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Per prima cosa, uccidiamo tutti gli avvocati Avvocati,

giudici, PA... La guida atipica di Stefano Bigolaro

Un titolo che sul momento lascia interdetti: “Per prima cosa, uccidiamo tutti gli avvocati”. Dato che tu sei uno di loro (...di noi), non crediamo vada preso alla lettera…

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Il titolo è d’impatto, lo so. Ricordo le perplessità con la casa editrice. Credo che sia passato perché non è mio, l’ho rubato a un verso di Shakespeare. Il senso non è affatto quello che sembra. Dunque, chiariamo: nell’Enrico VI di Shakespeare, quando dei rivoltosi vogliono sovvertire con la violenza ogni cosa per il proprio interesse personale, mettono l’eliminazione degli avvocati in cima alla loro lista.

Contrariamente al possibile primo impatto, quindi, a me sembra un riconoscimento importante per gli avvocati: il riconoscimento del fatto che siamo essenziali. Ed è questa l’idea alla base del mio libro.

Sì, va bene Shakespeare, ma sembra anche un titolo provocatorio…

Diciamo che c’è anche qualcosa di ironico, di autoironico.

Nella percezione diffusa avere a che fare con avvocati, tribunali e giudici è sempre una mezza disgrazia. Da augurarsi che non capiti mai. E noi avvocati finiamo per essere identificati con i problemi, perché entriamo in gioco quando ci sono dei problemi.

Certo, è una percezione sbagliata: i problemi ci sarebbero lo stesso anche eliminando gli avvocati, e si resterebbe invece senza tutela.

Però la percezione è quella, e dunque –sapendo che è così – il titolo può perfino suonare divertente.

Ma come è nato questo libro?

Vorrei dire che si è scritto un po’ da solo, nel corso dell’esperienza professionale.

Credo che “la molla” sia stata l’esigenza di cercare il senso del lavoro che facciamo.

Se uno Ti chiede perché lavori, la risposta più probabile ed immediata è che si ha uno stipendio, un corrispettivo economico. Ma è una risposta riduttiva, non succede quasi mai che si lavori solo per i soldi. Nel caso poi del nostro lavoro di avvocati, c’è la sua importanza sociale che fa la differenza. Non è solo un lavoro. Concorre a una funzione di giustizia: la domanda di giustizia deve avere una risposta perché altrimenti si cercherebbero altre risposte e l’intero sistema entrerebbe in crisi. Insomma, lavoriamo perché ci sia un po’ più di giustizia!

La tua attività professionale si svolge nel diritto amministrativo. Questo ti consente di vederne l’importanza nella vita di tutti noi. Ma scrivi perfino che rispetto al diritto amministrativo siamo come i pesci nell’acqua, cioè?...

Voglio dire che le scelte amministrative, le attività delle amministrazioni, stanno dietro ogni momento della nostra vita. Si tratta di un “mix” fatto di regole, organizzazioni, poteri, strutture (amministrative) che pervade ogni aspetto della nostra vita.

Che si tratti di istruzione, sanità, interventi sul territorio, svolgimento di attività economiche, servizi, infrastrutture, via via fino agli aspetti più minuti di ciò che facciamo, siamo totalmente immersi nel diritto amministrativo. Così immersi che non ce ne accorgiamo neppure.

In questo senso siamo come i pesci nell’acqua, che non si accorgono di esserci dentro perché quello è l’unico ambiente che conoscono.

Ma come ci si può difendere da chi esercita un potere pubblico? Non è un rapporto destinato a essere sempre squilibrato?

Quando hai a che fare con un’amministrazione, hai a che fare con qualcuno più forte di te: qualcuno che esercita un potere pubblico. Che gli è attribuito per consentirgli di perseguire un interesse, appunto, pubblico, quindi “non di parte” In realtà, il quadro è complesso: ci sono diversi interessi pubblici – spesso con- trastanti tra loro – attribuiti a diverse amministrazioni che operano nei modi più vari.

STEFANO BIGOLARO è stato socio fondatore dello Studio Domenichelli e Associati, presidente dell’Associazione Veneta degli Avvocati Amministrativisti dal 2015 al 2021, consigliere dell’Unione Nazionale degli Avvocati Amministrativisti dal 2016. Autore di numerose pubblicazioni e articoli, ha svolto e svolge attività di insegnamento, formazione, divulgazione nell’ambito del diritto amministrativo.

Ma la tutela delle ragioni del privato di fronte a un potere pubblico sta nel fatto che quel potere deve corrispondere a un fine e deve essere esercitato nel rispetto delle regole.

Andando in concreto, il sistema della giustizia amministrativa funziona nell’assicurare tutela nei confronti dei poteri pubblici?

Potrebbe funzionare meglio. Nel corso degli anni le amministrazioni – un po’ tutte – sono tecnicamente migliorate nella redazione degli atti. Ma spesso è un miglioramento solo formale. Nell’era di internet non è difficile riempire pagine e pagine di motivazioni presentabili anche quando sono solo apparenti.

Tutto ciò richiede un cambiamento anche del lavoro del giudice, che per svolgere la propria funzione non può limitarsi al solo dato formale. Se lo fa, rischia di non capire ciò su cui deve decidere.

Nel dare tutela quando un potere pubblico è esercitato in modo sbagliato, contano di più i giudici o gli avvocati?

Certo. Avvocati e giudici partecipano a una stessa funzione di giustizia. Siamo elementi complementari e necessari di un sistema. Un sistema in realtà molto delicato, che per funzionare deve essere credibile in ciascuno dei suoi elementi.

Naturalmente i ruoli sono diversi ma c’è una responsabilità solidale, di giudici e avvocati, nel garantire una funzione di giustizia.

Il sistema attuale della giustizia amministrativa risponde al modello del “giusto processo”?

Qualche problema c’è. Quello dell’indipendenza soprattutto.

Il giudice deve essere indipendente: non solo imparziale come persona rispetto alle parti tra cui giudica, ma distinto da esse anche a livello di struttura. E sul punto c’è da lavorare…

Ma anche l’avvocato ha un dovere di indipendenza. Certo, è cosa diversa dall’indipendenza del giudice: serve per garantire il diritto di difesa, per essere pienamente al servizio del proprio cliente. Ma la materia, di cui è fatto il dovere di indipendenza, è la stessa. E nella giustizia amministrativa, ha una analoga intensità.

Infine: nel tuo libro parli del ruolo dei “maestri” nella professione legale. Perché è importante?

Parlo del ruolo, ma parlo anche di alcuni dei miei maestri, da Feliciano Benvenuti a Ivone Cacciavillani, da Leopoldo Mazzarolli a Vittorio Domenichelli,… Ed è sicuramente la parte più personale. In fondo, è un libro che ho scritto grazie a loro.

Penso che vadano benissimo le scuole, però di solito impari a fare l’avvocato facendo l’avvocato. Lavorando però non da solo, ma con chi ha già cominciato a farlo, che quindi diviene spesso il tuo riferimento.

Nessuna retorica, sia chiaro. Il nome un po’ evangelico di “maestro” non deve ingannare: tutti i maestri hanno i propri limiti, difetti e zone d’ombra. In un lavoro come il nostro siamo tutti un po’ maestri e un po’ allievi. Si impara gli uni dagli altri.

Ma nei casi più riusciti, e almeno nel mondo professionale che conosco, finiamo per sentirci una “quasi-famiglia”, uniti dal fatto di vivere insieme la responsabilità del lavoro che facciamo, e alla quale lasciamo una nostra eredità di valori.