Settembre 2018 - Paesi Etnei Oggi

SETTEMBRE 2018 ANNO XXIV - N. 264 | FREE PRESS

FONDATO DA CARMELO PITROLINO

L’ORO DI SAN BERILLO

LO SCRITTORE DOMENICO TRISCHITTA SI RACCONTA

PROMOTION

pagine

Free Press Anno XXIV n. 264 Settembre 2018

Redazione Via Principato di Monaco, snc 95030 - Gravina di Catania Tel./Fax 095 396136 Mobile. 340 6091442 Distaccamento acese-jonico Via Nicolò Tommaseo, 61 - 95014 Giarre Mobile. 340 6080612 www.paesietneioggi.it redazione@paesietneioggi.it

p. 8

Fotoracconto Il “camoscio” dell’Etna

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Territorio

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Politica Aci Sant’Antonio fuori dal dissesto

p. 18 p. 22

Paesi Etnei Oggi è organo del

Registrazione Tribunale di Catania N. 7/95 del 22/03/1995 Numero chiuso il 28/09/2018

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Sport L’ultimo volo Cultura Massimo Giannoni tra reale e astratto

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Cover Catania in penombra

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Musica Le insolitenote

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Direttore Responsabile Fernando Massimo Adonia Collaborano Roberta Fuschi, Nunzio Condorelli Caff, Agata Amantia, Desirée Miranda, Carmelo Di Mauro, Grazia Razza, Thea Giacobbe, Gaia Aiello, Michele Milazzo, Melania Tanteri, Erika Intrisano, Roberto Quartarone, Isidoro Pennisi, Santi Zappalà, Laura Distefano, Francesca Santangelo, Gabriele Fasanaro, Marco Pitrella, Francesco Ricca, Antonio Giovanni Pesce, Simone Gabriele Russo, Salvo Giuffrida, Salvatore Massimo Fazio, Santo Privitera

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Foto di copertina Salvo Giuffrida

Rubriche L’editoriale di Fernando Massimo Adonia

Editore Andrea Pitrolino

p. 7

Resp. Pubbliche Relazioni Giovanni Leotta Mobile. 340 6080612 Pubblicità Mobile. 340 6091442 commerciale@paesietneioggi.it Servizio abbonamenti Mobile. 348 7904214 Progetto grafico Simone Ignazio Russo Infografiche agostinolaudani.it Coordinatore distribuzione Ivan Di Grazia Tipografia Italgrafica - Aci Sant’Antonio (CT)

p. 12

Criminologicamente di Thea Giacobbe

p. 13

Acqua in Bocca di Antonio Giovanni Pesce

p. 32

Blowindow di Isidoro Pennisi

p. 34

Letto, riletto, recensito di Salvatore Massimo Fazio

p. 24

L’EDITORIALE

di Fernando Massimo Adonia fernandomadonia@gmail.com

IL CASO CIANCIO E I RIMORSI DELLA COSCIENZA SICILIANA In foto Mario Ciancio

@fernandomadonia meridianista

SETTEMBRE 2018 - ANNO XXIV | N° 264

i voleva un mega sequestro millionario per offrire al mondo la percezione che c’è qualcosa di marcio a Catania. Il gruppo di Mario Ciancio subisce un colpo durissimo e con lui tutta la Sicilia, nella doppia accezione di terra e di principale testata della Sicilia orientale. Ovviamente, lasciamo a giudici e avvocati, il compito di definire e decidere, se le ipotesi dei pm è fondata.

Perché di mettere il carro davanti ai buoi non ne abbiamo alcuna voglia, né l’autorità.

C’è da segnalare invece l’ondata di stupore che si è abbattuta su tutto il territorio nazionale. Una notizia nella notizia per certi aspetti sorprendente che ci rivela alcune sottigliezze alle quali – da provincialotti quali oggettivamente siamo – non badiamo. Mario Ciancio non è soltanto il barone indiscusso di un feudo localissimo; è invece uno degli attori meglio dotati del teatro economico italiano, proprietario di testate che superano grandiosamente lo Stretto.

Insomma, Ciancio è di più, molto di più rispetto alla rappresentazione grottesca a cui ci siamo adagiati per fin troppo tempo.

La parola mafia pesa. I racconti dei pentiti rivelano dettagli inquietanti. E pensare, come lettori, che negli anni abbiamo ingoiato senza fiatare la rappresentazione offerta da un giornale che forse (!) seguiva una direzione anomala. Che vergogna. «La linea editoriale imposta dal Ciancio – scrivono i carabinieri – improntata alla finalità

di mantenere nell’ombra i rapporti tra la famiglia mafiosa e le imprese controllate dalla medesima; di non porre all’attenzione dell’opinione pubblica gli esponenti mafiosi non ancora coinvolti delle indagini giudiziarie e soprattutto l’ampia rete di connivenze e collusioni sulle quali il sodalizio poteva contare per mantenere la propria influenza nella provincia catanese».

C’è da non dormirci la notte. Anche perché, tra i tantissimi eroi del pantheon antimafia, figura un uomo che su La Sicilia apponeva la propria firma, il giornalista Beppe Alfano, ucciso l’8 gennaio 1993 a Barcellona Pozzo di Gotto. La memoria va anche a quell’altro giornalista ammazzato perché faceva il suo dovere, Pippo Fava, e al linciaggio subìto proprio dal giornale di viale Odorico da Pordenone, che invece di puntare il dito sui responsabile di quel gesto infame, si aggrappò immediatamente al negazionismo più bieco. È chiaro che la storia dell’ultimo cinquantennio catanese andrebbe riscritta da cima a fondo. Però c’è da pensare ai giornalisti, a quelli che nonostante i sospetti sui vertici, hanno offerto finora un servizio professionale, puntuale e onesto. Quelli meritano un abbraccio. La speranza è ovviamente che non debbano pagare loro, soprattutto in termini occupazionali, le presunte colpe di altri.

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FOTORACCONTO

IL “CAMOSCIO” DELL’ETNA

I diari di Montagna di Giò Giusa

SALVATORE RAGONESE, DON TURI PER GLI AMICI, È LA GUIDA ALPINA IN ATTIVITÀ PIÙ LONGEVA DELL'ETNA, UNA SORTA DI MITO PER GLI APPASSIONATI DI QUESTA MONTAGNA

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In foto il figlio Biagio Ragonese

Foto Giò Giusa per il Gruppo Guide Etna Nord

In foto il figlio Francesco Ragonese

FOTORACCONTO

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lpino, classe 1939, risale la “sua” montagna da ben 64 anni, da quando cioè, per la prima volta nel lontano 1954, mise piede sull'orlo del Cratere Centrale, e da allora è stata una vita vissuta per lei, l’Etna Don Turi è conosciuto nell'ambiente mondano come “Il Camoscio dell'Etna”, nomignolo più che appropriato per uno che a 79 anni suonati riesce ancora, con il suo passo relativamente lento e costante, ad accompagnare tranquillamente i turisti ad oltre 3300 metri in vetta sul vulcano attivo più alto d'Europa.

In più di mezzo secolo però, ha visto l'Etna sotto tutti i punti di vista, anche i meno piacevoli. Cito in primis il più importante, quello del fatidico 12 Settembre 1979, quando era da pochi minuti sceso dal cratere con un gruppo di turisti, e tutto a un tratto, quella che sembrava essere una normalissima giornata come le altre, si trasforma in un vero e proprio inferno. Un boato cupo e allo stesso tempo assonante accompagna un violento sbuffo, la bocca espelle con violenza blocchi di materiale di notevoli dimensioni che ricade come una pioggia sui fianchi di esso, lui e uno dei suoi figli erano presenti qualche centinaio di metri più sotto insieme al gruppo. Ne usciranno fortunatamente tutti incolumi; ma quel fenomeno purtroppo provocherà la morte di 9 persone e il ferimento di altre 23 presenti nelle vicinanze.

Un altro evento è quello del luglio 1998, quando era su ancora una volta con un gruppo di turisti per far vedere da quota 3100 la spettacolare attività in corso al Cratere Voragine. Una fessura di oltre 150 metri si era aperta sull'orlo del cratere ed espelleva un incredibile quantità di lava fluida che dava uno spettacolo unico e affascinante. L'attività sembra voler aumentare, e si decide dunque di far scendere tutti per motivi di sicurezza. I collaboratori che guidano i mezzi che accompagnano i turisti in quota e amici gli consigliano di scendere anche a lui, ma ovviamente si rifiuta e insiste a rimanere su per vedere l'attività da vicino. In quota ci stavano pure un gruppo di giornalisti e vulcanologi per fare riprese e altro, li raggiunge e gli raccomanda di andare via, “forza, andate subito immediatamente, qui le cose si mettono male!”. Questi prima non si rendono conto, subito dopo quando Don Turi insiste gli danno retta, prendono il tutto e vanno via. Appena rimane solo rimane incantato dallo spettacolo che si mostra alla sua vista, e decide di avvicinarsi ancora di più, pensa di guardarsi questo spettacolo dal vicino e più alto Cratere di Nord Est. Si posiziona 10

a circa metà del cono, ma lo spettacolo dura ben poco, tutto ad un tratto la lunga frattura che rigettava lava si ferma, qualche decina di secondi di inquietante silenzio ed il tempo di dire tra se e se, cosa sta succedendo? Quando in un batter d'occhio il Cratere Voragine (non più l'orlo) parte in una incredibile attività di una violenza inaudita. Per qualche attimo ho pensato “stavolta non ne uscirò vivo”. Inizia a correre guardandosi le spalle per evitare di essere preso dalle grosse bombe infuocate che ricadevano attorno a lui, cerca di dirigersi in mezzo a quell'inferno in fuoco in direzione di Punta Lucia (quota 2900m.), arrivando poi quasi in direzione della grotta del gelo.

Lo troveranno amici e soccorritori che si erano messi alla sua ricerca dopo diverse ore, un suo amico in particolare era tra questi, e lo abbraccerà con le lacrime agli occhi per la paura, ma al contempo ha pure detto; Lo sapevo, Turiddu in un modo o nell'altro ne uscirà vivo anche stavolta!

Vedere gli occhi lucidi nel frattempo che mi racconta ciò e davvero emozionante.

Nutro una profonda stima nei suoi confronti, lo conosco personalmente da tanti anni in quanto appassionato anche io di Etna ed escursionismo, ho avuto il piacere di salire in vetta insieme a lui decine e decine di volte, anche in questa estate 2018, e devo dire che è sempre una grande emozione, lo ascolto e mi proietto nei suoi racconti come un bambino quando ascolta una fiaba.

Poi lo osservo, mentre avanza, e non riesco a capacitarmi di come riesca incessante a masticare chilometri su sentieri lavici e canaloni di scorie come nulla fosse, ancora risale da quota 2900m. del versante sud fin sopra all'area sommitale per poi riscendere dal versante nord a piedi fino a Piano Provenzana, e trova pure il tempo in 15 minuti di pausa a disposizione per un modico pezzo di pane di bersi la sua birretta e fumarsi una sigaretta, davvero incredibile.

A colpirmi però sono anche gli occhi che risaltano sul suo viso magro come il corpo; chiarissimi, profondi, di una sincerità disarmante, e mostrano la pura saggezza di un uomo vissuto.

Don Turi ha tramandato questa passione ai suoi figli sin dalla tenera età, ed oggi infatti sia Biagio che Francesco, rispettivamente Guida Alpina e Guida Vulcanologica, programmano per i turisti che arrivano da tutto il mondo le escursioni in totale sicurezza dalle quote medio basse fin sopra i Crateri Sommitali, questo tramite il Gruppo guide Etna Nord. Che dire, Grande Don Turi!

SETTEMBRE 2018 - ANNO XXIV | N° 264

CRIMINO LOGICA MENTE di Thea Giacobbe

Esperta in scienze criminologiche e penitenziarie

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la corruzione in sanità

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a cronaca giudiziaria ci riporta puntualmente casi di malaffare e corruzione, in particolar modo nel settore della Sanità. Una “prateria aperta per le scorribande”, l’ha definita recentemente Raffaele Cantone, Presidente dell’A.N.A.C. (Autorità Nazionale Anticorruzione).

Difatti, si parla di un servizio essenziale e non sostituibile che mette in gioco risorse per più di 115 miliardi di euro l’anno. Dalle tangenti milionarie per i grandi appalti alle piccole somme pagate sotto banco per saltare una lista d’attesa, il Sistema Sanitario è, quindi, certamente molto appetibile.

I rischi di corruzione più frequenti sono la violazione delle liste d’attesa (45%), la segnalazione dei decessi alle imprese funebri private (44%), ifavoritismi ai pazienti provenienti dalla libera professione (41%), la prescrizione di farmaci a seguito di sponsorizzazioni (38%), la falsificazione delle condizioni del paziente per aggirare il sistema delle liste d’attesa (37%).

Il FOIA (Freedom of Information Act)è la legge che ha introdotto anche in Italia il diritto di accesso agli atti prodotti e detenuti dalle Pubbliche Amministrazioni e da tutti gli enti controllati o partecipati dallo Stato. Le strategie attuali prevedono anche un piano triennale per la trasparenza e la legalità, un sistema interno di raccolta e segnalazione di violazioni di norme e dei comportamenti (whistleblowing), un codice di comportamento in tema di conflitto di interessi, un regolamento per le procedure d’acquisto, un patto di integrità con le imprese che partecipano alle gare d’appalto, la rotazione dei dirigenti e dei dipendenti che operano in settori a rischio di corruzione, una piattaforma informatica su cui è possibile fare segnalazioni.

Nonostante ciò, quasi il 60% dei dirigenti pensa che tali misure non impattino in maniera decisiva sulla diffusione della corruzione (Fonte: Healthcare Integrity Action, 2017).

E se la sostenibilità del sistema sanitario dipende dalla sua permeabilità alla corruzione, è certamente significativo il dato regionale emerso da interviste ai Responsabili della prevenzione della corruzione di 126 strutture sanitarie pubbliche sulla percezione del fenomeno (Fonte: Curiamo la Corruzione, 2017): in Sicilia la “certezza di non essere scoperti” è la causa della corruzione ritenuta più importante; la seconda è la “certezza di rimanere impuniti laddove scoperti”.

In Sicilia in particolare, dove le pratiche corruttive camminano a braccetto con la criminalità organizzata, dove si gestisce il consenso per mantenere il controllo sul territorio.

L’assetto giuridico è una cornice di riferimento fondamentale, ma lo sono ancor più le modalità attuative della stessa. Quante sono le indagini preliminari avviate? E quante le condanne? Ciò servirebbe ad aumentare la consapevolezza del fenomeno della corruzione e della certezza della pena. E “Mappare la corruzione”, approfondire le dinamiche corruttive, il modus operandi, le cause remote, vicine, congiunturali, le visioni d’insieme dei comportamenti individuali e collettivi, servirebbe di certo più di mille convegni, soprattutto in un settore così vulnerabile qual è la sanità.

ACQUA IN BOCCA Antonio Giovanni Pesce Saggista

antoniogpesce@gmail.com

TEST D’INGRESSO PER MEDICINA LA PROVOCAZIONE: PERCHÈ NON FARE ENTRARE TUTTI? A

guardare i numeri, nudi e crudi, ci sarebbero in Italia circa ottantatremila giovani pronti ad uno studio «matto e disperatissimo» per sei anni, più almeno altri cinque di specializzazione.

Uno studio mattutino, tra una lezione e un’altra, in qualche aula accomodata; notturno, tra le dispense di un corso di patologia e il malloppo di farmacologia da preparare. Studenti con la vocazione ad affrontare il dolore altrui, perché il paziente non è solo sangue e budella, né cadavere da esporre al coraggio incipiente di un futuro medico. Il dolore, quello innocente che neppure il santo sa affrontare con le parole umane.

Tanti sono gli studenti italiani che lo scorso settembre si sono contesi, a suon di crocette e di anni di preparazione (alcuni cominciano già al quarto anno di scuola superiore), non più di diecimila posti per accedere alla facoltà di medicina. A Catania sono stati poco meno di tremila.

Erano ancora ottocento negli anni Novanta. Pian piano il numero è lievitato. Alcuni entreranno nelle facoltà più vicine a casa, altri saranno comunque contenti di essere spediti in giro per l’Italia, secondo una graduatoria unica di un concorso dalle procedure standardizzate.

Ogni anno è una sorpresa per il docente delle superiori. Dove si nascondeva tanta determinazione? Quando il ragazzo svogliato, impreparato diverse volte per le verifiche di matematica o di filosofia, e che magari ha dimostrato conoscenze imbarazzanti all’esame di maturità, ha scoperto in sé la vocazione per lo studio, la precisione, la puntualità, il sacrificio? E giù con commenti, a volte perfino senza alcuna carità.

E invece un po’ di carità sarebbe il caso di avercela, non fosse che per non addossare tutte le responsabilità ai giovani, troppo ingenui e troppo illusi per difendersi. È vero: la scuola ha smesso di selezionare il talento. In anni passati, nessuno che avesse avuto una carriera scolastica zoppicante, avrebbe mai pensato di «tentare» le prove di selezione. E anche senza «numero chiuso», l’idea non lo avrebbe mai sfiorato. Il giudizio di uno o due docenti delle superiori non è mai indicativo di nulla, ma quello di un intero consiglio di classe per un quinquennio è sempre più approssimato alla correttezza che non all’errore. Certo, può sempre scattare qualcosa in un determinato momento, ma proprio perché prepararsi per una professione non è un colpo di genio ma di volontà, non ci si scopre d’un tratto propenso al logorio delle natiche su una sedia, o al lento fruscio del cambio delle pagine di un libro. Musica assordante per le orecchie abituate al frastuono della noia.

Era la scuola che indicava possibili vie e abbastanza certe propensioni.

Lo studente, guidato da una verità forse a volte troppo brusca, si rendeva libero da illusioni e da vanità familiari. Capiva chi era e cosa voleva.

E se voleva ficcarsi nel ginepraio di una carriera universitaria lunga e faticosa, a cui segue solitamente una altrettanto lunghissima gavetta lavorativa, lo faceva con uno spirito al limite dell’abnegazione.

Dunque, tutta colpa della vituperata scuola questo numero spropositato di aspiranti missionari laici? Tutta colpa della mancanza di conoscenza di sé e dei propri limiti? Troppo facile addossare sui ragazzi e sulla scuo-

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la il fallimento di una società, che si mostra socialmente mobile solo col camice addosso. È che abbiamo fatto credere che non ci sia spazio per ingegneri, docenti, imprenditori, commercialisti, perfino informatici ma solo per medici, peraltro ben retribuiti a qualunque età. Come se le duecento euro di visita specialistica le guadagnasse il «dottorino» carino che ti visita o lo specializzando in trasferta nello studio del proprio «maestro».

Ogni anno le famiglie supportano le aspirazioni lavorative, più che scientifiche o esistenziali, del proprio pargolo pagandogli corsi costosissimi. Perché – ci viene detto – non c’è spazio per tremila persone, ed è meglio che si giochino l’accesso alla facoltà che non una sedia a lezione. E siccome in Italia è tutto pulito, lo stesso Stato, che ha garantito almeno dodici anni di formazione, e che altresì garantisce la regolarità del concorso, fa in modo che tra la preparazione pregressa e il test non ci sia alcuna corrispondenza. Perfino il voto di maturità ha perso valore.

A scuola si insegna storia della filosofia, e il test verte sulla logica. Tutti gli indirizzi di studio hanno in comune letteratura inglese, letteratura italiana e storia, oltre a matematica e fisica, e il ministero che fa? Prepara un test non sugli argomenti dell’ultimo anno, o degli ultimi tre, ma sul gossip o quasi. Sapete: studiare storia impone è ricordare la sigla dell’aereo che si schiantò sul Pentagono quell’undici settembre duemilauno!

Si sa che è un problema di selezione, e la selezione la si può fare in tanti modi, e non è neppure azzeccata l’obiezione di chi vorrebbe più chimica o biologia nei test: perché un buon candidato a medicina dovrebbe saperne più di quanta ne studierà in sei anni? E perché invece un buon futuro medico non debba saper scrivere o conoscere la storia della propria civiltà? Tuttavia, la selezione non può essere neppure irrazionale.

Dovrebbe basarsi su quei parametri che lo stesso Ministero pretende per un buon maturando. Non qualcosa di diverso, la cui preparazione, per forza di cose, andare a cercare fuori dalla scuola e pagare a carissimo prezzo.

A questo punto, perché non farli entrare tutti? Sì, è così che si alimentano le illusioni. Ma giurisprudenza, i cui vincoli sono sempre stati molto larghi per le migliaia di iscritti, non sforna dottori in legge a gogò. E non tutti supereranno l’abilitazione per diventare avvocati. Nulla osta a che i tremila aspiranti medici (per fare l’esempio di Catania) divengano, innanzi tutto, tremila studenti paganti. Facciamogli pagare il biglietto.

Mandiamoli nei cinema a seguire le lezioni di biochimica, e di tutte le materie teoriche dei primi tre anni. Il tirocinio, il primo barlume della professione vera e propria, spostiamolo, com’era una volta, dal quarto anno in poi. E mettiamoli davvero alla prova dello studio «matto e disperatissimo». Di questi tremila, moltissimi pagheranno strutture migliori, cattedre, strumentazione ai più caparbi e capaci di arrivare fino alla fine.

Cinismo? No. Realismo. Qualcuno dovrà pur insegnare a ottantatremila giovani che i fallimenti non sono sempre colpa d’altri. Neppure di imperfetti test di ammissione.

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TERRITORIO

ACI BONACCORSI

POLEMICHE PER I RESTYLING DELLA VILLETTA DEI PINI E DI VIA GARIBALDI di Agata Amantia

ZAFFERANA

RICORDANDO IL CARDINALE PAPPALARDO

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a piazza principale di Zafferana Etnea è dedicata al Cardinale Salvatore Pappalardo. La solenne intitolazione è avvenuta in occasione del centenario della nascita dell’illustre prelato, avvenuta a Villafranca Sicula (Ag) ma da genitori entrambi originari di Zafferana, che fu arcivescovo di Palermo dal 1970 al 1996.

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A

d Aci Bonaccorsi arrivano le prime opere pubbliche della nuova Amministrazione. Il sindaco Di Mauro, subentrato un anno fa al sindaco uscente Alì, ha dato il via a due cantieri strategici che hanno come obiettivo il restyling totale dei marciapiedi di via Garibaldi e della Villetta dei pini cioè della zona più centrale e senza dubbio più trafficata del paese.

Ma già ad inizio lavori non sono mancate le polemiche a riguardo. In particolar modo da parte dei suoi avversari politici che hanno molto criticato l’operato del sindaco.

Di certo non gliele hanno mandate a dire.

Con tanto di manifesti affissi per il paese, firmati dal gruppo di opposizione “Rinnovamento e Libertà”, hanno specificato i motivi di disapprovazione.

«Il rifacimento dei marciapiedi di via Garibaldi – ha detto il sindaco Di Mauro – ha richiesto purtroppo l’abbattimento degli alberi che io stesso avevo fatto mettere a dimora perché le radici, ormai troppo grandi, avevano arrecato danni alle abitazioni circostanti, nonché agli impianti idrici ed elettrici sottostanti.Pertanto rappresentavano ormai un ostacolo alla sicurezza dei cittadini. Grazie ad un finanziamento della Regione di circa duecentocinquantamila euro abbiamo potuto realizzare i nuovi marciapiedi ed alla fine inseriremo nuovi

alberi di dimenzioni più piccole. Inoltre con una spesa di circa 50 mila euro stiamo realizzando una nuova area di parcheggio con dodici posti auto a spina di pesce, ricavati da un restringimento di soli 5 metri della carreggiata, nello spazio antistante la villetta dei pini. Verrà anche rifatta totalmente la pavimentazione inserendo terra compostata naturale, verranno realizzati bagni pubblici, un pannello informativo, altri pini nella zona centrale e soprattutto al posto del vecchio parco giochi verranno posizionati altri giochi con l’abbattimento delle barriere architettoniche. Ci sarà anche una pensilina per gli agricoltori che parteciperanno al mercato a chilometro».

Non la pensano così i suoi oppositori che affermano sul manifesto di cui sopra che il restyling della villetta rappresenti un errore di miopia politica poiché con la stessa cifra si sarebbe potuto realizzare una nuova bambinopoli, rilanciando una zona di riferimento del paese, incentivando le attività commerciali concentrate proprio li ed evitando un sovraffollamento dell’altra bambinopoli, in Piazza della Regione.

Continuano ancora definendo scellerata la scelta di piantare degli alberi ,vent’anni fa, che adesso sono stati abbattuti causando un danno all’ambiente ed uno sperpero di denaro pubblico.

BELPASSO VIDEOSORVEGLIATA 32 TELECAMERE E LETTORI DI TARGHE NEI VARCHI DI ACCESSO

È

entrato in funzione il nuovo sistema di videosorveglianza diffusa del territorio comunale, costituito da 32 telecamere e lettori di targhe posti a presidio di tutti i varchi di accesso della città, in grado di coprire il centro urbano e alcune zone di periferia. Proprio stamattina il sindaco, Daniele Motta, ha effettuato un test del sistema, i cui terminali di controllo sono stati installati nei locali del Comando della Polizia Municipale. A illustrare le caratteristiche della videosorveglianza, il comandante della Pm, dott. Concetto Solano, insieme al responsabile del Settore Servizi Tecnologici, ing. Angelo Smilardi, che ha seguito per conto del Comune il progetto e la realizzazione di tutto l’impianto.

«Attraverso un moderno sistema informatizzato - ha commentato il sindaco Motta - Belpasso ha oggi un “muro di cinta” virtuale: il perimetro della città è controllato nei suoi accessi dalle telecamere di videosorveglianza e dai lettori di targhe che consentono di tracciare gli spostamenti di un veicolo quando attraversa il

nostro territorio e di conoscere, attraverso appunto il numero di targa che viene rilevato automaticamente, se il mezzo è stato rubato, se è in regola, chi è il proprietario o se l’assicurazione è stata pagata. Questo equivale a fornire uno strumento importante alle forze dell’ordine per compiere accertamenti e indagini, ma prima ancora significa scoraggiare eventuali malintenzionati, perché chi passa da Belpasso da oggi non potrà sfuggire alle telecamere di questo “grande fratello” virtuale che esegue un monitoraggio costante nell’arco delle 24 ore. Con questa prima installazione, che potrà essere ampliata in seguito, abbiamo già innalzato, e di molto, i potenziali livelli di sicurezza con prevedibili benefici per la qualità della vita di tutti i cittadini». (al)

PER NICOLOSI

NASCE LA SEZIONE NICOLOSI ETNA DELLA LEGA DI MATTEO SALVINI

S

e ne parlava da tempo, adesso è ufficiale. Alla presenza di Fabio Cantarella, responsabile Enti Locali dei leghisti siciliani, tra i primi ad aderire alla Lega in Sicilia e il dottor Maurizio Ferro in qualità di responsabile organizzativo Catania e provincia, si è costituita in occasione di un incontro pubblico la sezione Nicolosi Etna della Lega di Matteo Salvini. A farne parte il nicolosita Vasco Agen, i consiglieri comunali Alberto Mazzaglia e Alessandro Chisari eletti nell’ultima tornata elettorale del 2017 a sostegno dell’attuale sindaco Angelo Pulvirenti.

«Abbiamo posato il primo mattone simbolo di un nuovo progetto - ha commentato Vasco Agen - adesso ci sarà da lavorare e bisogna farlo in squadra, perché una buona squadra vince sempre».

«Sin dalla mia elezione - ha esordito il consigliere Mazzaglia - mi sono sempre rispecchiato nei valori della Lega e di Matteo Salvini, con questo nuovo progetto intendiamo passare dalle parole ai fatti». Dello stesso pensiero il consigliere Alessandro Chisari. «È il momento ideale per far partire questo nuovo progetto politico, non nascondo che, dopo 24 anni, la scelta di lasciare Forza Italia è stata sofferta. Ma interrogandomi, oggi più che mai, ritengo che la Lega e Matteo Salvini, stiano facendo ricredere le persone sul valore della politica propriamente detta».

POLITICA

di Angelo Capuano

In foto, il Sindaco di Aci Sant’Antonio Santo Caruso. (foto www.ecodelleaci.it)

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L

a dichiarazione di dissesto è sicuramente un fatto traumatico nella vita amministrativa di Comune: e se le ragioni di ordine politico vengono in qualche modo fagocitate dalle necessità di natura finanziaria resta sempre una decisione che avrà un impatto sulla vita dei cittadini.

Il caso di Aci Sant'Antonio rappresenta quasi un “case history” su questo fronte, poiché le vicissitudini legate al dissesto hanno delineato un percorso virtuoso che ha consentito all'Ente di ripartire e guardare al futuro: fatto decretato anche dalla riconferma elettorale della classe dirigente che optò per questa scelta definita “coraggiosa”.

Era il giugno del 2013 quando Santo Caruso si insedia come primo cittadino del Comune etneo, ma su questa vittoria elettorale incombeva un documento della Corte dei conti - inviato proprio durante la campagna elettorale - che intimava di procedere alla dichiarazione di dissesto o di predisporre l'attuazione di un piano di riequilibro: «Subito dopo l'insediamento ho avviato una stringente attività di verifica di tutte le passività potenziali e reali con l'aiuto di tutti i capi settore – ha raccontato il sindaco – che ha fatto emergere la reale situazione economico- finanziaria in cui versavano le casse comunali: naturalmente si discostava dalla situazione dichiarata nel bilancio, che anzi dichiarava un avanzo.

Questo è stato il primo atto politico – ha continuato – un'operazione verità che però non era finalizzata a individuare responsabilità pregresse ma a prendere atto dello stato delle cose. E fu cosi che circa sei mesi dopo, a dicembre 2013 il consiglio comunale ha votato la dichiarazione di dissesto.

Ci sono state voci contrarie com'è fisiologico nella politica – ha evidenziato - ma devo dire che prima di prendere la decisione ci sono stati dei tavoli di concertazione con i rappresentanti dell'opposizione, con gli altri candidati sindaci. Abbiamo attivato una procedura di confronto anche con le realtà che anche se non erano direttamente coinACI SANT'ANTONIO, FUORI DAL DISSESTO? La voce di Giuseppe Finocchiaro, consigliere di opposizione

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al suo punto di vista, come valuta la scelta del 2013 di aver dichiarato il dissesto? Una scelta infausta. La compagine amministrativa che ha guidato e che tutt’oggi guida la Città ha optato per la scelta amministrativamente meno impegnativa: far gravare il risanamento sulle spalle dei cittadini santantonesi con cinque anni di lacrime e sangue per le tasse al massimo. Hanno

volte. Ognuno è rimasto della propria idea ma la nostra posizione è stata condivisa».

Il dissesto è sempre traumatico, ma a quelle condizioni posso dire che non sia stato un fatto negativo – ha sottolineato - il Comune è riuscito ad avere più tranquillità nella gestione dei conti ed ha avuto anche la possibilità di assicurare i servizi che addirittura prima non erano assicurati. Ci siamo riusciti e i sacrifici dei cittadini sono serviti a risanare la situazione finanziaria.

Sappiamo infatti che siamo stati obbligati a mantenere tutte le aliquote fiscali al massimo. Siamo riusciti anche a riattivare le procedure che erano ferme da tempo».

«Grazie alla necessaria spending review e all'accesso di fondi dell'amministrazione centrale destinati agli enti che, come il nostro, avevano dichiarato il dissesto entro il 31 dicembre 2018 – ha ricordato Maria Grazia Leone che durante quel mandato ha ricoperto la carica di assessore con delega ai servizi sociali e all'istruzione – abbiamo mantenuto ad esempio una serie di misure di primaria importanza per i cittadini: abbiamo garantito i buoni libro, le borse di studio, abbiamo ripristinato il trasporto pubblico scolastico che mancava addirittura da anni, il riscaldamento nelle strutture scolastiche, la refezione, e il trasporto scolastico per i soggetti segnalati dai servizi sociali con particolari esigenze».

«Adesso siamo fuori dal dissesto – ha concluso il sindaco Caruso esponente del centrosinistra - il Comune di Aci Sant'Antonio va avanti senza avere grosse difficoltà.

Pur nelle difficoltà condivise a livello generalizzato con tutti i comuni a causa della riduzione dei trasferimenti, stiamo cercando di concludere questo periodo. Il passo successivo sarà quello di intervenire per alleviare la pressione fiscale sui cittadini. Penso che il risultato elettorale che mi ha confermato con circa il 60 % delle preferenze al primo turno sia la testimonianza che i cittadini abbiano apprezzato il nostro coraggio».

lasciato la gestione del debito pregresso a tre commissari straordinari, profumatamente retribuiti, con la conseguenza di aver potuto operare in cinque anni con un Bilancio vergine. Senza alcun debito da dover “gestire”. Abbiamo sempre ritenuto che l’Amministrazione avrebbe dovuto avere il coraggio di intraprendere la strada del piano pluriennale di rientro, che avrebbe evitato lo stillicidio rappresentato dall’obbligatorietà delle tasse al massimo durante il quinquennio di dissesto, ma che – al contrario – avrebbe permesso di orientare l’innalzamento delle aliquote al reale fabbisogno risanativo dell’Ente.

SPORT

L’ULTIMO VOLO ACIREALE PIANGE ROSA D’AGOSTINO di Roberto Quartarone

ri come un temporale: splendido e tempestoso quando arriva, splendido e rincuorante quando finisce» ha ricordato Nicola D’Agostino al funerale della sorella Rosa. Come un temporale estivo, una donna di grande spessore se n’è andata prima del tempo, lasciando chi stava attorno a lei colmo di lacrime e di tristezza.

La folla nella cattedrale di Acireale, il giorno dell’addio, testimonia il segno che Rosa D’Agostino ha lasciato nella comunità acese, ma anche quanto sia difficile separarsi da una persona cara di soli 45 anni, con un lungo percorso da intraprendere di fronte a sé e una vita intensa alle spalle.

La sua è stata una vita segnata anche dallo sport. Quand’era giovane, era nell’ambiente cestistico, ma nella maturità la passione per il volo è stata tanto forte da portarla con sé fino all’ultimo passo e poi tradirla: il rischio, ma anche la libertà che dà potersi librare sulle colline e le pianure della riviera ionica, è un elisir di felicità e che può trasformarsi in un potente veleno che, questa volta, è stato mortale.

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L’INCIDENTE Un’avaria, un guasto tecnico: ancora è presto per dirlo. Lo schianto è avvenuto nel tardo pomeriggio di martedì 11 settembre, meno di un minuto dopo il decollo dall’Aviosuperficie di Calatabiano, a due passi da Marina di Cottone. D’Agostino era su un Tecnam P 92, un aereo biposto ultraleggero di proprietà di un amico, istruttore di volo. Lei lo pilotava quando aveva del tempo libero: aveva la patente di volo e da sei anni frequentava l’aviosuperficie dedicata ad Angelo D’Arrigo. Così coltivava questa sua grande passione.

Era sola, in un momento di svago dal suo lavoro di dirigente di controllo di gestione alla Dacca, ed è morta sul colpo, non appena ha perso il controllo del velivolo, che si è accartocciato su un canneto poco distante dal luogo del decollo, sul torrente Minissale in contrada Pero.

I carabinieri del Comando di Giarre e le autorità giudiziarie stanno ora indagando, per scoprire una verità che non darà alcun conforto alla famiglia di Rosa D’Agostino.

Dai primi riscontri, pare che il mezzo fosse sicuro e mantenuto costantemente, come ha dichiarato la Triavio, la società che si occupa dell’aviosuperficie.

L’intera vicenda è ancor più dura da accettare perché è stato il primo incidente di questo tipo avvenuto a Calatabiano.

«Sono dispiaciuto per il tragico evento – ha commentato a LiveSicilia il sindaco del Comune etneo, Giuseppe Intelisano – la scomparsa di una persona non può che lasciare sgomenti. È la prima volta che accade un incidente simile da quando è attivo il campo di volo, cioè da 19 anni. Per la comunità di Calatabiano l‘aviosuperficie rappresenta una struttura importante».

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LA PASSIONE «Gli uomini non riescono a consolarsi della dipartita prematura dei giusti, ma è in fine nella prospettiva di Dio che ogni singolo fiore è preservato in eterno. Rosa ha espresso la sua vita in maniera generosa». Il vescovo di Acireale, Antonino Raspanti, ha ricordato così Rosa durante il funerale. Era un “giusto” perché ha vissuto la sua vita al massimo, dando tutta se stessa e ritagliando spazio alla sua passione.

«Pur essendo una disciplina sportiva incastonata in canoni di sicurezza elevati, purtroppo l’incidente può capitare – si dolgono dalla Triavio –. Questa disgrazia ci colpisce in particolar modo perché abbiamo perso una cara amica, una persona stupenda, che aveva questa grande passione, come tutti noi».

Angelo D’Arrigo dà il nome alla pista e proprio al grande pilota catanese va subito il ricordo quando succedono tragedie analoghe: dopo aver volato sull’Everest, aver percorso il Sahara e infranto un gran numero di record a bordo di deltaplani e deltamotori, è deceduto anche lui a bordo di aereo durante una dimostrazione di volo, nel 2006, anche se era passeggero.

La passione che accomuna chi ama il volo traspare proprio da una citazione di D’Arrigo, che ne esprime la filosofia: «L’uomo dispone della facoltà di poter realizzare tante cose. Un’aquila vola ma non va sott’acqua, un pesce vola ma non s’arrampica. L’uomo ha la facoltà di essere polivalente: è una bellezza poetica potersi cimentare in queste attività». La bellezza è poetica e drammatica allo stesso tempo e anche Rosa ha avuto la disgrazia di incrociarne il cammino, ma vivendo fino in fondo.

A GRAVINA UN SUCCESSO CHIAMATO FESTIVAL DELLA BIRRA PROMOTION

Foto di Giuseppe Dell’Arte

È

boom di visitatori al “Festival della Birra e dello Street food regionale”, tra gli stand dedicati allo street food e alla bevanda tradizionale in tutte le sue declinazioni: pastorizzata e non, artigianale, d'importazione e naturalmente “Made in Sicily”. Una location, quella dell'area antistante il Centro commerciale Katané, che disegna un percorso ideale tra le attrazioni del Luna Park – con annessa ruota panoramica e divertimenti per grandi, piccoli e famiglie – gli espositori dell'artigianato e gli operatori commerciali, l'area food con i tavoli di “social eating”, fino ad arrivare al palco degli eventi. In occasione dell'avvio ufficiale della manifestazione sono intervenuti i rappresentanti dell'amministrazione comunale: «L'evento è diventato nel corso degli anni un punto di riferimento che è riuscito a valorizzare e consolidare la tradizionale vivacità di Gravina», ha detto il sindaco di Gravina di Catania, l’avvocato Massimiliano Giammusso.

«Questa edizione resterà negli annali per la grandissima partecipazione di pubblico – ha commentato Franco Marcantonio, consigliere comunale e promotore della manifestazione. Un successo che si spiega con semplicità, perché se il percorso gastronomico offerto e le specialità di birra presenti sono tante e soprattutto di qualità, il risultato non può che essere straordinario. Ma è anche un altro il motivo dell’interesse che ha suscitato il nostro festival – spiega Marcantonio – ed è nel grande coinvolgimento nell’iniziativa delle realtà produttive locali.

La loro risposta al nostro appello di lavoro comune è stato assolutamente significativa. Una sinergia

dunque cha vale già come un punto di forza su cui costruire in futuro».

Il Katané come risorsa. «La location – ha commentato ancora Franco Marcantonio – ha fatto il resto. Non è stata affatto casuale la scelta di disegnare un percorso ideale tra le attrazioni del Luna Park, con annessa ruota panoramica, divertimenti per grandi, piccoli e famiglie, passando per gli espositori dell'artigianato e gli operatori commerciali, fino all'area food con i tavoli di “social eating”».

CULTURA

MASSIMO GIANNONI TRA REALE E ASTRATTO Testi e foto di Francesca Santangelo

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E

sistono dei luoghi capaci di affascinare migliaia di menti. Piccoli scrigni incantati che racchiudono al loro interno arte, sapere, la nostra stessa identità. Insomma, templi sacri dell'intelletto, che soddisfano occhi e anima.

Dimore nobiliari, palazzi storici, antichi monasteri la cui bellezza è data dalla presenza di opere d'arte nell'opera stessa. Tra questi, è sicuramente possibile inserire le biblioteche, custodi della conoscenza scritta degli uomini.

Queste affascinanti culle del sapere, sono diventate soggetto privilegiato per Massimo Giannoni, pittore toscano contemporaneo, famoso appunto per le sue tele ritraenti biblioteche. Una di queste, adesso è proprio a Catania, presso la Società Storica Catanese, la casa-museo sita al Palazzo Nicotra-Bertuccio: “Un loro angolo” è il titolo dell'opera, presentata a giugno con un appuntamento tra arte e cultura, un incontro condotto dall'esperta d'arte, la Prof.ssa Calabretta, circondati dalla suggestiva bellezza dei saloni della sede.

«Nella casualità, era la composizione che mi attirava, – spiega Giannoni - la scala, le poltrone rosse una che entra dentro l'inquadratura mentre l'altra appena. Mi sono lasciato affascinare dall'intimità di quello spazio, dalle interessanti presenze/ assenze.» Il 30% dell'opera è il lino della base, un colore marrone/verdognolo, a cui si uniscono le flashate sui colori reali

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dell'opera, realizzate in maniera materica e che, per qualche alchimia, diventano costole di libri. Paradossalmente c'è ben poco di descrittivo, non vi è una rappresentazione didascalica. La materia che va a ricoprire le costole del libro, è in realtà una materia indipendente. Quasi un quadro astratto dentro un quadro realista. «Non è un opera descrittiva, si distacca totalmente da quello che rappresenta, nonostante rappresenti quel luogo lì.»

Ma perché proprio le biblioteche?

Di base, oltre la bellezza del luogo, vi è un connubio perfetto tra il soggetto e l'idea di pittura materica. «Volevo usare queste masse di colore informe e farle diventare qualcosa da lontano.» Tutto ebbe origine dalla vecchia libreria a Firenze “Siber”: un'architettura molto particolare, con dei banconi geometrici e luci acide al neon. «Prima che chiudesse feci una serie di foto e da lì cominciai a schizzare il primo interno e pensai: tutto sommato questa libreria è un paesaggio. Iniziai a costruirla e venne fuori l'immagine. - continua il pittore - Logicamente c'è anche un fascino a certi luoghi che ho sempre amato e inconsciamente c'è il richiamo a una tradizione toscana fatta dalla costruzione dell'immagine per piani, scandita, essenziale. Mi sono innamorato di questo soggetto. Un percorso che ha avuto un seguito e poi un riscontro. Il mercato mi ha premiato con gli interni delle biblioteche».

Vanessa Corsaro, eletta a Belpasso Miss Sorriso Sicilia Ovest

Belpasso è stata lo scenario dell’elezione di Miss Sorriso Sicilia Ovest, manifestazione valida per l’accesso alle finali del concorso di Miss Italia. La serata, condotta da Antonello Consiglio, in collaborazione con Chiara Esposito, è stata fortemente voluta dal consigliere comunale Massimo Condorelli, artefice di questa tappa a Belpasso. Diciannove le concorrenti in gara, a queste si sono aggiunte altre 5 partecipanti, che hanno gareggiato per il titolo di Miss Mascotte 2018, categoria riservata alle minori di 18 anni e che permette alla vincitrice di accedere direttamente alla finale regionale del prossimo anno. Ad aggiudicarsi il podio la paternese Vanessa Corsaro. Il titolo di miss Mascotte è stato assegnato a Sefora Canigiula di Augusta.

Miss Acicastello Art è Giulia Napoli

In Piazza Castello ad Acicastello si è svolta la prima edizione di "Miss Acicastello Art". Uno spettacolo unico nel suo genere, un'alchimia tra bellezza, arte e cultura. Le candidate Miss hanno sfilato con brani 60'-70'-80-90', portando sui loro corpi particolari dei quadri esposti dai pittori padrini e madrine delle Miss stesse, per l'occasione disegnati in estemporanea davanti al pubblico. Le Miss hanno anche recitato una poesia di Nino Martoglio. La serata ideata da Ricky Calzona e Lucia Trovato è stata condotta dallo stesso e da Katia Balsamo. Ad aggiudicarsi la fascia di "Miss Acicastello Art" la bellissima Giulia Napoli con madrina la pittrice Anna Rondine. Alla prima classificata è stata consegnata una targa creata appositamente dalla pittrice Ausilia Patanè.

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CATANIA IN PENOMBRA DOMENICO TRISCHITTA E L’ANIMA DI SAN BERILLO

di Salvatore Massimo Fazio foto di Salvo Giuffrida

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ncisivo nel romanzo, nel racconto come in teatro, e pulito nel raccontare i fatti da giornalista. Eccolo, Domenico “Mimmo” Trischitta. L'anno di grazia per il drammaturgo e scrittore catanese è il 1999 quando esordisce come autore di testo teatrale portando in scena Sabbie Mobili, con la produzione di Rai International presso il Teatro Quirino di Roma. Nello stesso anno pubblica per Boemi, Daniela Rocca, il miraggio in celluloide, omaggio e tributo alle vicende socio umane dell'attrice catanese, morta a Milo. Escavatore unico del genere lettero-intimista, non ha mai abbandonato Catania in ogni sua produzione artistica, nonostante per diversificati motivi e a periodi alterni si è dovuto allontanare dal Vulcano.

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DOMENICO “MIMMO” TRISCHITTA SI RACCONTA COME UNA DIAGONALE NEL PRATO DELLO STADIO EX CIBALI, OGGI “ANGELO MASSIMINO”, DI CATANIA, CON L'OCCHIO DELLA FENICE CHE GIOCA COI “CHE” AGGETTIVO, CONGIUNZIONE E PRONOME: CHE ANTICIPA IL CONCORRENTE, APPICCICA LA PALLA AL PIEDE COME MASTALLI CHE LANCIA A RETE ALDO CANTARUTTI, CHE ALTRO NON DEVE FARE SE NON METTERLA DENTRO. IL TUTTO IN SILENZIO, SENZA MAI VOLER ESSERE PRIMA DONNA, NONOSTANTE CONOSCA TUTTO DELL'ORO DI SAN BERILLO, CHE LO INCORONEREBBERO “IMPERATORE” INDISCUSSO

Trischitta è uno degli ultimi superstiti di quella “deportazione” che svuotò di vita la vecchia San Berillo. Mentre ruspe ed escavatori radevano al suolo quello che per i catanesi era il quartiere per eccellenza, i suoi abitanti finirono altrove, a San Leone.

Lasciando il posto ad una delle contraddizioni più evidenti di questa terra: il corso Sicilia (la City), lo sventramento di corso dei Martiri, le prostitute tra le ultime case rimaste in piedi. Cioè: “la città dentro la città”, “la città del peccato e del piacere”.

Ma anche l'angolo unico della cultura, dei personaggi che hanno esportato la saggezza catanese nel Mondo. Tra questi lui, che con la famiglia vi visse, conoscendo ogni punta di spillo di quel sipario forse, oggi, un po' troppo inflazionato. Domenico “Mimmo” Trischitta si racconta come una diagonale nel prato dello stadio ex Cibali, oggi “Angelo Massimino”, di Catania, con l'occhio della fenice che gioca coi “che” aggettivo, congiunzione e pronome: che anticipa il concorrente, appiccica la palla al piede come Mastalli che lancia a rete Aldo Cantarutti, che altro non deve fare se non metterla dentro. Il tutto in silenzio, senza mai voler essere prima donna, nonostante conosca tutto dell'Oro di San Berillo, che lo incoronerebbero “imperatore” indiscusso.

In che situazione ami scrivere i tuoi libri?

«Non ho una regolarità temporale, scrivo quando ho urgenza di raccontare una storia. Quando la storia è già pronta nella mia mente, dopo averla maturata e metabolizzata, la scrivo e sono molto veloce. Prima deve essere pronta dentro me, questo è un processo lungo. A scrivere ci sto poco».

Questa metabolizzazione è solo mentale?

«No, non scrivo nulla, è un metabolizzare “di pancia” come si suol dire. La storia deve entrare in me, con molta prepotenza, viene pensata la strutturazione e poi scrivo».

Non c’è regolarità, quindi. «Esatto, appena è pronta so che posso scriverla. E lì sono molto veloce, come ti dicevo. Vivo la narrazione come una condizione, non come professione. Ho un rapporto intrinseco, mi entra nel cuore l'emozione, lì capisco che sono pronto».

I tuoi libri sono tutti fondati su eventi e personaggi reali? «Tutto parte sempre da un vissuto personale, anche quando sembrano personaggi di fantasia. In alcuni è evidente il fattore biografico, in altri potrebbe non sembrare, ma vi è sempre il riferimento di partenza che è biografico».

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I tuoi libri sono ambientati sempre a Catania, hai mai pensato invece che questi stessi racconti e romanzi, potevano essere ambientati in altre città? «Posso dirti che il primo romanzo sulla trilogia di Catania, che non ho mai pubblicato, è ambientato tra Catania e Parigi. È la storia di un senegalese che da Parigi, passando per la Costa Azzurra, arriva a Catania. Anche in questo protagonista, c'è un sentire molto comune con lo scrittore, ripercorrendone le tappe.

Non a caso, conosco molto bene Parigi, ma anche Nizza, eppure potrebbe non essere colto, perché il personaggio è di una cultura notevolmente distante dalla mia».

Parigi? «Non potrei mai raccontare di luoghi che non conosco, o forse potrei farlo, ma non fa parte della mia natura, della mia poiesis. Si potrebbe pensare che io racconto soltanto la provincia, il luogo di nascita, così non è, in verità io parto da Catania per arrivare altrove. Magari è una metafora, per rappresentare il mondo universale, per essere presente in tutte le parti del globo».

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Da un anno vive nel profondo nord. Lì hai trovato nuove fonti d’ispirazione?

«La distanza dal luogo natio, dal luogo della memoria, dal luogo degli affetti, mi ha permesso di collaudare per la prima volta una lucidità di osservazione che prima non avevo, come se la distanza mi avesse dato una vista più lunga».

Che vuol dire? «All’inizio sembrava un allentamento della memoria, invece ha rappresentato un legame molto più stretto, come vedessi in maniera più limpida e più chiara la situazione della mia città, come se avessi assunto una memoria fotografica molto selettiva».

Affetti. Suo figlio Luca, in arte Elfo, è un rapper assai quotato. Entrami parlate di periferie. Un sentire comune? «Credo che in lui sia passata la mia sofferenza, che magari emerge in alcuni suoi testi. In una canzone c'è un verso che mi omaggia, cita il padre, fa piacere, però ognuno mantiene il proprio percorso, con la specifica inclinazione».

Il regista Nicola Alberto Orofino, ha portato in scena Glam City. Un successo sia a Napoli sia a Catania sia a Genova.

«Ho preso consapevolezza assistendo al successo di questa opera fuori dalla Sicilia, verificando l'emozione di un pubblico non siciliano, grazie anche all'interpretazione di Silvio Laviano e alla regia di Orofino.

Grandi emozioni, non me lo aspettavo».

Non crede che il tema del rilancio di San Berillo sia ormai modaiolo. «A me questo sospetto è venuto, anche perché quando iniziai a scrivere Una raggiante Catania, eravamo in pochi ad esserci accorti delle potenzialità sentimentali e socio artistiche di questo luogo. La letteratura è stata l’apice per il rilancio delle fonti di San Berillo.

Oltre al mio romanzo, al lavoro teatrale di Turi Zinna, a Il giudizio della sera di Sebastiano Addamo, e alla riscoperta di una scrittrice quale Goliarda Sapienza che era vissuta lì, credo si sia un po' esagerato».

Perché è successo? «Nel momento in cui si è capito che era una ferita aperta e poteva 27

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diventare un termometro di una città, partì una sorta di sviluppo e interesse, da chi anche non sapeva molto di San Berillo.

Per me è stata un’ossessione creativa, figlio di deportati di San Berillo, che ha vissuto un’ emotività notevole che magari altri non hanno mai avuto, questo, credo, la dice lunga sul fatto che effettivamente vi sia stata una inflazione».

Progetti per il futuro? «Dovrei scrivere due testi teatrali, ma rimando per motivi di concentrazione. Invece sono in attesa di risposta per il mio nuovo romanzo incentrato sull'amore, non in quanto amore venduto a destra e manca, ma un viaggio che porti alla conoscenza del concetto di amore come evoluzione».

«CREDO CHE IN ELFO SIA PASSATA LA MIA SOFFERENZA, CHE MAGARI EMERGE IN ALCUNI SUOI TESTI. IN UNA CANZONE C'È UN VERSO CHE MI OMAGGIA, CITA IL PADRE, FA PIACERE, PERÒ OGNUNO MANTIENE IL PROPRIO PERCORSO, CON LA SPECIFICA INCLINAZIONE»

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SHOPPING ONLINE ACQUISTARE DA CASA

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he ne pensate di una giornata di shopping da fare comodamente in casa, senza la confusione dei centri commerciali? Poter guardare su un catalogo digitale outfit di ogni genere e gusto. In breve, shopping online! È una realtà sempre più diffusa, un nuovo modo di fare acquisti che sta conquistando il cuore di tutti noi.

Il mondo social entra sempre più nella realtà quotidiana e dopo le influencer, che orientano i propri follower sulle tendenze del momento, i negozi online rappresentano la novità nel mondo della moda. Tantissimi i motivi per cui poter scegliere di fare acquisti comodamente da casa: gli sconti per esempio.

Spesso si possono trovare saldi in periodi non previsti; o ancora la possibilità di avere dei vestiti prima ancora che arrivino in negozio. Ottimo per chi vuole anticipare le tendenze della stagione. Maria Cristina Gemmellaro, 21enne paternese, indossa un abito acquistato sul negozio online B.m.shop: gestito da una coppia di giovani siciliani, aiutati da alcuni collaboratori, hanno trovato nel mondo della rete, un modo per mettersi in gioco e lavorare. Instagram è la piattaforma principale dove operano, così come tutte le grandi aziende, tenendo conto che i principali fruitori dell’app, sono coloro i quali spendono di più per gli acquisti. Per chi non è abituato, sono tanti i dubbi legati allo shopping online: i pagamenti, le taglie dei vestiti, il reso qualora il prodotto non andasse bene. Nulla di preoccupante: basta fare un po’ di attenzione, perché sebbene sia assolutamente possibile rispedire indietro un capo della taglia sbagliata, è decisamente meglio riuscire ad azzeccare le taglie al primo colpo! Ed infine, immaginate l’emozione di quando il corriere vi suona alla porta di casa in versione Babbo Natale, con tanti pacchi che aspettano solo essere scartati..? E allora buon shopping online..!!

Photographer: Francesca Santangelo Model: Maria Cristina Gemmellaro Dress: B.M.Shop

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MUSICA

LE INSOLITENOTE

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l gruppo vocale Insolitenote nasce, nell’estate del 2011, quale frutto della comune passione di cantanti e musicisti provenienti da diverse esperienze nell’ambito del canto corale e solistico.

La formazione attualmente composta da sette voci miste, tre femaminili e quattro maschili, è diretta da Stefania Pistone, docente di canto, musicologa e soprano del gruppo. Il repertorio che il gruppo propone spazia dallo swing al jazz, dal pop alle colonne sonore di famosi films, dal blues al gospel. Molti brani sono eseguiti a cappella e, in diversi casi, gli arrangiamenti sono originali. La vocal band si è esibita al prestigioso Etna inBlues Festival al Parco Trinità Manenti di Mascalucia SETTEMBRE 2018 - ANNO XXIV | N° 264

(Ct), precedendo l’esibizione di Mitch Woods, pianista di boogie woogie di fama internazionale, al Festival I-ART “Paesaggi contemporanei” presso Palazzo Platamone, manifestazione organizzata dal Teatro Potlach con la regia di Pino Di Buduo, al teatro N. Mandela per la stagione concertistica “Misterbianco in jazz” ed in diverse altre occasioni, ottenendo sempre ampi consensi di pubblico e critica. Il gruppo inoltre è stato ospite del programma televisivo “Insieme” e di alcuni programmi radiofonici su Radio Studio Centrale, Radio Fantastica e Globus Radio Station.

La band ha frequentato lo stage di specializzazione per cantanti presso il C.E.T. (Centro di Eccellenza Universitario della

Musica) fondato e diretto da Mogol e la masterclass di tecnica vocale secondo il metodo “Speech Level Singing”.

Il gruppo è attualmente formato oltre che dai veterani Alberto Santonocito, professore di matematica e tenore dalla voce calda e dal contralto Martina D’Antoni, futuro medico per professione e cantante per passione, dal soprano Tiziana Perry, in cui voce e grinta si fondono in un mix esplosivo, dall’eclettico e professionale tenore Salvo Sava e dal simpatico e travolgente basso Massimo Ezio Costanzo; e per finire, last but not least, il beatboxer e mascotte del gruppo, data la sua giovane età, Federico Magnano che con la sua freschezza e bravura coinvolge e diverte chi lo ascolta.

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BLOWINDOW

Isidoro Pennisi Opinionista de "Il Quotidiano del Sud" twitter@sognadoro23 i.pennisi@tiscali.it

LA SICUREZZA DEI NOSTRI PONTI E LA MANCANZA DI UNO STRUMENTO LEGISLATIVO EFFICACE I

l termine manutenzione, soprattutto dopo il crollo di una pila del Ponte autostradale a Genova, è diventato quello più utilizzato nel dibattito pubblico. Questo termine era già da qualche anno che proliferava nei discorsi della classe dirigente e nei commenti di quella diretta, soprattutto dopo una serie d’eventi sismici e idrogeologici che hanno costellato la storia dell’ultimo decennio. In Sicilia, in particolare, alcuni cedimenti strutturali sulle poche arterie strategiche dell’isola e alcuni eventi metereologici ormai costanti, che hanno mietuto vittime e cancellato parti di aree urbane, sulle coste dello Jonio e del Tirreno, hanno fatto diventare il termine manutenzione, parte integrante del concetto di prevenzione (altro termine abusato) un elemento essenziale del discorso pubblico e privato. L’ex Sindaco di Catania Enzo Bianco, personaggio che ha attraversato almeno tre decenni di vicende amministrative e politiche del Paese e della Sicilia, è intervenuto con una nota che secondo me spiega bene, per contrasto, i motivi per cui ci troviamo a discutere di manutenzione e prevenzione. Tra analisi della vicenda di cronaca, censura generica sull’insufficienza finanziaria dedicata e la difesa personale per una sua scelta di governo riguardante proprio la demolizione di un manufatto ritenuto a rischio, di fatto non ha centrato alcun elemento inedito ma reale che, secondo il mio parere, determina la situazione che viviamo e subiamo. E provo a dirli velocemente.

Esiste un problema di disinteresse e sottovalutazione sul valore della “cultura materiale” nella vita di una comunità locale e nazionale. Nel senso che ormai intendiamo i manufatti, dai più piccoli ai più grandi, dalla panchina pubblica sino a una diga idroelettrica, come meri oggetti funzionali con contenuti finanziari. Costruirli, farli durare, non è più un’opera grave, un evento dirimente per dare un senso e una storia a una comunità, darle continuità d’intenti, ma un momento utilitaristico e monetario, in cui il prezzo da pagare per realizzarle e manutenerle conta di più del valore civico e identitario. In cui le analisi costi benefici contano di più della responsabilità d’avere cura per ciò che altri hanno realizzato e di costruire quello che altri, ancora nemmeno nati, attendono di vedere senza saperlo ancora. La seconda questione è la mancanza, nella situazione data, di uno strumento legislativo dedicato alle opere e all’operare per finalità di Sicurezza Nazionale o Civile. Nel senso che non è possibile fare nulla di misurato, per tempi e per problemi, senza un Codice dei Lavori e degli Appalti parallelo e diverso da quello normale, presente costantemente e non inventato di volta in volta come fatto emergenziale e in deroga, per realizzare opere d’interesse nazionale, riabilitare il territorio dello Stato e manutenere con tempestività ciò che la storia consegna in dote. In sostanza, non è possibile avere una sola fonte normativa per costruire una scuola o un ponte, per ristrutturare una casa o per rimediare ai danni di un terremoto, per realizzare una piazza o un grande complesso per manifestazioni, culturali o sportive, a carattere planetario. Non è possibile fare alcune cose, soprattutto quando capitano senza preavviso, andando in deroga. Serve uno strumento

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normativo sempre vigente che sia pronto a far fronte sia a emergenze puntuali come a urgenze di lungo periodo, cui attingere per alcune questioni di cui tanto si parla. La terza questione, sin troppo semplice ma sottovalutata per interessi o per questioni ideologiche, è non dimenticare che ogni manufatto ha bisogno di qualcuno che lo immagini come essenziale, lo progetti, lo costruisca e lo curi da subito e sempre. Sapere con chiarezza chi, come e quando fa queste cose è dirimente. Da una situazione in cui, anche con diseconomie, tutto ciò era chiaro, siamo passati in una nuova situazione in cui tra liberalizzazioni, concessioni, ridisegno degli enti dello stato sul territorio, questa responsabilità specifica sull’artificiale (ancor più che su altre cose) non ha più una mappa aggiornata. Facile fare una concessione per qualsiasi cosa, se poi chi concede (che pur sempre rimane proprietario e responsabile di ciò che concede temporaneamente) si dimentica del valore di quella proprietà, sia in termini economici sia di valore sociale. E’ semplice cancellare enti dello stato, come le Province, e dimenticarsi di tutto quello che questi enti realizzavano e curavano. Facile realizzare Città Metropolitane in cui, nell’intreccio tra il tutto e le parti, sfuggono cose che né il tutto né le parti curano più. Io direi questo, in conclusione. La Sicilia, nella sua ampia autonomia, forse potrebbe rivedere tutte le cose che ho detto, e porvi rimedio senza attendere che lo Stato rinsavisca, facendosi capo fila di una virtuosa e più onorevole capacità organizzativa e normativa da cui, poi, e solo poi, può discendere un lungo lavoro di riabilitazione dell’artificiale.

La Sicilia, nella sua ampia autonomia, forse potrebbe rivedere tutte le cose che ho detto, e porvi rimedio senza attendere che lo Stato rinsavisca, facendosi capo fila di una virtuosa e più onorevole capacità organizzativa e normativa da cui, poi, e solo poi, può discendere un lungo lavoro di riabilitazione dell’artificiale

LETTO, RILETTO, RECENSITO

Autrice: Giuseppina Torregrossa Titolo: Il basilico di Palazzo Galletti Editore: Mondadori Pagine: 249 Prezzo: € 18,50

di Salvatore Massimo Fazio

riflettere con un semplice giallo, che tanto non lo è, e ci emoziona, rapisce e affatica, come quando si fa l’acchitata per la festa della patrona roseanero Santa Rosalia.

Di lui sappiamo che è uno scrittore e filosofo che risiede a fasi alterne a Sant’Agata Li Battiati.

Rappresentante primo della cultura del paese etneo, senza eccessi e senza strafare si è imposto all’attenzione della cultura mondiale in quanto fondatore del nichilismo cognitivo.

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a crisi del passaggio da ragazza a donna, coinvolge la commissaria Marò, che è il soprannome con la quale le persone a lei più intime l’appellano. Il 15 agosto, il giorno che a Palermo, tutti vanno a mangiare i un frammento di verde, un omicidio scompensa, e forse salva, il suo momento critico anche nei sentimenti.

Pinuzzu, Sasà, Giulia Arcuri, Marina Sorbello, Maria la buttana,la coppia Attardi, la madre di Giulia, il basilico di Palazzo Galletti, ex sede di bordello cittadino, Palermo, dove da sempre con Catania si dibatte sulla nascita di Sant’Agata e sull’ultima vocale di un piatto di gastronomia tipico: dicesi arancino o arancina? - sono i personaggi di questo giallo, che con humor, verità, dolore ed eros, trascina chi legge nella necessità edonistica di fare all’amore con il libro stesso, di morale, di preservarlo, di esserne conquistati e conquistarlo.

Giuseppina Torregrossa ci racconta tutto, una Palermo dove l’acqua manca sempre e dove conviene neppure farsi il bagno, perché c’è il divieto. Un omicidio (o femminicidio?) in quel 15 agosto, che scombussola i piani della commissaria Maria Teresa Pajno, ma li scombussola anche a chi mure e allora, nelle bellezza dello stile torregrossiano, emergono aspetti infantili di personaggi che sono duri e militareschi e certa maturità di donne che possono permettersi tutto e invece auspicano ad una umiltà non stentata, per dirla in breve, non da centro sociale, dove a tutti i costi vi deve essere spinello, vestirsi da barboni disperati e scopare liberamente per ricordare la rivoluzione sessuale: NO! Non lo fa questo Giuseppina, perché è un genio a portarci a

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Sulla trama, si riscontra la difficoltà tipica delle prime pagine e il paragone lo abbiamo fatto con altri libri dell’autrice siculo-romana, ma è una difficoltà certamente notevole, perché non stanca e d’improvviso ci catapultiamo nel piacere, seppur doloroso, di due amanti del giuoco del sesso, che però giuocano in quella maniera, perché?

Perché un motivo c’è: ed è il filo interrotto del romanzo, che ci lascerà a bocca aperta e meravigliati a chiusura libro, tanto che ti riproietta nuovamente a rileggerlo e se il tempo non lo hai, a rivivere quanto assimilato: obitori, professori che fanno autopsie, venditori di calia e semenza, buttane che si improvvisano portieri di palazzi. Donne belle, nude e bianche, non chiare, proprio bianche di carnagione. E una vespa con la meravigliosa commissaria, che infrange le regole, perché deve correre, scappare, andare, perché il questore è un laido presuntuoso, che cerca colpevoli, e sempre si permette licenze non poco antipatiche, fino a quando Marò alza l voce, si impone e incontra il magistrato: altro clone dal vissuto triste, sin dal giorno del matrimonio.

Lettura, intensa, caparbia, dolce e rumorosa, grazie a quest’altro “tassello” Giuseppina Torregrossa sarà premiata alla prima edizione del premio “Comunichiamo Cultura 2018”, a Sant’Agata Li Battiati. Premio istituito dalla GD CominicAzione di Giovanni Di Stefano, col partnership della Libreria Sofà delle Muse di Sant’Agata Li Battiati, il 28 settembre a.c.