Pink Magazine Italia Mag2018

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maggio 2018 N.9 anno II

intervista a

DAVIDE

MARIELLA

Coco, Frida e Harry Potter

intervista esclusiva a

ALISON

DIRTY DANCING

BELSHAM

INTERVISTA A

GIUSEPPE VERZICCO

intervista ad

ALESSIO

INTURRI


ANTON GIULIO

GRANDE

Anton Giulio Grande Haute couture Paolo Di Pofi Hair Make up Artist Gioielli Le Vitali Modella Francesca Testasecca Fotografia di Arianna e Annalisa Bonafede Location NH Hotel Vittorio Veneto



DIRETTORE EDITORIALE Cinzia Giorgio

VICE DIRETTORE

PINK MAGAZINE ITALIA MAGGIO 2018 IN QUESTO NUMERO

Luigi L. Avallone

DIRETTORE EDITORIALE Cinzia Giorgio @CinziaGiorgio

REDATTORI

Alessandra Penna CAPO REDATTORE Gordon Fanucci Luigi L. Avallone Selenia Erye Diletta Adalgisa Parisella REDATTORI Arthur Lombardozzi Alessandra Penna @AlessandraPen Gordon Fanucci @GordonFanucci DA PARIGI Isabella D’Amore @Wislavisa Margot Valois Diletta Adalgisa Parisella Arthur Lombardozzi @W_Baskerville

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Romina Angelici DA PARIGI Gabriella Ciccopiedi Margot Valois @MorganaLefay_1 Simona Colaiuda Roberta Coralluzzo COLLABORATORI Eliana Guagliano Romina Angelici Angelica Elisa Moranelli Linda Bertasi @LindaBertasi Sara Piccinini Rosa Caruso @LaFeniceBook Giuseppina Stanzione Roberta Coralluzzo @Alke_Studio Manola Mendolicchio Pier Luigi Curcio Claude Del Gaiso Eleonora Della Gatta @byaristogatta Francesco Pirani Selenia Erye @selsiai Marco Paracchini Eliana Guagliano Giuseppina Stanzione Angelica Elisa Moranelli @TheQueenPuppet Elisabetta Motta @MottaeliMotta SEGRETERIA DI REDAZIONE Sara Piccinini Lucia Perremuto Alessandra Rinaldi @alex_rinaldi_86 Edy Tassi

UFFICIO STAMPA Isabella D’Amore

SEGRETERIA DI REDAZIONE bѴ;||- 7-Ѵ]bv- -ubv;ѴѴ-

Velut Luna Press @VelutLunaPress SOCIAL MEDIA MARKETING Riccardo Iannaccone

RESPONSABILE UFFICIO STAMPA Isabella D’Amore @wislavisa EVENTI E PROMOZIONE

8 DI RTY DA NC I NG The Classic Story on Stage —

12 DAV I DE M A RI E L L A Ribelle ma con stile —

20 A L E S S IO I N TU RRI Il mio sogno romano —

23 IC ON IC F RI DA —

26 H A RRY P OTTE R The Exhibition —

29 BA L L E RE TTE Storia di un brand tutto italiano —

EVENTI E PROMOZIONE Rita Bellina

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PROGETTO GRAFICO PROGETTO GRAFICO Segno. Creative Studio Lab

PELS

Rita Bellina

Segno. Creative Studio Lab

La nuova frontiera poetica —

COPYRIGHT 2018 PINK. Tutti i diritti riservati. Testi

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e foto contenuti in questo numero possono essere

M A RC O RA N DA ZZO

riprodotti solo con l’autorizzazione dell’Editore e/o dell’Autore. COPYRIGHT 2017 PINK. Tutti i diritti riservati. Testi e foto contenuti in questo numero possono essere riprodotti solo con l’autorizzazione dell’Editore e/o dell’Autore.

Intervista —

46 BO OK RE V I E WS —

58 I N DOV I NA C H I V I E N E A CE NA?

C O N TA C T A N D I N F O www.pinkmagitalia.com

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The Afternoon Tea with Freddy


E d i to r i a l E

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febbraio 2017

WELCOME —

The Pink Side of... art! Ebbene sì, stavolta ci siamo superati. Abbiamo preparato per voi un numero speciale con attori, scrittori, registi e artisti importanti, che ci hanno svelato particolari interessanti e inediti del loro lavoro: Davide Mariella, Giuseppe Verzicco, Alison Belsham, Francesca Pels, Alessio Inturri, Marco Randazzo, Sara Rattaro. Un numero che non dimenticherete anche per il reportage dal Salone del Libro di Torino, per la retrospettiva su Frida Kahlo e per l’anniversario di Harry Potter. Siamo andati a vedere il musical Dirty Dancing, una produzione tutta italiana che ha conquistato anche il resto d’Europa. Proseguono, come sempre, le nostre rubriche dedicate ai libri, alla cura di sé e alla cucina letteraria. Pink Magazine Italia è sempre più bello, più innovativo e a renderlo tale siete voi lettori. Grazie! CIN ZIA G IORG IO

Chief Editor - info@pinkmagitalia.com



- SCELTI DAL DIRETTORE -

Coco. Vita di Coco Chanel illustrata da Elena Triolo

Alessandra Redaelli 10 cose da sapere sull’arte contemporanea

La storia di Coco è la storia di un’incredibile ascesa: la rivincita della contadina. Figlia di ambulanti, divenuta ricchissima e celebre in tutto il mondo, da adulta ha rinnegato le umili origini e l’infanzia trascorsa in orfanatrofio e ha costruito una biografia personale, mistificando la realtà. Il libro ripercorre invece la vita rinnegata, illustrando le ascese e le cadute di Coco, dai tentativi fallimentari di diventare cantante di caffè-concerto alle prime attività come modista a Parigi e Deauville fino alla nascita dell’impero Chanel con la collaborazione dell’adorato Boy Capel, passando dal rapporto con la spia tedesca Spatz, l’accusa di collaborazionismo con il regime nazista e arrivando fino alla fine della casa di moda, gloriosamente rinata negli anni Cinquanta, grazie al successo negli USA. Elena Triolo elabora – con il suo tratto sicuro e graffiante – un’interpretazione fiera e altera della stilista, con un tocco di ironia. Sesta uscita della collana “Per aspera ad astra. La forza delle donne”.

Sono passati cento anni da quel lontano 1917, anno in cui fece la sua comparsa e destò scandalo l’orinatoio rovesciato di Marcel Duchamp. Ma in che cosa si differenzia l’arte contemporanea da quella del passato? Molti sono i punti di divergenza, come la preminenza dell’idea sulla realizzazione, l’onnipotenza dell’artista, la negazione della bellezza, l’importanza del sistema dell’arte e dunque dei personaggi che si muovono tra l’artista e il pubblico, i nuovi spazi espositivi e i criteri di allestimento. Partendo da questi presupposti si sottolinea l’impossibilità di catalogare l’arte del presente secondo i criteri usati per quella del passato e se ne rintracciano di nuovi. Sono, in questo caso, criteri emotivi. Gli artisti e i movimenti più importanti di questi cento anni sono divisi, in questo agile manuale, in dieci grossi blocchi tematici con titoli scelti per suggestioni, a cui corrisponde, in alcuni casi, anche una sostanziale affinità temporale. In questo viaggio attraverso un secolo di artisti e le loro opere, l’importante è non farsi spaventare, ma anzi, lasciarsi sedurre dalle idee, dalla varietà degli stimoli visivi, e non solo. Per capire l’arte contemporanea è sufficiente procedere con ordine, affidandoci alla storia dell’arte, sì, ma anche al puro godimento della fruizione, a sensibilità, intuito ed emozioni.

€ 18,00 Hop Edizioni

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€ 10,00 Newton Compton Editori

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- FOCUS ON -

DIRTY DANCING The Classic Story on Stage È appena finita al Teatro Olimpico di Roma la tournée italiana del musical Dirty Dancing, di cui Pink Magazine Italia aveva annunciato l’arrivo nella Capitale, partecipando alla prima dello spettacolo. di Cinzia Giorgio

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o spettacolo, già campione d’incassi con oltre 115.000 presenze nei primi tre mesi di rappresentazione, conclude a Roma la sua prima tournée italiana ed è record di presenze. Sul palco abbiamo assistito alla fedele ricostruzione del film, nato nel 1987 dalla penna di Eleanor Bergstein, che non avrebbe mai immaginato un tale successo. Il racconto di Baby e della sua storia d’amore con il bello e tor-

mentato Johnny, maestro di ballo, nasce durante l’estate degli anni Sessanta nel resort Kellerman. Dirty Dancing, the Classic Story on Stage ha la capacità di conquistare e coinvolgere non solo gli habitué dei musical, ma ha la capacità di avvicinare al teatro una nuova ed eterogenea parte di pubblico, impaziente di assistere “dal vivo” alla storia tra Johnny e Baby raccontata da musiche e coreografie indimenticabili, fedelmente riprese dalla versio-


ne cinematografica. Spiccano nel cast Sara Santostasi, una credibilissima Baby che incarna la ragazza idealista e piena di sogni alle prese con il suo primo vero amore e Giuseppe Verzicco, nei panni di Johnny, che dà al personaggio un’immagine più romantica e non stereotipata. Bravo Simone Pieroni nel ruolo del padre di Baby e ottima la ballerina Federica Capra, flessibile come un giunco. Ottimi i ballerini e belli anche i costumi. Passiamo assieme a questi artisti – veri pezzi da novanta – due ore godibilissime e piene di pathos scenico. L’allestimento celebra i trent’anni del film e si avvale della regia di Federico Bellone, con la supervisione della

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stessa Eleanor Bergstein. Il musical è, tra l’altro, un grande orgoglio italiano, dal momento che è stato l’unico titolo anglosassone il cui allestimento è stato esportato in tutto il mondo, West End di Londra compreso. Questa versione dello spettacolo è reduce da successi in Inghilterra, Germania, Spagna, Austria, Monte Carlo, Messico, Belgio, Lussemburgo, e presto Francia, ed è fedele alla pellicola del 1986 da cui ha origine. Notevole la colonna sonora che culmina con il brano vincitore di un Premio Oscar e di un Golden Globe (I’ve Had) The Time of My Life.

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L’amore del pubblico è la benzina della mia vita Intervista a Giuseppe Verzicco di Cinzia Giorgio Nato a Trani dove ha mosso i primi passi nel mondo della danza, Giuseppe Verzicco ha poi completato la sua formazione a Milano. È un artista poliedrico, che riesce a interpretate i ruoli più diversi. Un talento indiscusso di cui sentiremo parlare sempre di più. Lo abbiamo intervistato in esclusiva per Pink Magazine Italia.

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Parlaci di Dirty Dancing. Ti potrei raccontante tantissimo riguardo a questo musical, ma ti dico solo che è stato lo spettacolo che mi ha fatto arrabbiare di più e al contempo quello che mi ha reso più felice di tutti quelli a cui ho partecipato finora. Mi ha fatto arrabbiare perché nel 2014 non fui scelto io per il ruolo di Johnny, e ci rimasi malissimo; però è stato lo spettacolo che mi ha reso più felice perché ho trovato l’amore, perché con il tempo ho conquistato sia la produzione che il pubblico. Essere fermato per strada da chi ha visto il musical e si prende la briga di venirmi a dire che gli sono piaciuto ecco, mi lascia senza fiato, perché una persona si è emozionata grazie al personaggio che ho interpretato e grazie alla storia che ha ascoltato. Una standing ovation mi distrugge in senso positivo, mi apre l’anima. Tutti i sacrifici in quel momento vengono ripagati. Raccontare, interpretare, vestire personaggi sempre diversi, ecco questa è la benzina della mia vita. Preferisco dare un’anima al personaggio che interpreto, mi piace capire in quale maniera emotiva si muove nella storia.

iuseppe Verzicco, pugliese, classe 1986, è un artista di cui sentiremo parlare sempre più spesso. La classe, la professionalità, il talento indiscusso ne fanno uno degli attori e ballerini più interessanti del panorama nazionale. Ha fatto tutta la gavetta, partendo dalla scuola di danza Meeting Dance di Trani; ha vinto una borsa di studio e si è diplomato presso l’accademia di musical milanese MTS Musical the School. Le sue esperienze teatrali includono: West Side Story, nel ruolo di Riff, per regia di Federico Bellone; Grease nel ruolo di Danny, prodotto da Compagnia della Rancia per la regia di Saverio Marconi e le coreografie di Gillian Bruce. Grazie a questo ruolo ha vinto il Premio Persefone 2015 come miglior attore protagonista nella categoria Musical. È stato protagonista anche di Sette Spose per Sette Fratelli prodotto da PeepArrow per la regia di Massimo Romeo Piparo e le coreografie di Roberto Croce; ma tra le sue interpretazioni figurano anche My Fair Lady, La Febbre del Sabato Sera, Mamma Mia!, Cats, High School Musical. Un artista poliedrico, pignolo (per sua stessa ammissione), che ama profondamente il suo lavoro. E lo si percepisce. Domina il palco come pochi e coinvolge il pubblico che lo adora.

Come ti sei preparato per interpretare Johnny Castle? Io sono un grande estimatore di John Travolta, lui ha interpretato una miriade di personaggi. All’inizio ci metteva poco del personaggio e molto di sé, pensa a Tony Manero. Un attore diventa bravo quando riesce a essere empatico con chi lo guarda. E consente a chi lo guarda di potersi emozionare insieme a lui. L’attore dev’essere generoso, dare tutto se stesso e il regista deve aiutarlo in questo senso. Davanti a un colosso come Dirty Dancing, dove c’era il grande Patrick Swayze, un attore immenso, io mi sono chiesto: come faccio? Ecco, ho costruito il mio Johnny, al di là del Johnny di Patrick. Era bello, dannato ma anche fragile e vulnerabile. E poi vorrei aggiungere: «Nessuno può mettere

Che cosa fai quando non sei impegnato sul palco? Insegno in un corso di musical a Parma, anche quando sono in tournée: rientro a Parma per la mia lezione. Quest’avventura, che si chiama appunto Avventura Musical, è cominciata due anni fa con Federica Capra presso la Ventura Dance School A.s.d. Per me è stato come mettermi alla prova: non avevo un’esperienza d’insegnamento in un corso tutto mio ma avevo insegnato per degli stage in giro per l’Italia e in una scuola professionale di musical di Milano MTS – Musical the School dove ho studiato e mi sono diplomato anni fa e di cui oggi sono ambasciatore. PIN K MAG A ZI NE I T A L I A

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Baby in un angolo» è una frase importante, che può sembrare sciocca, ma no lo è affatto: nessuno può calpestare i sogni degli altri. Questa battuta racchiude tutto il desiderio di chi ha l’ambizione di vedere i propri sogni realizzati.

Parlaci del tuo lavoro. Io non ho un agente, perché non ho mai trovato quella persona che m’ispirasse, non ho mai trovato la persona giusta che avesse il potere di farmi fare quel salto di qualità anche oltre il teatro. La gente del settore mi conosce come un gran rompiscatole, perché sono esigente, pignolo. Prima credevo fosse uno svantaggio, ora penso che sia una forza, una marcia in più. Le cose vanno fatte con criterio. Amo nel profondo questo mio mestiere, attraverso il palco sempre con rispetto. Mi piace tutto del mio lavoro, tutto. E ho rispetto per tutti coloro che lavorano nel teatro, mi piace la gente che viene a teatro, mi piace viaggiare in tournée.

Sogni, progetti futuri? In questo momento della mia carriera ho fatto tanti spettacoli bellissimi e vorrei continuare a farli, sapendo che le persone che sono intorno a me mi facciano lavorare bene, che vuol dire lavorare con professionalità, quella vera. Nessuno ti deve “fregare”. Questo è il mio vero sogno nel teatro: non stare a combattere più con gente che ti vuol far credere che il mondo non sia tondo. E poi vorrei fare un film o un cortometraggio, vorrei lavorare davanti alla macchina da presa. Perché è un qualcosa che non conosco. Io sono un gran curioso, mi piace capire come funzionano le cose che mi piacciono, che m’incuriosiscono. Mi piacerebbe mettermi alla prova. PIN K MAG A ZI NE I T A L I A

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Davide Mariella Ribelle ma con stile

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- IL BELLO DI PINK -

Ama il cinema, le serie tv e soprattutto il suo lavoro, che gli permette di indossare mille maschere diverse. Ha un percorso di vita e di carriera interessante ed è sicuramente un esempio di stile. Davide Mariella si racconta a Pink Magazine Italia. di Cinzia Giorgio

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ato a Taranto da madre veneziana, trasferitosi a Treviso a tredici anni, l’attore e modello Davide Mariella è uno dei volti più noti interessanti della tv e della moda italiana. Ha fatto una gavetta lunga, passando dai lavori più disparati per poi arrivare alla moda e allo spettacolo. Il suo percorso parte dalla prima sfilata: aveva solo sedici anni ed era più interessato al calcio, come molti ragazzini della sua età. Ma il destino aveva in serbo per lui una carriera sfolgorante nel campo della televisione e della moda. Lo vediamo al momento sui nostri schermi nello spot pubblicitario di una nota azienda di tende. Gli abbiamo chiesto di raccontarci un po’ di sé: il suo passato, il suo presente e il suo futuro. Di che cosa ti stai occupando al momento? Mi occupo principalmente di moda, con photo-shooting per riviste di settore, e di pubblicità per la televisione. Ora sono in Tv con lo spot di Gibus tende, per esempio. Se vuoi invece sapere che cosa sto facendo proprio in questo momento, ti dico che sono a Biella per lo shooting di moda per una nuova campagna di abbigliamento.

Com’è cominciata la tua carriera? Ho iniziato tardi, a dire il vero. La mia prima sfilata l’ho fatta a sedici anni ma la mia aspirazione non era lavorare nella moda, quanto piuttosto fare il calciatore o, meglio, il portiere; e inoltre suonavo come batterista in una rock band! Qual è stato dunque percorso che ti ha portato poi a diventare modello e attore? Mi sono diplomato in enologia a Conegliano. Ero e sono un ragazzo ribelle che sotto un “padrone” proprio non sa stare… per farti un esempio concreto: ho scelto di diventare obiettore di coscienza anziché fare il militare. Ho lavorato poi in una caffetteria a Paese, poi

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- IL BELLO DI PINK -

come addetto alle vendite e al marketing per un’azienda di hardware e software, ma anche lì avevo capito che non era quella la mia strada. Mio cognato è un addetto alla sicurezza e una sera mi chiamò per un evento… così per un certo numero di stagioni mi sono occupato di sicurezza durante gli eventi della Mostra del Cinema di Venezia. Infine, avevo ventisette anni quando un mio amico modello mi chiamò per una sfilata. Era passato tanto tempo e nutrivo qualche perplessità. Ma mi sono buttato e da lì ho cominciato a muovermi nel mondo della moda. Devo aggiungere che ho sempre avuto l’appoggio incondizionato della mia famiglia, che mi ha sempre supportato e aiutato durante tutte le fasi – e i lavori – della mia carriera. Che cosa ti piace di più del tuo lavoro? Il mio lavoro mi dà tante emozioni e soddisfazioni. Ma soprattutto mi dà la possibilità di essere tante persone in una: posso diventare un cinico uomo d’affari e poi un amorevole padre di famiglia; posso incarnare la figura del latin lover o indossare i panni di un dentista… Il mio lavoro mi ha aiutato a crescere come persona, ad andare sempre oltre le apparenze.

Che rapporto hai con le agenzie? I primi anni ho lavorato per una prima agenzia di moda con la quale non mi sono trovato bene; ora sto con la Cremoli Ruggieri e con loro lavoro benissimo sia per il cinema che per la televisione. Tra le agenzie ho lavorato anche con la Élite a Milano. Mi trovo bene con le agenzie che non chiedono l’esclusiva perché mi piace anche avere un rapporto diretto con i clienti e gestire autonomamente la mia immagine.

“La sera la dedico alle mie passioni, ovvero cinema e serie tv.”

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Fotografia di Arianna e Annalisa Bonafede

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“Il mio lavoro mi dà la possibilità di essere tante persone in una”

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Sogni nel cassetto? Per quanto riguarda la moda, vorrei posare o sfilare per grandi brand come Armani o Boggi, per citarne alcuni. E poi mi piacerebbe lavorare nel cinema…

re per un provino… Se sono libero, cerco di passare più tempo possibile con mio nipote di sei anni! E la sera la dedico alle mie passioni, ovvero cinema e serie tv.

Che consigli daresti a un ragazzo che si affaccia al mondo della moda e del cinema? Di non pagare nessuno se non per un buon book fotografico, che di solito non costa cifre astronomiche. Quindi di diffidare sempre di chi chiede sempre e solo soldi. E inoltre gli consiglierei di trasferirsi a Milano, anche solo per un periodo. Perché è la città della moda, così come Roma è quella del cinema.

Raccontaci la tua giornata tipo. Se non sono su un set, mi sveglio relativamente tardi, intorno alle 9-9.30 e vado in palestra. Il pomeriggio posso dedicarmi così a svariate cose. Anche perché durante le ore pomeridiane può accadere di tutto: vengo chiamato per un casting o per girare un video o per fare un servizio fotografico, o ancora per prendere un treno e parti-

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“Sarebbe bello per me aver la possibilità di perdere la memoria per poter rivedere tutti i film che amo per la prima volta ”

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Il mio sogno romano Intervista al regista Alessio Inturri di Selenia Erye

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utro sempre una grande ammirazione verso le persone che nella vita riescono a farsi strada da sole, non so, ne sono profondamente attratta, li riconosco tra la massa è come se avessero una luce sempre accesa nella notte. Proprio per questo quando li incontro comincio a studiarli e nella mia mente si affollano le domande, inizia un insaziabile sete di sapere per capire da dove nasce la loro genialità, la loro diversità. E così è stato con Alessio Inturri anima rock, sguardo fiero e deciso che non abbassa mai, uno sguardo di chi non teme di mettersi a nudo di mostrarsi nella sua interezza, pregi e difetti,

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ma sempre e comunque vero. Si parla spesso di sogno Americano ignorando spesso che i sogni si possono avverare anche nella nostra Patria, per questo mi piace definire la storia di Alessio come “Il Sogno Romano”. Si, perché oggi Alessio è un regista affermato, a questo risultato vi è arrivato dopo anni di duro lavoro e sacrifici, la sua tenacia, grinta e indubbio talento lo hanno portato ad affermarsi. Ha iniziato la sua carriera nel 1998 come assistente non retribuito, subito dopo nel 2000 diventa primo aiuto regista, sono molti i suoi progetti sia cinematografici che televisivi. Il suo ultimo lavoro la fiction “Furore” in onda su

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Canale 5. Ho incontrato Alessio in un localino tranquillo davanti a una tazza di caffè per lui e a un cappuccino fumante per me.

Il caos regnava sovrano, rumori e movimenti intorno a me. Non mi ero mai ritrovato in una situazione del genere guardavo spaesato non sapevo da dove cominciare, mi passavano vicino gli addetti ai lavori sembravano indiavolati, era tutto diverso da come immaginavo... volevo capire, voglio sempre capire. Mi sembra ancora di sentire le parole – motore azione-, quelle parole che in un attimo hanno riportata “tutto” al posto giusto ed iniziata da quel momento la magia e con essa il colpo di fulmine. Fare un film significa gestire tutto questo “casino” in quei pochi secondi che esistono tra l’azione e lo stop.

Alessio potresti dirmi che tipo di bambino eri? Sono sempre stato un bambino solitario, forse perché sono figlio unico, non interagivo tanto con gli altri. Da bambino studiavo molto il mondo che mi circondava in silenzio, mi sarebbe sempre piaciuto riprodurre attraverso il disegno quello che colpiva la mia attenzione, ma non essendo bravo a disegnare mi tenevo tutto dentro e non riuscivo quasi mai ad esprimere il mio mondo interiore. Amavo guardare film e serie televisive di ogni genere non avevo un genere che preferivo rispetto agli altri, ho avuto una formazione trasversale. Ricordo i Classici in bianco nero che guardavo assieme a mia nonna, i polizieschi e i film d’animazione. Bei tempi.

Oggi come ti definiresti? Sono una persona molto indipendente, vivo con serenità ed altruismo, credo in quello che faccio. Il set diventa per me una risposta a tutte le mie esigenze. Avere tutto sotto controllo mi dà la sicurezza di cui ho bisogno, ho una visione ampia del mio lavoro grazie anche agli anni passati a fare l’assistente alla regia. Ho la capacità di anticipare mosse e di percepire le dinamiche, ringrazio gli anni di gavetta ed anche tutti i registi con cui ho avuto modo di lavorare nella mia carriera, ognuno di loro mi ha apportato qualcosa di importante. La vita è un insegnamento continuo. Vedo l’arte come terapia, mi ha aiutato tantissimo ad affrontare i miei “fantasmi”, in fondo chi non ne ha. Sono soddisfatto di quello che ho fatto fino ad ora e sono carico se penso a quello che mi riserverà il futuro. Mi interessa dirigere belle storie, non faccio discriminazioni, mi appassionano le storie e i bei personaggi. Voglio lavorare bene con gli attori, mi piace entrare dentro di loro e tirare fuori la loro sofferenza, penso che il sangue dalla pellicola si debba leggere. Se un attore non si mette in gioco realmente, se non soffre non fa per me.

Quando è iniziata la tua passione per il cinema? Penso che sia nata con me, ricordo di aver sempre amato prima guardare i film e poi ovviamente ho pensato che avrei potuto anche girarli. Ricordo che da bambino mio padre mi portava sempre al cinema il sabato pomeriggio, ecco se devo essere sincero, lui, mio padre mi ha passato la passione per il cinema e l’arte in generale, lui aveva un passato da attore... infatti recitava nei teatri off romani. A volte sorrido quando ripenso a quei sabato pomeriggio pieni di cinema, ed anche a quando andavo da ragazzo con il motorino a comprarmi i film alla Feltrinelli in largo Argentina, ne acquistavo di solito uno o due. Prendevo il mio motorino e non vedevo l’ora di tornare a casa per perdermi nella pellicola. Seguivo una specie di rituale, tenevo una lista di tutti i film che guardavo, solitamente quando non li compravo li registravo. All’epoca mi limitavo solo a guardarli e a studiarli. Ebbi poi una specie di folgorazione una notte, una delle solite notti passate a guardare film. Frequentavo il quarto anno di università, all’epoca pensavo di diventare un magistrato, mi ero comunque accorto che qualcosa non andava, dovevo affrontare un esame particolare e mi sono detto tra me me... ma io in fondo non voglio mica fare questo, a me piacerebbe fare cinema. Presi coraggio e comunicai la notizia ai miei genitori.

Se tu potessi esprimere un desiderio cosa chiederesti? Ah, sarebbe bello per me aver la possibilità di perdere la memoria per poter rivedere tutti i film che amo per la prima volta, per poter così riprovare quelle sensazioni, per emozionarmi ancora come allora. Quali sono i tuoi registi preferiti? I miei registi preferiti sono diversi e complessi uno su tutti Stanley Kubrick, Barry Lyndon è il film che preferisco girato da lui, non posso non citare Alfred Hitchcock, Woody Allen e Martin Scorsese.

I tuoi genitori come presero all’epoca la notizia? Se devo essere sincero, la presero bene. Mi hanno sempre appoggiato, sostenendo le mie scelte, lo fanno anche oggi. Presi così la decisione, abbandonai l’università e mi misi a lavorare come cameriere per pagarmi le spese. Un giorno mio padre andò in un bar e trovò un annuncio di due registi russi che tenevano un corso di cinematografia, lo strappò dal muro e me lo portò a casa pensando che potesse essermi d’aiuto. Subito dopo ebbi la fortuna di conoscere Maria Sole Tognazzi che mi propose di andare a farmi le “ossa” nel film del fratello SOS. Da quel momento la mia vita si sconvolse, in senso buono ovviamente.

Progetti per il futuro? I progetti per il futuro sono diversi tutti in evoluzione, ma voglio mantenere un certo riserbo, non per scaramanzia ovviamente, non sono scaramantico... ma in fondo non si sa mai è sempre meglio tacere (sonora risata). Sto comunque portando avanti un progetto che mi appassiona moltissimo, tengo stage di recitazione dove cerco di far capire il passaggio e la trasformazione del personaggio e tante altre cose ancora, mi diverto tantissimo perché mi piace passare qualcosa agli altri specialmente ai ragazzi. Porto in questi stage il punto di vista del regista.

Cosa ti ricordi del tuo primo giorno sul set? Ricordo l’emozione e l’incredulità, non potevo crederci... essere lì era avverare un sogno che nutrivo da tempo. PIN K M AG AZI NE I T A L I A

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ICONIC FRIDA “Io sono l’amore. Io sono il piacere. Io sono l’essenza. Io son o un’idiota. Io sono un’alcolista. Io sono tenace. Io sono, semplicemente io sono.” Frida Kahlo (da una lettera mai spedita a Diego Rivera). di Isabella D’Amore

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rtista, icona di stile, attivista politica e poi ancora donna forte, indipendente, intraprendente, controccorrente, ma allo stesso tempo fortemente connessa alla sua terra e alla sua cultura, passionale e trasgressiva: queste sono solo alcune delle sfumature della personalità di Frida Kalho. Una donna che ha vissuto nel dolore (problemi fisici legati a una malattia giovanile e a un brutto incidente) che ha riversato sulla tela emozioni, sentimenti, devastazioni emotive e fisiche e grandi amori. L’amore per il famosissimo artista messicano Diego Rivera le ha dato l’opportunità di vivere il mondo, di incontrare grandi personalità del suo secolo (Trotzsky, Picasso, Mirò…) di diventare modello da seguire per le scelte di moda e stile in giro per il mondo, di essere ritratta da fotografi di fama internazionale (celebri le foto di Frissell e Cunningham) e di portare le sue tele dove mai avrebbe immaginato. Morta a soli 47 anni, dopo interventi poco riusciti che hanno portato all’amputazione di una gamba, Frida lascia al mondo un patrimonio di emozioni su tela e un esempio di stile che la renderanno immortale e iconica. Al Mudec di Milano, la mostra a lei dedicata ha ottenuto un record di visitatori davvero unico. Un percorso nel mondo dell’artista e della donna, nel suo quotidiano dolore, nel suo grande amore per Diego Rivera (sulla pagina facebook del nostro magazine potete vedere un filmato in diretta dalla mostra che PIN K M AG A ZI NE I T A L I A

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vi emozionerà); emozioni forti e intense che non abbandonano il visitatore neppure all’uscita, ma che lo portano al contrario a ricercare sempre più le chiavi di lettura di una personalità così forte e controversa, ma soprattutto estremamente magnetica. Per vivere Frida Kahlo, conoscerla e capirla fino in fondo, vi consiglio di leggere la biografia più completa e intensa pubblicata da Neri Pozza a cura di Hayden Herrera. Da questo libro è stato tratto l’eccezionale film a lei dedicato con protagonista Salma Hayek (disponibile su Netflix).

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Per capire com’è nata la Fridamania e cosa rende Frida oltre che artista anche icona di stile, il saggio a lei dedicato da Centauria Libri è davvero da non perdere perché ripercorre la storia dell’artista iscrivendola nel contesto del costume e della moda. La storia di Frida è stata raccontata anche attraverso le illustrazioni con chiavi di lettura diverse in due libri illustrati bellissimi rispettivamente Hop edizioni e 24 Ore Cultura. Le vignette di Vanna Vinci sono state utilizzate per creare un video filmato introduttivo della mostra al Mudec.

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Harry Potter

The Exhibition di Laura D’Amore

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a felicità può essere trovata, anche nei tempi più bui, se ci si ricorda solo di accendere la luce”. Albus Silente (Harry Potter e il prigioniero di Azkaban)

Dal 12 maggio tutti noi fan del mitico maghetto abbiamo modo di poter vivere da vicino il fantastico mondo dei film ispirati ai romanzi della scrittrice inglese J.K.Rowling. Il percorso dell’exhibition è davvero eccezionale, passo passo è possibile ritrovare tantissimi elementi originali dei film: costumi, alllestimenti, riproduzione di ambienti, animali fantastici e non solo. Si inizia con il cappello parlante e la possibilità di scoprire la casata di appartenenza per poi vedere da vicino il treno per Hogwarts, i dormitori Grifondoro, il laboraPIN K M AG AZI NE I T A L I A

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torio delle pozioni, la capanna di Hagrid e sedersi sulla sua poltrona gigante per una foto, ma soprattutto entrare nell’area dedicata al Quidditch con una sorpresa interattiva. Da non perdere anche la zona riservata ai “cattivi” con costumi e allestimenti originali. Non voglio svelarvi troppo, ma vedrete che non vi pentirete della visita, è piaciuta anche a chi non è proprio fan della serie! Potrete fare delle foto travestendovi con i colori della casata che più amate, bacchetta compresa, e nello shop alla fine della mostra tra i tanti gadget troverete l’area dedicata ai dolciumi magici! L’exhibition resterà a Milano, nella bellissima location della Fabbrica del Vapore, a due passi dal Cimitero Monumentale, fino al 9 settembre. “Accio” biglietto su ticketone.it PIN K M AG AZI NE I T A L I A

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Ballerette

Storia di un brand tutto italiano Intervista a Carlotta Fabrini di Cinzia Giorgio Sono sono pratiche, eleganti, adattabili a tutte le occasioni e spesso salvavita! Stiamo parlando delle scarpe piÚ amate dalle donne, le ballerine. Vi raccontiamo la storia di un brand tutto italiano: Ballerette. Il marchio Ballerette nasce nel 2015 ma era nell’animo e nel cuore delle sue fondatrici da lungo tempo: due donne romane con un sogno. La forza del Made in Italy e lo stile unico di ogni donna sono i fondamenti sui quali Carlotta Fabrini e Stefania Mittiga hanno costruito la storia di successo che da Roma ha conquistato tutto il mondo. PIN K M AG A ZI NE I T A L I A

Le Ballerette, con la loro infinita scelta di colori, materiali e dettagli, sono state pensate per le donne che amano stare comode ma anche sentirsi belle ogni giorno. Donne alle quali piace giocare con il look senza perdere di vista lo stile. Create con passione e prodotte in calzaturifici italiani di lunga tradizione, le Ballerette si fanno notare anche nel loro prezioso cofanetto trasparente. -

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“Una donna può essere sexy anche senza il tacco dodici”

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Come nasce il brand Ballerette? Il brand nasce perché sia io che Stefania Mittiga siamo super appassionate di ballerine. Le abbiamo sempre portate, sono un classico del guardaroba femminile. Anche le appassionate di tacchi hanno sempre almeno un paio di ballerine nella scarpiera. Mancava in Italia un brand che si focalizzasse sulle ballerine di tutte le forme. Ne ho parlato con Luca Moroso (il nostro AD) e abbiamo capito che c’era spazio per introdurre un nostro marchio all’interno del mercato non solo italiano. Ed è stato un successo. Siamo nati commercialmente tre anni fa, in via del Gambero a Roma e ora siamo in tutta Italia e nel mondo con internet. Ora i nostri negozi monomarca dono anche a Firenze, Venezia e Milano. Ogni città ha una sua linea. Progetti futuri? In futuro vorremmo espanderci ancora di più in Italia e all’estero. Abbiamo puntato subito sul mercato online. Tra i progetti c’è un re-design del sito e una spinta maggiore nella comunicazione Consegniamo in tutto il mondo e ci piace poter raggiungere le clienti dove non siamo presenti con i negozi. Le spedizioni in Italia e in Europa sono gratuite. Un marchio, il vostro, tutto Made in Italy. Sì. I nostri calzaturifici sono in tutta Italia, ma rigorosamente italianissimi. PIN K MAG AZI NE I T A L I A

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- COCO AND THE CITY -

E i colori? Come li scegliete e quali sono le sfumature che preferite? Abbiamo un continuativo con tanti colori che proponiamo in estate e in inverno, non ci importa se un anno un colore non va di moda, noi lo produciamo lo stesso.

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Una parte della collezione è poi creata seguendo i trend del momento. Il DNA del brand è colore, divertimento e gioco. La ballerina è una scarpa che si presta a tutto, dall’elegante allo sportivo.

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La componente fondamentale per voi è quindi il gioco… Sì, proprio così. Anche in negozio tutto ricorda il gioco: come un armadio dei sogni in plexiglass. Le clienti provano, riprovano e giocano con le nostre scarpe. Anche il cofanetto è trasparente, come lo scrigno di Cenerentola, perché ci piace che si vedano anche nell’armadio!

Che cosa rispondete a chi vi dice che le ballerine non vanno su tutto? Noi ci rifacciamo a Audrey Hepburn e a Brigitte Bardot, che le usavano e che erano sempre elegantissime e attraenti. Una donna può essere sexy anche senza il tacco dodici. Tanti uomini in realtà amano le ballerine. Abbiamo tacchi di due-tre centimetri per alcune scarpe, ma di tacchi veri e propri ne abbiamo pochissimi, ma sempre colorati. Le ballerine sono le scarpe ideali per la donna moderna: sono dinamiche, sempre a posto e perfette in ogni occasione.

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PI N K M AGA ZI N E ITA LI A W W W. P I N K M AG I TA L I A .C OM

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PELS La nuova frontiera poetica di Manola Mendolicchio - Theylab

In una bellissima giornata di sole in un luogo, la libreria caffetteria Colibrì, dove la Milano curiosa, aperta al vecchio così come al nuovo si incontra senza pregiudizi né preconcetti, incontro Francesca Pelosi, in arte Pels, giovane esponente di una nuova realtà poetica, la poesia parlata. Francesca, che cosa si intende per poesia parlata? Se per poesia parlata intendi il mondo dello spoken word, la poesia parlata è una poesia orale, una poesia raccontata. Il poeta fa partecipe il pubblico delle proprie opere non attraverso una raccolta scritta, ma PIN K M AG AZI NE I T A L I A

salendo sul palco e recitando. Sottocategoria dello spoken word è lo slam, all’anagrafe poetry slam, nato negli Stati Uniti durante gli anni novanta, in Italia dai primi duemila, con lo scopo di rinnovare il mondo poetico coinvolgendo meglio, appunto, il pubblico. -

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- FOCUS ON Da reminiscenze scolastiche sappiamo che la poesia è formata da versi che hanno una metrica, dunque una struttura ben precisa. Lo slam ha necessità di queste strutture? No, non necessità, secondo me. Oltre alla domanda sulle scelte del poeta, bisognerebbe chiedersi se il pubblico possa cogliere e apprezzare determinate strutture metriche e se queste aggiungano valore in qualche senso al testo, o lo appesantiscano solo. Le occasioni di spoken word sono ancora comunque novità, quindi spazi di sperimentazione, difficile da classificare. Diciamo che la metrica negli slam non è la regola, ma dalla scuola sappiamo anche che la poesia è verso libero. Talvolta persino prosa.

Spiegaci meglio. Il poetry slam è una gara tra poeti. Esiste un campionato nazionale gestito dalla Lips (Lega italiana poetry slam) e le regole sono poche e semplici: nessuna base musicale, né oggetto di scena, si sceglie una giuria fra il pubblico, tre minuti di tempo per ogni poeta, due turni, alla fine dei quali si decretano i finalisti e poi il vincitore. In Lombardia sono stati organizzati centinaia di slam negli ultimi anni, in locali, teatri, scuole, piazze. Con una fitta rete di poeti in ogni regione, pubblico sempre nuovo, è un fenomeno di successo e sempre più noto.

Quali sono le tematiche dello slam? Si hanno dei generi al suo interno? I temi sono dei più disparati. Per quanto mi riguarda, prendo spunto da ciò che ho intorno e, forse banalità, dalla mia vita: potremmo affettare la mia produzione fra Milano, poesie amorose e altro. Ma agli slam si può ascoltare di tutto, per esempio, della condensa viscida dei cibi da frigo in una poesia di Gianmarco Tricarico, magari subito dopo il dramma di un bambino che vive in guerra, come nei versi di Simone Savogin. Quindi, direi che non esistono generi, o quantomeno non sono ancora stati classificati – ce n’è poi bisogno? Piuttosto, ogni poeta diventa genere.

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Questo mi porta a un’altra domanda, quanto è importante conoscere la storia della poesia, la metrica, i suoi più illustri esponenti? Per me è importante, ma non nel senso di obbligo generale da applicare anche agli altri; è ed è stato importante studiare Lettere e le lettere e tornare indietro prima di andare avanti, ma per me. Lo slam permette a chiunque di partecipare, quindi come per la metrica non è richiesta alcuna preparazione specifica. Se da un lato questa apertura spaventa, perché rischia di perdere di vista l’importanza della consapevolezza di ciò che si dice su un palco e che si chiama poesia, dall’altro

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- FOCUS ON -

che, seppur di nicchia, ha la sua fetta di pubblico e soprattutto aiuta ad avvicinarsi a mondo che sino a ieri era territorio esclusivo solo di fini accademici? Non credo. I problemi di diffidenza nei confronti dello slam e dei suoi rappresentanti non penso dipendano dal copyright. Di certo però aiuterebbe a sottolineare la portata del fenomeno e mi piacerebbe si potessero tutelare le “poesie parlate” da furti e copie.

non è affatto un limite: infatti, le persone che assistono agli slam non sono tutti fini conoscitori del mondo poetico, lo slam e i suoi protagonisti possono essere una porta per incuriosirsi e conoscere altra poesia, anche quella dei manuali accademici. Certo, i letterati più rigidi arricciano il naso di fronte a questo tipo di approccio, ma se gli slammer dovrebbero frequentare più spesso i manuali, loro farebbero bene a riconoscere il successo, in termini di diffusione e coinvolgimento, che riscuote la poesia fuori dai libri.

Ci sono degli esponenti padri fondatori dello slam? Lo slam è stato portato o importato in Italia da Lello Voce. Ci sono di certo alcuni slammer che meglio conosco e più apprezzo, come i già citati e Paolo Agrati, che sa ben calibrare aspetto letterario e sua spettacolarizzazione. Agrati ha una voce invidiabile, è un bravo poeta e attore e le sue performance non sono mai banali.

Dunque che cosa proponi? Che chi ha voglia di criticare, me compresa, impari a essere meno ricusante di fronte ai cambiamenti che coinvolgono la letteratura e che ogni presunto poeta, me compresa, prima di salire sul palco si chieda se se lo merita. La risposta poi può essere anche no, perché dipende da su quale palco si sale, ma dubitare è già un atteggiamento propositivo abbastanza, per evitare che qualcuno si chiami poeta per sbaglio.

Chi viene a vedere le vostre gare? Il pubblico è trasversale. Non c’è un target di riferimento e tutto varia a seconda di dove e quando ha luogo lo slam e quindi dipende da chi viene a vederlo. Ecco, come anticipato, uno dei punti di forza dello slam: persone appartenenti a generazioni, ambienti, scuole, culture diversi si incontrano in uno stesso luogo, per ascoltare poesia.

Si dice verba volant scripta manent. Le poesie che reciti durante gli slam sono soggette a copyright? No, purtroppo no, ma non saprei come potrebbe essere diversamente.

Prima parlavi di poesia di strada. Che cos’è? Una poesia che riempie le città e va incontro ai lettori, per le strade. Qui il poeta non è su un palco, ma lascia

L’introduzione del copyright, dunque un riconoscimento d’autore, aiuterebbe a fare un po’ di distinguo e prendere in maggior considerazione un fenomeno

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la propria poesia in giro per la città e svanisce. Come per esempio fa il MEP (Movimento Emancipazione Poesia) che si può incontrare in A4, incollati sui muri qui intorno alla Statale.

E qual è stato il tuo contributo? Le mie esperienze di poesia di strada hanno preso soprattutto la forma di installazioni site-specific: scrivere raccolte poetiche specifiche per un determinato luogo, dove poi collocarle. Un esempio è Trasporti Poetici del 2013, otto componimenti come otto sono i servizi Atm, sui mezzi pubblici in senso metafisico e fisico, perché li ho installati sulla linea gialla. Carta e corda sono stati i miei materiali preferiti: non rischiano di deturpare nulla e così il lettore può facilmente portarsi a casa una poesia strappandola, per esempio, dal grappolo della raccolta.

Di esperienze poetiche ne hai già parecchie. A quando una raccolta scritta? Questo è il tuo obiettivo finale? Oppure Pels è uno spirito libero che ha voglia di mantenere la sua autonomia e identità di poetessa? Intorno ai diciannove/vent’anni ero in procinto di pubblicare una mia raccolta. Non se ne è fatto nulla, per una serie di motivi noiosi e polemici, uno tra tutti pagare io per pubblicare me stessa. Adesso, vedere le mie poesie editate e pubblicate in una raccolta resta un’ambizione, ma non se poi deve finire a prendere polvere nelle librerie dei soli parenti e amici stretti. Quindi pubblicazione sì, ma se è la sintesi di un percorso che valga il merito e abbia la forza di essere raccontato e divulgato. Da grande dunque sarai una poetessa? Mi piacerebbe potermi mantenere con le parole, questo è il mio più grande augurio. Ho la presunzione di dire che le lettere, con o senza maiuscola, siano per me un grande amore ricambiato. Sono importanti i suoni delle parole, significati e significanti, le etimologie delle parole, il loro concatenarsi. Ogni mio scritto cerca di tenerne conto. Per esempio, quando facevo poesia di strada mi concertavo sull’etimologia delle

parole per tentare di produrre una sottile stratigrafia di significato e servirsi al meglio della brevità dei componimenti. Scrivere e parlare sono fondamentali, per me ma direi anche per chiunque altro. Non sono forse le principali fonti di comunicazione? Dunque, da me hanno il massimo rispetto.

no), che legame c’è tra la poesia parlata e la musica? Abbiamo iniziato parlando di metrica, ora aggiungiamo che se l’endecasillabo non è regola negli slam, ritmo, musica e musicalità giocano invece ruoli importanti. L’eufonia è un aspetto fondamentale quando sei su un palco. Forse lo dico proprio in virtù del mio difetto di pronuncia. Un po’ di curiosità sulla poesia parlata ci è venuta, ecco dunque alcuni versi della poetessa Pels.

Come te lo spieghi? Nella poesia di strada non c’è un’identificazione del poeta, lo scritto potrebbe essere sia di un uomo sia di una donna e dunque il lettore si limita a leggere senza declinare al femminile o al maschile e di contro il poeta/poetessa si sente più libero di esprimersi. Negli slam ci metti anche la faccia, la voce, il corpo e questo evidentemente, forse, può creare qualche difficoltà. Comunque, da quando partecipo agli slam non mi è mai capitato di essere stata accolta sul palco e poi ascoltata in maniera differente rispetto ai miei colleghi; però mi è stato detto più volte che sono credibile come uomo. Che cosa vorrà dire?

[…] L’hard disk con tutti i backup vorrei spaccare per poter stare insieme in un nuovo ricordo, spegnerei tutti i modem baratterei ora ogni tutorial in rete per guardare con te ancora i treni, abbatterei i satelliti per dirti che se io adesso resto in debito per il resto della vita, tu però mi hai lasciata con i perché da sola e derubata di una parola che non posso più pronunciare ma continuo a chi.amare come ora ancora per ricordarti, con queste mani piene d’igiene, a lutto e tutto quello che viene, dal pleistocene all’olocene, nelle nostre vene, che questa poesia non contiene,

Le quote rosa negli slam quante sono? Poche. Agli slam partecipano prevalentemente uomini, le donne si possono contare sulle dita di una mano.

La poesia, come altri ambiti, non riesce a essere un esempio di equità, ma rimane anch’essa invischiata in un certo retaggio culturale? Possibile, difficile disfarsi di trame millenarie. Comunque non so spiegarlo e quindi non posso e non voglio erigermi a giudice.

Francesca Pels chi è? E Francesca Pelosi? Pels sui social scrive che è un personaggio inventato. Ha firmato performance e poesie di strada, partecipa a slam e spettacoli di poesia. Francesca Pelosi ha frequentato il liceo classico Berchet e ora studia Lettere in Statale. Come tanti suoi coetanei dà ripetizioni, ogni tanto fa la copy. Entrambe fanno i conti con la erre moscia dal 1993. Parteciperai al MI AMI (festival della Musica Importante a Mila-

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che nonno senza altre cantilene ti voglio bene.

Da Error 404, Francesca Pels


Intervista a

Marco Randazzo di Selenia Erye

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uante volte nella vita vi è capitato di sentire dentro di voi il desiderio di esprimere qualcosa che avevate dentro e non riuscivate a farlo. A me personalmente è successo spesso, o meglio sempre. Questa cosa mi ha dilaniato tantissimo ed ha anche limitato la mia vita per molto tempo, proprio per questo motivo quando mi sono imbattuta “casualmente” nelle opere di questo giovane e talentuoso artista Marco Randazzo ho avuto un sussulto. È bastato uno sguardo ed una carica di energia positiva mi ha pervaso, sono rimasta colpita da queste opere da queste tele cariche di colore, di simbologie e di vita. La frase che domina il dipinto, “ho tutto in testa ma non riesco a dirlo”, è stata quella che ha attirato maggiormente la mia attenzione, è come se fosse stata messa lì per accompagnare l’osPIN K MAG A ZI NE I T A L I A

servatore, esprime un bisogno, il bisogno dell’artista di esprimere se stesso. La tela rappresenta un mondo, un intero universo interiore forse trattenuto per troppo tempo, l’esplosione di colori mi porta alla mente l’immagine di un vulcano in eruzione, e lo sappiamo tutti che quando questo erutta la sua forza è incontenibile. Afferra i tuoi pensieri in questo momento: dimmi qual è la prima cosa che ti viene in mente, cosa vuoi esprimere con le tue opere? MI piace pensare alle mie opere come un momento felice, sia per me che per un fruitore esterno. Con l’arte astratta è difficile dare una sola interpretazione, e a volte la mia chiave di lettura non coincide con quella degli altri. -

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Sono curiosa di sapere, cosa rappresentano per te il cerchio e la spirale? Sono entrambi elementi a cui sono molto legato, sia concettualmente che graficamente. Nella sinuosità della loro forma intravedo la perfezione circolare della vita e il suo continuo divenire. Il cerchio rappresenta la perfezione, la compiutezza. La spirale mi ricorda il movimento infinito della vita. Parte da centro per andare verso l’esterno, verso un qualcosa che dovrebbe terminare ma che in realtà non termina mai, oppure può esser letta in senso opposto dall’esterno verso dentro. Una sorta di ritorno all’unità, all’interiorità.

Io ci vedo libertà, di pensiero e costruzione, ci vedo una porta aperta verso nuove percezioni di noi stessi e della realtà che ci circonda, ci vedo l’espressione di tutto quello che abbiamo dentro e che troppo spesso, per mille motivi, non riusciamo ad esprimere.

L’arte per te è catarsi? È introspezione? In psicoanalisi, la catarsi è il processo di liberazione da esperienze traumatizzanti o da situazioni conflittuali, ottenuto col far riaffiorare alla coscienza dell’individuo gli eventi responsabili, rimuovendoli dal subconscio. La mia arte in qualche modo può effettivamente considerarsi terapeutica e purificatrice del mio io interiore. Il concetto di “avere tutto dentro ma non riuscire a dirlo” è costante nelle mie opere. Il processo di creazione mi permette di tirar fuori tutto che risiede nel mio subconscio traducendolo in colore, segno e parola. PIN K MAG AZI NE I T A L I A

Molte delle tue opere sono in tele esagonali, questa cosa mi ha incuriosito molto, vi è una ragione per questo? Una delle mie ultime serie di opere si chiama proprio Hexagonum. È una sorta di diario di viaggio del mio -

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A che età hai iniziato a “gettare” il tuo essere nell’arte? Ho iniziato con l’arte da molto giovane, poco più che adolescente. Ho poi frequentato l’Accademia di Belle Arti a Catania e successivamente mi sono specializzato in Arti Visive a Brera. Con gli anni le mie opere son diventate sempre più consapevoli e piene del mio essere uomo e cittadino di questo mondo.

2017 passato in giro per il mondo in cerca di nuove stimoli e nuove ispirazioni. L’esagono è un elemento che mi appartiene sin da bambino e mi ricorda la mia città natale, Avola, città siciliana dalla pianta esagonale appunto. Ho letto nei numerosi articoli a te dedicati, che hai uno stretto legame con la musica, quest’ultima cosa rappresenta per te? Hai un “ pezzo” musicale che ti rappresenta di più? La musica gioca un ruolo fondamentale nel mio percorso artistico creativo. Non è solo sottofondo ma è anche scintilla generatrice di nuove idee e stimoli creativi. Ci sono vari gruppi a cui mi sento molto vicino e legato, soprattutto nell’ambiente indie / rock italiano. Non ho un pezzo che mi rappresenta di più di altri, la mia vita è in continua evoluzione ed ogni periodo a la sua colonna sonora.

Senti di essere completamente libero di esprimerti? In arte la libertà è condizione fondamentale per crescere e esprimersi. Mi sento molto libero quando creo e libero i miei pensieri su tela, non riuscirei a farlo altrimenti. Ma allo stesso tempo sono consapevole di tutte quelle barriere e limitazioni psicologiche e inconsce che mi porto dentro. La società in cui viviamo, i media che ci assorbono e ci appiattiscono i pensieri sono quelle piccole prigioni che con l’arte cerco di aprire per sentirmi pienamente libero.

Quando è che ti accorgi che sta nascendo una nuova opera? Parlami delle sensazioni che ti accompagnano, e che prevalgono. La mia non è una produzione continua, a volte mi sento bloccato per settimane e vorace ed iperproduttivo in certi giorni. Quando scatta la scintilla te ne accorgi, non puoi fare altro che prendere tela e colori e creare qualcosa di nuovo, che fino a pochi istanti prima esisteva solo nella tua testa. PIN K MAG A ZI NE I T A L I A

Quali sono i tuoi progetti futuri? Nei prossimi mesi mi aspettano delle mostre in Italia e all’estero. Un calendario fitto di impegni con tappe a Milano, Cagliari, Siracusa i Isernia in Italia. All’estero esporrò in Austria e in Svezia. Presenterò le ultime produzioni, sperando in una risposta positiva da parte del pubblico. -

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Chiudo l’intervista mio malgrado chiedendoti... sei ancora il “bambino” che eri tanto tempo fa? (ritengo che in bimbi abbiano meno infrastrutture rispetto ad un adulto, questo è il senso) Sono assolutamente d’accordo con te, ammiro i bambini per la spontaneità e la mancanza di filtro fra il pensiero e l’azione. Cerco a modo mio di rimanere puro e libero, proprio come un bambino…ma sicuramente il “bambino” che sono adesso è diverso da quello che ero. Tutte le esperienze di vita vissute finora mi hanno cambiato e fatto crescere. Per fortuna l’arte e la pittura riescono a farmi tornare libero e felice come un bambino, libero da infrastrutture che spesso intristiscono il mondo dei grandi.

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BO OK R EVIEW S


- BOOK REVIEWS -

Il Tatuatore Cronaca di un successo internazionale Intervista esclusiva all’autrice Alison Belsham di Arthur Lombardozzi

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o Lo straordinario successo mondiale dello scrittore svedese Stieg Larsson, in particolare del suo Uomini che odiano le donne (prima parte della trilogia Millennium), ha avuto un duplice effetto: richiamare l’attenzione sul filone scandinavo del thriller, e generare anche in altri paesi libri per certi aspetti analoghi. Fra questi ultimi, uno dei più interessanti è senza dubbio il recentissimo volume di Alison Belsham, Il tatuatore (Newton Compton, Roma 2018). La storia è ambientata a Brighton, sulla costa meridionale dell’Inghilterra, e vede come protagonista il giovane ispettore Francis Sullivan, ambizioso e appena salito di grado. PIN K MAG AZI NE I T A L I A

Nel primo caso importante a lui affidato, Sullivan si trova a dover collaborare con una preziosa testimone, la tatuatrice Marni Mullins, che ha rinvenuto un cadavere orribilmente deturpato. Fin dalle prime indagini appare chiaro che non si tratta di un omicidio occasionale, ma dell’opera di un killer seriale che asporta porzioni di pelle tatuate dalle sue vittime, mentre queste sono ancora in vita. L’ispettore Sullivan, nel tentativo di far luce sulla vicenda, vorrebbe avvalersi della collaborazione di Marni, che per via della sua professione conosce molto bene l’ambiente e i personaggi legati al mondo dei tatuaggi. La testimone sembra però avere buoni motivi per te-

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nersi alla larga dalla polizia, cosicché non sarà facile per l’ispettore ottenere la sua collaborazione. Molto scorrevole nello stile, questo thriller è caratterizzato da una preponderanza dei dialoghi sulle descrizioni; non a caso, dato che l’autrice ha cominciato la sua carriera proprio come sceneggiatrice televisiva e cinematografica, ricevendo anche alcuni riconoscimenti. Il suo romanzo Il tatuatore si lascia comunque leggere con piacere e, pur restando confinato in alcuni stereotipi del thriller (il serial killer, il testimone che si mette a investigare in proprio, e così via), riesce a sviluppare in modo originale e avvincente il macabro spunto di partenza.

uno straordinario lavoro per promuovere il libro e già mi sono pervenute molte attestazioni di apprezzamento da parte dei lettori italiani. Ho visto anche alcune fotografie che ritraggono il mio libro, scattate da blogger italiane, che mi hanno lasciata a bocca aperta per la loro bellezza e originalità: ce n’erano alcune con il libro circondato da petali di rosa, oppure dove il libro era retto da una mano con uno straordinario tatuaggio, o ancora con accanto una mano che reggeva un coltello macchiato di rosso. Non vedo l’ora di fare un viaggio in Italia, entrare in una libreria e vedervi il mio libro in vendita: è il sogno di ogni scrittore, no? Lei ha cominciato la sua carriera come sceneggiatrice: pensa che Il tatuatore sia destinato a diventare a un film? In effetti ho iniziato a lavorare come sceneggiatrice, anche se adesso credo di avere trovato la mia strada come scrittrice di narrativa. Ad ogni modo, quando scrivo immagino ogni scena nella mia mente come se stessi vedendo un film, per cui non avrei difficoltà a ricavare dal romanzo anche una sceneggiatura. Inoltre credo che Brighton rappresenterebbe una location affascinante per il film, senza contare poi che i tatuaggi hanno sempre un notevole impatto visivo. Così non posso che incrociare le dita, sperando che qualcuno da Hollywood si faccia vivo…

Cosa pensa del filone del thriller scandinavo e in che modo ha influenzato il suo stile? Sono una grande fan del thriller scandinavo, fin da quando nel 2010 fu pubblicato in Inghilterra “Uomini che odiano le donne” di Stieg Larsson; e già in precedenza ero rimasta affascinata dal romanzo “Il senso di Smilla per la neve” di Peter Høeg. L’ambientazione cupa e gelida nei paesi scandinavi aggiunge una dimensione in più, e fa sentire verosimilmente la sua influenza anche sulla psiche dei personaggi. Dalla Scandinavia proviene negli ultimi anni un numero incredibile di ottimi scrittori: fra loro vi sono senz’altro Henning Mankell, Jo Nesbø, Jussi Adler-Olsen, Maj Sjövall e Per Wahlöö, per citarne solo alcuni. Fra gli autori più recenti che ho apprezzato vi sono anche Agnes Ravatn, Erik Axl Sund, Yrsa Sigurđardóttir e Ragnar Jonasson; ma chiunque legga i thriller scandinavi può aggiungere altri nomi a questa lista. D’altra parte, alcuni degli aspetti che hanno garantito il successo del giallo scandinavo sono presenti anche nel filone del noir scozzese. La Scozia è stata patria di grandi scrittori del genere poliziesco, da sir Arthur Conan Doyle fino a Val McDermid e Ian Rankin: perciò, vivendo a Edimburgo, mi sento parte di una lunga tradizione. Anche se i miei libri sono ambientati a Brighton, sulla costa meridionale dell’Inghilterra, cerco ugualmente di trasferirvi quel senso di tenebrosa minaccia. Per me è comunque un grande onore che il romanzo “Il tatuatore” venga paragonato ai thriller scandinavi. Il suo romanzo è stato molto apprezzato in vari paesi, cosa pensa del fatto che sia stato ora tradotto anche in italiano per i tipi della Newton Compton? Sono veramente onorata che il mio romanzo sia stato tradotto anche in Italia, dove esce in contemporanea con l’edizione inglese, così da essere la prima traduzione in lingua straniera. La Newton Compton ha fatto PIN K MAG A ZI NE I T A L I A

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- COACHING -

I nostri non posso di Simona Colaiuda

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on posso. Quante volte lo abbiamo confidato a un amico, il più delle volte detto a noi stessi. Ognuno di noi ha una marea di non posso chiusi nell’armadio. Fantasmi che alimentano le paure. E abbiamo sempre una giustificazione per ogni non posso, un corrispondente perché, che li motiva e li avvalora. Ognuno di noi ha il proprio valido perché, una spiegazione diversa. Ci sono dei perché che sono, però, più frequenti di altri, come “perché non ho tempo”.

ce ne sono altri che in questa frase trovano solo una giustificazione: giustifichiamo noi stessi. In realtà il tempo c’è, ed lo stesso che hanno tutte le altre persone: il tempo è l’unica cosa che può definirsi democratica, è uguale per tutti. Il problema è con la sua gestione e quindi con la personale organizzazione dello stesso. Chi vorrà approfondire l’argomento relativo alla gestione del tempo e acquisire dei pratici strumenti di ausilio, potrà farlo sul libro “Costruisci la tua felicità in tre atti” (Simona Colaiuda, Ed.Aloha, 2017).

Così ci troviamo a dire: “Non posso andare in palestra perché ho troppe cose da fare in studio!”. E se la causa non è il lavoro, saranno i figli, il coniuge o il compagno, i genitori anziani, l’amica sull’orlo di una crisi di nervi, il derby decisivo, il cane incontinente, la piega ai capelli appena fatta, eccetera. Insomma, ci giustifichiamo soprattutto con noi stessi quando non riusciamo a fare una determinata cosa, raccontandoci che non abbiamo tempo. E questa scusa la ripetiamo così tante volte e in così tante situazioni che non riusciamo neanche a contarle. Ora, posto che ci sono momenti in cui non abbiamo tempo per fare delle cose perché ci sono giornate cariche di impegni e di affanno, PIN K MAG A ZI NE I T A L I A

Qui voglio focalizzare l’attenzione su due aspetti che incidono in maniera pesante sulla gestione del tempo: il primo è la mancanza di chiarezza circa i propri obiettivi, e non sappiamo ciò che è realmente importante, ciò che vogliamo davvero, come facciamo a sapere che cosa dobbiamo fare e in quale tempo?; il secondo è l’incapacità di mettere le proprie esigenze al primo posto, dentro e fuori di noi, se non ci legittimiamo a fare determinate cose, non troveremo mai lo spazio temporale per poterle attuare. Arrivederci sul prossimo numero di Pink Magazine Italia con un altro perché. -

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- BOOK REVIEWS -

Jenus Open mind! di Giuseppina Stanzione

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aga irriverente e sagace. Parola d’ordine per leggere Jenus: open mind! Solo una mente aperta e perspicace può affrontare le sue pagine e coglierne l’ironia, mai grossolana, con cui Don Alemanno, pseudonimo dell’autore, affronta argomenti complicati per trovare una risposta, in fin dei conti, alle sempiterne domande: Chi siamo? Da dove veniamo? Il fumetto – fenomeno virale partito, con Le pillole di Jenus sarcastiche vignette singole, poi approdato su carta – presenta Jenus, parodia di Gesù, che arriva sulla Terra privo di memoria accompagnato dal suo fedele amico Angius, agnello sapientino che indossa un pannolino. Ha una missione: ritrovare la memoria e combattere il male che minaccia il nostro pianeta. Tra demoni terrificanti evocati da un inaspettato antagonista e improbabili aiutanti a soccorso, in quindici volumi, Jenus combatte i suoi nemici con tecniche di lotta da Super Saiyan e l’ausilio di un gigantesco robot che funziona con la forza del pensiero solo se usato in coppia. Infatti, tra gli incredibili aiutanti troneggia Maometto satiricamente in contrasto con l’attuale andazzo anti islamico. Mantenersi open mind, dunque, è importante perché i ragionamenti proposti sulla possibile risposta alle intramontabili domande sono, sì, opinabili ma arguti. La rubrica del tarlo a

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fine capitolo è uno spazio dedicato a queste riflessioni interessanti nonché spinose che stimolano la curiosità e stuzzicano l’ingegno quantomeno invitando a sfogliare il libro sacro per affrontarlo con un approccio più obiettivo e critico. Allora, siete pronti a farvi scombussolare opinioni e cer-

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tezze? A scovare i cartoni animati citati tra le vignette? A ridere davanti ai personaggi a noi contemporanei che si intrufolano nella narrazione? A conoscere gli Elohim e i personaggi sacri nelle fattezze di cantanti rock e hip hop? Spero di sì. Risate sardoniche assicurate. Nel frattempo io, forse invano, attendo un’altra saga.

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Romance non-stop di Silvia Cossio (gruppo facebook le “harmonyne”)

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en ritrovati amici lettori! Oggi vi parlo della Collana Romance - una delle mie preferite - che, a mio modesto parere, propone dei libri a dir poco straordinari, alternando autori del calibro di Diana Palmer, Gena Showalter, Lori Foster, Robyn Carr, Susan Mallery, solo per citarne alcuni. Libri dove, inutile dirlo, qualità e prezzo si coniugano perfettamente offrendo un prodotto accessibile a tutti e senza elemosinare o nulla togliere ai contenuti. Come dimenticare la serie di “Virgin River”, o quella dei “mercenari di Jacobsville”, o ancora quella di “Ultimate”… Storie che hanno tenuto incollato i lettori nell’attesa del nuovo emozionante capitolo della saga che li avrebbe proiettati in una dimensione fatta solo di emozioni. Se ancora non lo avete fatto, ve ne consiglio la lettura. Non perdete le prossime quattro pubblicazioni che potete già acquistare sul sito della eHarmony.it o in tutte le edicole/librerie a partire dal 26 giugno. Ancora una volta ringrazio il Gruppo Editoriale Pink per lo spazio concesso e tutti gli appassionati lettori che seguono con interesse la rivista.

un passato difficile alle spalle. Quando lei, però, si ritrova a lavorare per quell’uomo all’apparenza dispotico e scostante, le occasioni per conoscersi meglio aumentano e l’attrazione tra i due diventa sempre più forte. C’è soltanto un segreto che rischia di minare il loro rapporto: l’incidente che ha cambiato per sempre la vita di Connor e di cui Emma è responsabile. Connor ha imparato a costruirsi una scorza per tenere lontane le donne interessate unicamente ai suoi soldi. Soltanto l’innocenza di Emma sembra far vacillare quella barriera protettiva, ma, quando la verità viene a galla, tutto sembra perduto. Sebbene ora ci sia qualcosa di veramente unico a tenerli insieme, il loro sentimento potrebbe non avere più speranze...

di DIANA PALMER

Meg, a fronte di una novità capace di sconvolgerle l’esistenza, decide di riunire le donne della sua vita nella casa sul lago in cui la sua famiglia ha trascorso giorni felici fino a quando il drammatico incidente che ha cau-

La casa sul lago di ROBYN CARR

L’arte tutta femminile di accettare il passato così da rafforzare, attraverso il perdono e l’amore, gli indissolubili legami familiari.

I segreti della passione

Emma Copeland e Connor Sinclair, il suo ricco e affascinante vicino di casa, hanno una cosa in comune: PIN K M AG AZI NE I T A L I A

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Non lasciarmi

sato la scomparsa di Bunny, la sua sorellina minore, non ha cambiato drasticamente le cose...

di GENA SHOWALTER

Sorelle, zie e cugine oggi fanno quotidianamente i conti con realtà più complicate di quelle che si sarebbero immaginate durante le estati della loro infanzia. Ma, richiamate dal forte legame di sangue che le unisce, decidono di riprendere in mano il loro passato con l’aiuto di alcuni vecchi album di fotografie e di rinascere dalle proprie ceneri come fanno le fenici.

Sono tanti i ricordi che Dorothea Mathis non riesce a lasciarsi alle spalle: gli episodi di bullismo subiti ai tempi della scuola, un matrimonio naufragato e... la cotta colossale per Daniel Porter. L’ex militare ora è tornato a Strawberry Valley per restare e Dottie non riesce a toglierselo dalla testa, nonostante lui sembri impegnato a preservare la sua fama da playboy.

I ricordi riaffiorano e, insieme a questi, anche dei terribili segreti in grado di cancellare per sempre l’affetto che le tiene unite oppure, perché no, renderlo ancora più forte.

Rientrato in Oklahoma per assistere il padre malato, Daniel comprende come alcune cose non cambino mai. A distanza di anni desidera ancora Dottie con ogni fibra del suo corpo, ma non può non vedere come entrambi siano intrinsecamente legati al passato. Cedere alla tentazione, però, è fin troppo facile, anche se questi incontri bollenti lasciano in lui un unico desiderio: quello di ottenere qualcosa di più.

Il rumore dei ricordi di MARIA VENTURI

Così, ben presto, l’affascinante Daniel si trova di fronte a un bivio: dare un’opportunità al loro sentimento o andarsene. Questa volta per sempre.

Linda ha trentotto anni, due ex mariti, un bimbo cileno in affido e una figlia adolescente: la sua è una vita “di corsa”, che però non colma il suo grande desiderio d’amore. Matteo è il suo nuovo capo: un trentenne affermato, razionale e concreto, che ha pianificato la propria vita senza lasciare spazio a colpi di testa e imprevisti.

Sono due persone sbagliate che si incontrano al momento giusto, e che durante un fine settimana ad Antibes si innamorano senza scampo.

Ma la vita non è un sogno romantico, esistono le reciproche differenze, a partire dall’età fino ad arrivare al modo di affrontare i problemi, e a volte non basta l’amore a vincere su tutto, o forse sì.

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Maria Maddalena di Sara Piccinini

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n questo appuntamento desidero parlarvi di questa novella che, seppur molto breve, riesce a toccare in maniera profonda e intensa il cuore del lettore. Maria Maddalena è sempre stato un personaggio abbastanza controverso, tanti sono i misteri ancora legati alla sua figura. Cinzia ce la descrive come una donna forte, indipendente e determinata. Ricca e dall’intelligenza fina: delle colpe all’epoca di Gesù di Nazareth; una donna come lei veniva considerata alla stregua di un’indemoniata soltanto perché esprimeva la sua opinione con schiettezza e gestiva da sola un’intera attività. Dopo l’incontro con il Rabbi Gesù, il Messia di cui tutti parlano e che tanti attendevano, la sua vita cambia PIN K MAG AZI NE I T A L I A

per sempre. Rinuncia a ciò che è rimasto della sua famiglia, alle sue ricchezze, per seguirlo nel suo pellegrinaggio, perché è il suo destino. Questa meravigliosa autrice fa trasparire in ogni riga, ogni parola, il suo intenso amore per questo personaggio. Le ambientazioni e soprattutto i dialoghi sono curati in ogni minimo particolare. Frutto di intense ricerche: si vede che Cinzia sa bene ciò che fa, che è il suo mestiere. Soprattutto sa come arrivare al cuore dei suoi lettori, anche solo con poche pagine (la novella la si legge in un’oretta). E ci regala una storia che non solo trasmette conoscenza, ma anche emozioni forti e potenti, che non ti lasciano nemmeno dopo la lettura. -

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Sara Rattaro La scrittrice della gente di Laura Gorini

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In qualche maniera possono essere anche considerati dei ragazzi non cresciuti Lorenzo e Sergio, i mariti rispettivamente di Fosca e Valeria, le protagoniste di Uomini che restano il tuo nuovo romanzo. Ma perché spesso gli uomini tendono a rimanere degli eterni bambini? È solo un cliché oppure è veramente così secondo te? Sergio e Lorenzo sono due personaggi molto differenti. Sergio incarna l’uomo che non sa assumersi le proprie responsabilità mentre Lorenzo le sue le affronta anche se le difficoltà sono tante. È difficile dare un giudizio o trovare una risposta sola a un tema così grande. Certo, siamo figli della nostra cultura e dell’educazione che riceviamo.

una delle scrittrici più amate in Italia, la genovese Sara Rattaro. Il merito è da attribuire al suo innato talento per saper descrivere con semplicità le complessità dell’animo umano e dei suoi sentimenti, talora particolarmente intricati e difficoltosi da comprendere. Il suo ultimo romanzo, Uomini che restano sta ottenendo ottimi consensi sia di pubblico che di critica come – del resto – le sue precedenti opere letterarie. Sara, sette romanzi per adulti (Sulla sedia sbagliata, Un uso qualunque di te, Non volare via, Niente è come te, Splendi più che puoi, L’amore addosso, Uomini che restano) e un libro per ragazzi (Il cacciatore di sogni), un curriculum letterario proprio niente male vista la tua giovane età. Ma esiste un filo rosso che in qualche modo li collega tra di loro? Credo sia la famiglia e i sentimenti che la legano. Ho raccontato tutti i controsensi che spesso appartengono al sogno della famiglia perfetta.

A proposito di fanciullini, come vedi quelli di oggi? Insegno all’università e quelli che ho davanti sono ragazzi bisognosi di attenzioni e di credere in un sogno.

Credi che le tecnologie, Internet e Social Network in primis, li abbiano in qualche modo privati di una dose importante di freschezza, inventiva e di fantasia? Sicuramente il mondo della comunicazione è cambiato molto e loro sono figli di questo tempo. L’immediatezza dei messaggi e il loro essere scarni può influenzare i nuovi rapporti umani.

Chi o che cosa ti ha convinto a scrivere un libro per ragazzi? L’ho fatto solo nel momento in cui ho trovato la storia giusta, all’altezza dei ragazzi. La vita di Albert Sabin è la storia più bella del mondo. Pensi che ne scriverai altri? Sì, ci sto lavorando ma è ancora presto per parlarne.

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Ma che cosa è la fantasia secondo Sara Rattaro? La capacità di trovare la trama giusto in ogni storia. -

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Il giardino di Amelia di Antonella Maffione

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l giardino di Amelia, è un libro che affronta temi politici e sociali. Ambientato in Cile negli anni ottanta sotto la dittatura spietata di Pinochet, il romanzo si avvia da un evento reale per regalare al lettore una profonda storia di tenera amicizia. Miguel Flores, un giovane sovversivo, viene confinato in un posto sperduto vicino Santiago. Tra grandi colline, cactus e terra arida, si estende come un piccolo Eden, una valle isolata, dove all’interno della Novena vive Amelia. La vita da confinato nella baracca del Pimiento, trascorre per Miguel in solitudine, la sua unica compagnia è la lucertola Lisandra. A salvarlo da questa difficile situazione e a tendergli la mano è Amelia. Inizialmente Miguel non ha molta simpatia per Amelia, ai suoi occhi una nemica latifondista può essere solo una fascista! Amelia, invece, è solo una proprietaria terriera, che possiede una biblioteca immensa dove i libri sembrano vivi, che tratta con riguardo Miguel. “Sarebbe stata una comunista fantastica, lei! Peccato che abbia terre, antenati illustri e tutta quella roba lì”. Tra i due, riga dopo riga, nasce una tenera amicizia, basata sul rispetto reciproco, e attraverso la lettura il rapPIN K M AG AZI NE I T A L I A

porto diventa più intimo, infatti attraverso il “palazzo della memoria” di dispiegano vecchi ricordi che ormai erano stati riposti in un luogo nascosto della memoria. “Non solo mi sta simpatica, mi sto affezionando a lei. Non era mica nei programmi”. All’interno dei libri di Amelia, Miguel incontra le sottolineature e le annotazioni che saranno degli spunti di riflessione e che lo aiuteranno ad affrontare le avversità della vita. Non tutto però è come sembra, Miguel non è quello che Amelia si aspetta. Attraverso una scrittura introspettiva, l’autrice ci racconta una storia commuovente e ricca di vivide descrizioni sulla natura, tanto da far sentire il lettore parte di quell’ambiente stimolandone la percezione dei cinque sensi. “[…] la luce a poco a poco trascolorava sopra la chioma degli alberi, e il modo con cui calava il silenzio è tutto rimaneva immobile, come se fosse il sole a far muovere la campagna di giorno, e il modo con cui ogni suono svaniva lasciando solo il latrare dei cani, qualche volta l’eco del vento”.

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- INDOVINA CHI VIENE A CENA? -

The Afternoon Tea with Freddy di Eliana Guagliano

«Empty spaces, what are we living for Abandoned places, I guess we know the score On and on, does anybody know what we are looking for Another hero, another mindless crime Behind the curtain, in the pantomime Hold the line, does anybody want to take it anymore The show must go on The show must go on, yeah Inside my heart is breaking My make-up may be flaking But my smile still stays on»

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Queen, The Show Must Go On, 1991

ra il 24 novembre 1991. Quel giorno a Londra, si spegnava un grande artista. Io perdevo uno dei miei punti di riferimento musicali, un cantante che aveva caratterizzato il mio avvicinamento a un tipo di musica “diversa”. Ricordo che i miei coetanei ascoltavano altri tipi gruppi, quelli più ribelli (Nirvana, Metallica…); io amavo rifugiarmi in qualcosa di più melodico, o almeno che a me sembrava tale, e che aveva comunque un’immagine rock… quella del suo frontman. Freddy. E mentre in questi giorni ha cominciato a girare per il web il trailer del film Bohemian Rhapsody (che uscirà nelle sale italiane il 25 dicembre), ricordo ancora, come se fosse ieri, che quel giorno di quasi 27 anni fa raccolsi 3000 lire per comprare il numero di Tutto su di lui, sulla sua morte o, più che altro, sulla sua vita. Canzoni come Innuendo, Bohemian Rhapsody, Don’t try so hard rispecchiavano un’anima sensibile e fragile. Dietro la sua immagine da provocatore, per me, vi era un uomo alla ricerca continua di sé. E, forse stranamente, io avrei voluto bere con lui un Afternoon Tea, quello della Regina, quello del pomeriggio con pasticcini e tramezzini. Chissà come avrebbe reagito. Per Freddy, Lemon Meltaways. Dolci ma leggermente aspri. Ricetta di Martha Stewart pubblicata dalla mia amica Stefania Arabafelice e preparata da me per voi (e pappata). Per ottenere circa 18 biscottini, nella planetaria o con le fruste, mescoliamo 85g di burro freddo con 20g di


zucchero a velo per almeno 5 minuti. Aggiungiamo la buccia di un limone, 2 cucchiai del suo succo, 1 cucchiaino di estratto di vaniglia e la punta di un cucchiaino di sale. Setacciamo 120g di farina con un cucchiaio di maizena e uniamola con le fruste all’impasto. Versiamo il composto, che sarà molto morbido, su un foglio di carta forno e arrotoliamolo velocemente.

Dobbiamo ottenere un salsicciotto di circa 4 cm di diametro. Facciamolo raffreddare in freezer per circa 2 ore (il mio congelatore è molto freddo... è bastata un’ora e mezza). Accendiamo il forno a 180°. Tagliamo il salsicciotto in dischetti di circa 1 cm e cuociamoli in forno caldo per circa 13 minuti. Sforniamoli, facciamoli raffreddare per circa 10 minuti e spolveriamoli con

Cibo per l’anima: Queen, Innuendo, Album. Queen, Innuendo, di Freddy Mercury – Roger Taylor. Queen, The Show Must Go on, di Brian May. Queen, Don’t Try So Hard, di Freddy Mercury. Queen, Bohemian Rhapsody, di Freddy Mercury.

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zucchero a velo o mettiamoli, come il pandoro, in un sacchetto per congelare con lo zucchero a velo e agitiamo delicatamente. Serviamo con tè nero.

Se poi volete preparare per i vostri ospiti anche altri biscottini e tramezzini, troverete tutte le ricette (quelle delle foto ď Š) nel blog.

E LI AN A G U AG LI AN O studiosa di letteratura di lingua spagnola e appassionata di cucina, 8 anni fa ha creato un blog (ilgamberetto.blogspot.com).

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LUCIA PERREMUTO CREATIONS PIN K M AG AZI NE I T A L I A

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IG: cocoandthecity_n5 PIN K M AG A ZI NE I T A L I A

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