Pink Magazine Italia - Autunno Inverno 2018-19

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autunno-inverno 2018 N.12 anno II

GIULIA SOFIA

PAOLUCCI INTERVISTA

SPECI A LE

BOOK

R E V I EWS ITALIAN STYLE

Une journée

en Camargue

ROBERTO

PARODI Sense of

humor

intervista a

DOMENICO

NOTARI JOHARA LIGUORI arte a 360 gradi




Enjoy the Pink Side of Books! I racconti che avreste sempre voluto leggere Le emozioni che avreste sempre voluto provare Le storie che avreste sempre voluto conoscere I PinkBooks escono in allegato a Pink Magazine Italia (ma sono disponibili anche online su Amazon) e parlano di tutti noi. Sono racconti di vita, d'amore e di impegno sociale: un mondo di storie che ci faranno sorridere, piangere, arrabbiarci, meravigliarci e di cui non dimenticheremo mai i protagonisti... Il tutto all'incredibile prezzo di lancio di scaricare l'eBook a soli €

€ 1,99 con la possibilità di

0,99 nel giorno di uscita di Pink Magazine!

Grande novità: alcuni testi verranno proposti in lingua poiché scritti da nostre autrici inglesi e francesi.


CHRISTMAS IN PARIS, Viola Spring. Charlotte Blake ha deciso: passerà il Natale a Parigi! Sua zia Georgie ha appena aperto una libreria a Montmartre, così lei non esita nemmeno per un istante a prendere il primo volo diretto in Francia, dove l’aspetta Pierre, il suo grande amore. Troppi chilometri li hanno separati per mesi e mesi, ma ora è giunto il momento di prendere decisioni sul loro futuro insieme. Chiaro, no? Così sembra, almeno fino a quando mette piede sull’aereo che da New York vola verso la capitale francese. Tra le nuvole, dopo qualche turbolenza e un paio di cocktail, Charlotte si ritrova a raccontare la sua vita a un perfetto sconosciuto, che forse non è così tanto sconosciuto come crede…

THE EMPEROR’S LIST, Morgana LeFay. Jerusalem 135 A.D. General Julius Severus has just guided his legions through a difficult campaign in Palestine. The repression of the rebels has been maybe the bloodiest in Roman history. The praetor Fulvius Atticus is asked to return immediately to Rome, he has a secret mission to carry out. In Rome Cornelia Clodia, the only daughter of a rich copper trader, is getting ready for her husband’s funeral. He died during the Jerusalem campaign. Theirs was not a good match. She was his young second wife and he married her for her money. Also, she has not a drop of noble blood, while Marcus descended from a long line of patricians. Marcus’s best friend, Fulvius Atticus is the executor of her husband’s will which states that Fulvius and Cornelia should marry. The praetor has a decree from the Emperor Hadrian, by which the Emperor himself blesses the wedding. Cornelia can’t do anything but obey. On the night of her wedding she discovers a list of names in her new husband’s study and finds a partially burned letter from the Emperor in which there is mentioned a list of conspirators. Her father is on that list…



autunno-inverno 2018 N.12 anno II

LUCA MANNOCCI FOR PINK

ITALIAN STYLE

Une journée

en Camargue

SPECI A LE

BOOK

R E V I EWS

intervista a

DOMENICO

NOTARI ROBERTO

JOHARA LIGUORI arte a 360 gradi

PARODI Sense of

humor


Direttore Editoriale: Cinzia Giorgio

PINK MAGAZINE ITALIA AUTUNNO-INVERNO 2018 IN QUESTO NUMERO

Vice Direttore: Luigileone Avallone Redattori: Alessandra Penna, Gordon Fanucci, DIRETTORE EDITORIALE Arthur Lombardozzi, Kingsley, Angela Cinzia GiorgioFelicia @CinziaGiorgio Arcuri, Daniela Perelli, Marilena Cracolici

CAPO REDATTORE

Ufficio Stampa e web: Luigi L. Avallone Diletta Adalgisa Parisella, Isabella D’Amore

REDATTORI

Alessandra Penna @AlessandraPen Collaboratori: Manola Mendolicchio, Gordon Ciccopiedi, Fanucci @GordonFanucci Gabriella Selenia Erye, Isabella D’Amore @Wislavisa Andrea Proietti, Marco Paracchini, Silvia Casini, Diletta Adalgisa Parisella Simona Colaiuda, Laura D’Amore, Sara Foti Arthur Lombardozzi @W_Baskerville Sciavaliere, Romina Angelici, Sara Piccinini, Asia Francesca Rossi, DAAngelica PARIGI Elisa Moranelli, Maria Capasso, Letizia Asciano, Margot Valois @MorganaLefay_1 Giulia Montevecchi, Chiara Rametta

COLLABORATORI

Romina Valois, AngeliciMarion Mestre Dalla Francia: Margot Linda Bertasi @LindaBertasi Rosastrategies Caruso @LaFeniceBook Social e marketing: Roberta Coralluzzo @Alke_Studio Riccardo Iannaccone Pier Luigi Curcio Eleonora Della Gatta @byaristogatta Assistente alla direzione: Selenia Erye @selsiai Mirtilla Amelia Malcontenta Eliana Guagliano Angelica Elisa Moranelli @TheQueenPuppet Consulenza artistica: Elisabetta Motta @MottaeliMotta Sara Piccinini Paola Marchi Alessandra Rinaldi @alex_rinaldi_86 Tassi Eventi:Edy Rita Bellina

10 T HE ITALIAN SENSE OF HUMOR Intervista a Roberto Parodi —

16 UN JOUR DANS LA CAMARGUE La nuova collezione di Marion Mestre —

36 VITA DA STUDENTESSA —

42 MODA E GLOBALIZZAZIONE —

45 ITALIAN (MAN) ST YLE Luca Mannocci posa per PMI —

50 L’ANIMA DELLA INNER SCULPTURE Giacomo Rizzo: un uomo, la sua arte —

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SEGRETERIA DI REDAZIONE

GIULIA SOFIA PAOLUCCI

Velut Luna Press @VelutLunaPress

Intervista

Agente letterario: Silvia Cossio

Segreteria di redazione: Lucia Perremuto RESPONSABILE UFFICIO STAMPA Isabella D’Amore @wislavisa

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Progetto Grafico: EVENTI E PROMOZIONE Segno. Creative Studio Lab by L. Avallone

JOHARA LIGUORI

Videomaker e Advertising: PROGETTO GRAFICO P. Nosnan WebStudioDesign by Stefania

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Rita Bellina

Segno. Creative Studio Lab

COPYRIGHT 2018 PINK. Tutti i diritti riservati. Testi e foto contenuti in questo numero possono essere riprodotti solo con l’autorizzazione dell’Editore e/o dell’Autore.

Arte a 360° —

DARE I NOMI ALLE SCARPE dis-ordinaria —

76 BOOK REVIEWS —

YRIGHT 2017 PINK. Tutti i diritti riservati. Testi e foto contenuti in questo numero ossono essere riprodotti solo con l’autorizzazione dell’Editore e/o dell’Autore.

78 9, LA RABBIA DEL RIVALE Intervista a Domenico Notari —

90 LA CAPPELLA SANSEVERO E

C O N TA C T A N D I N F O

IL CRISTO VELATO

www.pinkmagitalia.com C: facebook.com/pinkmagazineitalia L: @PinkMagItalia V: h ttps://www.youtube.com/channel/ UCqbxWhvq_GgsPBInUlLh_ww instagram: pinkmagazineitalia

94 I N D OV I NA C H I V I E N E A C ENA? A colazione con Tim Burton


E d i to r i a l E

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febbraio 2017

WELCOME —

The Pink Side of... Pink Magazine Italia! Carissimi lettori, questa stagione porta con sé tantissime novità, prima fra tutte la cadenza semestrale di Pink Magazine Italia. Il nostro periodico online uscirà, infatti, ogni sei mesi (salvo numeri speciali). La decisione è stata presa per potenziare l’edizione web e il sito, per essere più presenti sui canali social e per preparare un programma radiofonico di cui vi sveleremo in seguito. In questo numero troverete tanti servizi fotografici di moda che dalle strade di Roma arriveranno nelle suggestive lande della Camargue della stilista Marion Mestre. I volti di Pink Magazine Italia di questo nu­m ero sono il nostro testimonial Luca Mannocci, che posa per un servizio sullo stile italiano; e la giovanissima Maria José Piccardo, di cui sentirete parlare molto presto. Ma troverete tanto altro ancora tra le pagine del nostro numero invernale. Abbiamo intervistato il giornalista Roberto Parodi, l’attrice Giulia Sofia Paolucci, lo scrittore Dominico Notari, l’artista Johara Liguori e non mancano recensioni, interviste, focus sull’arte, la musica, il cinema e i viaggi. Buona lettura!

CIN ZIA G IORG IO Chief Editor - info@pinkmagitalia.com



- IL BELLO DI PINK -

The Italian Sense of Humour Roberto Parodi

Intervista a Roberto Parodi, direttore della rivista di settore Riders e autore di bestseller con un seguito sui social di cui pochi possono vantarsi. Proverbiali il suo sense of humour e la sua capacità di farci notare alcuni atteggiamenti tipici del nostro tempo. Lo abbiamo intervistato in esclusiva per Pink Magazine Italia. di Cinzia Giorgio

I tuoi video spopolano sul web, soprattutto tra le donne. Le donne sono quelle che io prendo in giro molto più degli uomini. Evidentemente le donne hanno più sense of humour rispetto agli uomini che tendono a prendersela, soprattutto se si parla delle passioni. Per esempio delle moto, delle auto… Invece le donne, anche se le prendo sempre in giro, sono più ironiche con loro stesse. E si divertono, perché secondo me tutte pensano di non essere i soggetti che prendo di mira: la mamma radical chic, la gatta morta, la figa di legno… che corrisponde poi alla versione maschile dei morti di figa. Per i morti di figa mi sono ispirato a ciò che mi hanno detto le mie amiche. Mi mandavano i messaggi che ricevevano da uomini che ci provavano senza pudore. Ogni donna ne ha almeno uno.

satisfaction. Bene, il video ha avuto un ottimo ritorno, così ho cominciato a caricare video con le impressioni stradali, descrivendo il milanese in macchina: dai tassisti alla mamma che ti guarda dalla bicicletta no oil e tu hai la moto e così via. Il salto l’ho fatto quando ho cominciato a scrivere delle varie mamme (io già avevo i profili scritti per il sito del Corriere della sera per Beppe Severgnini) e da lì la cosa è decollata. Qual è stato il video più seguito? Il video più seguito è stato: Le cose che mi fanno incazzare del Natale. Era metà novembre e già mi stava sulle balle il Natale! A Milano è un continuo già da fine novembre. Ha fatto più di quindicimila follower con un solo post e così ho cominciato a caricarli periodicamente. Poi anche quello gli errori sull’abbigliamento delle donne che ha avuto ben sette milioni di visualizzazioni.

Com’è nata l’idea di girare dei video “a tema”? L’idea è nata in modo non diretto alle mie attività: scrivo libri, faccio tv, e sono il direttore ella rivista Riders. Avevo aperto una pagina per lavoro e mi è capitato di essere coinvolto in un problema con un prodotto comprato che non funzionava più: nel giro di mezz’ora avevo risolto il problema, mentre con un’altra azienda non riuscivo a risolvere in alcun modo. Mettendo insieme queste due cose ho fatto un piccolo video sulla customer PIN K MAGAZINE I T A L I A

Hai numeri da record! In un anno e cinque mesi sono passato da zero 162.000 follower, e 140.000 like. Sono numeri pazzeschi che faccio senza alcun profitto. Non mi serve per lavoro, mi diverto. Non mi hanno ancora offerto delle camicie, nessun camiciaio mi ha offerto nessuna camicia. -

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“Nei miei libri e nei miei articoli l’ironia regna sovrana.”


Quando giri di solito? Verso sera e giro in poco tempo, il grosso è scriverne il contenuto. Mi piazzo il foglio davanti al leggio e me lo giro in un solo take con il mio iPhone 6s e infine lo carico su iMovie per renderlo più ritmato e facile da seguire. Mi diverto da pazzi a fare il montaggio, più che a registralo. Mentre lo registri hai la tensione della performance, mentre nel montaggio vai a limare, aggiungi il filtro, la foto… è molto creativo.

Proposte strane ne hai ricevute e ne ricevi? A parte quelle di matrimonio che ricevo costantemente? Il novanta per cento sono ironiche, il restante dieci per cento no: sono serie e ti fanno proposte assurde. Tanti uomini, per esempio, pensano che io sia gay e mi mandano foto “particolari”. Ma ci sono anche le vecchie signore, che però non mandano foto. E poi ci sono quelle che mi trattano come Donna Letizia e pensano che io sia la posta del cuore. E vogliono che io risponda alle loro esperienze… Io cerco di rispondere sempre a tutti. Molti mi chiedono di fare altri video, suggerendomi l’argomento. Progetti per i tuoi video? Non saprei. La cosa più utile per me è di far vedere un aspetto diverso di me stesso. Anche nei miei libri e nei miei articoli l’ironia regna sovrana. Questo aspetto piace a molti che mi chiedono collaborazioni, consulenze. Mi vedono come un comunicatore. Non ho un progetto preciso, ma ne farò un libro prima o poi. Il contenuto dei video però è mitigato da un sorriso, da uno sguardo mentre se scrivo dovrò smussare un po’.

“Evidentemente le donne hanno più sense of humour rispetto agli uomini.”



Foto: Pierre Sautel


- COCO AND THE CITY -

La nuova collezione di Marion Mestre

Un jour dans la Camargue a cura della Redazione

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Foto: Rocco Allegretti Modella: Maria José Piccardo

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- COCO AND THE CITY -

Pink 2019 a cura della Redazione

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Foto: Margot Valois Modella: Letizia Asciano Abiti e accessori: FerrĂŠ, Moschino, Zara, Trussardi Make-up: Sephora, Mac


- COCO AND THE CITY -

Vita da studentessa Una giornata come tante nella capitale a cura della Redazione

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- PINK MODA -

MODA E GLOBALIZZAZIONE di Angela Arcuri

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n un’epoca come la nostra dominata da comunicazioni estreme e dalla cosiddetta globalizzazione, nell’ambito della moda le contaminazioni culturali sono più che mai il trend che guida gli stilisti siano essi affermati o emergenti. Le prime sfilate della primavera-estate 2018 ci mostrano ciò che molti giornali hanno definito come: “Il maschio è in crisi anche nella moda…” oppure “L’uomo in gonna!”. Come se in questo ci fosse qualcosa di rivoluzionario, di mai visto prima, mentre in realtà c’è un persistente ritorno all’antico. Dopo aver rivisitato gli ultimi due secoli non si poteva che guardare al passato più remoto. L’unica cosa, forse, che oggi possiamo considerare nuova è la tendenza a superare il dualismo di identità, perPIN K MAGAZIN E I T AL I A

tanto, avremo sempre più contaminazioni fra maschile e femminile, donne in pantaloni e uomini in gonna sono soltanto una conseguenza. Come si dice niente di nuovo sotto al cielo, semplicemente, un ritorno ad antiche mode. Fin dai tempi degli assiri, dei babilonesi, degli egizi gli uomini indossavano tuniche; i greci e i romani indossavano i pepli e le toghe sapientemente drappeggiati sui fianchi e sulle spalle; i cinesi e i giapponesi i loro meravigliosi kimono magistralmente ricamati e dipinti. Alla fine del Seicento abbiamo visto perfino le rhingrave, in pratica delle mutande che si stringevano con una coulisse a formare un volant sopra al ginocchio, molto usati dalla nobiltà dell’epoca; poi i kilt scozzesi, inventati nei primi anni ’30 del Settecento da un quacchero -

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tedesco trasferitosi nelle Highland, è divenuti una tradizione tipica; originariamente il kilt era un rettangolo di tessuto che si arrotolava sui fianchi come una gonna femminile e si portava sulla spalla a mo’ di cappa il tessuto eccedente. Un ritorno al mondo antico in tempi

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recenti nei quali tutto sembra correre verso una trasformazione epocale, ma in realtà, percorre strade già note. Insomma, come sempre è una questione culturale, l’unica cosa che dobbiamo salvare è il buon gusto per non cadere nel grottesco!

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- PINK MODA -

Italian (Men) Style Luca Mannocci

posa per Pink Magazine Italia a cura della Redazione

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Model: Luca Mannocci, actor Armani jeans, Emporio Armani, Giorgio Armani


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- FOCUS ON -

L’ANIMA DELLA

INNER SCULPTURE Giacomo Rizzo: un uomo, la sua arte di Cristina Pace

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ato che un’immagine vale più di mille parole, Giacomo Rizzo ha davvero molto da raccontare attraverso le sue sculture. La “Inner Sculpture” intima, affascinante, coinvolgente, ti guardi intorno e percepisci forza e fierezza, eleganza e imponenza. Un viaggio attraverso i suoi pensieri ed i luoghi che hanno scatenato le sue emozioni dando vita alle sue creazioni. Avevo scoperto le sue opere tramite un amico, facendo una breve ricerca sul web, avevo visto le foto di alcune sue opere che mi avevano colpito, così mi sono detta se una foto riesce a trasmettermi già così tanto, come mi sarei sentita a vederle dal vivo? E mostra fu. Giacomo Rizzo, un uomo, la sua arte, l’anima della “Inner Sculpture”. PIN K MAGAZIN E I T A L I A

Posso dirvi che Rizzo è uno scultore eclettico, che ha vissuto e lavorato in Italia e all’estero, arricchendo il suo bagaglio culturale e raccogliendo riconoscimenti e successi. L’Europa e gli Stati Uniti, infatti offrono moltissime opportunità agli artisti. Sebbene la loro tradizione culturale possa essere diversa e più o meno recente, ciò che colpisce, rivela Giacomo, è la burocrazia snella che permette l’immediata realizzazione di un progetto artistico. Quello che non conoscete ancora, però, è l’uomo le cui opere hanno viaggiato per tanto tempo, alcune hanno trovato il loro posto in giro per il pianeta, altre invece sono tornate qui, forse avevano nostalgia. A volte, infatti, dobbiamo o vogliamo semplicemente tornare a casa, riscoprire le nostre radici e perché no, metterne di nuove. Nella “Inner Sculpture”, Giacomo Rizzo si esprime in -

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tanti modi diversi, sia dal punto di vista stilistico, che per i materiali utilizzati, si evince una maturità crescente ed un unico filo conduttore... “la Natura”. Le forme espressive, le sue creazioni, tutto nasce da una storia, uomini, donne, luoghi e leggende, emozioni, ricordi, presente e passato che si intrecciano fra loro dando vita a qualcosa di unico, la natura che riproduce se stessa incantando e travolgendo. Il ciclo della vita come accennava Rizzo, nasci, ti formi, ti lasci l’adolescenza alle spalle, ti stacchi dalla famiglia e ti crei un tuo percorso, per poi tornare e sorridere dei successi conseguiti negli anni. Mi racconta che ha avuto sin da subito PIN K M AGAZINE I T AL I A

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chiaro quello che sarebbe il suo percorso di studi, da bambino vivace e creativo, costruiva cose e stracciava i compagni di scuola, passando per il liceo artistico arrivando all’Accademia delle Belle Arti, come studente prima e come insegnante dopo ;) “Non ti puoi svegliare, una mattina e sentirti artista, ma puoi studiare e fare della tua passione il tuo mestiere”.

Ogni opera parla e ha tanto da raccontare, non sono matta eh...provate e mi darete ragione... Giacomo Rizzo è ciò che fa, è nato scultore, supportato dalla sua famiglia, i cliché di solito, identificano gli artisti come dandy incalliti, il cui fine ultimo è la sregolatezza e spesso anche la “fannulloneria”... ma la vera sfida è uscire dalla massa ed emergere. La vera sregolatezza? Non omologarsi, non standardizzarsi ma continuare a fare e riuscire! Giacomo è un taciturno, ama ascoltare osservare, ma è anche caparbio, persino mentre studiava, andava contro i professori e faceva di testa sua, un autodidatta. Rizzo si mette in gioco sperimenta, ciò che vive quotidianamente influisce ed interferisce sia a livello conscio che inconscio sul suo stile, è un visionario, capta, precorre i tempi, intuisce, “annusa l’aria” e si mette a lavoro, fuori dai meccanismi, fuori dagli schemi. Il suo papà lo elogia sempre, mi racconta e lo ha dimostrato in mille occasioni. Uno dei giorni più emozionanti che ha vissuto Giacomo, è stato quando suo padre, un abile fabbro gli ha regalato uno dei suoi strumenti di lavoro preferiti, la sua incudine...in quel momento ha capito di averlo reso davvero fiero.

Giacomo è anche docente presso l’Accademia delle Belle Arti, lui indirizza i suoi studenti a seconda delle loro inclinazioni personali e del potenziale che vede in loro, imparando lui stesso da ciò che sperimentano. In molti casi un codice, una forma espressiva utilizzate per un pezzo si trasformano e si evolvono dentro l’opera successiva creando così un ciclo continuo di creatività. Mi racconta che l’artista ha da tempo, perso, quasi del tutto il suo ruolo nella società, l’arte dovrebbe essere fruibile per tutti, e non essere per pochi e di nicchia. Molti artisti vengono ingaggiati e del tutto, “snaturalizzati” in nome delle vendite, non più arte ma bensì merchandising. Non ci sono più correnti, manifesti ma singoli eventi dove l’artista perde il suo stile, l’impronta originale che lo caratterizzava mentre cerca di non rimanere fuori mercato, diventando, praticamente, solo uno dei tanti. L’artista dovrebbe rimanere fedele a se stesso ed alla sua ricerca estetica, rimanendo riconoscibile a chi lo segue e apprezza. Giacomo vuole trasmettere qualcosa di se stesso in maniera più o meno velata, una creazione dopo l’altra. Ci sono diversi strati di lettura di un’opera, mi racconta che la prima è data dall’impatto, dall’attrazione, un po’ come quando conosci una persona nuova, se qualcosa ti colpisce, cerchi di approfondire per capire se ciò che hai visto è reale o se ti sei solo illuso. Stessa cosa vale per l’arte, entri alla mostra sita in via dell’Incoronazione 11 (Palermo) e senti SBADADAM!

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Tutto parte da un’idea, la natura parla, il cervello elabora, le mani plasmano. Lui parla al materiale e il materiale parla a lui, accetta ciò che la natura gli dona, fa dei sopralluoghi che a volte durano dei giorni, vive il luogo, segue le tracce lasciate da coloro che vi sono passati prima di lui, storie, uomini, leggende e sceglie su quale porzione intervenire. A volte ritorna in alcuni posti a lui cari e il contrasto tra i suoi ricordi e le condizioni attuali dei luoghi, generano in lui la scintilla che lo porta a nuove creazioni. Giacomo rapisce l’anima dei luoghi e la incamera nelle sue sculture.

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Vi lascio un’ultima immagine, degli appunti di viaggio, come li chiama Giacomo, dei pacchetti legati fra di loro, realizzati nel corso degli anni, della sua ricerca sulla natura. I lacci indicano delle traiettorie emozionali,

dei viaggi che ha intrapreso, pezzi unici volti a formare un’unica creazione. Un’opera che racchiude pensieri, immagini, stralci di vita vissuta, cristallizzati in forme e sfumature, riuscite a vederci la mano di Dio? io sì...

Riferimenti: http://www.giacomorizzo.it Mostra "Inner Sculpture" Via dell'Incoronazione 11 Palermo 9-06-18/ 24-08-18 https://www.poloartecontemporanea.it/2018/06/05/inner-sculpture-scultura-interiore/ Catalogo: Giacomo Rizzo Inner Sculpture, Manfredi Edizioni. PIN K MAGAZIN E I T AL I A

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- COACHING -

I nostri non posso II di Simona Colaiuda

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noi stessi e il nostro valore è utile leggere libri che aiutino a migliorare la propria autostima o attraverso un percorso di coaching guidato come “Costruisci la tua felicità in tre atti” (Simona Colaiuda, Ed. Aloha, 2017). Qui voglio regalarvi un piccolo espediente: quando pensiamo di non riuscire a fare una cosa, perché pensiamo di non farcela, ad esempio: “Non posso accettare quel lavoro perché non sono all’altezza del compito”, proviamo a pensare di non farlo per noi, ma per gli altri, ad esempio legittimiamoci ad accettare quel lavoro pensando di farlo per qualcun altro oppure per esprimere al mondo il nostro personale contributo, attuare in concreto i nostri valori e il nostro personale modo di vedere il mondo. Legittimiamoci cioè a esprimere la nostra unicità e a lasciare il nostro personale messaggio, con l’obiettivo di contribuire a creare il mondo che vorremmo.

ul numero precedente abbiamo parlato dei tanti “non posso” che abitano i nostri pensieri e modellano le nostre azioni. Abbiamo anche individuato uno dei “perché” che li affianca e li giustifica: “perché non ho tempo”. Un altro frequente “perché” è: “perché non ce la faccio”. “Perché non ce la faccio” è un’altra giustificazione che usiamo con noi stessi. È pensare di non essere all’altezza a fare una cosa, perché non riconosciamo il nostro valore o pensiamo di non meritarci quella determinata cosa. La consapevolezza è l’unico esercizio che ci permette di distruggere i filtri che nel corso del tempo hanno distorto la visione delle cose e di noi stessi. I filtri della famiglia, degli amici, degli insegnanti, dei colleghi, della società. I filtri agevolano proprio gli automatismi mentali, i pregiudizi che danneggiano per primi noi stessi: i nostri pensieri, le nostre decisioni e, infine, le azioni che facciamo o non facciamo. Dobbiamo, quindi, ripartire da noi stessi. Per capire PIN K MAGAZINE I T AL I A

Vi aspetto sul prossimo numero. Arrivederci. -

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- FOCUS ON -

Giulia Sofia Paolucci

Giovane e dalle idee molto chiare di Manola Mendolicchio

Attrice all’inizio della sua carriera teatrale e cinematografica, Giulia Sofia Paolucci ha già però al suo attivo collaborazioni importanti: Leonardo Pieraccioni, Il professor Cenerentolo, e Luca Trovellesi Cesana, Maria Maddalena - I segreti rivelati

Da poco è finito il Festival del Cinema di Venezia. Che differenza c’è tra un lavoro teatrale e un lavoro cinematografico? Un attore di teatro che si presta al cinema, o viceversa, ritroverà molte affinità ma allo stesso tempo altrettante differenze. Una è data dallo “stare in scena” dell’attore: su un palcoscenico è tutto un po’ amplificato, a partire dalla voce che va “portata” – perché altrimenti gli spettatori in fondo alla platea non riuscirebbero a seguire lo spettacolo nello stesso modo di chi è in prima fila – a un’“azione fisica”, o gesto che sia, che per lo stesso motivo dev’essere in qualche maniera accentuata. Un’altra differenza è la messa in scena: in un progetto cinematografico dipenderà molto dal modo di lavorare del rePIN K M AGAZINE I T AL I A

gista che potrà decidere se dare o meno libero arbitrio all’attore nell’interpretare ogni scena; se questi dovesse avere più libertà potrà anche darsi che la scena sia buona alla prima ripresa; se invece, come spesso accade, dovesse ritrovarsi a dover seguire strettamente determinate indicazioni del regista, l’interprete, una volta messe in atto, dovrà riproporle in egual modo nei ciak successivi, onde evitare problemi di raccordo in fase di montaggio. A teatro al contrario l’attore ha un rapporto molto più diretto con lo spettatore, non dovrà rendere conto alla macchina da presa, anzi a ogni spettacolo egli potrà permettersi di aggiungere qualcosa di nuovo all’interpretazione del proprio personaggio. Ma poi ci sarebbe da parlare per ore delle analogie e differenze. -

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La formazione per le due realtà è la stessa oppure vi sono differenze? Di base la formazione dovrebbe essere più o meno la stessa, lo studio della voce, del proprio corpo in ogni sua parte, la dizione. A teatro l’attore, oltre ad avere un rapporto con le persone con le quali è in scena in quel momento, ha anche un rapporto più diretto col proprio pubblico, come ho già detto. Dall’altra parte, in un lavoro cinematografico l’interprete viene guardato sì ma dagli addetti del mestiere, che fanno un po’ da pubblico, ma dei quali si deve dimenticare per arrivare a una sorta di “solitudine pubblica”. Secondo il mio punto di vista un Attore, completo, è capace di destreggiarsi sia in un campo sia nell’altro, a PIN K MAGAZIN E I T AL I A

seconda del tipo di progetto. E questo discorso non vale solo per l’Italia; basti pensare a colossi di attori stranieri, come Meryl Streep, Sean Penn, o che so… Gary Oldman, i quali hanno iniziato proprio col teatro, si sono poi cimentati anche nel cinema, fino a raggiungere progetti e riconoscimenti a livello internazionale, diventando icone mondiali.

Quale dà più emozione? Secondo me l’adrenalina che un attore avverte prima di entrare in scena sul palco può essere paragonabile a quella che prova prima di ritrovarsi di fronte alla macchina da presa durante la realizzazione di un progetto cinematografico; allo stesso modo, concluso lo spetta-

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Che cosa vuol dire fare l’attrice oggi? Vi sono differenze con le attrici del passato? Io credo che l’arte sia qualcosa in continuo mutamento; noi stessi esseri umani siamo i primi a cambiare ogni giorno. È una sorta di sviluppo, di crescita, di apertura verso il nuovo. Il mondo cambia e con questo anche il cinema, il teatro, come pure la visione della figura di attrice, con il suo fascino, la sua eleganza e la sua bellez-

colo, l’interprete, avendo udito un caloroso applauso da parte del pubblico, proverà una forte gratificazione che sarà paragonabile alla gioia data da un applauso in sala al termine della prima del suo film. Situazioni diverse, ma entrambe regalano forti emozioni. Per quanto mi riguarda, al momento il mio sogno più grande è quello di lavorare nel cinema, di cui sono appassionata sin da quando ero bambina, però in futuro non si sa mai… PIN K M AGAZINE I T AL I A

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za, mutevoli nel tempo. Qualche decennio fa la maggior parte delle attrici erano donne che prima di essere “scoperte” conducevano una vita molto semplice, non avevano l’ambizione di recitare, venivano trovate per caso. Adesso è diverso, la maggior parte delle persone che vuole fare questo mestiere studia, sceglie di formarsi per imparare la tecnica, raffinare la dizione – altra cosa che prima non era considerata –, migliorare i punti deboli e potenziare quelli di forza.

che il mondo dello spettacolo ne è rimasto coinvolto e tanto si è fatto perché non ci fossero più delle discriminazioni nei confronti delle donne. Ciò non toglie che ancora si può fare per migliorare e non parlare più della questione femminile nel campo dell’arte, così come in altri ambiti.

Come si svolge una giornata tipo di un’attrice in cerca di un ingaggio o quando si è già parte di un cast? Mi risulta un po’ difficile descrivere una mia “giornata tipo”. Di base solitamente leggo, opere teatrali, romanzi, e i miei generi preferiti; vado a vedere spettacoli interessanti suggeriti da amici cari. Chiaramente poi cerco di guardare più film e serie tv possibile – cosa che per un attore non è solo un semplice passatempo, bensì è fondamentale, un oggetto di studio a tutti gli effetti – dai generi più disparati. Tutto ciò quindi che può, oltre

Ci sono professioni dove essere donna è una discriminante. Per secoli questo problema c’è stato anche nel mondo dello spettacolo. Oggi che cosa succede? Come detto prima il mondo è in continua evoluzione, così come anche il modo di pensare e di approcciarsi della società al mondo e alle questioni femminile, se di una questione femminile vogliamo parlare. Dunque anPIN K M AGAZIN E I T AL I A

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Che rapporti si creano tra colleghi? Di fatto non è un mestiere come gli altri, si è molto più a nudo a livello emotivo, questo potrebbe portare a un maggior coinvolgimento tra colleghi, cosa che di solito non avviene in altre realtà lavorative. Lo spettatore vede un progetto soltanto quando questo è ultimato; ma al di là di ciò che è nell’effettivo un film, o rappresentazione teatrale che sia, c’è un lavoro molto grande alle spalle. Durante i giorni, i mesi di duro lavoro, costante è lo scambio di energia fra gli interpreti. Di conseguenza si viene a creare un profondo rapporto, un continuo dare e ricevere; e per fare questo ci vuole fiducia, conoscenza. Non si può fingere, ne’ ci si può nascon-

che accrescere le mie conoscenze, stimolare la fantasia. Può capitare che un determinato “materiale” possa servirmi adesso, come un domani. Diversamente, se so già di essere all’interno di un progetto, incontro il regista – quando è possibile – per scambiare idee, cercare di capire la sua visione e parlare della mia. Mi concentro sul ruolo che mi è stato assegnato, facendo ricerche il più specifiche possibile su quello che riguarda quella figura, compreso il determinato contesto in cui si muove. Mi affido a tutto ciò che mi hanno trasmesso i miei insegnanti con le loro esperienze, e poi mi affido alla mia sensibilità, ai miei vissuti e quel “non conosciuto” che non so definire, ma che ogni volta mi aspetta. PIN K MAGAZINE I T AL I A

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dere, non si può ne’ giudicare ne’ sfuggire alle azioni del nostro personaggio. Si è “costretti” a mettersi a nudo di fronte all’altro più di quanto si faccia nella vita reale, e in meno tempo. Per cui sì, secondo me tutto ciò può portare a un coinvolgimento talmente grande che gli attori possono finire per frequentarsi anche al di là del contesto lavorativo; perché alla fine è sempre la frequentazione che fa approfondire i rapporti fra le persone, di amicizia o di altro genere che sia. Naturalmente questo è solo ciò che penso io, in base alle esperienze lavorative che ho vissuto e alle relazioni che si sono create.

sembrare paradossale che l’interprete in scena riesca a far vivere personaggi dal carattere forte, disinibiti, nei quali non è avvertita alcuna timidezza dallo spettatore, a differenza di come la persona può essere nella vita. I motivi possono essere molteplici, primo fra tutti è il fatto che nella vita di tutti i giorni ci si espone in prima persona, per cui spesso si teme il giudizio degli altri; in scena l’attore è sotto gli occhi degli spettatori, ma lì non è se stesso che espone, bensì il personaggio che interpreta, il quale vive, agisce, e prova emozioni. Di conseguenza l’attore in scena, non sentendosi giudicato ne’ da se stesso ne’ dagli altri, può permettersi di divertirsi, è libero, e come un bambino può “giocare” – come diceva sempre Monica Vitti: “Recitare è l’unico modo che ho per prolungare la mia infanzia.” pur avendo la maturità di prendere la propria professione seriamente. Per quanto mi riguarda ogni volta che studio un ruolo regalo qualcosa della mia persona – oltre ovviamente alla mia attrice – al personaggio che vado interpretare, il quale a sua volta regala qualcosa di sé alla mia persona. E posso dire con assoluta fermezza che la recitazione finora mi ha aiutata moltissimo – e mi sta aiutando ancora – a superare tante paure ed insicurezze. Se non avessi intrapreso questo percorso non sarei la persona che sono adesso.

Chi sono, a tuo avviso, le figure umane che si approcciano al mestiere di attore? Spesso dalle interviste sentiamo molti dire di essere in fondo persone timide; come si può sposare questo modo di essere con il fare l’attore. Secondo me l’attore, e più in generale l’artista, sente un qualcosa di forte dentro di se’, che non è detto che sappia definire. C’è chi la chiama vocazione, c’è chi semplicemente va alla ricerca di cosa possa essere. “L’arte è rappresentazione,” come diceva Monica Vitti, una delle attrici che più ammiro, “è vivere di più, è idealizzare, trasfigurare, aggiungere emozione alle emozioni, aggiungere passione alle passioni.” Dove finisce la rappresentazione finisce la realtà, per questo un attore sente il bisogno di recitare. È vero che quello dell’attore è uno dei mestieri più esposti al mondo, per cui potrebbe PIN K M AGAZIN E I T AL I A

Tu come sei arrivata a scegliere questo mestiere? Eh, “mestiere” è un parolone, diciamo che ci sto provan-

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do. Non posso dire di aver intrapreso un percorso facile, ma è anche vero che ogni piccola conquista dà una grande soddisfazione. Comunque, tornando alla domanda, la mia non è stata una scelta, è una passione. E una passione non si comanda, se la ascolti è lei che guida...

spirito, il quale a sua volta influenza la mente, e viceversa, dal corpo. Durante il mio percorso gli insegnanti mi hanno dato modo di capire quanto fondamentale, vasto, è per un attore il lavoro sul proprio corpo. Proprio come la parte interiore, esso deve essere sempre allenato, preparato, pronto ad affrontare il personaggio in tutte le sue sfaccettature. Uno degli obiettivi per un attore è arrivare ad avere la piena consapevolezza del proprio corpo. Il corpo è presenza, averlo significa “essere visibile”, e mentre sei in scena devi sapere che gli altri ti guardano, in ogni più piccola azione o movimento che esegui; per fare un buon lavoro quindi bisogna essere pronti. Mi viene in mente una frase della mia insegnante, Gisella Burinato, che riassume questo concetto: “Il corpo è un termostato che porta alla vera visione di un qualcosa.”

Rifaresti la stessa scelta e ti sentiresti di consigliarla? Per le esperienze stupende che ho vissuto sono certa che la rifarei. Ma direi anche per le delusioni che inevitabilmente ci sono state e che ho affrontato, perché mi hanno fatto crescere e migliorare. Però non potrei mai consigliare un qualcosa che si basa sulla passione; questa o la senti forte dentro o non puoi seguirla.

I famosi compromessi, di cui si sente spesso parlare, sono necessari? Assolutamente no. Sicuramente ci sono anche persone che giocano molto sul rapporto debolezza-potere, ma già chi fa determinate proposte perde di professionalità e serietà, a parer mio. Per fortuna chi agisce in questo modo è solo una minoranza. Per i progetti cui ho preso parte non sono mai scesa ad alcun compromesso. Sono molto grata a chi, avendomi dato l’opportunità di mettermi in gioco, ha creduto in me e mi ha spronata a dare il massimo. Parlo in base alla mia esperienza, ma certo è che affinché persone che la vedono come me possano sperare che questa sia la loro strada è necessario continuare a credere con tutto il cuore che la gran parte degli addetti al settore abbia scelto questo mestiere perché guidato dagli stessi ideali. A questo proposito non posso non ringraziare chi mi ha fatto “nascere” artisticamente, chi mi ha fatto e mi sta facendo crescere; chi durante queste esperienze mi ha lasciato qualcosa di se’. Oltre alle persone che mi sostengono ogni giorno, ringrazio in particolar modo i “miei” registi: Leonardo Pieraccioni e Domenico Costanzo (Il professor Cenerentolo, 2015) e Luca Trovellesi Cesana (Maria Maddalena – I segreti rivelati, 2017).

Quanto conta in generale lo studio per poter fare l’attore? Penso sia tutto. È fondamentale incontrare validi insegnanti e persone del campo che ti sappiano fornire i giusti strumenti che portino ad aprire, e poi ad abbattere l’involucro che sta a proteggere la parte più nascosta, la più intima; quell’involucro che piano piano viene a crearsi per le difficoltà che ogni giorno la vita presenta. Arte è anche sinonimo di libertà. Potendoci affidare prima di tutto al nostro “sentire”, essa ci dona la possibilità di essere sinceri, come diceva Monica Vitti: “Recitando si può fare di tutto, dire di tutto, diventare di tutto; puoi non invecchiare mai ed essere chi vuoi essere.” Penso, però, che lo studio non debba essere inteso solo come “tecnica”, bensì anche come mezzo di “conoscenza”, in senso lato, partendo da noi stessi. Solo in questo modo potremo conoscere le nostre paure più celate, prendere atto dei nostri limiti. Saremo a faccia a faccia con noi stessi, e avremo anche modo di affrontare questioni con persone della nostra vita, del nostro passato o presente che sia, che fino a ora per qualche ragione non abbiamo potuto o voluto risolvere. Questa è la magia della recitazione ed è proprio questo che più mi affascina. Poche le certezze, non si può mai dare niente per scontato; è una continua ricerca, un cammino durante il quale non si smette mai di imparare.

Oltre allo studio delle parti, la cura del corpo e dello spirito per un attore quanto conta? A questa domanda mi viene spontaneo pensare alla celebre frase latina “mens sana in corpore sano”. E la condivido appieno, penso che non si possa scindere lo

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Johara Liguori Arte a 360 gradi a cura di Gordon Fanucci

Livornese di nascita, ma laziale nelle vene, cresce e studia a Livorno dove inizia a dipingere. Ama tutto ciò che è arte: musica, fotografia, pittura, teatro, moda, spettacolo.

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Quando è iniziata la tua attività artistica? Ho iniziato a dipingere sin da piccola. Direi da adolescente, all’età di 12 anni circa. Dipingevo e regalavo, non tenevo mai molte opere per me.

in modo specifico... è un’energia che che nasce dentro, prende vita materialmente tra le tue mani e si trasferisce sulla tela, sul foglio.

La serie degli autoritratti è davvero interessante: quale tecnica hai usato? Uso solitamente colori ad olio e la spatola, a volte anche l’acrilico, dipende da cosa voglio creare. Solitamente dipingo direttamente su tela, senza fare bozze o schizzi preparatori.

Il tuo artista preferito? Amo Caravaggio, Picasso, Gauguin, Monet e sicuramente Klimt.

Cosa ispira il tuo lavoro? Qualsiasi emozione. Non saprei definire l’ispirazione

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“Amo l’arte e tutte le sue forme: attraverso di essa l’uomo esprime il proprio essere senza maschere, in maniera pura ed essenziale.” PIN K MAGAZINE I T AL I A

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Cosa consigli ai giovani artisti, scrittori, musicisti? Consiglio di non abbandonare mai le proprie passioni, di coltivarle ogni giorno senza mai perderle e di essere consapevoli delle proprie potenzialitĂ . A cosa stai lavorando in questo momento? A una rivisitazione di un quadro di Klimt.

Il tuo book of all time? Potrei citarti decine di libri :) Vediamo... La scoperta della tomba di Tutankhamon di Howard Carter, Il codice da Vinci di Dan Brown, Il codice dei templari.


- DIS-ORDINARIA -

Quello che le ragazze normali (ma che si sentono un po’ speciali) devono sapere

Dare i nomi alle scarpe di Felicia Kingsley

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trovano in ogni dove, ma solo nei suoi flagship o in boutique convenzionate a tenere il marchio. Nella mia città, abbiamo il caso numero due e si tratta di un atelier di alta-alta moda. Così alta che le clienti non vanno in negozio per fare acquisti, ma le personal

uesta è una cosa che, quando l’ho scoperta, mi ha lasciata scioccata per una settimana. Risale al tempo in cui ho acquistato il mio primo, ambitissimo, paio di Christian Louboutin. Chi conosce Mr. Loubou, sa che le sue calzature non si PIN K MAGAZIN E I T AL I A

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L’altezza:

shopper portano le collezioni direttamente a domicilio per farle provare alle “amiche” (perché in questi negozi non si è clienti, si è “amiche”) nella comodità di casa. Motivo per cui, quando sono entrata nel negozio, a parte me e le assistenti (in questi negozi non ci sono commesse, ma solo assistenti), non c’era nessun altro. Non pensavo di scatenare l’ilarità del pubblico, quando ho detto che intendevo acquistare un paio di Louboutin e alla domanda “Che tipo di Louboutin?”, ho risposto: “Décolleté”. Mi hanno mitragliato con una scarica di parole che mi ha sconvolto: “Pump? Stiletto? Platform? A punta? A mandorla? Tonda? Peep?” Ho resistito dal ribattere: “Per me è la cipolla”, limitandomi a perdere lo sguardo nel vuoto, come quando a scuola la prof mi richiamava chiedendomi: “Mi ripeti l’ultima frase che ho detto?”, e fino a un secondo prima io ero impegnata in una sfida di sudoku estremo con il mio compagno di banco. L’assistente mi ha guardato in un misto tra compassione e tenerezza, un po’ come le PR guardano le quindicenni che entrano in discoteca per la prima volta. E lì è avvenuta la mia iniziazione alla segreta sorellanza delle conoscitrici di nomi delle scarpe. Sì, le scarpe hanno nomi che ne definiscono le caratteristiche con precisione e se anche tu, un giorno, aspiri a uscire da una boutique con la tua scatola di Loubou, Jimmy Choo o Manolo nel sacchetto, farai meglio a conoscerli (se non altro per non fare la mia stessa, patetica, figura).

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Flat: zero tacco, scarpa rasoterra assimilabile alla ballerina; Kitten: tacco minimo di 3-4 centimetri, trés bon-tòn; Pump: tacco da 8-10 centimetri (essenziale come l’aria nel guardaroba di ogni donna); Stiletto: tacco a spillo rigorosamente 12 cm. E sei subito Kate Moss; Platform: o per les français il plateau, che sotto la pianta del piede ci aiuta a sopportare anche un tacco 15-16-17… Chi più ne ha…;

Il tacco: - - - -

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Cono: nessuna spiegazione necessaria per il caro e intramontabile tacco retrò anni ’50 da diva di Hollywood; Chunky: cilindrico o rettangolare, questo tacco è bello largo e regala stabilità anche alle scarpe più alte; Ad artiglio: tacco sottile e dalla forma ricurva (bisogna dirlo, ci vuole un master per portarlo); A rocchetto: anche questo ha un sapore vintage e sicuramente le nostre mamme ne hanno un paio. Sono quelli larghi in cima e alla base, ma stretti nel mezzo. Zeppa: non slanciano come uno stiletto, ma sono comodissime. Le preferite di Kate Middelton (anche se The Queen non approva);

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La punta: -

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Cinturini:

Pointy-toe: letteralmente “alluce a punta”. Quelle per schiacciare gli scarafaggi negli angoli, per intenderci. Mooolto di moda nei metà anni 2000 e in prepotente ritorno; A mandorla: meno aguzze delle pointy, leggermente arrotondate, regalano un bello stacco di gamba senza essere volgari; A punta tonda: effetto bambolina assicurato. Chiedete a Blair Waldorf (non avete mai visto Gossip Girl? Correte ai ripari!) Peep-toe: altro grande classico must-have, la scarpa aperta davanti. Mi raccomando, occhio alla pedicure, deve essere impeccabile! D’Orsay: aperte su entrambi i lati (senza cinturino). Vietato sbagliare il numero! Perdersele è un attimo.

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Per descrivere esattamente la scarpa che volete, basta combinare i nomi di altezza+forma del tacco+forma della punta+(eventualmente) posizione del cinturino.

sa (pardon, assistente) vi guarderà con occhi lucidi di gratitudine, ma vi mostrerà esattamente le scarpe che avete in mente. E vi sarete assicurate una calorosa accoglienza per il vostro prossimo acquisto. In fondo, noi ragazze normali, con le scarpe giuste, ci sentiamo un po’ speciali.

Ed ecco che al “Vorrei una Mary Jane, punta a mandorla, con un tacco kitten a rocchetto” non solo la commes-

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Mule: aperta dietro senza nessun cinturino; Mary Jane: l’iconica scarpa di Manolo con il cinturino che si allaccia sul collo del piede; T-Strap: come sopra, ma con l’aggiunta di un cinturino verticale, a disegnare la forma di “T” sullo scollo della scarpa. Gusto anni ’40, regala eleganza a qualsiasi outfit; Slingback: c’è chi le ama e chi le odia, sono quelle con il cinturino che gira dietro il tallone. Io le amo; Alla caviglia: il cinturino gira intorno alla caviglia e pur bellissime, accorciano la gamba, quindi cautela con gli abbinamenti.

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- BOOK REVIEWS -

Divorare il cielo di Alessandra Penna

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arrare dettagliatamente le vicende di Divorare il cielo sarebbe impresa ardua e svelerebbe quel che il lettore avrà il desiderio di scoprire, pagina dopo pagina. Ovvero la storia di tre ragazzi, adolescenti e poi adulti, che attraversano insieme una vita fatta di scelte estreme. Come estremo, per una parte di loro, è stato il modo di vivere: Nicola Tommaso e Bern crescono in una masseria insieme a Cesare, una sorta di Santone che li ha isolati dal mondo, vivono senza tv, radio, giornali, in simbiosi con la natura e il messaggio del Vangelo. Finché Teresa, la ragazzina della masseria accanto, una torinese che trascorre le vacanze in Puglia, non fa irruzione nelle loro vite, conquistando, dal primo sguardo, Bern. Il mondo chiuso della masseria però è destinato a incrinarsi, così come il rapporto con il padre, Cesare, è destinato a evolversi in dissidi che lo comprometteranno. Divorare il cielo sa raccontare la mancanza dei padri, la loro ricerca, l’idealizzazione, il rifiuto. E forse la riconciliazione, anche se sempre in modi estremi e fuori tempo. Tutti in questo romanzo cercano un padre, e insieme al padre anche il senso che riempia esistenze nate strane. Un senso ricercato PIN K MAGAZINE I T AL I A

e mai trovato, che costringe a superare ogni volta i limiti: della natura, del proprio corpo, a volte anche della legge. Non inganni l’uso dell’aggettivo estremo: niente in questo romanzo è fastidiosamente iperbolico. E lo si deve alla bravura del suo autore: Giordano ha costruito personaggi poliedrici e verosimili. Li ha immersi in un contesto studiato, coerente. Ma soprattutto li ha animati di passioni assolutamente credibili, anche quando borderline. Non c’è mai un dialogo fuori posto, una frase scontata o banale. Orchestrare una narrazione così polifonica non è facile e ammetto che andando avanti nel romanzo più volte ho temuto una caduta. Non l’ho trovata. Il trio iniziale lascia entrare al suo interno un quarto elemento, poi si trasforma in sestetto, senza che le voci sembrino troppe. Perché ognuna ha un timbro riconoscibile e insieme capace di formare un gruppo. Ma soprattutto ogni figura è così sfaccettata che non si può mai essere certi di averla compresa fino in fondo. Ecco perché la pagina si divora, perché non c’è mai niente che paia al lettore definitivo. Ad eccezione, credo, di un amore che attraversa la storia dall’inizio alla fine e su cui il lettore non cede mai al dubbio. -

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‹‹ La forza di Domenico Notari è sempre stata quella dell’artigiano (il sarto, il ceramista, il vetraio) che si siede davanti alla materia grezza e sa che il raggiungimento della forma desiderata è solo una questione di tempo.

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Sandro Veronesi

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9 La rabbia del rivale Intervista a Domenico Notari a cura di Luigileone Avallone

Domenico Notari, scrittore e architetto, vive e lavora a Salerno. I suoi racconti sono apparsi sulle principali riviste italiane, statunitensi ed elvetiche: “Nuovi Argomenti” “Linea d’ombra”, “Achab”, “Webster Review”, “TriQuarterly”, “Viola”, e sono stati trasmessi dalla Radio Svizzera. Ha pubblicato i romanzi, L’isola di terracotta (finalista premio Oplonti, Avagliano, 2000) e 9, la rabbia del rivale (Castelvecchi, 2018). È autore del documentario a puntate per Radio RAI Salerno, un archivio della memoria. Ha insegnato scrittura creativa all’Università di Salerno e conduce il laboratorio L’officina del racconto.

Parliamo subito della tua ultima uscita, edita da Castelvecchi: 9, la rabbia del rivale, che ho potuto apprezzare ancora in bozza: di godibilissima lettura e scritta in una lingua sontuosa. Cosa ti posso dire... è un romanzo complesso che sfugge a una catalogazione. È un romanzo storico su due livelli temporali ambientati a Napoli, il Settecento di Carlo di Borbone e gli anni di piombo, che si mescolano e intersecano continuamente. Ma non solo: è una storia d’amore e di erotismo, un saggio di architettura, un noir, un giallo e una storia sull’arroganza del potere. Ma forse è meglio accennare alla trama, senza rivelarla troppo perché ricca di sorprese e colpi di scena e nel finale si colora di nero. In un clima claustrofobico in cui si sovrappongono violenza e ideologia politica estremista, il giovane Silvestro Donnarumma decide di partecipare al concorso per assistente ordinario presso la Facoltà di Architettura. Da cane sciolto qual è, intraprende una ricerca sull’architetto settecentesco Mario Gioffredo, prima famoso e poi PIN K MAGAZINE I T A L I A

dimenticato in seguito alla misteriosa scomparsa dei suoi disegni. Tra questi, quello della reggia di Caserta, attribuita ingiustamente al suo nemico, Luigi Vanvitelli. La ricerca diventa un vero e proprio romanzo che suscita le ire del professor Scarpati, il quale estromette il giovane. Questi decide di vendicarsi, elaborando un piano astuto che coinvolge il fantasma del grande compositore E. A. Mario, l’autore de La canzone del Piave, e un sedicente gruppo eversivo. Vent’anni dopo, Donnarumma svelerà il mistero dei disegni scomparsi.

Qual è il tuo scrittore preferito? Sono tante le scritture e gli stili che amo, non è possibile concentrarli in un nome solo. Ci sono scrittori che mi hanno rapito nelle giornate soleggiate dell’infanzia per intere settimane e quelli che lo hanno fatto, per qualche momento, nelle giornate uggiose della vita adulta. Ci sono poi quelli che sono stati, o lo sono ancora, maestri di vita, e quelli che mi hanno insegnato semplicemente i trucchi del mestiere. Ognuno è nella mia lista dei preferiti. -

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Il tuo primo grande successo è stato L’isola di terracotta: cosa ha ispirato il libro? Anni fa mi trovai fra le mani quello che sembrava il solito volume d’arte. Al titolo non avevo neanche fatto caso. Sfogliandolo, però, restai incantato: sfilavano sotto i miei occhi, caldi e pastosi, squillanti arancioni, verdi profondi, blu marini. Patine cangianti di antica ceramica vietrese ormai irriproducibile perché si erano persi gli smalti e i forni a legna. Provai una nostalgia fortissima e un gran desiderio di felicità perduta e inattingibile. Forse perché a Vietri sul Mare, io, campagnolo, ci andavo da bambino tutti gli anni d’estate. A suscitare queste emozioni erano state le ceramiche di Irene Kowaliska, di Marianne Amos, di Margarete Thewalt, di Riccard Dölker: i “tedeschi” che si stabilirono in Costiera negli anni Trenta del Novecento e fondarono la colonia di artisti che rinnovò la ceramica di Vietri e la rese famosa nel mondo. Così, in questa atmosfera di fermento, a contatto con personaggi singolari e affascinanti – ne approfitto per raccontarla –, si dipana la storia di Michele Procida, apprendista nella faenzera paterna; dai primi turbamenti dell’adolescenza (quando tra avventure salgariane e buffe dichiarazioni d’amore contende al coetaneo Aniello le attenzioni della bella Tommasina) alle speranze giovanili di una nuova arte. Fino all’amore per l’ebrea Gertrud, intenso e drammatico. Una storia in bilico fra eventi reali (l’emigrazione, la Guerra Mondiale, l’alluvione del ‘54) e narrazioni favolose (l’invenzione della porcellana, la nascita del chiostro maiolicato di Santa Chiara, il viaggio di Turner ad Amalfi, il pavimento a petali di rosa di Filippo Palizzi, la cena a cavallo al ristorante Sherry di New York)... Insomma, un romanzo di formazione e l’epopea di un popolo di ceramisti. Il libro, grazie alla suo discreto successo, sta per uscire con un nuovo editore. PIN K MAGAZIN E I T A L I A

Cosa cerchi di portare nei tuoi libri? Prima di tutto cerco di rapire i miei lettori, come fecero con me gli scrittori preferiti: far vedere, toccare, odorare, gustare, udire e altro ancora grazie a una semplice pagina di carta. E poi far piangere e far ridere (o forse solo sorridere, la comicità scritta è quasi impossibile), indicare percorsi inediti e obliqui, far percepire il mondo a testa in giù, guardandolo dal basso, le mani a terra, i piedi in aria. E mai pretendere di insegnare. Cosa consigli ai giovani artisti, scrittori, musicisti? Di osare, di andare controcorrente, senza smettere mai di “leggere” l’arte, la letteratura, la musica (tutte insieme le espressioni artistiche) dei grandi, senza distinzioni settoriali. Gli scrittori, per esempio, dovrebbero solfeggiare mentre costruiscono le frasi e i periodi e immaginare con gli occhi di un Picasso, di un Modigliani, di un Balthus... quando descrivono. A cosa stai lavorando in questo momento? A una saga familiare: quella della mia famiglia, vissuta sempre nella stessa casa secolare. È la storia di una particolarissima “consegna”, che passa di generazione in generazione, come una sorta di testimone, e che marchia e rende unica la famiglia. Al momento si intitola La casa degli armadi chiusi e ha ricevuto già delle proposte editoriali. Gli armadi sono sprangati, per nascondere gli scheletri e i segreti di famiglia. Solo l’ultimo discendente, il protagonista, riuscirà a spalancarli, risanando se stesso e la casa. Il tuo book of all time? L’Odissea, L’asino d’oro, Il Don Chisciotte, Il buon soldato Sc’vèik, Figli e amanti, Ho servito il re d’Inghilterra, L’insostenibile leggerezza dell’essere... Scegli tu.

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Quando l’Arte è tradotta in parole. La storia, la pittura, la vita, si fondono per creare un’unica emozione. La storia è affascinante e costruita su un doppio binario spazio temporale (tra la Roma del Cinquecento e la Parigi di oggi) a incastro, strato su strato: sovrapposti come quelli che un bravo restauratore deve rimuovere per recuperare l’opera originale che si disvela in tutto il suo splendore. Accanto alla vicenda privata e pubblica di Raffaello, che si sviluppa a ritroso, corre parallela quella di una restauratrice, Bianca, ambientata al giorno d’oggi, la cui vita è strettamente legata all’arte e allo sfortunato pittore urbinate per diversi motivi.

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- BOOK REVIEWS -

La piccola bottega di Parigi di Francesco Topi

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l romanzo La piccola bottega di Parigi di Cinzia Giorgio (pubblicato il 30 agosto 2018 dalla Newton Compton) è un vibrante olio impressionista attraversato dal vento di maestrale. La scena iniziale è quella di una vita che scivola calma e tranquilla, automatica, su una superficie immersa nell’impalpabile mielosa nebbia della quotidianità che omologa le esistenze: come un “Truman show”. Fino al punto di rottura. Allora pian piano, con la fatica e la sofferenza dell’autrice e dei suoi personaggi, la nebulosa finzione comincia a diradarsi per lasciare progressivamente, improvvisamente apparire antiche ombre fin lì rimaste affogate nella nebbia, comoda per costruire un’esistenza dai colori polverosi ma socialmente apprezzata e condivisa. Così il vento comincia a soffiare e come il maestrale arriva dal quadrante di nord-ovest, da Parigi e giunge a Roma e Napoli. Tutti luoghi amati dall’autrice: a Napoli ha compiuto i suoi studi, a Roma vive talmente partecipe della città da aver scritto un pamphlet su come viverci bene, Parigi dove batte il suo cuore e spesso torna per rigenerarsi. A dispetto delle resistenze perbeniste del sistema, la protagonista sceglie di farsi prendere da quel vento fino ad incarnarlo: Mistral non a caso è il cognome per lei scelto dall’autrice! Decisa a far pulizia dentro e fuori di sé, con la progressiva accelerazione propria del maestrale, solleva la foschia che tutto nasconde e tutto omologa, obbligando e al tempo stesso consentendo a ciascuno, purché disposto ad accettare la mareggiata, di definirsi nei suoi profili di verità e, passato il vento, ai superstiti di costruire tutti insieme, ora intorno ad un solido pilastro, una struttura di realtà sicuramente più promettente, perché passata sotto la forca caudina dell’accettazione dell’ego. Esattamente come alla fine del maestrale: ogni cosa appare nella sua esatta dimensione e collocazione, il quadro non è più piatto, perché la chiarezza rido-

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nata ai contorni delle cose e delle persone consente di percepire tutta la profondità e la bellezza dell’orizzonte che si para davanti all’osservatore-lettore: dopo aver nel presente fatto i conti col passato, ora si para dinanzi finalmente il futuro; quello vero in cui è possibile realizzare i sogni. L’innato stile linguistico della scrittrice, semplice, chiaro ed essenziale, e la struttura del racconto, che si sviluppa in un crescendo rossiniano col ritmo del maestrale, fanno sì che la narrazione si sviluppi mediante pennellate cariche di tutti i colori possibili vibrate en plain air, proprio come in un dipinto impressionista. Con la tecnica del flashback, la scrittrice progressivamente disvela lo sfondo della scena, definendolo e legandolo indissolubilmente e funzionalmente all’attualità che parallelamente sviluppa e delinea in maniera non meno vibrante sotto gli occhi del lettore. In tal modo, con consapevolezza e volontà, sin dal primo flashback attiva nel lettore una vibrazione incalzante, crescente e coinvolgente (il maestrale, insomma) al punto tale che, acchiappato nell’anima e col respiro spezzato, gli occhi quegli riuscirà a sollevare dal racconto solo all’ultima parola dell’ultima pagina, dopo aver ricevuto il dono della catarsi ed essere stato catapultato nel suo ‘qui e ora’ con tutta la forza per affrontare la sua nebbia. Ma i flashback compiono un’altra missione. Intrecciano funzionalmente e indissolubilmente la vita di personaggi contemporanei in cui ciascuno di noi può agevolmente identificarsi, nel bene e nel male, con quella di persone realmente e ufficialmente iscritte a icone della storia (Coco Chanel). Così con sagacia, conoscenza storica e piena consapevolezza, Cinzia Giorgio conferisce senso, densità e forza al motto “la Storia siamo Noi”, compiendo un’operazione di antropologia culturale di non poco momento, dando voce al silenzio del background della Storia, alle così dette “persone comuni”.

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News dal mondo Romance di Silvia Cossio

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armony si tinge di colori più accesi e ci presenta la nuova collana OFF LIMITS. Romanzi rosa che ci faranno sognare, come nello stile Harmony, ma più “piccanti”. Quindi, appassionati lettori, diamo il benvenuto a HARMONY PRIVÉ. “É una collana molto audace, sensuale e intrigante” af-

ferma Laura Donnini la proprietaria del marchio. La nuova collana prevede 14 titoli all’anno, debutta con quattro, per proseguire con cadenza bimestrale con due. I primi romanzi sono già disponibili su eHarmony. it, a breve anche nei principali store.

Titolo: Sette giorni di fuoco Autore: JC Harroway Serie: Harmony Privè Agosto 2018

Trama: Un audace gioco sul filo della tentazione. Lei accetterà quella sfida, ma solo alle proprie condizioni! Su ogni centimetro del corpo di Alex Lancaster è marchiata a fuoco la parola pericolo! Alex vive per sentir scorrere nelle proprie vene l'adrenalina, e quando incontra Libbie Noble capisce che quella giovane donna diventerà la sua prossima, eccitante avventura. Libbie gli confessa di averne abbastanza degli uomini che vivono sempre al limite, così Alex decide di portarla fuori dalla sua comfort zone per dimostrarle che, spesso, a ogni rischio corrisponde una gustosa ricompensa.

Titolo: Off limits Autore: Clare Connelly Serie: Harmony Privè Agosto 2018

Trama: Un corpo da trattare con cautela. In una passione bruciante, rimanere scottati è un sottile piacere. Cosa fare quando il tuo capo, sexy come il peccato, ci prova spudoratamente con te sul posto di lavoro? Gemma Picton non ha alcun dubbio: ogni lasciata è persa e così, dopo alcune timide e poco convincenti resistenze, decide di lasciarsi andare tra le braccia di Jack Grant. Ma una notte tira l’altra e quando gli straordinari si trasformano in bollenti incontri a luci rosse, Gemma si rende conto che la realtà supera di gran lunga ogni sua più eccitante fantasia. PIN K MAGAZINE I T A L I A

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Titolo: Seduzione illegale Autore: Lisa Childs Serie: Harmony Privè Agosto 2018

Trama: “Sarai mia per le prossime due settimane.” Licenziarsi potrebbe essere la cosa più eccitante che abbia mai fatto. Simon Kramer, avvocato senza scrupoli, ha solo due settimane per scoprire la talpa che ha passato informazioni riservate alla concorrenza. Lui un’idea se l’è già fatta: la sua assistente personale, Bette Monroe, sembra nascondere un segreto compromettente. Segreto che lui è pronto a strapparle in qualunque maniera, insieme a quei castigati vestiti che lei si ostina a indossare. La verità però è molto diversa da come Simon la immagina, e Bette dovrà decidere se rivelargliela subito o lasciare che lui continui a cercare gli indizi... sul proprio corpo.

Titolo: La notte più dolce Autore: Nicola Marsh Serie: Harmony Privè Agosto 2018

Trama: “Una notte, una sola notte per saziare il mio desiderio.” Ma dopo il primo assaggio, non avrà più via di scampo! Abby Prendiegast adora la sua vita e il suo nuovo lavoro in una delle più rinomate pasticcerie della città, anche se trascorrere le giornate al fianco di Tanner King rappresenta una sfida sempre più difficile da affrontare. Il passato di Tanner è un luogo buio come l’inchiostro che adorna la sua pelle: lasciarsi andare all’irresistibile gusto delle sue labbra sarebbe facilissimo, ma Abby sa che se si concedesse anche un solo assaggio, sarebbe impossibile per lei non volerne ancora.

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Cercasi amore vista lago di Sara Piccinini

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n questo appuntamento desidero parlarvi di questo delizioso romanzo, che ha scaldato il mio cuore durante la lettura. Secondo libro della serie Le ragazze di Verate di Virginia Bramati ovvero Cercasi amore vista lago, ma leggibile tranquillamente senza aver letto il primo: difatti io l’ho scoperto a lettura terminata. Una storia di come reinventarsi quando tutte le nostre certezze crollano in un momento. Bianca è un architetto e adora esserlo, ma il destino (e la crisi) la portano a doversi trovare un nuovo lavoro e l’unico che trova è da agente immobiliare, nel paesino lagunare di Verate. Qui, la nostra protagonista troverà persone pronte ad accoglierla, nuove splendide amiche e farà anche un incontro inaspettato, che ha il volto di Andrea Sanna, PIN K MAGAZINE I T AL I A

con cui collaborerà per un progetto immobiliare. E potete immaginare come andrà a finire. Bianca è un personaggio irresistibile, che evolverà tantissimo nel corso del romanzo: l’ho davvero adorata. Virginia Bramati ha uno stile scorrevole, fluido, leggero e romantico. Mi sono innamorata di lei e della sua storia. Ho letteralmente divorato questo libro, mi ha fatto ridere, sognare e anche incavolare a un certo punto. Andrea è un protagonista maschile che amerete e odierete, col suo bel bagaglio di problemi e un muro di cemento intorno al cuore che solo Bianca potrà abbattere. Se cercare una lettura leggera, romantica, divertente ma anche intesa questo libro è perfetto per voi! P.S.: no, purtroppo Verate non esiste, ma dovrebbe! -

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Un romantico matrimonio a Parigi di Laura D’Amore

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achel è una ragazza triste e sola, che ha appena dovuto dire addio alla madre. Matthiew è un giovane e ambizioso medico. Le loro strade si erano incrociate per la prima dieci anni prima, durante gli anni dell’adolescenza quando il loro amore giovanile sembrava doverli unire per sempre. Purtroppo, però, non avendo più gli stessi progetti per il futuro, Matthiew lascia Rachel. Lei rimane nella fattoria di famiglia a prendersi cura della madre malata, finché non è costretta a dirle addio. Lui si trasferisce a Sydney dove finisce gli studi e inizia la sua carriera lavorativa. I due ragazzi sembrano non destinati ad incontrarsi più, fino a quando nella buca delle lettere di Rachel arriva un invito ad un matrimonio molto particolare. Gli sposi sono Matthiew e Bonnie e la cerimonia si terrà a Parigi, tutto spesato dalla coppia. Nonostante la riluttanza iniziale, Rachel decide di partire per dire definitivamente addio al suo primo e unico amore. Riuscirà il fascino di Parigi e dei parigini a far voltare pagina a Rachel? O l’incontro con Matthiew metterà tutto in discussione? PIN K M AGAZIN E I T AL I A

Il romanzo scorre in maniera lenta e, purtroppo, il personaggio di Rachel si piange un po’ troppo addosso. Matthiew, invece, sembra un ragazzino indeciso. Attorno a loro, però, ci sono personaggi più promettenti come Antonio, il fotografo europeo che cerca di conquistare il cuore appannato di Rachel mentre le fa visitare la vera Parigi, quella sconosciuta ai turisti. E poi Yvette, la nonna di Bonnie, che cercherà di instillare in Rachel l’ambizione per un lavoro che le piace davvero, come la moda, invece che restare ad occuparsi dei campi di grano in Australia. Nota positiva del romanzo le descrizioni paesaggistiche, sembra anche a noi di camminare tra le vie della città dell’amore con al nostro fianco un tipo affascinante e irriverente.

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La collezionista di storie perdute di Romina Angelici

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n intrico disperato di storie in cui le uniche certezze sono rappresentate dai libri, dai classici: da Orgoglio e Pregiudizio a Il Grande Gatsby, non meno che da Cent’anni di solitudine a Il Buio oltre la siepe. Mentre la vita di Ava va in frantumi, le riunioni del club del libro rimangono gli appuntamenti fissi di ogni mese, letture da cui trarre preziosi insegnamenti e punti fermi a cui aggrapparsi quando tutto sta crollando. Rimasta sola dopo essere stata tradita dal marito, con i figli grandi che hanno lasciato casa, Ava deve cercare di risanare il suo cuore fatto a brandelli e deve farlo partendo da molto lontano, da quando era bambina e sua sorella Lily è morta cadendo da un albero e sua madre si è buttata da un ponte l’anno successivo. Il trauma infantile si ripropone prepotentemente nella sua vita quando viene lasciata dal marito e sperimenta per la seconda volta l’abbandono e la solitudine, insicurezze che ha trasmesso ai figli Will e Maggie irrequieti e a disagio nel mondo. “Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece disgraziata a modo suo” recita l’incipit di Anna Karenina. Da qui Ava deve cercare di ripartire. Il libro del mese, gli incontri le nuove amicizie servono

ad Ava per ricostruire le tessere mancanti del suo passato e aggiungerne di nuove, quelle che le serviranno a proiettarsi verso un altro futuro, diverso da come l’aveva immaginato. Dall’altra parte dell’Oceano la figlia di Ava, Maggie sta combattendo la sua battaglia personale che purtroppo passa per gli abissi delle droghe e della dipendenza. Come Il Giovane Holden, … “intrappolato dall’altro lato della vita” per il modo in cui continuava a cercare la sua strada in un mondo al quale sentiva di non appartenere. In un cammino difficile verso la consapevolezza di sé, accompagnato dagli insegnamenti tratti dalle sue letture, Ava deve affrontare il libro che le è stato regalato da piccola e che è stato fondamentale nella e per la sua vita. Dietro alla risoluzione del mistero che avvolge questo libro, si nasconde anche la spiegazione a tutti i perché e sensi di colpa di Ava. Una storia che tiene con il fiato sospeso dall’inizio alla fine e scava nei drammi più profondi dell’essere umano per trovare anche il più piccolo lapislazzulo di speranza. E parafrasando Fitzgerald, questo è quel qualcosa che questo libro ha da dire.



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La Cappella Sansevero e il Cristo velato di Sara Foti Sciavaliere

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on si può non rimanere colpiti, quasi sgomenti, di fronte al Cristo velato (1753) di Giuseppe Sanmartino, opera esposta nella Cappella dei Sansevero a Napoli. Visitatori e turisti arrivano da ogni parte di Italia e non solo ogni giorno presso questa piccola e sfarzosa cappella, in un’anonima viuzza a due passi da Spaccanapoli. Il Cristo velato è talmente straordinario nell’impatto che sortisce su chi lo osserva che ho visto rimanere incantati e senza parole perfino orde barbariche di chiassose scolaresche. Basterebbe comunque pensare che tra gli estimatore di questa suggestiva scultura si può annoverare perfino lo scultore Antonio Canova, il quale dichiarò che sarebbe stato pronto a dare dieci anni della sua vita pur di essere l’autore di un siffatto capolavoro. Il committente dell’opera era stato un personaggio assai chiacchierato, Raimondo de Sangro, dei Principi di Sansevero, che aveva dato una serie di indicazione sulla PIN K MAGAZINE I T AL I A

scultura che voleva fosse realizzata. A essere incaricato però all’inizio era stato Antonio Corradini, che tuttavia ebbe solo il tempo di creare un bozzetto in creta prima di morire. Raimondo allora passò la commissione al giovane scultore napoletano Sanmartino che ignorò quasi del tutto il bozzetto del suo predecessore. La sensibilità di Giuseppe Sanmartino scolpisce, in un unico blocco di marmo, il corpo senza vita e i ritmi convulsi delle pieghe del velo incidono una sofferenza profonda, quasi rimarcasse le linee del corpo martoriato: la vena gonfia e pare ancora palpitante sulla fronte, le trafitture dei chiodi sui piedi e le mani, il costato scavato. Lo scultore poi non tralascia neanche il certosino ricamo dei bordi del sudario e la cura con cui realizza gli strumenti della Passione posti ai piedi del Cristo. La fama di alchimista di Raimondo di Sangro ha fatto fiorire sul suo conto numerose leggende. Una di queste riguarda proprio il velo del Cristo di Sanmartino: da ol-

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tre due secoli, infatti, viaggiatori, turisti e perfino alcuni studiosi, increduli dinanzi alla trasparenza del sudario, lo hanno erroneamente ritenuto frutto di un processo alchemico di “marmorizzazione” compiuto dallo stesso principe di Sansevero. Tale leggenda è dura a morire: l’alone di mistero che avvolge il principe di Sansevero e la “liquida” trasparenza del sudario continuano ad alimentarla. D’altra parte, era nelle intenzioni del di Sangro suscitare meraviglia, ma egli stesso constatò che quel velo marmoreo era tanto impalpabile e “fatto con tanta arte da lasciare stupiti i più abili osservatori”. La statua del Cristo velato è posta al centro della Cappella Sansevero convogliando su di se l’attenzione dei visitatori, ma tutt’intorno lo spazio che l’accoglie è un

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significativo esempio dello sfarzo dell’arte settecentesca. La cappella in verità ha origini precedenti, quando – si narra – sul finire del XVI secolo, un uomo innocente, trascinato in catene per essere condotto in carcere, passando davanti al giardino del Palazzo de Sangro, vide crollare una parte del muro di cinta di quel giardino e apparire un’immagine della Beata Vergine; egli promise allora che avrebbe donato una lapide d’argento alla Madonna se fosse stata riconosciuta la sua innocenza: poco l’uomo fu scarcerato e mantenne fede al voto fatto. L’immagine sacra fu motivo di pellegrinaggi e a promotrici di molte grazie, finché Giovan Francesco Paolo de Sangro, molto ammalato, ne ottenne egli stesso la guarigione e per gratitudine fece erigere una cappelletta dedicata a S. Maria della Pietà o della Pietatella, proprio

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lì dove era apparsa per la prima volta la venerabile effige. Da allora quel luogo di devozione divenne anche l’“ultima dimora” della famiglia dei principi di Sansevero, al quale dedicò grande impegno Raimondo de Sangro, chiamando presso di sé pittori e scultori rinomati, seguendo personalmente le fasi di lavorazione e scegliendo i materiali. L’idea era quella di farne un tempio degno della grandezza del suo casato, arricchendolo di sculture di altissimo pregio. Malgrado i fasti ricercati da Raimondo e che caratterizzano tutti i monumenti sepolcrali collocati nella cappella, per la propria tomba volle una sobrietà quasi severa: su tutto ha principalmente risalto la grande lapide in marmo rosa, su cui è articolato il lungo elogio funebre intagliato senza scalpello, ma con un procedimento a base di solventi chimici ideato dallo stesso principe, mente geniale e fine inventore. E passando davanti a questa sepoltura si raggiunge una piccola scala di ferro dalla quale si accede a un vano di forma ellittica, la cavea sotterranea, che in un progetto irrealizzato di Raimondo avrebbe dovuto accogliere le sepolture dei suoi discendenti, mentre oggi ospita due grosse bacheche contenenti gli scheletri di un uomo e una donna in posizione eretta, realizzati da un medico palermitano sotto la direzione di Raimondo de Sangro.

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Un cronista del Settecento li definì “macchine anatomiche” (in cui il sistema venoso e arterioso si è conservato perfettamente a distanza di duecento anno, ma non se ne conosce attraverso quale procedimento), mentre la fantasia popolare tramandava che essi fossero i resti dei corpi di due servitori del principe nei quali sarebbe stato iniettato un misterioso liquido che avrebbe pietrificato le loro vene e arterie. Messa comunque da parte la leggenda, tutt’oggi non è possibile asserire con certezza quali siano stati i metodi adoperati per tali incredibili “opere”, e ancora più sorprende la verosimiglianza con cui il sistema circolatorio è riprodotto, benché all’epoca le conoscenze in materia non fossero tanto avanzate. Un po’ tutta la Cappella Sansevero è una sintesi dell’attività di mecenatismo di Raimondo de Sangro, della sua genialità di inventore, la vastità delle sue conoscenze e le sue capacità di alchimista. “Osserva con occhi attenti e con venerazione le urne degli eroi onuste di gloria e contempla con meraviglia il pregevole ossequio all’opera divina e i sepolcri dei defunti e quando avrai reso gli onori dovuti profondamente rifletti e allontanati”. Così si conclude l’iscrizione dedicatoria sulla porta laterale della cappella, come un invito al visitatore che qui giunge spinto dalla curiosità e da qui va via con sentimenti di intenso stupore.

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In un mondo gotico e un po’ romantico… A colazione con Tim Burton e i meravigliosi personaggi dei suoi film di Eliana Guagliano

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hi, guardando un film horror o thriller, non si è qualche volta immedesimato nel povero personaggio che corre disperato alla ricerca della salvezza, quando mostri dall’origine a volte sconosciuta lo inseguono per foreste buie e inquietanti. O chi, almeno per una volta, non ha voluto essere il protagonista in quei film un po’ cupi e tristi, quasi romantici, nei quali improbabili eroi cercano di vincere le avversità. Questa è l’atmosfera dei lavori di uno degli artisti più creativi che io conosca, Tim Burton, che da giovane disegnatore prodigio della Disney, si è trasformato in un importante regista nella grande macchina del cinema hollywoodiano. Nei suoi film si respira un’aria costantemente intrisa di magia e creatività: i suoi personaggi, a partire dal sognatore Edward Mani di Forbice, passando per la dolcissima Emily de La Sposa Cadavere, per finire con Miss Alma Peregrine di Miss Peregrine. La casa dei ragazzi speciali, ci conducono per mano attraverso un viaggio onirico e chimerico. La firma di questo grande artista è sempre riconoscibile, e anche quando è l’ideatore e/o il produttore (e non il regista) è impossibile non percepire il suo tocco. Siamo ad ottobre, Halloween è alle porte ed era inevitabile pensare a lui e ricollegarlo a questa festa, di origine celtica, intrisa di magia e mistero. Allora perché non mangiare qualcosa di tipicamente americano e che ci riporti un po’ alla notte delle streghe?! Partiamo dal presupposto che non sono mai stata filostatunitense. La cucina di questo Paese non mi aveva mai particolarmente attirato e la cultura ancora meno. Che nessuno si senta offeso, per favore. Sono un’amante e un’appassionata di cultura latinoamericana…. le due cose erano inconciliabili . A parte gli scherzi… negli anni le cose sono cambiate. Avvicinandomi, guardinga, alla loro cultura e alla loro cucina, ho saputo coglierne aspetti e caratteristiche che mi hanno affascinato. Oggi ho pensato di preparare per voi e per Tim Burton un American Breakfast con dei muffin al cioccolato un po’ mostruosi. La ricetta è della mia amica Cristina, del blog Zucchero Fatato, alla quale ho apportato qualche piccola variazione. Per realizzare 6 muffin setacciamo bene 110 g di farina 00, con 7g di amido di mais, 75g di cacao in polvere e 2g di lievito per dolci. Aggiungiamo anche lo zucchero e me-


scoliamo bene. In un’altra ciotola amalgamiamo gli ingredienti liquidi: sbattiamo 1 uovo con 10 g di miele, leggermente riscaldato, 45g di olio di semi di girasole e i semini di una bacca di vaniglia. Versiamo il composto ottenuto sulle farine e mescoliamo rapidamente. Aggiungiamo 125g di acqua molto calda e, con una forchetta o un cucchiaio, facciamo amalgamare rapidamente gli ingredienti. Riempiamo per 2/3 circa 6 pirottini per muffin e inforniamo a forno caldo (200°, modalità statica) per 15 minuti con prova stecchino. Quando si sono raffreddati prepariamo la glassa reale montando 15g di albume a neve con 2 gocce di limone. Quando è ben montato aggiungiamo 60g di zucchero a velo e mescoliamo fino ad ottenere una glassa senza grumi. La glassa la utilizze-

remo per “attaccare” la pasta di zucchero al muffin. Con la pasta di zucchero bianca facciamo delle striscioline di circa 10 cm e schiacciamole con le mani. Sistemiamole sui muffin come se fossero delle bende, lasciando un po’ di spazio per gli occhi. Con due palline di pasta bianca formiamo gli occhi e utilizziamo dei pezzetti di pasta nera o di cioccolato per fare le pupille. Mettiamo in frigo e facciamo raffreddare. Per completare l’American Breakfast e stupire il mio ospite, avevo pensato a dei Benedict’s Eggs accompagnati a dell’ottimo succo di Jamaica (Karkadè); se vi interessano le ricette le potrete trovare nel blog.

Cibo per l’anima: Batman di Tim Burton, con Michael Keaton, Jack Nicholson, Kim Basinger Edward mani di forbice di Tim Burton, con Johnny Deep, Winona Ryder Nightmare before Christmas di Henry Selick, ideato e prodotto da Tim Burton con (doppiatori) Chris Sarandon, Danny Elfman, Catherine O’Hara Big Fish – Le storie di una vita incredibile di Tim Burton, con Ewan Mc Gregor, Albert Finney La sposa cadavere di Tim Burton, con (doppiatori) Johnny Deep, Helena Bonham Carter

E LI AN A G U A G L IA NO studiosa di letteratura di lingua spagnola e appassionata di cucina, 8 anni fa ha creato un blog (ilgamberetto.blogspot.com).

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