piazzasalento n10

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18 - 31 maggio 2017 Anno VII numero 10

In edicola ogni due settimane Il prossimo numero giovedì 1 giugno

€ 0,90

www.piazzasalento.it

Gallipoli, drammatico riscatto

Condannato galatonese

Riconoscimento da Brindisi

Proteste a Ugento

Figlia incastra il padre boss

Compagno ucciso: 14 anni

Angelica, premio a don Angelo

Burgesi-veleni marcia il 28

Marco Barba

Gallipoli, tanti arrivi e (si spera) altrettanti ritorni di Fernando D'Aprile

Probabilmente non arriveranno tutti quelli che hanno cliccato su uno dei siti più famosi in tema di viaggi e vacanze. Ma il dato resta: tra le prime dieci località italiane, quella che fa più gola per la prossima stagione targata 2017 è Gallipoli. Segue al sesto posto Polignano a Mare e all’ottavo Lecce, per dire che la Puglia si piazza bene. Gallipoli tira anche per un concorso bandito dalla famosissima bevanda internazionale dalla formula ancora segreta. Tra le mete inserite nella categoria Italia Teen de “In viaggio con…” riecco Gallipoli, in compagnia di Riccione, Terracina, Cefalù, Palinuro. Chi vince la gara che chiude a fine settembre, si godrà il soggiorno con partenza entro il 15 dicembre. Non c’è che dire: il marchio si è affermato, gode ancora buona salute, attira tanti che ci guardano, ci annusano, ci desiderano, oltre problemi, insufficienze, ritardi che noi più di tutti conosciamo. Vero è che la notorietà al tempo di internet non è neanche tanto difficile da conquistare, nel bene e nel male. Più impegnativo rispondere alle attese. Allora, che siano tanti i nuovi arrivi ma che almeno altrettanti siano i ritorni.

a pag. 6

a pag. 11

Antonio Colopi

a pag. 13

Don Angelo

Mobilitazione

a pag. 27

Il "Sacro Cuore" di Gallipoli e il "Ferrari" di Casarano superano il 6 in una indagine regionale

Ospedali umani? Eccone due Rapporti umani, fiducia e accoglienza. Pronta nuova analisi, capofila l'Asl ALTRO PASSO DELL'UNIONE PER CONSENTIRE DI REIMPIANTARE ULIVI

Tra i 25 ospedali osservati in Puglia, di cui due privati, solo quelli di Gallipoli e Casarano superano la sufficienza, insieme ad uno di Taranto e quello privato di Tricase. Umanizzare l'obiettivo della Regione, che farà una nuova fotograa fia in quest'anno.

S'importano olive si scelgono altre colture è il post Xylella

Depurazione e scarichi: a Nardò il commissario tra gli scontri Frantoi e coop alle strette, in ballo la sopravvivenza

a pag. 2-3

a pag. 16

Comuni verso il voto

Nomi e foto dei corridori che puntano al Palazzo

all'interno

Gallipoli

Eventi del week end c'è solo da scegliere

all'interno

Gallipoli

Controlli, sanzioni e chiusure stretta sull' ordine pubblico

a pag. 6

Salve Nardò, a novembre si ricambia

Il Comune di Morciano fa scuola

Ospiti indiani al liceo Galilei

Cani e benessere c'è il regolamento

Bandiera blu di nuovo "Bene ma non basta"

a pag. 28

Taurisano

"Giustizia sommaria": ancora auto in fiamme

a pag. 27

Le due dirigenti

a pag. 18

Torre Vado

pag. 28

Simu Salentini

Il Premio Maglio rilancia. Il Caffè in redazione "ritorna" a Gallipoli. Nuovo disco dei Bluesalento a pag. 15


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In Evidenza

18 - 31 maggio 2017

Da Coldiretti alla Cia, da Aprol alle cooperative e ai consorzi

Le priorità della crisi: nuovi alberi e sussidi Per molti la madre di tutte le priorità si chiama “cancellazione del divieto di reimpianto di ulivi”. Non più sostenibile, dicono, alla luce delle prime risultanze delle sperimentazioni scientifiche in atto, anche se non ancora definitive. Se le cultivar Leccino e Favolosa dimostrano buone capacità di resistenza all’attacco del batterio da quarantena, si cominci da queste a ricreare la foresta di ulivi che una volta imperlava il Salento, a partire dalla fascia jonica, la più duramente colpita. Se si cominciasse oggi, si potrebbe avere una prima produzione soddisfacente dopo 3-5 anni. «Innegabile che gli olivicoltori abbiano fretta ormai – dice Giovanni Melcarne, agronomo e presidente del consorzio dell’olio Dop del Capo di Leuca – reimpianti, innesti e poi un piano di salvataggio degli alberi monumentali. C’è chi sta impiantando leccini tra i secolari ma così si fa di nuovo un grave errore: si creano uliveti di difficile e costosa gestione, con costi fuori mercato e con le premesse dell’abbandono della coltivazione perchè anti economica. Reimpianti fatti bene tecnicamente possono rimettere in moto l’economia di questo comparto. Tenendo presente che non tutti i terreni possono ospitare proficuamente queste varietà». Credito alla ricerca rinnovato da parte anche dell’Aprol, l’associazione provinciale dei produttori di olio. «Al primo posto mettiamo i campi sperimentali – dice il presidente Pantaleo Greco – il primo dei quali lo abbiamo promosso noi con i ricercatori del Cnr di Bari in terriParabita. Poi si passi a cotorio di Parabita raggiose azioni di espianti per estirpare il batterio e poter impiantare su quegli stessi terreni e non su seminativi». Ma qui si apre un grosso problema: l’Aprol ricorda che esiste una legge che vieta l’espianto di ulivi anche in casi drammatici come questi: l’agricoltore dovrebbe provare che l’albero è malato con proprie analisi e poi svellerlo sempre a proprie spese dopo l’ok regionale. Da quanti operatori sono sostenibili simili spese? Greco lancia poi l’idea di una filiera del legno tramite cui riusare il materiale tolto dalle campagne “per alimentare caldaie, a cominciare di quelle di edifici pubblici, come fanno in Trentino, Veneto, Valle d’Aosta”. Terza priorità, una “riconversione intelligente delle varietà colturali oggi esistenti: pensiamo in grande, forse è il momento giusto”. In attesa che i segnali positivi provenienti da Bruxelles sui reimpianti si traducano in atti concreti, la Coldiretti resta fermamente ancorata a fianco della ricerca fin dagli inizi di questa guerra alla Xylella fastidiosa. «Stiamo concentrati con i nostri sforzi a fianco dei ricercatori affinchè vengano individuate anche altre varietà tolleranti o amagari resisenti al batterio», ha dichiarato Gianni Cantele (in alto), presidente della confederazione regionale. Proprio da questo versante, il Consiglio nazionale delle ricerche di Bari ha segnalato di recente una decina di olivi selvatici apparentemente in salute: «Sarebbe molto interessante trovare genotipi autoctoni, nati su questo territorio da combinazioni gene-

Melcarne: «Stavolta ripartiamo col piede giusto, con criterio»

Greco: «Con gli alberi divelti creiamo una filiera del legno»

tiche casuali; questo ci darebbe la possibilità di ricostruire una olivicoltura tutta salentina». Comincia col dire che “la Regione continua a trattare questa tragedia come una pratica qualsiasi” Giulio Sparascio, guida della Cia provinciale. Fosse per lui, inizierebbe dall’assicurare un ristoro finanziario alle persone fisiche oltre che alle aziende: le une e le altre, dice, da quattro anni sono senza reddito. Inadeguate - per la presenza di moltissime piccole aziende - vengono ritenute sia la legge sulle calamità naturali sia lo stesso Psr. Anche la Cia infine spinge per indivuduare varietà salentine: «Le due di cui si parla finora hanno bisogno di molta acqua e vari trattamenti: occorrono 300400 piante per ettaro per un reddito economico adeguato», conclude.

Il sen. Stefano critica procedure e fa proposte a Bari

«Ora il coraggio di spingere tutti insieme sugli innesti» «Bene le buone notizie su impianti di varietà resistenti nella zona infetta, ma ora bisogna avere il coraggio di spingere subito sull’opzione dell’innesto»: questo il parere del senatore Dario Stefano (foto), già apprezzato assessore regionale all’Agricoltura. «In questa fase, il ruolo delle Istituzioni, infatti, sarà sempre più determinante per il futuro del nostro patrimonio olivicolo, delle aziende e degli olivicoltori. La straordinarietà della condizione, generata dal patogeno - insiste Stefano - richiama la politica a operare fuori da percorsi ordinari, ad attuare soluzioni straordinarie, come ad esempio misure ad hoc per sostenere le aziende in crisi. Bisogna cambiare passo, però. Regione Puglia in primis». «Sul tema Xylella, le aspettative del comparto olivicolo sono note da tempo, tuttavia esiste una preoccupazione diffusa, evidenziata più volte anche dalle associazioni di categoria, rispetto, ad esempio, alle misure per accedere agli indennizzi. È successo anche recentemente - racconta preoccupato il parlamentare - con la scelta di prorogare il termine per le richieste d’indennizzo: una decisione che può rivelarsi priva di efficacia se non accompagnata da modifiche alle modalità di presentazione delle domande, considerato che non tutte le aziende sono state colpite allo stesso modo e che occorre rendere le risorse accessibili in ragione di parametri più idonei per riconoscere i mancati redditi. Una ulteriore preoccupazione - sottolinea Stefano - si è palesata a seguito della scelta operata con la sottomisura 4.1, relativa al sostegno agli investimenti nelle aziende agricole site nei territori pugliesi colpiti da Xylella. Un bando che rischia di innescare un circuito di forti conflittualità tra aziende che insistono nei territori colpiti da Xylella. Sarebbe stato più opportuno indire un bando totalmente dedicato alle aziende colpite da Xylella o, diversamente, approntare criteri calibrati sulla presenza di questo batterio killer, o, ancora, predisporre una plurimisura, partendo ad esempio dalla sottomisura 5.2 che ha come scopo specifico quello di ripristinare il patrimonio agricolo e zootecnico danneggiato da calamità».

Si riapre il mercato per le bacche provenienti da fuori provincia: Barese, Foggiano ed anche dalla Toscana

“Olive vo cercando...” Almeno per sopravvivere Un altro passo, forse quello decisivo, per aprire al reimpianto di alberi d’ulivo - resistenti o tolleranti alla Xylella - nelle aree colpite da questa pesta venuta da lontano. Ne hanno dato notozia martedì pomeriggio, 16 maggio, gli europarlamentari Paolo De Castro e Raffaele Fitto. Questa la nota ufficiale: “La Commissione Ue permetterà nelle zone infette della Xylella il reimpianto delle due varietà di olivo, leccino e favolosa, risultate tolleranti al batterio”. I due parlamentari l’estate scorsa avevano presentato una interrogazione su questo decisivo terreno, come dimostrano le aspettative prioritarie di tutti gli operatori (riportate qui accanto) «L’ufficialità - dichiarano De Castro e Fitto - arriverà il 19 giugno ma la decisione presa dal comitato fitosanitario, sostenuta da tutti gli Stati membri ad eccezione solo della Francia, permetterà di creare le condizioni per rilanciare le attività imprenditoriali degli olivicoltori. Il comitato - concludono - ha inoltre discusso della possibilità di non procedere all’abbattimento di quegli esemplari monumentali, imprescindibili per la conservazione del valore paesaggistico». Ma su quest’ultimo punto non sono maturate decisioni, almeno per ora. Subito sono giunti commenti positivi bipartisan, da Serio Blasi a Erio Congedo, a Ernesto Abaterusso e ai consiglieri regionali di Direzione Italia.

In attesa di vedere le varietà resistenti al batterio dare i loro frutti, fra 4-5 anni

De Castro e Fitto annunciano: «Il 19 giugno l’ok a reimpianti» Ma l’oggi è drammatico

Da Casarano imprenditori preoccupati sulla durata della crisi. A Ugento intanto puntano sugli ortaggi

«Importare, via obbligata per andare avanti» Con la loro azienda di famiglia, i fratelli Primiceri di Casarano hanno da tempo anticipato quella che ormai rischia di diventare una via obbligata. «Già da anni non facciamo più produzione conto terzi pur mantenendo il tratto distintivo dell’“artigianalità industriale” che da sempre ci caratterizza», afferma Rocco Primiceri, responsabile del settore trasformazione, che insieme a Fernando (commerciale) e Cosimo (produzione) ha rilanciato l’eredità raccolta dal padre Marco, riuscendo a fare della “Primoljo” una delle aziende leader nel settore a forte vocazione internazionale. «La situazione locale è catastrofica ma ad oggi ancora “limitata” se solo riusciamo ad allargare lo sguardo e gli orizzonti. Già da Bari, per esempio, chi non ha visto con i suoi occhi i nostri uliveti non si rende ben conto di quello che sta accadendo. Occorre fare affidamento sulla sperimentazione

confidando che i tempi della politica non siano i soliti», afferma Rocco Primiceri. Con la produzione locale in drastico calo, e con molti frantoi tradizionali costretti a chiudere, guardare alle olive “degli altri” è per adesso la sola chiave per sopravvivere sul mercato. «Noi ci rivolgiamo al mercato all’ingrosso attenti alla scelta del prodotto ed alla qualità», fa sapere il direttore del settore trasformazione di un’azienda che conosce ormai bene le aree del Barese, Foggiano, della Sicilia e non solo. «Nella zona il calo di produzione è stato del 90 per cento». Daniela Specolizzi, amministratrice del frantoio “Terra Nostra” di Mirko e Renato Ugento, conferma i dati più sconCongedi di Ugento fortanti sulla stagione appena conclusa. «Circa la produzione siamo passati da 135mila quintali

a 14mila quintali in un anno. Un calo - spiega che solo per il 30 per cento è stato causato dalla Xylella. Il resto è dipeso da altre patologie della pianta. È stata una campagna tragica». Come sarà affrontato il prossimo futuro? «Non abbiamo acquistato da terzi, non rientra nella nostra politica aziendale. Abbiamo cercato di risolvere il problema utilizzando le scorte della scorsa annata, eccezionale in termini di produzione. Ma bisognerà valutare se, per il futuro, si renderà necessario cambiare strategia. Siamo consapevoli che il prossimo anno la percentuale di calo sarà maggiore. Intanto - conclude quest’anno abbiamo deciso di incrementare la produzione di ortaggi, in particolare patate bio e dop, anche perché ci siamo posti il problema del mantenimento degli operai». Hanno collaborato Mauro Stefano e Pierangelo Tempesta

La caduta del divieto data per prossima non risolverà comunque tutti i problemi. C’è chi ha già messo in guardia da facili entusiasmi: Leccino e Favolosa non si attagliano a tutti i terreni oggi ulivetati; la loro coltivazione richiede molta acqua e numerosi trattamenti chimici. Per una produzione economicamente vantaggiosa si parla di 300-400 alberi ad ettaro. Se così è, come faranno a resistere e a non svendere macchinari e chiudere frantoio i piccoli imprenditori, singoli o associati? è questo in effetti ll dramma che già si sta volgendo e che potrebbe continuare in un contesto sempre più critico nel prossimi anni. La soluzione alcuni produttori l’hanno già trovata e praticata: acquistare olive da altre parti della Puglia, ma anche da altre regioni. «La fioritura che c’è stata dà qualche speranza per la prossima stagione, che però sarà sicuramente ancora più bassa. Se l’anno scorso è stata -30%, l’anno che verrà sarà tra-40/-50%»: l’analisi è di Giuseppe Brillante, dirigente della Coldiretti. Le bacche della speranza per frantoi (319 in provincia) che non aprono più o solo per pochi giorni, arrivano dal Nord Barese e dal Foggiano, ma anche da Umbria e Toscana: «Anche perchè lavorarle in impianti tecnologicamente avanzati come quelli di Martano, Casarano e Ugento Ugento, costa di meno che nel Barese», rimarca Brillante, che gradirebbe un vero e proprio accordo con i produttori dell’altra parte della regione. «Non escludo arrivi di ulive da altre parti - dice Pantaleo Greco di Aprol - ma spero che si faccia tutto a norma di legge. Del resto, quella 2017-18 potrebbe essere l’ultima annata di carica. E poi che si fa?», si chiede Greco, nelle cui aziende la produzione è crollata del 70%. Prudente anche Giovani Melcarne, il cui consorzio di olio Dop Capo di Leuca raggruppa una quindicina di aziende: «L’area del contagio si allarga ancora, ora anche Gagliano ci è dentro. Bisogna andare avanti ma il mercato è viziato dal prodotto nordbarese. Ulive anche dal Nord Africa? Può accadere ,quando il prezzo delle ulive sale troppo. Basta però dirlo: se acquisti olio tunisino e lo dici è regolare, se no è una truffa complici quei commercianti che lo rivendono come italiano, con annesso giro di fatture fasulle».


18 - 31 maggio 2017 INVESTIMENTI, POI LA CRISI TRAVOLTA COSì UNA COOP Erano impegnati in una forte operazione di rilancio della loro cooperativa , con investimenti in macchinari moderni pari a 140mila euro. Era il 2014 e la “Vinolea”

di Alezio programmava adeguatamente (“con mutui che avremmo tranquillamente pagato”, ricordano oggi) puntando sull’unico comparto in cui aveva buone opportunità di lavoro. Ma nessuno aveva ancora chiaro cosa stava per accadere e

Da 50mila quintali del ‘15 ai 4mila ultimi

quando i primi sentori del dramma sono arrivati al presidente Roberto Raheli ed agli amministratori, non c’è stato nulla da fare. Da 14mila quintali lavorati a meno di 2mila e poi la fine. Ora l’imobile di via Garibaldi è in vendita

Difficile anche trovare la materia prima

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Sorto nel 1919 e passato dal padre al figlio,è a rischio

Frantoio chiuso: “Nachiri” a casa mai in 70 anni e prezzi alle stelle Bruno Calzolaro: «Vogliamo restare frantoiani»

Trappeto da storia di Rocco Pasca

Sempre più devastanti le conseguenze dell’attacco da Xylella nel territorio di Acquarica e Presicce. «Nel 2015 nel nostro frantoio abbiamo lavorato 50mila quintali di olive - dice Francesco Ferraro, agronomo e socio di un impianto all’avanguardia situato alla periferia del paese sulla strada per Torremozza - l’anno scorso sono arrivati solo 4 mila quintali di prodotto. Si sa che da noi le piante caricano ad anni alterni ma le previsioni per quest’anno sono di un calo di prodotto conferito dell’80 %. Come non bastasse poi ad aggravare ulteriormente la situazione c’è stata la nevicata di Natale che ha rappresentato il colpo di grazia». Situazione tanto disperata che l’anno scorso il frantoio cooperativo - per la prima volta dalla sua fondazione nei primi anni settanta - è rimasto chiuso. «Nel 2016 tre frantoi qui a Presicce sono rimasti completamente chiusi - dice Donato Ratano, agronomo responsabile della Coldiretti locale - ma il dato negativo è diffusissimo nel territorio. Addirittura a Tuglie nostri soci hanno venduto le macchine del frantoio sociale ad imprenditori del Foggiano, a dimostrazione che non ci troviamo di fronte ad una crisi passeggera, ad una mazzata mortale». «L’entità del danno . conclude Ferraro, che è Sindaco di Acquarica - ci fa pensare alla crisi del tessile calzaturiero che produsse decine di miagliaia di disoccupati. Questa volta, però, i disoccupati sono senza speranza». GC

Anche la situazione economica dei frantoi, a Taviano e Alliste precipita anno dopo anno. Contro il batterio killer che ha decimato, e purtroppo continua a farlo, un patrimonio che viene dai greci fino a noi. i frantoiani stanno alzato bandiera bianca. Situazione definita drammatica e produzione abbattuta del 90%, anche a causa di una stagione non di “entrata”. Tra i quattro frantoi di Alliste in attività e i cinque di Taviano (prima erano molti di più) le cose non vanno bene: manca soprattutto la materia prima, le olive appunto, quindi non si lavora e si è costretti a mandare a casa i “nachiri”, gli addetti ai macchinari. Anche perché, da qualche anno, le olive non arrivano più, come una volta, dal Brindisino o dai paesi del Barese: preferiscono lavorarle sul posto. «Quest’anno – dice Renato Adamo, dell’Agricola Adamo di Alliste – abbiamo aperto solo in due. Ma è stata un’apertura per modo di dire: sono mancate le olive. Poche e sparute le piante che hanno fruttificato con alberi ancora verdi, del tipo “leccino” e non “ogliarola”. In estate con l’arrivo dei turisti il nostro olio non si venderà a meno di 10 euro al kg. C’è poi da fare un pensiero per la manodopera locale – conclude Adamo – che prima serviva per la raccolta nei campi o per lavorare nei frantoi. Oggi per chi lavorava 4-5 mesi si è chiusa l’ennesima porta. Situazione analoga a Taviano e in altri centri vicini: olive quasi inesistenti e pochissime unità lavorative impiegate. «Chissà se arriveremo alla prossima stagione», dicono gli operatori scoraggiati. RP

Nato come oleificio cooperativo con tanti soci, ora cerca una alternativa

«Se continua così, qui si cambia» I soci ci sono, e tanti. E anche i clienti, da tutta Italia e per tutto l’anno. Debiti: zero. Con una battuta diremmo che tutto fila liscio come l’olio. Eppure la situazione dell’Oleificio Cooperativo di Nardò, situato in via Avetrana, non è delle migliori. La ragione è una: si chiama Xylella. «L’annata scorsa è stata deficitaria – racconta Giuseppe Bove, amministratore del sodalizio – e quest’anno sembra andare leggermente meglio, ma siamo comunque lontanissimi dai bei numeri di un tempo». Già, i numeri. Alla fine sono quelli a dar la misura. «Siamo una grossa cooperativa – prosegue Bove – con oltre mille soci. Nelle annate buone abbiamo raggiunto tra i 35 e i 40mila quintali di olio, clienti e spedizioni in tutta Italia e un punto vendita interno all’oleificio ben avviato, specialmente d’estate. Ma dal 2016 registriamo crolli spa-

ventosi. Moltissimi alberi colpiti da xylella anche a Nardò e col tempo le zone infette si espandono». Gli uliveti neretini sembravano meno colpiti di altri ma non è così. Poi una tirata d’orecchie alle istituzioni: «Leggiamo ogni giorno che la Regione promette aiuti ma gli agricoltori non hanno visto nulla. Anzi, dal primo maggio vengono multati (a nostri soci è già successo: sanzioni da mille euro in su!) se non ripuliscono i terreni dalle erbacce per evitare l’avanzamento della sputacchina». E adesso? Quali le prospettive future? «Nel 2015 siamo arrivati a 40mila quintali di olio, nel 2016 ad appena 5mila. Quest’anno arriveremo, forse, a 7-8mila. Se continua così vanno trovate alternative all’olivicoltura. Siamo nati come oleificio ma a questo punto servirebbe altro poiché la nostra principale attività verrebbe a mancare». SM

«Bei tempi gli anni ’60 e ’70 quando i frantoi lavoravano giorno e notte, senza discontinuità, da inizio ottobre ad aprile inoltrato»: davanti al deprimente “spettacolo” odierno non si può non rifugiarsi nei periodi molto più faticosi ma anche gratificanti della olivicoltura salentina. Anche qui a Taviano, oggi tristemente con Gallipoli come “il cuore della zona rossa”, da dove sembra essere partita l’infezione che devsta tanta parte del Salento e oltre. A parlare è un anziano e storico frantoiano, con gli occhi lucidi e la voce rotta dall’emozione, Bruno Calzolaro (foto nel suo frantoio ), frantoiano 79enne di Taviano che ancora oggi lavora nel frantoio ereditato dal padre Giambattista e messo su nel 1919, dopo il reimpatrio dalla carneficina della prima guerra mondiale. «Le olive sembrava non dovessero mai finire - continua Calzolaro - e quando quelle salentine erano state lavorate, arrivavano quelle di Latiano, San Pancrazio, Fasano e Francavilla, tutti centri del Brindisino. I frantoi erano il centro pulsante dei nostri paesi dove la povertà, alla fine della guerra, era la normalità in tutte le case. Il rumore delle macchine che molivano le olive era una musica costante per i nostri paesi, dove da qualche anno era arrivata l’energia elettrica ma le strade

«Si lavorava notte e giorno portavano olive dal Brindisino qui i costi erano più bassi» erano ancora non asfaltate e c’era tanta fame nelle case». All’inizio il frantoio dei Calzolaro aveva due grosse stanze: una per la vasca con le ruote di pietra che frangevano a freddo le olive e, l’altra stanza, serviva per le presse che producevano l’olio separandolo dall’acqua. Tutte le fasi dell’operazione di spremitura venivano fatte manulamente. «La manodopera – continua il raconto del piccolo imprenditore - arrivava dai paesi del Capo di Leuca, Leuca perché costava meno. I

“nachiri” dormivano e mangiavano, per lo più legumi, nel frantoio. Ogni 15 giorni li portavamo per un saluto ai famigliari. I “mediatori” brindisini e baresi ci procuravano le olive che arrivavano di continuo in sacchi da 80 kg». Era conveniente per i produttori baresi molire qui le bacche perchè il costo degli operai era inferiore a quello loro. Durante il Fascismo eravamo costretti a contingentare la produzione dell’olio: non ci doveva essere eccedenza di prodotto. Ma noi aggiravamo questa imposizione mettendo degli operai sul terrazzo che ci allertavano sull’eventuale arrivo dei carabinieri». E oggi? Oggi è terribilmente difficile davanti a questa novità di nome Xylella: «Siamo nati frantoianmi e vogliamo restare tali, siamo quasi una istituzione. Faremo di tutto - conclude Calzolaro - per restare in piedi e continuare il nostro lavoro».


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