare vicino a Gesù, evitare la sofferenza e la croce stessa… «Nessuno entra nel regno dell’amore senza soffrire». Non è che la sofferenza sia necessaria, però nel nostro mondo imparare ad amare richiede di imparare a distaccarsi da sé stessi e ad offrire la propria vita. E questo ci porta spesso, per non dire sempre, ad un cammino di purificazione rinnovato e a un auto-decentramento verso gli altri… che passa attraverso la sofferenza, a volte la croce e la morte. «Vi ho detto queste cose perché abbiate pace in me. Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!», dice Gesù nel Vangelo secondo Giovanni (16,33).

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Entrata dalla Prospettiva Biblica Fino a che punto siamo disposti a vivere la vita in pienezza? Qual è la misura dei nostri impegni? Avete mai pensato se c'è qualcosa in questo mondo per cui siete disposti a dare la vostra vita in cambio? Forse non ci troveremo mai in una situazione in cui dovremo rinunciare alla nostra vita per salvare qualche cosa o qualcuno, ma sicuramente ci siamo trovati in situazioni in cui abbiamo dovuto rinunciare a qualche cosa a noi cara o che consideriamo preziosa per salvaguardarne un’altra. E non è azzardato pensare che le rinunce ripetute nel tempo possano finire per farci sentire come se stessimo sacrificando la nostra vita per ciò a cui ci stiamo dedicando. Ciò che è certo è che l'amore che proviamo per qualcosa o qualcuno è ciò che muove le nostre fibre più profonde a concretizzare il dono e la rinuncia. L'amore ci muove e per amore siamo capaci di grandi sacrifici. Paradossalmente questa stessa rinuncia o offerta, sebbene significhi in fondo un distacco o l'abbandono di qualcosa, una morte, in un certo senso ci fa sentire vivi, persino con una vita rinnovata e più piena, rispetto a quella che avremmo avuto se avessimo tenuto ciò che abbiamo lasciato. Sembra che rinunciare o morire a qualcosa... dia vita, faccia nascere qualcosa di nuovo. Questa esperienza è, insomma, l'esperienza che forma in noi una vita "eucaristica", una vita donata, una vita capace di dare la vita donandosi, rinunciando e morendo per qualcosa. E se scorriamo le pagine della Bibbia, troveremo numerose vite che sono germogliate da una rinuncia, da un abbandono, da un morire per qualcosa. «Questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri… essa invece, nella sua povertà, vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere» (Vangelo secondo Marco cap. 12,43-44) La vita nel mondo, la riconciliazione e la possibilità per Dio di diventare uomo sono avvenute attraverso il dono di una donna, Maria. Nel suo "donarsi", nel suo SÌ che ci ha guadagnato la salvezza, ha lasciato tutto, ha abbandonato tutta la sua vita, tutti i suoi progetti, nelle mani del Padre, senza altra certezza che la sua speranza in colui che le ha rivolto l'invito. «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto» (Vangelo secondo Luca cap. 1,38) I Vangeli raccontano gli incontri di Gesù con i primi discepoli, la sua chiamata e il modo in cui essi "lasciarono tutto e lo seguirono", nascendo a una nuova esistenza, a una nuova situazione di vita. «Tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono» (Vangelo secondo Luca cap. 5,11).

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«Li chiamò. Ed essi, lasciato il loro padre Zebedèo sulla barca con i garzoni, lo seguirono» (Vangelo secondo Marco cap. 1,20). L'esperienza del donarsi è sempre uno spogliarsi, un lasciarsi morire che comporta l'ingresso in un processo di dolore che non ci sarà risparmiato. Nessuno che abbia dato il massimo, che abbia fatto del suo meglio, può dire di averlo fatto senza dolore o sofferenza. La sofferenza, anche se non è cercata, è quasi l'effetto non voluto del dono di sé. La vita di Maria, Giuseppe e Gesù non è stata priva di sofferenze. Giuseppe non solo si è preso del bambino e di sua Madre, rinunciando ai suoi progetti e facendosi carico di un mistero che non comprendeva appieno, ma con generosità e dedizione si è fatto carico di difficoltà e contraddizioni che non erano di poco conto. Di fronte ai pericoli che minacciavano la vita del bambino, «Giuseppe, destatosi, prese con sé il bambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode» (Vangelo secondo Matteo cap. 2,14-15) I Vangeli ci raccontano l'ultimo momento comunitario di Gesù con i suoi discepoli, in cui il dono di sé e la rinuncia assumono il loro significato ultimo, dove tutto ciò che Gesù ha vissuto sulla terra raggiunge il suo culmine. «Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine… si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio di cui si era cinto» (Vangelo secondo Giovanni cap 13,1 4-5). «Mentre mangiavano prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: "Prendete, questo è il mio corpo". Poi prese il calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti». E disse: «Questo è il mio sangue, il sangue dell'alleanza versato per molti» (Vangelo secondo Marco cap. 14,22-24) Come Gesù siamo invitati a configurarci a Lui anche in questa parte della sua vita terrena, perseverando nelle nostre lotte, guardando a Colui che ci ha aperto la via del dono che dà vita. Con quella fiducia con cui Egli va alla Passione, che ci ha ottenuto vita per sempre, possiamo scegliere di percorrere con Lui le nostre difficoltà, le nostre sofferenze, affinché, unite alla Sua Passione, il Padre le risollevi e le renda feconde. Lasciati conquistare il cuore da Gesù che va alla Passione per te, resta con Lui, accompagna questo momento e dona la tua vita perché Lui la porti sulla sua croce. ● Questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri…nella sua povertà, vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere. (Vangelo secondo Marco cap.12,43-44) ● Poi, preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: “Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me”. (Vangelo secondo Luca cap. 22,19)

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● Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto. (Vangelo secondo Luca cap.1,38) ● Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. (Lettera ai Romani cap.12,1) ● Soggiunge: Ecco, io vengo a fare la tua volontà (Lettera agli Ebrei cap. 10,9) Prendi, o Signore, e accetta tutta la mia libertà, la mia memoria, il mio intelletto, la mia volontà, tutto quello che ho e possiedo. Tu me lo hai dato; a te, Signore, lo ridono. Tutto è tuo: tutto disponi secondo la tua piena volontà. Dammi il tuo amore e la tua grazia, e questo solo mi basta. (Sant’Ignazio, Esercizi Spirituali n° 234)

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Entrata dalla Prospettiva della Fede Il simbolo della Croce La croce è il simbolo che ci identifica come cristiani. Come tutti i simboli, la sua funzione è quella di trasmettere significati complessi o astratti, la cui densità è difficile da riassumere nel linguaggio quotidiano, come sentimenti, valori, atteggiamenti. Sono il collegamento tra il visibile e l'invisibile, tra il concreto e l'astratto Che cosa simboleggia la croce per noi oggi? Che cosa simboleggiava la croce per Gesù e per i primi cristiani? La prima risposta che viene in mente è che la Croce simboleggia la nostra partecipazione alla Passione e alla morte di Gesù. Vediamo quindi ora più da vicino in cosa consistono la passione e la morte di Gesù. La Santissima Trinità come manifestazione esterna può essere compresa come agape, come dono di sé e comunicazione di sé come "essere-per". Questa partecipazione all'"essere-per" di Gesù si riflette nel suo servizio alla sofferenza del mondo, che consisteva nel suo fermo impegno per la trasformazione assoluta della realtà, amando il fratello emarginato, sofferente o umanamente disfatto. È iniziata con l'incarnazione, ma non un'incarnazione astratta, bensì un'incarnazione concreta e tangibile, nelle periferie del potere, tra i poveri e gli emarginati. Il dolore del mondo è il dolore di Dio nel mondo. Il bicchiere d'acqua dato all'assetato non avrebbe potuto raggiungere Cristo (Vangelo secondo Matteo cap. 25,31-45), se la sete non avesse prima raggiunto lui. Gesù Cristo soffre con chi soffre. Nel suo essere-per, Gesù ha vissuto in contrasto con l'Anti-Regno di questo mondo, disturbando i potenti e mettendosi al servizio dei deboli e dei bisognosi; è nei suoi atteggiamenti di vita, che Gesù forgia la sua condanna. Nel suo essere al servizio del dolore del mondo, si è sottomesso al potere terreno nelle sue tre sfaccettature più rilevanti: al potere politico, nella persona di Pilato; al potere della comunità di appartenenza, nella persona di Erode; al potere religioso, nella persona di Caifa. Contemplando le scene della Passione e della Croce, vediamo che sono dominate dal segno della consegna: da parte di Giuda, che lo "consegna" al Sinedrio; da parte del Sinedrio che lo consegna a Pilato; da parte di Pilato che lo consegna alla folla, a coloro che anonimamente, ma in nome dei poteri del mondo, lo consegnano alla morte; infine, Dio stesso lo consegna al suo destino.

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La fede ha costituito lo stile di vita di Gesù, che si è sempre lasciato determinare da Dio Padre e dall'altro; crede nella sua missione liberatrice e spera, spera contro ogni speranza. Rimaniamo a contemplare la passione e la croce. Portare la croce... il nostro simbolo di partecipazione alla Passione e alla Croce di Gesù. Tendiamo a collegare l'idea di portare la croce allo sforzo, al dolore fisico, alla sofferenza corporea, ma ciò che è veramente rilevante della morte in croce non è il dolore che comporta, ma la natura ignominiosa, vergognosa, umiliante e indegna di tale morte, usata solo per gli schiavi, i terroristi e i peggiori malfattori. Nella sua kenosi, nel suo svuotamento, Gesù non solo ha dato la sua vita per noi uomini, ma lo ha fatto con una morte vergognosa e umiliante. Abbiamo perso di vista l'aspetto umiliante della Croce e ci siamo concentrati sul dolore fisico. Trappola della nostra meschina umanità. Mentre il dolore fisico ci lascia egocentrici, l'umiliazione e la vergogna ci mettono in relazione con gli altri, e quindi partecipiamo all'"essere-per" di Gesù al servizio del dolore del mondo. La Croce non è una questione di natura individuale, ma un modo di collegarsi alla realtà, un modo di essere in comunità. La croce non è una forma di ascesi, ma un modo di vivere e di essere di fronte al mondo e agli uomini, appartiene alla sfera delle relazioni tra gli uomini tra loro e non con sé stessi. Tutta la vita di Gesù è stata un dono di sé, un essere-per-gli-altri; è stata un tentativo e una realizzazione nella sua esistenza del superamento di tutti i conflitti. In nome del Regno di Dio, Gesù ha vissuto il suo essere-per-gli-altri fino in fondo, anche quando l'esperienza della morte (assenza di Dio) è stata da lui avvertita sulla croce quasi fino alla disperazione. Ma confidava e credeva fino alla fine che Dio avrebbe comunque accettato il suo sacrificio e la sua offerta salvifica per il bene di tutta l'umanità. La Croce nel cristiano è partecipazione alla passione del Signore, ma una passione segnata dall'umiliazione, dall'ignominia, dall'essere-per-gli-altri e dalla fiducia assoluta nell'amore infinito di Dio Padre. La croce è un simbolo di umile e semplice servizio al dolore di Dio nel mondo, come lo fu per Gesù.

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Entrata dalla Prospettiva Spirituale Offrire la vita con il Figlio Il centro e il cuore del carisma della Rete Mondiale di Preghiera del Papa è la disponibilità apostolica alla missione di compassione di Gesù per il mondo. È l'atteggiamento del cuore di offerta totale della mia vita con tutto ciò che sono e ho, unendomi a Cristo per la sua missione, per il Regno di Dio. È la completa disponibilità, senza riserve, con il desiderio profondo di unirmi a Gesù Cristo, al suo Cuore, affinché egli disponga in favore del suo regno. Questa disponibilità accompagna tutta la mia giornata e permea ogni cosa. Così la preghiera di offerta è quella con cui ci offriamo al Padre, ci rendiamo disponibili alla sua missione di compassione. In questa preghiera si uniscono mistica e azione, il Cuore di Gesù e la missione. In essa diciamo al Padre "Eccomi" con tutto il nostro essere, con tutta la nostra vita, con il desiderio di unirci all'offerta di sé del Figlio al Padre, per essere figli con Lui nella missione di compassione. Non si tratta solo di offrire il nostro lavoro quotidiano, ma tutto il nostro essere, la disponibilità interiore ad essere apostoli nella missione di compassione per il mondo. Ma qual è questa missione della Rete di Preghiera del Papa? Qual è il luogo di incarnazione di questa missione in questo momento per coloro che partecipano a questa Rete di Preghiera? Non sono altro che le sfide dell'umanità e della missione della Chiesa, espresse dalle intenzioni di preghiera del Papa, che sono dodici chiavi della nostra missione. Questo è il luogo concreto dove si incarna la missione, dove il Signore ci invita. Pregare e mobilitare le nostre vite per i bisogni concreti degli uomini e delle donne di questo mondo. Così, nella preghiera di offerta diciamo al Signore che siamo completamente per Lui, per questa missione che ci ha affidato e che si concretizza per noi, ed è un luogo di incarnazione nelle intenzioni di preghiera del Papa. In questo modo, siamo collaboratori della missione di Cristo. Diventiamo eucaristia con Gesù Cristo, in unione con lui e disponibili per la sua missione. Egli ci rende pane spezzato per i fratelli e sorelle con la nostra disponibilità e la sua azione. Il Signore ci invita a questa disponibilità totale per fare della nostra vita un'eucaristia con Lui. Vivere eucaristicamente è vivere a disposizione di Cristo, della sua missione con tutto ciò che siamo e che abbiamo per collaborare con Lui nella sua missione di compassione, a favore dei nostri fratelli e sorelle.

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La mia vita come una permanente Eucaristia Quando diciamo Eucaristia, evochiamo due gesti di Gesù alla vigilia del momento più buio della sua vita terrena: la sua cena, cioè la cena del Signore, e lo spezzare il pane. Due gesti che fanno parte del più grande gesto di donazione mai compiuto: l’offerta di Gesù Cristo, accettata volontariamente per amore di tutti gli uomini e le donne di tutti i tempi, senza condizioni. Ecco perché quando ci riuniamo nell'Eucaristia lo facciamo per celebrare la Cena del Signore e per spezzare e condividere il pane, cioè la Messa. Anche se oggi è difficile da comprendere, a causa delle dinamiche sociali e dello stesso sviluppo della storia, l'Eucaristia non è un atto di culto ma la fonte della trasformazione delle relazioni umane. È una mensa condivisa tra amici, la Messa significa "invio" e l'Eucaristia "ringraziamento". La mensa condivisa della Cena del Signore è stata organizzata dal Signore, una mensa in cui Gesù, il Signore, condivide con i suoi servi, il Maestro si siede e condivide la tavola con i suoi discepoli. Questo non era affatto comune ai tempi di Gesù, quando schiavi e servi non condividevano la mensa con il loro Signore. Inoltre, per i suoi discepoli era un atto di speranza, perché un pasto condiviso è una celebrazione, un commiato in un momento buio e un atto di speranza, una festa. I Vangeli di Matteo, Marco e Luca ci raccontano due cose che Gesù fa durante quella cena. Spezza il pane e lo distribuisce, spezza il pane e lo condivide con i suoi amici. Questo gesto ha il senso della condivisione del bisogno. Il pane è cibo e spezzandolo e passandolo condividiamo i bisogni gli uni degli altri. Il cibo viene spezzato e il bisogno viene condiviso. Poi il gesto di Gesù di passare il calice, ha il senso di comunicare la gioia, il vino è la gioia e tutti partecipano allo stesso calice che Gesù dà per comunicare la Sua gioia. E poi dice loro che ogni volta che faranno questi gesti Lui sarà lì, con loro, con noi. Perché "questo è il mio corpo", dice loro, il che, nella cultura semitica, a cui Gesù e i suoi amici appartenevano, ha il significato di dire loro "questa è la mia persona" e quindi la mia persona sarà sempre con voi. Questo è il mio sangue, dice loro, il che significa che questa è la mia vita donata. Ecco perché Gesù dice loro e dice a noi ogni volta durante questo memoriale: "Nella mia cena, nello spezzare e condividere il pane condividiamo il bisogno, nel bere tutti dallo stesso calice di vino si comunica la mia gioia; perciò, ogni volta che fate questo sappiate che la mia persona sarà con voi, Io sarò con voi di persona, e con tutta la mia vita donata, ovunque si compiano questi gesti".

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Il corpo che condividiamo è il corpo e la persona del Risorto, il Cristo con le sue ferite che apparve ai discepoli chiusi per la paura e nella frustrazione quella notte di pesca sul lago di Genesaret. Dobbiamo recuperare il senso della celebrazione eucaristica, entrando in profondità nel significato che il Signore ha impresso in essa. San Paolo ci dice nella sua prima lettera ai Corinzi che, partecipando tutti all'unico pane spezzato e condiviso, che è la persona di Cristo, siamo un corpo solo (Prima lettera ai Corinzi cap. 10,17). E questo fatto è evento e invito, dono e compito, grazia e opera. Siamo una cosa sola perché Lui ci rende una cosa sola e anche noi dobbiamo renderci tutti una cosa sola nella trasformazione concreta delle nostre relazioni ogni giorno. Ecco perché l'Eucaristia, il pane spezzato e condiviso e il calice comune, è la fonte della trasformazione delle nostre relazioni, con gli altri e con noi stessi. Senza questa trasformazione, operata ogni giorno nella nostra vita quotidiana, l'Eucaristia perde il suo significato. L'Eucaristia deve essere un luogo di trasformazione delle relazioni umane. La Chiesa è Eucaristia e l'Eucaristia è Chiesa, quindi la Chiesa deve essere il luogo in cui le relazioni umane si trasformano. San Paolo ci dice che se, quando ci sediamo alla mensa del Signore, alcuni sono sazi e altri affamati, non abbiamo colto il punto, perché la cena è la trasformazione delle relazioni umane in cui condividiamo i nostri bisogni e comunichiamo la Sua gioia gli uni agli altri. Se non c'è trasformazione delle relazioni umane nell'Eucaristia, non c'è celebrazione della Cena del Signore (cfr. Prima lettera ai Corinzi cap. 11,20-21). Diciamo che, nell'Eucaristia, celebriamo la Vita del Signore offerta fino alla morte. Ringraziamo per il passato e annunciamo il futuro. Il passato in cui ci è stato fatto il dono, la fonte in cui le relazioni umane sono state trasformate e il futuro in cui le relazioni saranno trasformate dalla nostra accettazione della grazia e dalla nostra opera Non accogliamo la grazia dell'Eucaristia e la celebrazione della Messa solo "assistendo e partecipando"; ci sarà Eucaristia solo se ci sarà una trasformazione dei rapporti umani.

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Entrata tramite le Parole del Papa «La fede significa anche credere in Lui, credere che veramente ci ama, che è vivo, che è capace di intervenire misteriosamente, che non ci abbandona, che trae il bene dal male con la sua potenza e con la sua infinita creatività. Significa credere che Egli avanza vittorioso nella storia insieme con «quelli che stanno con lui […] i chiamati, gli eletti, i fedeli» (Libro dell’Apocalisse cap. 17,14). Crediamo al Vangelo che dice che il Regno di Dio è già presente nel mondo, e si sta sviluppando qui e là, in diversi modi: come il piccolo seme che può arrivare a trasformarsi in una grande pianta (cfr. Vangelo secondo Matteo cap. 13,31-32), come una manciata di lievito, che fermenta una grande massa (cfr. Vangelo secondo Matteo cap. 13,33) e come il buon seme che cresce in mezzo alla zizzania (cfr. Vangelo secondo Matteo cap. 13,24-30), e ci può sempre sorprendere in modo gradito. È presente, viene di nuovo, combatte per fiorire nuovamente. La risurrezione di Cristo produce in ogni luogo germi di questo mondo nuovo; e anche se vengono tagliati, ritornano a spuntare, perché la risurrezione del Signore ha già penetrato la trama nascosta di questa storia, perché Gesù non è risuscitato invano. Non rimaniamo al margine di questo cammino della speranza viva! Poiché non sempre vediamo questi germogli, abbiamo bisogno di una certezza interiore, cioè della convinzione che Dio può agire in qualsiasi circostanza, anche in mezzo ad apparenti fallimenti, perché «abbiamo questo tesoro in vasi di creta» (Seconda lettera ai Corinzi cap. 4,7). Questa certezza è quello che si chiama “senso del mistero”. È sapere con certezza che chi si offre e si dona a Dio per amore, sicuramente sarà fecondo (cfr. Vangelo secondo Giovanni cap. 15,5). Tale fecondità molte volte è invisibile, inafferrabile, non può essere contabilizzata. Uno è ben consapevole che la sua vita darà frutto, ma senza pretendere di sapere come, né dove, né quando. Ha la sicurezza che non va perduta nessuna delle sue opere svolte con amore, non va perduta nessuna delle sue sincere preoccupazioni per gli altri, non va perduto nessun atto d’amore per Dio, non va perduta nessuna generosa fatica, non va perduta nessuna dolorosa pazienza. Tutto ciò circola attraverso il mondo come una forza di vita. A volte ci sembra di non aver ottenuto con i nostri sforzi alcun risultato, ma la missione non è un affare o un progetto aziendale, non è neppure un’organizzazione umanitaria, non è uno spettacolo per contare quanta gente vi ha partecipato grazie alla nostra propaganda; è qualcosa di molto più profondo, che sfugge ad ogni misura. Forse il Signore si avvale del nostro impegno per riversare benedizioni in un altro luogo del mondo dove non andremo mai. Lo Spirito Santo opera come vuole, quando vuole e dove vuole; noi ci spendiamo con dedizione ma senza pretendere di vedere risultati appariscenti. Sappiamo soltanto che il dono di noi stessi è necessario. Impariamo a riposare nella tenerezza delle braccia del Padre in mezzo alla nostra

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dedizione creativa e generosa. Andiamo avanti, mettiamocela tutta, ma lasciamo che sia Lui a rendere fecondi i nostri sforzi come pare a Lui. Per mantenere vivo l’ardore missionario occorre una decisa fiducia nello Spirito Santo, perché Egli «viene in aiuto alla nostra debolezza» (Lettera ai Romani cap. 8,26). Ma tale fiducia generosa deve alimentarsi e perciò dobbiamo invocarlo costantemente. Egli può guarirci da tutto ciò che ci debilita nell’impegno missionario. È vero che questa fiducia nell’invisibile può procurarci una certa vertigine: è come immergersi in un mare dove non sappiamo che cosa incontreremo. Io stesso l’ho sperimentato tante volte. Tuttavia non c’è maggior libertà che quella di lasciarsi portare dallo Spirito, rinunciando a calcolare e a controllare tutto, e permettere che Egli ci illumini, ci guidi, ci orienti, ci spinga dove Lui desidera. Egli sa bene ciò di cui c’è bisogno in ogni epoca e in ogni momento. Questo si chiama essere misteriosamente fecondi!” (Papa Francesco, Evangelii Gaudium nn 278 -280).

Combattimento, vigilanza e discernimento La vita cristiana è un combattimento permanente. Si richiedono forza e coraggio per resistere alle tentazioni del diavolo e annunciare il Vangelo. Questa lotta è molto bella, perché ci permette di fare festa ogni volta che il Signore vince nella nostra vita. Il combattimento e la vigilanza Non si tratta solamente di un combattimento contro il mondo e la mentalità mondana, che ci inganna, ci intontisce e ci rende mediocri, senza impegno e senza gioia. Nemmeno si riduce a una lotta contro la propria fragilità e le proprie inclinazioni (ognuno ha la sua: la pigrizia, la lussuria, l’invidia, le gelosie, e così via). È anche una lotta costante contro il diavolo, che è il principe del male. Gesù stesso festeggia le nostre vittorie. Si rallegrava quando i suoi discepoli riuscivano a progredire nell’annuncio del Vangelo, superando l’opposizione del Maligno, ed esultava: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore» (Vangelo secondo Luca cap. 10,18). Qualcosa di più di un mito. Non ammetteremo l’esistenza del diavolo se ci ostiniamo a guardare la vita solo con criteri empirici e senza una prospettiva soprannaturale. Proprio la convinzione che questo potere maligno è in mezzo a noi, è ciò che ci permette di capire perché a volte il male ha tanta forza distruttiva. È vero che gli autori biblici avevano un bagaglio concettuale limitato per esprimere alcune realtà e che ai tempi di Gesù si poteva confondere, ad esempio, un’epilessia con la possessione demoniaca. Tuttavia, questo non deve portarci a semplificare troppo la realtà affermando che tutti i casi narrati nei vangeli erano malattie psichiche e che in definitiva il demonio non esiste o non agisce. La sua presenza si trova nella prima pagina delle Scritture, che terminano con la vittoria di Dio sul demonio. Di fatto,

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quando Gesù ci ha lasciato il “Padre Nostro” ha voluto che terminiamo chiedendo al Padre che ci liberi dal Maligno. L’espressione che lì si utilizza non si riferisce al male in astratto e la sua traduzione più precisa è «il Maligno». Indica un essere personale che ci tormenta. Gesù ci ha insegnato a chiedere ogni giorno questa liberazione perché il suo potere non ci domini. Non pensiamo dunque che sia un mito, una rappresentazione, un simbolo, una figura o un’idea. Tale inganno ci porta ad abbassare la guardia, a distrarci e a rimanere più esposti. Lui non ha bisogno di possederci. Ci avvelena con l’odio, con la tristezza, con l’invidia, con i vizi. E così, mentre riduciamo le difese, lui ne approfitta per distruggere la nostra vita, le nostre famiglie e le nostre comunità, perché «come leone ruggente va in giro cercando chi divorare» (Prima lettera di Pietro cap. 5,8). Svegli e fiduciosi. La Parola di Dio ci invita esplicitamente a «resistere alle insidie del diavolo» (Lettera agli Efesini cap. 6,11) e a fermare «tutte le frecce infuocate del maligno» (Lettera agli Efesini cap. 6,16). Non sono parole romantica, perché anche il nostro cammino verso la santità è una lotta costante. Chi non lo vuole riconoscere si vedrà esposto al fallimento o alla mediocrità. Per il combattimento abbiamo le potenti armi che il Signore ci dà: la fede che si esprime nella preghiera, la meditazione della Parola di Dio, la celebrazione della Messa, l’adorazione eucaristica, la Riconciliazione sacramentale, le opere di carità, la vita comunitaria, l’impegno missionario. Se ci distraiamo ci sedurranno facilmente le false promesse del male, perché, come diceva il santo sacerdote Brochero: «Che importa che Lucifero prometta di liberarvi e anzi vi getti in mezzo a tutti i suoi beni, se sono beni ingannevoli, se sono beni avvelenati?». In questo cammino, lo sviluppo del bene, la maturazione spirituale e la crescita dell’amore sono il miglior contrappeso nei confronti del male. Nessuno resiste se sceglie di fermarsi in un punto morto, se si accontenta di poco, se smette di sognare di offrire al Signore una dedizione più bella. Peggio ancora se cade in un senso di sconfitta, perché «chi comincia senza fiducia ha perso in anticipo metà della battaglia e sotterra i propri talenti. […] Il trionfo cristiano è sempre una croce, ma una croce che al tempo stesso è vessillo di vittoria, che si porta con una tenerezza combattiva contro gli assalti del male» La corruzione spirituale. Il cammino della santità è una fonte di pace e di gioia che lo Spirito ci dona, ma nello stesso tempo richiede che stiamo con «le lampade accese» (cfr. Vangelo secondo Luca cap.12,35) e rimaniamo attenti: «Astenetevi da ogni specie di male» (Prima lettera ai Tessalonicesi cap. 5,22); «vegliate» (cfr. Vangelo secondo Marco cap. 13,35; Vangelo secondo Matteo cap. 24,42); «non addormentiamoci» (cfr. Prima lettera ai Tessalonicesi cap. 5,6). Perché coloro che non si accorgono di

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commettere gravi mancanze contro la Legge di Dio possono lasciarsi andare ad una specie di stordimento o torpore. Dato che non trovano niente di grave da rimproverarsi, non avvertono quella tiepidezza che a poco a poco si va impossessando della loro vita spirituale e finiscono per logorarsi e corrompersi. La corruzione spirituale è peggiore della caduta di un peccatore, perché si tratta di una cecità comoda e autosufficiente dove alla fine tutto sembra lecito: l’inganno, la calunnia, l’egoismo e tante sottili forme di autoreferenzialità, poiché «anche Satana si maschera da angelo della luce» (Seconda lettera ai Corinzi cap. 11,14). Così terminò i suoi giorni Salomone, mentre il gran peccatore Davide seppe superare la sua miseria. In un passo Gesù ci ha avvertito circa questa tentazione insidiosa che ci fa scivolare verso la corruzione: parla di una persona liberata dal demonio che, pensando che la sua vita fosse ormai pulita, finì posseduta da altri sette spiriti maligni (cfr. Vangelo secondo Luca cap. 11,24-26). Un altro testo biblico usa un’immagine forte: «Il cane è tornato al suo vomito» (Seconda lettera di Pietro cap. 2,22; cfr. Proverbi cap. 26,11). Il discernimento. Come sapere se una cosa viene dallo Spirito Santo o se deriva dallo spirito del mondo o dallo spirito del diavolo? L’unico modo è il discernimento, che non implica solo una buona capacità di ragionare o un senso comune, ma è anche un dono che bisogna chiedere. Se lo chiediamo con fiducia allo Spirito Santo, e allo stesso tempo ci sforziamo di coltivarlo con la preghiera, la riflessione, la lettura e il buon consiglio, sicuramente potremo crescere in questa capacità spirituale. Un bisogno urgente Al giorno d’oggi l’attitudine al discernimento è diventata particolarmente necessaria. Infatti la vita attuale offre enormi possibilità di azione e di distrazione e il mondo le presenta come se fossero tutte valide e buone. Tutti, ma specialmente i giovani, sono esposti a uno zapping costante. È possibile navigare su due o tre schermi simultaneamente e interagire nello stesso tempo in diversi scenari virtuali. Senza la sapienza del discernimento possiamo trasformarci facilmente in burattini alla mercé delle tendenze del momento. Questo risulta particolarmente importante quando compare una novità nella propria vita, e dunque bisogna discernere se sia il vino nuovo che viene da Dio o una novità ingannatrice dello spirito del mondo o dello spirito del diavolo. In altre occasioni succede il contrario, perché le forze del male ci inducono a non cambiare, a lasciare le cose come stanno, a scegliere l’immobilismo e la rigidità, e allora impediamo che agisca il soffio dello Spirito. Siamo liberi, con la libertà di Gesù, ma Egli ci chiama a esaminare quello che c’è dentro di noi – desideri, angustie, timori, attese – e quello che accade fuori di noi – i “segni dei tempi” – per riconoscere le vie della libertà piena: «Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono» (Prima lettera ai Tessalonicesi cap.

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5,21). Sempre alla luce del Signore. Il discernimento è necessario non solo in momenti straordinari, o quando bisogna risolvere problemi gravi, oppure quando si deve prendere una decisione cruciale. È uno strumento di lotta per seguire meglio il Signore. Ci serve sempre, per essere capaci di riconoscere i tempi di Dio e della sua grazia, per non sprecare le ispirazioni del Signore, per non lasciar cadere il suo invito a crescere. Molte volte questo si gioca nelle piccole cose, in ciò che sembra irrilevante, perché la magnanimità si rivela nelle cose semplici e quotidiane. Si tratta di non avere limiti per la grandezza, per il meglio e il più bello, ma nello stesso tempo di concentrarsi sul piccolo, sull’impegno di oggi. Pertanto chiedo a tutti i cristiani di non tralasciare di fare ogni giorno, in dialogo con il Signore che ci ama, un sincero “esame di coscienza”. Al tempo stesso, il discernimento ci conduce a riconoscere i mezzi concreti che il Signore predispone nel suo misterioso piano di amore, perché non ci fermiamo solo alle buone intenzioni. Un dono soprannaturale. È vero che il discernimento spirituale non esclude gli apporti delle sapienze umane, esistenziali, psicologiche, sociologiche o morali. Però le trascende. E neppure gli bastano le sagge norme della Chiesa. Ricordiamo sempre che il discernimento è una grazia. Anche se include la ragione e la prudenza, le supera, perché si tratta di intravedere il mistero del progetto unico e irripetibile che Dio ha per ciascuno e che si realizza in mezzo ai più svariati contesti e limiti. Non è in gioco solo un benessere temporale, né la soddisfazione di fare qualcosa di utile, e nemmeno il desiderio di avere la coscienza tranquilla. È in gioco il senso della mia vita davanti al Padre che mi conosce e mi ama, quello vero, per il quale io possa dare la mia esistenza, e che nessuno conosce meglio di Lui. Il discernimento, insomma, conduce alla fonte stessa della vita che non muore, cioè «che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo» (Vangelo secondo Giovanni cap. 17,3). Non richiede capacità speciali né è riservato ai più intelligenti e istruiti, e il Padre si manifesta con piacere agli umili (cfr. Vangelo secondo Matteo cap. 11,25). Anche se il Signore ci parla in modi assai diversi durante il nostro lavoro, attraverso gli altri e in ogni momento, non è possibile prescindere dal silenzio della preghiera prolungata per percepire meglio quel linguaggio, per interpretare il significato reale delle ispirazioni che pensiamo di aver ricevuto, per calmare le ansie e ricomporre l’insieme della propria esistenza alla luce di Dio. Così possiamo permettere la nascita di quella nuova sintesi che scaturisce dalla vita illuminata dallo Spirito. Parla, Signore. Tuttavia potrebbe capitare che nella preghiera stessa evitiamo di lasciarci confrontare con la libertà dello Spirito, che agisce come vuole. Occorre ricordare che il discernimento orante richiede di partire da una disposizione ad

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ascoltare: il Signore, gli altri, la realtà stessa che sempre ci interpella in nuovi modi. Solamente chi è disposto ad ascoltare ha la libertà di rinunciare al proprio punto di vista parziale e insufficiente, alle proprie abitudini, ai propri schemi. Così è realmente disponibile ad accogliere una chiamata che rompe le sue sicurezze ma che lo porta a una vita migliore, perché non basta che tutto vada bene, che tutto sia tranquillo. Può essere che Dio ci stia offrendo qualcosa di più, e nella nostra pigra distrazione non lo riconosciamo. Tale atteggiamento di ascolto implica, naturalmente, obbedienza al Vangelo come criterio ultimo, ma anche al Magistero che lo custodisce, cercando di trovare nel tesoro della Chiesa ciò che può essere più fecondo per l’oggi della salvezza. Non si tratta di applicare ricette o di ripetere il passato, poiché le medesime soluzioni non sono valide in tutte le circostanze e quello che era utile in un contesto può non esserlo in un altro. Il discernimento degli spiriti ci libera dalla rigidità, che non ha spazio davanti al perenne oggi del Risorto. Unicamente lo Spirito sa penetrare nelle pieghe più oscure della realtà e tenere conto di tutte le sue sfumature, perché emerga con altra luce la novità del Vangelo. La logica del dono e della croce. Una condizione essenziale per il progresso nel discernimento è educarsi alla pazienza di Dio e ai suoi tempi, che non sono mai i nostri. Lui non fa «scendere fuoco sopra gli infedeli» (cfr. Vangelo secondo Luca cap. 9,54), né permette agli zelanti di «raccogliere la zizzania» che cresce insieme al grano (cfr. Vangelo secondo Matteo cap. 13,29). Inoltre si richiede generosità, perché «si è più beati nel dare che nel ricevere» (Atti degli apostoli cap. 20,35). Non si fa discernimento per scoprire cos’altro possiamo ricavare da questa vita, ma per riconoscere come possiamo compiere meglio la missione che ci è stata affidata nel Battesimo, e ciò implica essere disposti a rinunce fino a dare tutto. Infatti, la felicità è paradossale e ci regala le migliori esperienze quando accettiamo quella logica misteriosa che non è di questo mondo. Come diceva san Bonaventura riferendosi alla croce: «Questa è la nostra logica». Se uno assume questa dinamica, allora non lascia anestetizzare la propria coscienza e si apre generosamente al discernimento. Quando scrutiamo davanti a Dio le strade della vita, non ci sono spazi che restino esclusi. In tutti gli aspetti dell’esistenza possiamo continuare a crescere e offrire a Dio qualcosa di più, perfino in quelli nei quali sperimentiamo le difficoltà più forti. Ma occorre chiedere allo Spirito Santo che ci liberi e che scacci quella paura che ci porta a vietargli l’ingresso in alcuni aspetti della nostra vita. Colui che chiede tutto dà anche tutto, e non vuole entrare in noi per mutilare o indebolire, ma per pianificare. Questo ci fa vedere che il discernimento non è un’autoanalisi presuntuosa, una introspezione egoista, ma una vera uscita da noi stessi verso il mistero di Dio, che ci aiuta a vivere la

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missione alla quale ci ha chiamato per il bene dei fratelli. Desidero che Maria coroni queste riflessioni, perché lei ha vissuto come nessun altro le Beatitudini di Gesù. Ella è colei che trasaliva di gioia alla presenza di Dio, colei che conservava tutto nel suo cuore e che si è lasciata trafiggere dalla spada. È la santa tra i santi, la più benedetta, colei che ci mostra la via della santità e ci accompagna. Lei non accetta che quando cadiamo rimaniamo a terra e a volte ci porta in braccio senza giudicarci. Conversare con lei ci consola, ci libera e ci santifica. La Madre non ha bisogno di tante parole, non le serve che ci sforziamo troppo per spiegarle quello che ci succede. Basta sussurrare ancora e ancora: «Ave o Maria…». Gaudete et Exultate dal nº 158 al 176.

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Entrata dalla Prospettiva della Preghiera Per quali ragioni daresti la tua vita? Nelle nostre conversazioni abituali sentiamo spesso dire "Darei la mia vita per" o "Darei la mia vita perché..." quando si vuole esprimere il sacrificio che si è disposti a fare per qualcosa o qualcuno. Tuttavia, dietro queste frasi possono esserci motivazioni diverse. Un motivo può essere l'egoismo, ma può anche essere il riflesso di un amore profondo. Quando usiamo l'espressione "darei la mia vita" possiamo riscontrare due cose. La prima è che potremmo renderci conto che daremmo la vita per pochissimi motivi, e che la maggior parte di essi sarebbe per un tornaconto puramente personale. Ma potremmo anche sorprenderci nel riconoscere quanto apprezziamo la vita degli altri e il sacrificio che siamo disposti a fare per gli altri. Cosa avverrebbe se in realtà ciò per cui daresti la tua vita, ad esempio il benessere in una relazione, la pace in una situazione o la felicità degli altri, non dipendesse esclusivamente dal fatto che tu daresti la "tua" vita, ma semplicemente la trasformi? Se la felicità dell'altra persona dipendesse da un tuo cambiamento di atteggiamento, lo faresti? Se per raggiungere il benessere e l'armonia in una relazione dovessi cercare nuovi modi di legarti cambieresti il tuo modo di agire? Inoltre, se la felicità di una persona dipendesse dal fatto che sei tu a "perdere", saresti disposto a farlo? E se ti rendessi conto che puoi ottenere ciò che vuoi cambiando il tuo modo di essere e di agire? Quali decisioni prenderesti? Dare la propria vita per il benessere di un'altra persona può essere molto lodevole. Dare la propria vita perché l'altra persona possa vivere può essere un enorme gesto d'amore. È stato il più grande gesto d'amore che l'umanità abbia mai conosciuto. Condividendo il pane e il vino con i suoi discepoli, Gesù anticipava il dono d'amore definitivo che avrebbe suggellato con la sua morte in croce. Non c'è mai stato e non ci sarà mai un gesto d'amore e di donazione più grande di quello compiuto dal Figlio di Dio. Sulla croce Gesù rivela il suo amore che si spinge fino all'estremo del dono di sé perché un altro possa vivere, indipendentemente dal fatto che sia buono o cattivo, giusto o ingiusto, peccatore o santo, perché il suo dono di sé è per tutti e per sempre. Quando nel Vangelo sentiamo Gesù dire che "il discepolo non è al di sopra del suo maestro, né il servo al di sopra del suo signore" e aggiunge che è sufficiente che "il discepolo sia come il suo maestro e il servo come il suo signore", possiamo essere tentati di credere che dobbiamo fare un sacrificio identico a quello di Gesù. L’offerta di Gesù sulla croce è stata unica e per sempre. Tuttavia, come discepoli siamo chiamati a donarci per amore. L'offerta della nostra vita è un atteggiamento interiore che nasce dall'Eucaristia e ha il suo culmine nella croce. Significa essere

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disponibili interiormente affinché la nostra vita possa essere nutrimento per gli altri. Ci sono situazioni che non migliorano nel nostro ambiente perché non siamo disposti a fare il sacrificio di cedere un po' e procedere in modo diverso. La nostra vita diventa un'offerta quando la offriamo a Dio come strumento di amore e di redenzione per gli altri. Quando prendiamo la nostra vita come un dono di Dio e vogliamo donarla come ha fatto Gesù, diventiamo persone eucaristiche. Essere discepoli di Gesù ha come caratteristica il dono di sé e il sacrificio che nasce dall'amore. Saresti disposto a collaborare con Gesù nella sua missione vivificante? Gesù Cristo disse: “nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Vangelo secondo Giovanni cap. 15,13). A entrega de Jesus na Cruz foi única e para sempre. No entanto, como discípulos, somos chamados à entrega de nós mesmos por amor. A oferenda da nossa vida é uma atitude interior que brota da Eucaristia e que tem o seu cume na Cruz. Significa estarmos interiormente disponíveis para que a nossa vida seja alimento para os outros. Certas situações não melhoram à nossa volta porque não estamos dispostos ao sacrifício de ceder um pouco e mudar de procedimento. A nossa vida torna-se oblação quando a oferecemos a Deus como instrumento de amor e redenção para os outros. Quando tomamos a própria vida como dom de Deus e a queremos entregar como Jesus, convertemo-nos em pessoas eucarísticas. Ser discípulo de Jesus tem o selo da entrega e do sacrifício que nasce do amor. Estarias disponível a colaborar com Jesus na sua missão para dar a vida? Jesus Cristo disse: «Ninguém tem mais amor do que quem dá a vida pelos seus amigos» (Jo 15, 13). Gesù, con le sue parole, i suoi gesti e il suo modo di procedere, ha confortato moltissime persone. Ha dato loro speranza, li ha aiutati a credere e a ritrovare la fede. Se esaminassi con attenzione e coraggio il corso e il ritmo della tua vita e decidessi di aiutare gli altri a vivere meglio, ti renderesti conto di quanto potresti favorire la felicità degli altri. La celebrazione eucaristica non è uno spettacolo artistico, ma un pasto fraterno. È un luogo privilegiato per incontrare Gesù. Per sederci alla sua mensa dobbiamo confessare di avere fame di lui. Questa è la condizione per nutrirci del suo Corpo e del suo Sangue che ci nutre e un elemento fondamentale per il legame affettivo con Lui. Come nell'Ultima Cena Gesù prese il pane tra le mani e lo distribuì tra i suoi discepoli e fece lo stesso con il calice, così ripete la stessa azione con ciascuno di noi.

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Ricevendo la comunione entriamo in comunione con Gesù, ci nutriamo del suo Corpo e del suo Sangue e lui prende ognuno di noi. Nelle sue mani trafitte dai chiodi della croce ci plasma in discepoli eucaristici. Egli si assume la responsabilità primaria di prenderci come suoi discepoli, ma allo stesso tempo esige da noi una disponibilità assoluta. Il racconto della creazione dell'uomo nel libro della Genesi ci dice che Dio prese l'argilla nelle sue mani e modellò l'uomo. Anche in ogni Eucaristia siamo presi da Gesù nello stesso momento in cui lo prendiamo come cibo. Attraverso l'atto di comunione, egli delinea i tratti che ci definiscono come suoi discepoli. L'essere umano, fatto di argilla, è composto dall'"acqua" delle sue qualità e dei suoi talenti e dalla "terra" delle sue fragilità e delle sue carenze. Non siamo solo qualità e virtù, ma non siamo nemmeno solo difetti e limiti; entrambi gli elementi costituiscono un binomio perfetto, che non può essere separato senza lacerare l'essenza dell'essere umano. «Abbiamo questo tesoro in vasi di creta» (Seconda lettera ai Corinzi cap. 4,7). Non sono le nostre qualità e i nostri talenti a far nascere il Regno di Dio, così come non sono i nostri limiti a impedirne la realizzazione. Le nostre debolezze non sono una scusa, né le nostre mancanze sono un motivo sufficiente perché Dio sospenda il suo piano. La nostra debolezza non sarà mai superiore alla sua potenza. La fragilità umana non è un ostacolo che impedisce a Dio di interrompere la sua azione salvifica, che può operare con la nostra collaborazione. Essere discepoli eucaristici significa lasciare che lo Spirito Santo imprima in noi l'immagine di Gesù. Per farlo, dobbiamo essere disposti a staccarci dai nostri modi di agire e di comportarci e ad assumere il suo stile di vita. Ci sono momenti nella nostra vita in cui dobbiamo aprire il nostro cuore a Dio ed essere incoraggiati a "ripensare" lo stile di vita che abbiamo scelto. Non perché sia cattivo o mal fatto, ma per la semplice ragione che è bello mettersi nelle mani di Dio e lasciare che ci trasformi. Se non ci stacchiamo dallo stile di vita del vecchio uomo, non saremo in grado di accettare il progetto del Signore in noi. Ti invitiamo a recitare ogni mattina la preghiera di offerta della Rete Mondiale di Preghiera del Papa per prepararti a vivere la giornata in un atteggiamento eucaristico. Vale a dire, essere interiormente disponibile a vivere la giornata di studio, lavoro e faccende quotidiane in chiave di missione. L'offerta al mattino di tutto ciò che siamo ci dispone a vivere per Lui, con Lui e in Lui per tutto il giorno.

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Proposte di Esercizi Offerta Dopo aver percorso questo passo, sarai in grado di assaporare meglio la "preghiera di offerta". Ti invitiamo a recitare questa preghiera ogni mattina con il cuore, sentendo e soffermandoti su ogni frase e parola. Goditi il suo significato profondo. Pregala senza tempo e senza fretta, affinché la bellezza e la densità di ogni parola penetrino nel tuo cuore come una goccia che perfora la pietra.

Padre infinitamente buono, so che tu sei sempre con me, eccomi in questo nuovo giorno. Metti il mio cuore, una volta ancora, vicino al Cuore del tuo Figlio Gesù, che si offre per me e che viene a me nell’Eucaristia. Che lo Spirito Santo faccia di me il suo amico e apostolo, disponibile alla sua missione di compassione. Metto nelle tue mani le mie gioie e le mie speranze, le mie attività e le mie sofferenze, tutto ciò che ho e possiedo, in comunione con i miei fratelli e sorelle di questa Rete Mondiale di Preghiera. Con Maria ti offro questa giornata per la missione della Chiesa e per le intenzioni del Papa e del mio Vescovo in questo mese. Amen ESERCIZIO Ti proponiamo di partecipare alla celebrazione dell'Eucaristia con il desiderio di incontrare il Cristo risorto. Vivila come la celebrazione della Cena del Signore, dove condividiamo il bisogno e il nutrimento e comunichiamo la Sua gioia. Ascoltare le parole delle letture come se Lui mi parlasse e le parole della preghiera eucaristica come se le dicesse Lui. Vedere i gesti di consacrazione del pane e del vino come se li facesse Lui, facendo spazio nel cuore alle sue parole "ogni volta che farete questi gesti sappiate che Io in persona sarò con voi". Ricevere la comunione come se Lui mi nutrisse. Ricevere la preghiera finale e la benedizione come se mi stesse mandando in missione.

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Fino a che punto vivo secondo lo stile di Gesù o cerco una vita comoda, sicura e senza combattimenti? La mia vita è eucaristica? PRATICA DELL’ESAME TEMATICO Ricordiamo... Che cos'è il discernimento spirituale? È l'arte di interpretare in quale direzione ci portano i desideri del cuore, senza lasciarsi sedurre da ciò che ci porta dove non avremmo mai voluto andare. Discernimento è il termine generico per indicare la pratica di prendere decisioni nella mia situazione di vita concreta per cercare e trovare la volontà di Dio. Sei cose da ricordare sul discernimento spirituale 1.

Che tre forze diverse possono agire sui nostri sentimenti: il nostro io naturale, lo spirito buono e lo spirito cattivo.

2. Da dove vengono e dove portano i moti (sentimenti, pensieri) del nostro cuore? 3. Che ognuna di queste forze spinge nella propria direzione. 4. Che lo spirito buono e lo spirito cattivo agiscono sul nostro sentimento naturale. 5. Che Dio sostiene lo spirito buono, che ci spinge verso la libertà. Lo spirito cattivo ci spinge verso la schiavitù. 6. Che per fare la scelta giusta è essenziale imparare a distinguere queste forze e ad avere libertà interiore. Ciò significa che il combattimento spirituale richiede da parte nostra un discernimento spirituale che ci porti a prendere posizione in questo combattimento. Perché non si tratta solo di sentire queste forze, ma di optare, scegliere o decidere per quelle che ci spingono verso la Vita. In questo combattimento è un errore identificare Dio con lo spirito buono. Dio sostiene lo spirito buono, ma non si identifica con esso. Lo spirito buono passa attraverso tutto ciò che sentiamo, vediamo, sperimentiamo nella nostra vita, e il Signore lo sostiene. Dio viene a sostenere lo spirito buono perché possiamo scegliere la vita ed essere liberi, ma anche, di fronte allo spirito cattivo, agisce scuotendo la nostra coscienza, il nostro senso di colpa, in modo che reagiamo. Non si tratta di una lotta tra Dio e lo spirito cattivo. Il Creatore è sempre diverso e non si confonde con l'azione dello spirito buono di fronte a quella dello spirito cattivo. Il

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rischio di identificare lo spirito buono con Dio è quello di cadere nella trappola di pensare che tutto ciò che di buono ci accade venga da Dio (come di credere che tutto ciò che di cattivo ci accade venga dal diavolo). La saggezza di Sant'Ignazio e della tradizione spirituale è proprio quella di mettere le distanze, parlando dello spirito buono o cattivo. Lo spirito buono può essere sostenuto dallo Spirito del Signore, ma non

viene

dato

automaticamente.

In

questa

prospettiva

sapienziale

la

personificazione di queste forze aiuta a collocarsi nella vita spirituale, in cui non si tratta tanto di fare cose buone o cattive, ma di non farsi ingannare da un altro ➔ Per approfondire. Risorse. Allegato 1. “Decisioni in tempi difficili”. ➔ Per approfondire. Risorse. Allegato 2. “Comprovata fedeltà”.

Rilettura: fare discernimento Ti invitiamo a fare un semplice esercizio per allenarti al discernimento. Ti accompagneremo passo dopo passo ad ascoltare lo Spirito del Signore, a scrutare il tuo cuore e a scoprire i tuoi movimenti interiori. E scegliere ciò che ti apre alla Vita del Signore. 1.

Mettiti alla presenza del Signore, in semplicità, consapevole che Egli ti accompagna ed è con te durante questo tempo di preghiera. Entra in contatto con il silenzio del cuore.

2. Prenditi un momento di ringraziamento, ripercorri nel tuo cuore e nella tua testa tutto ciò per cui vuoi ringraziare il Signore, approfondisci le cose di cui vuoi essere grato. 3. Senti il battito della tua vita, dei luoghi e delle situazioni in cui ti accadono le cose in questo momento, cosa risuona di più. E chiedi al Signore di mostrarti la decisione che devi prendere in questo momento. Il passo che devi fare e decidere. Può essere grande o piccolo, il lavoro, la famiglia, un viaggio. Chiedi a lui di mostrarti quali sono le strade aperte per te. 4. Chiedi luce per capire come questa situazione ha influito sulla tua vita, come ti sta influenzando in questo momento. Quali forze ti spingono interiormente? Quali forze senti che ti tirano verso Dio e quali ti allontanano? In quali forze riconosci la pace del Signore e in quali no? 5. Chiedi al Signore di mostrarti le conseguenze delle strade che potresti prendere, come l'una o l'altra decisione si ripercuoterebbe su di te, in un modo o nell'altro. Come si ripercuoterebbero gli altri, i dolori, le gioie? Quale sarebbe il bene più grande della situazione, al di là delle emozioni che ci sono oggi e

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che potrebbero non esserci più in seguito? 6. Come ti fanno sentire le strade che potresti percorrere? Quali emozioni ti risvegliano? Da dove vengono queste emozioni e dove ti spingono? Su quale strada sei più connesso con la Vita, con i tuoi fratelli e sorelle, con l'Amore che viene dal Padre? Su quali strade vedi riflessi in te gli atteggiamenti del Signore e su quali non li vedi? 7. Prendi nota di ciò che scopri. Metti l'intera questione nelle mani del Signore. 8. Se ti senti portato a decidere in questo momento, metti la decisione nelle mani del Signore e lascia che sia Lui a confermarti e a dirti se la decisione è quella che si aspetta da te. 9. Chiudi questa preghiera, ringrazia il Signore per la sua presenza e chiedi al Signore che si compia la sua volontà.

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Risorse Allegato 1 Decisioni in tempi difficili È curioso, ma la realtà a volte sembra andare contro tutto ciò che sappiamo su come fare scelte buone e sane nella vita. È vero, e siamo tutti d'accordo, che per prendere una decisione buona e sana dobbiamo essere calmi, riflettere, confrontarci con gli altri, meditare e pregare. Sappiamo che nel silenzio del cuore, dove abita Dio, c'è una fonte inesauribile di Saggezza che dobbiamo ascoltare perché in essa risiede la verità. Tuttavia, ci sono situazioni nella nostra vita in cui non sono i momenti di serenità a farci prendere decisioni importanti e profonde, ma le situazioni limite, quelle "forti", quelle che scuotono i nostri cuori, che scuotono le nostre anime - addirittura rovesciano - le nostre strutture o schemi di pensiero e di comprensione della realtà. Quali sono queste situazioni? Il fallimento e la morte. E anche se non sono la stessa cosa, ci sono fallimenti che vengono vissuti come vere e proprie "morti". Probabilmente hai sentito storie di persone che hanno preso decisioni molto radicali nella loro vita dopo aver attraversato un fallimento o essersi sentite vicine alla morte. Storie di persone che, di fronte a una situazione estrema in cui pensavano di non poter fare nulla, hanno scoperto che la migliore decisione della loro vita è stata il risultato di quell'istante. Queste persone hanno cambiato completamente la loro visione della vita e, di conseguenza, il loro modo di vivere. È possibile che il fallimento e la morte ci insegnino a prendere buone decisioni? Abbiamo bisogno di toccare la soglia del fallimento o della morte per capire il valore della vita? A volte le nostre decisioni o scelte sono sbagliate perché non siamo disposti a cambiare interiormente. Affrontiamo il problema nello stesso modo e nello stesso luogo, pensando a come portare avanti le nostre idee e i nostri pensieri, senza prima chiederci se ci sono altri modi di comprendere e affrontare le situazioni difficili. Crediamo che il modo in cui risolviamo i problemi sia una sorta di “jolly" che si applica a tutto. Il fallimento o la morte ci fanno esplorare nuove vie di soluzione perché ci fanno saltare gli schemi rigidi di pensiero per connetterci con la fonte della Sapienza che abita in noi. Quando la vita si fa "dura", o quando attraversiamo momenti difficili, dobbiamo relazionarci con la Saggezza interiore che risiede in noi. Se lo facciamo, troveremo sempre soluzioni creative nei momenti difficili. Apri la mente e il cuore al Signore che abita in te!

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Allegato 2 Comprovata fedeltà Più di una volta ci capita che le cose prendano una piega inaspettata che non ci piace, al di fuori delle nostre aspettative. E questa esperienza comprende la realtà del mondo che ci circonda, la guerra, la carestia, i rifugiati, i migranti, una casa comune che soffre e geme per l'aggressione e l'abbandono di uomini e donne. E anche i nostri mondi più vicini, il lavoro, la famiglia e gli amici. Le persone non sempre ci soddisfano o ci danno ciò che ci aspettiamo. Altre volte, semplicemente, non riconoscono e non apprezzano gli sforzi che facciamo per loro e per il loro benessere. Spesso le cose ci fanno assaporare il fallimento e la frustrazione. I progetti falliscono e non vengono realizzati. Nonostante i nostri sforzi, non sempre le cose vanno come ci aspettavamo. Poi, possiamo essere sopraffatti dalla rabbia, dalla stanchezza, dalla fatica e dall'inquietudine.... Si dice che questi sentimenti siano maschere adottate dal dolore che non viene accettato come tale. È che queste situazioni ci fanno male, ma è meno compromettente dire che siamo arrabbiati per la situazione piuttosto che riconoscere il dolore che ci provoca. E in questo stato di cose, lo spirito cattivo fa la sua comparsa per finire di sferrare i suoi colpi precisi per abbattere la vittima. E come lo fa? Con pensieri di fallimento e impotenza: "hai visto come hai rovinato tutto?", "è inutile insistere", "sei un buono a nulla", "smetti di insistere, non ne vale la pena", "non riuscirai", "le cose dipendono da te e falliscono". Come possiamo andare avanti? La prima idea di cui fare tesoro è che il fallimento e la frustrazione sono una parte necessaria della vita. Chi ci ha detto che si va avanti solo attraverso riuscite e successi? Sono buoni, ma non sono esclusivi. È necessario fallire, sbagliare ed essere frustrati. Perché anche queste esperienze ci formano e ci aiutano a crescere. Un'altra idea che può aiutarci ad andare avanti è che questa situazione di fallimento è temporanea, non durerà per sempre, per quanto dolorosa sia. E non è l'unica cosa che esiste nella mia vita. Oltre a questo, ci sono state altre situazioni di successo e continueranno ad essercene altre. E poi riconosceremo che "altre forze" ci spingono nella direzione opposta, suggerendoci altre idee: "questa è una parte della tua vita e non tutta la tua vita", "è temporanea e passerà", "sarai in grado di affrontare questo come sei stato in grado di affrontare altre cose", "ci sono aspetti molto buoni della tua vita", "hai altre situazioni in cui le cose stanno andando molto bene", "niente di tutto ciò che accade definisce chi sei, ma si tratta solo di un aspetto che deve essere

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migliorato, superato o perfezionato". E potremmo continuare a lungo, illustrando la lotta tra questi due gruppi di pensieri che sperimentiamo in queste situazioni. Ciò che è definitivo è che dobbiamo sentirli, identificarli e poi decidere cosa farne. Schierarsi. Prendere posizione nel combattimento. Ecco perché il fallimento e la delusione non sono così negativi come sembrano, perché possono diventare una fonte di interessante saggezza. Le esperienze di rottura e disillusione sono quelle che ci inducono a pensare, a riflettere su noi stessi e sugli altri, anche a rischio di cadere nel nostro io disilluso. Il fallimento ci invita a fare almeno due cose: riconoscere che parte di ciò che è accaduto è che ci siamo impadroniti della realtà pretendendo di vivere nell'utopia di controllare ciò che ci accade, come se fossimo dei supereroi. Quella tendenza infantile al controllo, come se fossimo convinti che le cose andranno come immaginiamo. La seconda cosa è che dobbiamo andare avanti, e questo costa. E il dolore non sarà risparmiato. In questi tempi sarà di grande aiuto la fedeltà, un'importante dose di umiltà, riconoscere che non siamo noi a comandare, che non siamo supereroi ma che siamo parte di una realtà più grande insieme ad altri che vivono accanto a noi. Che non siamo padroni, ma collaboratori e che la realtà non deve rispondere ai nostri capricci. Ci aiuterà molto anche a continuare a camminare, a riconoscere che abbiamo bisogno di aiuto, che siamo fragili e bisognosi. Abbiamo bisogno degli altri e del Signore nella scuola della vita. Ecco perché è così importante essere vigili in questi tempi di prova, essere attenti affinché le forze che ci chiudono non conquistino i nostri cuori. La preghiera supplichevole e fiduciosa nel silenzio del cuore ci aiuterà a prendere le distanze e ci darà la lucidità per riconoscere le decisioni che ci aprono alla Vita, che ci invitano a continuare a camminare, a essere fedeli e a proseguire in sintonia con il Padre. Nei momenti di prova dobbiamo chiedere la grazia di perseverare, che non sempre significherà risolvere il problema con le nostre mani, ma spesso significherà continuare a camminare aperti, fiduciosi, con la speranza che il Signore faccia la sua opera con la nostra disponibilità. Perché alla fine si tratta di insistere, ricominciare e continuare, ripetendo il ciclo più volte.

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INDICE PASSO 7 OFFRIAMO LA NOSTRA VITA INSIEME A LUI

5

Schema per orientare il passo

6

Quadro di riferimento

6

Dinamica interna del passo

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Ringraziamento – Eucaristia

6

Il combattimento spirituale

8

Entrata dalla Prospettiva Biblica

9

Entrata dalla Prospettiva della Fede

13

Il simbolo della Croce Entrata dalla Prospettiva Spirituale

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Offrire la vita con il Figlio

17

La mia vita come una permanente Eucaristia

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Entrata tramite le Parole del Papa Combattimento, vigilanza e discernimento

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Entrata dalla Prospettiva della Preghiera

28

Per quali ragioni daresti la tua vita?

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Proposte di Esercizi

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Offerta

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ESERCIZIO

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PRATICA DELL’ESAME TEMATICO

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Ricordiamo... Che cos'è il discernimento spirituale?

33

Sei cose da ricordare sul discernimento spirituale

33

Rilettura: fare discernimento

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Risorse

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Allegato 1

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Decisioni in tempi difficili

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Allegato 2

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Comprovata fedeltà

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INDICE

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