Maggio/Giugno 2019 - Paesi Etnei Oggi

ZAFFERANA ETNEA INTERVISTA AL NEOSINDACO Maggio / Giugno 2019 Anno XXV - n° 272 | Free press

Fondato da Carmelo Pitrolino

DOPO ANNI DI SOFFERENZE L’HOCKEY VALVERDE È A CACCIA DELLA STAGIONE PERFETTA

#sappiatelo TRECASTAGNI IL FOTORACCONTO DELLA FESTA

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peopagine Il fotoracconto 12 Sant’Alfio, Filadelfo e Cirino

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Politica 20 Zafferana, dal primo maggio il sindaco è Salvatore Russo 23 S. G. La Punta, l’asilo nido di Via Macello chiude

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Storia 24 350 anni dalla grande eruzione Sport 26 Orizzonte tricolore 30 Spirito di gruppo

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Rubriche 09 L’editoriale di Fernando Massimo Adonia 37 Acqua in bocca di Antonio Giovanni Pesce

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38 Letto, riletto, recensito di Salvatore Massimo Fazio

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Paesi Etnei Oggi Free Press Maggio / Giugno 2019 - Anno XXV / n. 272

Registrazione Tribunale di Catania N. 7/95 del 22/03/1995 Redazione Via Principato di Monaco, snc - 95030 Gravina di Catania Tel./Fax 095 396136 - Mobile. 340 6091442 Distaccamento acese-jonico Via Nicolò Tommaseo, 61 - 95014 Giarre Mobile. 340 6080612 www.paesietneioggi.it redazione@paesietneioggi.it Paesi Etnei Oggi è organo del

Numero chiuso il 20/05/2019 Direttore Responsabile Fernando Massimo Adonia Collaborano Roberta Fuschi, Nunzio Condorelli Caff, Agata Amantia, Desirée Miranda, Carmelo Di Mauro, Thea Giacobbe, Michele Milazzo, Melania Tanteri, Roberto Quartarone, Isidoro Pennisi, Santi Zappalà, Laura Distefano, Francesca Santangelo, Marco Pitrella, Francesco Ricca, Antonio Giovanni Pesce, Salvo Giuffrida, Salvatore Massimo Fazio, Santo Privitera Foto di copertina Francesca Santangelo

EDITORE Andrea Pitrolino Resp. Pubbliche Relazioni Giovanni Leotta Mobile. 340 6080612 Pubblicità Mobile. 348 7904214 commerciale@paesietneioggi.it

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L’EDITORIALE

di Fernando Massimo Adonia / fernandomadonia@gmail.com @fernandomadonia / meridianista

LA BELLEZZA DEI NOSTRI SANTI

o abbiamo detto più volte che questo territorio merita un più vasto racconto nazionale che vada oltre i soliti bla-bla-bla su mafiosità, corruzione e disperazione. Andare oltre non significa omettere (sia chiaro), significa invece alzare lo sguardo e farsi promotori orgogliosi di un territorio, e non soltanto per fini turistici. Ma morali. Perché ogni buona narrazione può essere contagiosa tanto quanto il vizio. E di virtù ne abbiamo in sovrabbondanza. Per non parlare poi della bellezza, che parla da sola.

Queste poche righe di editoriale vogliono fare da corredo al servizio fotografico del “sempre bravo” Salvo Giuffrida che ha seguito la festa di Sant’Alfio, Cirino e Filadelfio con uno sguardo di drammaticità che è assolutamente coerente con

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una delle feste religiose più sentite del Sud Italia.

Sicuramente meno caciarona rispetto a quella dedicata a Sant’Agata. Ed è appunto per questo che va raccontata, perché esprime con forza la fede di un popolo genuino. Un festa autentica, semplice e forte di alcune espressioni che sono esplicitamente “nostre”. Come gli ex voto, del resto.

Appunto per questo va segnalato un piccolo-grande evento ormai concluso: quest’anno, in occasione dei cento anni delle vittoria nella Grande Guerra, gli ex voto elaborati tra il 1915 e il 1918 sono stati esposti nel museo permanente del Risorgimento a Roma, dentro cioè l’Altare della Patria. Vederli lì non poteva non riempirci di orgoglio.

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DUE PASSI FRA MAFIA E CEMENTO NELLA CATANIA DEGLI OTTANTA/ NOVANTA

di Marco Benanti

on c’erano telefonini, non c’erano tablet, né tanto meno auricolari: chi ha cominciato a fare il cronista fra la fine degli anni Ottanta e i primi Novanta il mestiere proponeva altro che strumenti tecnologici. La soluzione? Le scarpe e una moto scassata. E poi su e giù per chilometri e chilometri in mezzo a pezzi di città o di provincia dove non c’erano nemmeno i numeri civici. Come a Catania e nel suo vasto hinterland. Palazzine su palazzine, muri scrostrati in mezzo a cani randagi, quintali di cemento su quintali di cemento, fra campagne abbandonate e strade senza asfalto: da Monte Po a Librino, dalla periferia di Catania alle vie che attraversavano Gravina, Mascalucia, nuclei urbani cresciuti in fretta e via via divenuti centri popolati a cominciare dagli anni Settanta fino ai primi Novanta.

Attorno all’Etna, nelle viscere di un’area urbana che stava per vivere la parabola discendente della sua espansione, dal boom degli anni Sessanta al lento declino sino alla fine degli anni Ottanta, quando cioè l’intervento straordinario dello Stato andava calando facendo crollare investimenti e imprese tenute in piedi dal denaro pubblico e dalle speculazioni private, erano cresciuti piccoli e grandi “feudi” fatti di cemento e di crimine più o meno organizzato. Scendendo a sud, c’era Catania: qui il controllo della mafia era militare. Quartieri dopo quartiere, rione dopo rione, spazio dopo spazio, negozio dopo negozio, dalla concessionaria d’auto alla boutique alla moda: il crimine organizzato puntava al centro per gli affari, centro inteso come “città bene”. Giravi, in quegli anni, fra il caos catanese, fra smog e auto in tripla fila, ma in realtà annusavi e compravi da “Cosa Nostra Spa”. Il “mattone”, invece, da tempo si era spostato in periferia: dietro il fiume di denaro pubblico degli appalti, dietro le imprese dei cavalieri del lavoro dell’epoca, dietro le aree urbane assaltate.

Catania diventava sempre più periferia, o meglio la periferia diventata sempre più il “cuore” vero della città degli affari. Fra la fine degli anni Ottanta e i primi Novanta,però, questo sistema aveva superato l’apice e cominciava a declinare. L’altra sua faccia era quella della mafia imprenditrice che controllava militarmente la città e divideva in aree di influenza la periferia e i comuni dell’hinterland. Da un lato v’era Santapaola imperante: dopo i delitti eccellenti di Giuseppe Calderone nel 1978 e di Alfio Ferlito nel 1982, la supremazia del “cacciatore” era assoluta.

A dare qualche “fastidio” restavano i gruppi dei “giovani leoni” dei quartieri popolari, che nessuno riusciva a controllare totalmente: ma a fungere da “braccio armato” della famiglia Santapaola si era installato il clan di Giuseppe Pulvirenti “ ‘u malpassotu”, mafia agraria, animalesca nell’agire, capace di bruciare i cadaveri dei “nemici” sui copertoni o di indicare in base a quale “morale sessuale” si poteva o no continuare a vivere. Attorno a Pulvirenti, si era radicato un controllo feroce del territorio in particolare nei comuni dell’hinterland catanese.

Quando lo arrestarono i carabinieri, il 2 giugno del 1993, due settimane dopo la fine della “imprendibilità” di Nitto Santapaola (ammanettato dalla polizia il 18 maggio del 1993), il vecchio boss apparve

per quello che era: una sorta di contadino, con un cappellaccio che copriva un volto con barba incolta, i capelli rasati a zero. Si racconta che un giorno un magistrato che doveva interrogarlo si fosse lamentato per il cattivo odore che promanava da quell’uomo che tanto terrore aveva suscitato attorno a sé e al suo “gruppo familiare”. La Catania dei cento morti ammazzati all’anno era anche “merito” suo.

Pulvirenti viveva in un vano sotterraneo di sedici metri quadrati nascosto da una botola. Nel rifugio, due lettini, la pistola, una radio sintonizzata sulle frequenze delle forze dell’ordine e una manciata di denaro. Quando entrarono nel covo i carabinieri gli gridarono.

Al momento dell’ arresto il boss portava al dito un anello con dodici diamanti e al centro un rubino. I pentiti lo definiscono “l’ anello dei dodici capi” che porterebbero tutti i capi mandamento di Cosa Nostra. Il boss ostentava anche un Rolex d’ oro ed una pesante collana con una testa di leone.Simbologia di mafia agraria: qualcosa di simile aveva completato l’abbigliamento del bandito Giuliano negli anni del dopoguerra, in Sicilia.

Alcuni mesi dopo l’arresto, Pulvirenti decise di collaborare con la giustizia facendo scattare diverse operazioni antimafia.

Nel frattempo, mentre si sgretolava il suo clan, prendeva il sopravvento, con analoghi metodi da “macelleria familiare”, il clan Laudani. Dalla periferia nord di Catania, dalle botteghe di carne e di polleria, il gruppo di fuoco e di sangue dei “Mussi ‘i ficurinia” scalava a colpi di omicidi e di “prodezze” contro i simboli dello Stato.

Dei Laudani è sempre emersa l’indipendenza criminale rivendicata anche nei confronti di Cosa nostra catanese, con la quale, peraltro, durante gli anni Ottanta stringeva un’alleanza: un patto funzionale all’aumento del proprio peso criminale che ne ha fatto anche il “braccio armato” di Santapaola.

E’ negli anni Ottanta che la famiglia raggiunge e consolida un ampio potere militare ed economico, derivato da una incontrastata forza intimidatoria che trova nella commissione di numerosi omicidi (ai primi anni Novanta si ricorda una tremenda faida con altri gruppi catanesi), atti di violenza e minacce la sua forza propulsiva, riuscendo così a imporre la sua leadership. Molteplici le attività illecite cui si dedicano i “Mussi”: estorsioni, rapine, traffico di stupefacenti e usura, denaro reinvestito per espandere ancora il dominio del clan.

Lo scontro con lo Stato conosce alti e bassi, poi si arriva ad un’ escalation criminale culminata con una serie di azioni criminali efferate, tra questi l’attentato alla caserma dei carabinieri di Gravina di Catania (18 settembre 1993), l’omicidio dell’agente di polizia penitenziaria Luigi Bodenza (24 marzo 1994) e l’assassinio del penalista Serafino Famà (9 novembre 1995).

Lo scontro i Laudani lo perdono: saltano fuori rapporti “impensabili”, dalle indagini emerge il “volto imprenditoriale” del clan e i suoi rapporti con la “Catania Bene”. Che li “ingoia”. E riparte per un’altra “avventura”: in nome della legalità..

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il fotoracconto

SANT’ALFIO, FILADELFO E CIRINO

Foto di Salvo Giuffrida 12

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il fotoracconto

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Mandatario: Dario Biondi

Zagare Challenge

DUE GIORNI DI GRANDE SUCCESSO TRA HAIKU, ETNA COMICS E TANTE ATTIVITÀ PER GRANDI E BAMBINI

Alla manifestazione hanno preso parte anche i 60 studenti della Scuola Media “E. De Amicis” di Tremestieri Etneo, che hanno partecipato al progetto “Risate e Sogni - Haiku in classe”

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rande successo e affluenza di pubblico per la due giorni di “Zagare Challenge”, la manifestazione ospitata dal Parco Commerciale “Le Zagare” di San Giovanni La Punta, che ne ha promosso e curato l’organizzazione in collaborazione con Etna Comics e Agenzia Famoso. Tante le attività, per grandi e piccini che hanno intrattenuto piacevolmente il pubblico in galleria.

Per gli appassionati di videogiochi è stato emozionante partecipare a Fortnite One Gun Challenge, torneo ufficiale che ha premiato il vincitore con una coppa, mentre gli altri partecipanti hanno ricevuto preziosi biglietti omaggio per partecipare alla nona edizione di Etna Comics. I fan di Harry Potter hanno potuto invece visitare Hogwarts, provare il quidditch, il laboratorio di pozioni con il professor Piton, duellare come un vero mago e scattare una foto, insieme ai personaggi interpretati dai cosplayer sul binario 9 e 3/4.

Gli amanti delle stelle hanno avuto l’occasione imperdibile di osservare il cielo e trovare la propria costellazione grazie ad un visore per la realtà virtuale, vincendo un biglietto per il Planetario di Zafferana Etnea, oltre alla straordinaria possibilità di fare un selfie con il mitico Darth Fener, accompagnato dalla sua guardia imperiale.

Da Bruno Euronics è stato possibile visitare la postazione di E-Botics e per i più piccini è stato

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PER LA CULTURA

allestito un Memory Gigante che ha visto i piccoli partecipanti confrontarsi in sfide emozionanti.

Alla manifestazione, che è stata lanciata ufficialmente in conferenza stampa alla presenza, tra gli altri, della direttrice del Parco Commerciale, Milena Calì, del direttore di Etna Comics, Antonio Mannino, e dell’amministrazione del Comune di Tremestieri, hanno preso parte anche i sessanta studenti della Scuola Media “E. De Amicis” di Tremestieri Etneo, che hanno partecipato al progetto “Risate e Sogni - Haiku in classe” e che hanno dato vita ad un vero e proprio laboratorio narrativo, per coinvolgere simpaticamente i presenti nella realizzazione di un haiku.

Un’opportunità unica per cogliere con uno sguardo un evento e narrarlo con meraviglia, dando vita a versi di spontaneità e freschezza tali da affascinare chiunque, anche i più esperti del genere, che hanno potuto tuffarsi nelle suggestioni di un’arte senza tempo.

Nel corso dell’evento sono stati presentati anche gli haiku dei ragazzi che le insegnanti Maria Concetta Conti e Ines Torrisi hanno raccolto in un libro edito da Algra Editore e mostrato in un video, realizzato alla E. De Amicis, dove gli stessi studenti recitano i propri componimenti.

Giovedì 6 giugno gli stessi ragazzi saranno ospiti dell’Area Japan di Etna Comics al Centro Fieristico “Le Ciminiere” di Catania.

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politica

DAL PRIMO MAGGIO IL SINDACO DI ZAFFERANA È SALVATORE RUSSO SFIDE VECCHIE E NUOVE PER IL NEO ELETTO DEL #PROGETTO POLIS Già assessore nella precedente amministrazione con deleghe all'urbanistica, ai lavori pubblici, agli affari legali, e alla pubblica istruzione, non si presenta in continuità con il passato. Sostiene che poiché l'indirizzo politico amministrativo viene dettato dal sindaco, cambiando uno dei fattori cambia anche l'altro. «I componenti del #progetto Polis sono tutti volti nuovi», afferma. Abbiamo fatto una chiaccherata con lui per conoscere i suoi progetti, dalla ricostruzione post terremoto alla tenuta dei bilanci passando per i progetti futuri come l'ottobrata.

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di Desirée Miranda

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uali sono le urgenze del suo territorio? Di certo c'è ancora da affrontare il post terremoto di dicembre. «L'urgenza fondamentale è quella di ripartire dalla ricostruzione delle nostre frazioni. Dopo il terremoto il territorio è stato gravemente danneggiato perciò lo scopo fondamentale della nostra nuova esperienza amministrativa sarà quello di garantire tempi celeri per la ricostruzione delle case. Il lunedì successivo alla mia nomina, inoltre, ho partecipato alla commissione Lavori Pubblici e Ambiente a Roma, che ha discusso sugli emendamenti al decreto legge sulla ricostruzione.

Speriamo che gli emendamenti proposti da me e dagli altri sindaci coinvonti dal terremoto vengano accolti».

Cosa chiedono? «Due elementi fondamentali. Garantire una ricostruzione celere attraverso il potenziamento degli uffici tecnici amministrativi dei Comuni per garantire il disbrigo delle pratiche. Noi abbiamo fatto 3500 sopralluoghi e più di 1500 ordinanze con le quali abbiamo dichiarato l'inagibilità più o meno grave dell'immobile. Dobbiamo avere tempi celeri perché i cittadini tornino nelle loro case».

Qual è la situazione. Tutto è come dopo il terremoto? «Assolutamente no.

Abbiamo effettuato una serie di demolizioni, aperto strade che erano chiuse e sono state presentate tante domande in riferimento all'articolo 6, quello per la ricostruzione veloce. Molte di queste domande sono state istruite e alcuni

cittadini sono tornati a casa. Anche le scuole sono tutte riaperte. Siamo andati avanti a testa bassa e nulla è rimasto come il 26 dicembre. Solo una parte della via Vittorio Emanuele è ancora chiusa, ma speriamo di metterla in sicurezza nelle prossime settimane e riaprirla al pubblico».

State già pensando all'Ottobrata, una delle feste che più rappresenta il territorio? «Stiamo già cominciando a muoverci per creare la fondazione Ottobrata zaffernese. Fino all'anno scorso era organizzata da un comitato di persone, ma vogliamo creare un soggetto giurico, autonomo e indipente che possa organizzare, di anno in anno, insieme all'aministrazione, questa chermesse che sicuramente è la più importante all'interno del nostro territorio. Organizzare una festa così grande non è cosa semplice».

Chi ci mette i soldi, il Comune o cercate sponsor? «Cercheremo degli sponsor, ma ad oggi non abbiamo tutto chiaro. Vogliamo creare la fondazione, siamo partiti per effettuare la prima bozza di questo documento, però nello specifico non l'abbiamo predisposto.

Penso che per realizzare una festa così grande sia necessaria la collaborazione di sponsor e che siano importanti, così da alleggerire l'amministrazione dalle spese».

Come stanno le casse del Comune?

Cosa dicono i bilanci? «I bilanci sono come quelli della stragrande maggioranza dei Comuni d'Italia. La nostra fortuna è che non abbiamo nessun debito fuori bilancio, ma come gli altri abbiamo problemi nella riscossione. Ci affidiamo all'agenzia Riscossione Sicilia, ma i tempi sono lenti. Al cittadino che non ha pagato l'IMU del 2015, ad esempio, la cartella di riscossione gli arriva solo 3 anni dopo.

C'è quindi una discrepanza tra il momento in cui servono i soldi e quello in cui il Comuni li incassa effettivamente».

Quali sono gli altri nodi che l'attendono nei prossimi cinque anni? «Daremo grande importanza alla rinascita e al potenziamento del turismo che è sicuramente una delle risorse fondamentali del nostro territorio. Penseremo anche alla sicurezza a favore dei cittadini potenziando, come ci hanno chiesto, tutti gli impianti di video sorveglianza.

Vogliamo partire dalla riscoperta del nostro terriotorio con sistemi di controllo molto seri. Questo però richiede investimenti e un personale adeguato.

Speriamo di ottenere i finanziamenti giusti».

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politica

SAN GIOVANNI LA PUNTA L’ASILO NIDO DI VIA MACELLO CHIUDE PERCHÈ COSTRUITO SU UNA FAGLIA

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’asilo nido di via Macello chiude definitivamente! A farne l’annuncio è stato proprio il Primo cittadino, Antonino Bellia, motivando l’accaduto con la presenza ormai accertata di una faglia tettonica proprio sotto l’edificio. La struttura era stata realizzata negli anni “80 ed in un primo studio del PRG risalente al 1999 la faglia si fermava in via della Regione. Successivamente, con lo studio del piano di massima del 2012, la faglia fu evidenziata ma in maniera grossolana. A seguito di ulteriori revisioni ed approfondimenti si stabilì che la faglia attraversa il territorio in direzione Nord-Sud e che l’asilo in questione si trova proprio a cavallo della frattura.

«Dopo il sisma del 26 dicembre scorso» ha commentato Bellia «ulteriori accertamenti hanno confermato le criticità della struttura. A gennaio, quando il Piano Regolatore passò al Genio Civile venne fatta una comparazione con l’editing che noi avevamo e la mappatura dell’intero territorio.

Dopo un’attenta analisi da parte dei funzionari furono evidenziati segnali inequivocabili della presenza della faglia. Da quel momento scaturirono ulteriori indagini tutt’ora in corso. Inoltre è stato evidenziato il fatto che la struttura, essendo stata realizzata negli anni “80 , non è antisismica.

Pertanto trovandosi su una faglia potrebbero esserci cedimenti strutturali improvvisi anche non in presenza di sisma. Adesso ci sono mezzi più efficaci per prevenire i rischi rispetto al passato e quindi moralmente come padre di famiglia oltre che come Primo Cittadino mi sento di prendere questa decisione per l’incolumità di tutti».

di Agata Amantia

La struttura di via Macello era già chiusa dal 2017 per lavori di ristrutturazione riguardan-

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ti revisione e rimodulazione degli impianti, contenimento energetico, tinteggiatura e dopo la decisione del sindaco non accoglierà più i suoi piccoli alunni che intanto sono stati trasferiti all’istituto comprensivo “Falcone” e li rimarranno fino a quando non si troverà una soluzione.

«Dobbiamo garantire la sicurezza anche perché i bambini non sono ancora in grado di seguire piani di evacuazione e quindi il rischio per la loro incolumità è troppo alto» ha continuato Bellia.

«Ho trovato il progetto finanziario di ristrutturazione già in itinere ed al di là delle critiche non posso ignorare questa situazione. Già da alcuni mesi monitoravamo tutto in attesa di avere delle conferme. Pertanto durante le operazioni propedeutiche per l’approvazione del Bilancio si è deciso di inserire nel Piano Triennale delle Opere Pubbliche anche la realizzazione di un nuovo asilo comunale. Avendo individuato uno spazio di 350 mq accanto la scuola Falcone dove c’era in precedenza un campetto in disuso si potrà realizzare una struttura equivalente.Il terreno è comunale quindi basterà reperire le somme necessarie per l’edificazione della scuola e realizzare l’opera con criteri innovativi ed antisismici».

Intanto però si alza la polemica. «Come mai solo oggi sono preoccupati per i bambini e non se ne sono preoccupati dal 2012 al 2016, periodo in cui l’asilo è rimasto aperto fino a quando non lo hanno chiuso per iniziare i lavori? – dice l’esponente dei Cinque stelle, Giusy Rannone – Ma soprattutto, se il Genio civile non avesse richiesto questo accertamento, la scuola sarebbe stata riaperta nonostante la "sottotaciuta" presenza della faglia che era già nella carta geologica e nella carta della pericolosità sismica in possesso dell’amministrazione almeno dal 2012?».

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storia

350 ANNI DALLA GRANDE ERUZIONE L’ETNA, GRAVINA E LE PLACHE

U Melania Tanteri @meltanteri

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n evento che ha segnato un’intera popolazione. Che ha modificato la storia e la morfologia di un territorio, come si evince dalla toponomastica, talvolta unico modo per comprendere la differenza tra il prima e il dopo. Sono passati trecentocinquanta anni dalla più grossa eruzione della storia recente di Catania, che colpì gran parte del territorio etneo, arrivando fino al mare.

Quell’avvenimento, che da sempre accompagna i racconti dei luoghi percorsi, o risparmiati, dalla lingua di magma, resta parte integrante del patrimonio culturale dell’intera provincia, tanto da essere celebrato con numerose manifestazioni nei territori colpiti. Tra questi c’è Gravina di Catania, lambita dalla lava che ha risparmiato le vite umane - non si registrarono vittime - ma non il paese, la sua vita, le abitudini dei suoi abitanti,

un luogo che riporta ancora oggi evidenti le tracce di quel passato. Divenuto oggetto della conferenza “Gravina e l'eruzione del 1669”, inserita all’interno della rassegna “Etna 1669. Storie di Lava” a 350 anni dalla grande eruzione”. Un’occasione per scoprire o riscoprire un fenomeno che, oltre l’aspetto scientifico, rappresenta una sorta di genesi per la provincia etnea che oggi conosciamo; un racconto che va al di là della tradizione, orale o scritta che sia.

«Una colata che rappresenta la storia di questa provincia – spiega lo storico Antonio Aiello – e che ha avuto un fortissimo impatto sul territorio». Innanzitutto per la sorpresa. Nessuno immaginava che la lava potesse fuoriuscire da altre parti, se non dal cratere centrale. «Quando si aprì il primo cono di lava a Mompilieri, nella zona di Massa Annunziata, il 10 marzo 1969 - continua Aiello - gli abitanti stessi non se lo aspettavano e dovettero scappare in piena notte».

Gravina fu risparmiata dalla colata, non però dai terremoti che precedettero l’eruzione e che trasformarono l’economia gravinese.

«A differenza di altre zone come Belpasso, ad esempio, che fu colpita duramente – prosegue lo storico – Gravina, che all’epoca si chiamava “Le Plache", cioè campagna, e Sant’Agata li Battiati (che all’epoca si chiamava solo Sant’Agata) furono colpite di più dai terremoti che preannunciarono, qualche giorno prima, l’eruzione. Che fu diversa dalle solite: il magma era molto viscoso, e questo ha inciso profondamente sul territorio, non solo sul piano morfologico. La produzione vinicola locale, quella degli ortaggi, venne tutto distrutto».

Gravina porta ancora due segni evidenti di quell’evento di trecentocinquanta anni fa. Due luoghi che simboleggiano quel passato e che lo tramandano con la loro stessa esistenza, incontro tra l’eruzione e il paese di oggi. «Si tratta della chiesa di santa Maria della Misericordia e del monastero di Sant’Antonello – afferma Aiello.

La prima è chiamata anche chiesa dei “santuzzi” o dei “santiceddi”, e nel quartiere che sarebbe sorto in seguito detto Adderia, che durante la seconda guerra mondiale avrebbe rappresentato un rifugio naturale in tempo di bombardamenti.

La chiesa nacque su un costone lavico qualche anno dopo il 1751, quasi un secolo dopo l’eruzione perché un misterioso benefattore forestiero ebbe in sogno una visione della Madonna che gli disse di edificare

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una chiesa lì. Tuttavia, ci doveva già essere un’edicola o un’icona votiva».

Oggi il luogo, proprietà di un privato, non è adibito a culto, ma viene aperto in particolari occasioni, come ad esempio il mese mariano. «Poi c’è il Monastero di sant’Antonello – continua lo storico che risale al 1665, ovvero 4 anni prima dell’eruzione.

Era una grangia, un deposito di grano, che fungeva da tramite tra il Monastero benedettino san Nicolò L’Arena di Catania e il Monastero benedettino di Nicolosi, che ha lo stesso nome. Gravina era una sorta di sosta intermedia. Qui era conservato un busto di Sant’Agata che venne esposto nei giorni della colata. Qualcuno pensa sia per questo che il paese è stato risparmiato dalla colata, che ne ha lambito i confini ma non l’ha distrutto, a differenza ad esempio di Catania».

«A DIFFERENZA DI ALTRE ZONE COME BELPASSO, AD ESEMPIO, CHE FU COLPITA DURAMENTE, GRAVINA CHE ALL’EPOCA SI CHIAMAVA “LE PLACHE", CIOÈ CAMPAGNA, E SANT’AGATA LI BATTIATI (CHE ALL’EPOCA SI CHIAMAVA SOLO SANT’AGATA) FURONO COLPITE DI PIÙ DAI TERREMOTI CHE PREANNUNCIARONO, QUALCHE GIORNO PRIMA, L’ERUZIONE. CHE FU DIVERSA DALLE SOLITE: IL MAGMA ERA MOLTO VISCOSO, E QUESTO HA INCISO PROFONDAMENTE SUL TERRITORIO, NON SOLO SUL PIANO MORFOLOGICO. LA PRODUZIONE VINICOLA LOCALE, QUELLA DEGLI ORTAGGI, VENNE TUTTO DISTRUTTO»

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ORIZZO sport

TRICOL Foto di Santi Zappalà

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ONTE Roberto Quartarone @rojoazul86

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oveva essere la stagione perfetta, lo è stata: l’Ekipe Orizzonte è prima tornata sul tetto d’Europa, vincendo la prima Coppa Len della sua storia, poi è salita anche su quello d’Italia, conquistando la Final Six per lo scudetto nella Piscina della Plaia. È stato il 20º tricolore di pallanuoto femminile conquistato, peraltro davanti a 1.500 tifosi bardati di rossazzurro e festanti, davanti al proprio pubblico e con una squadra che negli ultimi anni ha lavorato duramente per ritornare la “Stella del Sud”.

«Ovviamente la pressione era enorme – ha affermato l’allenatrice Martina Miceli –: sapevamo di aver promesso la vittoria finale, che dipendeva anche dagli episodi, però sapevamo di potercela giocare fino in fondo. Sicuramente è stato un anno fantastico, proprio perché complicatissimo.

Con le ragazze abbiamo toccato il fondo, arrivando anche a detestarci a volte. Però era necessario: bisognava tirare fuori qualcosa in più.

Queste ragazze hanno dimostrato di cosa sono capaci quando giocano da squadra, hanno dimostrato di essere non solo delle grandissime atlete, ma anche delle donne con la “D” maiuscola».

LORE Maggio / Giugno 2019 - Anno XXV / n. 272

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sport

Il peso della storia non ha schiacciato l’Orizzonte del nuovo corso, la società che è uscita da sotto un treno dopo la fine di quel ciclo che aveva messo in bacheca otto Coppe dei Campioni oltre a una miriade di scudetti. La forza è stata affidarsi a chi in piscina c’è nato e cresciuto, come la Miceli e Tania Di Mario, allenatrice e presidentessa e prima protagoniste di mille battaglie in calottina. «Sono contenta soprattutto per Martina – ha detto Di Mario –, perché se lo merita ed ha dato l’anima per raggiungere questo risultato, ma anche per le ragazze: l’unica cosa che volevo era vederle felici». Lo scudetto conquistato con il 6-3 in finale sulla Sis Roma è stato un sogno, ma con una solida base alle spalle. Intanto la “casa” delle etnee: l’Ekipe di Giorgio Bertolini, che da quando ha legato il suo nome alle sorti della pallanuoto femminile ha permesso di rilanciare il progetto. E poi le giocatrici. In tre avevano già assaporato la vittoria del 2010-‘11 con la stessa calottina: Rosaria Aiello, Valeria Palmieri e Arianna Garibotti.

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Sono loro lo zoccolo duro della formazione, nonché protagoniste assolute dell’ultima partita, a cui sono state affiancate straniere di spessore (Sabrina Van der Sloot e Ilse Koolhaas) e italiane dal grande avvenire (Carolina Ioannou, Giulia Gorlero, Roberta Bianconi, Dorotea Spampinato, Claudia Marletta, Isabella Riccioli, Roberta Santapaola e Aurora Condorelli).

Dopo aver vinto la stagione regolare e aver eliminato in semifinale la campionessa in carica Plebiscito Padova (vendicando la finale dello scorso anno), la forza delle etnee è stata l’essersi ricompattate contro la Sis Roma, davanti al proprio pubblico, e aver trovato la forza di reagire dopo lo 0-1 iniziale. I quattro gol nei due tempi successivi hanno ribaltato il punteggio e dato l’idea che si potesse vincere, come poi è stato. Non è mancato nemmeno il ricordo di Mauro Maugeri, storico allenatore scomparso un anno e mezzo fa, con una targa consegnata alla famiglia.

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SPIRI DI GRU

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RITO RUPPO L’AVVENTURA DELL’ HOCKEY VALVERDE

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egnàte sul calendario: 25 maggio e 8-9 giugno.

Questi tre giorni potrebbero segnare la rinascita dell’hockey su prato femminile a Catania, perché la Polisportiva Hockey Valverde affronterà lo spareggio contro la seconda classificata del Girone B di Serie A2 e si giocherà l’accesso alle finali per la massima serie, che si disputeranno al Seminara di Valverde, dunque in casa etnea.

Sono due snodi fondamentali per la seconda disciplina più vincente all’ombra dell’Etna, che sembra vedere la luce in fondo al tunnel dopo un triennio devastante.

Testi di Roberto Quartarone foto di Francesca Santangelo

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SOLE CONTRO TUTTO È cambiato il nome, ma non la sostanza: da Cus a Hcu e ora Valverde, la squadra allenata da Trinidad Canon è passata dalla possibilità di vincere lo scudetto all’oblio. Sfrattata dal campo “Dusmet” di via Nizzeti, rimasto nel limbo a causa dei lavori di ristrutturazione mai partiti, la squadra ha subìto sia le bizze della natura, con il terreno attorno al “Seminara” che è sprofondato creando dei problemi enormi, che del giudice sportivo della federazione, che ha deciso a tavolino sia la lotta scudetto ’17 che gli spareggi per l’A1 del ’18. La stagione 2017-’18 è stata inesistente, in quanto si è disputata solo la seconda fase, culminata con lo spareggio contro Segrate vinto sul campo e poi perso con la carta bollata per la “posizione irregolare” delle atlete spagnole.

Quella 2018-’19, è un minimo più sostanziosa.

«La Serie A2 è strana – afferma l’allenatrice Canon –, nessuna squadra da Roma in su ha voluto giocare contro di noi e così ci hanno messo in un girone… da sole. Con i dirigenti della Sardegna ci siamo inventate un gruppo a tre, con una squadra che si è ritirata dalle finali e un’altra che era di un livello molto più basso. C’è servito per muoverci, a livello agonistico e competitivo non è stato utile. Abbiamo vinto il girone, ora ci aspetta la partita secca, probabilmente contro la Lazio, che dovrebbe chiudere seconda contro altre tre squadre. Giocheremo fuori casa, è una difficoltà, loro hanno avuto dei risultati buoni e hanno tradizione, con sette straniere. Le affronteremo con orgoglio, anche se non abbiamo la competitività che ci voleva».

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LA VOGLIA DI GIOCARE Quest’anno la squadra ha disputato anche il campionato indoor, in cui Catania ha vinto sei dei 13 scudetti totali nell’hockey su prato. «L’abbiamo fatto – prosegue Canon – con l’obiettivo di rimetterci in movimento. Da 8-10 anni non lo facevamo, malgrado la buona tradizione precedente. L’obiettivo era solo di giocare. C’è capitato un girone complicato, con Pisa e San Saba. Non ci siamo qualificate, ma abbiamo perso delle partite di misura e c’è servito».

Le sfide non finiscono qui. L’orgoglio non è mai mancato alle ragazze, che hanno uno spirito di gruppo invidiabile: malgrado siano l’ultimo baluardo dell’intero Sud Italia nell’hockey su prato, hanno mantenuto l’ossatura composta da atlete di massima serie, in più sono riuscite a richiamare alcune delle grandi catanesi (giustamente andate in giro per l’Europa in cerca di maggior fortuna) per rinforzare la squadra. Qualche defezione dai tempi della lotta per lo scudetto è l’unica modifica. «Siamo la stessa squadra della Serie A – premette l’allenatrice –, ma abbiamo perso qualcuna per maternità e qualcun'altra per infortunio. La difficoltà è che tutte lavorano, quindi bisogna combinare gli orari per gli allenamenti… Quest’anno sono con noi ancora Dalila Mirabella, che ha rinunciato all’ultima esperienza con la Nazionale per lavoro, ed Eleonora Di Mauro, 12 anni in nazionale e rimasta fuori dall’ultimo Mondiale. Abbiamo anche Giuliana Marletta, che fa parte della Nazionale da quest’anno. Abbiamo varie ex Nazionali e un gruppo di giovani».

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DALL’AZZURRO AGLI SPAREGGI PER LA A Il nuovo che avanza è appunto Giuliana Marletta, portiere della Nazionale già vista in due raduni con le azzurre: «Giocavo a pallanuoto, poi sono passata all’hockey alle medie dopo un grave infortunio alla caviglia – spiega lei, catanese classe ’93 –. La Nazionale era un obiettivo che avevo.

L’anno scorso ero al San Saba Roma in Serie A1 e lì ho vinto il titolo di miglior portiere in Coppa Italia, poi sono tornata perché volevo giocare a casa mia con la mia squadra. Ho partecipato a due raduni, nel primo abbiamo fatto un test match contro la Scozia e ho giocato, nel secondo solo allenamenti». Il lungo vagare e le vicissitudini societarie hanno creato qualche scompenso, pur non pregiudicando l’attività giovanile: «A livello di giovani non siamo messi male ma nemmeno benissimo – ammette Trinidad Canon –.

Abbiamo sei Under-21 nella prima squadra e la giovanile si sta ricompattando dall’Under-14 in giù. Purtroppo c’è un vuoto in mezzo dovuto ai problemi con la vecchia società e con il campo».

Ora tutta l’attenzione è concentrata sul secondo weekend di giugno: «Avremmo bisogno di sponsor, perché il campo è stato sistemato ma è stato chiuso per due anni e qualcosa è stato danneggiato. Se vinciamo il 25 maggio giocheremo qui le finali per la Serie A1, speriamo di essere noi a giocarle, altrimenti sarebbe una tagliata di faccia!

L’evento sarà bello, siamo sicuri che ci sarà un grande seguito di gente». La Catania dell’hockey torna a sognare, finalmente!

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Antonio Giovanni Pesce Saggista

H2O

antoniogpesce@gmail.com

TEMPI NON MATURI PER L’ESAME DI MATURITÀ

I

l salone del libro di Torino, quest’anno, è salito alla ribalta delle cronache per un solo motivo. Che è legato ad un libro, ma che con il libro in sé c’entra poco. La storia è nota, e riprenderla non serve. Si può parlare, invece, di ciò che circolava tra i vari stand, e cioè dei due manifesti che mirano a raccogliere l’opinione pubblica – quell’esigua pattuglia che si interessa ancora alla formazione dei giovani – intorno al ruolo della filosofia e della storia nel nostro sistema scolastico. Per la filosofia l’iniziativa è partita da Marco Ferrari e Gian Paolo Terravecchia, mentre per la storia i primi firmatari sono Andrea Giardina, Liliana Segre e Andrea Camilleri.

Cosa si chiede? Il nuovo esame di Stato ha scontentato tutti. Le indicazioni operative sono arrivate solo a metà anno, con grande confusione per docenti e studenti. Un esame di Stato che, per buona parte dell’anno, lo stesso ministero ha mostrato scarsa sicurezza nell’indicarne lo svolgimento. Tra le tante novità ce ne sono due che vanno a toccare le materie in questione: l’abolizione della terza prova, che non godeva di buona stampa (e che era assai utile, soprattutto per testare la reale preparazione dello studente ad una settimana dall’orale), ma nella quale si poteva ancora scrivere di filosofia; la scomparsa del tema di storia nella prima prova, riassorbito in un più grande contenitore – quello del testo argomentativo.

Il problema però non è legato solo all’esame finale. Il manifesto per la storia fa notare come questa sia, tra le materie scolastiche, la più negletta. Solo al liceo classico sono previste tre ore. Allo scientifico due. Non è diverso negli altri ordini. Chi la insegna, magari in coppia con la filosofia (è il caso dei licei, nei quali la cattedra è data alla classe di concorso A019, ex A037 – colui che scrive ne fa parte), si accorge col tempo che le maggiori insufficienze si registrano proprio

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in storia. L’argomentare filosofico si snoda attraverso concetti, come la matematica attraverso ‘passaggi’, e basta seguirne e capirne lo sviluppo per arrivare almeno alla sufficienza. La storia, invece, impone un argomentare dal quale non si può escludere (anzi!) una capacità narrativa ed una sintetica di ampio respiro. Inoltre, la disciplina è insegnata già dai primi gradi: tutti credono che la si studi sempre allo stesso modo, cioè imparando da un riassunto qualche evento, qualche data, qualche nome (solitamente guerre, date di inizio e di fine, re e imperatori), e che il gioco sia fatto. Non è proprio così, perché c’è una dimensione simbolica del potere che non può essere tralasciata. Per la filosofia il discorso è diverso. Ormai, se non ci si dà una mossa, non se ne comprenderà più il senso: è una carrellata di autori, un «questo dopo di quello» in cui si perde la complessità di un problema. E, in fin dei conti, la vita è fatta di problemi più che di gente che te le risolva.

Quali le soluzioni? Per la scienza di Platone e Aristotele si suggerisce di estenderla anche agli istituti che non sono licei. Per la storia si chiede «che la prova di storia venga ripristinata negli scritti dell’esame di Stato delle scuole superiori; che le ore dedicate alla disciplina nelle scuole vengano incrementate e non ulteriormente ridotte». Ma sono palliativi. Le sfide sono epocali, perché sono di carattere antropologico. Certo, il sistema scolastico italiano ha avuto una sola, organica riforma, ed è quella di Giovanni Gentile: appena approvata, fu subito cambiata, e da allora è stato un continuo di riforme, che infine l’hanno snaturata. Non è però il caso di farne una colpa ai piccoli ministri venuti dopo il grande filosofo siciliano: un’idea pedagogica è dettata da un’idea antropologica. E non c’è una visione dell’uomo che non rispecchi una visione metafisica.

Non possiamo insegnare saperi per uomini liberi a coloro a cui non importa più esserlo.

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LETTO, RILETTO RECENSITO

di Salvatore Massimo Fazio È il filosofo che ha fondato la corrente del nichilismo cognitivo. Poco avvezzo alla mondanità, vive a fasi alterne tra Sant’Agata Li Battiati, dove mantiene la residenza, Roma e Torino.

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iolenze, che non devono essere rigorosamente fisiche: giochi psicologici, voci di corridoio, paesi che condannano, gentaglia, della nobiltà delle città e dei paesi siciliani, di diversi periodi ed epoche.

Non è femminismo, lo ha pure detto l’autrice, Nunzia Scalzo, delicata e spietata nel romanzare episodi realmente accaduti nell’isola più bella, nell’isola più triste dello stivale europeo: la Sicilia.

Scritto al femminile, per demistificare verso una condizione davvero drammatica, raccontare l’amore, che sembra spesso essere un vincolo, un circuito che conduce a una fine; o le gelosie, senza mai riconoscere i propri balordi giochi (come il caso del meccanico allertato dal suo che troverà la moglie a erotizzare in un casolare, dove lo stesso con l’amico e altri abusavano di prostitute); e ancora il dolore di una madre di famiglia nobile, che perde il proprio figlio giovane, e anche il marito, notaio famoso e rispettoso: tutt’altro, una canaglia! Viene accusata della morte di lui, si scoprirà che così non fu, poco importa: sconterà una pena per la vita (lei è Assunta).

La narrazione di Nunzia Scalzo, abituati a leggerla nelle vesti della prestigiosa giornalista qual è, di Repubblica, e prima ancora di altre testate di informazione, incalza e rende godimento alla conoscenza di fatti realmente accaduti. Non fa demagogia, Nunzia, è diretta: da non toccarla neppure con un fiore, non può l’uomo essere eroe e la donna sempre buttana, l’edonismo è attivo alla stregua... la conseguenza cambia, purtroppo.

Nunzia Scalzo Vite storte A&B editrice Pagg.: 128 Prezzo: € 12,00

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