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G R A N D E C U V É E A L M A N O N D O S AT O L A Q U I N T E S S E N Z A D E L F R A N C I A C O R TA


EDITORIALE

Da grandi vini, a vini da grandi risultati di David Pambianco

I

l vino italiano ha l’occasione per uscire dal tunnel della pandemia con una nuova identità. I numeri relativi al 2020 riflettono, certo, un segno negativo sul fronte delle esportazioni. Ma la curva non ha cambiato inclinazione in modo tangibile rispetto al pre-Covid. E, soprattutto, non l’ha fatto per ciò che riguarda il valore del prodotto esportato. In altre parole, la fase declinante di volumi e valore era già in atto. L’aspetto interessante è che il sistema sembra aver preso consapevolezza di questo, e aver avviato una reazione. Ha suscitato forte attenzione l’analisi, pubblicata nelle scorse settimane, dell’Osservatorio di Unione Italiana Vini, che ha messo in fila i Paesi esportatori per fascia di prezzo. Ebbene, i numeri italiani sono impietosi. Solo il 5% delle bottiglie di vino fermo italiano destinate all’export esce dalle cantine a più di 9 euro al litro, mentre il 75% non supera la soglia dei 6 euro (di cui il 28% sta sotto i 3 euro). Un posizionamento più basso non solo rispetto a competitor come Nuova Zelanda, Francia e Australia, ma anche sulla media mondiale degli scambi. Il tema di un necessario cambio di posizionamento è stato il punto di partenza del Summit Pambianco. Uno dei messaggi chiave emersi nella giornata è che la ripresa non è uguale per tutti. La fase pandemica, infatti, ha cambiato il mercato, consolidando due nuove abitudini: l’acquisto online; e l’acquisto garantito dal marchio, principale stella polare per orientarsi nel mondo digitale e, ormai, senza confini. Queste evoluzioni sono a loro volta alla base dell’accelerazione del processo di aggregazioni che ha caratterizzato il sistema negli ultimi mesi, e che molto probabilmente continuerà a caratterizzarlo nel prossimo futuro. Il digitale avrà un ruolo sempre maggiore, e richiederà strutture in grado di garantire efficienze e sinergie logistiche, fattori possibili solo oltre un certo livello dimensionale. Inoltre, sarà sempre più necessario adottare strategie di riconoscibilità del brand, e di valorizzazione del prodotto. Facendo proprio un principio finora estraneo alla cultura delle cantine nazionali: non serve saper vendere un vino che piace al vignaiolo, è invece necessario saper vendere un vino che piace al mercato. E farlo al meglio. Solo così, un ‘grande’ vino potrà trasformarsi in un vino ‘da grandi’ risultati.

Novembre/Dicembre 2021 PAMBIANCO WINE&FOOD 3



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SOMMARIO 10

OVERVIEW

14

ANALISI

Il vino ‘stappa’ le M&A

20

MERCATO

Lo champagne alza il tiro

26

FENOMENI

Riemerge il pesce di lusso

33

DOSSIER

La sfida della ripresa 34 Le nuove abitudini del vino

38-63 Interviste ai relatori

33 DOSSIER LA SFIDA DELLA RIPRESA

Il primo Wine & Food Summit firmato Pambianco - PwC ha portato sul palco di Palazzo Mezzanotte, sede di Borsa Italiana, i principali player del settore. Le analisi e le testimonianze hanno raccontato cosa è cambiato e cosa ancora dovrà cambiare dopo gli stravolgimenti della pandemia.

14

6 PAMBIANCO WINE&FOOD Novembre/Dicembre 2021

72

ANALISI

TENDENZE

IL VINO ‘STAPPA’ LE M&A

LA MIXOLOGY ENTRA NEL MENU

Negli ultimi due anni, più deal che nell’ultimo quinquennio. Cresce il fenomeno del trophy asset. E il trend continuerà.

La carta dei cocktail non è ancora diffusa, ma diventa segno distintivo. Si beve più italiano e artigianale, con meno alcol e meno zucchero.


BERLU CC H I, UN A S TORI A C H E I N I Z I A OG N I G I O RN O La nostra storia nasce nel 1961. Nasce dal sogno di creare qualcosa che prima non c’era. Quello della Franciacorta come la conosciamo oggi.

#berlucchimoments #berlucchi60anniversary


SOMMARIO In copertina

64

SCENARI

La sfida dell’Asti: puntare al top

72

TENDENZE

La mixology entra nel menu

78

TENDENZE

Metti una sera a cena (bar incluso)

91

WHAT’S NEW?

92 All day long

94 Nuovi amici hi-tech

Kazuhide Yamazaki “A glass of red wine”, 1981 Monotype on paper, 76,2 x 57,2 cm Courtesy of Graves International Art, Saint Augustine, Florida, US Cover story a pag. 97

...ogni giorno sul web www.wine.pambianconews.com

CEDUTO 60% DI MARTESANA

Il 60% di Pasticceria Martesana è passato a Mega Holding, Eagle Capital Ventures e ad altri soci.

8 PAMBIANCO WINE&FOOD Novembre/Dicembre 2021

LANGOSTERIA APRE ‘CUCINA’ A MILANO. E SOGNA GLI STATI UNITI

Nuovo progetto milanese per Langosteria, che apre ‘Cucina’.

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OVERVIEW

LO CHAMPAGNE TRAINA I 9 MESI DI LVMH

26 STORE PER STARBUCKS Percassi, partner licenziatario unico per l’Italia di Starbucks, ha annunciato l’opening di 26 nuovi negozi entro la fine del 2023. Un corposo piano di investimenti che creerà fino a 300 nuovi posti di lavoro in due anni.

BOND BEVE BORDEAUX Nell’ultimo film di James Bond ‘No time to die’, 007 beve Bordeaux e, nello specifico, il ‘Saint-Émilion grand cru Angelus‘ che compare e tiene la scena più di qualsiasi altra bevanda in tutti i 163 minuti di durata del film.

HELLOFRESH IN ITALIA

L

vmh realizza nei 9 mesi una crescita in doppia cifra che coinvolge tanto il gruppo nella sua totalità quanto la sua divisione wine&spirit. Quest’ultima infatti, che raccoglie tra gli altri i brand Moët & Chandon, Dom Pérignon, Veuve Clicquot Ponsardin, Krug, Ruinart, ha messo a segno un +10% a livello organico sul 2019, valore che passa a +30% se paragonato al 2020, per un totale di 4,2 miliardi di euro. In questo contesto, i volumi degli Champagne sono aumentati del 7% rispetto ai primi nove mesi del 2019. Il terzo trimestre, inoltre, è il primo che segna l’integrazione della maison Armand de Brignac, di cui il gruppo del lusso di Bernard Arnault ha acquisito una quota del 50% a inizio anno. A livello di mercati, il gruppo ha registrato una crescita “particolarmente forte negli Stati Uniti e in Europa, che nel corso dell’estate hanno beneficiato notevolmente della riapertura dei ristoranti e della graduale ripresa del turismo”. Questi risultati fanno da cartina da tornasole della ripresa dello Champagne nel 2021 che, dopo un tragico 2020, caratterizzato da flessioni fino al 18 per cento, nei primi sei mesi ha messo a segno un nuovo record storico dell’export, superando il precedente, risalente al 2018, del 14 per cento. Il cognac Hennessy ha registrato un +4% rispetto al 2019, mentre Cina e Usa hanno registrato “un forte rimbalzo”. 10 PAMBIANCO WINE&FOOD Novembre/Dicembre 2021

TRICORBRAUN COMPRA L’ITALIANA VETROELITE

Arriva in Italia Hellofresh, azienda fondata a Berlino nel 2011 e attiva nel settore del meal-kit delivery. Quotata a Francoforte, e con un fatturato di 3,7 miliardi di euro, Hellofresh porta nel Bel paese le proprie box di ingredienti pre-porzionati.

L’azienda trevigiana Vetroelite fa gola agli operatori esteri, tanto che, dopo essere stata acquisita dai francesi, passa ora agli americani. Lbo France ha infatti siglato un accordo per la cessione dell’azienda italiana, attiva nel design e nella commercializzazione di bottiglie e contenitori speciali in vetro di alta gamma, al leader mondiale del packaging Tricorbraun, con sede negli Stati Uniti. Tutti i membri del team Vetroelite, incluso il CEO Daniele Feletto, rimarranno all’interno dell’azienda. MUSK LANCIA LA BIRRA Dopo la Tesla Tequila, ora è il momento della Gigabier. È l’ultima trovata di Elon Musk che, in occasione della presentazione a Berlino della sua Gigafactory, la fabbrica europea che produrrà i veicoli elettrici Tesla, ha svelato la birra legata all’iniziativa.


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OVERVIEW

Domori rileva Streglio e crea la ‘città del cioccolato’

Lavazza aprirà 1000 negozi entro il 2025 in Cina Lavazza preme l’acceleratore in Cina annunciando di voler aprire 1000 negozi entro il 2025. Lo sviluppo prenderà vita grazie alla joint venture, siglata all’inizio del 2020, tra il gruppo italiano e Yum China Holdings, per “esplorare e sviluppare il concept delle caffetterie Lavazza in Cina”, come precisa l’azienda italiana. Per finanziare la crescita, saranno inizialmente stanziati 200 milioni di dollari (circa 170 milioni di euro). È inoltre previsto che la joint venture diventi il distributore esclusivo di Lavazza in Cina continentale, introducendo così nel Paese una gamma più ampia di prodotti quali caffè in grani, caffè macinato e capsule. Entro la fine dell’anno, la jv prevede che le caffetterie nel Paese asiatico siano più che raddoppiate. Nello specifico, la joint venture è detenuta per il 65% da Yum China e da Lavazza per il restante 35 per cento. Il primo flagship store Lavazza a Shanghai è stato inaugurato nell’aprile 2020 e, da allora, sono stati aperti oltre 20 store tra Shanghai, Hangzhou, Pechino e Guangzhou.

Domori fa squadra con Galup per salvare il marchio piemontese Streglio. Domori, parte del gruppo Illy, ha comprato l’area dello stabilimento di Streglio a Neno (To), che verrà ampliato, mentre Galup, con il quale Domori collabora da anni per panettoni e pandori, ha rilevato il marchio. L’operazione prevede un investimento di 10 milioni di euro e garantirà all’azienda un’area di 36mila metri quadri di superficie, dai 12mila attuali, nella quale sorgerà una vera e propria “cittadella del cioccolato”.

IN FRANCIA SI MANGIA PIÙ MOZZARELLA CHE CAMEMBERT In Francia, nel consumo dei formaggi molli, la mozzarella sorpassa per la prima volta il camembert. A dirlo sono i numeri: da inizio anno e fino all’11 settembre, oltralpe sono state vendute 29.230 tonnellate di camembert, contro le 33.170 di mozzarella. Il sorpasso è storico, e lo conferma a Le Figaro Fabrice Collier, presidente di Snfc (Syndicat normand des fabricants de camemberts). “Per la prima 12 PAMBIANCO WINE&FOOD Novembre/Dicembre 2021

volta in Francia - spiega Collier - la curva di vendita del camembert, in costante calo del 3% annuo, è scesa al di sotto di quella delle vendite di mozzarelle, che registrano una crescita annua del 5 per cento”. Andando indietro di qualche tempo, negli anni 80 venivano prodotte 180.000 tonnellate di questo formaggio francese, di cui una parte destinata all’esportazione, il doppio rispetto quanto prodotto oggi.

GLOVO COMPRA LOLA MARKET E MERCADÃO Glovo potenzia la divisione Quick-commerce comprando Lola Market e Mercadão, due aziende operanti nel settore delle consegne della spesa. La prima opera in Spagna e la seconda in Portogallo, e complessivamente vantano un portafoglio di oltre 30 partner. Le due operazioni vanno così a integrare la strategia di crescita di Glovo, consolidando ulteriormente la divisione Q-Commerce (e quindi la consegna a domicilio entro i 30 minuti) a seguito delle recenti acquisizioni di Delivery Hero nell’Europa dell’Est e della partnership con la società immobiliare svizzera Stoneweg.

FERRERO ROCHER FA LE TAVOLETTE Continua la corsa di Ferrero Rocher, che dopo essere entrato nel mercato dei gelati confezionati la scorsa primavera, ora debutta in quello delle tavolette di cioccolato. Un mercato che vale circa 578 milioni di euro, di cui ben 439 milioni legati alla sola gdo.

ANCHE BARILLA FARÀ I GELATI. CON ALGIDA Barilla e Algida hanno stretto un’alleanza che sarà operativa dal 2022 e prevede lo sviluppo di prodotti gelato ispirati ai marchi di successo del settore biscotti e snack firmati Barilla. L’accordo prevede anche la distribuzione nel fuoricasa di snack dolci e salati in monoporzione già prodotti da Barilla. L’ambizione è “presidiare sempre di più il settore dell’out of home”. Lo scorso aprile, era stato il Gruppo Ferrero ad annunciare il proprio ingresso nel business dei gelati confezionati.


OVERVIEW

VINITALY, L’EDIZIONE SPECIAL CHIUDE “OLTRE LE ASPETTATIVE” Vinitaly Special Edition ha chiuso i battenti della sua sessione straordinaria intascando la soddisfazione di organizzatori e operatori. Nata per rispondere alle sollecitazioni del settore, privato per due anni consecutivi della principale fiera del vino italiano, la manifestazione ha riportato i seguenti numeri: oltre 12.000 operatori professionali, più di 2500 buyer (circa il 22% del totale) e 60 nazioni rappresentate, oltre 400 aziende espositrici (nel 2019 erano

4.600) lungo tre padiglioni occupati, “un risultato al di sopra delle nostre aspettative”, come dichiarato dal presidente di Veronafiere, Maurizio Danese. “Aziende, consorzi, associazioni agricole e di filiera e operatori hanno premiato il progetto di questa iniziativa business che ha registrato un elevato tasso di contatti e di vendite, oltre a un indice di soddisfazione unanime”. Ora si guarda al 2022 per realizzare la 54° edizione Vinitaly.

Ci sono 4 italiani tra i migliori 50 ristoranti al mondo

Riccardo Camanini

L’anno scorso è saltata a causa del Covid, ma quest’anno la classifica dei migliori ristoranti al mondo è tornata, portando con sé delle belle sorprese per gli italiani. Tra i World’s 50 Best Restaurants, gli italiani sono saliti a quattro, contro le due presenze dello scorso anno che sono state entrambe in grado di migliorare i propri posizionamenti. Il primo ristorante italiano che si incontra scorrendo la classifica è la new entry Lido 84 di Riccardo e Giancarlo Camanini a Gardone Riviera, che conquista anche l’Highest New Entry Award. Il ristorante era rientrato nella classifica al 78° posto nel 2019 e aveva inoltre ricevuto il premio One to watch. Sale poi di ben 11 posizioni Piazza Duomo di Enrico Crippa ad Alba, che si colloca 18° rispetto al 29° posto del 2019. Alla posizione 26 c’è invece Le Calandre dei fratelli Massimiliano, Raffaele e Laura Alajmo, saliti di qualche gradino rispetto al 31° posto del 2019. Infine, alla posizione 29 rientra il Reale di Niko Romito che la scorsa edizione era scivolato fuori dai top 50 collocandosi al 51° posto, dopo il 36° posto nel 2018.

Co-lab per Molino Pasini Quattro generazioni e 100 anni di storia impressi nell’arte molitoria di Molino Pasini, azienda del mantovano che ha messo in campo numerose iniziative per costruire “un’immagine ‘diversa’ e nonconvenzionale”, mutuando “suggestioni da altri mondi”, spiega l’AD Gianluca Pasini. Dalla collaborazione con il bartender milanese Maurizio Stocchetto del Bar Basso, che ha dato vita a cocktail in cui la farina è protagonista, all’ideazione di uno stand a Tuttofood a ispirazione ‘green’, alla presentazione dell’ultimo numero del magazine aziendale Il Mugnaio firmato Lissoni GraphX.

Gianluca Pasini

Stella Michelin alla Gucci Osteria di Beverly Hills Gucci Osteria Beverly Hills entra nalla ‘Walk of Fame’ della ristorazione. Il locale, parte di una galassia che conta ristoranti anche a Firenze e Tokyo, è infatti stato premiato con una stella Michelin nell’edizione 2021 della Guida Michelin California. Alla guida dell’osteria c’è Mattia Agazzi, nel ruolo di head chef, sotto la direzione di Massimo Bottura, chef tristellato dell’Osteria Francescana con cui Gucci collabora per questo progetto di ristorazione.

Equinox acquisisce il 40% di Pizzium Pizzium ha annunciato l’ingresso di Equinox nella propria compagine societaria. La società di private equity ha infatti acquisito il 40% del capitale del concept di pizzerie napoletane fondato nel 2017 a Milano, attraverso una società veicolo, con un’operazione che ha visto un mix di aumento di capitale inscindibile pari a 6 milioni di euro e acquisto di azioni dai precedenti azionisti. Controllo e gestione del business restano nelle mani di Stefano Saturnino, fondatore e AD di Pizzium, e di Nanni Arbellini, fondatore e responsabile sviluppo prodotto.

Novembre/Dicembre 2021 PAMBIANCO WINE&FOOD 13


ANALISI

Il vino ‘stappa’ le M&A di Fabio Gibellino

NEGLI ULTIMI DUE ANNI, PIÙ DEAL CHE NELL’ULTIMO QUINQUENNIO. OLTRE ALLE OPERAZIONI FINANZIARIE E INDUSTRIALI, CRESCE IL FENOMENO DEL TROPHY ASSET. E IL TREND CONTINUERÀ, NONOSTANTE UN MERCATO FRAMMENTATO.

14 PAMBIANCO WINE&FOOD Novembre/Dicembre 2021

N

egli ultimi dodici mesi, il fondo Clessidra si è comprato Botter e MondodelVino, Antinori ha rilevato la maggioranza di Jermann, e Renzo Rosso con la sua Red Circle è arrivato al 7,5% di Masi agricola, conquistandosi anche un posto nel consiglio di amministrazione. Tre operazioni completamente diverse l’una dall’altra che raccontano l’Italia vitivinicola di inizio anni 20. La prima mette insieme finanza e un produttore agile e libero da asset immobiliari. La seconda rappresenta un classico matrimonio industriale. La terza sembrerebbe quasi un’operazione da trophy asset, non fosse che Rosso, oltre a possedere già una cantina propria, la Diesel Farm, ha uno spiccato senso per la diversificazione. Un trittico che fotografa lo stato dell’arte nel mondo del vino italiano. Un mondo che, nonostante la sua posizione di leadership globale, non è ancora in grado di mettere insieme realtà che possano confrontarsi per dimensioni con la concorrenza francese, americana e australiana. Un ritardo che nel mondo post-pandemico rischia di essere incolmabile, almeno in certe categorie di prodotto.


ANALISI

LE M&A DEL VINO NEGLI ANNI 2020 E 2021 Acquirente

Settore

Acquisita

Settore

Anno

UNO CAPITAL

Fondo

Terra Moretti

Cantina

2020

PROVINCO

Cantina

Raphael Dal Bo

Cantina

2020

PROSIT

Holding

Collalbrigo

Cantina

2020

PROSIT

Holding

Nestore Bosco

Cantina

2020

PLATINUM EQUITY

Fondo

Farnese

Cantina

2020

CAMPARI

Holding

Tannico

E-tailer

2020

ITALMOBILIARE

Fondo

Callmewine

Cantina

2020

PROSIT

Holding

Votto Vines

Distributore

2021

PAOLO CONTRI

Privato

Contri Spumanti

Cantina

2021

MOËT CHANDON

Cantina

Tannico

E-tailer

2021

MADE IN ITALY

Fondo

Xtrawine

E-tailer

2021

IWB

Cantina

Enoitalia

Cantina

2021

GRUPPO LUNELLI

Cantina

Cedral Tassoni

Soft drinks

2021

CLESSIDRA

Fondo

Botter

Cantina

2021

CLESSIDRA

Fondo

Mondo Del Vino

Cantina

2021

ANTINORI

Cantina

Jermann

Cantina

2021

TANNICO

E-tailer

Venteàlapropriété

E-tailer

2021

Fonte: Pambianco

UN MERCATO FRAMMENTATO

Questo è uno dei motivi per cui in questi ultimi ventiquattro mesi sono state registrate più operazioni di merger & acquisition di quante se ne siano viste nell’ultimo quinquennio. E di nuove ce ne saranno. Per Alessio Candi consulting e M&A director di Pambianco, “il trend certamente continuerà anche in futuro pur in una situazione non facile, perché il mercato è fortemente frammentato e con poca massa critica, perché ci sono poche aziende di dimensioni accettabili e perché bisogna anche tenere conto di una cultura manageriale non ancora radicata”. Occorre poi aggiungere “che in Italia ci sono anche diverse realtà papabili secondo i canoni di mercato, ma che non sono in vendita perché possono contare su una presenza importante della famiglia fondatrice”. Aspetto non di poco conto se si considera che “Bernard Arnault, quando ha messo insieme Lvmh, lo ha fatto acquistando realtà che non avevano più i fondatori al comando”. Detto questo, continua

Il prosecco Alberto Nani, brand di Enoitalia

Novembre/Dicembre 2021 PAMBIANCO WINE&FOOD 15


ANALISI

La tenuta Jermann di Ruttars, nel cuore di Dolegna del Collio (GO)

Candi: “Il tema dell’investimento nel vino nasce dalla frammentazione, perché attraverso i processi di aggregazione si possono creare sinergie; però occorre anche considerare con attenzione costi e investimenti, perché in realtà i prezzi di cantina sono molto alti, non siamo certo in un momento dove si comprano aziende a sconto”. Costi che, quando si parla di cantine storiche, prestigiose e con patrimoni immobiliari importanti, aspetti quest’ultimi che non interessano ai fondi, tendono a cresce oltremodo anche a causa del già citato trophy asset. Pratica ancora piuttosto diffusa, soprattutto da chi opera nei settori dell’alto di gamma. Basta guardare a inizio anno quando i fratelli Wertheimer, famosi per essere i proprietari di Chanel, hanno comprato Domaine Perzinsky, cantina provenzale che si trova sull’isola di Porquerolles proprio accanto alla già loro Domaine de l’Île. Va da sé che, trofeo o meno, il vino è oggi anche una grande opportunità di business, ne sono esempio le costituzioni di fondi d’investimento specializzati come il Made in Italy Fund, figlio dell’alleanza tra Quadrivio 16 PAMBIANCO WINE&FOOD Novembre/Dicembre 2021

& Pambianco, che ha investito nel settore attraverso la Prosit Spa con l’obiettivo di creare un polo di cantine italiane alto di gamma da 100 milioni di euro di fatturato complessivo: operazione iniziata con l’arrivo della pugliese Torrevento, della veneta Collalbrigo Grandi Vini e dell’abruzzese Cantina Nestore Bosco.

LE ACQUISIZIONI PIU’ IMPORTANTI...

Guardando poi alla mappa degli investimenti, e in attesa di colpi prossimi venturi, le ultime operazioni del 2021, almeno tra quelle più rilevanti, sono state l’acquisizione delle storiche Cantine Coppo di Canelli da parte del Gruppo Dosio di La Morra per una cifra che i rumors di mercato indicano in una ventina di milioni di euro, e l’affare da circa 32 milioni di euro che ha portato Tannico a rilevare la quota di maggioranza della francese Venteàlapropriété. E ancor di più, il passaggio per 152milioni di euro di Enoitalia a Italian Wine Brands. Ultimi colpi di un anno che non è ancora terminato ma che ha già registrato una serie di movimenti importanti



ANALISI

sia in termini numerici che di grandezza. Tra questi ci sono l’ingresso nel portfolio del gruppo Marchesi Antinori di Jermann, operazione i cui dettagli sono sconosciuti ma che porterebbe il gruppo toscano, che tra gli altri controlla Tignanello, Pian delle Vigne, Guado al Tasso e Prunotto, a un giro d’affari di circa 200 milioni di euro. Non solo, perché in calendario è arrivata anche l’acquisizione, ma per allargare il perimetro di business, di Cedral Tassoni da parte del Gruppo Lunelli (Ferrari) per circa venti milioni di euro, seguita da un movimento da circa 42 milioni di euro che ha impegnato Paolo Contri per il riacquisto della maggioranza di Contri Spumanti dal fondo Aliante Equity Tre. Il tutto contornato dalla doppia manovra da oltre 300 milioni di euro che il fondo Clessidra ha messo a segno per l’acquisizione di Mgm-Mondo del vino e Casa vinicola Botter Carlo. Operazioni che sono seguite a quelle di un 2020 che aveva a sua volta suggellato il passaggio tra fondi, da NB Renaissance Partners a Platinum Equity, di Farnese vini per 175 milioni di euro. O ancora l’ingresso al 49% del capitale per circa 23 milioni di euro di Campari in Tannico, con l’opzione di poter salire al 100% a partire dal 2025. Mentre Italmobiliare, che tra l’altro controlla anche lo stesso fondo Clessidra, finalizzava un accordo per aggiudicarsi il 60% della piattaforma e-commerce Callmewine

con un investimento complessivo di 13 milioni di euro.

… COSA SUCCEDE ALL’ESTERO

E se in Italia il vino fermenta, non di meno sta succedendo all’estero. Soprattutto negli Stati uniti, dove nel corso degli ultimi dodici mesi l’operazione più intrigante è stata l’acquisizione da parte della famiglia Bollinger di Ponzi Vineyards e dei suoi 14 ettari in Oregon. Una sorta di risposta a Louis Roederer che dodici mesi prima aveva invece fatto sua una delle più celebri cantine di Napa valley: Diamond Creek Vineyards. Nulla comunque di fronte al maxi deal da 810 milioni di dollari orchestrato da Constellation Brands, che in Italia controlla Rufino e che nel suo percorso di trasformazione in una sorta di Moët Hennessy d’oltreoceano, ha ceduto i suoi oltre trenta marchi di fascia bassa alla E. & J. Gallo Winery per poi, qualche mese più tardi, comprarsi Brooker vineyardMy favorite Neighbor, Empaty wines e Kerr cellars. E a proposito di Moët Hennessy, il colosso parigino controllato da Bernard Arnault nei mesi scorsi ha siglato un patto da circa 25 milioni di euro con Campari per la metà delle quote di Tannico, quindi ha trattato, con successo, con il rapper americano Shawn Jay-Z Carter per il 50% dello champagne Armand de Brignac. Sempre in Francia da segnalare anche l’acquisizione della occitana Mongicale da parte di Bosset, realtà da 350 milioni di fatturato con sede a Nuits-St-Georges. Il tutto mentre l’italiana Farnese vini faceva sua Finca Fella, realtà spagnola che può contare su una rete di produzione distribuita su 1.400 ettari di vigneti.

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18 PAMBIANCO WINE&FOOD Novembre/Dicembre 2021

E sono in arrivo nuovi accordi, perché come ha sottolineato Candi: “Una volta partita, l’ondata di M&A non si ferma più e interesserà anche realtà dell’alto di gamma, non solo per questioni industriali o finanziarie, ma anche perché, alcune di loro dovranno presto far fronte ai temi del passaggio generazionale”. E chissà che in futuro arriverà anche un gruppo del lusso italiano, ma questa volta in bottiglia.



MERCATO

Lo CHAMPAGNE alza il tiro di Fabio Gibellino

PREZZI ED ESPORTAZIONI DELLE BOLLICINE FRANCESI VOLANO SEMPRE PIÙ ALTI. L’ITALIA È NELLA TOP 5 DELLE DESTINAZIONI. E SOLO A SINGAPORE SI PAGA DI PIÙ AL LITRO. IL 2022 SI PRESENTA COME UN ANNO ZERO A CAUSA DI UNA VENDEMMIA RIDOTTA, MA I CAMBIAMENTI CLIMATICI STIMOLANO LA RICERCA DI NUOVE VIE.

20 PAMBIANCO WINE&FOOD Novembre/Dicembre 2021

I

l 2021 per il mondo dello champagne verrà ricordato come l’anno della grande ripresa e della piccola vendemmia. Dodici mesi per certi versi euforici e per altri preoccupanti, che tratteggiano un presente fatto di riposizionamento, naturalmente verso l’alto, e un futuro che prima o poi dovrà trovare le giuste contromisure a un cambiamento climatico che non cesserà di mutare la geografia del vino. Così, tornando al presente, in vigna i produttori di champagne si sono dovuti arrendere agli effetti delle gelate, della peronospora e della botrite, per una resa che ha toccato il 30% in meno rispetto alle attese. Una débâcle che ha portato il raccolto a essere definito da molti uno dei peggiori degli ultimi cinquant’anni. In enoteca, come al ristorante e al supermercato, invece, le bottiglie sono andate a ruba nonostante i rincari significativi. LE ESPORTAZIONI Dato questo che, oltre agli scontrini, trova conferma nei numeri diffusi dalla Dogana francese che nei primi sei mesi dell’anno ha registrato crescite delle esportazioni sia in quantità sia in


MERCATO

valore. A varcare i confini sono stati 483mila ettolitri di champagne (+56,2%) per un valore 1,389 miliardi (+58,5%) di euro. Quantità che non solo segnano crescite sull’annus horribilis 2020, falcidiato dalla pandemia e dai lockdown conseguenti, ma sono superiori, rispettivamente dell’8,3% e del 10,2%, anche rispetto a quanto maturato nello stesso periodo del già ottimo 2019. Una performance che non solo non accenna a rallentare ma, guardando all’ultimo rapporto disponibile, quello di agosto, segna anche un cambio di passo tra euro incassati ed ettolitri spediti. Dove i primi hanno fatto segnare un +54,6%, mentre i secondi si sono fermati, per così dire, a +47 per cento. Per un ranking delle destinazioni che, sempre secondo i dati forniti dalla dogana francese, vedono gli Stati uniti primeggiare con 217.795,91 ettolitri importati nei dodici mesi compresi tra settembre 2020 e agosto 2021. A seguire la Gran Bretagna con 197.446,75 ettolitri, quindi Singapore con 92.921,13, la Germania con 89.413,77 e infine, quinta, l’Italia con 63.085,08. Classifica che in termini di valore assoluto vede sempre primi gli Usa con 619.225.192 euro, la Gran Bretagna con 436.761.389, Singapore con 284.991.174, la Germania con 196.798.306 e l’Italia con 188.296.830, ma con un rapporto euro litro che invece mescola le carte, con Singapore a 30,67 euro, seguito dall’Italia con 29,85, Usa con 28,43, Gran Bretagna con 22,12 e Germania con 22. Aspetto quest’ultimo influenzato dal maggior consumo di millesimati e cuvée speciali. Una situazione meglio fotografata dai manager italiani dello champagne. COME STA ANDANDO IL 2021 Leo Damiani, direttore di Perrier-Jouët Italia, infatti ha spiegato che: “Il 2021 è un anno dalle due facce, quella commerciale, che sta andando benissimo, e quella della disponibilità che invece ci farà soffrire”. Non solo, perché, come ha sottolineato lo stesso Damiani: “Di fronte a un mercato che non ha battuto ciglio davanti agli aumenti di prezzo, la sensazione è che ora i produttori in realtà non stiano pensando a ulteriori rincari, ma in realtà a un vero e proprio riposizionamento del prodotto”. E a confermare il nuovo zenith commerciale del più famoso dei vini francesi, sono praticamente tutti gli attori del comparto. Lo racconta Stefano Della Porta, direttore commerciale di Laurent-Perrier Italia: “Stiamo facendo il +100% rispetto al 2019, tanto che, in quanto

Dall’alto, una bottiglia di Perrier-Jouët, e una di Laurent-Perrier con sotto la rispettiva cantina In apertura, la sede di Perrier-Jouët

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MERCATO

filiale, la casa madre per sostenerci ha sacrificato altri mercati, così quest’anno segneremo il nuovo record per la maison con oltre 300mila bottiglie vendute”. E ancora, Pietro Pellegrini, presidente di Pellegrini spa, distributore per l’Italia di Jacquesson, Agrapart, Guiborat, Roger Pouillon & fils, Francis Orban e Remi Leroy, ha spiegato come questo: “Trend super-positivo ci ha portato a esaurire presto tutti i prodotti, perché i nostri sono progetti agricoli che non ci permettono espansione oltre le bottiglie assegnate”. Sulla stessa linea è Corrado Mapelli, direttore generale e member of board di Gruppo Meregalli, che importa Ayala e Bollinger: “In generale il 2021 per noi sta andando molto bene, siamo in crescita netta sul 2019 di circa il 20%, e questo, per il nostro gruppo, rappresenta a oggi l’anno record in termini di vendite”. E lo stesso vale per Luca Pescarmona, di Pescarmona importatori, distributore per l’Italia di Duval-Leroy: “C’è stata una discreta ripartenza con un rimbalzo tecnico perché la gente ha di nuovo voglia di uscire, noi abbiamo segnato un +50% sul 2020, pur considerando che questo, in realtà, è il nostro primo anno vero con Duval-Leroy”.

UN BILANCIO DAI DUE VOLTI Mentre, tornando ai chiaroscuri, per Luca Cuzziol, amministratore unico di Cuzziol Grandi vini, che ha in portfolio La Borderie, Monmarthe, Gonet-Médeville, Mandois e soprattutto Bruno Paillard, che in Italia ha il suo primo mercato: “Se il trend resta questo, nei dodici mesi arriveremo a 150mila bottiglie, 25mila in più rispetto al 2019; con Paillard che da solo chiuderà a 105mila bottiglie su un totale di meno di 400mila”. Per Cuzziol in realtà questa performance, “per certi versi è preoccupante, perché una crescita così esplosiva non so quanto possa essere positiva, anche se ci garantirà un Ebitda in grande spolvero”. Prima di chiudere l’anno però bisognerà aspettare il Natale, “che consegneremo verso novembre e che credo tornerà su livelli pre-Covid”, ha spiegato Cuzziol. Detto questo tutti dovranno fare i conti con le disponibilità rimaste, aspetto che sembra dover colpire in modo particolare le etichette prestige, cioè quelle che garantiscono i margini maggiori. E allora ecco che, se come ha spiegato Leo Damiani: “Sto aspettando le allocazioni per il prossimo anno ma credo che saranno inferiori alla necessità”.

Un’immagine dei vigneti di Domaine La Borderie, una bottiglia di Jacquesson e una di Duval-Leroy

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SILENT NIGHT, HOLY NIGHT, ALL IS CALM, ALL IS BRIGHT... #animaprosecco

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MERCATO

Le vigne e lo champagne di Bollinger

LE PROSPETTIVE PER IL 2022 Nel 2022 invece Cuzziol vede, “una sorta di anno zero per noi distributori, perché dovremo capire a che punto è il mercato e dove saremo noi”. Uno dei punti, come indicato da Della Porta, “ci vedrà impegnati ad alzare e consolidare il nostro posizionamento”, mentre per Luca Pescarmona: “L’obiettivo è quello di destagionalizzare un consumo che è concentrato nell’ultima parte dell’anno, e magari cercare di lavorare sulla logica dei prezzi in ristorazione, a volte ingiustificati”. E se nel computo geografico del mercato poco cambia rispetto all’anno scorso, con Milano a far da traino e con le mete turistiche come Costiera amalfitana, Versilia e Sardegna più appaganti delle città d’arte come Firenze e Venezia, la scoperta è la Nouvelle vague della provincia italiana, forse alimentata dallo smart-working. Il tutto guardando con particolare attenzione all’alto di gamma. Per il futuro invece le cose hanno il sapore della sfida. IL FUTURO E I CAMBIAMENTI CLIMATICI A partire dal breve periodo, perché come ha sottolineato Leo Damiani, “lo champagne anche nel 2017 ha avuto un calo della produzione del -30%, ma i francesi, grazie agli imprevisti di questi ultimi 12/18 mesi, 24 PAMBIANCO WINE&FOOD Novembre/Dicembre 2021

sono riusciti a far girare a proprio favore una situazione contraria; la stessa flessione però si sta verificando anche con quest’ultima vendemmia, un 30% in meno con cui però, questa volta, i produttori dovranno davvero fare i conti”. Guardando al medio periodo invece, e considerando quanto i cambiamenti climatici stanno influenzando il mondo, continua il manager di Perrier-Jouët Italia, “stanno portando i produttori a doversi ingegnare, perché qualcosa in prospettiva va fatta”. Così tra chi propone aumenti delle rese per scaricare i grappoli, chi vuole aumentare i numeri di ceppi per ettaro e chi invece vuole andare nella direzione opposta, qualcosa in realtà sta già cambiando, come fa osservare Cuzziol: “Credo che in futuro possa esserci anche un’idea diversa di champagne, e qualche cosa di diverso lo possiamo vedere già oggi, stiamo parlando della crescita dei blanc de noirs e della Côte des Bar”. Il tutto però ricordando, come sottolinea Corrado Mapelli: “Che le Grandi Maison in quanto tali, hanno più possibilità di selezione e di investimenti (in tecnologie di cantina o in vigna), dunque una più facile resilienza ai cambiamenti, pur consapevoli che sarà comunque il tempo a dare le risposte”.



FENOMENI

Riemerge il PESCE DI LUSSO di Francesca Ciancio

PESCATO, CROSTACEI E MOLLUSCHI DA PAESI REMOTI, MA ANCHE SPECIE NOSTRANE: LA RIPARTENZA DEL CANALE HORECA RIMETTE IN MOTO IL CONSUMO. UN RUOLO CENTRALE LO GIOCANO ANCORA LE SOCIETÀ SELEZIONATRICI MA INIZIANO A FARSI AVANTI I BRAND DI PRODUTTORI E REALTÀ CONSORTILI.

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P

aesi lontani, a volte dai nomi esotici o impronunciabili, sono i luoghi di pesca di specie ittiche ambite in tavola da consumatori gourmet o dalle cucine dei grandi chef. Per consentire di portare a tavola spicchi di mondi lontani, c’è una catena di professionisti che va a caccia di pesci d’alta gamma. Un settore che ha subito il periodo del Covid, ma che può anche beneficiare della voglia di scoperta che si è rafforzata durante la pandemia. Riproporre a casa ricette stellate o, quantomeno, cimentarsi in piatti complessi è stata tra le attività più diffuse, e il prodotto ittico è stato tra i protagonisti di questa formazione culinaria tra le mura domestiche. Ecco che tartare, carpacci, marinati o filetti senza spine sono diventati il trend dell’alimentazione ai tempi dell’emergenza sanitaria. Ma come è andata l’alta gamma del seafood nel canale horeca? Va detto innanzi tutto che qui ‘dominano’ le società selezionatrici e distributrici che fanno scouting nel mercato mondiale dell’ittica e che puntano ad accaparrarsi i marchi migliori della pesca


FENOMENI

da proporre poi alla ristorazione. Più difficile, invece, per l’acquirente, avere un rapporto diretto con l’azienda che pesca ed eventualmente trasforma. Lo stop forzato nel canale ristorativo ha portato molti chef a interessarsi in prima persona della ricerca del prodotto e del produttore, ma con il ritorno ai ritmi pre-pandemici nelle cucine sarà possibile dedicare del tempo a queste ricerche? CONKILIA, IL MERCATO ITTICO VIRTUALE L’idea di Conkilia nasce come risposta a questa domanda: una startup nata nel periodo del lockdown e avviata l’estate scorsa da tre soci, tutti con esperienze nel mondo del prodotto ittico e della ristorazione, come Antonio Vasile: “Conkilia è un marketplace che mette in contatto clienti e produttori, una sorta di mercato del pesce virtuale che viene aggiornato constantemente con notizie sul prodotto, sulla provenienza e sulla tracciabilità. Inoltre, un team di specialisti si occupa del dialogo diretto con il cuoco che vuole avere dritte su food cost o consigli per presentare al meglio il prodotto scelto nel proprio menu, si tratta di un servizio tailor made che punta a creare la prima comunità tra produttori ittici ed i professionisti del settore horeca”. Al momento, le referenze sono una quarantina, ma la società punta a quattrocento entro il primo anno dall’apertura: “Le prelibatezze non mancano - continua Vasile - ma puntiamo anche a una fascia media di prodotti, altrettanto buoni e garantiti, ma dal prezzo più accessibile. Nel nostro futuro c’è spazio per molto pescato del Sud Italia”. INDIANA JONES IN VERSIONE GOURMET Chi invece ha costruito un successo sulle ‘perle ittiche’ è il gruppo Longino&Cardenal, da qualche tempo quotato in Borsa, punto di riferimento importante per il canale horeca in Italia (con numeri che vanno dai 5mila ai 6mila ristoranti serviti) e all’estero. Prima del Covid il gruppo viaggiava su un fatturato di 30 milioni di euro, sceso del 40% nel 2020, ma subito risalito con i primi provvedimenti di riapertura dei ristoranti. Sfogliare il loro catalogo-prodotti equivale a fare un viaggio in terre sconosciute e in imprese marittime degne dei romanzi di Salgari. Anche Riccardo Uleri, amministratore delegato del gruppo,

ha speso molti anni del suo lavoro in attività di scouting: “Di solito lavoriamo su 4/5 idee all’anno, ma non è detto che tutte vadano in porto. In questo momento esploriamo molto l’Australia e la Nuova Zelanda che offrono ancora prodotti e produttori sconosciuti. Inoltre, la decisione di aprire un e-commerce anche ai consumatori ci ha permesso di portare sulle tavole delle case pesci difficilmente reperibili in altro modo. Penso al Glacier 51, una specie di merluzzo che viene pescato nell’area sub-antartica a due chilometri di profondità nei pressi dell’isola di Heard da pescatori che rimangono in mare per mesi, usando palanchi lunghi ventisette chilometri, ma ci sono anche specie nostrane grazie all’acquisto di un brand siciliano, Don Gambero, per l’approvvigionamento di gambero rosso di Mazara del Vallo, mazzancolle, scampi, molluschi, polipi e totani”. IL PRIMATO PADANO DEL CAVIALE Nell’ambito dei primati l’Italia ne vanta uno poco conosciuto, quello di essere il secondo

il Glacier 51 venduto da Longino&Cardenal

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FENOMENI

produttore al mondo di caviale (il primo è la Cina) e la zona di eccellenza è quella della Pianura Padana. A Calvisano, in provincia di Brescia, opera Agroittica che con il marchio Calvisius produce 30 tonnellate di caviale all’anno. Tantissimo, se si pensa che l’intero Paese orientale ne produce il doppio: “Tanto sì, ma di estrema qualità - sottolinea Stefano Bottali, direttore commerciale del brand lavoriamo con sei specie diverse di storione e nessuna ibridata. I nostri pesci crescono in vasche dalle acque purissime riscaldate dalla acciaieria poco lontana. La pandemia ha segnato il boom del consumo a casa e oggi noi, come altre aziende, ci troviamo a far fronte a una domanda superiore all’offerta, tant’è che il 2020 ha segnato il record delle vendite sul nostro e-commerce. Ci piace pensare al caviale come a un prodotto di lusso accessibile”. Sono lontani gli anni della discesa in picchiata della vendita di caviale a causa della crisi dei titoli subprime: era il 2008 e le first class delle compagnie aeree

Immagine pubblicitaria di Conkilia: Conkilia è il primo marketplace ittico b2b

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fecero a meno delle preziose uova di storione: “Un taglio del 50% - ricorda Bottali - ma che ha portato alla nascita della confezione da 10 grammi, un’invenzione di Calvisius proprio per rendere più accessibile il caviale”. Adesso storioni e fatturati navigano in acque tranquille con un 2020 chiuso con 28 milioni e 600mila euro di fatturato e un 2021 che segna un 61% in più. Dall’altra parte della Pianura Padana troviamo Caviar Giaveri, a San Bartolomeo di Breda in provincia di Treviso, dieci tonnellate di caviale e una conduzione aziendale tutta al femminile con tre sorelle al comando. Giada è una di loro: “ Tra le nostre chicche vantiamo il caviale di storione albino che ha il colore dell’oro. Le uova sono di questi bellissimi pesci bianchi, animali di piccola taglia che difficilmente superano i 10 chili di peso e che per tutta la vita vivono in acqua profonde per evitare l’esposizione ai raggi solari. Stiamo puntando però anche sulla carne di storione, un alimento pressoché



FENOMENI

Pesca del merluzzo Skrei in Norvegia

sconosciuto nella ristorazione e nelle cucine di casa, ma i vantaggi di questo consumo sono molteplici: sono carni prive di metalli pesanti, al contrario di quanto succede per altre specie come il tonno o il pesce spada, hanno un sapore delicato e meno ‘pescioso’ e sono ricchi di Omega 3. Lo commercializziamo in parte congelato e in parte confezionato sottolio”.

sicurezza alimentare e il rispetto ambientale, per questo adottiamo normative severe ed uniche”. In termini di cifre, il lavoro del Nsc spicca per i risultati: negli ultimi tre mesi le esportazioni di prodotti ittici verso l’Italia sono cresciute del 23% sul 2019. In vista poi del periodo invernale e natalizio l’ente punta ad accelerare le esportazioni nel nostro Paese.

ITALIA E NORVEGIA, TERRE DI STOCCAFISSO Da grandi consumatori di stoccafisso quali siamo, il rapporto tra Italia e Norvegia non è cosa di oggi, ma affonda le radici nei viaggi pionieristici per mare del XV secolo. Oggi il prodotto viaggia su gomma, ma il traffico di prodotto norvegese è sempre intenso. In particolare il Norwegian Seafood Council, ente fondato dal Ministero della Pesca norvegese, sta facendo un grosso lavoro sul Tørrfisk fra Lofoten Igp, lo stoccafisso che proviene dalle isole Lofoten e Vesterålen e conosciuto in loco come skrei, una prelibatezza che è tale perché cresce in un ambiente ostile, come sa bene il direttore del Nsc Gunvar Lenhard Wie: “Tutto il pesce con il marchio ‘Seafood from Norway’ è pesce di qualità, ma questo non è il solo fattore a essere importante, ma lo sono anche la

LA COZZA DOP DEL POLESINE In questo scenario, quanto pesa il pesce made in Italy? Valentina Tepedino, medico veterinario e direttrice della rivista Eurofishmarket: “A mancare non è tanto il pesce, quanto una valorizzazione seria del comparto da parte delle istituzioni. Sono gli stessi pescatori, quindi, che devono farsi esempio virtuoso nelle loro pratiche, come hanno fatto i pescatori della Cozza del Polesine, la prima Dop italiana tra i molluschi, allevata e raccolta tra il delta del Po e l’Adriatico, nel rispetto del fermo biologico, con un giusto guadagno per tutti gli associati dell’Organizzazione di Produttori, e che coinvolge l’intera comunità locale, tant’è che la metà degli addetti è donna. E poi è buona, enorme e quasi dolce, insomma un prodotto di alta gamma”.

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in collaborazione con

RINGRAZIA

i relatori, i partecipanti e gli sponsor che hanno contribuito al successo del

1° Wine & Food Summit - 2021

I SETTORI DEL WINE & FOOD E LA SFIDA DELLA RIPRESA

Le risposte delle aziende, della ristorazione e del retail nel nuovo contesto competitivo

con il supporto di

Gli atti e i video di tutti gli interventi sono disponibili su http://summit.pambianconews.com/


dossier

La SFIDA della RIPRESA IL PRIMO WINE & FOOD SUMMIT FIRMATO PAMBIANCO - PWC HA PORTATO SUL PALCO DI PALAZZO MEZZANOTTE, SEDE DI BORSA ITALIANA, I PRINCIPALI PLAYER DEL SETTORE. LE ANALISI E LE TESTIMONIANZE HANNO RACCONTATO COSA È CAMBIATO E COSA ANCORA DOVRÀ CAMBIARE DOPO GLI STRAVOLGIMENTI DELLA PANDEMIA.


DOSSIER SUMMIT

1° WINE & FOOD SUMMIT PAMBIANCO - PWC

LE NUOVE ABITUDINI DEL VINO 34 PAMBIANCO WINE&FOOD Novembre/Dicembre 2021


DOSSIER SUMMIT

IL PRIMO SUMMIT ORGANIZZATO DA PAMBIANCO - PWC E DEDICATO AL SETTORE DEL WINE & FOOD HA RACCOLTO LE TESTIMONIANZE DEI MAGGIORI PLAYER DEL SETTORE, DISEGNANDO IL FUTURO POSTPANDEMIA DI UNO DEI PRINCIPALI MOTORI DEL SISTEMA ECONOMICO ITALIANO, CHE AD OGGI VALE OLTRE 140 MILIARDI DI EURO. DOPO UNA BATTUTA D’ARRESTO LO SCORSO ANNO, SI GUARDA CON RINNOVATO OTTIMISMO AL DOMANI, FACENDO TESORO DI QUANTO IMPARATO NEGLI ULTIMI MESI.

di Sabrina Nunziata

“I

settori del Wine & Food e la sfida della ripresa. Le risposte delle aziende, della ristorazione e del retail nel nuovo contesto competitivo”. È questo il titolo che definisce il primo Wine & Food Summit firmato Pambianco - PwC. Moderato da David Pambianco, CEO di Pambianco, l’incontro ha portato sul palco le testimonianze di una serie di player appartenenti a uno dei settori centrali dell’economia italiana. Come illustrato da Alessio Candi, responsabile delle divisioni consulting e M&A in Pambianco, il settore wine & food in Italia vale, a livello di produzione, 143 miliardi di euro, frutto di una crescita composta annua (cagr) pari all’1,4% negli ultimi 10 anni, la quale ha subito una comprensibile battuta d’arresto, pari al -1,4%, nel 2020. La testimonianza della rilevanza del settore per il sistema Italia lo dimostra il valore dell’export, cresciuto dell’1% anche lo scorso anno, arrivando a quota 35,5 miliardi, pari all’8,3% del totale Italia, dopo che nel periodo 2017-20 ha realizzato una crescita composta annua del 4,2 per cento. Scindendo i comparti, il valore del wine è pari a 11,9 miliardi (-4,7% su 2019), mentre i restanti 131 miliardi sono stati generati dal food (-1,1 per cento). Entrando più nello specifico del settore wine, l’export, in controtendenza sul dato complessivo dei due comparti, è risultato in costante flessione dal 2017 a oggi (-5%), e nel 2020 è sceso del 2,4 per cento. I primi tre Paesi di destinazione del vino italiano sono Stati Uniti, Germania e Regno Unito, con rispettivamente un valore di 1,4 miliardi di euro (-5,6%); 1 miliardo (+3,9%); e 714 milioni (-6,4%) che nel complesso generano il 52% delle esportazioni. A livello di prodotto, Veneto, Piemonte, Toscana e Trentino-AltoNovembre/Dicembre 2021 PAMBIANCO WINE&FOOD 35


DOSSIER SUMMIT

Adige sono le regioni che esportano di più, rappresentando il 77% del totale. Facendo un confronto con gli altri principali player del sistema vino nel mondo, l’Italia risulta il primo Paese per produzione nel 2020, con un valore pari a 49,1 milioni di ettolitri, seguita da Francia (46,6 milioni) e Spagna (40,7 milioni). I primi tre Paesi della classifica, quindi, rappresentano in volumi più della metà della produzione mondiale di vino, pari a 260 milioni di ettolitri. Paragonando l’export di questi Paesi, l’Italia è prima per volumi (con 20,8 milioni di ettolitri, -2,8%) ma seconda per valore (6,2 miliardi, -2,4%) alla Francia, che ha esportato 13,6 milioni di ettolitri per 8,7 miliardi di euro (-10,8 per cento). La differenza del prezzo medio al litro è infatti consistente: sebbene quello italiano sia cresciuto dello 0,4% lo scorso anno a 3 euro, il vino francese viaggia a 6,4 euro, pur avendo subito una flessione del 6,2 per cento. Per quanto riguarda l’anno in corso, le stime vogliono il wine salire a quota 12,9 miliardi (superiore al valore 2019 di 12,5 miliardi) che, unito ai 138 miliardi del food, porterebbe a complessivi 151 miliardi,

contro i 145 miliardi del 2019. Ha fatto seguito l’intervento di Omar Cadamuro, director consumer markets PwC, che ha illustrato la 12° Global Consumer Insights Pulse Survey condotta a marzo e giugno 2021 in 24 Paesi. Ne sono emersi cinque trend, di cui due già in atto (la propensione al green e al digital) e altri tre indotti e particolarmente accelerati dalla pandemia. Per quanto riguarda il digitale, a livello di consumi tutti i canali (es. mobile, pc, etc) sono cresciuti accentuando di conseguenza l’attenzione da parte dei consumatori alla consegna veloce e alla disponibilità in stock, che continuano ad essere fattori di scelta primari per chi fa acquisti online. Di riflesso, le aziende, tra cui proprio quelle del vino, hanno investito per la propria digitalizzazione, introducendo o implementando, oltre all’e-commerce, anche altri servizi complementari, come le degustazioni virtuali. Il 50% dei consumatori ha invece dichiarato di essere più ecofriendly. Non a caso, per gli acquisti di generi alimentari, il 44% dei consumatori è disposto persino a pagare di più per un imballaggio

Alessio Candi

Omar Cadamuro

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DOSSIER SUMMIT

ecologico o sostenibile e il 36% per un prodotto realizzato in maniera green. In ogni caso, il fattore prezzo rimane il principale ostacolo per questa tipologia di acquisti, e proprio ai ‘prezzi’ si riferisce un altro dei nuovi trend emersi durante la pandemia, con più della metà degli intervistati che dichiara di essere diventato più attento al risparmio. Soprattutto, il prezzo rimane il principale driver degli acquisti online per la maggior parte delle categorie, anche se in modo meno marcato per i generi alimentari. In ogni caso, i consumatori si aspettano comunque di aumentare la loro spesa per i generi alimentari e per il take away, collegati non a caso a stretto filo. Un altro trend riguarda l’attenzione alla salute, con un quarto dei consumatori che proprio per questo si aspetta di orientare la propria spesa in primis ai generi alimentari. Questi consumatori sono anche quelli maggiormente propensi a fare acquisti online. Infine, la pandemia ha spinto le persone a ‘diventare locali’, e quindi a scoprire le proprie regioni e il cibo da ristoranti di prossimità così da compensare, molto probabilmente, l’impossibilità di viaggiare.

Sergio Scornavacca

Fattore contatto ‘HUMAN’ “Il Vino e la sua Human Customer Intimacy” è la ricerca presentata da Sergio Scornavacca, director industrial market and northern Italy lead di Minsait, società del Gruppo Indra attiva nella consulenza negli ambiti della digital transformation e delle information technologies. L’analisi parte dallo studiare ciò che si dice del vino sui social media italiani: è emerso che le conversazioni sui vini Docg, in un anno, hanno totalizzato 668.600 messaggi (volumi molto alti se confrontati con i formaggi che, tra le tematiche più discusse, ne totalizzano 1,1 milioni) e la maggioranza delle conversazioni si sviluppa attorno a Franciacorta e Prosecco. Il social più utilizzato è Instagram, anche se YouTube, pur sviluppando pochi contenuti, ha un alto tasso di visualizzazioni. L’analisi si arricchisce poi di un esperimento in cui, tramite mistery calling, sono state chiamate le prime 40 aziende del vino per fatturato, chiedendo loro diversi quesiti, da consigli di wine pairing per una cena tra amici a dove poter reperire il loro vino. È emerso che il 100% delle aziende ha chiesto se l’utente fosse b2b o b2c, il 20% ha chiuso la chiamata quando ha capito che si trattava di acquirenti ‘al dettaglio’, il 10% ha fornito risposte esaustive e di queste il 5% ha dato indicazione sulla navigazione del sito. Nota particolarmente negativa: lo 0% ha chiesto informazioni su chi chiamava. Ciò che sottolinea Minsait, è che oggi esiste un enorme valore dato dal contatto ‘human’ con il cliente finale, a prescindere che sia b2b o b2c. È quindi fondamentale gestire il customer service ed avere i necessari strumenti digital: Crm, presenza web e social attiva, data platform, e-commerce, e puntare su un capitale umano preparato in comunicazione e in digital.

Palazzo della Borsa

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DOSSIER SUMMIT

LUNELLI corre in Usa e Formula 1 di Sabrina Nunziata

IL GRUPPO NON SI È MAI FERMATO, NEANCHE IN TEMPO DI PANDEMIA. HA CONTINUATO A INVESTIRE, A PARTIRE DALLA PARTNERSHIP CON LA FORMULA 1 FINO ALL’ACQUISIZIONE DI CEDRAL TASSONI. E CON LE SUE BOLLICINE, SI PREPARA A CONQUISTARE ANCHE GLI STATI UNITI.

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L

a storia imprenditoriale della famiglia Lunelli prende il via nel 1952, quando Bruno Lunelli rileva da Giulio Ferrari una piccola cantina fondata a Trento nel 1902. A Cantine Ferrari si sono affiancate, nel corso degli anni, altre realtà, quali Segnana, Surgiva, i vini delle Tenute Lunelli, Bisol 1542 e infine Cedral Tassoni. Matteo Lunelli, presidente e CEO Ferrari Trento – CEO Gruppo Lunelli, racconta i prossimi passi del gruppo, che si pone l’obiettivo di diventare un polo di eccellenze del bere italiano. Come è cambiato il consumatore in questi ultimi 18 mesi caratterizzati dalla presenza della pandemia? Siamo sicuramente tutti un po’ cambiati perché questa è stata una vicenda senza precedenti. Io credo che il consumatore e l’appassionato di vino escano da questo periodo con una maggiore


DOSSIER SUMMIT

attenzione ai valori, per esempio alla sostenibilità. Ci si è poi avvicinati sempre di più al digitale, abituandoci a utilizzare la tecnologia, in molti casi già esistente ma non pienamente sfruttata. Nel nostro campo, questo si traduce in una crescita significativa delle vendite online. Il digitale, anche se non rappresenterà la maggioranza delle vendite, influenzerà comunque quasi per intero l’acquisto di vino e cibo. In questi mesi, c’è qualcuno che si è avvantaggiato? Nell’uscita da questo periodo saranno avvantaggiate le aziende che hanno avuto la forza e il coraggio di continuare a investire. Pensando al gruppo Lunelli e a Cantine Ferrari, abbiamo avuto la fortuna di attraversare la tempesta all’interno di una barca solida. Noi non abbiamo interrotto gli investimenti ma anzi abbiamo fatto scelte molto forti come quella di stipulare in piena pandemia un accordo triennale con la Formula 1 per fornire, al termine di ogni gara, una bottiglia di Ferrari Trentodoc per celebrare i vincitori, in quanto sicuri che la convivialità sarebbe tornata e pieni di fiducia nei confronti dei nostri marchi. Inoltre in questo momento abbiamo un cantiere aperto per allargare la nostra cantina. È un progetto molto ambizioso tanto che dovremmo anche spostare la strada che ci passa davanti. Non solo, in un momento di incertezza come questo, ha avuto un vantaggio anche chi poteva contare su un brand forte. È infatti più facile emergere quando si ha un nome riconosciuto, soprattutto quando la vendita non è intermediata, poiché i consumatori tendono ad andare verso i marchi più forti. Com’è il vostro rapporto con l’estero? Per Ferrari l’Italia è ancora di gran lunga il primo mercato, l’export è cresciuto in questi anni ma è ancora una quota minoritaria. Bisol, invece, vende sopratutto all’estero, con Regno Unito come primo Paese e gli Stati Uniti verso il sorpasso. Per Ferrari, l’operazione con Formula 1, della durata di tre anni, ha l’obiettivo di far crescere l’awareness e il posizionamento del nostro brand oltre confine. La Formula 1 è una piattaforma straordinaria, con oltre 500 milioni di fans nel mondo, e l’idea è quella di avere una piattaforma dove Ferrari sarà sul podio di tutti i gran premi e in tutti i momenti di convivialità. Di recente avete acquisito Cedral Tassoni. Qual è la vostra strategia in tema di acquisizioni? L’idea è quella di costruire un gruppo delle eccellenze del bere italiano, ovvero con aziende che condividono qualità ed eccellenza del prodotto, tradizione, legame

con il proprio territorio. Nel vino è un elemento caratteristico di Ferrari, Bisol, dei vini Tenute Lunelli, della nostra grappa Segnana, ma lo è anche nel non alcolico con Surgiva e Tassoni. L’idea è quella di mantenere ogni azienda indipendente, soprattutto dal punto di vista produttivo perché ogni realtà è radicata nel territorio e deve mantenere lì le radici altrimenti perderebbe la propria identità. Come gruppo d’altro canto pensiamo che si possano creare sinergie importanti, per esempio sul lato distribuzione e comunicazione. La costruzione del polo è un progetto in divenire quindi... Si, ma dobbiamo lavorare anche sui nostri brand già in portafoglio. In questo momento le sfide per noi sono molto chiare: per Ferrari guardiamo soprattutto alla crescita internazionale. Sta andando bene e abbiamo i giusti segnali ma è una sfida da costruire nel tempo soprattutto perché vogliamo posizionarlo come un marchio di eccellenza con un prezzo che va vicino e in alcuni casi supera quello dello Champagne. Per Bisol invece abbiamo alcuni mercati completamente da costruire. Siamo molto orgogliosi di avere appena venduto, per la prima volta nella storia dell’azienda, la milionesima bottiglia negli Stati Uniti, questo anche grazie al nostro prosecco rosé. Mentre sta ancora soffrendo il Regno Unito, complice anche la Brexit, che per noi è da sempre il nostro primo mercato. Con Tassoni ‘sky is the limit’, ci sono tantissime idee, è una realtà tutta italiana e l’estero è da costruire. Per quanto riguarda invece i vini delle Tenute Lunelli abbiamo molto spazio di crescita, mentre con Surgiva stiamo guardano a diversi mercati esteri. Voi siete stati gli antesignani della contaminazione, con manager e collaboratori provenienti da tutti i settori. È una leva importante per svilupparsi? Penso di si. Io credo molto nella contaminazione di competenze soprattutto nelle nostre aziende dove ci sono già tante professionalità legate al mondo del vino. Portare manager da altri settori è stimolante e porta valore aggiunto, soprattutto se sono settori che hanno affinità con il mondo del vino, per esempio se si tratta di temi come la gestione del brand. E anche la cantina andrebbe contaminata di ingegneri. Qui l’enologo rimane il re, ma avere un occhio in più per raggiungere certi livelli di qualità non sarebbe male. Novembre/Dicembre 2021 PAMBIANCO WINE&FOOD 39


DOSSIER SUMMIT

Per IWB la chiave è la diversificazione di Giulia Mauri

IL PRESIDENTE E CEO DI ITALIAN WINE BRANDS, ALESSANDRO MUTINELLI, DEFINISCE LE PROSPETTIVE DELLA PUBLIC COMPANY NATA CON LA MISSION DI AGGREGARE SOCIETÀ NEL MONDO DEL VINO.

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on 170 milioni di bottiglie prodotte annualmente, oltre 50 marchi di proprietà e una quota export pari all’80%, Italian Wine Brands è tra i principali player del vino italiano. Il presidente e CEO Alessandro Mutinelli ha raccontato, sul palco del Summit Pambianco, il percorso di sviluppo: dalla quotazione in Borsa nel 2015 a oggi il gruppo è cresciuto in maniera organica e per acquisizioni (Svinando, Raphael Dal Bo, Enoitalia), passando da un fatturato di circa 140 milioni di euro a oltre 400 milioni, mentre la capitalizzazione di borsa è più che quadruplicata, raggiungendo circa 420 milioni di euro. Come sta andando il titolo in Borsa? Questi ultimi dodici mesi sono stati particolarmente brillanti in Borsa. Ci siamo quotati a gennaio 2015, per cui abbiamo sei anni di storia e di esperienza sul mercato borsistico italiano. Allora la

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capitalizzazione di Borsa era di 65 milioni di euro, ultimamente abbiamo superato i 400 milioni, registrando una performance interessante per i nostri azionisti. Come si spiega questa crescita del titolo? Nel corso degli ultimi anni abbiamo sempre presentato numeri in crescita e quindi molto probabilmente abbiamo anche rassicurato gli investitori sul fatto che Italian Wine Brands fosse un buon titolo su cui allocare le proprie risorse. In questo periodo di crisi pandemica abbiamo chiuso due acquisizioni, di cui una (Raphael Dal Bo Ag, ndr) in Svizzera nel 2020, all’inizio di marzo. Poi, lo scorso luglio, è entrato nel nostro gruppo Enoitalia che ci ha consentito di fare un salto dimensionale importante, raddoppiando il fatturato e oltrepassando i 400 milioni di euro. L’operazione sicuramente ha dato un bel boost al progetto che avevamo già presentato al momento della quotazione. In quali canali distributivi operate? Siamo un player globale, che realizza l’80% delle vendite nei mercati internazionali, ma riteniamo che la diversificazione dei canali commerciali sia fondamentale. Oggi, dunque, siamo presenti nella grande distribuzione, nelle vendite dirette in quasi tutti i Paesi europei e, con l’ultima acquisizione, siamo anche entrati in alcuni Paesi nel canale horeca. Lo scorso anno nel canale horeca non eravamo presenti e questo ha giocato a nostro favore perché i canali della grande distribuzione e della vendita diretta hanno premiato. A proposito di Enoitalia, le logiche sono state di diversificazione di canale e di mercato? Sì, ma anche di portafoglio prodotti. Eravamo molto forti soprattutto nei vini fermi e nei vini rossi, con cantine di produzione in Piemonte e in Puglia, mentre eravamo scoperti sui vini spumanti. Con l’acquisizione di Enoitalia, che era molto forte nei vini spumanti e nei vini bianchi, abbiamo completato il portafoglio prodotti. I grandi gruppi di acquisto a livello internazionale cercano dei partner che possano soddisfare l’intero portafoglio prodotti che arriva dall’Italia. Oggi ci possiamo presentare in questo modo, avendo tutti i prodotti che servono per poter essere presenti all’estero. Significa che potreste valutare in futuro anche acquisizioni di vini più premium? L’innalzamento dell’offerta è non solo una tendenza del mercato, ma anche la direzione che Italian Wine

Brands vuole intraprendere. D’altro canto, ‘Italian Wine Brands’, oltre a un nome, è una promessa. Quindi, per quanto riguarda le acquisizioni, mai dire mai, se c’è qualche brand con la ‘B’ maiuscola, perché no. Quanto l’e-commerce sarà per voi strategico? Il digitale sta continuando a crescere anche in questo periodo post-pandemia. L’anno scorso, durante i lockdown, abbiamo registrato una crescita eccezionale, poiché le persone stando a casa ordinavano online. Era un fenomeno già in atto, che continua tuttora. Il nostro business si divide in due parti: vendite dirette e wholesale. Con la parte wholesale si riesce a raggiungere più facilmente un maggior numero di mercati, dove ci sono strutture che hanno la capacità di distribuire il prodotto sul mercato. Nel momento in cui si fa la vendita diretta, invece, bisogna avere strutture proprie su tutti i mercati. Sicuramente è una parte che non trascuriamo, su cui investiamo, stiamo verificando quali nuovi Paesi aprire con la distribuzione diretta. Non ovunque è possibile farlo per questioni regolamentari, però, dove è possibile, investiamo capitali, organizzazioni di persone e in logistica. Non bisogna dimenticare che dietro le vendite dirette c’è una struttura logistica dedicata che è importante. Si è parlato negli ultimi tempi di vini dealcolati. Cosa ne pensate? State lavorando a questo filone? Sì, ci stiamo lavorando, i nostri tecnici stanno studiando come realizzare dei prodotti che siano anche buoni. Sul mercato ci sono già tanti prodotti caratterizzati, oltre che dall’assenza di alcol all’interno della bottiglia, anche dal fatto di non essere molto piacevoli da bere. Quindi la vera sfida è una sfida tecnica ed è quella di realizzare prodotti piacevoli, che possano essere riacquistati dal consumatore dopo la prima bottiglia. Quindi non è facile fare vini dealcolati e buoni, per adesso. La questione è tutta lì. È una tendenza presente, lo abbiamo constatato anche nella birra. La birra senza alcol c’è già da qualche anno, è un comparto ancora piccolo, ma sta continuando a crescere. È più semplice produrre una birra piacevole senza alcol piuttosto che un vino piacevole senza alcol, però ci stiamo lavorando e ci arriveremo, perché abbiamo richieste da parte del mercato. Finchè non avremo un prodotto distintivo e credibile, in ogni caso, non andremo sul mercato. Novembre/Dicembre 2021 PAMBIANCO WINE&FOOD 41


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Aggregare la FORZA dei singoli BRAND di Rossana Cuoccio 42 PAMBIANCO WINE&FOOD Novembre/Dicembre 2021


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SERGIO DAGNINO, FONDATORE E AD DI PROSIT, ENTRA NEL VIVO DELLE STRATEGIE DELLA HOLDING CHE MIRA A COMPLETARE IL SUO PORTAFOGLIO CON LE CINQUE REGIONI PIÙ IMPORTANTI PER LA FASCIA PREMIUM DEI VINI ITALIANI. OBIETTIVO: UN POLO DA OLTRE 100 MILIONI ENTRO IL 2022.

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on si arresta la crescita di Prosit. La holding di aziende vitivinicole, partecipata dal fondo Made in Italy Fund, è nata nel 2019, in un settore caratterizzato da un’elevata frammentazione e da aziende di dimensioni medie ridotte, per aggregare cantine di fascia premium, puntando a farle crescere attraverso un supporto finanziario, distributivo e di comunicazione. Attualmente, il gruppo è presente in Puglia, in Abruzzo e in Veneto. Lei è un manager di lungo corso del settore vitivinicolo, come è nata l’idea di fondare il Gruppo Prosit? Durante i 16 anni trascorsi in Caviro ho avuto modo di conoscere molte realtà. Nel nostro settore si parla di estrema frammentazione del vino italiano, ma ci sono altrettante piccole cantine con brand validi, caratterizzati da un’ottima qualità e dalla passione dell’imprenditore che le ha fondate, che però non riescono a fare il salto. Nel 90% dei casi non a causa di un problema di finanza, ma di forma mentis, di capacità distributiva, e quindi mi sono detto che forse avrei potuto aiutare quelle cantine che, appunto, il potenziale ce l’hanno ma che non riescono a fare il famoso salto. Così nel 2019 ho costituito Prosit. Ho conosciuto Walter Ricciotti del fondo di private equity Made in Italy Fund, e insieme abbiamo iniziato a lavorare a quella che sarebbe stata la strategia del gruppo. La vostra strategia è quella di aggregare cantine di eccellenza, con quali criteri? Il nostro obiettivo è valorizzare i marchi di aziende familiari, con elevato potenziale, affiancando l’imprenditore e apportando

all’interno delle aziende partner le necessarie risorse finanziarie e manageriali grazie ad una squadra di professionisti. Vogliamo costituire un portafoglio di brand premium delle cinque regioni più importanti per l’export italiano e metterle in grado di sviluppare tutte le sinergie, non solo di portafoglio, ma anche logistiche, di acquisti, di forza vendita. Si tratta di cantine in cui deve assolutamente rimanere viva l’individualità della famiglia che le ha fondate; ci teniamo che l’imprenditore resti a gestirle e che trasmetta tutta la forza di quella regione, ma che allo stesso tempo capisca l’importanza di fare gruppo. Da quali cantine è formata la vostra realtà? Attualmente il gruppo è composto dalla cantina veneta Collalbrigo, dalla pugliese Torrevento e dall’abruzzese Nestore Bosco, che è stata nel 1968 la prima esportatrice negli Usa del Montepulciano d’Abruzzo. Entro l’anno dovrebbero arrivare anche cantine dalla Toscana e dal Nord-Est. Come chiuderete il 2021? L’obiettivo di quest’anno, con l’acquisizione dell’importatore statunitense Votto Vines, è di sfiorare i 70 milioni di ricavi. Guardando avanti, il nostro obiettivo è allargare il portafoglio dei marchi superando i 100 milioni di euro entro il 2022. Avete allo studio altri progetti? I progetti in mente sono tanti. Proprio perché il vino è estremamente “unbranded”, bisogna iniziare a usare il fatto di essere italiani non come l’unica forza che abbiamo, ma come trampolino di lancio. Prendiamo spunto, ad esempio, dalla moda italiana che è così prestante grazie alla forza dei suoi brand. Ci piacerebbe che anche nel settore del vino fosse così. La quotazione in Borsa, per voi, può essere una leva per fare acquisizioni e per avere maggiore visibilità? Mai dire mai, premesso che Made in Italy Fund ci sta supportando a dovere nel nostro percorso di crescita. È chiaro che se ci capiterà in futuro di portare avanti acquisizioni più impegnative, e se la Borsa ci dovesse aiutare a sostenere il progetto, potremmo senza dubbio valutare. Novembre/Dicembre 2021 PAMBIANCO WINE&FOOD 43


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SANTA MARGHERITA, ottimismo per il 2021 di Giulia Mauri

DALL’INTUIZIONE INIZIALE DEL CONTE MARZOTTO SONO TRASCORSI 86 ANNI. OGGI, L’AD GAROFALO SPIEGA CHE IL GRUPPO HA PIENA CONSAPEVOLEZZA DI UN FATTORE STRATEGICO: LA CAPACITÀ DI ABBINARE IL B2C ALLA CULTURA B2B.

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ondato nel 1935 dal conte Gaetano Marzotto, Santa Margherita Gruppo Vinicolo raggruppa dieci diverse tenute in alcune tra le regioni più belle dell’enologia italiana. Attraverso i brand Santa Margherita, Torresella, Kettmeir, Ca’ del Bosco, Cà Maiol, Lamole di Lamole, Vistarenni, Sassoregale, Terrelíade e Cantina Mesa, rappresenta uno dei poli più significativi in Italia, con oltre 22 milioni di bottiglie vendute nel 2019. L’AD Beniamino Garofalo, in occasione del Summit Pambianco, ha spiegato le strategie di una realtà che oggi copre i 5 continenti. Come sta evolvendo il rapporto con il consumatore? Quanto è successo nel 2020 ha accelerato alcuni processi che in parte c’erano e che in Santa Margherita siamo convinti rimarranno anche nei prossimi anni. È necessario che le aziende del vino


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passino da una cultura b2b a una cultura più b2c. Come in altri settori, è necessario lavorare su strategie in linea con le esigenze del consumatore. In questo senso, il nostro fondatore, Gaetano Marzotto, fu un pioniere, perché agli inizi degli anni sessanta individuò nel Pinot Grigio un vino con delle caratteristiche più moderne, allineate con i nuovi gusti degli italiani, e adatto a un consumo più conviviale. Quali fattori contraddistinguono il gruppo? La fortuna del gruppo è di avere un mosaico enologico di dieci diverse cantine. Un percorso che è stato costruito dal management che mi ha preceduto e dalla proprietà, la famiglia Marzotto, oggi alla terza generazione. Nel corso degli anni sono state acquisite cantine che si pensava potessero rappresentare nuovi trend, ad esempio la Lugana e il Vermentino, che da qualche anno continua ad avere tassi di crescita a doppia cifra, anche con il 3 davanti. Inoltre, oggi abbiamo una presenza internazionale, che ci consente non solo di avere la prima mossa in termini competitivi, ma anche di capire i trend globali. Il gruppo è presente in 95 Paesi, sviluppa il 70% del business all’estero e il 30% nel Paese domestico, e ha una filiale negli Stati Uniti, primo mercato nel mondo del vino. Ma, soprattutto, abbiamo la capacità di essere multicanale e andare a coprire vari segmenti di consumo, premium e upper premium. Questo ci ha favorito anche nel 2020, anno in cui la flessione è stata single digit, dovuta alla chiusura del canale horeca, ma con margini superiori all’anno precedente e quindi un ebitda in crescita. E quest’anno come sta andando? Al di là delle mie migliori aspettative, se devo essere onesto. A fine agosto le performance sono state buonissime in tutte le geografie, c’è stato un rimbalzo favorevole ed effettivo, non so quanto strutturale, in tutti i Paesi dove la campagna vaccinale è avanzata in maniera abbastanza spedita. Non si ha una grande visibilità di medio-lungo periodo, però devo dire che il settore del vino sta reagendo molto bene, c’è tanta voglia di convivialità. Per quanto riguarda la chiusura del 2021, rimango ottimista perché credo che non ci saranno le stesse restrizioni che abbiamo subito nel 2020. Come gruppo crediamo di chiudere un anno positivo, maggiore in termini di ricavi rispetto al 2019, che è l’anno di riferimento perché il 2020 è stato talmente straordinario nella negatività che non ha molto senso assumerlo come benchmark, e anche a livello di marginalità crediamo di arrivare a risultati migliori

di quelli degli anni precedenti che avevano segnato record storici. Quale ruolo ha ricoperto e ricoprirà il digitale? Il digitale non ha rappresentato per noi uno strumento per tamponare le vendite perse nel canale horeca, ma per cercare di comunicare al meglio con i wine lovers e raccontare loro la nostra storia. Sicuramente è un canale che continuerà a crescere, magari con tassi che non saranno gli stessi del 2020, ma è un trend che non cambierà e chi ha deciso di acquistare vini online probabilmente continuerà a farlo. I consumatori, e lo siamo tutti, hanno cercato i brand con un heritage, che davano loro sicurezza, per replicare l’esperienza ‘by the glass’ a casa, anche se ritengo che il vino sia convivialità e che i ristoratori siano i nostri ambassador. Il vino va consumato in compagnia, è l’emblema della convivialità, e noi italiani ne siamo la massima espressione. Pertanto ritengo che il settore tornerà a essere ancora più forte di prima, magari un po’ più riorganizzato per affrontare le nuove sfide del futuro. Può avere senso sviluppare l’e-commerce in maniera diretta? E che senso può avere? Il mondo digitale delle aziende del vino è un asset da intensificare, da sviluppare. Credo che l’azienda non possa sostituirsi agli specialisti dell’online, ma devono crescere le partnership ed essere win-win sia per noi che per questi operatori. Le aziende possono dare al consumatore delle esclusività che magari un veicolo generalista con più cantine fa fatica a offrire. Quindi non parlerei di un e-commerce diretto, ma un wine club, per esempio, potrebbe essere un veicolo utile all’azienda per parlare ai consumatori finali offrendo anche dei servizi e dei prodotti molto più specifici e differenziati. Quali cambiamenti andrebbero introdotti nel settore? Credo che una riflessione da fare nel mondo del vino sia legata alla managerializzazione, alla contaminazione delle competenze. Facciamo degli ottimi prodotti, ma abbiamo anche delle grandi persone che hanno costruito queste aziende e quindi ‘contaminazione’ ritengo che sia un vocabolo azzeccato. Il mondo del vino per il sistema Italia è un comparto estremamente importante ed è necessario mantenerne la storia, ma, se manca la managerialità, oggi bisogna inserirla.

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SANPELLEGRINO cresce con l’acqua ‘plus’ di Giulia Mauri

LA SOCIETÀ DEL GRUPPO NESTLÉ OCCUPA UN POSTO DI PRIMO PIANO TRA LE AZIENDE ITALIANE CON UNA STORIA DI OLTRE 120 ANNI. IL CEO STEFANO MARINI CONDIVIDE GLI OBIETTIVI DI SVILUPPO E RACCONTA L’IMPEGNO PER LA CURA DELLE RISORSE IDRICHE.

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anpellegrino, con oltre 1.400 dipendenti e un fatturato di circa 893 milioni di euro nel 2020, è una realtà di riferimento nel campo del beverage non alcolico in Italia, con acque minerali, aperitivi analcolici e bibite. Negli anni, ha spiegato il CEO Stefano Marini sul palco del Summit Pambianco, è riuscita ad affermarsi in più di 150 Paesi nel mondo, attraverso filiali e distributori sparsi nei cinque continenti, accreditandosi come ambasciatrice dell’ltalian style. Siete uno dei principali player del beverage in Italia. Quanto è forte il vostro legame con l’horeca? Internamente diciamo che l’horeca non è un canale di vendita, bensì il canale di elezione che da sempre rappresenta S.Pellegrino e Acqua Panna. Sanpellegrino, infatti, è nata nel 1899 con la presenza sulle tavole dei ristoranti in Italia e, negli anni successivi,


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anche nel mondo. Dunque c’è un legame che va oltre le vendite, motivo per cui, nel momento in cui il mondo dell’horeca è entrato in lockdown, non ha rappresentato solo un danno a livello di fatturato, ma anche a livello di visibilità. Non è stata, dunque, Nestlé a portare Sanpellegrino nella ristorazione, è stata un’intuizione precedente. Sì, è così, nei primi anni del Novecento ha iniziato a essere esportata in Svizzera, in Germania, poi negli Stati Uniti, diventando l’acqua di riferimento prima dei ristoratori italiani, poi del fine dining più in generale. Negli ultimi 20-25 anni, abbiamo investito molto soprattutto sul futuro della ristorazione. S.Pellegrino Young Chef ne è la testimonianza, così come la partnership con 50 Best. Ed è ecco perché, durante i lockdown, invece di tagliare gli investimenti per ridurre il danno legato alle mancate vendite, abbiamo scelto di dare un segnale di presenza e di supporto attraverso il programma #SupportRestaurants a un mondo che ha dato tanto alla marca. Abbiamo donato oltre 1 milione di euro in prodotti omaggio per la riapertura e abbiamo lanciato una campagna di comunicazione per invitare a tornare al ristorante. Come è stata la ripartenza? Appena si è ripartiti il rimbalzo è stato evidente. Noi esportiamo in oltre 150 Paesi, la quota di export è pari a 2/3 di circa 900 milioni di fatturato. I Paesi che hanno riaperto prima di noi, quindi l’Australia e Israele, ci avevano già dato questo sentore di ripartenza estremamente veloce del sell out. Credo, però, che ci sia una maggiore selettività da parte del consumatore. C’è una minore frequenza di uscita, per cui le persone quando escono vogliono vivere un’esperienza di valore e in sicurezza. Grande fiducia viene riposta nelle marche e nelle insegne. Si tratta di una selettività trasversale, che interessa sia ristoranti premium sia commerciali? Sì, è indipendente dalle fasce di mercato. Dal nostro monitoraggio emerge che vengono premiate le occasioni di consumo che offrono un’esperienza differenziante, distintiva. Il ristorante generico, medio, è quello che soffre di più. Il consumatore è selettivo nei ristoranti, ma lo è anche nei marchi? Sì, lo è in generale nel mondo del beverage analcolico o delle acque, sia nella ristorazione, nell’horeca, che nella gdo. Sicuramente le marche hanno avuto e hanno una funzione di rassicurazione

sulla qualità. È chiaro che un altro elemento fondamentale è quanto queste marche sono percepite come positive per la società. Noi usiamo molto il concetto della ‘force for good’, quindi di essere una forza positiva per la società. Quando parliamo di sostenibilità, ci riferiamo a una sostenibilità ambientale, che è centrale, ma anche a una sostenibilità sociale, di cui la sostenibilità economica è una conseguenza. Quindi il goodwill della marca ricade sul ristorante, è un rafforzativo dell’esperienza. Sì, fa parte dell’offerta complessiva, dell’esperienza sul punto di consumo che è fatta di servizio e di preparazione gastronomica, ma anche di indicatori di marca, che danno un segnale al consumatore del livello di qualità che quel determinato punto di consumo vuole trasferire. I vostri clienti, quindi l’horeca, come si sono comportati sul digitale? Il digitale è stato un elemento fondamentale durante i periodi di chiusura. Ora è diventato un elemento dell’offerta complessiva, dimensionalmente non rilevante, che però ha permesso di catturare il consumatore da un punto di vista più intimo. Al di là del fatturato derivante dal delivery o dall’asporto, c’è un tema di legame e, di conseguenza, di dialogo che si può iniziare con il consumatore, attirandolo piuttosto che offrendogli delle esperienze personalizzate. Quali sono i driver di sviluppo di Sanpellegrino? Non si cresce soltanto perché si ha il nome ‘Sanpellegrino’, è importante continuare a investire e farlo con un’ottica di medio termine. Le due aree fondamentali su cui noi vogliamo investire sono l’innovazione e la sostenibilità. Per la prima volta tre anni fa abbiamo toccato la candida acqua S.Pellegrino mettendo una goccia di flavour e l’abbiamo chiamata S.Pellegrino Essenza, un’acqua aromatizzata che è stata lanciata principalmente negli Usa e che ha già raggiunto la soglia minima per cui nel Paese un lancio è considerato rilevante, ossia i 100 milioni di dollari di fatturato. Andremo in questa direzione delle acque ‘plus’. Sul fronte della sostenibilità, l’altro grande progetto è quello di ampliamento del sito produttivo, la Flagship Factory di San Pellegrino Terme, in modo da renderlo 100% sostenibile nell’ambito dei trasporti e dell’imbottigliamento, ma anche rispetto alla capacità di generare valore per le comunità locali e per la valle circostante. Novembre/Dicembre 2021 PAMBIANCO WINE&FOOD 47


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L’e-commerce italiano si allarga all’ESTERO di Sabrina Nunziata

NUOVE SEDI, PARTNERSHIP E ACQUISIZIONI STRATEGICHE. LE PIATTAFORME TANNICO ED XTRAWINE RACCONTANO I LORO PIANI DI SVILUPPO, ACCOMUNATE DALLA VOGLIA DI AFFERMARSI OLTRECONFINE.

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e piattaforme italiane dedicate all’e-commerce di vino vogliono espandersi all’estero, che sia tramite partnership, acquisizioni o aprendo direttamente nuove sedi. Tannico, che nel 2020 ha gestito oltre 400mila ordini chiudendo l’anno con un fatturato che ha superato i 37 milioni di euro (+82%) di cui il 15% generato dall’estero, nel giro di poco più di un anno ha stretto delle partnership con due multinazionali. In primis, nel 2020, con Campari Group che è entrato in Tannico con una partecipazione del 49 per cento. Nel 2021, è arrivato il deal con Lvmh, nello specifico con la sua divisione vini e liquori. Moët Hennessy e Campari Group hanno formato una joint venture 50/50 al fine di creare un player paneuropeo premium nel canale e-commerce di wine&spirit attraverso Tannico. Diverso è invece il discorso per Xtrawine, digital company specializzata nella vendita di vino online con oltre 8mila etichette e partecipata da Made in Italy Fund, il fondo di Quadrivio & Pambianco che ne ha acquisito la maggioranza. L’azienda fin da subito ha avuto un approccio internazionale tanto che l’estero a oggi genera circa il 50% del fatturato. “La nostra strategia di espansione non passa per le acquisizioni, puntiamo a lavorare sul


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brand portandolo all’estero”, spiega il CEO Alessandro Pazienza durante la prima tavola rotonda del summit. Nel 2015, Xtrawine ha aperto una sede a Hong Kong e negli scorsi mesi anche in Svizzera. “Ora guardiamo con attenzione l’Inghilterra che, fino al 2020, era il nostro primo mercato estero, ma con la Brexit sono nate alcune difficoltà, pertanto vorremmo una sede anche lì”. Inoltre, “l’anno prossimo vorremmo aprire anche in Corea, dove stimiamo di chiudere l’anno con un fatturato di 1 milione di euro, contro i 15mila dello scorso anno, un boom realizzato grazie a una recensione fatta a inizio anno su un popolare social del Paese, in cui un utente ci faceva i complimenti. Da lì il mercato è esploso”. Rimanendo in tema, Xtrawine sta lavorando molto sulla comunicazione e sulla creazione di contenuti online grazie a un proprio blog che quest’anno ha raggiunto oltre 2 milioni di visitatori unici. FATTORE SOURCING L’acquisizione della piattaforma di e-commerce francese Venteàlapropriété, messa a segno ad aprile 2021, ha permesso a Tannico di accedere a una vasta selezione di vini francesi, anche di nicchia. “Questa azienda - precisa il CEO e co-founder di Tannico Marco Magnocavallo - è il nostro omologo in Francia, tra l’altro entrambe hanno un fatturato simile e superiore ai 30 milioni di euro, ma ha un modello di business differente che la rende complementare: noi ci basiamo su assortimento e catalogo, mentre loro hanno pochi prodotti e ogni giorno ne presentano e raccontano uno nuovo”. In questo modo “la piattaforma francese accede al sourcing italiano e viceversa, che è importante se si vuole costruire un player leader a livello paneuropeo”, prosegue il manager. “Noi disponevamo già di un bell’assortimento in Francia, e di fascia alta, oltre a una sezione di vini da collezione. Ma Venteàlapropriété ha al suo interno il miglior sommelier di Francia, che provvede a una qualità estrema nella scelta delle etichette, anche

Alessandro Pazienza

Marco Magnocavallo

LA PIATTAFORMA E-COMMERCE FRANCESE VENTEÀLAPROPRIÉTÉ PUÒ COSÌ ACCEDERE AL SOURCING ITALIANO E VICEVERSA, CHE È IMPORTANTE SE SI VUOLE COSTRUIRE UN PLAYER LEADER A LIVELLO PANEUROPEO

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quelle più di nicchia”. Non solo, Tannico sta anche lavorando alle importazioni dirette così da saltare gli intermediari e offrire un prodotto con il 15/25% di prezzo in meno. Proprio la categoria dei vini importati direttamente genera circa il 20% del fatturato. SCONTRINI E MARGINI La sostenibilità di una piattaforma online passa dai propri margini che, a loro volta, dipendono da una serie di fattori, tra cui quello inerente alla gratuità della spedizione oltre una certa soglia di scontrino. Anche in questo caso, l’estero gioca un ruolo chiave nel determinare questo valore. “Per noi di Xtrawine lo scontrino deve essere di almeno 120 euro”, spiega Pazienza. “Questo dipende in primis dalla nostra forte presenza estera e in Paesi dove la capacità di spesa è più alta che in Italia e, non a caso, anche il nostro mix di prodotti parte da un prezzo minimo a bottiglia di circa 7 euro”. Tannico, d’altro canto, ha abbassato l’asticella dagli 89 a 29,90 euro. “Un paio di anni fa - spiega Magnocavallo - lo standard era sui 90 euro, poi abbiamo provato ad abbassarlo e usarlo come leva

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di marketing, così da dare la possibilità a più persone di usare il servizio”. SGUARDO AL FUTURO E come si prospetta, in generale, il futuro del settore? “Credo che tenderà a concentrarsi, con i principali player esistenti che resteranno tali e diventeranno sempre più grandi”, spiega Pazienza. “Si sono infatti create barriere all’ingresso per i nuovi operatori, e non è una questione di milioni investiti ma anche di tecnologie a disposizione”.

CREDO CHE IN FUTURO IL SETTORE TENDERÀ A CONCENTRARSI, CON I PRINCIPALI PLAYER ESISTENTI CHE RESTERANNO TALI E DIVENTERANNO SEMPRE PIÙ GRANDI. PER I NUOVI OPERATORI, SI SONO CREATE BARRIERE ALL’INGRESSO



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L’opportunità DIGITALE resta APERTA di Rossana Cuoccio

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VALERIO PEREGO, MANAGER DI FACEBOOK ITALIA, SPIEGA COME LA PANDEMIA HA RESO IL DIGITALE IL CANALE PIÙ IMPORTANTE E COME OGGI LE AZIENDE POSSANO SFRUTTARLO AL MEGLIO PER AUMENTARE LA PROPRIA VISIBILITÀ E I PROPRI PROFITTI.

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acebook (che comprende anche Instagram e Whatsapp) svolge sempre di più un ruolo importante per le aziende non solo come vetrina, ma come sostegno concreto alle vendite, sia online che offline. Valerio Perego, sector lead Cpg, pharma, retail Facebook Italia, racconta come anche le realtà del wine&food stiano studiando questa opportunità. Facebook vanta un osservatorio unico a livello mondiale, che tipo di tendenze avete avvertito negli ultimi mesi? Tutti noi, nell’ultimo anno e mezzo, abbiamo cambiato il nostro modo di interagire. Il digitale ha rappresentato il canale primario, durante la pandemia, attraverso il quale abbiamo lavorato, creato, giocato. Innanzitutto, si è particolarmente sviluppato il tema della conversazione, quindi chiamate e videochiamate, e questo ha visto crescere i nostri servizi di messaggistica istantanea come Messenger e Whatsapp. Il consumatore è cambiato, vuoi perché ha avuto più tempo, vuoi perché ha avuto più curiosità, tutti noi abbiamo imparato qualcosa durante questi mesi particolari. Specialmente nel settore del food e del wine, questa tendenza ha dato sfogo a un interesse verso tutte quelle che sono le maestrie tipiche italiane. Penso, ad esempio, alla ‘panificazione’ che è stata un po’ la keyword di questo periodo. Interessante poi è stato lo sviluppo della relazione che il consumatore ha avuto con le aziende. Non si parla più solo di call center, ma di utilizzare i servizi di messaggistica istantanea, quindi comunicazioni via whatsapp e messanger direttamente con le aziende stesse. Allo stesso tempo abbiamo visto crescere anche il

mondo delle community. Hanno agito bene le aziende che hanno partecipato attivamente a queste forme di aggregazione con contributi e creando valore. E l’e-commerce? Anche l’e-commerce ha avuto una forte accelerazione. In particolare in Italia, dal 2010 al 2020, la quota di e-commerce è passata dal 7 al 20%, crescendo del 13 per cento. La stessa quota è cresciuta di un’ulteriore 13% da gennaio 2020 a maggio 2020. È stata un’accelerazione che non ci aspettavamo: all’interno del canale e-commerce, una persona su due ha speso più soldi, e sei persone su dieci hanno comprato su nuovi siti sperimentando quindi nuove esperienze. Il food&wine è un settore votato all’export. Le aziende come possono sfruttare il canale digitale per aumentare la loro visibilità internazionale? Quello che il mondo di Facebook vuole portare nel mondo del business è la semplicità di creare delle piattaforme che siano semplicemente scalabili e possano lavorare su più Paesi. Noi come Facebook Italia, per quelle che sono le aziende che vogliono spingere sul concetto di export, lavoriamo nella gestione non solo del Paese italiano, quindi non con il classico accounting Paese per Paese, ma accompagnando le aziende su più Paesi. Riteniamo che l’e-commerce non possa essere un asset di business stand alone, ma che debba essere integrato in quella che è una strategia aziendale parte del piano industriale e non una parentesi relativa solo al periodo della pandemia. Un altro aspetto importante è l’analisi dei dati. Facebook mette a disposizione moltissimi dati che devono essere utilizzati per comprendere come dialogare meglio con i nostri consumatori in termini di segmentazione, di interesse, di contenuto. In particolare, per tutto lo scorso anno abbiamo investito con l’istituto di ricerca internazionale Nielsen per il Nielsen Media Impact, uno strumento che permette alle aziende di capire quali sono i loro consumatori, che share di consumatori ci sono all’interno dei diversi canali, affinché si possano ridurre inefficienze legate al fatto di non riuscire a raggiungere il proprio target di riferimento. Novembre/Dicembre 2021 PAMBIANCO WINE&FOOD 53


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MASI AGRICOLA apre a nuovi consumatori di Giulia Mauri

LA SUA STORIA INIZIA NEL 1772, QUANDO I BOSCAINI ACQUISTARONO VIGNETI NELLA VALLE DENOMINATA ‘VAIO DEI MASI’. L’AZIENDA È TUTTORA DI PROPRIETÀ DELLA FAMIGLIA, CHE OGGI OPERA ATTIVAMENTE CON LA SESTA E SETTIMA GENERAZIONE.

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adicata in Valpolicella Classica, Masi produce e distribuisce Amarone e altri vini ispirati ai valori del territorio delle Venezie. La società, dal 2015 quotata nell’Aim Italia, ha lanciato nel 2021 sui mercati internazionali Fresco di Masi, due vini biologici interpreti di una rinnovata visione di sostenibilità e basati su una produzione ‘per sottrazione’ che minimizza l’intervento dell’uomo sulla natura. Un ritorno alle origini e all’essenza del vino, ha spiegato Raffaele Boscaini, marketing director, intervenuto al Summit Pambianco. Cos’ha notato di rilevante in questi mesi di cambiamento? Ho visto la forza della marca, che significa che anche nella grande difficoltà che abbiamo subito nel 2020 la ruota ha continuato a girare per inerzia, per cui si sono mantenute le relazioni con il consumatore finale ma anche con tutti gli intermediari della


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filiera. Motivo per cui alla ripartenza c’è stato quasi un effetto molla, si è ripartiti con uno scatto molto importante. Inoltre, ho notato con piacere, che si sono infranti certi dogmi a favore di una trasversalità. Non ci sono quasi più i prodotti esclusivi off trade e i prodotti esclusivi on trade, ma c’è una contaminazione positiva per tutti, perché alla fine è un servizio rivolto al consumatore finale che è il protagonista dei movimenti del vino. È chiaro poi che, io dico sempre, ‘ogni albero fa la sua ombra’, ogni azienda, ogni brand, ogni categoria avrà i suoi spazi di movimento. Dunque, più un marchio è forte, più si instaura un rapporto diretto con il consumatore. Uno stimolo a far ragionare le aziende sempre di più in un’ottica b2c. Anche voi ci state ragionando? Assolutamente sì. In questo senso, appena dopo la quotazione, abbiamo sviluppato la Masi Wine Experience, un canale specifico per dialogare direttamente con il consumatore finale, senza però dimenticare che gli intermediari, i ristoratori, i distributori, sono comunque sempre coinvolti a ogni livello della filiera, anche comunicativa. La Masi Wine Experience consiste nell’apertura di luoghi fisici di irraggiamento del nostro messaggio, ristoranti e wine bar, come a Zurigo nel 2015, Tenuta Canova sul Lago di Garda nel 2016, nel 2018 Cortina d’Ampezzo sulle piste del Monte Tofana e lo scorso giugno a Monaco di Baviera, in Germania. Avete in programma di aprire altri wine bar? Abbiamo in mente, a seconda delle occasioni che ci si presentano, di aprirne uno all’anno, in località diverse: dove Masi è già presente e magari è anche un marchio maturo, al quale si possono associare ulteriori significati, oppure nei mercati in cui ha ancora bisogna di sviluppo e nei quali può essere una testa d’ariete. Avete un Investor Club. Di cosa si tratta? Il Masi Investor Club nasce dalla constatazione che, dopo lo sbarco in Borsa, i nostri titoli sono andati per la maggior parte nelle mani di risparmiatori privati. E quindi è un modo per ingaggiare questi appassionati della marca, che non sono investitori in cerca di profitto, ma consumatori mossi dalla passione. A queste persone - ad oggi sono circa un migliaio a essere entrati nell’investor club - rispondiamo dando, tra virgolette, le chiavi dell’azienda, dedicandogli spazi e momenti in cui sono invitati in via esclusiva.

Un migliaio non sono pochi. Stanno crescendo? Sì, stanno crescendo e credo che ci sia anche una tendenza al passaparola. L’accesso è molto semplice, tutti coloro che hanno acquistato almeno 1.000 azioni Masi possono entrare a far parte di Masi Investor Club. Qual è la strategia legata al lancio di Fresco di Masi? Rispettiamo le nostre origini e il nostro Amarone, che è sempre il nostro cavallo di battaglia, la nostra tradizione, un vino tra l’altro che esprime dei valori territoriali importantissimi. Però, quasi in risposta al cambio culturale che è stato indotto dal Covid, abbiamo lanciato un prodotto più vicino alle esigenze quotidiane. Abbiamo pensato al consumatore giovane, che si avvicina al vino in maniera più semplice. Parliamo di un vino dal sapore molto approcciabile. L’ho definito ‘il vino del contadino finalmente senza difetti’. Quello che si beve fresco, rinunciando a parecchie lavorazioni dal vigneto al calice. Non c’è invecchiamento, non c’è appassimento e non c’è passaggio in legno, i lieviti sono quelli selvaggi dell’uva, ha un grado alcolico contenuto e quindi è aperto a un consumo più libero. Non necessita nemmeno del bicchiere adatto per berlo. A scaffale costa il rosso costa 11,50 euro e il bianco 10,50 euro. E quali obiettivi avete su questo vino? Noi ci crediamo e ci stiamo investendo molto. Abbiamo avviato la produzione il primo anno con circa 150.000 bottiglie, abbiamo avuto un successo enorme e in 3-4 anni puntiamo ad arriviare al milione di bottiglie. Cosa pensate del dealcolato? È un fenomeno che osserviamo. Io sono sempre molto attento a queste cose, non sparo mai a zero prima ancora di vederle e penso che ci sia un mercato. Per le esperienze che ho avuto, al momento non ho trovato niente di buono. Sintetizzando, avete un marchio forte, legato alla tradizione, ma state guardando anche ai nuovi consumatori e a nuovi prodotti che possono rappresentare il futuro di Masi. Abbiamo scoperto, nel caso di Fresco di Masi, ideato per il consumatore giovane, che conosce poco il vino, che non ha voglia neanche di impegnarsi troppo per capirlo, che sono tanti, anche tra i più anziani, a pensare “finalmente il vino come una volta”. Novembre/Dicembre 2021 PAMBIANCO WINE&FOOD 55


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Nuovi format CIRFOOD e LA PIADINERIA di Giulia Mauri

IL COVID HA INFLUENZATO LE PERFORMANCE DEI DUE PLAYER DELLA RISTORAZIONE, SENZA TUTTAVIA ARRESTARNE I PIANI DI SVILUPPO.

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C

rescono a ritmo di acquisizioni e nuove aperture Cirfood Retail e La Piadineria. Le due società hanno lanciato un messaggio chiaro dal palco del Summit Pambianco, dove sono state protagoniste di una tavola rotonda moderata da David Pambianco. L’obiettivo è riprendere il percorso di sviluppo, anche con nuovi modelli di business.

PROGETTI IN CORSO Fondata nel 2019, Cirfood Retail affonda le proprie radici nell’esperienza di oltre cinquant’anni di Cirfood, impresa cooperativa italiana attiva nella ristorazione collettiva, che ha chiuso l’esercizio 2020 con un patrimonio netto di 156,4 milioni di euro e un valore della produzione di 424 milioni di euro. Per affiancare alla ristorazione commerciale di servizio, trainata dal marchio Rita e dai format Tracce e Chiccotosto, la ristorazione commerciale ‘retail’, è stata costituita Cirfood Retail, che oggi annovera tre brand: la gastronomia siciliana Antica Focacceria S. Francesco, Kalamaro Piadinaro, piadina gourmet di pesce, e la patata ripiena all’italiana Poormanger. “L’obiettivo nel medio termine è che


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la ristorazione commerciale diventi un pezzo importante del gruppo - ha rivelato Leopoldo Resta, amministratore delegato di Cirfood Retail -. È quello su cui abbiamo iniziato a lavorare alla fine del 2019. Dopo pochi mesi siamo stati colti, come tutti, dallo tsunami. Però devo dire che è stata una bella prova, perché ha subito messo in discussione la scelta strategica del gruppo, che ha retto. Abbiamo proseguito con le acquisizioni, anche se non c’è dubbio che la pandemia ci abbia portato via un po’ di benzina e quindi i programmi siano diversi da quelli che immaginavamo”. Naviga nelle stesse acque anche La Piadineria, catena fast casual food istituita nel 1994 e acquisita nel 2018 dalla società d’investimento Permira. “Durante la pandemia siamo riusciti a proseguire lo sviluppo, chiaramente rallentando. L’anno scorso abbiamo aperto 25 punti vendita, nel primo semestre ne abbiamo aperti altri 30, un’altra ventina speriamo di riuscire ad aprirli entro la fine dell’anno”, ha dichiarato il General Manager e Deputy CEO Andrea Valota. La rete La Piadineria conta oggi più di 290 punti vendita collocati nelle maggiori città italiane e 8 sul territorio francese, tra Nizza e Marsiglia e nell’area attorno a Parigi. “Le prospettive sono positive, anche se molto si giocherà nei prossimi mesi”, ha aggiunto il manager, facendo riferimento alla situazione sofferta nei centri commerciali non soltanto per la diminuzione del numero di visitatori, ma anche per la contrazione del tempo trascorso all’interno delle strutture, con conseguente riduzione delle occasioni di consumo. FORMAT IN DIVENIRE Una situazione controbilanciata dall’ormai nota accelerazione della trasformazione digitale, che ha coinvolto anche il settore del food, con un’impennata delle piattaforme di consegna a domicilio a partire dai giorni di chiusura per il contenimento dell’epidemia di Covid-19. “Il mercato della delivery tradizionale, per telefono, sommato a quello digitale, via app, vale poco meno di 4 miliardi e la delivery digitale si stima che quest’anno

Leopoldo Resta

Andrea Valota

CREDEVAMO E CREDIAMO ANCORA MOLTO NEL SETTORE DEI CENTRI COMMERCIALI. ABBIAMO CONSTATATO LA RIDUZIONE DEL TEMPO DI VISITA AL LORO INTERNO E CREDO CHE SU QUESTO PUNTO BISOGNERÀ LAVORARE

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arrivi intorno al miliardo con un grosso aumento, pari al 25%, rispetto al 2020 - ha precisato Valota -. Le app sono in forte crescita ed è emerso che l’80% degli italiani ha provato o aveva intenzione di provare durante e dopo il lockdown i servizi di home delivery”. Un orizzonte di sviluppo, dunque, non più trascurabile. “In Piadineria abbiamo cercato di cogliere il momento per iniziare a offrire il servizio di home delivery rendendo questo meccanismo profittevole e risolvendo problematiche operative - ha proseguito Valota -. Abbiamo punti vendita che fanno home delivery dal 5% al 30-35%, quindi adesso stiamo ragionando su nuovi layout affinché i locali risultino ospitali per chi si ferma, ma anche funzionali per chi deve soltanto ritirare il prodotto. Un redesign che coinvolgerà tutti i processi, sia fisici che digitali, attraverso il passaggio da una piattaforma multichannel e solo parzialmente crosschannel a un sistema omnichannel”. Delle tre insegne di Cirfood Retail, che insieme hanno totalizzato poco più di 30 milioni di fatturato nel 2019, Poormanger è la proposta gastronomica che meglio si è prestata alla consegna a domicilio. “Poormanger è un’insegna torinese veramente notevole, perché quando l’abbiamo acquisita aveva soltanto due locali, ma con delle performance economiche incredibili - ha commentato Resta -. Per scelta, ci siamo affidati in esclusiva a Glovo per le consegne, ma

la sua capillarità non è bastata a servire la città di Torino durante il lockdown. I taxi erano fermi e quindi abbiamo stretto una partnership con Wetaxi, un bellissimo esperimento che ha funzionato tantissimo”. CRESCITA ALL’ESTERO Risultati che fanno pensare a ulteriori acquisizioni. “Stiamo ridisegnando adesso il piano industriale, ma abbiamo in testa un numero di cinque insegne in totale - ha proseguito l’AD di Cirfood Retail -. I marchi attualmente in portafoglio sono high street come tipologia, mentre le acquisizioni che abbiamo in mente sono da grandi flussi e da scontrini più ridotti per una logica di diversificazione di portafoglio”. All’orizzonte non manca, inoltre, l’ampliamento all’estero, inizialmente previsto per la Focacceria, in particolare negli Stati Uniti. Focus sull’insegna per accelerarne l’espansione è, invece, il programma della Piadineria. “Stiamo lavorando su uno spin off del brand principale, che è La Piadineria Tasty & Free, dedicata al mondo gluten e lactose free. Ci aspettiamo che ci possa essere un buon ritorno in una nicchia di mercato che è esplosiva”. Nel frattempo, l’obiettivo è procedere a ritmo di “50-80 aperture all’anno” in Italia e riprendere l’anno prossimo lo sviluppo in Francia, per poi “aggredire in modo progressivo anche altri Paesi”, ha concluso Valota.

AL MOMENTO STIAMO RIVEDENDO I NOSTRI PIANI, MA, LADDOVE IL MARCHIO LO PREVEDE E HA SENSO FARLO IN TERMINI DI DIMENSIONE, L’ESTERO È UNA POSSIBILITÀ CHE VALUTIAMO

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La sfida è QUADRUPLICARE il fatturato di Rossana Cuoccio 60 PAMBIANCO WINE&FOOD Novembre/Dicembre 2021


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ETTORE NICOLETTO, PRESIDENTE E CEO DI BERTANI DOMAINS, SPIEGA I PIANI DEL GRUPPO CHE PUNTERÀ SU CRESCITA ORGANICA, MULTICANALITÀ E VINI SPARKLING. L’OBIETTIVO È REPLICARE L’ESCALATION DIMENSIONALE CHE AVEVA GUIDATO IN SANTA MARGHERITA.

B

ertani Domains è un gruppo formato da sei cantine, per una produzione complessiva di 4 milioni di bottiglie. Le cantine sono presenti in Veneto (Bertani, in Valpolicella), in Friuli Venezia Giulia (dove opera Puiatti, a Romans d’Isonzo), in Toscana (Val di Suga a Montalcino, TreRose a Montepulciano e San Leonino a Castellina in Chianti) e nelle Marche (Fazi Battaglia nel territorio di Jesi). Fa capo alla Angelini Holding, che controlla l’omonimo gruppo farmaceutico. Dopo tanti anni trascorsi nel gruppo Santa Margherita è approdato da Bertani Domains, cosa l’ha attratta del progetto della famiglia Angelini? A marzo 2020, in piena pandemia, ho accettato la sfida di entrare alla guida di Bertani Domains. Mi ha attratto prima di tutto la sfida dimensionale. Bertani Domains è una realtà di medie dimensioni nel settore vitivinicolo che appartiene alla famiglia Angelini e che fa parte di un gruppo multiindustry che sviluppa 1,7 miliardi di fatturato. La proprietà ha voluto fortemente un manager che avesse fatto un percorso importante in altre aziende con la volontà di far cresce il suo ramo vitivinicolo. Oggi Bertani Domains è una realtà da 25 milioni di euro di fatturato con l’obiettivo di arrivare a quadrupicarlo e questa è, in sostanza, la parte più importante del mio mandato. È una grande sfida, molto impegnativa, non è certo facile passare da una realtà da 200 milioni di euro di fatturato a una da 25 milioni, ma le complessità sono le stesse. Sono molto ottimista, vorrei replicare qui quello che ho fatto nei 16 anni che ho trascorso in Santa Margherita.

Come pensa di raggiungere i 100 milioni di fatturato? Sono molto fiducioso sulla crescita organica perché ci sono marchi che hanno un potenziale inespresso. Dobbiamo poi sviluppare molto meglio la multicanalità e dobbiamo anche allargare il perimetro, e quindi arrivare a denominazioni dove non siamo presenti, e presidiare meglio alcune occasioni di consumo. Ad esempio, la categoria degli sparklings, sia per quanto riguarda l’area charmant che il metodo classico, non ci vede protagonisti e con questo gap di portfolio perdiamo delle occasioni di consumo importantissime. Come ci si può muovere sul fronte dell’m&a? Abbiamo individuato tre strade: la prima è quella di identificare delle realtà che sviluppino fatturati piccoli e piano piano acquisirle per creare una mini costellazione. È un lavoro molto difficile perché queste realtà, da 4-5 milioni di euro di ricavi, sono spesso destrutturate, molto familiarizzate, senza controllo di gestione e questo complica molto l’attività di m&a dal punto di vista dell’integrazione all’interno di una realtà come la nostra. L’altra strada è quella di portare avanti acquisizioni importanti, verso realtà intorno ai 50 milioni di fatturato, che quindi richiedono una dotazione importante dal punto di vista finanziario, ma che ti permettono però di fare velocemente il famoso salto dimensionale. Una terza strada è quella di stimolare una potenziale combinazione o partnership con un altro gruppo. Qual è il vantaggio ad entrare in un gruppo come il vostro? Uno dei problemi che affligge il nostro settore è il passaggio generazionale. Spesso le famiglie proprietarie non hanno chi può ricevere il loro testimone e quindi si trovano in serie difficoltà. Noi offriamo assistenza, struttura e organizzazione, ma soprattutto diamo alla parte venditrice anche la possibilità di rimanere nell’equity, nella parte gestionale o in veste di ambasciatore. Riteniamo che sia molto importante mantenere questo rapporto con le radici e con chi ha fondato il business.

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LANGOSTERIA, il mercato è il mondo di Sabrina Nunziata

IL MARCHIO DI FINE DINING FONDATO DA BUONOCORE SI PREPARA A NUOVE LOCATION OLTRECONFINE. DOPO LA RECENTE APERTURA A PARIGI, IL RISTORANTE MILANESE GUARDA IN PRIMIS ALL’EUROPA, MA CON IL SOGNO STATI UNITI.

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F

ondata e guidata da Enrico Buonocore, Langosteria conta oggi cinque locali che spaziano da Milano alla Liguria fino a Parigi, dove lo scorso settembre, in collaborazione con Cheval Blanc Paris, è stato aperto il primo ristorante all’estero. Affacciato sulla Senna, è al settimo piano dell’hotel e a regime punta a incassare 10 milioni di euro l’anno. Buonocore spiega che, questa apertura, rappresenta il primo passo di un percorso che punta a posizionare il brand in location strategiche a livello globale. Quanti e quali sono i ristoranti a insegna Langosteria? A Milano abbiamo via Savona come location storica, poi il Bistrot in via Privata Bobbio che quest’anno ci sorprenderà a livello di numeri in quanto ha praticamente sempre lavorato grazie al dehors e al servizio Langosteria a Casa che, tra l’altro, ha avuto un successo


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incredibile. A quest’ultimo, infatti, daremo casa il prossimo Natale, realizzando non una dark kitchen ma un negozio, chiamato Langosteria Cucina, dove gli ospiti potranno venire a comprare ciò che abbiamo iniziato a presentare durante la pandemia. Si aggiunge il nostro Café in centro, che ha avuto le maggiori difficoltà avendo lavorato pochissimo durante il 2020, ma che dallo scorso giugno, con la possibilità di tornare a consumare all’interno, sta dando risultati. Poi abbiamo il fiore all’occhiello della stagione 2021, ovvero Paraggi che quest’anno sta facendo risultati incredibili. Infine, abbiamo appena aperto a Parigi il nostro quinto ristorante, la prima Langosteria all’estero. Cosa si intende con “risultati incredibili” a Paraggi? Rischiamo di fare quasi quattro milioni in quattro mesi, numeri dati da una certa continuità e credo anche dal fatto che quest’anno fosse difficile viaggiare. Qui abbiamo inoltre acquistato negli scorsi mesi gli storici Bagni Fiore, affidandone la gestione al gruppo Belmond, parte del colosso francese Lvmh, e i risultati ottenuti ci danno l’energia di progettare le prossime stagioni e di investire ancora, così da costruire in quella baia un’esperienza ancora più importante. Proprio in questa zona, infatti, sono arrivati anche altri colleghi come Carlo Cracco e Vittorio che hanno seguito la nostra scia, e ora fare qui un weekend è diventato interessante anche dal punto di vista gastronomico. Questa cosa mi riempie di orgoglio perché vuol dire che ci abbiamo visto giusto cinque anni fa a investire in questo luogo sì fantastico, ma che aveva bisogno di un po’ di spirito e modernità. E per quanto riguarda la nuova apertura di Parigi? Questo progetto doveva nascere tempo fa, ma con la pandemia abbiamo dovuto rimandare, finché l’8 di settembre abbiamo aperto. Tutti pensavano che la prima Langosteria all’estero sarebbe stata aperta a Londra, ma Parigi è la città in cui ho sognato Langosteria tanti anni fa e che adesso ci ha accolto con entusiasmo. Qui abbiamo l’occasione di essere ambasciatori di una nuova Italia organizzata, portando il ritmo e l’esperienza di Langosteria in una città in cui ci sono tanti ristoranti gastronomici e in cui la ristorazione è un culto, ma dove penso che il nostro segmento sia da costruire. Dobbiamo portare l’italianità di cui loro sono innamorati, ma con un atteggiamento internazionale nei servizi e nella scelta di materie prime.

Quali sono gli obiettivi per Parigi, quando sarà a regime? Il budget iniziale prevedeva numeri simili a quelli milanesi. Oggi penso sia un locale che possa superare i 10 milioni di euro l’anno. Anche in Francia ci sono problemi legati al reperimento di personale? È un dramma. Penso che il nostro settore abbia la necessità di far diventare questo lavoro un mestiere e non un ripiego. Noi abbiamo iniziato da anni un progetto di normalizzazione del ruolo e del tempo, perché il balance tra lavoro e famiglia è importante, e quindi tutti i collaboratori passeranno a lavorare cinque giorni a settimana su sette. E questo è importante perché bisogna trovare un bilanciamento tra sacrificio, professione e passione che deve essere in grado di portare a casa il risultato. A Parigi abbiamo un nostro team che poi implementeremo con l’apertura a pranzo. In Italia abbiamo già fatto un round di nuove assunzioni, dovendo fare i conti con il fatto che durante la pandemia molti ragazzi sono dovuti tornare al paese d’origine. Attualmente i dipendenti sono in tutto 250. Vi piacerebbe lanciare altri format oltre a Langosteria? Ogni tanto insieme ai miei soci pensiamo anche a cose diverse, ma Langosteria ha bisogno di massima concentrazione e di eseguire un piano industriale così da essere portata in location premium. Dopo Parigi, in quali altre città pensate di esportare Langosteria? Parigi 2. Come abbiamo fatto a Milano, crediamo che una città possa avere due insegne, anche per creare massa critica. Stiamo anche cercando location in montagna così da dare una seconda stagionalità invernale ai nostri ragazzi di Paraggi e in generale guardiamo all’Europa. Poi il mio sogno è sbarcare tra qualche anno negli Stati Uniti, che credo sia un luogo dove Langosteria possa affermarsi con grande successo.

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SCENARI

NONOSTANTE L’ANNO DIFFICILE, LE BOLLICINE DEL CONSORZIO CONTINUANO A CRESCERE, CON UN AUMENTO DELL’8,4% RISPETTO AL 2019. IN PARTICOLARE, BUONA LA PERFORMANCE DEL MOSCATO SOPRATTUTTO NEGLI USA.

LA SFIDA DELL’ASTI: PUNTARE AL TOP di Alessandra Piubello

N

on accenna ad arrestarsi la crescita dell’Asti Docg e del Moscato d’Asti Docg. La zona, che rispetto alla produzione del Piemonte copre un 35% del totale (una bottiglia su 3 in Piemonte viene dall’astigiano) si estende su 9.700 ettari vitati e comprende 51 comuni e un totale di 3.240 aziende vitivinicole. Il Consorzio, fondato tra i primi nel 1934, rappresenta il 52% dei viticoltori, il 51% della produzione d’uva, l’88% delle uve vinificate e il 96% dell’imbottigliato. INCREMENTO ANCHE NEL 2021 “I dati del primo semestre 2021- conferma Lorenzo Barbero, presidente del Consorzio dal gennaio 2021 - sono sicuramente confortanti. Le consegne delle fascette Docg hanno fatto registrare un importante aumento rispetto al medesimo periodo del 2020, arrivando quasi a toccare il +16 per cento. Le due tipologie, infatti, raggiungono quasi dieci milioni di bottiglie in più, rispetto al luglio ‘20, passando da 44,6 milioni di bottiglie a 53,5 milioni. Tutti i principali mercati registrano performance migliori rispetto ai primi sei mesi del 2020. Stati Uniti e Russia continuano la loro crescita, ma il dato che ci dà maggior conforto riguarda sicuramente l’Italia, che torna a crescere dopo anni di stagnazione. L’Asti cresce in maniera piuttosto uniforme

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SCENARI

ASTI E MOSCATO D’ASTI, I TOP 10 PER FATTURATO 2020

2019

1.772

1.843

1

DAVIDE CAMPARI - MILANO

2

MARTINI & ROSSI

420

527

3

FRATELLI MARTINI SECONDO LUIGI

n.d.

206

4

SANTERO FRATELLI & C.

100

69

5

MGM MONDODELVINO

100

90

6

CAPETTA - INDUSTRIA VINICOLA PIEMONTESE

57

38

7

F.LLI GANCIA & C.

52

60

8

ARALDICA CASTELVERO - SOCIETA' COOPERATIVA AGRICOLA

51

45

9

CASA E. DI MIRAFIORE & FONTANAFREDDA

43

52

10

CASA VINICOLA MORANDO

n.d.

42

Fonte: Pambianco Valori in milioni di euro

su tutti i principali mercati: aumenti tra il 30% e il 50% per Russia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Italia; la Polonia va ampiamente oltre il 100%, con dati molto interessanti anche per Ucraina, Austria e Belgio. Diversa invece la distribuzione del Moscato d’Asti: oltre il 60% è venduto negli Stati Uniti, che incrementa del 5% rispetto al 2020. Altri mercati, di minor volume ma che registrano dati sicuramente confortanti sono la Corea del sud, che triplica il venduto, e l’Italia, che cresce del 50%”. Crescite significative da ricondurre, soprattutto per mercato italiano, alla riapertura della ristorazione e degli eventi celebrativi. IL FUTURO DELLA DENOMINAZIONE Barbero, che è anche enologo del gruppo Campari, racconta gli obiettivi futuri: “Dobbiamo rendere la denominazione adeguata ai tempi che cambiano, in primo luogo perseguendo la sostenibilità con pratiche virtuose, a maggior ragione per noi che siamo Patrimonio Mondiale dell’Umanità come paesaggio vitivinicolo Langhe-Roero e Monferrato. È già partito un progetto pilota per

In questa pagina Lorenzo Barbero, presidente del Consorzio dell’Asti Docg e del Moscato d’Asti Docg In apertura, un grappolo di moscato

Novembre/Dicembre 2021 PAMBIANCO WINE&FOOD 65


SCENARI

In questa pagina: a sinistra, Massimo Marasso direttore tecnico ed enologo della Fratelli Martini Secondo Luigi A destra, Enrico Gobino, direttore marketing Mondodelvino

ottenere la certificazione di qualità sostenibile Sqnpi. E successivamente all’ottenimento del certificato, lavoreremo anche sul biologico, che è ancora poco sviluppato. Stiamo lavorando sulla promozione dell’Asti anche attraverso installazioni sulle rotonde di ogni comune che fa parte della denominazione, per valorizzare il lavoro di tutti i nostri produttori. Stiamo anche attrezzandoci per l’impatto dei cambiamenti climatici sul vigneto, con scelte agronomiche adatte per poter aiutare l’Asti in questa sfida”. Non dev’essere facile presiedere un consorzio che ha così tante anime, dalle case spumantistiche ai viticoltori. “C’è competizione - afferma Barbero - ma pur con visioni diverse stiamo lottando per obiettivi comuni. Da noi vige un consiglio paritario, una testa, un voto”. LA TOP TEN In testa alla classifica dei fatturati 2020 ci sono le aziende Davide Campari e Martini & Rossi. Al terzo posto si colloca la Fratelli Martini Secondo Luigi, tra le più grandi aziende vinicole italiane a conduzione familiare. Attiva dal 1947 nella sua sede produttiva a Cossano Belbo, l’impresa ha registrato una crescita costante negli anni. “Fra i nostri marchi spiega Massimo Marasso, direttore tecnico ed enologo - spiccano Sant’Orsola in Italia e Canti all’estero”. Peraltro la famiglia Martini possiede anche quattro aziende vinicole di 66 PAMBIANCO WINE&FOOD Novembre/Dicembre 2021

proprietà. “Nel 2020 - continua Marasso - la Fratelli Martini ha prodotto circa 130 milioni di bottiglie, delle quali più del 10% appartengono alla denominazione Asti e Moscato d’Asti (di cui il 70% è Asti e il 30% Moscato d’Asti). Siamo presenti in 60 Paesi, in particolare in Gran Bretagna, il nostro mercato principale, poi in Germania e in Italia, che in questi ultimi 15 anni è cresciuta dal 5 al 22%. In Italia la nostra suddivisione del mercato è per il 70% in Gdo, il restante fra Horeca e piattaforme online. Queste ultime sono incrementate del 300%, anche se credo che questo exploit si stabilizzerà. L’Horeca è stata ferma un anno e mezzo, ma nei primi 6 mesi del 2021 ha performato con gli stessi numeri del 2019. La famiglia Martini crede molto nella denominazione, perché ama questo prodotto ma anche il suo territorio, che lo rende un’unicità”. “I nostri Asti e Moscato d’Asti - commenta Gianfranco Santero, AD e presidente di Santero 1958 - hanno delle peculiarità uniche: il luogo, che è anche patrimonio dell’Umanità, l’abbinamento con il vitigno, il moscato, dall’aromaticità e dal profumo accattivante, e i prodotti che sono di bassa gradazione alcolica, legati al concetto di festa”. Santero 1958 ha una storia lunga quasi mezzo secolo, uno stabilimento a Santo Stefano Belbo dove vengono vinificate le uve che provengono sia dalle cinque aziende agricole di proprietà,


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SCENARI

sia dalle vigne di oltre 300 viticoltori locali che hanno con l’azienda collaborazioni decennali, per un totale di 500 ettari vitati. Santero 1958, che si classifica al quarto posto, vende per un 65% all’estero in circa 40 Paesi. La produzione si attesta sui 35 milioni di bottiglie, dei quali il 15% è dedicato alle due denominazioni astigiane (di questa percentuale, la suddivisione fra le due Docg è uguale, 5050). La distribuzione avviene, per l’Italia, al 70% nel canale Horeca, 20% in Gdo e 10% attraverso l’e-commerce gestito internamente, in continua crescita. All’estero il canale principale è la Gdo. “Nel 2020 abbiamo avuto - afferma Santero - una crescita di fatturato (del 45% ndr) e anche nella produzione di bottiglie, di circa un 8%. Il mercato estero ci sta dando delle belle soddisfazioni e nel futuro penso che ci sarà ancora una richiesta importante”. Al quinto posto troviamo il Gruppo Mondodelvino, nato attorno alla MGM, che comprende cinque aziende vinicole ma concentra la produzione di spumanti ad Aqui Terme, nella casa Spumantiera Cuvage. Per il gruppo la percentuale di suddivisione del

Vigne di moscato a Santo Stefano Belbo

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mercato è Horeca al 70%, Gdo 25% e 5% e-commerce. L’Asti rappresenta poco più del 40% del fatturato complessivo. Il Gruppo Mondelvino ha crescite di fatturato annuali tra il 7 e il 10%, con un aumento della produzione dell’imbottigliato del 2%. “Complessivamente - afferma Enrico Gobino direttore marketing del Gruppo Mondodelvino - produciamo circa 700.000 bottiglie di bollicine astigiane. L’Italia per quanto riguarda l’Asti rappresenta il 15% delle vendite, il resto va all’estero, in modo particolare in Russia, Stati Uniti e in alcuni nuovi mercati quali Cina, il Giappone e la Corea del Sud. Abbiamo registrato per l’Asti una crescita del 15% sul fatturato e un +13% sulla produzione. Credo che per l’Asti stia arrivando un periodo di grandi soddisfazioni: c’è una presa di coscienza da parte dei produttori che si possa ambire a competere con le più blasonate bollicine italiane e internazionali. Per quanto ci riguarda, basti pensare che per due anni consecutivi il nostro Cuvage Asti Docg “Acquesi” è stato eletto numero uno al mondo dallo Champagne & Sparkling Wine World Championships nella



SCENARI

categoria delle bollicine aromatiche. Bisogna avere il coraggio di osare posizionamenti di eccellenza: il Piemonte è la culla degli spumanti italiani, di produttori storici e affermati e ci insegna che l’eccellenza viene premiata e deve essere grande fonte di ispirazione”. Il Gruppo Capetta di Santo Stefano Belbo comprende l’azienda Capetta, quasi esclusivamente riservata all’export e al canale Gdo, poi Duchessa Lia, distribuita attraverso la Gdo in Italia e infine Balbi Soprani, destinata all’Horeca. Il Gruppo gestisce circa 400 ettari di vigneti di proprietà di conferenti storici e possiede la tenuta Balbi Soprani di oltre 20 ettari. “Produciamo - dichiara Riccardo Capetta, presidente - circa 25 milioni di bottiglie, delle quali il 25% è rappresentato da Asti e Moscato d’Asti. Esportiamo in modo continuativo in 40 paesi del mondo; i mercati principali sono USA, America centrale e Far East. Nel 2020 abbiamo avuto un aumento della produzione del 30%.” Per il futuro della denominazione Capetta vede fondamentale insistere sulla qualità e sulla stabilità dei prezzi nel rispetto del reddito agricolo. Chiudiamo con Gancia, storica azienda fondata nel 1850, un’azienda di riferimento per lo spumante in Italia, acquisita nel 2011 da

A sinistra, Riccardo Capetta, presidente del Gruppo Capetta; a destra, Paolo Gennero, AD Gancia

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Roustam Tariko, conosciuto nel mondo come uno degli imprenditori di maggior successo nel mondo degli spirits. “Un uomo - racconta Paolo Gennero, AD Gancia dal 2021 profondamente innamorato dell’Italia. Ha dato a Gancia una dimensione globale da un punto di vista di organizzazione e forza distributiva per accelerare l’espansione mondiale di Gancia, scegliendo comunque un management tutto italiano. Attualmente vendiamo in 70 Paesi al mondo, con una percentuale export del 75%. Produciamo oltre 25 milioni di bottiglie, delle quali un quarto dedicato all’Asti e al Moscato d’Asti. Questi ultimi sono in ripresa, trainante soprattutto è il Moscato d’Asti negli USA, ma non solo. Rappresentano una grande opportunità, vista la versatilità del moscato che si sposa con tante occasioni di consumo. Però dobbiamo lavorare sul posizionamento e sulla comunicazione dell’Asti nel mondo. I nostri canali di distribuzione sono: 65% in Gdo, 25% Horeca e 10% e-commerce. La ripresa c’è ed è indiscutibile: registriamo un incremento del 20% sulla produzione a oggi rispetto al 2020, il fatturato è in crescita di un 3-5% medio, ma è soprattutto a livello di profittabilità che abbiamo fatto il salto, fattore ancora più importante del fatturato”.


IL POGGIARELLO La Barbona, Gutturnio Riserva Doc 2018

TIPICITÀ

Ha conquistato la medaglia d’oro. Citato anche tra le eccellenze dell’Emilia Romagna.

SCHEDA TECNICA VITIGNO

Barbera 55%, Bonarda 45%

GRADAZIONE

14,5% vol

TEMPERATURA DI SERVIZIO

16-18°C

TERRENO

Sciolto e calcareo, medio impasto tendente al sabbioso

AFFINAMENTO

Barrique di I e II passaggio per 14 mesi

ANALISI SENSORIALE COLORE

Rosso rubino intenso e profondo

SAPORE

Autorevole e ricco di frutta, acidità equilibrata, la potenza alcolica è ben integrata nel finale di legno e liquirizia sostenuta da tannini vellutati. Finale ricco e balsamico

PROFUMO

Maturo e ampio con frutta matura e cuoio che si fondono in una leggera nota tostata. Completo e complesso

ABBINAMENTI

Stracotto alla piacentina, carni rosse e arrosti, selvaggina e formaggi di lunga stagionatura


TENDENZE

LA CARTA DEI COCKTAIL NON È ANCORA DIFFUSA, MA DIVENTA SEGNO DISTINTIVO PER LA PROPOSTA DRINK. SI BEVE PIÙ ITALIANO E ARTIGIANALE, CON MENO ALCOL E MENO ZUCCHERO. ATTENZIONE A SOSTENIBILITÀ E CREATIVITÀ PER OFFRIRE ESPERIENZE OLTRE IL BICCHIERE.

LA MIXOLOGY ENTRA NEL MENU di Giambattista Marchetto

L

ow alcohol e zero waste, ma anche territorialità, artigianalità e creatività per offrire a chi ama i cocktail un’esperienza sempre più profonda. Sono queste le tendenze che emergono dall’universo variegato e vivace della mixology. I cocktail parlano sempre più italiano, perché la materia prima è parte essenziale dello storytelling e perché la qualità dei prodotti del Belpaese sta diventando trendy. C’è poi la ‘rivoluzione’ in corso nel fuori casa: le carte di ristoranti e pizzerie, locali etnici o wine bar stanno aprendo a drink list più evolute. E il food pairing porta in tavola le storie e il fascino, ma anche la sostanza degli spirits e degli ingredienti. TENDENZE EMERGENTI Che ci sia fermento nel mondo del bere miscelato è evidente, anche se è presto per dire se contino di più i trend modaioli o una consapevolezza di settore. “Tra le tendenze – evidenzia Francesco Bruno Fadda, curatore della guida Spirito Autoctono del TCI - va segnalata con grande entusiasmo la grandiosa e diffusa attenzione al bere italiano e all’italiana. Bartender e sommelier ‘allungano’ sempre di più la carta in direzione di una scelta e selezione di prodotti italiani. E non 72 PAMBIANCO WINE&FOOD Novembre/Dicembre 2021


TENDENZE

accade solo entro i confini nazionali, ma anche all’estero (USA e Giappone sono i mercati più importanti per il made in Italy). Una rivoluzione che sta travolgendo anche i grandi player internazionali: per fare un esempio, Pernod Ricard ha inserito in ‘scuderia’ una nuova etichetta di gin come Malfy con forte ispirazione italiana per stile, flavor ed etichetta”. Ovviamente questo si riflette nella miscelazione, con un rinnovato appeal dei grandi classici come Martini e Negroni in numerosi twist con soli ingredienti italiani. Un focus che, si spera, può andare oltre il banale storytelling è quello zero waste. “Il mondo della mixology è orientato all’utilizzo dei prodotti di scarto ottenuti dalle preparazioni e tecniche come fermentazioni o essicazione hanno permesso ai bartender di rendere più sostenibili i loro cocktail”, riferisce invece Andrea Cason CEO di Bartenders Group, specializzata in formazione e consulenza e quest’anno partner di Vinitaly per la sezione spirits. Altro punto cruciale è la gradazione alcolica più moderata, “complice la voglia di bere con più agilità, ma anche la nuova abitudine a prepararsi un drink in casa”, dice Elio Carta della distilleria sarda Silvio Carta. “La tendenza - afferma Edoardo Strano, CEO di Rossa Sicily - si è spostata, anche in mixology, verso aromi e sentori molto emblematici senza raggiungere tenori alcolici troppo elevati. A questa esigenza del consumatore si unisce la voglia di legare anche gli spirits ad una provenienza specifica, con una forte narrazione territoriale. L’Italia è un immenso giardino botanico e per noi il perno è la Sicilia, che offre tantissimi spunti olfattivi e aromatici che possono valorizzare ogni tipo di cocktail”. Il brand porta ad esempio Amara e la nuova collezione I Liquori dell’Etna, composta da dieci spirits differenti prodotti solo con frutta fresca di stagione etnea. Con una visione trasversale ai vari momenti del fuori casa, “i bartender sono i nuovi chef o pasticceri – afferma Elena Ceschelli di Bevande Futuriste – perché dietro un cocktail c’è tanto da raccontare: dagli ingredienti alla scelta dei bicchieri, dalla temperatura degli elementi alle dosi e alla garnish, fino a come viene servito e raccontato al tavolo. C’è appunto uno studio attento per far vivere

un’esperienza sensoriale al cliente sempre più attento alla qualità”. Sottolinea la ricerca costante dei produttori per rispondere alle esigenze dei professionisti e ai trend mutevoli Andreas Fellin, presidente Fonte Plose, che con le toniche Alpex e le altre sodate della linea ha lavorato sulla

Qui sopra, Amara by Rossa Sicily e la nuova linea premium gourmet di Prohibito by Bevande Futuriste In apertura, l’amaro Bomba Carta by Silvio Carta, performante in miscelazione

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TENDENZE

selezione di ingredienti naturali. “I bartender valutano con cura gli ingredienti da inserire nelle ricette, prestando attenzione alla natura e alle caratteristiche di ogni singolo elemento, la provenienza e l’azienda produttrice. Alla Florence Cocktail Week abbiamo organizzato una masterclass con Distilleria Urbana Italia sul tema della ‘miscelazione artigianale’, che rispecchia per noi l’utilizzo di prodotti ‘sinceri’, naturali e sostenibili”. E il manager sottolinea l’importanza della comunicazione social che i professionisti utilizzano per far conoscere la specificità dei prodotti da miscelazione. MIXOLOGY IN TAVOLA Un macro-trend che tutti riconoscono nel mondo della miscelazione è l’integrazione con la ristorazione. “Negli ultimi anni – conferma Andrea Cason - la sinergia tra cuoco e bartender ha reso possibile inserire cocktail come abbinamento ai piatti serviti nel ristorante. Ovviamente questo comporta una grande conoscenza delle materie prime e dei canoni di food pairing, perché il grado alcolico o la quantità di zuccheri nel drink sono elementi chiave per creare un grande abbinamento senza snaturare il piatto”. Il peso della mixology nelle carte dei ristoranti per ora è relativo in Italia, “ma la tendenza arriva 74 PAMBIANCO WINE&FOOD Novembre/Dicembre 2021

A sinistra, mixology in corso con Don Papa (nella scuderia Rinaldi 1957). Qui sopra, il food pairing con cocktail proposto da Bartenders Group

dai grandi stellati internazionali – rilancia il manager – Sempre più spesso troviamo un piatto con un piccolo accompagnamento diverso da vino e birra. Si possono fare abbinamenti con drink semplici, come un gin&tonic, oppure lavorare sulle materie prime e sulle tecniche del bartender per accostamenti complessi e profilati sulle creazioni dello chef”. “Finalmente – aggiunge Francesco Fadda - in tanti ristoranti e nelle pizzerie più avvedute inizia a vedersi (seppure timidamente) la carta dei cocktail, prevalentemente incentrata sul gin&tonic, ma è pur sempre un passo in avanti. In qualche caso c’è una proposta completa di abbinamento con il menu. Ancora molti operatori sono reticenti nel lavorare sul drink cost, ma quando inizieranno a valutare i numeri sono certo che la carta dei cocktail avrà un peso più imponente”. E in questa direzione ecco l’exploit dei cocktail bar con cucina, vera tendenza di importazione americana. Rispetto al pairing tra mixology e food, il direttore marketing e pr di Rinaldi 1957


Champagne Duval-Leroy è distribuito in Italia da Pescarmona Importatori

pescarmona-importatori.it

pescarmona_importatori_1947 pescarmonaimportatori1947


TENDENZE

Gabriele Rondani sbotta: “finalmente!”. Perché “sono anni che ne parliamo - spiega - e solo ora si inizia a realizzarlo. A Milano in questa direzione si vedono le cose prima e il trend è già consolidato, ma ora investe molte altre città. Il food pairing cresce non solo con la mixology, ma anche con spirits lisci o con ghiaccio”. Secondo il manager spesso gli abbinamenti “sono più un’occasione per raccontare qualcosa di nuovo, però anche il problema dei limiti per chi guida ha anticipato il consumo da fine pasto a tutto pasto. È saltato ogni tabu sugli orari per consumare spirits e per i ristoranti è un’opportunità per un upselling sul conto finale”. Dalla Sicilia, Edoardo Strano rimarca come una drink list ben studiata sia sempre più elemento irrinunciabile nelle proposte della ristorazione, dal fine dining a format più immediati come la pizza contemporanea, hamburgherie e paninerie che guardano all’eccellenza delle materie prime. “Questa nuova attenzione all’abbinamento a tutto pasto - sostiene - ha portato a pensare a delle proposte di mixology con ingredienti e spirits che esprimono una territorialità più spiccata, in modo da poter dialogare in maniera più distintiva con le singole portate, ricercando armonie di sentori,

Alpex by Plose, la tonica dedicata alla mixology gastronomica

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profumi e sapori, esattamente come si farebbe con un vino”. E i bartender elaborano drink su misura per i piatti, con spirits più specifici. “Si pasteggia con il cocktail e vi ritroviamo elementi che compongono il piatto”, rimarca Elena Ceschelli citando la nuova linea premium Gourmet di Prohibito per i bartender che sperimentano emozioni polisensoriali. “Abbiamo lanciato tre sciroppi naturali e italianissimi, tutti basati su presidi Slow Food – racconta – e in occasione della Florence Cocktail Week abbiamo proposto un menu speciale di cocktail e pizze gourmet a tema Puglia. Provare per credere! La mixology in ristorazione non sta ancora spopolando, ma noi supportiamo con la formazione e la creazione di drinklist studiate ad hoc”. “La conoscenza approfondita delle materie prime e lo studio degli abbinamenti – aggiunge Andreas Fellin - hanno dato il via al food pairing dalla pizza ai piatti esotici, fino alle ricette gourmet di ristoranti di alto livello”. E dato che Plose era nella ristorazione con le sue acque, ha potuto notare l’evoluzione: “i format dei ristoranti e degli hotel stanno cambiando - dice - e oltre alla cucina si sta sviluppando molto l’area del bar, con un inedito lavoro di cooperazione e scambio di idee tra chef e bar manager. E la carta dei ristoranti è molto più dettagliata su materie prime e scelte del ristoratore. Il consumatore ha in mano una vera esperienza da condividere”. Questo trend si vede negli ordinativi. “Le richieste dei clienti sono cambiate – confermano da Silvio Carta – e se fino a pochi anni fa nei ristoranti si vendevano solo grappe e amari da fine pasto, oggi gin, bitter e amari da mixare sono in fortissima crescita. E noi abbiamo spinto in questo senso, studiando linee apposite e offrendo un servizio gratuito per creare una carta cocktail cucita sul menu”. GIOVANE O SOFISTICATA? Il taglio dell’esperienza mixology dipende poi dal contesto. “In ristorante o in pizzeria – chiarisce Fadda - prevale sicuramente uno stile più giovane, agile e talvolta più sfrontato. Nei cocktail bar e nei grandi hotel c’è un approccio più sofisticato, per cui il racconto e il savoir faire diventano essenziali”. E dunque, come evidenzia Edoardo Strano, la mixology sofisticata è ancora oggi appannaggio del afterdinner.



TENDENZE

DAGLI HOTEL INTERNAZIONALI AI RISTORANTI GOURMET O INFORMALI, LA MIXOLOGY È UNA TENDENZA MA ANCHE UNA STRADA DA ESPLORARE PER ALLARGARE IL BUSINESS. COSÌ IL BAR NON È SOLO UN PLUS MA GIOCA UN RUOLO DA COMPRIMARIO CON LA CUCINA.

METTI UNA SERA A CENA (BAR INCLUSO) di Simone Zeni

I

n principio erano gli hotel. Soprattutto nelle grandi strutture alberghiere nel mondo, in cui la necessità di una proposta diversificata e orientata all’all day dining è intrinseca. È qui che il bar e il ristorante hanno avviato il dialogo, con una proposta cocktail che potesse arrivare in tavola o con bistrot provvisti di drink list. Oggi sono sempre più i ristoranti che dedicano al bar uno spazio non più secondario, ma da comprimario rispetto alla cucina. C’entra la tendenza internazionale di una mixology sperimentale, certo, ma i motivi sono anche economici. È noto, ad esempio, che il ricarico sul drink cost, rispetto a quello del vino e del cibo, è nettamente maggiore, viaggiando su percentuali che vanno dal 250% al 500%, a seconda di location e target. L’Italia, con Milano capofila, si è certamente accorta dell’opportunità, e un numero crescente di realtà della ristorazione propone un’offerta mixology solida, che da contorno diventa autentica occasione di business. I PIONIERI DELL’OFFERTA IBRIDA Fino a qualche anno fa, i casi milanesi de Il Liberty dello chef Andrea Provenzani, che aveva fatto del gin tonic a fine pasto un rito richiesto dai clienti, e del Dry, che per primo

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TENDENZE

aveva affiancato la pizza e i drink, sembravano isolati, seppur virtuosi e di grande successo. La situazione attuale è ben diversa, e i ristoranti fine dining che nascono all’ombra della Madonnina, ma anche lungo tutto lo Stivale, sono degli ‘ibridi nativi’ e affiancano alla proposta food e alla cantina il bar. È il caso di IT, ristorante una stella Michelin che ha portato in Brera una proposta d’ispirazione mediterranea affiancata da un’atmosfera rilassata irrorata dal grande bancone, e de L’Alchimia, anch’esso stellato dal 2020, che affianca alle scelte enologiche di Alberto Tasinato i drink di Valerio Trentani, restaurant & bar manager. Ristorante e bar dialogano anche in altre realtà affermate come Terrazza Triennale dello chef Stefano Cerveni e Ceresio 7, dove sono protagonisti i piatti dello chef Elio Sironi e le creazioni del bar manager Guglielmo Miriello. Lo stesso fanno il ristorante Piano 35 di Torino, dove lo chef Marco Sacco segue la cucina, mentre il figlio Simone è al timone del lounge bar, e Locale Firenze nel capoluogo toscano. E se a Roma Reserva Restaurante y cocteles propone la mixology come pairing ad un menu di carne, Litho55 a Portici e Ristorante Olio ad Origgio affiancano i cocktail ad una cucina di pesce. Racconta Luigi Milini, proprietario e creatore del locale in provincia di Varese e di Spazio The Box: “In una realtà polimorfa come la nostra non poteva mancare uno spazio destinato al cocktail bar. Abbiamo voluto che fosse una zona ampia, comoda, in cui indugiare, chiacchierare, fare affari o divertirsi prima di cena, ma anche dopo, con una proposta molto varia di pre e di after dinner, perché vogliamo che l’esperienza sia indimenticabile nella sua interezza”. ALL DAY DINING E RISTORAZIONE 2.0 Gli hotel continuano la loro tradizione di mixology al loro interno, rendendola più che mai contemporanea. Il Grand Hotel Parker’s di Napoli è reduce da Parker’s Pop Up, progetto temporaneo con cui ha portato lo speakeasy partenopeo L’Antiquario sulla propria terrazza; il Four Seasons di Milano ha appena lanciato la possibilità di gustare pizze gourmet, nate dalla collaborazione tra l’executive chef Fabrizio Borraccino e Marzia Buzzanca, con i drink del bartender Luca Angeli. Ma avere una proposta capace di incontrare le esigenze del cliente

nell’arco di tutta la giornata non è ormai una necessità esclusiva dell’hospitality. Spiega Sandra Ciciriello del 142 Restaurant: “Volevo dare un taglio più internazionale al mio locale. In qualsiasi ristorante di New York in cui sono stata, già da ragazza, era presente il cocktail bar. Nel 2013 sono stata

In questa pagina, dall’alto: l’aperitivo de L’Alchimia e di Ristorante Olio In apertura: il bar di Litho 55

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TENDENZE

tra i primi a ritagliare spazio per i cocktail nel mio bar nel ristorante Alice, quando si era appena trasferito dentro Eataly. Ora, con 142 Restaurant, avevo voglia di dare l’opportunità a chi viene per la cena di fare un aperitivo prima o di bersi un drink durante o a fine pasto. Penso che se una persona sta davvero bene all’interno di un locale, volentieri decide di proseguire lì la serata”. Un’esigenza del consumatore che diventa pertanto opportunità per il ristoratore. E come questo ristorante milanese, che vanta anche una pasticceria interna, anche Numa al Circo a Roma lavora su un’offerta all day dining che parte dalla colazione e passa per pranzo, aperitivo e cena, in cui è sempre possibile ordinare un drink. E nell’interpretare la contemporaneità della richiesta interessante il caso di Casa Mago a Torino dello chef Marcello Trentini e della moglie Simona Beltrami. Il cocktail bar, pur non comunicando direttamente con il loro stellato Magorabin, ha sede nella porta accanto, dando così la possibilità alla clientela di accedere ad una proposta informale (anche food) dall’aperitivo all’after dinner. Ancora a Milano il Ca-Ri-Co di Dom Carella e Lorenzo Ferraboschi ha aperto la Martini Room, una stanza interamente dedicata all’alcolico. La formula per accedervi? 30 minuti a 30 euro per un aperitivo, 60 minuti a 50 euro per una light dinner e 90 minuti a 70 euro per l’esperienza completa. 80 PAMBIANCO WINE&FOOD Novembre/Dicembre 2021

A sinistra, il bancone di 142 Restaurant. Sopra, pizza e cocktail da Donatelli 3011

PIZZA E DRINK: BINOMIO PERFETTO Ma se si parla di bar, uno dei maggiori food trend è quello dell’abbinamento tra pizza e cocktail, ormai molto diffuso. Il Dry continua su questa strada ma anche Bioesserì, insegna presente a Milano e a Palermo, nella sua sede di Porta Nuova ha un ampio bar, per l’happy hour o per un pairing con pizze e piatti mediterranei. Una tendenza che si può ritrovare anche in indirizzi cult quali Spazio Rock di Brescia, Donatelli 3011 di San Giovanni Lupatoto, Battil’oro di Querceta, Largo 9 di Firenze. A testimonianza della rilevanza del fenomeno, la nascita di Giolina & S.Pellegrino Young Chef Academy. Voluto da Ilaria Puddu, ideatrice dell’insegna della pizza assieme a Stefano Saturnino, con S.Pellegrino, il progetto prevede una serie di pizze limited edition (realizzate da Paolo Griffa, Luca Natalini, Davide Marzullo e Chang Liu assieme all’executive pizzaiolo Danilo Brunetti), che è possibile abbinare ai cocktail realizzati con bibite Sanpellegrino dal celebre bartender Mattia Pastori. Come la pizza, sono altre le proposte di ristorazione ‘easy’ che vogliono dare il giusto spazio al bar, dal Bros and Bun a San Giorgio a Cremano a Marcellino Il Sarto del Panino a Milano.


Un luogo straordinario aa ridosso ridosso delle di di tesori d’arte e naturalistici . Un luogo straordinario delleAlpi, Alpi,ricco ricco tesori d’arte e naturalistici . Un desiderio di dar vita a una viticoltura in equilibrio con l’ambiente, nel rispetto Un desiderio di dar vita a una viticoltura in equilibrio con l’ambiente, nel rispetto dei principi naturali e di sostenibilità. Una cultura antica dalla quale nascono dei principi naturali e di sostenibilità. Una cultura antica dalla quale nascono vini pregiati, la cui vivacità accompagna da sempre brindisi e degustazioni, vini dona pregiati, cui vivacità da disempre brindisiriconosciuto e degustazioni, piacere,laleggerezza e gioia accompagna di vivere. Uno stile vita inimitabile, donainpiacere, leggerezza e gioiaunico, di vivere. stile di vita riconosciuto tutto il mondo, un prodotto capaceUno di illuminare ogniinimitabile, attimo. in tutto il mondo, un prodotto unico, capace di illuminare ogni attimo. Benvenuti in Franciacorta.

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TENDENZE

SUSHI, FUSION E COCKTAIL LIST Pare poi che i ristoranti con una proposta di sushi, in particolare quelli creativi e d’ispirazione nippo-brasiliano o nikkei, contemplino volentieri nella loro colorata offerta il bar. Ne sono un esempio format di successo come Temakinho e Bomaki. A Roma il mondano Zuma ha un’ampia selezione di drink a disposizione della clientela, così come a Milano il ristorante Izu di Jin Hu o il Batukada di Jean Carlo Lima e Ana Paula de Oliveira. Ancora il Nishiki di Alessandra Hu e Xiaobo Zhou o, a Nova Milanese, il Mu Fish di Liwei Zhou, dove dietro il bancone troviamo il bartender Sergio Testaverde. Dello stesso gruppo, anche il Mu dim sum, accanto a Stazione Centrale, propone, in alternativa al tè, vera specialità della titolare Suili Zhou, la possibilità di ordinare miscelati dal bar da gustare con la cucina cinese. Lo stesso fanno il Dao – Dim Sum Bar di Roma, lo Staj – Noodle Bar di Napoli e, rimanendo nel capoluogo meneghino, i locali dell’insegna Hekfanchai, con il loro street food di Hong Kong. Contaminazioni e mixology dunque vanno a braccetto in diverse cucine del mondo: da Spica, il ristorante in Porta Venezia di Ritu Dalmia e Viviana Varese che affianca sempre a portate internazionali un buon cocktail, a El Tacomaki, recente apertura in via Fauchè e in Corso Corso, in cui cucina tex-mex, latina e

A sinistra, l’offerta del Dao Dim Sum Bar e. sopra, happy hour al Ceresio 7

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nipponica si fondono. Sottolinea il restaurant manager Fabrizio Castorani: “Non a caso la nostra drink list ha come ingrediente principale la tequila. Secondo i numeri di via Fauchè la Capirinha è il cocktail più venduto in assoluto, seguito da Margarita e Mojito. Sicuramente puntiamo a farci riconoscere con i nostri drink fruttati, utilizzando sempre frutta esotica. Uno di questi è il Mambo Mango, cocktail a base di tequila e mango con un tocco piccante. Nella nostra carta inoltre diamo la possibilità ai clienti di assaggiare degli ottimi Mezcal artigianali”. NUOVE APERTURE. IMMANCABILE IL BAR Ed è così che le nuove aperture, in particolare quelle gourmet, contemplano ormai il bar come parte integrante dell’offerta, capace di elevare l’esperienza del cliente. A Napoli il Gruppo JCo, molto apprezzato in Campania per i locali J. Contemporary Japanese Restaurant, ha aperto Aria Restaurant, un ristorante che, con la cucina di Paolo Barrale, è l’essenza del fine dining e comprende un elegante e fornitissimo bar (oltre a un secret bar al piano -1). A Milano lo chef Andrea Aprea, reduce dall’addio al Park Hyatt, apre al Museo Etrusco un ristorante in cui ampio spazio verrà dato a bar e bistrot. Infine a Genova il gruppo Mentelocale Bistrot, cambia per una volta la sua rodata formula per aprire all’interno di Palazzo Ducale Cucine Ducale - Cocktail & Wine Restaurant.


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SETTE PONTI


TENUTA SETTE PONTI

La famiglia Moretti Cuseri festeggia i vent’anni di Oreno, Igt Toscana la cui prima vendemmia risale al 1999. Per celebrarli, ha organizzato al Mandarin Oriental di Milano una verticale delle 20 annate presentate da due grandi esperti del vino come il primo italiano Master of Wine Gabriele Gorelli e il wine critic e Miglior Sommelier del mondo per la Wsa Luca Gardini. Da sinistra, Alberto Moretti Cuseri, Amedeo Moretti Cuseri, Giovanna Moretti e Antonio Moretti Cuseri

Vent’anni di ORENO L’etichetta più nota di Tenuta Sette Ponti della famiglia Moretti Cuseri festeggia le sue prime venti annate. È Oreno, che prende nome dal torrente che attraversa la tenuta, presentato come un “vino elegante, avvolgente e di grande struttura”, che ricorda nei suoi sentori il territorio di provenienza, tra Firenze e Arezzo. “Oreno nasce dal desiderio di fare un grande vino, cercando di fare meglio e sempre di più”, spiega Antonio Moretti Cuseri, a capo del gruppo all’interno del quale orbita Tenuta Sette Ponti. “Venivo da una lunga esperienza nel mondo della moda e a un certo punto ho fatto una scelta: quella di dedicare la maggior parte della mia vita alla campagna e di conseguenza alla vite”. Questo vino, nato nella vendemmia 1999, “rappresenta l’immagine internazionale della qualità della Tenuta Sette Ponti, il vino che subito dai primi anni di produzione l’ha portata ai vertici delle classifiche internazionali”. Il più significativo è arrivato a pochi anni dalla prima vendemmia, quando Wine Spectator ha premiato Oreno come il 5°, 10° e il 15° miglior vino della Wine Spectator Top 100 del mondo. Non a caso, le circa 45.000 bottiglie prodotte, su un totale di 250.000 a marchio Tenuta Sette Ponti, vengono distribuite nel canale horeca tra Italia ed estero, in primis Stati Uniti, Canada, Hong Kong, Shangai, Singapore e i Paesi di lingua tedesca. I vitigni

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internazionali da cui provengono le uve di Oreno sono innestati su piante già adulte, mentre le fasi di produzione in cantina assecondano i processi naturali di fermentazione, senza bisogno di altri interventi. Fermentazione e macerazione avvengono a temperatura controllata per circa 25 giorni. Al resto pensano il tempo, il riposo, la luce fatta di penombre e i profumi della cantina. La maturazione in piccole botti di rovere dura circa 18 mesi e l’affinamento in bottiglia un anno. Il blend di questo Igt Toscana è composto da una selezione di uve dei vitigni che lo compongono per il 50% di Merlot, per il 40% di Cabernet Sauvignon e per il 10% di Petit Verdot, dotati di grande struttura e concentrazione aromatica a cui contribuiscono le brezze che soffiano tra le vigne della tenuta a Castiglion Fibocchi, a 250 metri sul livello del mare. In questi vent’anni, “abbiamo cambiato il blend, diminuendo lentamente il sangiovese fino a rimuoverlo nell’annata 2008 a favore del Petit Verdot”, precisa Moretti Cuseri. “Abbiamo cercare di esaltare più i profumi e la freschezza del frutto, e di aumentarne la complessità e la struttura, per farne un vino ancora più longevo nel tempo”. E come si prospetta il futuro di questa etichetta? “Negli anni questo vino ha saputo mantenere forte la sua identità, grazie anche allo stretto legame con il territorio di origine. Non vediamo


TENUTA SETTE PONTI

l’ora di provarne l’evoluzione tra altri 20 anni, certi che in bottiglia ritroveremo comunque le stesse emozioni che lo hanno reso speciale fin dalla prima vendemmia”. L’EVENTO Per celebrare il ventennale di Oreno, la famiglia Moretti Cuseri ha organizzato, al Mandarin Oriental di Milano, una verticale delle 20 annate. La narrazione delle vendemmie dal 1999 al 2014 è stata affidata al Master of Wine Gabriele Gorelli, che commenta: “Un metodico ‘fine tuning’ stilistico e qualitativo sempre percettibile ma mai troppo di rottura. Oreno ha saputo trovare la sua identità in una confluenza tra metodo e territorio che oggi lo eleva di diritto allo status di ‘vino Icona’”. Le annate dalla 2015 alla 2019 sono state invece presentate dal wine critic e Miglior Sommelier del mondo per la Wsa Luca Gardini. “La grandezza dell’Oreno è la versatilità e l’adattabilità perché in grado di interpretare al meglio anche le annate più difficili tirando fuori la beva, l’eleganza e l’impronta stilistica di questo vino”, spiega Gardini. “Il futuro dell’Oreno lo vedo ancora nell’Olimpo dei grandi vini perché è evidente il lavoro pazzesco che si sta facendo in vigna e che in cantina si è capaci di esaltare e valorizzare con precisione e grande lavoro”. Alla degustazione era presente anche Giuseppe Caviola, enologo consulente di Tenuta Sette Ponti. “Ciò che ho cercato di fare spiega Caviola - è mettere in evidenza i tratti distintivi e i caratteri di questo territorio e dei vitigni”. La cena ha visto protagonisti la

cucina dello chef Antonio Guida del ristorante stellato Seta. In abbinamento ai suoi piatti, i vini della famiglia Moretti Cuseri quali Family & Friends 2019, Feudo Maccari – Vigna dell’Impero 2016 e Oreno 2019, Tenuta Sette Ponti e Sultana 2014, Feudo Maccari. IL GRUPPO La storia delle tenute Moretti Cuseri ha inizio negli anni ’50 quando l’architetto Alberto Moretti Cuseri acquista i primi 55 ettari direttamente dalle principesse Margherita e Maria Cristina di Savoia d’Aosta, figlie del celebre Duca Amedeo di Savoia d’Aosta. Alla fine degli anni ’90 il figlio Antonio Moretti Cuseri decide di produrre il primo vino in bottiglia. La prima vendemmia risale al 1998 con il Crognolo mentre con l’annata 1999 si vede appunto la nascita di Oreno, entrambi a etichetta Tenuta Sette Ponti, nome che deriva dai Sette Ponti sul fiume Arno presenti sulla strada che da Firenze porta ad Arezzo. Nel 2005, l’acquisizione di altri 7,5 ettari a Bolgheri, esattamente a Castagneto Carducci, con la creazione della tenuta Orma e precedentemente Poggio al Lupo in Maremma. Nel complesso, le tre tenute toscane hanno fatturato 5,5 milioni nel 2020, di cui l’85% generato dall’estero. Proseguendo Nel 2000, durante un viaggio in Sicilia orientale, nella Val di Noto in provincia di Siracusa, Antonio Moretti Cuseri si innamora di alcuni terreni della zona e decide di intraprendere una nuova impresa nel vino: nascono quindi Feudo Maccari e Contrada Santo Spirito di Passopisciaro, realtà da 1,5 milioni di ricavi nello scorso anno.

Tenuta Sette Ponti Sotto, la Magnum Oreno 2019 Toscana Igt in edizione limitata con etichetta speciale “Celebrating 20 Years of Oreno, 1999-2019”

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MONTELVINI

La nuova etichetta FM333, i riconoscimenti Industria Felix, che premia le performance gestionali, e Corona Vinibuoni d’Italia, per l’abilità spumantistica. Sono solo alcuni degli elementi che hanno contraddistinto il 2021 di Montelvini, che guarda già con grinta ai prossimi mesi.

Sopra, Sarah, Alberto e Armando Serena e, a destra, i vigneti di Montelvini

Anno di premi e novità per MONTELVINI Giunti a fine anno, è tempo di tirare le somme per Montelvini, cantina con sede a Venegazzù (Tv), nel cuore della Docg Asolo Montello, e da oltre 26 milioni di euro di fatturato. Il 2021 è stato infatti un anno ricco di novità per la cantina veneta che, tra le altre cose, ha lanciato FM333, un Asolo Prosecco Superiore Docg Brut Millesimato 2020 il cui nome nasce dall’unione dell’acronimo di ‘Fontana Masorin’, storica tenuta di famiglia, con la sua altezza sul livello del mare, e la cui particolarità risiede nell’uso di un’unica fermentazione anziché due come accade solitamente nel Prosecco. “Per noi si tratta di un sogno che diventa realtà racconta l’AD Alberto Serena - il coronamento di un percorso di ricerca che portiamo avanti da anni e che rappresenta l’eccellenza dell’abilità spumantistica della nostra azienda e della qualità che il nostro territorio è in grado di esprimere”. Il 2021 è stato anche un anno di riconoscimenti. L’azienda ha infatti ricevuto l’Alta Onorificenza di Bilancio nell’ambito del Premio Industria Felix - L’Italia che compete, un titolo riservato alle aziende con sede legale in Italia con le migliori performance gestionali e con un indicatore di affidabilità finanziaria di solvibilità o sicurezza. “Per la nostra azienda - spiega Sarah Serena, direttore generale

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dell’azienda - è segno di una crescita costante e di un percorso consolidato dalla nostra expertise, ulteriormente confermato dall’avvio dell’iter per il conseguimento di Equalitas”, certificazione che attesta la sostenibilità aziendale a livello economico, sociale e ambientale. Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, l’azienda ha iniziato da tempo un percorso per essere più ‘green’, partito con l’uso della carta certificata Fsc per la realizzazione delle proprie etichette. Si aggiunge poi il premio Corona Vinibuoni d’Italia dato all’Asolo Prosecco Superiore Docg Extra Dry Serenitatis, il massimo riconoscimento che la Guida del Touring Club Italiano attribuisce ai vini d’eccellenza e che, in questo caso, premia “il nostro protocollo di spumantizzazione attento e accurato”. Per quanto riguarda i progetti futuri della cantina, a partire da gennaio 2022, verrà lanciata la nuova linea Plumage, la collezione esclusiva destinata alla gdo con un posizionamento premium, rinnovata nel design, nel packaging e nel concept. Con questa linea “consolidiamo ulteriormente la nostra presenza sul mercato attraverso la grande distribuzione, venendo incontro a una crescente richiesta dei consumatori e assicurando ulteriore visibilità e accessibilità commerciale alla denominazione di Asolo”, conclude l’AD.


INDUSTRIA DOLCIARIA BORSARI

Due nuove opening in Italia previste a novembre e dicembre. L’obiettivo del gruppo di Badia Polesine è arrivare a dieci punti vendita entro il 2025 e consolidare un legame diretto con il consumatore.

Da sinistra, Caffe Borsa e Andrea Muzzi

spinge sul retail Idb-Industria dolciaria Borsari punta all’espansione della sua rete in Italia. Con un giro d’affari di 45 milioni di euro prepandemia di cui 5 milioni dal canale retail, oggi, il gruppo vanta cinque punti vendita: Badia Polesine, Milano e Foligno che si occupano di pasticceria, caffetteria e ristorazione veloce e gli spazi di Torino e Falconara che sono puri spacci. Ma la crescita sul territorio nazionale non si ferma qui. “Abbiamo rilevato un caffè storico a Rovigo, Caffe Borsa, che ci apprestiamo ad inaugurare entro fine novembre”, ha spiegato Andrea Muzzi, amministratore delegato della società. “Il format sarà diverso dai soliti, essendo un caffè storico in centro ma sarà garantito anche qua il servizio di ristorazione come ovviamente quello di caffetteria e pasticceria”. Il locale sarà completamente rivoluzionato nella sua geografia interna e nella sistemazione del banco bar e degli altri elementi di arredo. Effettuerà servizio tradizionale di bar-caffetteria e di commercializzazioni dei prodotti dolciari del gruppo Borsari. L’opening, previsto alle porte del periodo natalizio, non è affatto casuale, rientra infatti in un piano strategico del gruppo di Badia Polesine, specializzato appunto nella produzione e vendita di prodotti dolciari e panettoni. Entro la prima metà di dicembre, invece,

verrà aperto un nuovo store da 700 metri quadrati a Legnago (VR). “Qui l’offerta sarà completa, dalla parte market vendita panettoni e tutti i nostri prodotti, pasticceria fresca, gelateria, caffetteria e ristorazione veloce”, ha sottolineato Muzzi. Borsari pur rimanendo molto concentrata nel business della ricorrenza, sta intraprendendo una ulteriore strada nel mondo del retail per poter parlare direttamente al consumatore tramite un rapporto diretto. L’obiettivo a medio termine è arrivare a dieci punti vendita entro il 2025, con un fatturato stimato di circa 12/15 milioni di euro proveniente da questo canale. Promotore del made in Italy alimentare, il gruppo Borsari aggrega le imprese dolciarie Antica Pasticceria Muzzi, Borsari, Giovanni Cova & C., Scar Pier, Torronificio Bedetti, La Torinese, Golfetti e Tommaso Muzzi. Ognuna di queste si caratterizza per la propria unica storia e peculiarità, nonché per l’attenzione all’artigianato e alla qualità dei prodotti, questa combinazione e visione di unione ha permesso a Idb di essere una tra le prime aziende italiane del settore in un’ottica multibranding e multichannel. La sua storia ha radici a partire dai primi del ‘900 ma l’importante linea di demarcazione è stata determinata dall’acquisizione e rilancio ad opera della famiglia Muzzi.

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Itinera

evolutionary roads

Itinera è la nuova collezione Berlin Packaging | Bruni Glass per il Wine packaging di domani. Un percorso che fonde sapientemente forme e dettagli di una tradizione senza tempo con proposte innovative e d’avanguardia, superando i confini nazionali per incontrare il gusto dei brand contemporanei. Due linee di prodotto distinte - Selection ed Experience - otto declinazioni di design che includono “Aurelia”, l’innovativa bottiglia eco-friendly a ridotto impatto ambientale. Scoprite tutte le strade dell’evoluzione.

berlinpackaging.it | bruniglass.com/itinera


PRODOTTI

WHAT’S NEW? Mai più senza

di Marco Caruccio

Una bottiglia di bollicine è il passepartout per qualsiasi occasione, soprattutto quando c’è da brindare al nuovo anno. Spumanti e vini pregiati festeggiano il 2022 in grande spolvero, con limited edition e packaging speciali. Oltre alle grandi occasioni, un bicchiere di Franciacorta o Prosecco può accompagnare tutti i pasti della giornata fino all’after dinner, è sempre l’ora giusta per concedersi un drink. Tra i buoni propositi per il nuono anno svetta in cima alla lista l’acquisto di un elettrodomestico di ultima generazione. Frigoriferi slim e cantine perfette per la cucina domestica. Oltre al refrigerio per le bottiglie non mancano i sistemi di cottura con app integrata che permettono di cucinare da remoto e gli elettrodomestici cordless. Il futuro è già qui, con certificato di garanzia incluso.

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PRODOTTI

All Day Long È sempre il momento giusto per concedersi un calice. Le bollicine sono tra i cadeau più apprezzati durante le festività ma possono essere gustate tutti i giorni. Per completare la cena, da servire con i dessert ma anche a pranzo o per l’aperitivo. Cin Cin.

ANNA SPINATO Il restyling del Prosecco Doc biologico Brut Anna Spinato racconta il territorio e la tradizione, dalle rive del fiume Piave ai rami di salice selvatico usati per legare i tralci. Il contenuto è una bollicina fine dai sentori di pesca e lieve fragranza di nocciola.

MASOTTINA R.D.O. Ponente Brut 2020 è nato in uno dei migliori cru della Conegliano Valdobbiadene: Rive di Ogliano. Frutto di uve selezionate raccolte a mano, vinificate in bianco sfruttando la gravità. Le tonalità olfattive ricordano frutta tropicale, fiori bianchi, agrumi ed erbe officinali.

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MONTELVINI l’Asolo Prosecco Superiore DOCG Extra Dry Serenitatis racchiude l’essenza più profonda dei vigneti dei colli asolani e si aggiudica meritatamente l’esclusiva Corona Vinibuoni d’Italia 2022, attribuita quest’anno a soli due vini del territorio.

SERENA WINES 1881 In occasione del 140° anniversario di attività nasce una bottiglia celebrativa di Prosecco doc rosé Brut millesimato 2020. L’etichetta della bottiglia è stata ideata da una studentessa dell’Accademia delle Belle Arti di Venezia, a conferma della fiducia dell’azienda nei giovani.


PRODOTTI

LA TORDERA Il Cartizze Dry Valdobbiadene Docg La Tordera ha un sapore intenso che ricorda la sensazione di mela e pera matura oltre a sentori di tiglio, glicine e mandorle. Lo spumante è il risultato della filosofia sostenibile Natural Balance.

BELLAVISTA Alma non dosato Rosé è un vino le cui sfumature color petalo di rosa compongono un’immagine raffinata, mostrandosi al naso con l’eleganza della bacca bianca. Nuance floreali, note agrumate di pompelmo rosa, biancospino e sentori di noce moscata.

FOSS MARAI Nadin Millesimato Dry di Foss Marai nasce da uve scelte in vigneti storici del comprensorio prealpino di Valdobbiadene, con l’impiego di lieviti autoctoni e naturali. Fruttato, ideale come aperitivo e a fine pasto, si abbina con pasticceria e dolci lievitati.

BORTOLOMIOL Vino biologico fedele alla filosofia della famiglia Bortolomiol. Durante la vendemmia, due giorni sono dedicati alla raccolta delle uve, per garantire un controllo assoluto sui valori di qualità e maturazione. Millesimato, per ricordare le caratteristiche di ogni vendemmia.

BERLUCCHI Limited edition per i 90 anni di Franco Ziliani, creatore della prima bottiglia di Franciacorta. Il miglior Chardonnay del vigneto Arzelle nel millesimo 2008, senza dosaggio con un’etichetta scultorea in ottone. Esistono solo 860 magnum e 5mila bottiglie.

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ELETTRODOMESTICI PRODOTTI

NUOVI AMICI HI-TECH

HAIER Le nuove cantine vino della gamma Glass permettono di entrare, tramite l’app hOn in Vivino, una delle community più amate dai winelover, per avere consigli su etichette, conservazione e abbinamenti. La app permette di controllare la cantina da remoto, impostare la temperatura o i programmi di conservazione ideali, oltre a consultare la personale lista dei vini.

Una volta provati è impossibile farne a meno. Gli ultimi robot da cucina sono i complici indispensabili per realizzare piatti e bevande eccellenti. Grazie alle nuove versioni hi-tech si azionano anche a distanza, con un click. E la cena è pronta.

FAEMA Il Gruppo Cimbali presenta attraverso il brand Faema una nuova macchina per il caffè espresso, Faemina, debuttando così nel segmento Home Bar e Small Business, entrando ad esempio in boutique, concept store e bistrot. Firmata da ItalDesign, Faemina combina innovazione ed eleganza per offrire una performance eccellente.

CORAVIN Il sistema di conservazione del vino spumante Coravin Sparkling abbina uno Stopper universale con un’unità principale di ricarica che permette di riportare il livello di Co2 dello spumante allo stato originale dopo aver versato uno o più calici normalmente. Questo processo permette la conservazione perfetta di qualsiasi vino frizzante fino a due settimane.

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PRODOTTI

AMC Il nuovo sistema di cottura M30 s si avvale della app Cook & Go che consente di attivare e cucinareda remoto. Il sistema premium di AMC utilizza un metodo intelligente, facile e intuitivo, in grado di garantire il controllo ideale della temperatura e dei tempi di preparazione per una cucina sana, capace di preservare le sostanze nutrienti.

GRUNDIG Himalaya 75 è il frigorifero combinato da incasso progettato per adattarsi a nicchie di 75 cm, con un’altezza di 193 cm, permette di avere a disposizione fino a 405L di capacità totale per una migliore conservazione degli alimenti. La tecnologia VitaminZone, permette di ottenere una perfetta conservazione dei contenuti vitaminici di frutta e verdura.

KITCHENAID Addio cavi. La linea di elettrodomestici cordless realizzata da KitchenAid comprende il tritatutto da 1,18 L, il frullatore a immersione e lo sbattitore ideati appositamente per sentirsi liberi di esprimere la propria creatività dove e quando lo si desidera, senza più ostacoli. Tre alleati dal design compatto, performanti e maneggevoli senza l’ingombro dei fili.

CARPIGIANI Freeze & Go è il mantecatore da banco che in 55 cm racchiude la potenza e l’affidabilità della tecnologia Carpigiani, azienda specializzata nella produzione di macchine per la gelateria. Può mantecare da 150 a 500 grammi di gelato in pochi minuti ed è dotata del sistema plug & play per collegarla direttamente ad una presa di corrente.

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Fashion, Design, Beauty, Food & Wine

Il primo fondo di Private Equity che investe nelle eccellenze del Made in Italy quadriviogroup.com


Cover STORY

KAZUHIDE YAMAZAKI A SUON DI PITTURA

‘Still Life’ è il quarto album live dei Rolling Stones, registrato durante il tour americano del 1981 e pubblicato l’anno seguente alla vigilia del tour europeo. In copertina campeggia un’illustrazione di Kazuhide Yamazaki. Noto soprattutto per la sua collaborazione con la rock band britannica, l’artista giapponese ha disegnato, oltre alla cover dell’album, anche i set, il poster e le magliette del tour. Illustrazioni contraddistinte, come accade nelle altre sue opere, da un’accattivante spontaneità e dal dinamismo degli incontri formali. Zigzag, cerchi, triangoli e croci sembrano muoversi a ritmo di musica nello spazio della pittura. I movimenti che animano la superficie instaurano una complessa rete di relazioni contrastanti tra i colori, le linee e i piani. Nato nel 1951 a Tokyo, Kazuhide Yamazaki ha studiato incisione a San Francisco e ora vive e lavora a New York. I suoi monotipi stampati a mano sono conservati in collezioni tra cui il Brooklyn Museum e la J.P. Morgan Chase Art Collection.

Courtesy of Graves International Art, Saint Augustine, Florida, Usa

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COLOPHON

Direttore Responsabile David Pambianco Redazione e Collaboratori Marco Caruccio, Francesca Ciancio, Rossana Cuoccio, Fabio Gibellino, Giambattista Marchetto, Giulia Mauri, Tiziana Molinu, Sabrina Nunziata, Simone Zeni Grafica e Impaginazione Mai Esteve, Lucrezia Alfieri Cover Project Anna Gilde Pubblicità Valeria Milanese Contatti wineandfood@pambianco.com adv@pambianco.com abbonamenti@pambianco.com Telefono 02.763.886.00 Tipografia Starprint srl - Bergamo Registrazione Tribunale di Milano n. 35 del 14/02/2018 Proprietario ed Editore Pambianco Srl Corso Matteotti 11 - 20121 Milano Costo dell’abbonamento annuale: 69 euro Abbonamento (spedizione con corriere espresso) Per abbonarti alla rivista cartacea vai su: magazine.pambianconews.com

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