Giugno 2021 - Paesi Etnei Oggi

POLITICA MISTERBIANCO AL VOTO: IL LABORATORIO GIALLOROSSO Giugno 2021 Anno XXVII - n° 291 | Free press

Fondato da Carmelo Pitrolino

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Giugno 2021 - Anno XXVII / n. 291

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Il patto Giallorosso 14 Di Gabriele Patti

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Quarto scudetto per il flag football catanese 20 Di Roberto Quartarone

peopagine POLITICA MISTERBIANCO AL VOTO: IL LABORATORIO GIALLOROSSO Giugno 2021 Anno XXVII - n° 291 | Free press

Fondato da Carmelo Pitrolino

Gianfranco Belluomo una vita di corsa 24 di Carmelo Di Mauro Padre Gigi, dopo 46 anni di ministero, ha passato il testimone 26 di Rosalba Mazza I Russo di Santa Venerina Storia di una pasticceria etnea 30 di Andrea G. Cerra

L’ARTE NEL SANGUE FRANCESCA FERRO, FIGLIA DEL GRANDE TURI E DI IDA CARRARA, CI RACCONTA COSA VUOLE DIRE FARE OGGI L’ATTRICE

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SANTA VENERINA LA LIFFIA DEI MAESTRI RUSSO, UNA RICETTA SEGRETA DAL 1880

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Alla ricerca del vulcano magico 36 di Andrea G. Cerra

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Francesca Ferro La sicilianità in scena 38 di Francesca Santangelo Rubriche

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11 L’editoriale di Fernando Massimo Adonia 13 Blowindow di Isidoro Pennisi 46 Letto, riletto, recensito di Salvatore Massimo Fazio

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Paesi Etnei Oggi Free Press Giugno 2021 - Anno XXVII / n. 291

Registrazione Tribunale di Catania N. 7/95 del 22/03/1995 Redazione Via Principato di Monaco, snc - 95030 Gravina di Catania Tel./Fax 095 396136 - Mobile. 340 6091442 334 924 3912 Distaccamento acese-jonico Via Nicolò Tommaseo, 61 - 95014 Giarre Mobile. 340 6080612 www.paesietneioggi.it redazione@paesietneioggi.it - paesietneioggi@pec.it Paesi Etnei Oggi è organo del

Numero chiuso il 23/06/2021 Direttore Responsabile Fernando Massimo Adonia Collaborano Roberta Fuschi, Nunzio Condorelli Caff, Agata Amantia, Carmelo Di Mauro, Thea Giacobbe, Michele Milazzo, Melania Tanteri, Roberto Quartarone, Isidoro Pennisi, Santi Zappalà, Laura Distefano, Francesca Santangelo, Marco Pitrella, Francesco Ricca, Antonio Giovanni Pesce, Salvo Giuffrida, Salvatore Massimo Fazio, Santo Privitera Foto di copertina Francesca Santangelo In collaborazione con:

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EDITORE Andrea Pitrolino Mail. editore@paesietneioggi.it Resp. Pubbliche Relazioni Giovanni Leotta Mobile. 340 6080612 Pubblicità Mobile. 348 7904214 commerciale@paesietneioggi.it

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IL DIRETTORE

di Fernando Massimo Adonia / direttore@paesietneioggi.it @fernandomadonia / meridianista

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robabilmente è vero che il mondo sta cambiando. Dire in peggio sarebbe la solita lagna. In meglio? Manco per sogno. Sta cambiando, punto. Chi fino a qualche anno fa credeva che il mondo andasse in una direzione di progressiva espansione si sta dovendo ricredere. Anzi, si è già ricreduto. Chi nell’altro, invece, ha già premuto il tasto reset come se nulla fosse accaduto. Di che parlo? Di libertà. Un tempo, quando si pensava alla sinistra (magari non tutta), e non solo ad essa, si teneva a mente una certa spinta libertaria, gioiosa e viva. Un’area entro cui il mito del Che, le lotte di liberazione, finanche i concertoni (o del primo maggio o nei centri autogestiti) avevano diritto di cittadinanza.

C’era il mito della Resistenza, tenuto in vita da chi sulle montagne c’era salito davvero. C’era da fare i conti pure con l’eredità meno democratica del fascismo (perché non tutto il fascismo è stato Regime).

Un’eredità pesante che ebbe come effetto la pretesa di non far venire mai meno le libertà fondamentali a favore di scenari emergenziali. Non lo si fece durante gli Anni di Piombo, non lo si fece neanche durante il terrorismo stragista di Cosa Nostra. Salvo Andó, ministro socialista della Difesa in quegli anni, ci ha spiegato quanto l’operazione Vespri siciliani (che

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si tradusse con l’invio dell’esercito nell’Isola) fu accompagnata da strumenti e dibattiti scrupolosi affinché non venissero meno le garanzie costituzionali.

Poco prima del Covid, l’agenda pubblica era segnata dallo spauracchio del pericolo fascismo in Italia. Un allarme stucchevole, fine a se stesso. La riprova è data dal fatto che le stesse aree culturali, una volta esplosa la pandemia, hanno difeso a oltranza l’utilizzo di strumenti come il coprifuoco (soprattutto per mero tatticismo politico), senza neanche usare una terminologia meno tremendo. Oggi il coprifuoco va in soffitta (fino a nuovo ordine, almeno). Ma certe uscite restano impresse nella memoria di questo Paese.

Certo, il virus esiste e per questo le misure contenitive hanno avuto una loro ragione urgente.

Quello che è mancato è stato quel chiaro senso del pudore che voleva l’utilizzo di certe prassi sì necessario, ma limitato nel tempo. Invece è successo che qualcuno si è innamorato delle chiusure, delle mascherine e dei tanti obblighi varati nell’ultimo anno. È successo che ci si innamorasse di leggi che vogliano inasprire pene anziché puntare a un mondo dove le libertà abbiano il primato sul ricorso ai tribunali. Insomma, il mondo sembra aver preso una piega che va in direzione diametralmente opposta allo spirito del nostri padri. Il peggio è che sta avvenendo tutto senza patemi.

Forse è davvero così che arriva il peggio: senza lasciarsi annunciare.

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BLOWINDOW

Isidoro Pennisi Opinionista de “Il Quotidiano del Sud” twitter@sognadoro23 / i.pennisi@tiscali.it

CATANESITÀ

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rovate ad immaginare di capitare dentro i pochi ma splendidi ettari quadri di un Centro Storico del Sud, e incontrare, senza preavviso, un fiume di gente che si muove lungo un percorso, in maniera compatta e distribuita linearmente per molte centinaia di metri.

Un fiume di gente vestita con una casacca bianca e un cordone legato alla vita, che segue ciò che in lontananza, in testa, sembra una delle tante Reliquie Sacre che in qualche modo hanno cura dei destini delle città del Sud. Se dopo aver immaginato aprite le orecchie, e sentite una voce che si alza su tutte le altre e grida un domanda, “Semu tutti devoti tutti?” e, dopo, tutti gli altri rispondono urlando “Cittadini... cittadini...”; e se la voce solitaria, non contenta, insiste e grida “cittadini” e tutti gli altri rispondono con “Viva S. Agata”, allora siete a Catania. Non ho prove a carico di ciò che dirò, se non un ragionamento, ma in queste due battute è possibile capire cosa sia la catanesità, e come essa si ritagli, in maniera affilata, uno spazio anomalo dentro ciò che definiamo sicilianità. Per essere almeno compreso in ciò che sto per dire, chiedo a chi legge di rivalutare la maniera con cui la geografia fisica, nel suo permanere e nel suo modificarsi attraverso i tempi geologici, determini antropologicamente e culturalmente, un popolo che in essa vive e compie il suo destino personale e collettivo.

Perché è nel farlo che è possibile spiegare in maniera consapevole, come sia possibile che lì dove la Sicilia è terra che assegna al sodalizio di gruppo, familiare o meno, circoscritto e definito da un comune denominatore d’interessi, la sua cifra, a Catania tutto questo sfuma, si fa etereo sino a scomparire. Sulla sicilianità è stato detto forse tutto, ma se dovessimo fare una sintesi, ho l’impressione che essa si manifesti nel valore che la Sicilia assegna alla persona e alle affinità tra di esse, che stabiliscono il confine di un privato che primeggia sul pubblico, o che, per meglio dire, in sé è già il massimo di pubblico concesso. In Sicilia ogni famiglia è una società, così più o meno dice Sciascia. In questo quadro, la catanesità si manifesta nell’esatto opposto di questo aspetto della sicilianità, e cioè nella vocazione pubblica che i catanesi esplicitano nei comportamenti e nel primato che la vita pubblica ha nelle abitudini e nella stessa economia degli spazi urbani della città. E’ sul perché di questa anomalia che bisogna ragionare, affinché non diventi una impressione. Io considero la geografia etnea, la sua unicità, che si esprime con la presenza operosa e non silente di una Cattedrale Vulcanica, la causa unica e sola che ha

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plasmato nei millenni una cultura che ha, quindi, la necessità di legami pubblici continui, verificati, stringenti che le permettano di reagire e rispondere collettivamente alle manifestazioni violente e distruttrici dell’Etna. Perché non siamo in presenza di eventi naturali sporadici, distanti nel tempo, come i terremoti, che nella distanza da un evento e l’altro, danno il tempo alla memoria di illudersi. A Catania, il Vulcano, ogni giorno, ogni anno, ogni secolo, ricorda a chi vive alle sue falde che essi devono essere pronti a reagire, per come si può e per come si deve. Ed è evidente, che solo una cultura fondata su una qualche forma di legame pubblico continuo e non sporadico, vissuto e condiviso, può permettere ad un popolo di reagire come un solo corpo sociale a questi ripetuti eventi. Non è un fatto politico. Qui non si sta avvalorando una propensione sociale al bene pubblico più spiccata che in altre parti della Sicilia o della stessa Italia, che Catania non ha, ma si sta indicando come esista un motivo radicato nell’antropologia etnea in cui farsi i fatti della città e quelli degli altri, più che una convinzione o una ideologia, è una necessità vitale. Questa necessità vitale, che non ammette pareri o discussioni, ha quindi portato finanche nel cuore di una manifestazione di fede, come quella di S. Agata, un termine, come quello di cittadini, che non ha altro esempio nel Mondo. E’ una parola fuori luogo, soprattutto nella sua eccezione originaria, che fu ed è politica. La sua pertinenza sta tutta in questa anomalia determinata da un elemento naturale assolutamente non convenzionale che a sua volta determina un popolo non convenzionale.

Un popolo abituato a pensare e ad agire come se una singola biografia fosse capace di misurare la storia, e non solo quella della propria città. I catanesi, per questo motivo, allargano questa vocazione all’intromissione nelle biografie diverse dalla propria, e nella storia che non è la propria, allargandola a quella del Mondo intero. I catanesi non hanno nostalgia della propria città, perché Catania è ovunque e ritengono naturale vivere occupandosi di fatti lontani dal loro quartiere natio. In fondo, che Camilleri abbia dato i natali di Montalbano a Catania mi sembra ovvio. Montalbano è catanese perché a lui non gli si può chiedere di occuparsi di ciò che gli compete e basta, per il semplice fatto che essendo catanese gli compete tutto. Montalbano non è un uomo, una persona, un commissario, ma prima di tutto è un cittadino che con grande presunzione etica e consapevolezza storica sa che da lui dipende tutto e che tutto gli compete.

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POLITICA

A QUATTRO MESI DALLE ELEZIONI AMMINISTRATIVE A MISTERBIANCO, IL COMUNE SCIOLTO NEL 2019 PER IL RISCHIO DI INFILTRAZIONI MAFIOSE E ATTUALMENTE GUIDATO DAI COMMISSARI MINISTERIALI, TRA AVVICENDAMENTI E ACCORDI, I GIOCHI SONO GIÀ PARTITI di Gabriele Patti

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ra chi sceglie la bandiera del civismo e chi invece risulta già schierato, a presentare la propria candidatura sono stati l’ex consigliere provinciale e comunale a Catania Ernesto Calogero, sarebbe sostenuto da Italia Viva (versante Sammartino) e Lega, e l’ex primo cittadino Nino Di Guardo, candidato del Pd con il sostegno degli autonomisti. Quest’ultimo, noto alle cronache per avere instaurato una battaglia contro lo scioglimento – che l’ex sindaco definisce “una scandalosa impostura” –, a colpi di soggiorni in camper davanti al palazzo comunale, dovrà fare i conti con il passato. In particolare con l’arresto di Carmelo Santapaola, ex vicesindaco nell’amministrazione Di Guardo e cugino

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dei fratelli catanesi Carmelo, Vincenzo e Gabriele Placenti, presunti vertici del clan Santapaola-Ercolano di Lineri e a giugno 2020 condannati (a 20 anni di reclusione Carmelo, 18 anni Vincenzo e 16 anni di reclusione e 217mila euro di multa Gabriele), nell’ambito dell’inchiesta Revolution Bet, che ha svelato i collegamenti tra la mafia e il mondo delle scommesse.

L’ex numero due di Di Guardo, peraltro, è stato l’unico a essere stato dichiarato incandidabile dalla prima sezione civile del Tribunale di Catania, che lo scorso marzo ha vagliato la candidabilità dei componenti di Giunta e Consiglio comunale. Sebbene nulla osta alla candidatura di Di Guardo, tuttavia, proprio il suo nome è causa delle prime frizioni dell’alleanza tra Dem e M5s.

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POLITICA

Prima Dino Giarrusso, poi tutto il meet-up locale per voce di Jose Marano e Luciano Cantone. Insomma, a Misterbianco il matrimonio Pd-M5s non s’ha da fare. «Le dichiarazioni dell’ex sindaco – si legge in una nota a firma del deputato 5 stelle alla Camera Luciano Cantone –, rendono più forte il no del Movimento al nome di Di Guardo, tra l’altro più volte ribadito a Federico Lupo”. Quest’ultimo, segretario del circolo cittadino del Pd, interpellato da Paesi Etnei Oggi conferma “che, nonostante colloqui e chiacchierate, oggi un accordo non c’è”. A quanto pare, però, a non favorire l’alleanza c’è stata anche la richiesta dei 5stelle – non accolta da Di Guardo – di ottenere la poltrona da vicesindaco. “Questo non lo dico io, lo sanno tutti”, risponde Lupo con riferimento all’intervista rilasciata a Misterbianco 3.0. Al di là dei motivi della discordia, dunque, il M5s scenderà in campo con un proprio candidato il cui nome, almeno per il momento, non è stato ancora reso pubblico. Al posto dei cinque stelle a sostenere Di Guardo ci saranno gli autonomisti. “Di questo dovrebbe parlarne con Di Guardo – commenta Lupo –, sugli accordi non ne so nulla, ma se non ci sono ombre e c’è un progetto comune, l’apertura è massima».

Oltre all’ex primo cittadino, come detto, tra chi ha ufficializzato la propria candidatura c’è anche Ernesto Calogero, coordinatore del Comitato italiano per il reinserimento sociale di Misterbianco (Cirs) e assistente amministrativo scolastico di professione. «In questi ultimi anni di commissariamento – si legge nella nota stampa con cui Calogero annuncia la sua candidatura – ho avuto la possibilità di confrontarmi con le tante realtà della così detta società civile e anche con le tante realtà politiche locali, con le

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A DESTRA LA PARTITA SI GIOCA TRA FRATELLI D’ITALIA E FORZA ITALIA NEI COMUNI DI MISTERBIANCO, CALTAGIRONE E GIARRE

Nino Di Guardo

quali abbiamo avviato un confronto aperto, leale e proiettato a un nuovo progetto politico». Un progetto che, per Calogero, «proviene dal basso ed è lontano dai tradizionali schieramenti politici e partitici».

Ma dietro la candidatura di Calogero – cognato di Alessandro Tenerello, ex consigliere comunale e riferimento del deputato Ars Luca Sammartino – c’è l’intesa tra Italia Viva e Lega, con il sostegno di Cambiamo di Giovanni Toti.

“Bisogna continuare ad aggregare tutti coloro che credono in una vera svolta – sostiene Calogero – che hanno desiderio di andare oltre nonostante le avversità che ci hanno travolto”. Per questo «ho deciso di metterci la faccia – prosegue –, perché credo nella possibilità del cambiamento e di una nuova rinascita».

A destra la partita si gioca tra Fratelli D’Italia e Forza Italia nei Comuni di

Marco Corsaro

SEBBENE NULLA OSTA ALLA CANDIDATURA DI DI GUARDO, TUTTAVIA, PROPRIO IL SUO NOME È CAUSA DELLE PRIME FRIZIONI DELL’ALLEANZA TRA DEM E M5S. PRIMA DINO GIARRUSSO, POI TUTTO IL MEET-UP LOCALE PER VOCE DI JOSE MARANO E LUCIANO CANTONE. INSOMMA, A MISTERBIANCO IL MATRIMONIO PD-M5S NON S’HA DA FARE

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Dino Giarrusso

Misterbianco, Caltagirone e Giarre.

Secondo i bene informati gli azzurri devono scegliere un candidato tra Marco Corsaro, ex consigliere comunale a Misterbianco, eletto tra le fila di Guardiamo Avanti, e Sergio Gruttadauria, attuale componente del senato cittadino di Caltagirone. Delfino dell’assessore regionale e coordinatore di Forza Italia Marco Falcone, Corsaro, per due anni seduto tra i banchi dell’opposizione, non intende ancora sbilanciarsi sulla sua possibile candidatura.

La candidatura a sindaco di Giarre è stata destinata alla meloniana Patrizia Lionti.

«Sono domande che troveranno presto risposta», schiva chi, come Corsaro, ha già concorso alla carica di sindaco nel 2017, ma senza successo.

Al contempo, però, lascia trasparire l’entusiasmo. «Presto – conclude Corsaro – i cittadini potranno determinare un futuro di rinnovamento e rilancio per il nostro

territorio».

Di certo, la campagna elettorale è già cominciata.

«Da mesi stiamo incontrando e ascoltando aspettative, necessità e richieste di tutte le componenti sociali della città – assicura Corsaro –, per un progetto che dovrà assicurare buongoverno e legalità».

A sostenere il progetto politico di Corsaro potrebbe esserci anche Italexit, il nuovo partito fondato da Gianluigi Paragone e vicino all’universo di destra, alla prima esperienza elettorale in Sicilia. “Noi non abbiamo ancora la forza di esprimere un candidato a Misterbianco – commenta il coordinatore provinciale di Italexit, Santo Musumeci a Paesi Etnei Oggi – tuttavia restiamo disponibili al dialogo e a partecipare in coalizione», ammette Musumeci, dopo avere scartato le candidature di Calogero, Di Guardo e del candidato dell’M5s.

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PER LA PREVENZIONE

FIBRILLAZIONE ATRIALE E INSUFFICIENZA RENALE LA PAROLA AL PROF. ANTONIO GRANATA, DIRETTORE UOC NEFROLOGIA E DIALISI DELL’AZIENDA OSPEDALIERA CANNIZZARO DI CATANIA Prof. Antonio Granata, direttore UOC nefrologia e dialisi, Azienda Ospedaliera Cannizzaro di Catania.

La Fibrillazione Atriale (FA) è attualmente l’aritmia cardiaca più diffusa. Essa comporta, oltre che un’aumentata possibilità di insorgenza di ictus, anche un rischio elevato per altre patologie, in particolare per l’Insufficienza Renale. I reni sono due organi che svolgono una funzione importantissima per il nostro organismo: filtrano il sangue eliminando, attraverso le urine, le sostanze di scarto. La non corretta funzionalità di questi organi, l’insufficienza renale, appunto, comporta l’alterazione del meccanismo di smaltimento delle sostanze di rifiuto.

La compromissione renale è frequente nei pazienti con FA ed è associata ad un aumento del rischio sia di eventi tromboembolici che emorragici. Le due patologie sono legate da un circolo vizioso: se da un lato il cattivo filtraggio dei reni aumenta il rischio di FA, dall’altro i pazienti con FA mostrano, col tempo, un peggioramento della funzionalità renale.

Il trattamento indicato per la prevenzione del rischio di ictus nei pazienti con FA è l’assunzione dei Nuovi Anticoagulanti Orali (NAO), ma tuttavia è improbabile che il rapporto rischio/beneficio di questa terapia rispecchi le esigenze dei soggetti con patologie renali.

Quali sono le controindicazioni all’assunzione di NAO nei pazienti nefropatici?

I NAO vengono eliminati, almeno parzialmente, per via renale e la loro prescrizione deve necessariamente essere subordinata ad una attenta valutazione della funzionalità dei reni: una sua compromissione potrebbe essere uno dei principali motivi d’impedimento all’assunzione di questi farmaci.

Gli anticoagulanti orali, infatti, in presenza di nefropatie non vengono smaltiti idoneamente. Ciò aumenta il rischio emorragico in pazienti in cui questo fattore è già preoccupante e addirittura il rischio diventa cinque volte maggiore nei pazienti con insufficienza renale allo stadio terminale, rendendo questi soggetti controindicati assoluti alla terapia con NAO. Quale alternativa per i pazienti nefropatici?

Gli ultimi studi clinici individuano l’alternativa agli anticoagulanti, nella Procedura di chiusura dell’auricola sinistra (LAAC) poiché è in questa cavità, situata nell’atrio sinistro del cuore, che si formano più del 90% dei coaguli di sangue che causano l’ictus nei pazienti con FA. La chiusura percutanea dell’auricola sinistra è una procedura

Procedura percutanea di chiusura dell’auricola sinistra.

Reni e cuore.

poco invasiva, veloce e sicura, che permette, entro un anno da essa, di eliminare il “problema” dell’assunzione quotidiana della pillola anticoagulante, abbattendo l’elevato rischio di sanguinamento e aumentando notevolmente la qualità di vita del paziente.

Come si esegue questa procedura?

Il cardiologo interventista, introducendo un catetere (tubicino) in vena femorale all’altezza dell’inguine, naviga all’interno del sistema venoso fino ad arrivare nella cavità superiore del cuore, l’atrio destro. Successivamente si effettua il passaggio in atrio sinistro, dove, con il catetere, si arriva all’interno dell’auricola sinistra. Si procede, quindi, con il caricamento del dispositivo occlusore scelto e al suo successivo rilascio, chiudendo completamente questa pericolosa cavità.

Nella scelta delle azioni terapeutiche da intraprendere, è di fondamentale importanza l’approccio multidisciplinare garantito dalla collaborazione del nefrologo e del cardiologo che sinergicamente possono definire un quadro clinico completo ed accurato.

Prof. Antonio Granata

SPORT

QUARTO SCUDETTO PER IL FLAG FOOTBALL CATANESE LE PINK ELEPHANTS ENTRANO NELL’OLIMPO DELLO SPORT ETNEO di Roberto Quartarone

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on il quarto scudetto consecutivo, le Pink Elephants di flag football entrano nell’olimpo delle squadre catanesi migliori di sempre.

Continuità e crescita sono le caratteristiche del percorso intrapreso dalle etnee dei coach Peppe Strano e Valeria Guglielmino un decennio fa; ora è il momento della maturità, con le elefantine sempre tra le migliori d’Italia e che hanno colonizzato anche la Nazionale.

UNA FINALE PAZZESCA Catania non è arrivata alla fase finale da favorita per lo scudetto. Era Parma la campionessa in carica, dunque tutta la pressione era sulle emiliane; anche se l’anno di stop a causa della pandemia ha in realtà aumentato le aspettative di tutti affinché il torneo fosse appassionante. «Lo stop ci ha

dato una carica in più – afferma l’allenatore Peppe Strano, da sempre alla guida delle Pink –. Volevamo riscattare la sconfitta del 2019, arrivata dopo i tre successi del 2014, 2017 e 2018. Ci siamo preparati psicologicamente e così abbiamo superato abbastanza facilmente il girone meridionale.

Nella fase finale il livello si è alzato e infatti tutte le partite sono state sudate. La finale poi è stata pazzesca: in vantaggio fino a 1’30” dalla fine, ci hanno superato e noi siamo riusciti a segnare a 3” dalla fine!»

«L’ho risolta proprio io – spiega Alessandra Cicciù, già mvp delle finali 2018 – con un touch down che ha annullato il punto di svantaggio. Non è stato lo scudetto più bello perché per me quello del 2014, come il primo amore, non si scorda mai! Eppure questo ha un sapore diverso, per l’anno di stop, perché non abbiamo avuto i tifosi, per il livello che si è alzato tantissimo e le

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SPORT

«LO STOP CI HA DATO UNA CARICA IN PIÙ.

VOLEVAMO RISCATTARE LA SCONFITTA DEL 2019, ARRIVATA DOPO I TRE SUCCESSI DEL 2014, 2017 E 2018. CI SIAMO PREPARATI PSICOLOGICAMENTE E COSÌ ABBIAMO SUPERATO ABBASTANZA FACILMENTE IL GIRONE MERIDIONALE. NELLA FASE FINALE IL LIVELLO SI È ALZATO E INFATTI TUTTE LE PARTITE SONO STATE SUDATE. LA FINALE POI È STATA PAZZESCA: IN VANTAGGIO FINO A 1’30” DALLA FINE, CI HANNO SUPERATO E NOI SIAMO RIUSCITI A SEGNARE A 3” DALLA FINE!» partite che abbiamo vinto solo nel finale.

Bravissimi i coach a leggere bene le partite e noi a essere motivate e in forma».

UN PERCORSO ASCENDENTE Le Pink Elephants sono nate all’interno della società di football americano che da 37 anni porta in giro il nome di Catania tra league e bowl ed è stata due volte vicecampionessa d’Italia maschile.

L’evoluzione di quella che iniziò come una squadra collaterale è diventata travolgente.

«Di quel gruppo nato nel 2012 – ricorda Alessandra – siamo rimaste io, Giulia Meozzi, Elisa De Santis, Claudia e Valeria Guglielmino e il coach Peppe Scuto». Tutte loro hanno scritto la storia del flag football e della Nazionale. «È vero, siamo riusciti a sfornare molte giocatrici della Nazionale ed è un vanto – prosegue il coach –. Abbiamo lavorato bene crescendo delle atlete valide. Quando mi sono appassionato al flag ero un giocatore di tackle football. Chiesi a mia moglie Valeria di fare il quarterback e il nostro allenatore, l’americano George Contreras, diede il nome di Pink Elephants alla squadra.

Valeria però rimase incinta dopo appena tre mesi… All’inizio le altre giocatrici erano le fidanzate e le amiche dei giocatori; in breve tempo siamo passati dalla quantità alla qualità, fino a vincere il titolo del 2014».

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UNA NAZIONALE MARCA LIOTRU I frutti di questo lavoro si vedono poi nei risultati nazionali e internazionali. Non solo quattro scudetti, ma tante ragazze nel giro delle selezioni azzurre, tra cui appunto la capitana Alessandra Cicciù.

«Evidentemente Catania ha delle Atlete con la “A” maiuscola – afferma –. Forse abbiamo una mentalità diversa dei ragazzi per poter affermarci in ambito nazionale?

Chissà! Sto partendo (sabato 19, ndr) per il raduno della Nazionale, in preparazione per i Mondiali di Gerusalemme a dicembre e sarò ancora capitana. Con me ci sono Lucia Chiancone, Cristina Flugy, Giulia Meozzi, Claudia e Yvonne Guglielmino e sono fiduciosa che tutte noi potremo essere tra le 15 convocate».

UNA PARTICOLARITÀ DELLE PINK ELEPHANTS È CHE LE GIOCATRICI SONO IMPEGNATE IN ALTRI SPORT: PALLACANESTRO, TENNIS, PADEL, SOLO PER CITARNE ALCUNI

«SIAMO ALLE PENDICI DELL’ETNA, CON UN BEL PANORAMA E DEGLI ALLENAMENTI ROMANTICI, CON BELLISSIMI TRAMONTI QUANDO SIAMO LÌ LA SERA. IL SINTETICO MI PIACE DI PIÙ DI QUEI CAMPI IN ERBA POCO CURATI»

È ancora prestissimo, ma fra sette anni il flag football potrebbe diventare uno sport dimostrativo alle Olimpiadi. «Alleno la Nazionale maschile da quattro anni – riprende coach Strano –, abbiamo conquistato due argenti. È più facile per l’organizzazione avere il flag football rispetto al tackle football alle Olimpiadi: meno giocatori, possibilità di giocare più a breve termine. Sicuramente questo evento contribuirà a spingerne la diffusione».

«Nel 2028 avrò 38 anni – scherza Cicciù –, magari non giocherò ma sicuramente sarò ancora sui campi con un altro ruolo, perché lo sport è la mia vita!»

UNA SQUADRA POLISPORTIVA Una particolarità delle Pink Elephants è che le giocatrici sono impegnate in altri sport: pallacanestro, tennis, padel, solo per citarne alcuni. Alessandra per esempio è in Serie A di padel; Condarelli è nel Cus Cus di basket in carrozzina di Serie B. È una

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particolarità del gioco con la bandierina: «La nostra stagione dura sei mesi, di cui due-tre di preparazione – prosegue Strano –. Così le ragazze nella offseason si allenano e rimangono sul pezzo». «Vengo dal tennis – afferma Alessandra – e ora sono in Serie A di padel. Aiuta fare diversi sport: la preparazione nel padel mi ha aiutato per la rapidità, l’esplosività, la velocità e dal punto di vista atletico».

Quando poi ci si dedica al flag football, a far compagnia alle atlete c’è mamma Etna, nel campo Seminara di Valverde che dividono con l’hockey.

«Siamo alle pendici dell’Etna – chiude Cicciù –, con un bel panorama e degli allenamenti romantici, con bellissimi tramonti quando siamo lì la sera. Il sintetico mi piace di più di quei campi in erba poco curati». Romantico è anche lo sport femminile catanese, che continua a sfornare scudetti e storie epiche, come le ragazze che hanno reso popolare il football a Catania.

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SPORT

GIANFRANCO BELLUOMO UNA VITA DI CORSA

IL CAMPIONE MASTER DELLA PUNTESE CI SPIEGA QUANTO È STATO DIFFICILE PER UN ATLETA SOPPORTARE IL FERMO DOVUTO ALLA PANDEMIA di Carmelo Di Mauro

L’

intervista al campione catanese di atletica leggera, Gianfranco Belluomo, dell’Asd Puntese San Giovanni La Punta di Giacinto Bitetti e Giuseppe Sciuto, ci offre l’occasione per capire le difficoltà incontrate da uno sportivo in questo lungo periodo di pandemia. Una cosa è certa: il Covid può aver bloccato le strutture, ma non ha fermato la passione per lo sport e la voglia di ogni protagonista di rendere vivo e acceso questo legame.

Ma chi è Gianfranco Belluomo?Nato a Catania il 28 settembre 1960 da Natale e Lucia Santagati è il quarto di sei fratelli (Mario, Giusi, Antonio, Patrizia e Fabio).

«Fin da quando avevo sei anni vedevo correre mio fratello Mario, che allora vestiva la maglia della Libertas Catania, e poi Antonio, quest’ultimo passato dalla Libertas ai Carabinieri… Da qui la voglia di correre anch’io».

Così l’atleta catanese, sposato, padre e nonno, che si affretta a confessare: «Non è stato affatto semplice, però. Ogni volta che correvo mi si atrofizzavano le gambe e per diversi giorni restavo a letto».

Cosa dicevano i medici?

«Le opinioni erano contrastanti, visto che dalle varie analisi non emergeva nulla di particolare, ma ricordo che qualcuno avanzò anche l’ipotesi che un intervento chirurgico avrebbe potuto risolvere il problema. Fortuna che mio padre si oppose, convinto che un’operazione mi avrebbe costretto a non essere più libero di

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praticare la corsa».

E allora?

«Inizialmente abbandonai, a malincuore, l’idea di proseguire con questo sport, ma il mio professore di educazione fisica, Alfio Cazzetta era il suo nome, l’unico ad aver capito qual era il vero problema, mi invogliò a riprendere la corsa».

E quale era il suo problema?

«Si trattava di fragilità muscolare, d'altronde ero un ragazzino gracile, e solo continuando a correre, ma seguendo precisi programmi, avrei potuto irrobustirmi muscolarmente, fino a non sentire più dolore alle gambe».

E così si concretizzò il sogno di seguire le orme dei suoi fratelli.

«Già, nel momento in cui mi tesserai con la Libertas Catania… Riuscire a partecipare ad una gara ufficiale, fu già per me una gran vittoria».

Poi? «Continuai la mia attività agonistica partecipando a 19 anni ai Campionati regionali Juniores allo Stadio delle Palme di Palermo, dove nei 5000 mi classificai terzo, dietro a Daniele Attanasio e al grande mezzofondista Salvatore Antibo, medaglia d’argento olimpica a Seul».

Con la Puntese San Giovanni La Punta di Giacinto Bitetti e la Scuola di Atletica Leggera Catania di Giuseppe Sciuto, numerose sono state le conquiste di Gianfranco Belluomo in giro per il mondo da Master, la categoria che comprende atleti dai 35 anni in su, che gareggiano nelle specialità su pista, su strada e nella corsa campestre.

Nel 2013 ai Campionati Italiani Master di Atletica leggera di Orvieto conquista l’oro sui 3000 siepi e il bronzo al XX World Masters Atheletics in Brasile.

L’anno successivo risale sul podio ai Campionati Italiani di Modena e in Turchia acciuffa l’argento sui 3000 siepi e nella staffetta 4x400. Supera nel 2015 il record regionale di categoria. Alla settima edizione dei Campionati Mondiali Master Indoor di Daegu 2017, Belluomo conquista una medaglia d’argento a squadre SM55 nel cross di 8 km. Poi arriva il 2020, l’anno del Coronavirus, e qui inizia un’altra storia…

- Il Coronavirus ha fermato tutti gli atleti, dai professionisti agli amatoriali.

Com’è stato per lei vivere il lockdown?

«All’inizio non è stato facile visto che mi

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sono trovato costretto a bloccare le già pianificate attività di allenamento mirato al raggiungimento degli obiettivi prefissati.

Poi ho trovato l’alternativa pianificando attività che potevano essere espletate prima a casa e poi nelle immediate vicinanze della mia abitazione, nel rispetto delle regole governative.

importanti traguardi nazionali è stato un periodo delicato. Come e con chi lo ha affrontato?

«Con i soliti sogni, coraggio e determinazione, e la coesione e condivisione con gli amici atleti con cui ci si confronta e sostiene. Ma anche la mia famiglia è stata di grande aiuto.»

Lo stop forzato ha creato frustrazione, tristezza…

«Certo, psicologicamente non ha aiutato, ma noi atleti siamo abituati a lottare per perseguire gli obiettivi. Così, dopo un’iniziale scompenso e insofferenza, sono riuscito a gestire l’incomprensibile situazione del momento».

Come hanno mutato la pandemia e il lockdown i suoi ritmi di vita?

«La tenacia e la passione hanno fatto sì di non aver dovuto rivoluzionare i miei ritmi di vita sportiva, che ho continuato anche all’interno delle mura domestiche».

Per molte persone la situazione è stata assolutamente tragica, anche per un atleta come lei però, con l'obiettivo di

Come sta pensando di affrontare la fase di ripresa?

«In maniera graduale, ma con un occhio puntato alle prossime competizioni nazionali ed internazionali».

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S O C I E TÀ

PADRE GIGI LICCIARDELLO DOPO 46 ANNI DI MINISTERO PASSA IL TESTIMONE di Rosalba Mazza

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ra il marzo 1976 quando fu posto alla guida della Parrocchia Santa Maria della Provvidenza di Zafferana.

Dopo quarantasei anni di ministero pastorale, padre Gigi Licciardello ha passato la mano al suo successore padre Salvo Scuderi - in concomitanza con la riapertura della Chiesa Madre, a conclusione dei lavori di ristrutturazione post sisma del 26 dicembre 2018.

Quasi mezzo secolo di pastorato. E dire che nessuno avrebbe scommesso che la sua permanenza sarebbe durata così tanto. Alcuni anni prima, a Zafferana, a distanza di poco tempo l’uno dall’altro, avevano smesso gli abiti sacerdotali il vice parroco e il parroco.

«Non c’è due senza tre!», bisbigliavano i parrocchiani, preconizzando anche per Padre Gigi, all’epoca quarantadue anni e una certa prestanza fisica, lo stesso destino dei predecessori.

Padre Gigi oggi ha 86 anni e mezzo. E’ un po’ sofferente nella deambulazione, ma la sua testa è ancora giovane. Per i suoi spostamenti, utilizza la propria macchina e guai a chi gli dice che dovrebbe farsi accompagnare. Ha una guida scattante e fino ad un paio di anni fa, a bordo della sua auto, da solo, ha percorso tutto

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lo stivale per andare a trovare dei cugini che abitano nell’altro capo dell’Italia, in Veneto. E’ avvezzo alle nuove tecnologie ed utilizza bene il computer. Insomma, uno la cui età è solo biologica ma che nello spirito è sempre rimasto inossidabile.

Padre Gigi - un carattere forte e deciso, a volte severo, intransigente ed autoritario, persona intelligente, tenace e volitiva – è riuscita ad imprimere il suo stile nella gestione della Parrocchia di Zafferana.

Anni di ministero spesi a costruire un rapporto di dialogo con la comunità cercando di coinvolgere i laici non solo alla partecipazione alla vita liturgica ma anche all’impegno alla vita reale.

Come dimenticare i gruppi giovanili su cui padre Gigi ha tanto puntato. Come dimenticare le gite a bordo del pulmino parrocchiale, quello che comprò subito dopo il suo arrivo nella parrocchia di Zafferana. Pulmino, che lui stesso guidava e con il quale faceva il giro del paese per andare a prendere da casa i ragazzi che dovevano frequentare il catechismo. Ma dopo, finito il tempo del catechismo, con quel pulmino si facevano anche le gite con i giovani e si andava al teatro, al cinema, al mare, in montagna, a fare escursioni e campeggi.

Ma anche il suo entusiasmo per le realtà associative come La Misericordia, il gruppo Scout, la Schola Cantorum, promosse dai laici ma da lui fortemente approvate ed appoggiate.

Padre Gigi cambiò anche il modo di fare le feste religiose. All’epoca del suo insediamento, era consuetudine che in occasione dello svolgimento delle feste più solenni, come quella della Patrona, a metà agosto, si svolgessero anche spettacoli di piazza, con esibizione di cantanti, cabarettisti, attori che non avevano nessuna attinenza con lo spirito religioso dell’evento. Padre Gigi si oppose da subito a questo modo di celebrare i santi. «Non fu facile far comprendere il mio punto di vista

ai componenti della Commissione della Festa della Patrona», spiega Padre Gigi.

Non mancarono i motivi di scontro ma Padre Gigi, fin da subito dettò la sua linea e si fece come diceva lui.

Anni segnati anche da scelte non sempre facili. Come quando Padre Gigi decise che per la cresima non ci sarebbero stati più padrini e madrine. «Una scelta forte, dapprima osteggiata. – dice padre Gigi - Ma il tempo mi ha dato ragione. E di recente, nella nostra diocesi, un decreto del Vescovo ha stabilito, che per tre anni, i cresimandi faranno la cresima senza la presenza di padrini e madrine. Non possiamo continuare ad accettare i segni dove manca la realtà che i segni dovrebbero rappresentare. Il padrino e la madrina sono figure che dovrebbero accompagnare il cresimando nella sua crescita anche spirituale. Ma io scorgevo nella figura solo una presenza formale che non significava niente se non compiere qualche gesto esteriore come fare dei regali».

In questi quarantasei anni, vi sono stati anche terremoti importanti come quello del 1984 che oltre a distruggere molte case ha reso inagibile la Chiesa Madre.

Fu emanata una legge sulla ricostruzione che, però, rimase, per tanto tempo senza adeguata copertura finanziaria.

Nel 1989, a distanza di cinque anni dal sisma, dopo i primi interventi di messa in sicurezza la ricostruzione a Zafferana si era praticamente fermata.

«Un giorno mi venne un’idea e decisi di telefonare alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Senza pensarci più di tanto impugnai la cornetta e chiesi di parlare con Giulio Andreotti che all’epoca era il Presidente del Consiglio. Mi qualificai con il mio nome e cognome dicendo di telefonare per conto dell’Arcivescovo di Catania. Il presidente non c’era, ma mi dissero che mi avrebbero fatto richiamare da lui. A quel punto lasciai il numero di telefono della Diocesi e mi premurai di avvertire il vescovo che sarebbe arrivata una telefonata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. ‘Si vabbè, ma pensi che il presidente del consiglio richiamerà veramente?’, mi dicevano.

Nessuno credeva che poteva accadere.

Invece Andreotti telefonò veramente e mi convocò a Roma a distanza di qualche giorno per le 7 del mattino dicendo di non avere altri orari disponibili per ricevermi.

Andai all’incontro con il sindaco, ed altri esponenti politici locali e regionali.

L’incontro fu risolutivo e Andreotti dopo pochi giorni mandò una lettera

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all’arcivescovo in cui gli comunicava di aver inserito un emendamento alla finanziaria dell’anno in corso con lo stanziamento di 15 miliardi di lire e l’impegno di un ulteriore finanziamento nel triennio successivo di 45 miliardi di lire. Riprese, così, la ricostruzione del paese ed anche della chiesa che riaprì le sue porte nel 1997».

UN GIORNO MI VENNE UN’IDEA E DECISI DI TELEFONARE ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI. SENZA PENSARCI PIÙ DI TANTO IMPUGNAI LA CORNETTA E CHIESI DI PARLARE CON GIULIO ANDREOTTI CHE ALL’EPOCA ERA IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO. MI QUALIFICAI CON IL MIO NOME E COGNOME DICENDO DI TELEFONARE PER CONTO DELL’ARCIVESCOVO DI CATANIA.

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LOSSLESS

Salvatore Rodolico, maestro d’ascia di Aci Trezza e Tesoro Umano Vivente della Sicilia

Foto di: Salvo Giuffrida

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UN RACCONTO FRA TRADIZIONE E DOLCEZZA di Andrea Giuseppe Cerra

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omunque, una granita di mandorla!» conclude Manlio Sgalambro nel finale del film Perduto amor, per la regia di Franco Battiato. Un omaggio alla Sicilia e ai suoi sapori, un irresistibile richiamo alla «legge dell’appartenenza», come la definì Sgalambro. Il gusto racconta parte della storia dell’isola e qui, nell’autunno del 1880, Lucio Russo propose una sua versione dei biscotti ca’ liffia. Ricetta segreta custodita a Santa Venerina, borgo catanese legato al culto della omonima martire, dove

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nacque in quei giorni la Pasticceria Russo.

La “Liffia”- parola di origine ebraica che significa carezza, moina - si ottiene con una cottura a fuoco lento di cacao, zucchero e acqua e la si usa per creare una patina sul biscotto. Una liffia, appunto, una carezza al palato.

Di ode al dolce si tratta. Quante volte abbiamo sognato di frugare nelle credenze delle nostre nonne per trovarvi le leccornie preparate in occasione della festa di Santa Lucia, del Natale e chi più ne ha più ne metta?

Ebbene, i dolci non hanno semplicemente nutrito il nostro lussurioso desiderio

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ma hanno rappresentato una parte del patrimonio culturale isolano e nazionale; «la preparazione dei dolci, come accadde nell’Italia barocca, ha costituito un fatto artistico di prim’ordine» disse Federico Zeri, storico e critico d’arte. Dunque, il dolce è anche un’opera d’arte, chi lo prepara, con sapienza ed esperienza, è in parte artista. L’arte tramandata nel tempo

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LA STORIA DI QUESTA PASTICCERIA NASCE, QUINDI, CON LUCIO. ERA UN FIGLIO DI EBANISTI E APPENA DICIANNOVENNE DECISE DI LAVORARE IN UNA BOTTEGA DI DOLCI

ci restituisce il concetto di tradizione, la «custodia del fuoco» tanto cara al compositore Gustav Mahler. Arte e musica uniti nella esaltazione del dolciume, della pasticceria per cui la Sicilia è stata ed è famosa nel mondo.

La storia di questa pasticceria nasce, quindi, con Lucio. Era un figlio di ebanisti e appena diciannovenne decise

di lavorare in una bottega di dolci. Dopo una breve esperienza (‘a mastru si direbbe nel vernacolo) e appresa la lezione dei campioni catanesi, ritornò al caro paese, aprendo un suo laboratorio. I biscotti celeberrimi erano il momento atteso dei battesimi della nobiltà. Ogni celebrazione era caratterizzata dalla distribuzione di paste in gran quantità, nessuno tornava a casa sprovvisto, ma solo tre erano gli ospiti d’eccellenza: il parroco, la levatrice e la madrina. Usanze e costumi di un piccolo mondo antico, a cui Anna, nipote di Lucio, tiene a fare menzione e a rivendicarne la bellezza in un tempo in cui, forse, non si ha più modo di apprezzare il valore di quei gesti. A Lucio succedette Giuseppe, il quale nel 1948 ideò la tortina paradiso al frutto, ricetta registrata a tutela del marchio.

Giuseppe ebbe cinque figli: Lucio, Rosaria, Maria Nevia, Anna e Salvatore. Oggi assieme a loro la figlia di Anna, Maria Concetta, segue orgogliosamente l’attività di famiglia, rappresentando la quarta generazione.

Una storia lunga ben centoquarant’anni, un record che la presenta come una delle più antiche pasticcerie della Sicilia orientale, custode di antiche ricette e di personaggi illustri che l’hanno frequentata, uno su tutti Lucio Dalla.

Salvatore - conosciuto ai più come Turi Soviet, ricordando la sua antica militanza di sinistra al Liceo Gulli e Pennisi di Acireale - ci conduce in questo itinerario a metà tra arte e letteratura, perché le ricette di per sé sono dei manoscritti da custodire gelosamente, preservando il mistero e il fascino della ‘ricetta segreta’. Ci racconta di quando Michelangelo Antonioni nel 1983 si incontrò casualmente con Lucio Dalla, mentre stava girando un cortometraggio, per prendere assieme un cappuccino, di cui Dalla andava pazzo.

IL GUSTO RACCONTA PARTE DELLA STORIA DELL’ISOLA E QUI, NELL’AUTUNNO DEL 1880, LUCIO RUSSO PROPOSE UNA SUA VERSIONE DEI BISCOTTI CA’ LIFFIA. RICETTA SEGRETA CUSTODITA A SANTA VENERINA, BORGO CATANESE LEGATO AL CULTO DELLA OMONIMA MARTIRE

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UNA STORIA LUNGA BEN CENTOQUARANT’ANNI, UN RECORD CHE LA PRESENTA COME UNA DELLE PIÙ ANTICHE PASTICCERIE DELLA SICILIA ORIENTALE, CUSTODE DI ANTICHE RICETTE E DI PERSONAGGI ILLUSTRI CHE L’HANNO FREQUENTATA, UNO SU TUTTI LUCIO DALLA

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Un locale che nei sabato sera d’inverno sembra divenire un set cinematografico, tra luci e voci di una clientela che ricorda alcune pagine di Un bellissimo novembre di Ercole Patti. Franco Battiato, pur avendo una dieta alimentare rigidissima, era un altro storico cliente della pasticceria dove soleva gustare la tortina paradiso al frutto come piccola concessione. In una giornata assolata d’agosto, venne Stefania Sandrelli accompagnata da Mario Patanè, organizzatore di incontri e kermesse cinematografiche ad Acicatena, e da Sebastiano Gesù, indimenticato storico e critico del cinema, alla ricerca della famigerata granita alla mandorla.

Infatti, conclusosi l’autunno quando «scura cchiù prestu» canticchiando Battiato, ecco ritornare le assolate giornate

tardo primaverili, quando sono i gelati, ma specialmente le granite a farla da padrone, sempre accompagnate dalle fragranti brioches, quelle col ‘tuppo’ che va rigorosamente mangiato alla fine, come ci ricorda Nadia Terranova, sino ai croissants al miele etneo e al gianduia, oggetti del desiderio davvero irresistibili.

Ma tra i ricordi che si possono vivere solo in questi luoghi non mancano quelli al banco, come la ‘correzione’ del caffè. Un tempo, infatti il caffè costava 90 lire, e, se non vi si trovava il resto, qualche cliente usava chiedere di ‘allungare’ la bevanda di altre 10 lire.

La sorella Maria Nevia mette in bella mostra la frutta di pasta reale, sapientemente lavorata e colorata come una vera e propria opera d’arte, creata dalle sue mani da oltre cinquant’anni. Dal profumo delle prime luci del mattino si manifestano, in tutto il suo splendore, le piccole perle prelibate segno tangibile di una suggestione che si tramanda di generazione in generazione. I dolci distinguono e identificano i luoghi.

Palermo è la cassata, Messina è la pignolata, Santa Venerina è il biscotto ca’ liffia. L’olfatto e la vista ci offrono il ricordo di posti che «appartengono così a qualcuno, che qualcuno ha nel sangue e nessun altro li sa».

Il richiamo alle radici, anche attraverso la golosità, ci rimanda a Pavese e al suo Il diavolo sulle colline. Da una pasta di mandorla, dunque, non si traggono solo sapori ma qualcosa in più.

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cultura

ALLA RICERCA DEL VULCANO MAGICO di Andrea Giuseppe Cerra

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«L

’attività persistente dell’Etna è una benedizione.

Benedizione per le popolazioni fittissime che vivono sulla sua larga base, la cui fertilità è continuamente rinnovata dalle polveri di basalto che, esaltate dai crateri, vi si spargono in abbondanza; benedizione per il curioso che viene ad ammirare da vicino il prodigioso spettacolo d’un vulcano in eruzione; benedizione anche per il turismo, per chi lo pratica, per chi lo sfrutta». Sono le parole di un gigante della vulcanologia: Haroun Tazieff, che nel 1974 raccolse alcune riflessioni nel volume L’Etna e i vulcanologi.L’intensa attività del vulcano è stata anche elemento di ispirazione per gli innumerevoli racconti nati alle pendici del Mongibello. Una inesauribile fucina di miti e leggende, da cui ha preso spunto Rosario Battiato nel suo Etna. Guida immaginifica del vulcano, pubblicato per i tipi de Il Palindromo.

Un volumetto assai gradevole per stile e minuzia di particolari; non solo bello da leggere ma anche da guardare. La copertina è curata dalla grafica Chiara Nott, con cui l’autore collabora da tempo. Battiato è uno studioso di fantastico popolare e ha voluto raccogliere alcuni suoi studi in questa guida etnea (da re Artù, ferito e quasi morente, rifugiatosi sull’Etna e i confronti con le testimonianze della letteratura di settore, sino a Madama Etna, il vulcano umano) nel tentativo di «avventurarsi negli anfratti che ospitano le storie meno note del Vulcano», scovando inediti e nuove curiose storie attraverso la consultazione di testi antichi e moderni, sino alla memorialistica, agli archivi dei quotidiani e ai saggi scientifici. Idda, ‘a muntagna, ha il pregio di essere luogo dove poter esaltare

la cultura popolare ed il suo fantastico, facendo assurgere il vulcano a simbolo mitico per eccellenza dell’immaginario collettivo. L’autore ha voluto dare spazio a un insieme eterogeneo di narrazioni: dalle storie del contadino a quelle di uno sconosciuto autore di pulp di inizio Novecento, senza dimenticare il doveroso omaggio ai capisaldi della storia etnea e dei suoi narratori più insigni.

Poiché molte delle testimonianze raccolte lasciano delle tracce topografiche esatte, ogni singolo racconto è ben collocato in punto esatto del vulcano, ed infatti il volume è accompagnato da una mappa che guiderà il lettore in questo viaggio immaginifico. Potremmo dire che la Guida

di Rosario Battiato si propone come una sorta di topografia dell’anima, ricordando l’omonima collana editoriale curata da Fulvia Toscano per i tipi di Historica.

La lettura di questo libretto ci condurrà per le vie impervie del vulcano, attraverso i suoi boschi, i suoi deserti di lava. Conoscere l’Etna impone un viaggio tortuoso, nulla può essere tralasciato.

«L’Etna contiene in sé, nei suoi innumerevoli livelli, le mode e le tendenze di migliaia di anni di folklore, incarnando l’essenza stessa del mito e della sua volubilità». Non resta che immergersi nella lettura di questo testo, alla ricerca dei sentieri inesplorati e delle storie più occulte nelle viscere etnee.

Mappa immaginifica dell’Etna

Pubblicata in allegato al libro di Rosario Battiato, Etna. Guida immaginifica del vulcano, il Palindromo 2021

L’INTENSA ATTIVITÀ DEL VULCANO È STATA ANCHE ELEMENTO DI ISPIRAZIONE PER GLI INNUMEREVOLI RACCONTI NATI ALLE PENDICI DEL MONGIBELLO. UNA INESAURIBILE FUCINA DI MITI E LEGGENDE, DA CUI HA PRESO SPUNTO ROSARIO BATTIATO NEL SUO ETNA. GUIDA IMMAGINIFICA DEL VULCANO

Legenda

La montagna sacra - Monte Sona Tu chiamalo, se vuoi, Yeti - Cratere di Sud Est Strani bambini con la faccia da vecchi - Giarrita Il carrubo maledetto - Bosco di Centorbi L’ospite maledetto di Lovecraft - Monte Dolce L’eruzione del 1669 che fu nel 1941 - Monte S. Leo La fame di Ymir - Grotta Cutrona Artù non muore mica quaggiù - Grotta dei Lamponi Il Vulcano dell’uomo-pesce - Monti Rossi La pena dei fantasmi costruttori - Cratere Centrale Progenie vulcanica - Castiglione di Sicilia Spiriti ignei, gli assassini di fuoco - Val Calanna La sposa di Satana - Grotta della Vena Il serpente antico e il Santo Guerriero - Voragine L’insaziabile e la Santa - Santuario Madonna della Sciara La via per la Gehenna - Anello di Monte Albano Non guardarmi dentro - Ex santuario del dio Adrano L’orrore del filosofo - Torre del Filosofo I primi uomini lavici - Cratere di Nord Est Dottor Etna e Mister Polifemo - Grotta del Gelo Nel ventre molle - Grotta del Diavolo

Copyright © 2021 www.ilpalindromo.it info@ilpalindromo.it

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Foto e testi: Francesca Santangelo

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alla sicilianità non si può prescindere, è una cosa che resta nel sangue per sempre, soprattutto per un catanese.»

Francesca Ferro, attrice e figlia d’arte, porta in scena la sua sicilianità: il bollore della lava, il mare, i colori della sua Terra. Un vulcano di emozioni, passioni, sentimenti che vengono fuori quando interpreta un personaggio. Perché sì, il catanese che ha avuto l’Etna vicino, dalla prospettiva di Sant’Agata Li Battiati, si porta dentro questo magnetismo indissolubile.

Ed è proprio l’amore per la sua Terra ad averla riportata qui dopo lunghi viaggi e spostamenti.

«Credo che non bisogna mai fossilizzarsi quando si fa un lavoro come il mio. Però penso che un attore che ha la fortuna di nascere in Sicilia può attingere molto da essa, quindi deve partire dalla Sicilia ma sempre per esportarla e farla conoscere fuori. Non bisogna cristallizzarsi qua, adagiarsi. - e continua - Questo è un posto talmente bello che verrebbe voglia di non andarsene mai. Io me ne sono andata e poi sono tornata perché non mi trovo bene da nessuna parte come qua. Però nello stesso tempo mi rendo conto che non basta, si deve sempre aspirare anche ad altro.

Solo che per me ‘l’altro’ è fare conoscere la mia terra e portare fuori questa mia sicilianità».

Calca il palcoscenico già da bambina, per poi allontanarsene in età adolescenziale. «Volevo fare la bassista in una band» confessa ridendo. Ma ben presto la nostalgia prende il sopravvento e la mancanza si fa sempre più forte. «Mi sono resa conto che dovevo tornare alle origini. Ho pensato: un giorno, quando non ci saranno i miei, tutto questo mi mancherà quindi devo continuarlo». Un’eredità importante dunque quella che il padre Turi Ferro e la madre Ida Carrara lasciano a Francesca: l’amore per la recitazione che già da generazioni si tramanda, ma non solo. «Da mio padre ho preso sicuramente la dedizione al lavoro, l’amore per il Teatro e l’integrità d’animo mentre da mia madre sicuramente il legame con la famiglia, l’amore per gli affetti, per la stabilità, il calore familiare».

Un bellissimo rapporto quello col fratello Guglielmo Ferro, la cui figura è anch’essa legata al mondo del teatro e del cinema, in veste di regista e con la quale Francesca ha lavorato. «Lui non mi tratta come sua sorella anzi forse è ancora più duro con me che con gli altri, però si è creato un bel rapporto perché la conoscenza fa tanto.

Noi ci conosciamo bene, io conosco lui come regista e so quello che gli piace e lui conosce me come attrice e quindi riesce a farmi fare quello che so fare, quindi effettivamente è un bel sodalizio e poi soprattutto ci stimiamo a prescindere dal bene che possiamo volerci».

Il Teatro è stato uno dei settori più colpiti dalla pandemia e solo adesso ci si prepara ad una ripartenza quasi postbellica, che si

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«credo che non bisogna mai fossilizzarsi quando si fa un lavoro come il mio. però penso che un attore che ha la fortuna di nascere in sicilia può attingere molto da essa, quindi deve partire dalla sicilia ma sempre per esportarla e farla conoscere fuori»

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porta dietro le ferite di chi ha perso tanto ma ha ancora voglia di ricominciare. «Occorre ristabilire una situazione difficile e siccome il teatro era già in una situazione complessa, spero che questa brutta esperienza riesca a far mettere un punto e a capo. C’è bisogno di freschezza, di novità, di giovani perché se questi non vanno a teatro non ci sarà un ricambio e questa sarebbe la definitiva morte di esso». Ed i buoni propositi non mancano di certo. «Col mio compagno, Francesco Maria Attardi, abbiamo dei progetti video e cinematografici a cui teniamo tantissimo e poi speriamo di riprendere la nostra rassegna. Se questi vaccini saranno finalmente decisivi, si ripartirà con la stagione che abbiamo purtroppo dovuto abbandonare l’anno scorso». In verità una prima ripartenza è già avvenuta al Teatro Litta di Milano dove è andato in scena Sogno di una notte a Bicocca, uno dei tre selezionati tra trecento spettacoli contemporanei. «Una grandissima emozione andare in scena e vedere un pubblico milanese che capisce oltretutto uno spettacolo in cui la metà delle persone parla in siciliano perché detenuti rinchiusi in una cella, incapaci di esprimersi in lingua. È stata una grandissima esperienza». Ma, Sogno di una notte a Bicocca rappresenta anche il lavoro di cui Francesca Ferro va più fiera. «È stato il mio primo lavoro scritto, diretto, prodotto e interpretato da me. - e spiega - Avrebbe dovuto recitare un’altra attrice che poi non ha potuto e quindi chi meglio di me che ho vissuto questa esperienza in prima persona al carcere di Bicocca, dove ho messo in scena lo spettacolo Sogno di una notte di mezza estate, interpretata dai detenuti i quali hanno poi scritto un canovaccio dal quale è venuto fuori uno spettacolo che abbiamo interpretato con attori reali».

Una delle mancanze più grandi con la quale ogni attore ha dovuto fare i conti a causa della pandemia è sicuramente quella del pubblico. «In questo anno abbiamo registrato tutti gli spettacoli del Teatro ABC per la televisione.

Fortunatamente, ho lavorato al contrario di molti colleghi che non hanno avuto questo privilegio, però il calore del pubblico è tutt’altra cosa. Mentre registravamo c’era questo assente clamoroso. - poi continua - Senza il pubblico il Teatro non ha veramente senso e forse è proprio ciò che manca anche quando si fa cinema. Quando fai più repliche ad esempio, noti che lo spettacolo cambia anche in base al pubblico, in base all’energia che rimanda».

Non mancano infine recenti lavori in ambito televisivo tra cui Il Cacciatore con Francesco Montanari sulla Rai. «Bellissima esperienza perché è un set particolare dove si respira un’aria di tranquillità, senza isterismi e soprattutto con un cast di attori talentuosi.»

Francesca interpreta una giovane panettiera che si innamora di un latitante che incontra sempre dopo lavoro, tramite sotterfugi, convinti di sfuggire alle indagini della polizia.»

La serieTV andrà in onda in autunno.

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libri

LETTO, RILETTO

RECENSITO

di Salvatore Massimo Fazio È il filosofo che ha fondato la corrente del nichilismo cognitivo. Poco avvezzo alla mondanità, vive a fasi alterne tra Sant’Agata Li Battiati, dove mantiene la residenza, Roma e Torino.

Titolo: Labyrinthos.

Un modello di scrittura Autore: Erica Donzella Edizioni: Villaggio Maori Numero pagine: 78 Prezzo di copertina: € 12,00

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hi siamo mentre scriviamo la nostra storia? Labyrinthos è un vademecum, una planimetria d’intenti che aiuta lo scrivente a riavvolgere il filo rosso dentro il proprio labirinto personale. Un modello di scrittura che individua il conflitto su cui si basa il disegno dello scrivente, che esplora la complessità del linguaggio, dello stile e della struttura di un progetto narrativo. Scriviamo, e lo facciamo per avere la certezza di non morire più e continuare a vivere nella parola scritta, fingendo di poter avere il controllo sulla morte. «Scriviamo perché la paura di perderci ci atterrisce. Scriviamo perché la paura di non essere ricordati/ricordate da chi amiamo e ci ama ci rende una macchina che assolve soltanto le sue funzioni primarie. Scriviamo perché abbiamo paura di morire. Nonostante tutto, abbiamo abbastanza consapevolezza che questo avverrà e cerchiamo di mantenere viva, fuori da noi e nel mondo, la memoria di ciò che abbiamo vissuto, nel tentativo di imprimerlo nero su bianco affinché possa servire da mappa per chi verrà dopo». Un fanale, un ago della bussola che affianca lo scrivente durante tutto il percorso creativo; una corsia preferenziale proposta al fine di non imbottigliarsi nel traffico dell’entropia – indice del disordine – e dei circuiti chiusi. Una ricognizione che rammenda il tessuto narrativo che spesso viene tarlato dall’urgenza bulimica dello scrivente che, asserragliato nel processo di combustione, perde la giusta linea d’azione su cui procedere. Labyrinthos è un pamphlet che riduce la probabilità di perderci, mediante lo studio delle possibilità che la letteratura ci dispone davanti, grazie alla quale riusciamo a possedere parti infinite di realtà nel nostro piccolo spazio circoscritto. Mi è doveroso ringraziare l’editor Arianna Garofalo, che mi ha aiutato nella comprensione di alcuni passaggi, non complessi, ma che hanno svelato la novità assoluta del contenuto e dello stile dell’eclettica autrice del volume.

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