Pizza e Pasta Italiana - Aprile 2022

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n°4

aprile


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pizza e pasta italiana aprile

2022

AZIENDE

— Sommario —

Afinox

p. 71

Albinea Canali

p. 39

Brimi

p. 47

cameo

p. 49

Castelli Forni

p. 69

editoriale

Cerutti Inox

p. 31

di Antonio Puzzi

Cibus - Fiere Parma

p. 76

Conserve Italia

p. 87

Cuppone

p. 83

8-10 prima pagina

Di Marco Corrado Srl

p. 21

Dr Zanolli

p. 35

Dr Schaer

p. 65

Effedue

p. 2

Familia

p. 105

Farmfrites

p. 121

Gi Metal Greci

p. 3 p. 109

Gruppo Cellino

p. 45

Industria Alimentare Tanagrina

p. 93

Industria Molitoria Perteghella

p. 53

Internorga Italforni

p. 120 p. 117

Latteria Montanari

p. 89

La Torrente

p. 33

Lilly Codroipo

p. 59

Macinazione Lendinara

p. 81

Millberg

p. 43

Molecola

p. 131

Molini Valente

p. 97

Molino Agugiaro e Figna

p. 27 p. 132

Molino Denti

p. 61

Molino Naldoni

p. 11

Molino Pasini

p. 7

Mulino Padano

p. 107

Novaltec Group

p. 55

Nova Funghi

p. 77

Refrattari Reggello - Forni Valoriani Sacar Forni Sanfelici

12-14-16 pizza news a cura della redazione

18 ristorazione domani

Chi ricorda la cucina fusion?

specialeformazione:lescuole, l’apprendistato, i mestieri

Le Scuole per pizzaioli…quasi un’autobiografia di Giampiero Rorato

40

di Giampiero Rorato

24

p. 101

Sprayleggero

p. 51

Velma

p. 13 p. 9 p. 103

specialeformazione:lescuole, l’apprendistato, i mestieri

Tutti in classe! di David Mandolin

50

specialeformazione:lescuole, l’apprendistato, i mestieri

Formazione. di A.P

28

specialeformazione:lescuole, l’apprendistato, i mestieri

“Del mare e della terra faremo pane”

Dizionario della ristorazione: il valore delle parole

di Antonio Puzzi

di D.M.

p. 79 p. 15

Vito Italia Srl

a cura della redazione

p. 113

Sitta

Vitella

36

p. 17, 127

Kuma Forni

Molino Dallagiovanna

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sommario

56 Oltre la formazione tecnica: quali corsi per la pizzeria del futuro?

di Domenico Maria Jacobone

Tre forni per una lady Marianna Iaquinto, Lady Anna

62 A scuola di gluten free

84

di Alfonso Del Forno

a cura di Slow Food Italia

70 di David Mandolin

specialeformazione:lescuole, l’apprendistato, i mestieri

Daniele Campana La comunicazione in formato pizza. di Antonio Puzzi

90 “Una scuola della pizza aperta al pubblico” Giulio Cesare, Novara di C.O.

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A scuola di Pinsa, 1° parte. La forma dell’acqua. di Marco Montuori.

di Marisa Cammarano

104 Alla scoperta della rucola

di Caterina Vianello

le spezie

Il cumino amato dagli antichi egizi

110

di Giampiero Rorato

114 Il Culatello di Zibello ed il Consorzio di Tutela

Si accendano i forni!

98 Formazione e nutrizione

di A.P.

66 Food to Action. La Formazione secondo Slow Food.

78

94

“Non è solo una pizza” Paola Cappuccio, questioni di stile. di A.P.

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a cura della redazione

118 Osteria Andirivieni, Torino non di solo pizza

a cura della redazione

un libro al mese

Che cos'è la cooking therapy

128

a cura della redazione

Scuola Italiana Pizzaioli

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le aziende informano Cameo

p. 48

Di Marco Corrado Srl

p. 73

Dr Zanolli

p. 34

Gi Metal

p. 23

Molino Denti

p. 125


pizza e pasta italiana aprile

2022

Editoriale Antonio Puzzi

Il

legame tra questa rivista e il Campionato Mondiale della Pizza di Parma è storia nota. E questo è il mio primo editoriale che scrivo in occasione di quello che è l’appuntamento più importante per questa testata, un appuntamento che torna in presenza nella sua storica sede (Palaverdi di Parma) e che si svolge per la ventinovesima volta, dopo due anni di assenza legati alla pandemia. Credo possiate immaginare l’emozione nello scrivere queste righe e la volontà che da mesi coltivavo nel volerle riempire di gioia. L’emozione resta tutta ma la gioia – per la deontologia che appartiene al ruolo che ho l’onore di ricoprire – in questi giorni non c’è, non può esserci. Il Campionato Mondiale della Pizza, coordinato dal responsabile eventi di questa testata (il mio personale punto di riferimento), David Mandolin, è una grande festa popolare in cui le gare tra i professionisti giunti da ogni parte del mondo sono il pretesto per raccontare e sentire il polso del settore pizza, come faremo anche nel Pizza World Forum, parte integrante del Campionato e di cui troverete tutte le informazioni nelle prossime pagine. Questa festa è oggi offuscata dai venti di guerra che soffiano prepotenti dall’Est. Venti che noi vogliamo scongiurare, invitando tutti a professare l’unica parola che consente a ciascuno di noi di svolgere con serenità e ambizione il proprio mestiere: PACE. Quello che avete tra le mani è un numero bellissimo. So che un direttore non dovrebbe mai dirlo (perché chi si loda s’imbroda) ma la redazione ha dato davvero il meglio di sé per costruire quello che – grazie al Campionato Mondiale della Pizza – diventa il nostro biglietto da visita. Il longform iniziale è un’inchiesta sul presente e sul futuro del grano e – ovviamente – della farina. Il resto del numero – come anticipato dalla stupenda illustrazione di copertina di Valentina Bongiovanni – è invece interamente dedicato alla formazione (per professionisti e appassionati) e alle opportunità di crescita costante che il mondo della pizza offre: scopriamo insieme i corsi e le scuole di formazione italiane sulla pizza, analizziamo il lessico della pizzeria e della ristorazione, iniziamo un percorso per imparare a fare stili diversi di pizza con lezioni suddivise in più “puntate” (partendo dalla pinsa), raccontiamo la cucina come luogo terapeutico ed entriamo nelle botteghe dei maestri della pizza che dedicano la loro vita alla formazione per se stessi e per gli altri. È questo il mio personale modo per fare un grande in bocca al lupo alle oltre 700 donne e uomini giunti a Parma in rappresentanza di 39 Paesi che ogni giorno celebrano la loro passione attraverso quel simbolo di fraternità e condivisione che è la pizza. Io vi aspetto invece nell’ambito del Pizza World Forum per raccontare nel pomeriggio di martedì 5 aprile il presente e il futuro della pizza in una tavola rotonda che prende spunto da un celebre motto di Peppino De Filippo, il quale, nei panni di Pappagone, si chiedeva: Siamo vincoli o sparpagliati? Un saluto di pace e… buon Campionato a tutti! nio

COLOPHON

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PIZZA E PASTA ITALIANA Mensile di Pizza, Pasta, Enogastronomia e Cultura Edito da PIZZA NEW S.p.A. Autorizzazione Tribunale di Venezia n.1019 del 02/04/1990 Anno XXXIII - n.4 aprile 2022 - Repertorio ROC n. 5768 DIRETTORE EDITORIALE Massimo Puggina

DIRETTORE ONORARIO Giampiero Rorato

DIRETTORE RESPONSABILE Antonio Puzzi RESPONSABILE DI REDAZIONE E DI PROGETTO David Mandolin SEGRETERIA DI REDAZIONE Caterina Orlandi PUBBLICITÀ David Mandolin, Caterina Orlandi REDAZIONE Via Sansonessa, 49 - 30021 CAORLE (VE) Tel. 0421/ 212348 - Fax 0421/81007 - E-mail: redazione@pizzaepastaitaliana.it www.pizzaepastaitaliana.it

PROGETTO GRAFICO Manuel Rigo, Paola Dus, Elena Cazzuffi — Mediagraf lab DIGITAL PUBLISHING Maura Trolese — Mediagraf lab IN COPERTINA illustrazione di Valentina Bongiovanni STAMPA MEDIAGRAF S.p.A. Noventa Padovana (Pd) COMITATO TECNICO E REDAZIONALE Marisa Cammarano, David Mandolin, Gianandrea Rorato, Caterina Vianello, Caterina Orlandi, Alfonso Del Forno, Luciano Cescon. AFFILIAZIONI INTERNAZIONALI Pete La Chapelle (N.A.P.O. - Pizza Today, U.S.A.), P.M.Q. Steve Green (U.S.A.), P.M.Q. Russia, P.M.Q. Cina.

PER INFORMAZIONI, SOTTOSCRIVERE UN ABBONAMENTO O RICHIEDERE UN ARRETRATO: TELEFONARE AL NUMERO 0421 212348 dal lun. al ven.: 10:00 – 12:00 / 15:00 – 17:00 INVIARE UN FAX A 0421 83178 Servizio abbonamenti Pizza e Pasta Italiana INVIARE UNA MAIL A: abbonamenti@pizzaepastaitaliana.it L’abbonamento può avere inizio in qualsiasi momento dell’anno e dà diritto a ricevere 11 numeri della rivista. L’abbonamento andrà in corso dal primo numero raggiungibile.

PER LA PUBBLICITÀ SULLE RIVISTE: ITALIA Pizza e Pasta Italiana; U.S.A. Pizza Today, P.M.Q. TEL 0421.83148 — FAX 0421.81007


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pizza e pasta italiana aprile

2022

PRIMA PAGINA a cura della redazione

Un appuntamento caratterizzato da un calendario ricco di eventi e momenti formativi: seminari tecnici e workshop che esploreranno la relazione con i clienti, il marketing 4.0 e le nuove tendenze gastronomiche. Per l’Italia questo è il terzo meeting, il primo a Brescia, nel 1998, poi a Venezia, nel 2008 e ora a Padova, dove l’onere e l’onore di coordinare l’appuntamento non poteva che essere riservato al campione del mondo e Relais Dessert, Luigi Biasetto.

Tutto pronto per la seconda edizione del ferrara food festival Torna in Italia il meeting dei membri del Relais Desserts

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itornano in Italia dopo 14 anni, e sarà Padova la sede del loro prestigioso meeting. Si tratta dei membri del Relais Desserts: associazione nata in Francia nel 1983, attualmente presieduta da Vincent Guerlais, che riunisce l’élite mondiale della pasticceria. Ottantacinque tra pasticceri e cioccolatieri, provenienti da 19 paesi, che si confrontano con l’obiettivo di favorire scambi e stimolare l’universo creativo di ciascuno. Dal 15 al 18 maggio questo Gotha dell’arte bianca sarà impegnato in attività finalizzate alla conoscenza del territorio e delle realtà produttive locali.

V

isto il grande successo della prima edizione, l’Associazione Strada dei Vini e dei Sapori della Provincia di Ferrara insieme a SGP Grandi Eventi è lieta di annunciare le nuove date del Ferrara Food Festival, in programma dal 4 al 6 Novembre 2022 nel centro storico di Ferrara con il patrocinio e la collaborazione fattiva del Comune di Ferrara e della Camera di Commercio di Ferrara. Un festival interamente dedicato alle eccellenze enogastronomiche del territorio con un ricco calendario di appuntamenti, showcooking, degustazioni e incontri culturali per tre giorni all’insegna del buon gusto. Il festival gastronomico si articolerà tra Piazza Trento e Trieste, Piazza Castello, Piazza Municipale coinvolgendo tutto il centro cittadino per celebrare tutti quei prodotti che rendono il territorio ferrarese culla della buona tavola e della cucina tradizionale, attraverso un format che ha riscosso grande successo lo scorso anno grazie al fitto programma di appuntamenti dedicati ad appassionati e addetti ai lavori, e che quest’anno si ar-

ricchirà maggiormente. L’evento intende coinvolgere il maggior numero possibile di realtà del settore - dalle associazioni di categoria alle aziende stesse, dai Consorzi di tutela ai Comuni del ferrarese, grandi protagonisti della prima edizione con l’intento di creare nuove opportunità di promozione, valorizzazione e crescita per l’intero tessuto produttivo e turistico del territorio. Per gli amanti della buona tavola, nei tre giorni dedicati ai prodotti tipici di Ferrara e a quelli caratteristici delle altre regioni di Italia, si potranno degustare abbinamenti classici, raffinati, ma anche inaspettati e stravaganti, in una rivisitazione in chiave moderna delle ricette tradizionali.



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pizza e pasta italiana aprile

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PRIMA PAGINA a cura della redazione

ONAV nazionale sarà coprotagonista del Mediterranean Wine Art Fest di Napoli, dove porterà il tema del Bere Consapevole.

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on solo il vino è cultura, il vino fa cultura: ne è convinta ONAV, Organizzazione Nazionale Assaggiatori di Vino, che in questi anni ha avviato numerose iniziative. Ultima in ordine cronologico sarà il suo contributo in occasione di Mediterranean Wine Art Fest, festival internazionale in programma dal 19 al 22 maggio a Napoli, in cui ONAV porterà un approfondimento sul tema del Bere Consapevole. Un argomento caro all’Organizzazione, che nel 2015 ha dato il via al progetto di educazione al vino nei licei italiani, portando lezioni dedicate a questo prodotto nella storia e nella letteratura, dagli antichi Greci a Carlo Magno, dai Sumeri a Giuseppe Verdi. Un progetto creato e fortemente voluto in particolare dalla Vice Presidente Pia Donata Berlucchi, Past President delle Donne del Vino e oggi Consigliera. «Trenta progetti completi, di quattro conversazioni l’una: altrettante Scuole, dai Licei agli Istituti tecnici e alle Scuole Alberghiere, hanno partecipato alle lezioni, ora in corso in quattro Scuole Superiori Pugliesi, organizzate finora per fare comprendere a studenti e professori che il vino è parte integrante della cultura mediterranea», afferma la Vice Presidente. «Mi fa piacere vedere che, sulla scia del successo di questo progetto fortemente legato alla storia e alla cultura, anche l’Associazione Nazionale Donne del Vino stia facendo uno splendido lavoro portando negli istituti alberghieri l’esperienza delle imprenditrici del vino, portavoce della cultura di un territorio. Un contributo importante, che apre anche nuove prospettive di occupazione per i giovani.

La partecipazione al Mediterranean Wine Art Fest con il progetto del Bere Consapevole ci consentirà ora di portare il messaggio al di fuori dai confini nazionali». Il Mediterranean Wine Art Fest vedrà infatti il coinvolgimento delle scuole e del mondo accademico con uno spazio particolare destinato ai temi del Bere Consapevole – con il progetto del MAVV mirato alle giovani generazioni – e anche riguardanti la dieta Mediterranea, la corretta alimentazione, i sani stili di vita e la salute. L’evento Mediterranean Wine Art Fest sarà organizzato da MAVV – Museo dell’Arte, del Vino e della Vite, con l’Alto Patrocinio dell’Assemblea dei Parlamentari del Mediterraneo – PAM e i riconoscimenti del MANN e dell’università Federico II di Napoli, cattedra UNESCO di “Educazione alla Salute e alla Sostenibilità”.

Spaghetti quadrati Originale Felicetti Pasta lunga di tradizione regionale, lo spaghetto quadrato si distingue per la generosa corposità in bocca offerta dalla superficie più ampia, che – grazie alla sezione quadrata di 2,05 mm per lato – regala al palato un volume percepibilmente superiore rispetto a uno spaghetto classico di pari dimensioni. Il nuovo formato intende proporsi come riedizione in chiave “artigianalmente industriale” dello spaghetto alla chitarra fatto a mano, per aggiungere a ogni ricetta materia autentica.

Innovazione ad alta quota - Tre nuovi formati di pasta XL a firma di Felicetti

In coerenza con le scelte ambientali che caratterizzano da sempre il Pastificio Felicetti, i tre formati – come del resto tutti i prodotti della linea – sono distribuiti nelle nuove confezioni green. Realizzate al 100% in carta naturale di pura cellulosa certificata Pefc e proveniente da foreste gestite responsabilmente, messa a punto per garantire elevate performance in termini di resistenza al peso del prodotto e all’azione delle linee di confezionamento, con termosaldatura a base d’acqua.

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n Val di Fiemme, tre formati inediti di pasta gourmet a firma Felicetti sono pronti a lasciare lo stabilimento per raggiungere le capitali del mondo. Solo semola di grano duro proveniente al 100% da una filiera italiana di piccoli produttori, acqua di sorgente, aria delle Dolomiti e tutta la competenza di una famiglia di pastai che da quattro generazioni produce “pasta in quota”, tra le più apprezzate dagli chef.

Spaghettoni Originale Felicetti Lo spaghettone Felicetti si fa amare per la corposità superiore che gratifica il palato: 2,15 mm di diametro, Rigatoni Originale Felicetti Tra i nuovi formati gourmet XL di Felicetti anche il rigatone: grande diametro (18 mm), rigatura generosa (30 scanalature) per trattenere le preparazioni di cucina e lunghezza ben proporzionata (45 mm), per una pasta corta che dai ricettari della tradizione regionale ha conquistato una posizione stabile nelle cucine laboratorio di tutto il mondo.



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pizza e pasta italiana aprile

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PIZZA NEWS a cura della redazione

Menù a bordo di Msc Crociere

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e specialità Menù sono salpate a bordo di MSC Crociere per l’evento che ha portato nel Mediterraneo il piatto italiano più amato al mondo, la pizza. L’azienda di Medolla (Mo), produttrice di specialità alimentari destinate alla ristorazione professionale, è infatti stata selezionata come fornitore ufficiale di Navigando con Gusto “La Pizza” Sapori d’Italia, il nuovo format dedicato al piatto napoletano programmato lo scorso marzo in un viaggio partito da Napoli e che ha visto toccare le città di Palma de Maiorca, Barcellona, Marsiglia, Genova e La Spezia.

Waico all’olio Officina Festival per pane in Piazza Forum, il primo forum nazionale dedicato al pane

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AICO, White Art Italian Companies, il gruppo composto dalle aziende italiane leader nel settore dell’Arte Bianca, ha sostenuto la causa della manifestazione a scopi benefici “Pane in piazza” ed ha partecipato con un intervento al primo forum nazionale organizzato in occasione dell’“Olio Officina Festival”. A parlare sul palco Paolo Zunino, Amministratore Delegato di WAICO. Pane in piazza Forum, nato per iniziativa di Cesare Marinoni e Luca Piantanida in collaborazione con il patron di “Olio Officina

L’evento, ideato da MSC Crociere in collaborazione con Neapolis Pizza Event, aveva come obiettivo la diffusione della conoscenza e lo sviluppo della pizza napoletana nel mondo. Sono 35 le pizze, selezionate tra numerose proposte ricevute e valutate tramite piattaforma digitale, che hanno partecipato alla finale del 22 marzo del Campionato MSC Pizza in the World. Durante la settimana di crociera è stato implementato anche un ricco palinsesto di corsi di aggiornamento e formazione dedicati agli impasti, alle lavorazioni e alle farine, e rivolti ai professionisti dei lievitati. “Siamo stati molto felici di sostenere questa manifestazione dedicata alla pizza, che non è solo il piatto più amato dagli italiani e nel mondo, ma è un comparto fatto di grandi professionisti, protagonista di una importante evoluzione negli ultimi anni” afferma Federico Masella, Responsabile Marketing Italia di Menù. “La nostra azienda produce numerose referenze per la pizza, siamo onorati di portare in questo evento i nostri condimenti e topping, specialità studiate e realizzate per farcire con gusto, equilibrio e innovazione pizze tradizionali e gourmet”.

Festival” Luigi Caricato, è l’evento tenutosi il 19 marzo scorso a Milano presso la Sala Bramante del Palazzo delle Stelline (corso Magenta 61), per parlare del pane e dei suoi valori storici e solidali, oltre che nutrizionali. Una giornata di riflessione su materie prime e sostenibilità, sui nuovi strumenti tecnologici e commerciali del settore, ma anche un’occasione per condividere storie di artigiani, imprenditori e donne fornaie in Italia e nel mondo.Paolo Zunino ha partecipato con un intervento sull’innovazione tecnologica a supporto del panificatore, portando ad esempio le soluzioni proposte dai quattro brand che compongono il gruppo WAICO. “Partecipare all’evento di Pane in piazza ha significato fare qualcosa di professionale per il mondo della panificazione, dedicando capacità e risorse a un progetto che migliora le opportunità e le condizioni di vita di tanta gente. Per noi l’esempio è la base della lea-

Fra le referenze che Menù ha messo metterà a disposizione durante l’evento non sono mancati i funghi e i carciofi, i prodotti ittici quali baccalà, filetti di acciughe, pesce spada affumicato e polpo intero già cotto, salumi e cacciagione come porchetta cotta su forno a legna, mortadella di cinghiale, lardo Patanegra, petto d’oca, i contorni pronti quali la salicornia, i friarielli e la scarola campana e i pesti come il pesto di nocciola bio e il pesto ai pistacchi. Ingredienti e specialità pronte realizzati con le migliori materie prime, indispensabili per farcire pizze tradizionali e speciali. “Menù ha sempre prestato grande attenzione al comparto pizza”, prosegue Masella, “l’evoluzione che il settore ha avuto negli ultimi anni ci ha permesso di realizzare nuovi e innovativi prodotti capaci di rispondere alle necessità del mercato e questo è stato possibile grazie al know-how aziendale sviluppato in 90 anni di storia e alle evolute tecnologie di cui l’azienda dispone”.

dership e siamo onorati di far parte di Pane in Piazza.”

Presenziando all’evento, Starmix, Vitella, Effedue e Flamic hanno sostenuto la causa “Il Pane della Solidarietà” del Mons. Angelo Pagano, Vescovo della Diocesi di Harar in Etiopia. Al centro dell’iniziativa il progetto del panificio industriale St. Augustin delle città di Dire Drawa, che è stato sviluppato proprio grazie ai proventi di “Pane in piazza” e ha ridato speranza all’intera comunità e lavoro a una decina persone.



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pizza e pasta italiana aprile

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PIZZA NEWS a cura della redazione

Il mondo Molini Valente raccontato a SIGEP 2022: pizza napoletana versione contemporanea, con attenzione alle esigenze di oggi

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ocaccia, pane, pizza e pasticceria: la presenza di Molini Valente a SIGEP 2022 ha permesso a professionisti e visitatori di toccare con mano – tra prodotti e demo – il suo trasversale universo di farine e mescole. Grande afflusso di pubblico anche per le dimostrazioni live dei Brand Ambassador: Elena Lipetskaia, Luigi Stamerra e Marco Oberti hanno dato prova dei plus tecnici di diverse farine firmate Molini Valente, preziose alleate per risultati costanti nel tempo e grandi ispiratrici dal punto di vista creativo. I pizzaioli presenti si sono interessati alla nuova Linea Pizza, protagonista delle demo di Luigi Stamerra, con attenzione alla Contemporanea. “Questa farina nasce con l’obiettivo di ritornare alle origini della pizza tradizionale, ma in chiave appunto ‘contemporanea’, tenendo quindi conto delle nuove tecnologie, ad esempio del freddo, e conoscenze, penso soprattutto ai pre-fermenti. L’entusiasmo del pubblico ha confermato che la strada è quella giusta: attenzione alla tradizione, con un occhio alle esigenze di oggi”. Tutto il mondo farine targato Molini Valente è consultabile online, nell’apposita sezione, al sito www.molinivalente.it

Cattel porta in tavola verdure e ortaggi di Puglia con “spirito contadino”

È

un assortimento sempre più ricco quello proposto da Cattel SpA, brand veneto leader nella distribuzione di prodotti food e no-food nel canale ho.re.ca. nel Nord-Est d’Italia. Migliaia di referenze per garantire varietà e qualità al mondo del “fuoricasa”; un assortimento che ora vanta anche la presenza delle proposte di verdure e ortaggi di Spirito contadino, azienda pugliese che è riuscita a conciliare tradizione e innovazione, connubio che è possibile apprezzare in ogni suo prodotto. Spirito contadino è un’azienda della provincia di Foggia in cui da tre generazioni si rispetta un patto con la terra, una terra che impone pazienza e dedizione, tempi e ritmi precisi, che la famiglia Gervasio ormai conosce e osserva, ottenendo in cambio verdure dalla qualità e sapore unici. Una vastissima e versatile selezione di verdure e ortaggi pugliesi coltivati in modo naturale e disponibili anche lavorati (a mano!) in crosta di farina di grano. Un modo di far conoscere e apprezzare la tradizione contadina pugliese con un importante valore aggiunto: l’innovazione delle moderne tecniche di surgelazione per preservare la freschezza degli alimenti fino al momento dell’utilizzo. I prodotti vengono infatti surgelati appena raccolti con l’innovativo metodo IQF (Individually Quick Frozen), un sistema adottato da Cattel anche in altre categorie merceologiche per gli enormi vantaggi forniti: consente infatti di consumare ogni volta esattamente la quantità di prodotto necessaria per la specialità in preparazione e di mantenerne inalterate le proprietà organolettiche e nutrizionali. www.cattel.it


Mantenimento ad alto


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PIZZA NEWS a cura della redazione

Nuovi Vice

Pastry Bit

Presidenti

Competition e

per le fiere food

Meet Massari

a Colonia

R-evolution tra

Koelnmesse divide

le novità di Molino

Food e FoodTec in

Dallagiovanna

unità di business

a Sigep 2022

separate

K

oelnmesse vede un grande potenziale e opportunità di crescita internazionale nelle sue aree di competenza Food e FoodTec. Per far fronte a questa crescita, la business unit sarà divisa in due unità a partire dal 1 giugno 2022 e gestita da due esperti gestori di fiere. Claire Steinbrück, in precedenza Direttore di imm cologne, è stata nominata Vice President FoodTec. Bastian Mingers si trasferirà da Messe Düsseldorf a Colonia per assumere la responsabilità della business unit Food. "Siamo lieti di essere stati in grado di collaborare con due esperti gestori di fiere come Claire Steinbrück e Bastian Mingers", afferma Gerald Böse, amministratore delegato di Koelnmesse GmbH. "Insieme ai loro team, svilupperanno ed espanderanno ulteriormente le future business unit Food e FoodTec. Sono convinto delle opportunità di crescita internazionale per i nostri eventi esistenti in queste aree, ma anche per anteprime come Anuga HORIZON". Claire Steinbrück e Bastian Mingers subentrano ad Anne Schumacher, che ha lasciato l'azienda alla fine di febbraio 2022.

T

ante le novità presentate dal Palco del Gusto di Molino Dallagiovanna durante i cinque giorni di Sigep 2022 a Rimini dal 12 al 16 marzo. In questa edizione non solo novità prodotto e cooking show, ma anche la presentazione ufficiale di due importanti progetti Molino Dallagiovanna, che dimostrano ancora una volta l’impegno dell’azienda emiliana nell’innovazione e valorizzazione dei diversi comparti dell’arte bianca. Molino Dallagiovanna ha presentato una nuova importante sfida per il 2022, Pastry Bit Competition, gara rivolta ai talenti della pasticceria, che avranno tempo per iscriversi fino al 31 marzo. Promotore di questo nuovo progetto, insieme a Molino Dallagiovanna, è il maestro Leonardo Di Carlo, pioniere della Pasticceria Scientifica che ha rivoluzionato il modo di lavorare in laboratorio con metodi semplificati a favore di risparmio di tempo, energie e qualità della vita del pasticcere moderno. Pastry Bit Competition farà tappa a partire da maggio 2022 in tutta Italia, alla ricerca del miglior metodo di lavoro “intelligente”, che guardi non solo al “cosa”, ma

anche al “come”. Chi tra i 180 pasticceri ai nastri di partenza farà sentire più forte il suo “personal bit” diventerà il Dallagiovanna Pastry Ambassador 2024 in Italia e nel mondo, al fianco dell’azienda in fiere ed eventi. Sigep è stata anche l’occasione per presentare in anteprima anche l’altra importante iniziativa Molino Dallagiovanna 2022: il Meet Massari R-evolution, il nuovo progetto formativo rivolto ai professionisti dell’arte bianca, che vedrà coinvolti in tre incontri durante l’anno il Maestro Iginio Massari, la figlia e Pastry Chef Debora e Giacomo Pini, Consulente Marketing e di Formazione della Scuola di Cast Alimenti. Tra gli eventi dedicati alla pizza quello dell’Associazione Verace Pizza Napoletana (AVPN), che ha interpretato per la prima volta sul palco di Sigep laNapoletana 2.0 Plus, la farina in grado di esaltare al massimo le eccellenze della Pizza Napoletana, testata dai grandi nomi dell’arte napoletana e approvata dall’AVPN.


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pizza e pasta italiana aprile

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Ristorazione domani

A D R O C I R I H C

A N I C U C LA ? N O I S FU Una recente fase storica molto importante nell’evoluzione della cucina che ha interessato di Giampiero Rorato anche la pizza


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e grandi novità apportate nella cucina europea nel corso degli anni ’70 del secolo scorso dalla Nouvelle Cuisine, di cui abbiamo scritto il mese scorso, suscitarono sia nel mondo anglosassone ma soprattutto nelle cucine orientali la voglia di ricercare nuove ricette e nuovi gusti e sapori. La Nouvelle Cuisine nata in Francia, non ebbe però fuori della Francia il successo che meritava, anche perché non capita neppure in Italia, neppure da Gualtiero Marchesi, eppure Marchesi era stato proprio in Francia prima di rientrare a Milano e aprire il suo ristorante in via Bonvesin della Riva. La Nouvelle Cuisine si impose tuttavia indirettamente perché modernizzò la cucina, eliminando il grasso eccessivo dai piatti e propose cotture più corte rispetto al passato per conservare al meglio la materia prima. Fu una rivoluzione che permise di godere al meglio i prodotti impiegati, senza perderne il gusto e i valori nutrizionali; era la proposta per una cucina più genuina e meno impastoiata com’era ancora ai tempi di Carême e di Escoffier. E perché preferì i prodotti freschi di mercato a quelli arrivati da lontano e conservati. Gualtiero Marchesi ha invece sempre preferito una “cucina totale”, invitando i ristoratori a scegliere il meglio che è prodotto nel mondo per regalare ai clienti gusti e sapori nuovi, senza tuttavia dimenticare i gusti e i sapori della tradizione.

Poi, sulla scia di certi piatti di Marchesi, che dal punto di vista della tecnologia operativa e della ricerca delle emozioni (ma non dimenticherei Nadia Santini del ristorante Dal Pescatore a Canneto sull’Oglio, ma questa è tutta un’altra storia davvero straordinaria che racconteremo più avanti) è stato comunque il massimo Maestro negli ultimi decenni del secolo scorso, si cominciarono a sperimentare ricette nuove, in ciò favoriti anche dalla “globalizzazione” (altra parola fondamentale nella nostra storia) che ha reso vicini anche tradizioni, prodotti e piatti di altre culture. E nacque quel fenomeno gastronomico detto “fusion”. Fusion significa fusione, che non significa solo fondere, mettere insieme tecniche operative, prodotti, culture gastronomiche e tradizioni diverse; non è un semplice accostamento di gusti e di sapori o di prodotti provenienti da diversi Paesi. Non so se i suoi autori se ne siano allora resi conto, ma fu lo stesso tentativo di quanti inventarono l’esperanto, la lingua universale. La cucina fusion fu un modo per dar vita a piatti e anche a interi menù capaci di soddisfare i palati degli abitanti e dei gourmet di ogni parte del mondo. Non fu assolutamente una cucina banale perché frutto di una seria ricerca gastronomica per sposare in modo equilibrato e soddisfacente prodotti, aromi, profumi, consistenze, ed anche l’estetica del piatto.


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Ristorazione domani

Il termine fusion è certamente moderno, coniato, per quanto riguarda la cucina, all’inizio degli anni ’80 del secolo scorso, ma il tentativo di unire prodotti fra loro diversi per ottenere una cucina più varia, più interessante, più gustosa, più emozionante è stato facilitato e addirittura spinto in quegli anni dalla globalizzazione, un fenomeno nuovo per i tempi moderni, dovuto alla moltiplicazioni dei viaggi e dei traffici internazionali, alla facilità degli scambi commerciali e a una cultura che cominciava, almeno presso le élite, ad interessarti più che in passato a quanto succedeva nel mondo. In pratica, la globalizzazione è stata soprattutto il risultato dell’unificazione dei mercati a livello mondiale consentita dall’innovazione della tecnologia informatica e dall’espansione delle multinazionali. Altro elemento che ha prodotto questo tipo di cucina è stato il colonialismo europeo. Inghilterra, Belgio, Olanda, Spagna, Portogallo, Germania e Francia, molto ma molto meno (e in perdita) l’Italia, furono in passato Paesi che dominavano vaste porzioni di altri continenti.

Basti pensare all’Inghilterra con il suo impero, il più vasto di tutti i tempi, che comprendeva colonie, domini, protettorati dalle Americhe all’India e all’Australe e a diverse isole del Pacifico. Cosa succedeva in queste colonie? Chi dava gli ordini erano gli occupanti legati alla propria cultura e tradizione gastronomica, ma, quasi sempre, dovevano anche accontentarsi dei prodotti e delle tradizioni locali per cui nacque una cucina mista, dove prodotti, tecniche operative, gusti e sapori erano un misto fra quelli dei colonizzatori e quelli delle popolazioni locali. Terminata, poco dopo la metà del secolo scorso, l’epoca spesso nefasta del colonialismo, numerosi piatti nati nelle colonie arrivarono in Europa e, sulla scia della rivoluzione gastronomica provocata dalla Nouvelle Cuisine, trovarono ulteriore diffusione continuando ad essere confezionati unendo tradizioni locali e prodotti provenienti dalle ex colonie. Pochi, tuttavia, diedero la dovuta attenzione a questo fatto che emerse con maggior evidenza allo scoppio della globalizzazione soprattutto a partire dagli anni ’80 del secolo scorso. Cercando le radici della nostra cucina attuale, troviamo che nel periodo in cui la cucina internazionale ed anche quella italiana si è innamorata della “filosofia” fusion, abbia avuto origine, come ha scritto Garnaschelli Gotti, la figura del “cuoco/ gastronomo bricoleur, dalle possibilità illimitate, dato che può occuparsi di qualsiasi prodotto”.



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Ristorazione domani Attualmente ci sono nel mondo ed anche in Italia dei ristoranti che offrono una cucine fusion, una realtà importante che ha caratterizzato, come abbiamo prima scritto, soprattutto gli anni ’80 del secolo scorso, e che interessa anche il mondo della pizza, dal momento che ci sono diversi pizzaioli che usano prodotti non locali per realizzare farciture preziose e importanti, chiamando poi il loro prodotto “pizza gourmet”. Ed hanno successo, anche perché c’è in tutti, o quasi, il desiderio di gusti nuovi, di pizze all’aragosta, di pizze dessert con frutta esotica e in epoca di globalizzazione queste proposte ci stanno, anche perché a mantenerle e sostenerle sono i consumatori.

In verità, pur continuando ancora , dopo gli anni ’80, a interessare numerosi cuochi, la cucina fusion ha perso la sua importanza, entrando semmai come elemento secondario nella cucina tradizionale, anche nell’alta cucina, visto che oggi diversi celebrati chef italiani, sulla scia del pioniere veneziano Arrigo Cipriani, hanno aperto proprie succursali in diverse parti del mondo, continuando ad alimentare uno scambio di cultura gastronomica, di prodotti, di tecniche operative, di nuovi aromi, nuovi gusti e sapor. Ma intanto, nel corso degli anni ’90, compare una nuova cucina, la “molecolare”, di cui scriveremo il prossimo mese.


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mancanza degli spigoli facilita le manovre quando il forno è “affollato”. • LE DIMENSIONI Le dimensioni della testa della pala per pizza e le misure del manico scelte, comportano praticità e ergonomicità nel lavoro. La prima generalmente si sceglie in base alla grandezza della pizza che si realizza; la misura del manico è determinata dalla profondità del forno con cui si lavora e lo spazio di manovra a disposizione. Gi.Metal vanta una vasta gamma di misure, per tutte le esigenze.

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Formazione vuol dire, secondo il dizionario, acquisire una determinata consistenza materiale o fisionomia spirituale. La formazione è dunque ciò che agisce in noi per darci una forma. E questo vale per tutti, anche per i professionisti della ristorazione.

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Sono sempre meno quei pizzaioli che richiedono “sacco rosso” e “sacco blu” senza preoccuparsi di cosa ci sia dentro. Se è vero infatti che per molti anni quello di andare alla ricerca della “miscela perfetta” è stato un trend che ha contraddistinto solo quei pochi professionisti che volevano emergere dalla massa, oggi è ormai ben chiaro alla maggior parte degli operatori del settore che è fondamentale formarsi. E non solo perché il pubblico è sempre più attento ma anche perché fare un lavoro come quello del pizzaiolo, che richiede costanza e dedizione per molte ore al giorno, è necessario avere qualche motivo in più.

E quel qualcosa è tirare fuori la propria identità per non sentirsi alienati da quanto si sta mettendo in atto. Per capire quanto sia attuale e sentita questa necessità, faccio un esempio per tutti: pochi mesi fa Phaidon ha dedicato alla pizza un lavoro enciclopedico in 3 volumi dal titolo Modernist Pizza, scritto dagli autori di Modernist Bread: Nathan Myhrvold, gastronomo appassionato ed ex dirigente Microsoft e lo chef Francisco Migoya.


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L’opera è attualmente disponibile solo in lingua inglese ma da giugno lo sarà anche in lingua italiana. Per realizzare questo volume, i due autori, accompagnati da esperti gastronomi, hanno girato tutto il mondo e intervistato centinaia di professionisti, hanno raccolto informazioni su stili e tecniche, senza ovviamente trascurare gli ingredienti con uno sguardo laico e panoramico. Il tutto senza celebrare alcun volto del “pizza star system”. È la risposta americana al bisogno di cultura, che va oltre i nomi.

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Cultura intesa come cultura tecnica per realizzare una buona pizza, un obiettivo che qualche decennio fa sembrava essere un divertissement per populisti imborghesiti, visti quasi in malo modo da chi esercitava la professione seguendo la “secolare tradizione familiare”. Oggi invece si tratta di un obiettivo di cui si fa richiesta a tutte le latitudini. Ecco perché, a partire dalla fine degli anni ’80 del secolo scorso, si sono moltiplicate le scuole di pizza e, di lì in poi, sono partiti due percorsi diversi e complementari ossia i corsi di formazione “one shot” e le associazioni dei professionisti.

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I corsi di formazione “one shot”, nati per volontà di singoli professionisti, camere di commercio o associazioni di categoria, intendevano formare professionalmente quanti intendevano intraprendere un mestiere che garantisse la possibilità di aprire un’attività e posizionarsi sul mercato del lavoro con garanzie di trovare un impiego in tempi rapidi. Per questo motivo, essi erano dedicati a trasferire tecniche e ricette per la realizzazione e la gestione dell’impasto, la stesura del panetto, la cottura. Tutto il resto – che oggi si sa essere di pari importanza – era invece lasciato alla volontà di approfondimento del pizzaiolo e/o dell’imprenditore.


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Il ruolo delle associazioni di professionisti ha invece iniziato a invertire la tendenza all’inizio del nuovo millennio:

si è chiesto ai pizzaioli e ai titolari di pizzerie di condividere un “manifesto d’intenti”, talvolta un “disciplinare” (come nel caso dell’Associazione Verace Pizza Napoletana) e riconoscersi così come “comunità operosa” che porta in varie regioni del mondo una cultura della pizza quanto più aderente a dei canoni ideali (tecnici ed estetici) largamente condivisi. Intraprendendo questa strada, le associazioni hanno dato vita a vere e proprie scuole che hanno inteso formare i pizzaioli con continuità, partendo dalle basi per giungere poi a offrire un importante pacchetto di corsi di approfondimento: dalla gestione del locale al food cost, alla comunicazione, a tutto ciò che è complementare all’offerta gastronomica di una pizzeria.

È in questo panorama che hanno trovato terreno fertile le scuole e le associazioni costituite dai mulini, le quali hanno rivolto nel tempo ai propri clienti (e a quanti avrebbero potuto diventarlo) una allettante offerta formativa per gestire al meglio i processi tecnici legati al mondo della pizza. Oggi è sempre più presente la figura del tecnico che affianca il venditore commerciale dei mulini, protagonista già presente negli anni ’80 e ’90 del secolo scorso ma che attualmente riveste un compito ancora più importante nel mondo sempre in evoluzione della panificazione. Si tratta dunque di un mondo costantemente “work in progress” nel quale sono entrati da poco più di una decina d’anni anche i consulenti, ovvero dei professionisti dell’arte bianca (spesso, ma non sempre e non solo) che vivono come freelance per elaborare un impasto “cucito su misura” per il locale con il quale intraprendono una collaborazione e un menù che rispecchi l’identità del territorio.

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Oggi le pizzerie cercano consulenti per migliorare il proprio impasto, per rendere il prodotto esteticamente più accettabile o anche solo per realizzare un menù che vada “oltre i classici” ma senza strafare.

Di tutto questo e molto altro parleremo nelle prossime pagine. Tenendo però ben a mente una cosa: ogni corso e ogni consulenza rappresenta solo l’inizio del percorso che guida alla scoperta e all’affermazione della propria identità e alla costruzione di quello che i guru del marketing statunitense definivano il “personal branding”, ossia il marchio costruito su se stessi.

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“Del mare e della terra faremo pane / coltiveremo a grano la terra e i pianeti”, scriveva Pablo Neruda, il poeta cileno esiliato da Videla per le sue lotte al fianco dei minatori. Al momento dell’esilio, si era da poco conclusa la seconda guerra mondiale, quella che di lì a breve si sarebbe trasformata in guerra fredda. Ed è in quegli anni che Neruda matura le sue “odi elementari”, ossia canti per gli elementi della natura, a partire dalla vite e dal grano. Il pane rappresenta dunque il simbolo della condivisione e della fraternità, una fraternità recuperata e auspicata per “la terra e i pianeti” perché l’agricoltura – è noto – nasce quando l’uomo diventa stanziale e ciò accade quando un luogo è favorevole per l’umanità sia dal punto di vista climatico sia da quello “sociale”. È bene iniziare la nostra riflessione con questo incipit perché quanti, nelle prime ore di questa guerra, non desistono dall’inneggiare alle risposte armate in questo conflitto scoppiato tra Russia e Ucraina, ne tengano in debito conto.

Pane simbolo di condivision di Antonio Puzzi


29 Areté – The Agri-food Intelligence Company ha condotto un’analisi particolarmente interessante proprio su questo tema:

Lunedì 14 marzo, mentre questo numero sta per essere chiuso in redazione, gli autotrasportatori italiani sono entrati in sciopero contro il “caro carburanti”.

il 24 febbraio, primo giorno del conflitto, il prezzo del gas ha aperto le contrattazioni registrando un +30% e l’Europa importa il 41% dei suoi consumi di gas naturale dai gasdotti russi.

Chiedendo a un autotrasportatore il costo di un viaggio dal porto di Napoli al centro intermodale di Milano, mi è stato riferito che questo è di circa 2500 euro a fronte dei 1500 spesi solo quindici giorni prima.

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Il petrolio WTI è andato immediatamente a ridosso dei 100 dollari / barile, ovvero la cifra più alta dal 2014. Immediati i rialzi marcati anche sui cereali (frumento, mais e soia) e degli oli vegetali. È infatti da Russia e Ucraina che arriva buona parte del grano tenero che viene poi trasformato in farina in Italia. Basti pensare che, tra i 10 principali Paesi produttori di grano nel mondo, l’unico europeo è la Germania (al 7° posto) con 28 milioni di tonnellate, di cui 9 esportate.

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Facile comprendere dunque come questa situazione crei il rischio di pesanti ripercussioni negli spostamenti delle merci, sia verso il pubblico finale sia verso le industrie della trasformazione agroalimentare. La motivazione è presto detta: è da quell’area che oggi è divenuta teatro bellico che giungono nel nostro Paese (e in buona parte dell’Occidente) risorse energetiche come gas e petrolio.


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Di contro, gli USA che, insieme al Canada, occupano ben due posti nella “top 10” hanno tantissime e disparate tipologie di farina in commercio, eppure i professionisti della pizza (e non solo) si rivolgono spesso al mercato italiano per l’acquisto delle farine. Questo è uno straordinario merito per la nostra nazione, perché indica la nostra grande capacità tecnica nell’arte molitoria, è l’indice che abbiamo raggiunto livelli altissimi di specializzazione e dunque chi intende preparare un prodotto che è “tradizione italiana” non può che partire dall’acquisto di farina italiana. A questa bellissima storia va però affiancata il rovescio della medaglia:

siamo infatti dei bravissimi mugnai ma l’Italia non è autosufficiente nella produzione di grano, soprattutto di grano tenero che è quello con cui nella stragrande maggioranza dei casi si prepara la pizza. Riconvertire superfici attualmente destinate ad altri usi avrebbe un forte impatto ambientale, senza contare che le nostre condizioni climatiche (più adatte al grano duro, ottimo per la pasta) non garantirebbero i risultati sperati.

Già il 9 marzo Italmopa, l’associazione industriale dei mugnai d’Italia di Federalimentare e Confindustria aveva lanciato l’allarme attraverso la voce del Presidente Emilio Ferrari: “Le aziende molitorie risultano ormai allo stremo e il fermo produttivo di impianti, già attualmente verificatosi, potrebbe allargarsi molto rapidamente per via della difficoltà a trasferire, seppur solo parzialmente, gli aumenti dei costi energetici sul prezzo delle farine e delle semole. Tali costi si sono quintuplicati rispetto a pochi mesi fa ed un ulteriore pesante aggravio è previsto fin dalle prossime settimane a causa del conflitto ucraino. Una situazione insostenibile, acuita anche dalla corsa senza fine delle quotazioni della materia prima frumento, dei costi della logistica e dei trasporti”.

E di qui l’invito: “La situazione non appare più sostenibile ed impone di mettere in atto tutte le misure opportune, ivi compresa la fissazione di tetti ai prezzi dell’energia, per consentire la continuità produttiva del comparto molitorio, essenzialmente costituito da piccole e medie aziende familiari”.

Ho chiesto a Riccardo Agugiaro, Ceo di Agugiaro & Figna Molini, quali effetti avrà il protrarsi del conflitto nell’Est Europa. La sua risposta è stata quantomai esaustiva: “La guerra ha creato molti problemi sull’approvvigionamento del grano di cui Ucraina e Russia sono grandi esportatori ; l’Italia, ne importa una quantità minima, ma sta affrontando l’aumento dei prezzi generato proprio dalla mancanza delle esportazioni di questi due Paesi verso gli altri mercati esteri. Il rischio vero oggi non è solo il rincaro dei prezzi, ma anche la mancanza di forniture. Il conflitto ha bloccato il traffico delle navi nei porti del Mar Nero creando notevoli problemi logistici, perché questi erano utilizzati sia dalle navi provenienti dal Kazakistan sia per il trasporto del grano da altri Paesi.

Quindi, la quantità di grano mancante non è soltanto quella proveniente dai due Paesi in conflitto, ma comprende un bacino molto più ampio. Inoltre, a causa dell’aumento dei prezzi e dell’elevata richiesta da parte degli stati, anche altri Paesi, come ad esempio Ungheria, Bulgaria, Slovacchia, Slovenia, Cecoslovacchia e Austria, stanno bloccando le esportazioni di grano verso l’Italia, fra i più importanti acquirenti. Ciò potrebbe determinare, nel breve periodo, oltre all’aumento dei prezzi anche la scarsità di materia. Si tratta di un problema molto serio”.

Non si discosta di molto la riflessione di Antimo Caputo, Ad di Mulino Caputo, intervenuto lo scorso venerdì 11 marzo a L’Italia con voi su Rai Italia insieme al sottoscritto: “La guerra ha sovvertito tutti gli equilibri mondiali in materia di trasporto di cereali e di equilibrio dei prezzi. Siamo arrivati a dei prezzi veramente folli, ingestibili per un prodotto semplice come quello della farina. Allo stesso modo, i trasporti sono diventati insostenibili per tutti quei prodotti che vengono da Kazakhistan, Russia e Ucraina, senza contare che si è bloccato un terzo della produzione mondiale di cereali, mais, mangimi, semi oleosi catapultandoci di fatto in una gestione veramente complicata”.


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Diversa è invece la situazione della semola per la pasta. In una recente intervista rilasciata al sito lucianopignataro.it, Giuseppe Di Martino, patron dell’omonimo pastificio gragnanese (ma anche di Pastificio dei Campi e Antonio Amato) ha dichiarato: “le paste da grano italiano non

avranno alcun problema produttivo. La campagna è finita da tempo e si è prodotto ai costi di un anno fa. Certo, alcuni aumenti possono essere giustificati dall’aumento dei costi energetici e della logistica [comunque contenuti, se si valuta la redistribuzione di tali rincari, ndr…] ed è vero che anche il Canada, altro paese di produzione del grano duro, ha avuto problemi di siccità, ma la stagione promette bene, sia da noi che in quel Paese e la materia prima non dovrebbe scarseggiare”.

In merito al grano tenero invece sottolinea: “Senza grano estero arriveremmo al massimo a luglio. Al momento le scorte ci sono […] il venir meno del grano ucraino potrebbe creare problemi, ma credo che siamo in tempo a ragionare su altri territori di produzione, primi fra tutti gli Usa e ancora il Canada”.

A proposito però del grano proveniente dal continente americano, oltre che da quello australiano, anche Riccardo Agugiaro sembra essere fiducioso, seppure con maggiore prudenza: “ Possiamo affermare con certezza che ci sono produzioni negli Stati Uniti, in Argentina, in Australia e in altri Stati e non dovrebbero esserci reali problemi di scarsità di grano tenero, ma c’è il rischio di un aumento esponenziale dei prezzi e sarà difficile calmierarli”.

Stessa opinione ha Antimo Caputo che, in un’intervista rilasciata al sito lucianopignataro.it dichiara ancora: “L’Ucraina e la Russia insieme

producono il 30 per cento del grano tenero del mondo e venendo di colpo a mancare è ovvio che i prezzi del grano tenero, una vera e propria commodity che ha un suo mercato finanziario, schizzino alle stelle. Un po’ come succede con il petrolio: la materia prima non manca, si alza di prezzo per questo motivo, per la siccità in Canada dello scorso anno e per le evidenti manovre speculative dei mercati finanziari che giocano sul sentimento piuttosto che sul mercato reale”.

E aggiunge: “Siamo passati da 300 a 500 euro per tonnellata di grano tenero. Il motivo è antico come l’uomo: il grano è uno strumento politico e di guerra da sempre, dall’antichità. Con la guerra, il venir meno del grano ucraino, l’aumento dei costi dell’energia e le speculazioni finanziarie si è realizzata la tempesta perfetta su questa commodity. Un po’ come per il gas, che aumenta sulla paura che possa aumentare”.

A questo punto, come possiamo metterci al riparo? Secondo Agugiaro “la siccità in Europa e in Italia fa prevedere un raccolto scarso. In Ucraina non riusciranno a fare il nuovo raccolto e non riusciremo quindi a ricompletare le scorte. Questo quadro rappresenta una situazione molto difficile che non si era mai verificata prima”.

E aggiunge: “Né mio nonno, né mio padre hanno mai vissuto un momento così cupo. In Italia si può fare poco per l’aumento della produzione del grano. Il nostro territorio non lo permette e le culture non possono essere aumentate in maniera elevata. Già nella prima e nella seconda guerra mondiale le cosiddette Guerre del Grano non hanno permesso all’Italia di essere autosufficiente nella produzione. Per il futuro il nostro Paese continuerà ad essere dipendente per quanto riguarda l’approvvigionamento del grano da altre nazioni estere. Anche perché, non si deve dimenticare che coltivazioni di grano avrebbero un impatto sul consumo del suolo”.

L’unica riflessione con cui sento di chiosare questo articolo è dunque quella della necessità di trovare soluzioni alternative, non alla pizza ma alla guerra perché, per dirla con Neruda:

“la terra, la bellezza, l’amore, tutto questo ha sapore di pane”.


il buon pomodoro italiano

“Gli artisti della pizza”. Sarà un anno da leccarsi i baffi. C’è una ghiotta novità che darà più sapore al nuovo anno, un calendario che porterà la giusta nota di colore. Tante idee da assaporare ogni mese con i nostri dodici “Artisti della pizza”. Aprile è stato dedicato al nostro caro pizzaiolo Giovanni Cauli che con la sua pizza “Datterini e Salmone” ha lasciato tutti a bocca aperta. PARTNER UFFICIALE

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LE AZIENDE INFORMANO

Zanolli torna al Campionato Mondiale della Pizza 2022 DR. ZANOLLI SRL Via Casa Quindici, 22 - 37066 Caselle di Sommacampagna Verona - Italy Tel. +39 045 8581500

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l sodalizio tra Zanolli e il Campionato Mondiale della Pizza di Parma è ormai diventato un rapporto simbiotico. La passione comune per la Pizza quale alimento a forma di mondo e la vocazione a diffonderne la cultura su scala internazionale sono le basi di una collaborazione che dura da molti anni. Nel 2022 la presenza di Zanolli al Campionato rappresenta un’ulteriore tappa del 70° anniversario dell’azienda veronese. A Parma i forni Zanolli saranno il braccio destro di pizzaioli e pizzaiole che si cimenteranno con le tecniche di cottura senza glutine. Il livello di questa categoria

è cresciuto esponenzialmente negli anni e il forno Citizen PW con pannello digitale è la soluzione che permette di concentrarsi sull’alchimia dell’impasto con la certezza di ottenere un risultato di cottura impeccabile. Un’altra categoria particolarmente emozionante che vedrà in uso i forni Zanolli è quella della Pizza a Due: un dialogo d’intesa tra pizzaiolo e chef per la creazione di una vera pizza d’autore. Lavoro di squadra e polivalenza sono valori cardine per Zanolli. Per questa sfida l’azienda metterà a disposizione i forni Teorema Polis, top di gamma e ideali per cotture precise e sofisticate. In un’arena così prestigiosa non poteva mancare AVGVSTO, l’imperatore dei forni. L’iconico forno elettrico a cupola di Zanolli, oltre ad assicurare cotture di alto livello a consumi contenuti per ogni tipo di pizza, impreziosisce il locale e contribuisce a trasmettere l’atmosfera che si vuole evocare, che sia essa tradizionale, contemporanea, industrial, deluxe. Il Campionato Mondiale di Parma è una piattaforma autorevole in cui la pizza mostra la sua duplice natura di alimento che unisce l’umanità e al contempo accende le sfide più entusiasmanti.

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Condivisione e competizione, due volti dello stesso spirito. Due principi che dal 1952 guidano Zanolli nell’ideare e creare forni da pizza dedicati alla Pizza.



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LE SCUOLE PER PIZZAIOLI… − QUASI UN’AUTOBIOGRAFIA − di Giampiero Rorato

Sino a qualche decennio dopo la seconda guerra mondiale – quindi fino agli interi anni ’70 del secolo scorso – il mestiere di pizzaiolo veniva trasmesso di padre in figlio o comunque veniva appreso in famiglia. Anche i non molti pizzaioli che dalla Campania si erano trasferiti al Nord - o a seguito degli immigrati nelle fabbriche della Fiat,

dell’Ansaldo e dell’Alfa Romeo o delle migliaia dei giovani che trascorrevano la leva militare nelle caserme del Veneto e del Friuli Venezia Giulia - avevano imparato l’arte nella pizzeria di famiglia in Campania e in particolare a Tramonti, una delle più importanti capitali dell’emigrazione imprenditoriale del mondo della pizza.

Poi, con la diffusione delle pizzerie nel Nord Italia v’era la necessità di avere pizzaioli anche fra i giovani settentrionali, non bastando più quelli che arrivavano dal Sud.

FINO AGLI INTERI ANNI ’70 DEL SECOLO SCORSO – IL MESTIERE DI PIZZAIOLO VENIVA TRASMESSO DI PADRE IN FIGLIO


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MENGOZZI E PRIMICERI La grande svolta si ebbe all’inizio degli anni ’80 quando il romagnolo Luigi Mengozzi e il milanese Antonio Primiceri il 26 gennaio 1981 fondarono a Milano l’Apes (Associazione Pizzaioli Europei e Sostenitori), con lo scopo di avviare dei corsi per la preparazione di pizzaioli professionisti. Nel 1983 Mengozzi pubblicò il primo volume didattico per i corsi che ebbero inizio l’anno dopo a Milano. Il merito principale va sicuramente alla grande passione e all’amore per la pizza di “Luisin” Mengozzi che già a metà degli anni ’70 aveva aperto a Meldola (Forlì) una pizzeria da ben 300 posti, facendo parlare di sé tutto il mondo della pizza e della ristorazione italiana, oltre che alla capacità manageriale e organizzativa di Primiceri.

1981

APES

Questa iniziativa era di fatto svincolata da quanto avveniva in Campania, anche se le tecniche di impasto, le tipologie di farciture e le tecniche di cotture si ispiravano alla tradizione della pizza napoletana. Subito dopo, il ristoratore friulano Gabriele Marchesin, fra i pionieri dello sviluppo di Porto Santa Margherita di Caorle, innamorato della pizza, installò un forno nel suo ambiente e cominciò a servire la pizza agli ospiti della bella località turistica (e fu così che chi scrive, circa 40 anni fa conobbe Gabriele Marchesin). La notizia, grazie alla stampa, si diffuse immediatamente e sia Primiceri che Mengozzi arrivarono a Caorle prendendo contatti con Marchesin, allora supportato da un ragazzo, Graziano Bertuzzo, che aveva da poco appreso l’arte della pizza e nel 1985, auspice i due personaggi milanesi, si tenne a Caorle un’anteprima di quello che diventerà col tempo il Campionato Mondiale della Pizza.

La manifestazione ebbe una certa risonanza nazionale e Gabriele Marchesin, cui si era unito un altro innamorato della pizza, Enrico Famà, decisero di aprire assieme nella località balneare veneziana una scuola di pizza, chiamando dapprima un docente dell’Università di Padova, esperto di farine ed impasti, quale consulente nel lavoro preparatoria. E, quando tutto fu pronto, ebbero inizio i primi corsi per giovani aspiranti pizzaioli, chiamando docenti esterni e affidandosi per la parte pratica dapprima a Marchesin e Bertuzzo, poi al solo Bertuzzo che divenne il responsabile tecnico della scuola. Poco dopo fu realizzato da chi scrive e da Enrico Famà un manuale storico-didattico, che ebbe un buon successo in tutta Italia.

1985

ANTEPRIMA DEL CAMPIONATO MONDIALE DELLA PIZZA


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IL CAMPIONATO MONDIALE DELLA PIZZA Nacque nel contempo anche questa rivista per unire i giovani pizzaioli, come organo di informazione e formazione continua e per promuovere il Campionato Mondiale della Pizza, che cominciò ad essere celebrato tutti gli anni, il primo a Meldola, da “Luisin” Mengozzi, poi a Castrocaro Terme, quindi a Viareggio, poi per diversi anni a Salsomaggiore Terme e, da alcuni anni, a Parma, città nella quale, dopo la pausa forzata per la pandemia, torna quest’anno con grande successo di adesioni internazionali. Nell’ultimo decennio del secolo scorso, la Scuola Italiana Pizzaioli di Caorle si consolidò anche con corsi di riqualificazione e specializzazione, preparò numerosi formatori e si diffuse in tutta Italia e anche all’estero, preparando professionalmente molte centinaia di nuovi pizzaioli.

La Scuola per pizzaioli sorta a Caorle fu come un vento nuovo che portò il messaggio non solo in tutta Italia ma anche all’estero, in Europa e fin degli USA, dove sorsero nuove scuole, spesso legate a mulini o a produttori di forni per pizza, diffondendo una nuova cultura della pizza con risultati molto positivi, tanto che attualmente la pizza è entrata anche nei ristoranti stellati. Rileggendo la storia, specie da chi, come lo scrivente, l’ha vissuta dall’inizio, conoscendo tutti i personaggi citati e molti altri artefici del nuovo corso, si trae una convinzione che resta fondamentale. Oggi non basta più affiancare un pizzaiolo esperto per diventare bravo pizzaiolo, perché si può imparare la tecnica manuale, certo fondamentale, ma le conoscenze merceologiche, storiche, culturali che sono ciò che caratterizza un grande pizzaiolo si apprendono solo frequentando con impegno una scuola, leggendo i manuali e i libri di settore, seguendo con attenzione le lezioni degli esperti.

OGGI NON BASTA PIÙ AFFIANCARE UN PIZZAIOLO ESPERTO PER DIVENTARE BRAVO PIZZAIOLO

Per essere pizzaiolo, infatti, non basta come in passato acquisire le conoscenze del padre pizzaiolo, perché in questi ultimi decenni la scienza e la tecnica hanno compiuto passi da gigante. Per limitarci a qualche esemplificazione, le farine sono totalmente cambiate rispetto al passato, perché sono cambiate le varietà di grano prodotte; per le farce ci sono numerosi prodotti nuovi; è cambiato il gusto e sono cambiate le esigenze dei consumatori. Per questo oggi le Scuole per pizzaioli – in Italia ce ne sono diverse serie, ben organizzate e qualificate – sono la base da cui partire per iniziare la professione. In cinquant’anni il mondo della pizzeria è davvero cambiato, come non era mai successo nei secoli precedenti e ciò grazie anche alla globalizzazione, come del resto avviene in tanti altri settori, per cui o si è culturalmente e professionalmente preparati, o non si va da nessuna parte, L’entusiasmo e la buona volontà da soli non bastano più, come non è più sufficiente il sapere e il saper fare dei padri; ci vuole cultura e seria preparazione professionale. Questo ci insegna l’evoluzione delle scuole per pizzaioli da Luigi Mengozzi e Antonio Primiceri in poi.



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Tutti in classe! “Non si finisce mai di imparare!”

di David Mandolin

ra la frase con la quale i miei genitori cercavano di instillarmi l’amore per lo studio e di farmi andare a scuola con gioia, con la voglia di apprendere e con la consapevolezza che avrei dovuto imparare sempre, per tutta la vita. Nelle prossime pagine troverete il pensiero ed i ragionamenti di persone e realtà associative che hanno dedicato la loro vita alla formazione ed all’insegnamento, e l’antico monito della mia infanzia ha trovato in loro un riscontro concreto. Sono tutti professionisti i quali prima che insegnanti sono allievi, e dall’apprendimento di nozioni, tecniche ed informazioni sempre nuove traggono linfa vitale per insegnare agli altri, oltre che per migliorarsi. Un viaggio bellissimo tra persone che hanno fatto dell’amore e della passione per la formazione parte della loro vita.


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raziano Bertuzzo RESPONSABILE TECNICO

“La Scuola nasce per capire sempre di più quel prodotto che ho iniziato a fare fin da bambino; volevo vedere se ci fosse qualche maestro che mi potesse dare indicazioni sul lavoro che iniziavo ad imparare. Ho iniziato a 12 anni con la classica gavetta (taglio della mozzarella, riempire il forno di legna, tutti quei lavori che il mio maestro non aveva tempo per fare). Ho iniziato a capire meglio verso i 16/17 anni quando, finite le scuole medie e visto che la passione per lo studio non era molta, ho iniziato veramente a prendere questa strada. Vedevo una luce di fronte a me - pensando a questo mondo e a questo settore - e questo mi ha spinto a cominciare seriamente. Volevo sapere di più, essere stimolato da insegnamenti sempre nuovi e soprattutto mi sono reso conto che insegnando a Scuola e frequentando scuole hai sempre un valore aggiunto sul lavoro. Scuola Italiana Pizzaioli nasce con il corso base – come se fosse la prima elementare – e ti fa capire tante cose fondamentali ed essenziali. Ti permette di avere delle informazioni e conoscenze per poter iniziare a lavorare bene e a testa alta.”

Gli allievi in questi anni. Hai notato differenze? Un’evoluzione? “Sono 50 anni che faccio pizza ed all’incirca ogni 10 anni ho visto sviluppi, ricerche, modi di lavorare diversi e soprattutto il cliente è cambiato, e noi dovevamo cambiare col cliente, per essere al passo con quello che cresceva attorno a noi. Ma gli stessi obiettivi dell’allievo sono cambiati. Anni addietro si pensava esclusivamente all’impasto, alle farine mentre ora non ci si può più permettere questo, ci vuole preparazione tecnica a 360”.

Perché hai dedicato la tua vita all’insegnamento? “Perché non mi sono mai posto dei limiti ed orizzonti temporali. Non ho mai pensato: “lo faccio per qualche tempo e poi basta”. Io ci sono nato dentro e sono sempre andato avanti con lo scopo di imparare dagli altri, strada facendo e di costruire gruppi di ragazzi con cui dialogare e crescere assieme. Poi sai, ho anche il tempo – visto il mio lavoro – e la possibilità per confrontarmi con tecnici, agronomi, esperti di questo settore e mi piace fare ricerca, imparare e trasmettere affinché la pizza sia sempre più buona!”

SCUOLA ITALIANA PIZ Z AIOLI

Chi sono i principali fruitori? “Abbiamo sempre avuto una forte inclinazione ad accogliere studenti provenienti dall’estero, questi due ultimi anni hanno sovvertito completamente il trend in termini di richieste avvicinando di più l’utenza italiana: l’italiano che si rivolge a noi per i “beginners” ha un’età media di 35-40 anni e spesso frequenta i nostri corsi perché desidera concedersi una seconda opportunità professionale. Operando inoltre con sedi in tutto il mondo, riceviamo da alcuni paesi moltissime richieste: Francia e Polonia in primis in Europa, e sicuramente il Brasile sono le sedi che hanno ripreso prima di altri a fare formazione.”

Perché dovrei scegliere di formarmi da voi? “La prima cosa che diciamo ad un allievo che si rivolge a noi è che Scuola Italiana Pizzaioli fa formazione dal 1988 ed i Master Istruttori di Scuola Italiana Pizzaioli sono docenti professionisti, selezionati attraverso un lungo percorso di formazione altamente qualificato e certificato. La nostra offerta formativa spazia da corsi per chi non ha esperienza nel settore e desidera approcciare

al mestiere del pizzaiolo in maniera professionale a corsi a più livelli per professionisti. “

Quali sono le richieste che arrivano oggi al mondo della formazione? Quali i corsi più gettonati? “La tendenza sempre più frequente è la richiesta di formazione “cucita su misura” per rispettare le esigenze del cliente. Le richieste spaziano da approfondimenti specifici sull’utilizzo ottimale delle farine e la realizzazione di impasti con i prefermenti, alla realizzazione di un menu e relativo food cost. I corsi più gettonati riguardano il mondo della panificazione: pizza in pala, pinsa, padellino, focaccia sono quelli che ad oggi hanno più appeal rispetto ad altri.”

Che evoluzione prospettate per la Scuola? “Nei progetti futuri abbiamo in programma la realizzazione di corsi On-demand per Sedi estere, il potenziamento delle attività formative con le nostre aziende Partner e la messa a punto di una piattaforma digitale per la gestione dei corsi”.


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tefano Auricchio

A .V.P.N.

DIRET TORE GENERALE

“L’Associazione nasce con l’obiettivo di diffondere la vera pizza napoletana in modo professionale. Già nell’87 fu organizzato un primo corso e da li sono nati alcuni personaggi come Caporuscio, uno dei primi americani che veniva in Italia a formarsi e che negli Usa ha avuto grandissimo successo. Così come Steve Jobs aprì Apple in un garage, noi facemmo il primo corso con un forno a legna montato fuori da un garage! Oggi siamo arrivati ad avere 10 tipologie di approfondimenti diversi, quasi una business school ed un corso professionale che ormai fa 200 formati all’anno solo a Napoli. Come studenti globali annui siamo sui 1500, senza contare gli studenti derivanti dalla “web school”: corsi professionali in diretta che contano circa 400 corsisti annui.”

Scuola ed Associazione sono contestuali?

Perché dovrebbero formarsi da voi?

“La scuola segue la nascita dell’Associazione, non è contestuale ad essa. Inizialmente si perseguì la strada di affinare ed affermare i valori del Disciplinare e, man mano che si procedeva in tal senso, ci si rese conto che in molto casi, non si conoscevano le procedure. Poiché il Fondatore Antonio Pace – attuale Presidente – si era dato come obiettivo quello di diffondere metodo e procedure “con l’orologio”, da li nacque la necessità di fare formazione. In Italia i corsisti sono per l’85% stranieri e all’interno di questa percentuale un 70% è rappresentato da imprenditori che vogliono aprire la pizzeria con metodo napoletano. Di statunitensi ne vediamo pochi, perché negli Usa c’è una sede storica e si formano la. Vediamo molti sudamericani, asiatici e chiaramente europei. Dal mondo arabo ci sono singole unità che si affacciano, anche con storie molto affascinanti.”

“Perché il metodo che noi utilizziamo è il metodo con il quale le pizzerie storicamente hanno sempre lavorato ed è quello che ti permette di realizzare professionalmente la pizza napoletana nel miglior modo possibile. Diventi un professionista grazie a noi; non raccontiamo folclore ma un metodo di produzione, selezione degli ingredienti, tempistica di lavorazione ed attrezzature da utilizzare nel modo migliore. Nei 9 giorni del base, assieme agli altri 9 di approfondimento ed ai 7 di pratica dedicata, sviluppi un percorso che ti porta ad essere un professionista; più o meno veloce – chiaramente - ma dietro al banco uscirà una pizza napoletana secondo i canoni della tradizione. All’interno dell’offerta formativa poi, se allarghiamo lo sguardo, c’è quella dell’arte bianca: pizza in teglia, in pala, il panettone, i lievitati, il lievito

madre. C’è un corso – cui il Presidente Pace è molto affezionato – sul riutilizzo dell’impasto e contro gli sprechi. Saggezza che ci viene dal passato e che è giusto riproporre in chiave anti spreco e sostenibile. Si era più attenti al residuo e non si sprecava, e si valorizzava il proprio lavoro, perché le materie prime avevano un costo gestibile in confronto alla fatica che c’è dietro il lavoro del pizzaiolo.”

Che ruolo hanno gli associati all’interno del progetto formativo? Sono per noi da un lato degli istruttori, dall’altro degli “ospitanti stagisti” perché l’esperienza che hanno accumulato gli fa essere ottimi docenti – naturalmente per chi sa insegnare – e poi dopo l’esperienza in azienda diventano “scuole di vita”. Tutti per l’obiettivo di diffondere la cultura della vera pizza napoletana e per superare quello che un tempo era un po’ visto come un qualcosa di prezioso da nascondere, il segreto della lavorazione della

pizza. L’Associazione ha disvelato – come il vaso di Pandora – che non c’è un vero segreto ma solo la tecnica e la passione che ci puoi mettere.”

Quali sono i progetti futuri? “Innanzitutto l’evoluzione la vediamo nell’organizzazione con l’apertura di altre scuole: la prossima sarà ad Atlanta, un’altra in Turchia e quasi sicuramente per fine anno una in Egitto. Da un punto di vista formativo e dei contenuti la programmazione di un corso di business per pizzeria. Troppi pizzaioli sono concentrati – comprensibilmente - sull’impasto e sul lavoro quotidiano e tralasciano comunicazione, organizzazione, gestione, controllo dei costi, l’impresa insomma. E riteniamo che se anche se non lo fai direttamente tu debba avere le conoscenze di quella che è l’impresa che ruota attorno a te; è la base del successo. Bisogna imparare a delegare alle persone giuste la cura dei propri affari, ma per fare questo che devi conoscere quello che accade attorno a te.”


BORN TO BURN

GOLD

SILVER NEW GENERATION

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NEW GENERATION

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NEW GENERATION

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ngelo Iezzi PRESIDENTE

A .P.I.

“Io ho iniziato ad avvicinarmi al mestiere quando avevo 13 anni, artigianalmente. Ero un ragazzino e ricordo che quand’era il momento di vedere le cose importanti, come ad esempio gli impasti, mi mandavano in giro con qualche scusa… nessuno ti insegnava, e ci soffrivo, e mi venne pian piano la fantasia di aprire una scuola. Poi, come tutte le cose che pensi da ragazzino, le si accantona un po’… inizio il mio percorso di lavoro e nel frattempo già iniziavo ad insegnare a qualche ragazzo che mi chiedeva di imparare il mestiere. Il tempo passa, il movimento cresceva e ci si trovò in una combinazione favorevole in cui si incrociarono aziende di farine, di forni e ci ritrovammo a fare il primo corso nel ‘92 a Roma. Da là è partito tutto, oggi siamo quasi in tutto il mondo. Si faceva almeno un corso al mese, dai 10 ai 30 ragazzi e, passo dopo passo, abbiamo iniziato a progredire. In Italia tutte le sedi riescono a lavorare mentre, se devo parlare di quelle che sento più di rappresentanza nel mondo, dico Dubai e New York. Dubai è interessante perché lavorare con il mondo arabo non è facile, e noi siamo entrati all’interno di una delle 10 scuole di cucina più importanti al mondo, la Icca. È stato un processo graduale ma pian piano abbiamo ingranato, con tecnologie e materie prime italiane: abbiamo uno spazio dove facciamo formazione; teniamo un corso introduttivo in 11 giorni ove affrontiamo i 3 tipi di pizza alla romana ovvero tonda romana, pala e teglia. In seguito, se si vuole, si può approfondire con 5 o 6 giorni uno di questi 3 prodotti.”

Perché si dovrebbe scegliere la vostra scuola tra le altre? “Innanzitutto sono contento ci siano tante scuole perché, anche se sicuramente vi sono scuole più o meno buone, oggi un ragazzo che si avvicina al mestiere è bene che studi, visto che dobbiamo preparare da mangiare per le persone. Ben vengano le scuole. Per quello che riguarda noi, se pensiamo ai pizzaioli che sono già professionisti, ti posso fare il paragone con i medici (e tutti gli ordini professionali, in verità, ndr) che, per aggiornamento costante, devono frequentare i congressi: per noi vale lo stesso principio. Teniamo aggiornati i professionisti, siamo collaudati e possiamo avvalerci di tante collaborazioni per innovare e proporre docenze sempre aggiornate. Poi, è chiaro che ci sono anche realtà formative che ti possono deludere ma questo fa parte di come va il mondo in generale. Io sono anti social ad esempio, non mi piace perché

Qual è il corso più richiesto? non c’è contradditorio e questi strumenti aumentano la possibilità di sembrare quello che in realtà non si è… alla fine puoi comunicare come vuoi ma devi saper insegnare veramente. Noi abbiamo 30 anni alle spalle di lavoro e formazione. Quando abbiamo cominciato non c’era davvero nulla, ed è stato tutto da costruire con entusiasmo; possiamo onestamente dirlo che noi “vecchi” (tutti in generale) abbiamo costruito il settore, sia nella formazione che nelle manifestazioni e nelle gare. E penso che questo percorso di divulgazione del mestiere sia stato davvero positivo per il comparto tutto. Poi è chiaro che cambia il metodo, cambiano le esigenze, si sono fatte largo le intolleranze ed i nuovi impasti, nuove farine ma le basi le abbiamo messe tanti anni fa.”

“Penso che il focus formativo più richiesto negli anni – e anche quello che è esploso più velocemente di tutti – sia stato quello sulla teglia romana. La pizza romana è diventata in pochissimo tempo un brand in tutto il mondo, la teglia romana in particolare.”

Come vedi la scuola in futuro? Dove sta andando? “Penso che andrebbero un po’ educati i ragazzi. Perché ritengo manchi un po’ l’educazione al lavoro, alla fatica, l’abitudine al rigore. Parlo dei maschi, la donna pizzaiola invece è diversa: più inquadrata, precisa, rigorosa. Molti dei ragazzi sono svagati, e questo andrebbe detto ai genitori; insegnare loro a rispettare il lavoro. Le scuole – chi più chi meno – ti insegnano quello che ti devono insegnare, ma la voglia e la cultura del lavoro si sono un po’ perse.”


Una per ogni gusto!


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ergio Miccù

PRESIDENTE

Come e perché nasce la vostra scuola e qual è l’evoluzione che immaginate nel tempo? “La Pizzaiuoli School nasce da un'esigenza: tramandare nel tempo l'arte del pizzaiuolo napoletano divenuta patrimonio Unesco. Quel codice di conoscenze che attiene agli antichi saperi del popolo partenopeo che fino ad oggi sono state trasferite di padre in figlio e che rischiano altrimenti di andare perduti nel tempo. Considerata però la vigente normativa relativa alla sicurezza alimentare, nonché il protocollo Stg che fa della pizza napoletana una Specialità Tradizionale Garantita, era anche necessario abbinare alla pratica di gesti e riti di questo mestiere anche una parte teorica con le principali regole da seguire. Non ci si improvvisa pizzaiuoli e ancor meno ci si può improvvisare pizzaiuoli napoletani. Nulla si ottiene senza studio e senza sforzo. La formazione è una cosa seria e non è possibile che oggi qualunque pizzaiuolo invece di sfornare pizze si senta autorizzato a salire in cattedra e sfornare nuovi pizzaiuoli. Chi dice se un pizzaiuolo ha l'attitudine all'insegnamento? Chi stabilisce che un pizzaiuolo ha quelle competenze che lo rendono maestro? L'improvvisazione fa male a tutta la categoria. I nostri corsi hanno la garanzia dell'Apn, l'Associazione dei Pizzaiuoli

A .P.N.

ciare a questa professione) sia ai pizzaiuoli che già lavorano ma che, ad esempio, vogliano acquisire una conoscenza più dettagliata su di un determinato argomento: pizza fritta, food cost, etc...In più hanno l'occasione di confrontarsi con colleghi sulle varie tecniche. Non va trascurato poi il disciplinare Stg che contiene misure ben specifiche per la realizzazione della pizza.”

Qual è la vostra offerta formativa e chi sono i vostri formatori? Napoletani. Noi abbiamo realizzato un percorso che parte dalle conoscenze basilari per poi arrivare ad una formazione specialistica.”

Chi sono i principali fruitori? Italiani o esteri? “Sono ragazzi seri che hanno voglia di studiare realmente e non inseguono la falsa chimera di un titolo qualunque per accorciare i tempi e mettersi a fare pizze. Come in ogni lavoro c'è bisogno di sacrifici e di competenze che si possono acquisire solo con un corso completo. Abbiamo avuto studenti stranieri ma molto più di frequente formiamo giovani italiani che poi, grazie ai nostri corsi, hanno avuto successo all'estero.”

Perché un professionista dovrebbe scegliere di formarsi da voi? “Ai professionisti sono riservati Master che dedichiamo all'approfondimento su singoli aspetti, come, ad esempio, il senza glutine. La nostra offerta formativa va dal Corso completo per diventare pizzaiuolo professionista (che è appunto rivolto a chi si voglia approc-

“I corsi vanno dalle tecniche dell’impasto, alla lievitazione, alla cottura. Un'offerta completa che consente di avere una formazione tale da poter accedere a qualunque realtà lavorativa di settore. Le lezioni, tenute da importanti maestri pizzaiuoli, sono prevalentemente pratiche, dedicate alla tecnica e alla manualità, ma non mancano aspetti teorici relativi a principi nutrizionali e normativi. È previsto un accompagnamento al lavoro. Il 90% degli allievi che aveva dichiarato di iscriversi con l'obiettivo di trovare poi uno sbocco nel mondo pizza è effettivamente entrato nel mondo del lavoro. Il corpo docente

è composto principalmente da illustri maestri pizzaiuoli dell’Associazione Pizzaiuoli Napoletani, oltre che da professionisti del settore e docenti universitari.”

Quali sono le richieste che arrivano oggi al mondo della formazione? Quali i corsi più gettonati? “Il corso base per diventare pizzaiuolo: 160 ore di full immersion nella professione.”

Quali altre iniziative avete in programma? “Come APN abbiamo avviato una importante iniziativa che è connessa a Procida Capitale della Cultura 2022 e che ci accompagnerà per tutto l'anno. Si tratta di un contest, al quale possono iscriversi gratuitamente i pizzaiuoli di tutto il mondo. Avranno la possibilità di creare una pizza utilizzando, per il condimento, i prodotti tipici dell'area flegrea inclusa in "Procida 22", dal pomodoro cannellino flegreo al limone procidano. In tutto il mondo si svolgeranno eventi per la selezione della ricetta top e poi, a settembre, ci sarà la grande manifestazione conclusiva sull'isola di Procida.


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LE AZIENDE INFORMANO

cameo Professional: new road to market 2022 L’anno del cambiamento, della svolta commerciale

C

ameo Professional è la divisione di cameo che si rivolge ai protagonisti del Fuori Casa con soluzioni multicanale, studiate nello specifico per i bisogni del settore HoReCa, della ristorazione organizzata, commerciale e del Vending, e pensate per soddisfare ogni momento di consumo della giornata. I due pilastri dell’assortimento sono: 1. ingredienti, miscele predosate, prodotti servizio adatti a semplificare o arricchire l’esperienza in cucina; 2. Ciobar, Snack Friends e Vitalis, apprezzati brand di sfiziose specialità prodotte per il consumo extradomestico.

Manuel Amorini - Responsabile Divisione cameo Professional

Campus cameo

www.cameo-professional.it

“Dopo tanti anni di presenza nell’HoReCa, distribuiti a livello nazionale attraverso lo storico intermediario - spiega Manuel Amorini, Responsabile Divisione cameo Professional - a partire dal mese di aprile 2022 cameo Professional si presenta sul mercato di riferimento con un’importante novità: una rete vendita diretta e specializzata, dedicata a distributori e grossisti. La nostra priorità è continuare a garantire il presidio del canale di riferimento, il Fuori Casa, ma guidando e coordinando direttamente le iniziative commerciali e le vendite dei nostri prodotti in tutte le categorie: non solo ambient, ma anche fresco e surgelato”. Obiettivo principale della riorganizzazione è rafforzare e consolidare ancor di più le relazioni, i rapporti commerciali esistenti, intrecciare nuove partnership, trasferire i valori cameo Professional e presentare al meglio ogni nuovo progetto. “Siamo certi che questa nuova strategia ancora più win-win-win possa apportare ulteriori benefici a tutta la filiera oltre che creare un filo diretto tra i vari operatori. Crediamo infatti - prosegue Amorini - che la presenza diretta sul territorio sia un’opportunità reciproca per comprendere e soddisfare al meglio le esigenze, so-

prattutto in un periodo di cambiamento come quello vissuto negli ultimi anni”. Un cambiamento che ha interessato, primo fra tutti, il settore della ristorazione dove l’evoluzione in termini di qualità e creatività è stata necessaria per rispondere a un consumatore sempre più informato ed esigente. Per questo oggi le imprese del Food Service sono alla ricerca di partner, non solo fornitori, capaci di offrire specializzazione, servizio e semplificazione. cameo Professional si rivolge a loro, ai professionisti che richiedono prodotti innovativi ma semplici da trasformare e personalizzare con un assortimento vario e approfondito in grado di offrire garanzia di qualità e risultato, e di aiutarli nell’elaborazione di un food-cost chiaro e sempre sotto controllo. “Siamo convinti che per cogliere insieme le opportunità del mercato del Fuori Casa, in così rapido cambiamento – sostiene il Responsabile di Divisione - sia fondamentale investire da parte nostra su un supporto tecnico-commerciale ancora più specializzato e lavorare fianco a fianco, diventando Partner per sostenere i futuri progetti”. La partnership con Ljubica Komlenic e Cast Alimenti cameo Professional negli ultimi due anni ha investito molto in Ricerca e Sviluppo, ampliando ad esempio la gamma dei preparati per dolci e rendendola ancora più mirata alle esigenze dell’operatore finale. Non è stata semplicemente rimodulata l’offerta, è stata trasformata con la forte ambizione di rivoluzionare la categoria sul mercato. Per raggiungere questo obiettivo, è stata fondamentale la collaborazione con due partner d’eccezione: Chef Ljubica Komlenic e Cast Alimenti, la scuola dei mestieri del gusto, fondata da Iginio Massari e famosa in tutta Italia.


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D I ZI O N A R I O D E L L A R I ST O R A Z I O N E : — il valore delle parole di D.M.

Dal dizionario

Ristorare

etimologico della Treccani possiamo

Far tornare forti, vigorose le forze del corpo

leggere che il termine

indebolite o ammalate • Prendere cibo, o bevande o

Ristorare è un termine

riposo o altro per riacquistare le forze, ristorato •

nobile e generoso dai

utilizzato anche come aggettivo, attribuito a persona

molti significati:

che ha ripreso le forze.

Non è un caso che “ri-

Ristorare e ristoratore

Ecco dunque un vademecum

storare” sia il verbo

sono diventati etimi di

semiserio per non per-

che si utilizza per chi

moda, negli ultimi anni:

dersi nel grande e suc-

lavora nel settore della

sempre nelle tv, nei

culento labirinto della

cucina, della pizzeria e

giornali e nei social

ristorazione!

del servizio in sala: un

media. Spesso però sono

mestiere che implica an-

fonte anche di grande

zitutto una vocazione al

confusione relativamente

prossimo, ma anche fatica

alle mansioni che ogni

fisica e mentale, sacri-

ruolo delle brigate di

ficio, concentrazione,

cucina o di pizzeria de-

preparazione e competenza

vono rispettare.

oltre all’abitudine a lavorare sotto stress.

LA BRIGATA DI SALA La brigata di sala è il team di lavoro dedicato a tutto ciò che succede in sala: la loro responsabilità riguarda le pietanze, dal momento in cui escono dalla cucina, e la gestione di tutte le dinamiche della sala, dalla miseen-place al servizio. Nella gerarchia tradizionale, cameriere, chef de rang e hostess sono allo stesso livello.


Il direttore di sala Si tratta di una figura manageriale di primo livello in un’attività ristorativa. Sua è la responsabilità di tutta la brigata, nonché la direzione del ristorante, la programmazione del menù e delle mise-en-place e delle varie proposte enogastronomiche.

Cameriere Il cameriere è – se non il volto del ristorante, assieme al cuoco o al pizzaiolo - uno dei volti del ristorante, e si occupa della presentazione del menù e della carta dei vini, in assenza del sommelier. Allo stesso modo, cura la mise-en-place, il servizio e sbarazza la tavola all’occorrenza.

Chef de rang Una figura affine al cameriere, prende le comande, si occupa di portare il pane e le bevande. Sua responsabilità è anche la porzionatura e il trancio delle pietanze. È una figura, così come il commis, presente più che altro nei ristoranti di fascia medio-alta.

Hostess/Steward di sala La figura della hostess – ovviamente non necessariamente femminile – è dedicata all’accoglienza dei clienti e all’accompagnamento ai tavoli o a eventuali terrazze o piani diversi da quello dell’ingresso. Anche in questo caso, queste figure trovano posto in contesti esclusivi ed eleganti.

Commis di sala È colui che fa sostanzialmente tutto: servizio, comande, porzionatura, accoglienza… Se una mansione inerente alla sala è rimasta scoperta, con ogni probabilità sarà il commis a prendersene cura.

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LA BRIGATA DI CUCINA Fanno parte di questa brigata tutte le persone che si occupano della preparazione, cottura, assemblaggio della materia prima, che si trasformerà nel piatto ordinato dal cliente.

Executive chef Il “capo” della brigata, che oltre ad avere un ruolo fondamentale nella preparazione e definizione dei menù, coordina tutto il personale che sta in cucina. Non si occupa solo di supervisione, ma anche di turni, ferie e malattia; sua responsabilità è anche la divisa e il rispetto delle norme di igiene.

Capopartita

Sous-chef

Il cuoco capopartita è specializzato in uno specifico segmento della cucina: siano essi i primi o i secondi, si occupa prevalentemente della preparazione di quelli. Ha un ruolo di prim’ordine in cucina, e abitualmente trova posto in contesti strutturati, della ristorazione o dell’hotellerie.

Subito dopo l’executive chef, vi è il sous-chef. Non meno importante, ha anche lui un ruolo direzionale, organizzativo e di coordinamento. Oltre a cucinare, il sous-chef funge da intermediario tra il primo chef e il resto della brigata, assicurando il corretto funzionamento di ogni cosa.

Lavapiatti

Commis di cucina – aiuto cuoco

Il lavapiatti è una figura fondamentale, un ingranaggio senza il quale la struttura rischierebbe di fermarsi con danni enormi all’organizzazione: la pulizia delle stoviglie, la differenziazione della spazzatura, i controlli sulla pulizia delle postazioni sono solo alcune delle mansioni che può ricoprire.

Va detto anzitutto che il suo compito è quello di imparare dalle figure più esperte. Offre supporto in ogni segmento dell’attività ristorativa che lo richiede. Dalla preparazione, al controllo di approvvigionamenti e dispensa. Indispensabile per la brigata, si tratta di una figura versatile su tutti i fronti e rappresenta un supporto insostituibile affinchè la “macchina” giri alla perfezione… o quasi!


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E la pizzeria? Questa rivista tratta di pizzeria e pizzaioli fin dalla sua origine e dunque non saremo noi a riassumere le mansioni del pizzaiolo: ognuno tra i più affezionati lettori è consapevole di quanto vaste siano le competenze da riassumere nella stessa persona. Proprio perché la pizzeria – almeno fino a qualche anno fa – era un ambiente davvero diverso per organizzazione e tipologia di prodotti serviti al cliente, il pizzaiolo è stato “costretto” fin dall’inizio a fare di necessità virtù, frequentare di sua spontanea volontà scuole di formazione private ed imparare strada facendo, non avendo nemmeno punti di riferimento chiari da seguire. Con il passare degli anni, la figura si è evoluta ma rimane di fondo una verità: il pizzaiolo deve avere conoscenza di impasti, materie prime, processi di cottura, ricettazione, servizio, gestione della pizzeria. Vogliamo invece soffermarci un po’ di più sulla figura del fornaio, che, soprattutto al Sud e relativamente alla pizza napoletana, è fondamentale per l’organizzazione della pizzeria: un mestiere che viene ancora insegnato e che forse va un po’ perdendosi nel bailamme generato dai social, ove tutti vogliono apparire grandi chef.

Un bravo pizzaiolo è invece prima di tutto un competente fornaio.

Un fornaio esperto infatti sa riconoscere non solo le varie tipologie di legna ma è in grado di modificare le diverse temperature che il forno può raggiungere in relazione alle varie tipologie degli impasti. Altrettanto importanti sono i diversi tempi di cottura, a seconda della pizza che si sta preparando. La distinzione tra un legno duro e uno tenero, la pezzatura dei tronchi, il loro grado di essiccazione e, quindi, il loro contenuto di umidità, sono solo alcuni degli aspetti della complicata gestione di un forno a legna. Deve poi saper operare a temperature che arrivano spesso oltre i 450°, cadenzare la sua attività tra fasi di massima operatività e fasi di stanca e cuocere la pizza in pochi secondi, sempre mantenendo standard di qualità alti, assicurando non la bruciatura, bensì la giusta cottura della pizza.



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Oltre la formazione tecnica: quali corsi per la pizzeria di Domenico Maria Jacobone

Il management deve sta-

del futuro?

re costantemente all'erta: il business è una corsa senza una linea d’arrivo. Philip Kotler Ho voluto iniziare questo articolo con la citazione di uno dei padri del moderno marketing perché Kotler ha intuito quanto continuo e costante fosse diventato il percorso evolutivo del prodotto rispetto a quanto accaduto sino agli anni ‘50. Mai come in questo frangente storico possiamo apprezzare la sua visione del business come una “corsa senza una linea d’arrivo”, un percorso che ha un principio, ma la cui prosecuzione dobbiamo impegnarci a portare avanti giorno per giorno, con un’attenzione particolare al cambiamento che ci coinvolge.

Viviamo un mondo nel quale la formazione professionale e professionalizzante assume un aspetto sempre più verticale e specializzato, ma si sente sempre più spesso l’esigenza di aggiungere competenze trasversali che possano aiutarci nella gestione della quotidianità.

In un settore complesso e sfaccettato come quello della ristorazione, la richiesta di competenze multisettoriali è un’esigenza imprescindibile per chiunque voglia gestire al meglio la propria squadra e la propria attività. Il concetto fondamentale è quello che essere esperti e specializzati in una mansione o settore permette di svolgere il proprio lavoro nel migliore dei modi, ma se si è in grado di sfruttare ed accrescere altre competenze si potrà andare oltre l’esecuzione di una semplice mansione ed aggiungere importanti dettagli che possono risultare vitali per ottenere il miglior risultato finale. Nella vostra quotidianità pensate a quante cose avete imparato a gestire: un occhio al personale di sala, un occhio alla cucina, la gestione del programma di fatturazione, magazzino, la contabilità, il marketing, la pubblicità, i social e l’andare magari a fare anche la spesa dei prodotti stagionali per cambiare il menù…


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Nel momento in cui si deve coordinare un ristorante, le competenze trasversali sono

Nell’acquisire nuove competen-

l’ingranaggio fondamentale

ze partirei proprio da Google,

per far funzionare un team. Le

perché offre programmi di

persone capaci di adattarsi a

formazione on demand con i

svolgere con flessibilità diversi compiti e di ‘collegare’ tutti i membri della squadra per favorire il team working sono un bene difficile da reperire, ma allora perché non lavorare sulla crescita e sulla formazione? In questi mesi abbiamo parlato spesso di tecnologia e ristorazione, di opportunità legate all’uso di software, di molte delle problematiche che possono essere risolte da strumenti innovativi, ma la riflessione sulle competenze che serve sviluppare nell’approccio al lavoro va ben oltre il vecchio concetto di “imparare un mestiere”. Trovare personale nel mondo dell’ospitalità e della ristorazione sta diventando una sfida sempre più ardua, ma una volta trovata la “persona ideale” bisogna fare in modo che possa crescere, formarsi, cambiare ruolo ed essere affezionata alla struttura in modo da non far scappare i talenti migliori.

Google Digital Training, gratuiti Pensando ai ragazzi che approcciano questo lavoro post diploma, le competenze e le specializzazioni da acquisire sono molte: insieme alle prime esperienze lavorative in sala/cucina/gestione/ acquisti il mio consiglio è quello di affiancare corsi professionalizzanti che aiutino a comprendere meglio e dialogare con la tecnologia, la connettività, il marketing, il mondo social e la gestione del business.

Da dove partire? Qual è il primo passo? La pizzeria ed il ristorante del futuro saranno sempre più connessi: utile in questo senso la curiosità verso le nuove tecnologie che possono diventare “abilitanti” di un nuovo modo di relazionarsi con l’esterno, mantenere il contatto con i clienti ed arrivare a conquistarne di nuovi. Abbiamo vissuto una grande evoluzione in pochi anni passando dalla visibilità attraverso enormi insegne in neon multicolore alla “puntina da disegno” virtuale e multicolore sulla mappa di Google.

e che per la clientela business hanno anche dei tutor o degli assistenti a supporto degli imprenditori. Con un po’ di pratica ed un valido aiuto, imparare come si gestisce il “Profilo dell’attività” (il nuovo nome di Google my Business) non è impossibile ed anzi le nuove interfacce semplificano molto questo tipo di gestione. Aggiornare e comunicare indirizzo, orari di apertura, foto, menù, gestione delle recensioni sono cose che si possono imparare a fare in autonomia, affrancandosi da terzi per la gestione dell’attività. Oggi Google offre l’opportunità gratuita di costruire un mini-sito del ristorante! L’uso degli strumenti online potrebbe essere considerato alla stregua di una “porta virtuale” da aprire ai clienti: avete sempre le chiavi del vostro ristorante ben custodite ed utilizzate quotidianamente? Per gestire il profilo online vale lo stesso principio!


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Altra preziosa risorsa sono i vostri fornitori di servizi e

Non parlo solo di formare nuovi

programmi:

manager, aspiranti imprenditori

tutti hanno dei moduli di formazione da trasmettere a chi lavora nel ristorante, che si tratti di prendere una comanda con la vostra App o di gestire una prenotazione di un portale o marketplace a cui siete affiliati, troverete sempre qualcuno disponibile non solo a vendere un prodotto, ma ad insegnarvi ad utilizzare gli strumenti che state comprando o noleggiando. A nulla serve la tecnologia se non impariamo ad usarla! Sfruttate ogni singolo minuto messo a disposizione dai vostri fornitori, consulenti e tecnici per diffondere la cultura e la conoscenza degli strumenti tecnologici d’uso quotidiano nel vostro staff. È capitato a tutti noi di scoprire qualcosa di utile, che non conoscevamo, nelle funzionalità di un prodotto acquistato.

o il personale che dopo anni di

Entrando in un mondo ancora più specializzato, così come deve essere continuo lo scambio e la crescita con esperti del settore con corsi e stage presso importanti cucine, chef, pizzaioli, accademie; altrettanto dovrebbe essere fatto per formare chi si occupa di social-media management, gestione internet e management della struttura.

lavoro vuole fare il salto di qualità e crescere in ruoli sfidanti, ma è importante frequentare corsi di aggiornamento per tenersi al passo con l’innovazione, anche per chi ha già anni di esperienza alle spalle. Ho intervistato a tal proposito Rita Graziano, Content Manager della 24ORE Business School, che si occupa del coordinamento dei corsi e master in area food & beverage. In una struttura dove l’alta formazione manageriale era già di casa da tempo, dal 2016 sono iniziate le prime attività formative dedicate al mondo della ristorazione e dell’ospitalità. Uno spunto interessante è stato quello di considerare le attività ristorative come imprese in continua evoluzione, all’interno delle quali è necessario comprendere e gestire il cambiamento dei modelli di business attraverso competenze nuove.

Il quadro degli iscritti è eterogeneo: si parte da giovani che frequentano i master full time da cinque mesi post diploma, manager in formazione continua infrasettimanale ed imprenditori che vogliono migliorare le loro competenze che frequentano anche nel weekend con un’offerta molto ampia, in grado di adattarsi a persone e competenze molto lontane tra loro. Interessante l’evoluzione percepita attraverso le richieste dei corsisti: le prime erano orientate a rafforzare le competenze economico gestionali, analisi dei profitti, il food cost, gli approvvigionamenti e la gestione del magazzino.



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Negli ultimi anni la richiesta si è spinta nel volere acquisire competenze di marketing con focus che spaziano dal menù engineering a comunicazione e marketing strategico e digital. Una riflessione è doverosa: converrebbe iniziare un percorso di questo tipo dopo aver letto ed acquisito almeno le basi essenziali, altrimenti alcune nozioni potrebbero risultare difficili da applicare nel lavoro quotidiano. A questo tipo di preparazione si affiancano sempre più spesso anche percorsi di valorizzazione e gestione della squadra e della leadership, proprio per non trascurare il capitale umano dell’attività.

A proposito di formazione e della sua erogazione, confrontandomi con diverse strutture specializzate come accademie riconosciute a livello internazionale, è emerso un dato interessante:

la pandemia da Covid19 che ha falcidiato la ristorazione negli ultimi due anni, è stata la molla per alcuni imprenditori e manager per dedicare il ritrovato tempo del lockdown alla formazione. Ovviamente anche le strutture formative si sono adeguate al momento con la formazione a distanza ed online e quasi tutte le strutture hanno dato modo di fruire questi servizi raddoppiando o triplicando gli iscritti!

In conclusione, potremmo definire le competenze del ristoratore del futuro sempre più trasversali tra cucina, gestione del team, gestione finanziaria e comunicazione. Le figure imprenditoriali e manageriali dovranno avere una o più specializzazioni e la conoscenza profonda della propria attività, ma dovranno anche essere aperte alla comunicazione verso l’esterno ed alla tecnologia. Un processo di miglioramento continuo che è stato mutuato da altri settori. Le strutture più piccole e le grandi catene multinazionali convivono nello stesso ambiente e nessun imprenditore può permettersi di rimanere indietro:

il nostro settore è una corsa di cui non si conosce il punto d’arrivo, ma il bello sta proprio nell’allungare il tragitto e potremmo definire la formazione come il carburante per alimentare questo viaggio.


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A scuola di

Chi mangia senza glutine, perché celiaco o sensibile al glutine, sente, sin dalla diagnosi, la mancanza dei panificati e in particolare della pizza.

di Alfonso Del Forno

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hi mangia senza glutine, perché celiaco o sensibile al glutine, sente, sin dalla diagnosi, la mancanza dei panificati e in particolare della pizza. Fino a qualche anno fa non era possibile mangiare una buona pizza lungo tutto lo Stivale: erano pochi i locali in cui il prodotto si avvicinava alla pizza glutinosa. L’evoluzione delle farine, accompagnata dalla maggiore formazione dei pizzaioli e dall’adeguamento di molte pizzerie in chiave gluten free, ha permesso di avere buone pizze senza glutine un po' ovunque. A tale livello di crescita è corrisposto uguale interesse anche nelle case di chi mangia senza glutine, dove si è sperimentato anche più che nelle pizzerie. La pizza fatta in casa è un must in Italia, da sempre. Per chi segue una dieta senza glutine è stato per anni l’unico modo per poter mangiare qualcosa che somigliasse a una pizza, da realizzare in totale sicurezza, cosa non sempre possibile nelle pizzerie, dove molto spesso non esistono le condizioni per poter preparare una pizza esente da contaminazione crociata. Ed è proprio nell’ambito del focolaio domestico che sono nate ricette degli impasti sempre più evolute, frutto di continue sperimentazioni, quando ancora non esistevano i moderni mix di farine senza glutine. Per conoscere le tecniche


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Gluten Free

d’impasto senza glutine per la pizza fatta in casa, ci si è affidati per anni al web, con le tante ricette presenti online sui blog dedicati o su YouTube, dove le videoricette di appassionati e pizzaioli sono sempre state presenti. Possiamo affermare, senza alcun dubbio, che il web sia stata la vera prima scuola per gran parte di coloro che si sono cimentati a fare pizza in casa, supplendo ad una mancanza di vere e proprie strutture formative per appassionati.


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Tornando indietro di una decina d’anni, dobbiamo ricordare che in Italia nacquero diverse manifestazioni dedicate al mondo del senza glutine, distribuite sul territorio nazionale. Durante questi eventi, alcune delle attrazioni che ottenevano più successo erano i laboratori “mani in pasta”, creati per coloro che volevano cimentarsi nella produzione di pasta, pane e pizza in casa. Il successo di questi format è stato clamoroso, a testimonianza della grande necessità delle persone di apprendere le tecniche di panificazione casalinga. Vista la grande richiesta, questi appuntamenti sono diventati itineranti e hanno toccato tante località italiane, dai centri più piccoli alle grandi città, grazie all’impegno “nomade” di professionisti del settore, che hanno portato il verbo della conoscenza del settore nelle case degli italiani. Tra questi, uno dei più attivi è Marco Scaglione, i cui corsi sono presenti in ogni angolo dello stivale. Lo

chef di origini siciliane - palermitane per esattezza - è stato (e continua ad essere) un vero girovago. Il suo lavoro in questi anni è stato encomiabile ed ha supplito, con le sue scuole temporanee, alla mancanza di una vera e propria struttura formativa che lavorasse sul territorio nazionale per formare gli appassionati nel mondo della pizza fatta in casa. Grazie alle sue ricette, svelate insieme ai trucchi del mestiere, ha permesso a migliaia di persone di poter preparare la pizza senza glutine in casa, con semplicità e senza grandi attrezzature, mostrando quanto possa essere semplice fare un buon prodotto anche con il forno di casa. Vista la continua crescita del mercato gluten free in Italia, viene spontaneo chiedersi se non sia venuto il momento di avere una struttura di formazione permanente sul territorio nazionale, un punto di riferimento per tutti coloro che vogliono imparare l’arte di impastare e fare una pizza in casa. Secondo me, una struttura di questo tipo avrebbe un grande successo e, se esistesse, andrei ad iscrivermi senza battere ciglio!


LE AZIENDE INFORMANO

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I servizi di formazione Schär Foodservice sulla ristorazione senza glutine SCHÄR foodservice.it@drschaer.com www.schaer-foodservice.it tel. 0473 293595

www.schaer-foodservice.it

C

on più di 200mila celiaci in Italia e diagnosi in aumento, a cui si sommano patologie correlate, come la sensibilità al glutine non celiaca e l’allergia al grano, l’Horeca oggi deve garantire la migliore esperienza di gusto e sicurezza a questa importante fetta di mercato. Per farlo la formazione di tutto il personale è fondamentale e in questo ambito Schär Foodservice è da sempre il partner ideale. Numerose sono le iniziative lanciate negli anni, che si aggiungono al costante supporto informativo che l’azienda offre. Dal 2017 al 2019 Schär Foodservice ha promosso Gluten Free Class, il progetto di formazione rivolto alle scuole alberghiere

d’Italia. Tramite chef esperti in gluten-free, l’azienda ha presentato agli studenti di cucina e di sala una lezione completa di teoria e pratica, mostrando tutte le potenzialità del senza glutine. Con la pandemia e l’impossibilità della formazione in presenza nel 2021 ha infine creato “Foodschärvice”, la piattaforma gratuita di e-learning sulla cucina senza glutine: una risorsa essenziale per i professionisti dell’Horeca, che grazie alla facilità di utilizzo e all’accessibilità continuerà ad essere un riferimento anche in futuro.


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Food to Action. La formazione secondo Slow Food. a cura di Slow Food Italia


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’educazione è lo strumento con cui Slow Food sostiene l’azione di tutela della biodiversità e la promozione di un pensiero nuovo sul cibo, sulla qualità alimentare e sulla relazione con la terra: perché grazie all’educazione si diffondono consapevolezza e conoscenza. Noi di Slow Food siamo Il movimento del cibo nel mondo ma, per esserlo ogni giorno, abbiamo bisogno di essere sempre più “moltitudine”. Parlare di cibo oggi significa leggere il presente in maniera non dogmatica e guardare con fiducia al futuro: ecco perché abbiamo ideato un percorso formativo che ci accompagni lungo l’intero anno e che ci consenta di raccontare e fare Slow Food sui nostri territori e nelle nostre azioni quotidiane. Nasce così “Food to Action”, il percorso di formazione sulla biodiversità, sull’educazione e sulle politiche alimentari offerto gratuitamente a tutti i soci Slow Food (e per essere soci la quota d’iscrizione annua parte da 10 euro per chi ha meno di 30 anni). Il percorso formativo ideato da Slow Food racconta perché cerchiamo la biodiversità nella terra, che cosa significa leggere i paesaggi, come si fa a degustare impegnando tutti e cinque i sensi, quali parole ci servono per descrivere il cibo. E lo fa con esperti agronomi, cuochi, contadini custodi di biodiversità, giovani attivisti determinati, esperti di comunicazione, gastronomi appassionati e anche influencer.

Il pubblico dei destinatari è ovviamente molto vasto: va da chi vuole saperne di più sul mondo Slow Food perché è un cittadino che vuole impegnarsi nella salvaguardia dell’ambiente, al produttore che vuole svolgere il proprio lavoro in maniera sempre più rispettosa del pianeta, al cuoco che intende avere gli strumenti per sentirsi parte attiva di questo mondo. E sono tantissimi i cuochi e i pizzaioli che hanno deciso di seguire gli appuntamenti di Food to Action, testimoniando che oggi la formazione in questo settore è molto più che una preparazione “tecnica”. Barbara Nappini, Presidente Slow Food Italia, ha fortemente voluto la nascita di questo corso, che costituisce il primo step verso quella “formazione permanente” che Slow Food intende offrire ai suoi soci:

“Io apprendo perché voglio capire – afferma – e capire mi serve a scegliere, ogni giorno, il meglio per me e per la mia comunità. E la mia comunità è il mondo intero. MI avvicino alla formazione perché ho a cuore quello che succede a me, alla mia comunità mondiale e al pianeta che mi ospita, ho a cuore il futuro di tutti noi. Come recita il titolo stesso del corso, dal cibo (e attraverso il cibo) vogliamo passare all’azione”. sotto

Barbara Nappini, Presidente Slow Food Italia


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Food to Action si compone di tre sessioni che si svolgono in modalità FAD (formazione a distanza): i fondamentali, la biodiversità e la “cassetta degli attrezzi”. La prima sessione è iniziata martedì 22 febbraio e si svolge ogni martedì pomeriggio fino al 24 maggio. Al termine di ciascuna delle tre sessioni, i partecipanti che avranno seguito più del 70% degli incontri riceveranno un attestato di partecipazione. Tutti gli appuntamenti saranno però registrati, catalogati e condivisi a uso formativo e divulgativo. Nel corso delle lezioni, si spazia dal lessico utilizzato per descrivere le nostre percezioni quando assaggiamo un cibo al funzionamento dei sensi, alla narrazione del concetto di qualità (anche sui social network), al legame tra biodiversità e salute, al cibo come causa e soluzione per la crisi climatica.

Tra gli ospiti del corso invece annoveriamo: Antonio Ciappi, membro del comitato scientifico di foodinsider.it Francesco Sottile, docente presso l’Università di Palermo Silvia Moroni, ecogastronoma e food influencer con la sua pagina Instagram @parlasostenibile Andrea Cavalleri, docente presso l’Università di Torino Vincenzo Di Maria, service designer

Il percorso formativo è realizzato nell’ambito del progetto “Slow Food in Azione: le comunità protagoniste del cambiamento – fase 2” finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Per saperne di più, è disponibile la pagina web slowfood.it/food-to-action dalla quale è anche possibile effettuare l’iscrizione al corso.

il biologo, ricercatore presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, Gabriele Volpato


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Si accendano i forni!

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di David Mandolin

Sono passati 3 anni da quando venne preparata l’ultima pizza che assaggiarono i giudici del Mondiale 2019, un lasso di tempo lungo e doloroso, durante il quale sono accaduti eventi inimmaginabili fino a pochi decenni fa: una pandemia ed una novecentesca guerra che sta insanguinando la parte orientale dell’Europa. Mentre scriviamo non sappiamo se – come speriamo – la tragedia che vede coinvolta l’Ucraina abbia avuto termine e l’umanità, lo spirito di fratellanza, la pace e finanche il buon senso abbiano finalmente avuto la meglio, possiamo solo contribuire quotidianamente con la solidarietà per quelle popolazioni duramente provate.

In questo contesto parlare di un evento gioioso com’è il Campionato Mondiale della Pizza potrebbe sembrare stridente ed eccessivo, ma è anche vero che la cucina – e la pizza in particolar modo – sono da sempre opportunità di fratellanza, condivisione, amicizia e solidarietà:

valori che devono permeare le nostre vite ed i nostri gesti “dal basso” e che una manifestazione come questa ha nel suo Dna.


LE AZIENDE INFORMANO

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Formazione e impresa AFINOX SRL Via Venezia 4, 35010 Padova (PD) Tel. +39 0499638311 Fax. +39 049552688 facebook.com/Afinoxsrl/ youtube.com/user/afinoxsrl linkedin.com/company/afinoxsrl/ instagram.com/afinoxsrl/

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mbiti fortemente correlati che hanno in comune, tra l’altro, l’opportunità di poter conoscere ed acquisire competenze non solo basandosi su fonti teoriche, ma anche entrando in contatto con figure professionali diverse e specializzate. E’ questo uno dei motivi per i quali, come azienda produttrice di attrezzature per la pizzeria e la ristorazione, partecipiamo al Campionato Mondiale della Pizza. Perché siamo felici di esserne parte? Perché rappresenta per noi la possibilità di scambiare idee e conoscenze con esperti conoscitori e professionisti di tutto il mondo di uno dei più famosi e amati prodotti sul pianeta: la pizza. Per noi, quella del pizzaiolo più che una professione è un’arte. La relazione con i professionisti della panificazione e della pizza, ci permette di approfondire temi e processi di grande interesse per il nostro settore, quali la lievitazione controllata e graduale, oltre che la corretta conservazione degli impasti e dei prodotti. Questo scambio ci dà la possibilità di imparare, crescere e migliorare il nostro modo di fare impresa.

www.afinox.com

Il nostro core business è da sempre la conservazione: realizziamo un’ampia gamma di prodotti altamente customizzabili ed efficienti. I nostri banchi pizza, le vetrine porta ingredienti e gli armadi

specificatamente pensati per la conservazione degli impasti sono quotidianamente all’opera nelle pizzerie di tutto il mondo. Col tempo, e grazie alla continua conoscenza e formazione sul campo, abbiamo scelto di differenziarci sviluppando attrezzature multifunzionali, tecnologicamente avanzate e dalle caratteristiche impareggiabili, dedicate all’abbattimento e alla lievitazione controllata degli impasti. Armadi e celle ferma lievita, oltre che attrezzature per l’abbattimento rapido in grado di realizzare cicli di lavorazione singoli o combinati, in modalità manuale o automatizzata. Il nostro obiettivo è potenziare e standardizzare i processi, facilitando il lavoro di chi sa come fare un’ottima pizza ma non vuole smettere di migliorarsi ed innovare. Ecco perché oltre alla vendita delle attrezzature, riteniamo essenziale fornire un adeguato supporto e formazione, realizzata da chi di impasti se ne intente, per permettere uno scambio “alla pari”, tra professionisti chef e pizzaioli che parlino un linguaggio comune. Se sei curioso di saperne di più e vuoi capire come realizzare un impasto omogeneo in ogni stagione senza difficoltà o vuoi scambiare con noi le tue idee, seguici sui nostri canali social e vieni a trovarci nella nostra azienda-laboratorio: saremo felici di condividere con te la nostra esperienza!


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Il Campionato del Mondo – alla sua 29ª edizione – da sempre promuove non la competizione ma la partecipazione, e siamo convinti che mai come in questo momento sia questo lo spirito giusto con il quale partecipare alla kermesse che si terrà a Parma:

760 pizzaioli da 40 nazioni l’hanno capito, e saranno loro l’emblema dell’unità e della fratellanza in nome di un piatto che è comune a tutte le culture del globo.

All’interno della manifestazione questa rivista organizzerà per il terzo anno consecutivo anche uno spazio didattico

– il Pizza World Forum – Per concorrenti e visitatori, perché lo spirito agonistico e celebrativo possa accompagnarsi a opportunità di riflessione ed apprendimento. Il programma è nutrito ed affronta tematiche attuali, con la partecipazione di professionisti del settore, giornalisti e moderato dal Direttore di questa rivista.

Delivery e take away e la ristorazione al tempo delle app, il senza glutine, la sostenibilità vista dalle aziende leader del settore, tecniche di lavorazione del lievito madre liquido, la pizza napoletana e quella americana vista da due grandi protagonisti del nostro mondo, per non parlare della rivisitazione a 4 mani della pizza dolce e l’evoluzione di cui è stata protagonista la farina nel corso degli anni: e ne ricordiamo solo alcuni ma il programma di 3 giorni è ricco e consultabile per intero sul nostro sito.

Appuntamento a Parma, si accendano i forni!


LE AZIENDE INFORMANO

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I due nuovi volti della Pinsa Romana Di Marco: Puccia e Sorriso DI MARCO CORRADO SRL Via Monte Nero, 1/3 00012 Guidonia Montecelio (RM) Tel 0774 572804 info@dimarco.it

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L

e migliori invenzioni nascono dalla creatività e dalla voglia di sperimentare. Così è successo nel 2001 quando Corrado Di Marco ha inventato l’Originale Pinsa Romana e così succede oggi con la creazione di due nuovi formati per il settore professionale della ristorazione che rendono la Pinsa ancora più versatile e vicina al mondo dello street food: Puccia e Sorriso. Puccia si ispira al pane della tradizione salentina ed è facile da condire grazie all’aspetto gonfio e senza mollica, mentre Sorriso ha una caratteristica forma a conchiglia semi aperta, ripiegata su sé stessa, che agevola la farcitura a piacere. Così come avviene per la Pinsa Romana, anche Puccia e Sorriso seguono una lenta lievitazione di 72 ore e vengono stese a mano dagli esperti pinsaioli Di Marco. Gli impasti di queste basi di Pinsa sono realizzati senza additivi né conservanti e contengono ingredienti che ne garantiscono leggerezza e alta digeribilità. In particolare, la pasta madre e lo speciale

mix di farine di frumento, riso, soia e pasta acida conferiscono un aroma e un sapore intenso, mentre l’elevata idratazione dell’impasto dona una fragranza in grado di accogliere qualsiasi condimento e farcitura. Puccia e Sorriso sono soluzioni ideali per ricreare ricette regionali, nazionali e internazionali da proporre ai clienti e per accontentare tutti i palati, dai tradizionali ai vegani. Dal punto di vista pratico, se la conservazione è così lunga da raggiungere i 18 mesi ad una temperatura di -18°, la preparazione è invece molto veloce: dopo la fase di scongelamento che dura 3-4 minuti a temperatura ambiente, le due basi possono essere condite e cotte per 4-5 minuti in forno statico a 300° oppure per 7-8 minuti in forno ventilato a 250°. Puccia e Sorriso nelle loro confezioni rispettivamente di 50 pezzi e 25 o 35 pezzi, reinventano la Pinsa Romana con originalità e ampliano l’offerta per il mondo della ristorazione.


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A SCUOLA DI PINSA

A SCUOLA DI PINSA parte 1 di 4

Iniziamo in questo numero un viaggio in 4 puntate a cura di Marco Montuori alla scoperta dell’impasto di pizza e pinsa. Marco è fondatore e amministratore della Pinsa School di Roma (pinsaschool.com). La Pinsa Romana è la sua specialità ma è amante ed esperto anche di altre tipologie di pizza, come la teglia e la tonda romana.


LA FORMA DELL’ACQUA:

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I segreti dell’idratazione dell’impasto di pizza e pinsa

di Marco Montuori

Sono numerosi gli elementi che concorrono alla realizzazione di un impasto perfetto per una pizza o per una pinsa romana: certamente la scelta della farina (o del mix di farine), gli agenti lievitanti, i tempi di lievitazione e maturazione, le modalità di lavorazione dell’impasto e, last but not least, la quantità d’acqua o “idratazione”. Ad una maggiore idratazione corrisponderà un impasto sempre più leggero e alveolato, morbido all’interno e croccante in superficie, pronto per essere condito a piacere. Per calcolare la corretta idratazione, è necessario rispettare alcuni parametri scientifici e, in particolar modo, la “forza” delle farine utilizzate (indicata dalla lettera W). Una pinsa romana, per esempio, richiede una maggiore alveolatura, ovvero la quantità di bolle d’aria e, per ottenere questo effetto, è indispensabile idratare molto l’impasto. A questo proposito, le farine “forti” sono caratterizzate da un alto tasso di trattenuta d’acqua e sono ideali per una lievitazione prolungata grazie all’alto contenuto di glutine. Quelle più “deboli”, a causa del poco glutine, non trattengono l’acqua e non sono idonee a lievitazioni prolungate. Nello specifico, se per una pizza tonda (che richiede la massima resa immediatamente dopo la cottura), è sufficiente una farina di media forza con un’idratazione del 6570%, le farine forti per Pinsa Romana e per Pizza in Teglia richiedono invece un quantitativo di acqua maggiore (circa l’80%), che viene gradualmente rilasciata durante la fase di cottura, ottenendo un impasto leggero, molto morbido e arioso all’interno, croccante in superficie e in grado di conservare le sue caratteristiche organolettiche più a lungo, anche quando vengono riscaldate dopo alcune ore dalla cottura.

In ogni caso, come piccolo ma efficace trucco per idratare al meglio ogni singola tipologia di farina, sfruttando appieno la maglia glutinica per un impasto più tenace, è meglio utilizzare acqua molto fredda, magari con ghiaccio tritato o a piccole scaglie all’interno (attenzione a non usare cubetti, per non rovinare l’impastatrice). Ma in quale fase di lavorazione si aggiunge l’acqua? L’estensibilità del glutine viene costruita seguendo l’ordine preciso degli ingredienti da versare nell’impastatrice. Si parte dalla farina e dal lievito, e poi, una volta impostate le velocità di lavorazione e amalgamati i due ingredienti, si aggiunge l’acqua a più riprese, a seconda della percentuale da utilizzare. Lo scoppiettio della cosiddetta “zucca” all’interno dell’impastatrice indica che la maglia glutinica si è formata correttamente. Per aggiungere sale e olio dovremo aspettare che l’impasto salga di temperatura: io cerco di chiudere l’impasto a 21°C per cui aggiungo il sale quando arriva a 19°C e, nel giro di un minuto aggiungo anche l’olio. Nel tempo necessario all’assorbimento saliremo quindi di un paio di gradi, per arrivare alla temperatura desiderata di 21°C.

Vale la pena, in conclusione, ricordare che per impasti ad alta idratazione sono preferibili impastatrici ad alta velocità, più idonee per incordare bene il glutine creando molto attrito.

In pillole: farina forte, impastatrice veloce, acqua molto fredda e versata a più riprese.

Solo adesso possono cominciare lievitazione e maturazione, ma di questo parleremo nelle prossime puntate.



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Tre forni

per una lady Marianna Iaquinto, Lady Anna di A.P.

Alle porte di Benevento, a Ceppaloni, Marianna Iaquinto è per tutti “Lady Anna”. Marianna fa la pizzaiola da 33 anni ed è madre di due figlie, oltre che nonna di una bellissima bambina. Ha iniziato a fare questo lavoro negli anni ’90, quando la sola idea di parlare di donne in pizzeria era relegata soprattutto al servizio di sala e accoglienza per i locali più blasonati.

Dalle sue parole si evince subito l’amore per quella che oggi è a tutti gli effetti una professione, che è fatta – per sua stessa ammissione – di dedizione, passione, voglia di crescere sempre e di condividere i propri traguardi e competenze.


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Marianna, come è cambiato questo mestiere nei tuoi 33 anni di esperienza? Quello del pizzaiolo è un lavoro che è molto cambiato negli anni perché sono cambiate farine, tecniche, conoscenze. Ed è cambiata anche l’attenzione del pubblico, oltre che dei professionisti. Oggi, chiunque vuole ha le competenze per fare un impasto diverso: indiretto, con poolish e biga o diretto, variabile a seconda della forza della farina, del mix utilizzato, delle ore di lievitazione e maturazione… In pratica, se prima andavi al mulino vicino casa e non conoscevi le caratteristiche del prodotto, oggi invece riesci ad avere una scheda tecnica molto precisa. La pizza però resta un piatto che è simbolo dell’eccellenza italiana, prima come adesso: è completo, ci sono carboidrati, proteine, vitamine, c’è tutto… Mangiare una pizza è sorridere al primo boccone.

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Quanto conta la formazione?

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È importantissimo che i ragazzi frequentino corsi di formazione: io stessa ho fatto da formatrice all’Istituto Smaldone di Salerno, ma anche al carcere minorile di Airola e nella casa circondariale di Benevento. Bisogna trasferire agli allievi l’amore che si ha quando si tocca un panetto perché il panetto della pizza “sente”, è qualcosa di vivo. Ed è diverso quando lo tocchi con amore. Non ti nascondo che nel fine settimana arrivo distrutta a casa ma ringrazio sempre il Signore perché faccio un lavoro che mi piace e mi dà soddisfazione.

a sinistra

Marianna Iaquinto, Lady Anna con Gino Sorbillo

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GRUPPO

FORNI DAL 1960 COSTRUIAMO FORNI MACCHINE ED ARREDAMENTI DI QUALITÀ


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I tre forni di Lady Anna: un forno per il senza glutine, uno per la pizza napoletana e uno per la pinsa romana sotto

Pinsa con farine di riso, soia e frumento

Che formazione deve avere oggi un pizzaiolo? In primo luogo, le ragazze e i ragazzi che si avvicinano a questo mondo, dovrebbero sapere a cosa stanno andando incontro. Se andiamo a impastare o a cuocere pizze solo perché non abbiamo altro da fare, è meglio non farlo. Prima il pizzaiolo era il mestiere al quale venivano relegate le persone “ignoranti” che non avevano voglia di studiare, oggi no. Non può più essere così perché fare il pizzaiolo significa rinunciare a tanto: le feste con la famiglia, i compleanni, gli affetti…. Il primo requisito per farlo è dunque amare ciò che si sta facendo, il secondo è studiare. Il motivo è che dobbiamo saper rispondere alle domande che il pubblico ci pone e nel contempo mettere nel piatto la nostra identità, ciò che siamo noi. Io, ad esempio, nel mio locale, faccio anche la pinsa romana ma l’ho modificata come piace a me. E faccio anche pizza senza glutine, perché mia figlia è celiaca: ho dunque un forno per il senza glutine, uno per la pizza napoletana e uno per la pinsa romana.

Come si costruisce la propria “identità di pizza”? Ogni pizzaiolo trasforma la pizza a modo suo ma per farlo deve acquisire conoscenze. Se noi vogliamo riprodurre ciò che un pizzaiolo fa in un’altra pizzeria, non abbiamo identità. Dobbiamo invece acquisire le basi ed essere attenti a fare della pizza un prodotto nostro. Il vero segreto sta nella farina: usare una farina ma-

cinata a pietra oppure scegliere un mix di farine con una percentuale di crusca in più, ciascuno sceglie ciò che sente più vicino. La mia pinsa, ad esempio, è fatta con farine di riso, soia e frumento, ha una lievitazione e maturazione di 72 ore e subisce una precottura. Dobbiamo fare del nostro lavoro la nostra identità.



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Cosa vuol dire essere pizzaiola oggi? Guardare il sorriso delle persone quando vanno via. Dopo avere assaggiato i miei prodotti, dopo avere scambiato qualche parola, ascoltare quel “ci rivediamo presto perché abbiamo mangiato una pizza buonissima”, fa andar via tutta la fatica. Il nostro è un lavoro molto impegnativo, sotto tutti i punti di vista. Io ho una buona resistenza fisica ma la fatica si sente. Non è un mestiere solo adatto agli uomini: ci sono donne ricercatrici, scienziate, pilote, perché non potremmo essere pizzaiole? È più faticoso perché siamo donne e mamme ma possiamo farcela. Il dolore che si ha nel momento del parto un uomo non lo sopporterebbe: noi possiamo tutto, se vogliamo. Il pizzaiolo è un bellissimo mestiere e la donna riesce a mettere dentro anche la creazione: noi siamo più delicate ma anche più inventive, cerchiamo di vedere (e di portare) la bellezza in un piatto o su una pizza. L’unica nota dolente è che noi siamo in minoranza rispetto agli uomini, credo sia per una questione di impegni e orari di lavoro: il pizzaiolo è un lavoro che – almeno nelle piccole città – si fa di sera e in genere a quell'ora una persona sposata è a casa con la famiglia. E inoltre se devi rientrare di notte da solo, è meglio per te che sia un uomo anziché una donna. Il problema quindi non è il lavoro in sé ma la società nella quale viviamo.

sopra

Sala allestita per una festa accanto

Pizza dolce



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La comunicazione in formato


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Daniele Campana

di Antonio Puzzi

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e questa rivista non fosse rivolta a un pubblico professionale, avrei raccontato la storia di Daniele Campana partendo dal suo storytelling e dalla sua grande passione per il suo prodotto, la pizza in teglia e per la sua terra, la Calabria ma parlando a un parterre di professionisti non posso che partire dalla mia esperienza personale. È un lunedì di inizio febbraio quando vengo contattato da chi si occupa di coordinare la comunicazione di Daniele. Mi viene proposto di assaggiare la sua pizza e ovviamente, come quasi sempre, rispondo di sì, sperando di avere il tempo di raggiungere il prima possibile la Calabria. Mi dicono però che c’è un’altra possibilità. Penso a qualche evento in giro per l’Italia ma sono lontano anni luce dalla verità. Mi viene detto infatti che Daniele fa arrivare la sua pizza direttamente a casa mia perché ha pensato a un “Calabria kit” riservato esclusivamente alla stampa. E a me viene in mente immediatamente lo spot di una celebre pizza surgelata che mostra una famiglia borghese di Milano che chiama una pizzeria all’ombra del Vesuvio per farsi consegnare la pizza a casa. Poiché però le sfide mi piacciono e sono molto curioso, accetto. A parte qualche difficoltà logistica per la consegna (dovuta al fatto che – salvo zone rosse – sono spesso in giro), a fine febbraio mi arriva finalmente un pacco che – da quel che posso sentire – non ha mai interrotto la catena del freddo. Lo apro e dentro trovo quattro basi rosse di pizza in teglia, una ricotta stagionata e affumicata, la ‘nduja e altre eccellenze “made in Calabria”. In un video che mi invia su Whatsapp (con riprese e montaggio perfetti) Daniele mi spiega come rigenerare il prodotto abbattuto e condirlo poi secondo le sue indicazioni, suggerendomi anche il percorso degustativo per apprezzare al meglio i sapori. Il risultato – ça va sans dire – è a dir poco sorprendente: non ho mai assaggiato la pizza di Daniele prima di quel momento ma se io sono riuscito a renderla così buona posso solo immaginare quanto sia buona la sua, da gustare appena sfornata. Ecco, questo mi ha fatto pensare a molte cose. Due di queste ve le condivido. In primo luogo, non trattandosi di una proposta commerciale ma di una attività promozionale, ho pensato che sia stata un’idea straordinaria perché non solo Daniele si presenta in maniera innovativa ma anche perché ha scelto il target giusto per incuriosire e far parlare di sé e della Calabria, la terra da lui


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amata. In secondo luogo, quello che io ho ribattezzato “Calabria kit” consente di conoscere una serie di ingredienti che vengono da produttori calabresi e ci fa ragionare sul valore dell’economia circolare che la pizza genera. O meglio che la pizza può generare. E Daniele su questo ha le idee ben chiare: «Ho un profondo rispetto verso la mia terra, per il lavoro svolto dai contadini, per i frutti del loro duro lavoro. La mia pizza parla calabrese e racchiude il territorio della Calabria: non racconta la mia storia, ma tante storie». E ora finalmente vi parlo di lui. Per Daniele Campana la pizza in teglia è una vocazione ma Daniele è “figlio d’arte”. Suo padre, Francesco, gestiva dal 1990, insieme alla mamma Carmela, la gastronomia di Corigliano Calabro, in provincia di Cosenza. È qui, fra farine, lievito madre, impasti e prodotti tipici che crebbe in lui il desiderio di dedicarsi alla cucina e, in particolare, alla pizza in teglia, che oggi è l’unico prodotto dell’ex gastronomia.

«È stato un cambio naturale – dice Daniele – anche se inizialmente i miei genitori non capivano perché io puntassi unicamente ad un prodotto. Io, però, avevo una passione da seguire e un sogno da realizzare: trasferire tutti i sapori della Calabria nella pizza in teglia, che diviene così un piatto per raccontare la storia di tanti artigiani che lavorano la terra con dedizione e impegno» Nel corso degli anni, Daniele ha alternato il lavoro con gli studi e con i corsi di formazione sulla pizza e sull’arte bianca. La sua pizza in teglia è oggi realizzata con farine macinate a pietra. L’impasto è indiretto e matura 24 ore a temperatura controllata. In ogni proposta, Daniele inserisce sempre un prodotto che ha la capacità di stupire, come nel caso della pizza con zucca, mortadella e liquirizia. A ispirare il lavoro di Daniele è un principio su tutti: il rispetto dell'identità attraverso la volontà di continuare una tradizione e l'esigenza di salvaguardare l'impegno degli artigiani e dei contadini.



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L A R I C E T TA

Pizza in teglia con crema di zucca, mortadella di suino nero dell’Aspro-

INGREDIENTI (per una teglia per 4 persone) P R E I M PA S T O 500 gr farina di forza 250 gr acqua 10 gr lievito fresco I M PA S T O F I N A L E 250 gr farina integrale 300 gr acqua 5 gr lievito 15 gr sale integrale FARCITURA Zucca Mortadella di suino nero dell’Aspromonte Polvere di liquirizia bio della Calabria Olio dolce bio di Rossano Cipolla di Tropea Sale integrale Pepe Affumicato

monte, polvere di liquirizia bio della Calabria, cipolla di Tropea

PROCEDIMENTO Mettete la farina in una ciotola e sciogliete il lievito nell’acqua, dopo di che unitela alla farina. Impastate fino ad assorbimento completo e lasciate il composto nella ciotola per 16 ore coperto con un panno umido. Passate le 16 ore, riprendete l’impasto e aggiungete 250 gr di farina integrale, 250 gr di acqua e 5 gr di lievito fresco sciolto nell’acqua. Incorporate piano e aggiungete 15 gr di sale e impastate fino a quando il composto non diventa elastico e liscio. Lasciate riposare il tutto per 30 minuti e coprite l’impasto con un panno umido. Trascorsi i 30 minuti, tagliate l’impasto in due pezzi e formate due palline e lasciate riposare per un’ora, coprendole. Passata l’ora, infarinate il banco sul quale stenderete la base e procedete schiacciando in modo energico i bordi dell’impasto da un estremo all’altro, fino a quando avrete raggiunto la grandezza della teglia da forno. Oliate la teglia sulla quale andrete ad adagiare l’impasto e aggiustatelo in modo da coprirla in modo uniforme e lasciate riposare per 15 minuti.

Nel frattempo accendete il forno a 250° in modalità statica. Procedete con la farcitura, sbucciate e togliete i semi della zucca e tagliatela a spicchi sottili. Rosolate la cipolla nell’olio a 75°, aggiungete la zucca e fate rosolare per 2 minuti, dopo di che aggiungete il sale e il pepe e aspettate che i liquidi evaporino. Togliete dal fuoco e frullate la zucca con un passaverdura a grana sottile. Nel frattempo tagliate della mozzarella fiordilatte e lasciatela fuori dal frigo. Procuratevi della mortadella di suino nero dell’Aspromonte. Procedete con la cottura della base della pizza con sopra la crema di zucca per 10 minuti, dopo di che toglietela dal forno e aspettate 5 minuti che si asciughi la base. Prendete la mortadella tagliata sottile e coprite tutta la base, dopo di che prendete la mozzarella e mettetela sopra la mortadella. Aggiungete un filo d’olio e infornate per altri 2 minuti. Una volta cotta, togliete la teglia da forno e cospargete la pizza con la polvere di liquirizia bio della Calabria. Tagliatela con la forbice o a vostro piacimento e servitela.



a l o u c s a a n z z “U i p a l l e d 90

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Giulio Cesare, Novara

a t r e ap ” o c i l b b u p al di C.O.

Simone de Stasio – architetto – conduce con il padre ed il fratello Daniel, pizzaiolo che si occupa degli impasti e delle ricette, la pizzeria Giulio Cesare di Novara. Si tratta di una realtà relativamente giovane nel panorama gastronomico della città piemontese ma che ha già raggiunto consolidati risultati di pubblico e critica, essendosi orientata fin dall’inizio ad offrire al cliente diverse tipologie di impasto in un ambiente curato e raffinato. Ulteriore aspetto interessante è rappresentato dal fatto che Simone ci racconta che la Pizzeria Giulio Cesare ha un legame con la Scuola di panificazione di Novara Vco, dalla quale spesso provengono diversi ragazzi che vanno a fare esperienza in pizzeria per poi provare a “spiccare il volo” nel vasto e complesso mondo della ristorazione.

Simone, raccontaci la genesi del vostro progetto. Abbiamo deciso di intraprendere il percorso all’interno di questo settore grazie ad una prima collaborazione (in franchising) con un amico imprenditore che già aveva numerose pizzerie, di tipo fast-food, nel nord Italia. Questo ha rappresentato per me e la mia famiglia il punto di partenza grazie al quale abbiamo iniziato a conoscere la materia e le diverse dinamiche che la compongono. Pizzeria Giulio Cesare nasce nel maggio del 2017 proprio a valle di questa prima esperienza. Poi, ognuno con le proprie competenze specifiche, ha contribuito a creare il concept finale che si contraddistingue rispetto alle pizzerie tradizionali della zona per innovazione, design e qualità del prodotto.


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Quali caratteristiche ha la Pizzeria Giulio Cesare sia come struttura che come servizio che come offerta gastronomica? Formazione, ricerca, professionalità accompagnate da tanta dedizione ed impegno. La struttura, unica nel suo genere, lavora esclusivamente in orario serale e su prenotazione (50 coperti). La proposta enogastronomica ed il menù, costantemente aggiornato, favoriscono attivamente la collaborazione con i molini, i caseifici, i fornitori della zona con i quali si organizzano incontri formativi e presentazioni di nuovi prodotti al pubblico. Il locale fonda la propria filosofia sulla valorizzazione commerciale di prodotti gastronomici “di nicchia”, promuovendo il lavoro di realtà agricole del territorio Piemontese e non solo. Il progetto della pizzeria crede nel contatto diretto con allevatori, contadini e agricoltori, salvaguardando le usanze artigiane e seguendo un approccio ecocompatibile con le tematiche relative al consumo delle risorse naturali, dei consumi energetici ed idrici.

Ci racconti il rapporto con la Scuola di Panificazione di Novara?

SOPRA

Interni del locale

La collaborazione con i docenti della scuola di panificazione di Novara Vco nasce in seguito dalla volontà di creare un luogo esclusivo nel suo genere. Oggi proponiamo quotidianamente almeno cinque impasti differenti di altissima qualità realizzati con metodo indiretto (poolish e/o biga), in grado di soddisfare le specifiche richieste della clientela, anche in considerazione delle sempre più frequenti intolleranze alimentari. Scegliamo per i nostri impasti la farina macinata a pietra, quella integrale, la multicereali, il kamut khorasan, il carbone vegetale e la farina proveniente da agricoltura biologica.


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La scelta di puntare sulla formazione del personale e sulla costante sperimentazione in aula e all’interno del nostro laboratorio sono state e sono tutt'ora molto importanti per la definizione del prodotto finale: a noi piace definirla come una vera e propria "scuola della pizza aperta al pubblico".

Che rapporto avete con questi ragazzi per i quali voi diventate la prima vera e propria esperienza sul campo? Il rapporto con i ragazzi che provengono dalla scuola (e non solo) è soprattutto di rispetto e di stima reciproca. Si impara confrontandosi ed aiutandosi a vicenda. Il pizzaiolo è un lavoro molto difficile e faticoso, soprattutto se non approcciato sin dall’inizio con la giusta mentalità. Per questo, i ragazzi più bravi e volenterosi, dopo l’esperienza formativa (stage curriculari) e/o lavorativa nella nostra struttura, puntano ad aprirsi una propria attività e crearsi un proprio percorso lavorativo. A volte ci riescono, a volte no ma per noi è comunque motivo di orgoglio poter essere un esempio concreto di successo dal quale poter prendere ispirazione.

SOPRA

Pizza Timilia e esterno del locale A SINISTRA

Da sinistra Daniel, Riccardo e Simone De Stasio



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o l o s è n o N " " a z z i p a un Paola Cappuccio, questioni di stile di A.P.


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Quando ancora le donne dietro il bancone di una pizzeria non avevano conquistato l’attenzione mediatica - come invece è accaduto negli ultimi anni, in cui la lotta alla disparità di genere è diventata centrale - la Campania vantava già diverse eccellenze in tal senso. Tra queste, un nome su tutte era quello di Paola Cappuccio. Ritornata in tv qualche mese fa come protagonista di “Mica pizza e fichi” su La7, oggi Paola dichiara di essere pronta a nuove sfide e rivela: “È da poco nata una collaborazione con un noto marchio napoletano in pieno sviluppo”. Sarà questa la sua strada domani? “Domani si vedrà, lasciando sempre aperta una porta sulla scuola e sulla formazione: mi piace moltissimo stare a contatto con i giovani e trasferire il mio sapere”.

Paola, oggi “fare il pizzaiolo” non è più un mestiere “da uomo” ma una “bella ambizione” senza differenze di genere: come e perché è cambiato il mondo della pizza negli anni? Dire: “è solo una pizza, semplicemente acqua e farina” è un concetto vecchio, ormai decisamente superato. Fare una pizza non è solo mescolare acqua, lievito e farina ma un insieme di conoscenze, tecniche e abbinamenti, farine e topping, che rendono la pizza un pasto completo e bilanciato. La pizza è una vera pietanza, non più un frugale pasto veloce ma un racconto del territorio e del lavoro di tante persone.


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Che tipo di preparazione deve avere oggi un pizzaiolo? Quale percorso consigli di seguire? Un pizzaiolo oggi deve avere una formazione a 360 gradi: deve avere conoscenze sui principi della nutrizione, per garantire una pizza equilibrata, nutriente e buona; deve conoscere le caratteristiche delle differenti farine, per sapere come lavorarle e per creare un prodotto leggero e digeribile; deve conoscere le caratteristiche organolettiche dei prodotti che andrà ad utilizzare, per esaltare sia l’impasto che la farcitura e nel contempo conoscere le proprietà nutrizionali degli ingredienti utilizzati.

I pizzaioli sono spesso “gelosi” dei propri “segreti”: è giusto? Ma come si fa allora a imparare da un Maestro bravo? È importante studiare, affidandosi alla formazione tecnica di un buon mulino o frequentando una buona accademia. È vero che ogni pizzaiolo è un po’ geloso della sua “creatura” ma un buon tirocinio in una pizzeria, dopo aver frequentato corsi accademici, è l’approccio giusto per imparare, “rubando” il mestiere con gli occhi e applicando un buono spirito di osservazione.

Dunque, imparare, “rubare il mestiere con gli occhi”,

Tu insegni a fare la pizza in

formarsi a 360 gradi… Sono

giro per l’Italia e il mondo:

questi i modi in cui si crea la

quali difficoltà incontri? Quali

propria personale “identità

soddisfazioni invece hai ricevuto

di pizza”?

e ti sono rimaste dentro? In questo momento storico abbiamo tutti vissuto difficoltà causate dalla pandemia ma, pian piano, sono certa si tornerà alla normalità. Come docente donna ai corsi di formazione, non ho avuto difficoltà, semmai ho rilevato stupore perché in cattedra c’era una donna anziché un uomo… e noi sappiamo che nell’immaginario collettivo c’è sempre un uomo a fare le pizze dietro un banco. Lo stupore è però solo di pochi secondi e, non appena la lezione ha inizio, ogni incertezza svanisce e comincia il viaggio nell’universo della pizza.

Attraverso l’esperienza e la conoscenza nasce la propria identità di pizza, che è l’espressione e la sensibilità del pizzaiolo. Personalmente, attraverso le mie pizze amo raccontare e rappresentare la mia terra. Vivo alle falde del Vesuvio, in una terra magnifica, la “Campania Felix” che offre una straordinaria varietà di prodotti eccellenti, che utilizzo, facendo rete con i contadini del territorio, che lavorano la terra con coscienza e con rispetto della medesima e offrendo sempre prodotti di altissima qualità secondo stagione.



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Formazione e nutrizione della Dott.ssa Marisa Cammarano, biologa nutrizionista


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Dopo mesi di lockdown totale, quando il mondo si è fermato e molte cose sono cambiate, gli Italiani si stanno esercitando in prove tecniche di ripartenza, provando a riprendere in mano la propria vita e le proprie abitudini.

I

n questi mesi di lockdown gli italiani hanno “costruito”, a volte anche solo digitalmente, comunità allargate che non aspettano altro che essere vissute. L’emergenza sanitaria provocata dalla pandemia Covid-19 ha costretto il mondo della formazione a muoversi verso l’erogazione di soli corsi online, in tutte gli ambiti ed in tutte le discipline. Chiaramente, c’è chi era meglio preparato a rispondere a questa sfida e chi ha dovuto sperimentare per la prima volta nuovi metodi legati alla didattica a distanza. Farlo in modo efficace, però, non è solamente questione di tecnologia e di piattaforme, ma di riprogettazione dell’approccio formativo e degli obiettivi ed orientamenti professionali. La sfida più grande non riguarda semplicemente il cambiamento della tecnica didattica, ma la sua efficacia e valutazione. Ciò che, tuttavia, affiora prepotentemente anche in questa difficoltosa circostanza è che, affinché la formazione possa rispondere ad un bisogno di crescita e maturazione della persona, la partita è comunque da giocarsi in un luogo chiamato “relazione”. Il “fare formazione” non coincide con la mera erogazione di contenuti ma con qualcosa che accade. La scuola e la formazione necessitano di un luogo di rapporti e di appuntamenti. Non c’è apprendimento senza rapporto. Se il contenuto che apprendiamo non può giocarsi in un rapporto con il reale, con qualcuno o qualcosa che me lo chiede, non si impara. Oggi il lockdown ha esaltato la necessità di riscoprire quanto sia profondo il bisogno di conoscere, di comprendere, di realizzare un percorso; ma questo desiderio può emergere solo se qualcuno o qualcosa contribuisce nel sollecitarlo. La grande sfida che ci attende in futuro è quella di aspirare e raggiungere i tre livelli

della formazione: il sapere, il saper fare e il saper essere. La formazione professionale è, difatti, da tempo ritenuta uno dei fattori prioritari e fondamentali nell’ambito della ristorazione. Questo concetto era vero per “ieri”, ma, lo è ancor di più oggi con un mondo che muta ed evolve sempre più velocemente. Infatti, il concetto stesso della ristorazione è, oggi, profondamente mutato. La necessità di una indispensabile formazione professionale specifica e di un aggiornamento continuo al passo con i tempi, è un problema sentito da tutti gli operatori, poiché è lo specifico settore che lo richiede, dove è ampio il consenso di principio ma, come avviene poi nella realtà, più difficile è il tradurlo in pratica. Anche perché le esigenze sono diverse: per chi è giovane e deve essere inserito nel mondo del lavoro e per chi invece è rimasto indietro o, peggio ancora, confinato in uno spazio professionale poco in linea

con quanto il mercato richiede. Infatti, se da una parte il mondo del lavoro richiede lavoratori competenti, addestrati e responsabili, dall’altro abbiamo coloro che sono in attesa di occupazione e che, purtroppo, non sono adeguatamente preparati per ciò che il mercato offre. Il fenomeno tipico di questi ultimi decenni definito “globalizzazione”, comporta orizzonti sempre più vasti, favorendo la possibilità di entrare in contatto con tutto il pianeta, anche attraverso collaborazioni e contatti internazionali: di questo si deve tener conto nel programmare una moderna tematica didattica. Inoltre, si deve considerare che l’Europa si sta pian piano trasformando in una società multirazziale, in quanto


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culture diverse si confrontano, si mischiano ed a loro volta provano ad integrarsi nella società presente. Importantissimo e determinante, è assumere atteggiamenti di rispetto ed interesse nei confronti delle civiltà diverse dalla nostra. Ne consegue che anche la formazione professionale dovrà essere adeguatamente competitiva e migliorarsi continuamente attraverso un confronto reale, continuo e porsi attivamente in discussione nonchè controllare la validità degli obiettivi raggiunti ed inseguire quelli che si sono prefissati per non vanificare inutilmente le risorse. Gli essenziali stimoli, però, non occorre andarli a cercare tanto lontano da noi, in quanto sono largamente presenti nel nostro territorio. Ciò vale per l’Italia più che altrove, poiché la complessità geografica del Paese e le differenze culturali rappresentano una grandissima ricchezza intrinseca anche se non sempre semplice da recepire per la storica diversità. Imparare a conoscere è il primo fondamentale passo per poter capire al meglio come rapportarsi con esso e cosa poter ottenere dal territorio stesso senza interferire con il suo equilibrio. La vera sfida della ristorazione moderna è legata alla necessità di conciliare i piatti, le pizze, ecc. con una rinnovata attenzione al

benessere, alle materie prime che si usano in cucina ed in pizzeria, nonché al bilanciamento degli stessi che arrivano in tavola. I profondi cambiamenti dello stile di vita delle famiglie e dei singoli hanno determinato per un numero sempre più crescente di individui la necessità di consumare almeno un pasto fuori casa, quindi è di fondamentale importanza elevare il livello qualitativo dei pasti, mantenendo saldi i principi di sicurezza igienica, di qualità nutrizionale ed organolettica, di corretto utilizzo degli alimenti, favorendo scelte alimentari nutrizionalmente corrette attraverso la valutazione dell’adeguatezza dei menù e la promozione di alcuni piatti o ricette che siano. E, fortunatamente, è sempre maggiore il numero di chef, pizzaioli professionisti ed imprenditori della ristorazione che sposano l’obiettivo di mettere al servizio della salute le proprie conoscenze in materia gastronomica. Proprio in virtù di tutto questo, i corsi di formazione dedicati a chi opera nel mondo della ristorazione si dovrebbero arricchire di argomenti tali da soddisfare il bisogno e la voglia di approfondire una formazione in campo alimentare specificamente legata agli aspetti nutrizionali della materia. La

necessità di diffondere maggiore consapevolezza sull’importanza di una corretta nutrizione rappresenta, infatti, una delle sfide principali per la nostra società: basti pensare alla crescente incidenza delle malattie croniche, ma anche alla sostenibilità ambientale, sociale ed economica connessa alla produzione ed al consumo di cibo. Queste dinamiche sono evidenziate in maniera chiara dalle principali organizzazioni internazionali come la FAO, che in più occasioni ha esortato i decisori mondiali ad impegnarsi per favorire una maggiore sensibilizzazione sull’esigenza di raggiungere un sistema alimentare equo, sostenibile, in grado di assicurare il benessere delle persone di questo pianeta. Una dieta corretta non è frutto di sole combinazioni nutrizionali, ma è anche conoscenza, libertà di scelta, ricerca del gusto e della propria personale esperienza sensoriale, è saper gestire con consapevolezza cibi e bevande dal gusto e dall’aspetto invitante. Perché la scuola ed i corsi professionalizzanti possano insegnare ai discenti ma anche ai già professionisti del settore a fare tutto ciò, occorre ripensarli come piattaforma sulla quale costruire progettualità così orientate. L’alimentazione, o meglio ancora l’educazione alimentare, è, infatti,


Arte ePoesia ﬕfiista Frutto di un’accurata selezione, a partire dalla scelta delle materie prime, come le nostre farine, gli oli e le polpe di pomodoro a marchio Sanfelici. Prodotti che passano nelle mani esperte dei pizzaioli che con fantasia e creatività trasformano un piatto tutto italiano in qualcosa di unico: da quelle più semplici alle pizze gourmet farcite con materie prime pregiate e di stagione.

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qualcosa che prende forma attraverso la teoria, ma che necessariamente deve essere messa a terra attraverso la pratica quotidiana, pena l’inefficacia dell’azione. Oggi, più di ieri, non è pensabile che un cuoco oppure un pizzaiolo, viva in una realtà non impregnata di cultura, ed, ancor peggio, che non sia informato sugli aspetti più importanti per la propria professionalità e che non sia proteso verso uno studio continuo che gli permetta di essere costantemente aggiornato sulla evoluzione della scienza dell’alimentazione, della tecnica, e della metodologia. Essere o meglio sentirsi professionisti della ristorazione non può prescindere dalla consapevolezza nutrizionale e dalla sicurezza alimentare. Dunque, anche su questo principio bisogna auspicare che sia fatta formazione con i dovuti approfondimenti di nutrizione clinica e scienza dell’alimentazione, nonché prevedere anche l’inserimento di moduli sulla merceologia, le malattie del metabolismo, l’igiene degli alimenti, affinché gli stessi sappiano contribuire alla correzione delle malattie metaboliche dovute ad una scorretta ali-

mentazione ed, ancora, lezioni monografiche sulle diverse categorie di alimenti: cereali e legumi, frutta e verdura, carne, pesce, latticini e formaggi, olio e grassi, vino e bevande alcoliche, allergeni e contaminazioni crociate in cucina, riciclo e riduzione dei residui, gestione clienti con condizioni alimentari speciali (intolleranze al glutine, lattosio, frutti di mare, ecc.), alimentazione sana e prodotti in voga, la cucina ecologica e la differenza con quella tradizionale nonché approntare nozioni di analisi sensoriale degli alimenti e delle bevande. Tutte le nuove conoscenze che si acquisiscono possono essere uno stimolo per creare ed applicare nuove soluzioni nella propria professione. Un pizzaiolo, un cuoco con una formazione in alimentazione, potrà proporre pizze o piatti più equilibrati e salutari, per esempio. Mai come in questo momento, il nostro futuro è nelle nostre mani: facciamo in modo, quindi, che la conoscenza e la consapevolezza siano un “boost” alla nostra carriera nel settore che più ci aggrada.



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Alla scoperta della rucola di Caterina Vianello


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Protagonista di una riscoperta recente, che ne ha fatto uno degli ingredienti simbolo nella moda gastronomica degli anni '90, la rucola ha vissuto una storia altalenante. Conosciuta sin dai tempi antichi, apprezzata dai Romani, raggiunge un primo apice di gradimento fino al Medioevo, per poi vivere un periodo di declino. Ne riemerge dopo qualche secolo, ma è solo nei decenni scorsi che si può riconoscere all'erba appartenente alla famiglia delle Crucifere il raggiungimento di un successo notevole. Anche se utilizziamo un unico termine, è utile sin da subito procedere con una precisazione. Esistono infatti due tipi di rucola: quella selvatica (Diplotaxis), che è un’erbacea perenne dalle foglie piccole e dal sapore intenso, e quella coltivata (Eruca sativa), che è un’annuale dalle foglie grandi ma con aroma meno accentuato. La selvatica, perenne, diffusa nei campi e nelle aree marginali dei terreni alcalini, ha fiorellini gialli e foglie di un verde caldo vivace, profondamente intagliate e lobi molto sottili, carnose e dall’inconfondibile sapore piccante e pungente, che aumenta nel corso dei mesi e raggiunge il suo apice in estate. Quella coltivata ha foglie riunite in una rosetta basale, fiori biancastri con venature viola e foglie di un verde più scuro, a lobi più estesi e meno incise. Il sapore è decisamente più morbido rispetto a quella selvatica. È annuale e la raccolta si effettua quando le foglie raggiungono i 10-15 cm di lunghezza.


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Rucola Igp

Rucola selvatica Alla selvatica appartengono diverse tipologie: la diplotaxis erucoides, con gusto fortemente speziato, foglie più strette e scure; la diplotaxis tenuifolia, con sapore amaro e piccante, foglie di un bel verde scuro, lunghe e slanciate; la verdiana, più delicata, con foglie lanceolate; e quella a foglia di ulivo, diplotaxis integrifolia, dal sapore fresco, simile al crescione e con foglie allungate.

Rucola coltivata Tra le rucole coltivate, esistono alcune varietà che si distinguono per il colore delle foglie (che tende al viola) e per il colore della nervatura centrale (che può anche essere rossa). Le varietà di rucola più coltivate sono: la Astra, la Fireworks, la Lingua di drago, la Atena, la Saturn. Tra queste, quella sicuramente più interessante è la Lingua di drago. Ha foglie strette simili a quelle di quercia, profondamente lobate con bordi seghettati, con distinte venature marroni. Vengono generalmente raccolte a 10-15 centimetri di lunghezza ed hanno una consistenza croccante ed un sapore che rimanda ad una miscela di aromi pepati, erbacei e vegetali mescolati con note di nocciola e spezie. Ha gusto più intenso rispetto alle altre varietà perché deriva da un incrocio con quella selvatica.

Esiste infine una rucola a marchio Igp. Si tratta della Rucola della Piana del Sele a cui nel 2020 la Commissione europea ha riconosciuto l’ammissione nel registro delle Indicazioni geografiche protette. La denominazione designa le foglie di rucola selvatica prodotte nella provincia di Salerno, in particolare nei comuni di Battipaglia, Bellizzi, Eboli, Pontecagnano - Faiano, Giffoni Valle Piana, Montecorvino Pugliano, Montecorvino Rovella e CapaccioPaestum. Le foglie sono larghe 2-5 cm e lunghe 8-25 cm, hanno lobi stretti e dentati. L’aroma è speziato e piccante, particolarmente intenso e penetrante e la consistenza è croccante. Il riconoscimento della specificità si basa su fattori ambientali e storici. Da un lato ci sono le peculiarità di un terreno di natura vulcanico-alluvionale, formatosi grazie all’azione del Vesuvio e all’azione alluvionale del fiume Sele. Ricco di macro e micro elementi, specialmente potassio, calcio e ferro, dà alle foglie il loro aroma tipico. A ciò si unisce anche il clima, con l’azione termoregolatrice del Mar Tirreno e quella svolta dalla catena montuosa degli Alburni che proteggere il territorio dal freddo dei Balcani. Le testimonianze storiche consentono di affermare che la coltivazione della rucola nella Piana del Sele era già praticata nel periodo medievale (le “Opere mediche” della “Scuola medica salernitana” lo confermano) tuttavia è solo con la fine degli anni ’80 che si arriva ad una coltivazione più strutturata, tanto da divenire ormai specializzata.



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Dagli anni '80 la rucola ha vissuto un periodo di riscoperta che ne ha fatto uno degli ingredienti simbolo degli anni '90, in particolare accostata a carni (tagliate, carpacci, bresaola) o come condimento per pizze.

Comune alla varietà domestica e selvatica è la ricchezza in fatto di vitamine A e C, antiossidanti, ferro, vitamina K e acido folico. La rucola ha proprietà aperitive e digestive grazie all’olio essenziale a base di sostanze solforate. Nell’antichità, secondo la teoria degli umori, era considerata calda e secca come tutte le erbe piccanti ed entrava nella composizione delle misticanze per bilanciare la freddezza ed il carattere umido di altre piante, come per esempio lattuga, indivia, portulaca. Tra i romani, dato il suo sapore intenso, veniva considerato un cibo afrodisiaco, caratteristica che fu invece responsabile dell’oblio nel periodo medievale, quando fu pressoché bandita dagli orti dei conventi.

Tra le ricette del passato, alcune meritano di essere citate. Un ricettario del XVII ne riporta in particolare due, una per quella selvatica e una per quella domestica. La prima è una insalata con erba morella, finocchio, piantaggine, iperico, fegatella, primo fiore e zenzero. L’altra vede la rucola accompagnare lattuga, borragine, basilico e acetosa. Nota era anche la ricetta del “savore di rucchetta” preparato con i piccoli semi della pianta lasciati a mollo nell’aceto bianco e poi pestati con aglio e mandorle. Tutto veniva poi salato e diluito con altro aceto. Una variante particolarmente interessante aggiungeva anche zenzero, agresto e zafferano. Altra ricetta interessante era il sapore “per serbare”: i semi venivano pestati con spezie, mandorle, zafferano, miele. Il composto veniva poi sistemato in un recipiente di terracotta dove si conservava fino a 6 mesi. Quando si decideva di utilizzarlo, andava stemperato con aceto o agresto e si trasformava in salsa per il pesce.

In realtà relegarla a semplice aggiunta a crudo come jolly verde sistemato su qualsiasi piatto, senza un ragionamento gastronomico, significa non solo banalizzarne il valore ma anche non sfruttarne al meglio il carattere, che si dimostra essere assolutamente versatile. Perfetta per misticanze, la rucola accostata ad altre verdure a foglia (le lattughe, i radicchi e la valeriana) o alle patate lesse, ha la capacità di accenderne il sapore. Discorso analogo per formaggi e carni dal sapore delicato: alcuni abbinamenti divenuti ormai classici sono quelli con i formaggi freschi o stagionati (stracchino, primosale, tomino, ricotta o mozzarella, ma anche caprini, parmigiano e feta) così come quelli con le carni crude tagliate sottilissime (il carpaccio appunto) o quelle cotte. Per valorizzarla al meglio, tuttavia, salse e condimenti sono l’ideale. Ecco allora che può essere sostituita al basilico per la preparazione del pesto, o come condimento – sempre per la pasta – in abbinamento a pesci molto saporiti quali acciughe o le sarde. Notevole anche l'accostamento a frutta secca come pinoli, noci pecan, mandorle e noci, o a bulbi come ravanelli e barbabietole. Cotta è ottima in abbinamento agli spinaci e alle bietole, magari leggermente saltata.



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Il Cumino amato dagli antichi Egizi 26 di Giampiero Rorato

Il primo documento scritto che testimonia la presenza e l’uso del cumino è la Bibbia


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accontando le spezie, anche quelle meno note o addirittura attualmente sconosciute in Italia, si sfogliano interessanti pagine di storia che ci aiutano a capire come i prodotti della terra, anche e soprattutto quelli spontanei, hanno legato fin dall’antichità i diversi gruppi umani, le diverse tribù, i tanti popoli che, sulle terre emerse del pianeta sono cresciuti e si sono sviluppati in modo diverso, dando vita a quel mosaico di civiltà che caratterizzano attualmente il nostro pianeta.

Sappiamo che i primi popoli a raggiungere un grado di civiltà che ha permesso loro di scrivere la loro storia sono stati quelli che vivevano nella celebre “mezzaluna fertile”, cioè in quella fascia di territorio a forma di mezzaluna o ferro di cavallo che aveva il suo centro a nord del Caucaso e le punte ad est sul Golfo Persico (quindi nella Mesopotamia) e ad ovest in Egitto. E proprio in questo tratto di territorio del Vicino Oriente è nata la nostra civiltà occidentale.

La terra d’origine Il primo documento scritto che testimonia la presenza e l’uso del cumino è la Bibbia, libro sacro a Ebrei, Cristiani e Musulmani, che, pur a volte in forma leggendaria, racconta nella prima parte, detta “Antico testamento”, la storia non solo degli Ebrei, ma dell’intero territorio che conosciamo come mezzaluna fertile. Quindi anche dell’Egitto. Racconta dunque la Bibbia che gli Ebrei, emigrati in Egitto attorno al 1700 a.C., rimanendovi per ben 400 anni, fino a quando Mosè li liberò e li riportò nella “Terra Promessa”, durante i secoli della schiavitù raccoglievano cumino che cresceva spontaneo nella Valle del Nilo.

Bisogna attendere parecchi anni, ed ecco altri documenti che attestano che i mercanti arabi che facevano la spola con il lontano Oriente per rifornirsi di spezie, nel viaggio di andata portavano in India il cumino. Poi, sempre prima del 1000 a.C., il commercio delle spezie e del cumino fu monopolio dei Fenici che lo portarono in tutto il Nord Africa, lasciando ai mercanti berberi di trasportarlo nelle loro carovane alla popolazioni subsahariane. Nei tempi moderno il cumino è coltivato in India, Cina, Giappone, Indonesia, Nord Africa e fin nelle Americhe.


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Il Cumino La pianta del cumino ha un fusto sottile e ramificato, alto sui 20-30 cm. Le foglie assomigliano molto a quelle del finocchio, i fiori sono piccoli, bianchi o rosa e disposti a ombrella, mentre il frutto è rivestito da un guscio duro, legnoso, dalla forma allungata e ovoidale, lungo 4–5 mm, contenente un singolo seme. I semi del cumino sono simili a quelli del finocchio e dell’anice verde, ma sono più piccoli e di colore scuro. I frutti si raccolgono quando le ombrelle sono giunte a maturazione: una volta essiccate, si procede con una leggera battitura per separarli. La spezia del cumino è rappresentato da semini ovali essiccati, in realtà sono i frutti della pianta denominata Cuminum cyminum. Questi semini – questa è la forma della spezia – hanno un gusto caldo, robusto, agrodolce e somigliano leggermente al cumino dei prati, che è tutt’altra cosa. Grazie al suo sapore unico e intenso, il comino è una spezie molto versatile, come possiamo vedere dalle note che seguono.

In cucina Nelle cucine orientali e nordafricane, ma anche in Messico e in altri Paesi caraibici e, da qualche cuoco dell’Europa mediterranea, il cumino è molto apprezzato per il suo sapore forte e deciso. In Italia però non è molto conosciuto e utilizzato. In genere del cumino si utilizzano i semi interi, come si fa con i semi di finocchio, oppure la polvere, ottenuta macinando i semi con un pestello, meglio se direttamente al momento per conservarne meglio l’aroma. Il suo gusto amaro e piccante allo stesso tempo e il suo aroma dolciastro lo rendono adatto a insaporire piatti a base di carne e formaggi freschi, ma si abbina anche a verdure e ortaggi, in particolare cavoli e patate. E non sarebbe male se, nell’evoluzione che sta ora conoscendo la pizza, qualche pizzaiolo sperimentatore lo abbinasse alla farcia, anche per regalare ai suoi clienti gusti e sensazioni nuove. La pizza, come è avvenuta nel corso dei secoli, è infatti sempre pronta ad accogliere le novità, raccontando in questo modo l’evoluzione dei gusti e soprattutto del costume alimentare dei popoli.

Il cumino è infatti usato in tutta l’India. Nel Nord Africa e nel Medio Oriente e fa parte di numerose miscele di spezie: l’iraniano “advich”, l’afgano “char masala”, gli indiani e bengalesi “garam masala”, “chaat masala” e “panch phoron”, ed ancora il berbero “ras el hanout”; il georgiano “svanuri marili”, l’araba “baharat” e la nordafricana “harissa”. Oltre a essere una spezia nota per il suo sapore deciso e penetrante che contribuisce, come abbiamo visto, a numerose miscele, arricchisce anche moltissime ricette e, da secoli, è molto apprezzato anche per avere effetti benefici sulla salute. Diversi studi hanno dimostrato le proprietà del cumino, che sono state generalmente attribuite all’azione dei suoi costituenti attivi, terpeni, fenoli, e flavonoidi. Il cumino è poi ricco di preziosi oli essenziali, che conferiscono a questa spezia un gusto amaro, piccante e un aroma dolciastro. Gli studiosi hanno trovato che il cumino ha proprietà amiche dell’intestino e della digestione; combatte il colesterolo ed è un potente antiossidante e antisettico.


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Il Culatello di Zibello ed il Consorzio di Tutela

a cura della redazione

Il consorzio di Tutela del Culatello di Zibello nasce nel 2009 per difendere e promuovere la qualità e la tipicità del Culatello di Zibello DOP (Denominazione d’Origine Protetta): un gioiello della salumeria italiana di cui ogni giorno i produttori si impegnano a garantirne la provenienza dalla fascia di terra (Busseto, Polesine Parmense, Zibello, Soragna, Roccabianca, San Secondo, Sissa, Colorno) che corre lungo le rive del Po, nonché la lavorazione antica e l’autentica tradizione.

Il Consorzio assicura con il proprio marchio - attraverso una severa regolamentazione e rigidi controlli svolti dall’Istituto Parma Qualità (l’ente incaricato dal Ministero per i controlli sulla produzione) - la lavorazione tradizionale, la stagionatura adeguata e l’origine tutta italiana delle carni, per garantire al consumatore che il Culatello di Zibello del Consorzio rispetti le tradizioni e venga ancora fatto “come una volta”. I culatelli controllati dal Consorzio devono essere lavorati completamente a mano e devono essere utilizzate solo le cosce di suini provenienti dalle regioni dell’Emilia Romagna e della Lombardia. Ogni anno poco più di 60.000 culatelli di Zibello si possono fregiare della DOP e, da oggi, anche del marchio dei produttori aderenti al Consorzio di tutela del Culatello di Zibello: una garanzia in più di unicità e tipicità del Culatello di Zibello DOP.


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Il Culatello di Zibello è patrimonio di quella terra che si colloca lungo il Po e che è avvolta dalla nebbia, fattore determinante e regime climatico insostituibile per la maturazione e la stagionatura di questo salume. Dalle cantine della Bassa parmense alle tavole nazionali, il percorso del culatello è stato, storicamente, tutt’altro che breve; per molti secoli, infatti, il nome e il prestigio del culatello sono rimasti circoscritti alle zone d’origine; patrimonio della gente della Bassa che sola sapeva apprezzarne il gusto e conservarne i segreti. In seguito, il culatello ha conquistato visibilità ed estimatori anche al di fuori del territorio parmense, aumentando le richieste e mettendo a rischio l’unicità della produzione, da sempre nelle mani di pochi e genuini esperti.

Si narra che già nel 1332, al banchetto di nozze di Andrea dei Conti Rossi e Giovanna dei Conti Sanvitale, si facessero apprezzare alcuni culatelli, recati in dono agli sposi e che, più avanti, i Pallavicino avessero offerto omaggi di culatello a Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano.

Va detto però che di questi episodi non si trova testimonianza attendibile: la prima citazione esplicita e ufficiale del culatello risale infatti al 1735, all’interno di un documento del Comune di Parma. Le prime citazioni letterarie risalgono invece all‘Ottocento, ad opera, prima, del poeta dialettale parmigiano Giuseppe Callegari e, poi dello scultore Renato Brozzi, che scambiava opinioni sul culatello con il poeta Gabriele D’annunzio.

Sappiamo con certezza che fino ai primi decenni del secolo scorso solo pochissime famiglie potevano concedersi di gustare il sapore pregiato del culatello e che comunque tale pratica era circoscritta geograficamente e socialmente. Il gusto del culatello era rinomato ed apprezzato dunque solo a livello locale perché un prodotto così pregiato non alimentava certo grandi commerci. Il fatto che restasse sconosciuto al grande pubblico garantiva sicuramente la tipicità del prodotto ma al tempo stesso ne alimentava la leggenda, circondandolo di un po’ di quella nebbia che non ha mai abbandonato la gente di questi luoghi e che tanto partecipa alla creazione di un prodotto unico.


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Salume insaccato in un involucro naturale Tabella Valori Nutrizionali Informazioni nutrizionali: valori tipici per 100g di culatello Calorie

Il culatello viene comunemente identificato come un salume insaccato in un involucro naturale, che solitamente è la vescica del maiale. È un prodotto di salumeria costituito dalla parte anatomica del fascio di muscoli crurali posteriori ed interni della coscia del suino, opportunamente mondati in superficie e rifilati fino ad ottenere la classica forma a “pera”. Nella miscela di salagione sono presenti: sale, pepe intero e/o a pezzi ed aglio. Possono inoltre essere impiegati: vino bianco secco, nitrato di sodio e/o potassio nel rispetto dei rigorosi termini di legge.

kcal 198 kj 828

Proteine

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19.74

Lipidi

g

12.58

Carboidrati

g

0.00

Fibre

g

0.00

La fama che questo prodotto ha acquisito in tutto il mondo è relativamente recente ma – come abbiamo sottolineato – la produzione artigianale e la storia del culatello hanno avuto inizio molti, moltissimi anni prima.



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Non di solo pizza Nel mondo della ristorazione, la cooperazione non è la norma ma un’eccezione. Eppure le esperienze di cooperazione in quest’ambito sono tutt’altro che secondarie perché consentono di ribaltare la convinzione che per il corretto funzionamento di un ristorante sia necessaria l’autorità imposta da una sola persona al comando contrapponendo invece lo stile di una vision condivisa, al pari delle mansioni operative.

Osteria Andirivieni, Torino a cura della redazione

Quella della Cooperativa Raggio è una storia che arriva dritta al cuore perché dà sostegno alla dignità delle persone in situazioni di svantaggio certificato. Raggio è una cooperativa sociale di tipo B nata nel 2012 nel quartiere di Mirafiori Nord, a Torino. Nei propri progetti, la cooperativa promuove l’inserimento lavorativo di ragazze e ragazzi che vengono da percorsi di vita tutt’altro che semplici: soggetti con disabilità, ex detenuti, rifugiati politici o persone che arrivano da dipendenze come droghe e alcol.

Per la cooperativa, la scelta di operare nell’ambito della ristorazione ha voluto essere non solo un modo per supportare processi di inclusione sociale di soggetti svantaggiati ma anche uno strumento per creare, in maniera formale e informale, integrazione nel territorio dei propri “protagonisti”.

Torino


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“Spesso i clienti mi ringraziano per il lavoro svolto: per me è una grande soddisfazione”, dice Giusy, che aggiunge: “Questo posto mi rende felice, sto bene con tutti”.

Gianluca dice di sentirsi “trattato come un figlio” e confessa che in cascina ha anche incontrato la sua fidanzata Elisabetta.

Non lasciatevi però ingannare dalle apparenze: scegliere di cenare o anche solo di prendere un aperitivo da Andirivieni, il locale gestito dalla cooperativa sociale Raggio non è (solo) una scelta etica ma anche (e soprattutto) una scelta che premia il gusto. In un luogo straordinario, sorgono sia la caffetteria che l’osteria della cooperativa: è la Cascina Roccafranca, riaperta dopo il recupero del 2007 e afferente alla Rete delle Case del Quartiere di Torino. Nei suoi 2.500 metri quadrati di spazio, le persone si incontrano, svolgono attività, sviluppano progetti e vivono momenti di aggregazione. È in questo posto magnifico anche dal punto di vista architettonico che l’osteria Andirivieni promuove la filosofia del “chilometro giusto”, scegliendo frutta e verdura di stagione che rispetti il giusto equilibrio costi ambientali / benefici. Ogni piatto è accompagnato da vini di piccoli produttori del territorio, molti dei quali provenienti da agricoltura biologica.

“A tavola – dichiarano, scrivendolo nel menù – ci siamo dati come missione quella di valorizzare al meglio il territorio in cui siamo. Per questo basiamo la nostra cucina circolare sulla conoscenza diretta dei produttori, lavorando per l’abbattimento degli sprechi e con l’utilizzo di materie prime di filiere che rispettano la terra e il lavoro delle persone”.

La cucina di Andirivieni è coordinata dagli chef Giulia Brunasso Cipat e Walter Bettin. Il menù cambia ogni due mesi e viene scelto “dopo lunghe sedute di discussioni e assaggi”, come ammettono gli stessi protagonisti. Non ci appare dunque affatto strano che il locale sia sempre ben frequentato, anche durante la settimana. La proposta dei piatti, tutti di ottima fattura, prevede ovviamente l’immancabile vitello tonnato e le impareggiabili acciughe del Cantabrico con pane e burro, esempio di piemontesità.

Una virtuosità non da poco è però quella che si trova nella cipolla ripiena di topinambur, raschera e tartufo nero: in pratica, una bandiera dei prodotti di punta della regione. Tra i primi, destano l’attenzione sicuramente i bottoni di patate e parmigiano con salame di Turgia crudo e spinacino e gli spaghetti al ragù di coniglio. Eccellente, tra i secondi, la guancia di vitello al vermouth, esempio – questo come gli altri – della grande capacità di rileggere la tradizione, innovandola e arricchendola a tutto vantaggio della promozione del territorio. Tra i dolci, è un must il Panbrioches (così chiamato nel menù) con seirass (una ricotta tipica del Piemonte), frutta candita e cioccolato. Ma non manca un’altra grande storia piemontese: lo zabaione, proposto in spuma e accompagnato da pasticceria secca. Gli amari e le grappe proposte a fine pasto sono di piccoli produttori artigianali e rappresentano una vera “chiusura in bellezza”. Il costo? Molto meno di quello che vi aspettereste. Pensateci…


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LA BIRRA

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Emilia-Romagna, terra di birra di Alfonso Del Forno

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egione dalle tante anime, morfologicamente strutturata come un cuscino su cui poggiano i territori del nord Italia, l’Emilia-Romagna è capace di esprimere eccellenze nel settore enogastronomico che tutto il mondo osserva con estremo interesse. In questo paniere di prodotti tipici, dove primeggiano il Parmi-

giano Reggiano, il Culatello, il Prosciutto di Parma e l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena, non può non essere annoverata la birra artigianale. In questo settore, sono diverse le aziende che spiccano nel panorama nazionale e, tra queste, cito alcuni degli esempi più interessanti. Uno dei birrifici che amo è BiRen, che produce a Sant’Agostino (Fe).


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LA BIRRA

Il suo patron e birraio è Andrea Govoni, personaggio che mette buonumore al solo guardarlo. La cordialità e la voglia di accogliere le persone nel suo birrificio vanno di pari passo con la qualità delle sue birre, che toccano punte di eccellenza soprattutto nelle basse fermentazioni. Le sue produzioni, anche quelle complesse, sono tutte caratterizzate da una facile beva e invitano sempre al sorso successivo. Tra queste non posso che citare la Philippe, pilsner estremamente pulita ed equilibrata, fatta per coloro che amano le birre di ispirazione tedesca da bere senza troppi ragionamenti mentali. Come non poter ricordare poi la Tosco? Prende il suo nome dal soprannome dello stesso Andrea ed esprime l’intensità dei malti torrefatti, unendoli alla semplicità di bevuta. Una birra che bevo volentieri è la Flavius, bock morbida e rotonda, ottima per accompagnare i piatti a base di carne. Spostandoci a Colecchio (Pr) troviamo il birrificio Argo, creatura nata nel 2013 dalle sapienti mani di Stefano Di Stefano e Veronica Bianchi.


LE AZIENDE INFORMANO

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INFIBRA: le farine buone e innovative per i professionisti della pizza. DENTI Tel. 0522 350085 commerciale@molinodenti.it technicalservice@molinodenti.it

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Da Molino Denti, una gamma unica di farine prodotte con uno speciale metodo che consente di conservare tutte le parti nobili e le proprietà nutritive del grano.

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i sa: il segreto di una buona pizza è la farina. Che si tratti di pizza napoletana, romana, al taglio, al metro, di pinsa romana o altro, per ottenere un risultato eccellente bisogna scegliere la farina giusta. A creare una gamma completa dedicata al professionista ci ha pensato Molino Denti, importante azienda emiliana con sede a Borzano di Albinea (RE) e Vicofertile (PR), specializzata nella produzione di ingredienti di qualità per la panificazione, la pasticceria e il settore pizza e affini. Si chiama INFIBRA, ed è una linea di farine tutt’altro che convenzionali, ottenute con uno speciale metodo di lavorazione che le rende uniche per gusto, caratteristiche tecniche e nutritive. “Tutte le farine INFIBRA – spiega Sandra Arcidiacono, Tecnico Ricerca e Sviluppo di Molino Denti – contengono il germe di grano e le parti cruscali, in percentuale diversa in base alla referenza. In genere, queste parti vengono separate e destinate ad altri usi per evitare che possano rendere la farina instabile: noi siamo riusciti a stabilizzarle così da poterle impiegare tutte, rendendo le nostre miscele ricche di fibre, antiossidanti, vitamina D e vitamina E”.

LA LENTA TOSTATURA Una novità resa possibile dall’applicazione di un metodo generalmente utilizzato per caffé e frutta a guscio: la tostatura. “Per INFIBRA – racconta il tecnico – abbiamo sviluppato una tecnologia speciale che permette di tostare a basse temperature con massima precisione, in modo da rendere il germe di grano e la crusca stabili. Un metodo all’avanguardia, dove l’esperienza e l’occhio dell’uomo hanno ancora un ruolo fondamentale. Il risultato eccezionale: una farina migliore nell’aspetto, nel gusto e con un alto valore nutritivo”. UN MONDO DI FARINE PER IL MONDO DELLA PIZZA Tante le referenze, dalla più versatile LINEA CLASSICA, nelle diverse varianti tipo 1 e 2, alle INFIBRA PIZZA, la PRIMAMACINA PIZZA CLASSICA, le CROKKIA e CROKKIA RUSTICA, la MAMMMA e le originali CEREALI & SEMI. “Il nostro obiettivo – conclude l’esperta – offrire al professionista ingredienti di alta qualità per dare origine a un prodotto finito ben lievitato, maturo, digeribile, buono e anche bello da vedere. E con la libertà di sperimentare, per creare nuove ricette seguendo il proprio stile”.


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LA BIRRA

La grande voglia di conoscere il mondo brassicolo internazionale ha portato Stefano e Veronica a intraprendere un viaggio tra gli stili europei e statunitensi, arrivando a produrre birre anche molto differenti tra loro. L’ispirazione al mondo tedesco ha permesso la nascita della Baden Baden, pilsner che si ispira all’omonima città termale in Germania. L’ottimo bilanciamento tra le note maltate e quelle luppolate rendono questa birra molto equilibrata e dalla grande beva. Un richiamo agli Stati Uniti è la Terzo Tempo, cream ale che esprime note floreali insieme ad una base maltata e un corpo medio, il tutto finalizzato ad una bevuta piacevole. Mettendoci in cammino verso Piacenza, troviamo il birrificio La Buttiga, che produce in un edificio del XV secolo immerso nel verde. La missione del birrificio è quella di far bere i propri appassionati “come tori”, in riferimento alla destinazione precedente del birrificio, che era appunto un ricovero per bovini. Le birre sono trasversali e interpretano gli stili dei paesi dove storicamente nasce il movimento brassicolo internazionale, ma con una forte impronta personale. La Psycho Ipa, birra iconica del birrificio, si presenta con un bel carico di luppolo bilanciato dalla base maltata. Per non

dimenticare la voglia di stupire con sperimentazioni ben riuscite, è interessante assaggiare la Warrior Trip, una tripel che affina 13 mesi in una botte che in precedenza aveva ospitato Pedro Ximenez e whisky Bowmore. A Correggio (in provincia di Reggio Emilia) troviamo il birrificio Dada, molto dinamico nei suoi dodici anni di attività, grazie alla capacità di creare momenti conviviali che hanno portato alla creazione di una vera community di appassionati delle sue birre. Le produzioni sono diverse e si ispirano a vari stili internazionali. Una birra che identifica Dada è la Gattomia, tripel di chiara ispirazione classica ma con il tocco in più dato dal luppolo americano Columbus. Molto interessante la Sciliporter, birra scura caratterizzata dalla presenza di malti affumicati e dalla luppolatura statunitense. A Podenzano (nel Piacentino) ha sede il birrificio Retorto, creatura di Marcello Ceresa, che negli anni si ha dimostrato di essere tra i birrai più dinamici del settore. Le sue creature spaziano nel panorama brassicolo internazionale, con interpretazioni molto interessanti e originali. La sua Latex più (ex Latte più) è una classica blanche di ispirazione belga, realizzata con buccia d’arancia e pompelmo, oltre alle bacche di coriandolo. Fresca e beverina, è la compagna ideale per una frittura di pesce. Molto

complessa e appagante la Daughter of Autumn, scotch ale che regala note maltate morbide e avvolgenti, con un corpo pieno e il giusto bilanciamento con la luppolatura. Eccellenza italiana nella categoria degli affinatori è il progetto Ca’ del Brado, un esempio virtuoso di questa categoria di produttori di birra che vede nell’azienda che ha sede a Pianoro (Bo) un punto di riferimento nazionale. Le loro produzioni sono figlie di un concetto nuovo di produzione brassicola, grazie all’utilizzo di fermentazioni spontanee e botti, che tracciano la strada delle birre sour. Un esempio di questo approccio è la Nessun Dorma, realizzata con frumento non maltato e luppoli continentali. Dove una prima fermentazione in acciaio riposa per alcuni mesi in botte, in compagnia di batteri lattici e brettanomyces.

Il risultato finale è un inno alla freschezza di bevuta, accompagnata da note rustiche. Ispirandosi alle Gose, trovo molto interessante la Zena, realizzata con brattanomyces e batteri lattici, con affinamento in botte di sei mesi. A dare la nota sapida ci pensa il sale di Cervia. Per completare la panoramica dei birrifici più interessanti di questa regione, non posso non citare Oldo (Cadelbosco di Sopra), Birrificio Valsenio (Casola Valsenio), Mazapegul (Civitella di Romagna), Toccalmatto (Fidenza), Beer Belly (Modena), Labeerinto (Modena), Vecchia Orsa (San Giovanni in Persiceto), Bellazzi (San Lazzaro di Savena) e Statale Nove (Valsamoggia).



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UN LIBRO AL MESE

Che cos’è la cooking therapy

A cura della redazione

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Autore: Barbara Volpi Prezzo di copertina: € 12,00 Anno di edizione: 2020 Editore: Carocci



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UN LIBRO AL MESE

E se la cucina, oltre a essere il luogo in cui quotidianamente svolgiamo la nostra attività, di fatto la nostra prima casa, quella nella quale condividiamo gioie e dolori, diventasse anche luogo di “rigenerazione” umana e sociale? È questa la scommessa della cooking therapy.

Se

non sapete cos’è (ma anche se lo sapete e volete approfondire il tema), è il caso che guardiate su Netflix il film Marylin ha gli occhi neri, una straordinaria produzione tutta italiana con un cast "all stars" in cui spiccano tra i protagonisti Miriam Leone, Stefano Accorsi e Marco Messeri. Al centro del racconto ci sono la mitomane Clara e lo chef Diego che manifesta evidenti disturbi della nevrosi, entrambi ospiti di un centro diurno di riabilitazione. A occuparsi di loro è lo psichiatra Paris (Thomas Trabacchi), che invita gli anziani del quartiere al laboratorio di cucina per il pranzo: è la cooking therapy. Da questo momento, a dettare le regole sarà Diego, la cui filosofia vuole che si prepari “un solo piatto al giorno”. Ispirata da questo avvenimento, Clara posta false recensioni di un nuovo ristorante (il Monroe) sui social e ne informa Diego, il quale decide di realizzare davvero il ristorante all’interno del centro, anche nel tentativo di recuperare il rapporto con la figlia, data in affido esclusivo all’ex moglie. Per evitare spoiler, non vi diciamo come finisce la storia ma – se vi ha appassionato – ora siete pronti per conoscere il libro scritto da Barbara Volpi per Carocci: Che cos’è la cooking therapy.

Il testo parte da due domande. La prima è: si può fare terapia in cucina? La seconda: è possibile imparare a stare bene cucinando? Provando a dare risposta a questi quesiti, la narrazione si dipana nella presentazione dell’innovativo metodo terapeutico della cucinoterapia (ma forse è uno dei rari casi in cui la versione inglese cooking therapy è meno cacofonica) che, a partire dal gesto quotidiano del cucinare, traccia un percorso di tutela e promozione del benessere mentale per sé stessi e per gli altri. Il libro esplicita però non solo gli aspetti teorici e clinici di questa importante pratica ma suggerisce anche delle utilissime linee guida (corredate di schede tecniche) della cooking therapy, dimostrandone l’applicabilità nella vita di tutti i giorni oltre che in contesti clinici specifici. A fare da corollario al volume sono poi alcune testimonianze dirette e la strutturazione di laboratori costruiti ad hoc per bambini, adolescenti e adulti. Insomma, anche la cucina di casa – figuriamoci quella di un locale aperto al pubblico – può trasformarsi in uno spazio rigenerativo. E ora sapete anche come fare.


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