Il Giornale dei Biologi - N.1 - Gennaio 2024

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Giornale dei Biologi Gennaio 2024 Anno VII - N. 1

BOOM DI INFEZIONI RESPIRATORIE

Edizione mensile di Bio’s. Registrazione n. 113/2021 al Tribunale di Roma. Direttore responsabile: Vincenzo D’Anna.

Influenze, brochioliti e Covid hanno fatto aumentare i ricoveri. Maggior attenzione per fragili e bambini

Il Gen. Covetti, comandante dei NAS, ha incontrato il presidente D’Anna nella sede della FNOB a Roma

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18 CREDITI ECM PER I BIOLOGI

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Sommario

EDITORIALE 5

Il paradosso di Zenone Vincenzo D’Anna

PRIMO PIANO 8

Influenza, bronchioliti, covid: in Italia boom di infezioni respiratorie di Rino Dazzo

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Coronavirus: dove eravamo rimasti? di Rino Dazzo

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Bronchioliti e Rsv come tutelare i piccoli di Rino Dazzo

Un animale domestico giova alla memoria di Domenico Esposito

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Cancro al seno: scoperto ruolo della proteina Mre11 di Carmen Paradiso

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Uno studio rivoluziona lo sviluppo dei farmaci per le malattie polmonari di Domenico Esposito

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“Superbatteri” resistenti ai farmaci, scoperto antibiotico che li sconfigge di Sara Bovio

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Programma europeo per lo sviluppo della medicina personalizzata di Elisabetta Gramolini

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Antibiotico-resistenza: allarme dell’Oms di Michelangelo Ottaviano

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Neuroni e la regola di distribuzione di Michelangelo Ottaviano

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Salvata paziente con un solo polmone di Domenico Esposito

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Censis: gli italiani e il dolore cronico di Domenico Esposito

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Cambiare capelli con la biologia molecolare di Biancamaria Mancini

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Skincare semplice o avanzata. Quali benefici? di Carla Cimmino

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INTERVISTE 14

Il Generale Covetti (Nas) visita la Fnob: “tanti i punti di interazione con i biologi”

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Malattie neurodegenerative: i punti in comune con l’invecchiamento di Chiara Di Martino

22

Salute e giustizia sociale: la biologia non è soltanto una questione genetica di Ester Trevisan

SALUTE 24

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Nuove prospettive per capire l’Alzheimer: scoperti cinque sottotipi di Carmen Paradiso La demenza non è solo senile: colpisce anche i giovani, i fattori di rischio di Domenico Esposito

Giornale dei Biologi | Gen 2024

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Sommario

AMBIENTE 50

Meno immondizia prodotta, ma bisogna migliorare smaltimento e riciclo di Gianpaolo Palazzo

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Risorgere dalle rovine per costruire con fondamenta del passato di Gianpaolo Palazzo

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Occhi tecnologici sull’asfalto per un viaggio nelle città avveniristiche di Gianpaolo Palazzo

56

In calo la popolazione dei cervi rossi in Europa. La colpa è dell’uomo di Rino Dazzo

SPORT 72

Giovane ma esperta l’Italia ai mondiali di nuoto di Antonino Palumbo

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Kiteboarding azzurro missione olimpiadi di Antonino Palumbo

76

Per l’Italia della pallavolo si allontanano le olimpiadi di Parigi di Antonino Palumbo

78

Ciclismo, pogacar sulla scia di... Coppi di Antonino Palumbo

INNOVAZIONE 60

L’AI aiuta a prevedere la ricomparsa del tumore al fegato post-trapianto di Sara Bovio

62

La plasticità delle staminali muscolari di Pasquale Santilio

63

Vivaio autosufficiente e trasportabile di Pasquale Santilio

64

Olive: conoscere il raccolto in anticipo di Pasquale Santilio

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Rubrica letteraria

LAVORO 88

Effetti in gravidanza delle radiofrequenze di Pasquale Santilio

Concorsi pubblici per Biologi

SCIENZE

BENI CULTURALI

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Un doppio strato di mura proteggeva l’antico villaggio dei faraglioni di Rino Dazzo

L’amianto e le malattie correlate: una storia che deve ancora concludersi di Simone Ielo

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L’alfabetizzazione sanitaria nella promozione della salute di Daniela Bencardino

98

Studi sull’impollinazione: il ruolo della natura e dell’ecosistema di Cinzia Boschiero

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A Mascali nuovi scavi archeologici di Eleonora Caruso

70

Un tempio romano di Costantino di Eleonora Caruso

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LIBRI

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Informazioni per gli iscritti Si informano gli iscritti che gli uffici della Federazione forniranno informazioni telefoniche di carattere generale dal lunedì al giovedì dalle 9:00 alle ore 13:30 e dalle ore 15:00 alle ore 17:00. Il venerdì dalle ore 9:00 alle ore 13:00 Tutte le comunicazioni dovranno pervenire tramite posta (presso Federazione Nazionale degli Ordini dei Biologi, via Icilio 7, 00153 Roma) o all’indirizzo protocollo@cert.fnob.it, indicando nell’oggetto l’ufficio a cui la comunicazione è destinata. È possibile recarsi presso le sedi della Federazione Nazionale degli Ordini dei Biologi previo appuntamento e soltanto qualora non sia possibile ricevere assistenza telematica. L’appuntamento va concordato con l’ufficio interessato tramite mail o telefono.

UFFICIO CONTATTO Centralino

06 57090 200

Ufficio protocollo

protocollo@cert.fnob.it

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Anno VII - N. 1 Gennaio 2024

Edizione mensile di Bio’s Testata registrata al n. 113/2021 del Tribunale di Roma Diffusione: www.fnob.it

Direttore responsabile: Vincenzo D’Anna

Questo magazine digitale è scaricabile on-line dal sito internet www.fnob.it

Giornale dei Biologi Gennaio 2024 Anno VII - N. 1

Questo numero del “Giornale dei Biologi” è stato chiuso in redazione lunedì 29 gennaio 2024. Contatti: protocollo@cert.fnob.it

BOOM DI INFEZIONI RESPIRATORIE

Gli articoli e le note firmate esprimono solo l’opinione dell’autore e non impegnano la Federazione Nazionale degli Ordini dei Biologi.

Influenze, brochioliti e Covid hanno fatto aumentare i ricoveri. Maggior attenzione per fragili e bambini

Edizione mensile di Bio’s. Registrazione n. 113/2021 al Tribunale di Roma. Direttore responsabile: Vincenzo D’Anna.

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Il Gen. Covetti, comandante dei NAS, ha incontrato il presidente D’Anna nella sede della FNOB a Roma

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Editoriale

Il paradosso di Zenone di Vincenzo D’Anna Presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei Biologi

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hi è più ve- tartaruga) non sarà raggiunto dal loce: Achil- più veloce (Achille) perché l’insele oppure guitore dovrà passare per il luogo la tartaru- che l’inseguito ha appena abbanga?”. Così, Zenone, interrogava donato” argomentò, successivai suoi discepoli ai quali, il filoso- mente, Aristotele descrivendo in tal modo quello che è fo di Elea dimostrapoi passato alla stova, con una serie di Il rinnovo del Comitato ria come il “paradoscostruzioni assertive Centrale ha messo intorno al tavolo una so di Zenone”. Una di natura filosofica, nuova compagine, speculazione filosoossia metafisica, che certamente più coesa fica bella e buona, l’eroe dell’Iliade non e laboriosa della ovviamente, quella avrebbe mai potuto precedente formulata dall’allieraggiungere il lentissimo animale. Insomma: il passo vo di Parmenide, fondatore della rapido del personaggio omerico “scuola eleatica”. sarebbe stato inutile perché, di Parmenide, il filosofo dell’esfatto, Achille, non avrebbe mai sere statico e immutabile sulla agguantato la tartaruga, se questa scorta del cui pensiero possiamo avesse avuto un vantaggio, pur ben dire che la Federazione Naminimo, su di lui. “Il più lento (la zionale degli Ordini dei Biologi Giornale dei Biologi | Gen 2024

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Editoriale

(Fnob) ormai è! Che, per quan- riale, il Comitato centrale della to qualcuno sia stato tentato di Fnob sta recuperando il tempo filosofare intorno a cento cavil- perduto chiarendo molti aspetti li per ostacolarne e paralizzarne normativi e pratici con gli Ordil’operatività, la compiuta attua- ni regionali, oltre ad avviare le zione del decentramento ammi- attività che si intende continuare nistrativo e organizzativo con gli a garantire alla vasta famiglia dei enti territoriali, è di fatto diven- Biologi italiani. Un’attività che ricalchi la stagione tata una realtà pieIl decentramento precedente del quinnamente operativa. amministrativo quennio dell’Onb e Certo non tutto fila e organizzativo con delle tante opporin armonia e si paga gli enti territoriali, tunità gratuite oflo scotto dell’ineè di fatto diventata una realtà pienamente ferte ai colleghi. Al sperienza dei biolooperativa momento, sono già gi eletti e demandati state approvate e fialle procedure della democrazia gestionale, alla con- nanziate ventiquattro proposte duzione politica degli Ordini di eventi scientifici che si terranregionali. Sono questi processi no in varie località del Belpaese di lunga attuazione. Parliamoci a beneficio, ovviamente, degli chiaro: una classe dirigente adu- Ordini territoriali. Altri progetti sa alla politica e alla democrazia saranno posti al vaglio del Copartecipativa nasce dopo anni di mitato scientifico costituito da docenti universitari, i quali ne esperienze e di lavoro. Dopo i sei mesi di inattività vaglieranno la validità, l’originaforzata e la parentesi commissa- lità, l’opportunità e la fattibilità. 6

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Editoriale

Stiamo parlando di eventi che ne sedi ministeriali per acquisire saranno fruibili sia in FAD che la legislazione di vantaggio che in presenza. Attenzione: gratui- tuttora manca per la revisione tà e qualità saranno i due pilastri delle competenze professionali e di un settore che aprirà le porte degli accessi all’albo dei biologi, anche alla cosiddetta “formazio- e in seguito la legge che disciplini ne professionalizzante” sul terri- l’ambito della nutrizione. Partirà torio. Insomma: non solo teoria, infine la Fondazione dei Biologi italiani e così un’alma anche la possibiGratuità e qualità tra gamma di servizi, lità per i meritevoli saranno i due pilastri finanziamenti a prodi fare gratuitamente di un settore che aprirà getti e start up, andrà stage annuali presso le porte anche alla ad aggiungersi a quelcentri di eccellenza cosiddetta “formazione professionalizzante” li già noti. nei vari campi del sul territorio Che dire? L’armonia “mestiere” del Biocon gli ordini regiologo. Per capirci: si comincerà con l’Ambiente e l’E- nali è indispensabile per sommacotossicologia, spazio poi a Ge- re opportunità locali e nazionali. netica, Biologia molecolare, Ge- È ancora presto perché i Biologi nomica e PMA fino alla Biologia apprezzino appieno la sinergia Marina ed al progetto “goletta dei servizi e delle opportunità fornite da Ordini e dalla Fnob. verde” targato Fnob. I nostri interlocutori? Saranno Ed a questa necessità stiamo laenti statali e internazionali di pri- vorando sodo perché, ne siamo missimo livello. Ancora: un lavoro certi, Achille è pronto: stavolta la intenso è in corso nelle opportu- tartaruga non gli sfuggirà! Giornale dei Biologi | Gen 2024

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Primo piano

INFLUENZA, BRONCHIOLITI, COVID: IN ITALIA BOOM DI INFEZIONI RESPIRATORIE Ospedali e pronto soccorso di nuovo affollati: ma il coronavirus non preoccupa più Massima attenzione sui tanti casi di virus respiratorio sinciziale, che affligge i bimbi di Rino Dazzo

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© Africa Studio/shutterstock.com

Primo piano

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al di gola, tosse, raffreddore. E ancora: testa pesante, a tratti pesantissima, dolori dappertutto, un senso di stanchezza che sembra non andar più via. Alzi la mano chi non si è sentito così nelle scorse settimane, anche solo per qualche giorno. Tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024 si è registrato il boom di infezioni respiratorie, in Italia e non solo. Influenza, Covid e virus respiratorio sinciziale, principale responsabile delle bronchioliti che colpiscono in modo grave soprattutto i più piccoli: un triplice attacco combinato che, se non ha messo in ginocchio il Servizio Sanitario Nazionale, ha comunque riempito nuovamente ospedali e pronto soccorso. Un’esplosione di casi di influenza e sindromi para-influenzali, più che di Covid o di altri virus, figlia prima della moltiplicazione di incontri, contatti e spostamenti per le festività natalizie, poi della riapertura delle

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Virus – influenza, Covid e RSV – tutti molto aggressivi e a elevata contagiosità, pericolosi soprattutto per le fasce più deboli: soggetti fragili, anziani, immunodepressi.

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scuole e del progressivo ritorno, per tutti, alla routine quotidiana. Il primo rapporto del nuovo anno della rete di sorveglianza dei virus respiratori RespiVirNet, attivata presso l’Istituto Superiore di Sanità, ha fatto una fotografia della situazione nel paese. Nei mesi freddi della stagione 2023-24 la curva epidemica ha toccato quote mai raggiunte dal 2009-10, con oltre un milione di infezioni solo nell’ultima settimana dell’anno vecchio: 17,5 casi per mille assistiti. In aumento, in particolare, la diffusione del virus dell’influenza. Si legge nel rapporto: «La percentuale dei campioni risultati positivi all’influenza sul totale dei campioni analizzati risulta pari al 37,5%». E ancora: «Tra i campioni risultati positivi, il 22% era positivo per SARS-CoV-2, l’11% per RSV, il 37% per influenza A, mentre i rimanenti sono risultati positivi per altri virus respiratori». Da notare, infine, che «tra i virus influenzali, quelli di tipo A risultano largamente prevalenti (99%) rispetto ai virus di tipo B e appartengono per la maggior parte al sottotipo H1N1pdm09». Virus – influenza, Covid e RSV – tutti molto aggressivi e a elevata contagiosità, pericolosi soprattutto per le fasce più deboli: soggetti fragili, anziani, immunodepressi. Nel caso del virus respiratorio sinciziale, a pagare le conseguenze più gravi sono purtroppo i bambini al di sotto dei cinque anni. L’anno si è aperto con la morte di una bimba di due mesi all’ospedale di Desenzano, in provincia di Brescia, ma sono tanti i piccoli – soprattutto di età inferiore ai 2-3 anni – ricoverati nelle terapie intensive per bronchiolite. Il virus respiratorio sinciziale (RSV) è causa di sette bronchioliti su dieci,

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Primo piano

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un’infezione virale particolarmente subdola e in grado di peggiorare nel giro di poche ore. Proprio come Covid e influenza, anche il virus respiratorio sinciziale si trasmette per via aerea o per contatto diretto di goccioline e secrezioni infette con le mucose degli occhi, della bocca o del naso. Ha un periodo di incubazione che va dai quattro ai sei giorni e infetta gli epiteli delle vie aeree, causando la necrosi delle cellule che si fondono tra loro dando vita a un conglomerato, o sincizio, da cui il nome. In molti casi può provocare polmoniti, in situazioni estreme può determinare bronchioliti, infezioni cioè che coinvolgono le più piccole diramazioni bronchiali. I sintomi: naso colante, faringite, febbre, tosse, respiro sibilante che, nei casi più gravi, possono provocare distress respiratorio. In Spagna hanno fatto opera di prevenzione attraverso l’utilizzo di un anticorpo monoclonale che ha consentito un drastico crollo dei ricoveri. In Italia l’approvazione dell’anticorpo non è stata ancora perfezionata: si spera possa arrivare per il prossimo autunno-inverno. La prevenzione più efficace per influenza e Covid, invece, è rappresentata dal vaccino. I sintomi delle due infezioni, che rispetto al virus respiratorio sinciziale sono meno pericolose per i bambini ma possono colpire pesantemente gli anziani e i soggetti più fragili, sono praticamente indistinguibili: febbre oltre i 38 gradi, dolore muscolare o articolare, naso chiuso o che cola. Quest’anno, in particolare, l’influenza H1N1 è molto aggressiva, con tosse fastidiosa e persistente, e sta avendo un picco più alto rispetto al passato recente, in cui le misure anti-contagio per il Covid hanno limitato anche la circolazione degli altri virus, in primis quello dell’influenza. Che quest’anno, invece, è tornata in grande stile. Come frenare la circolazione dei virus respiratori e cosa fare in caso di malattie? Lo spiega Anna Teresa Palamara, direttrice del dipartimento Malattie Infettive dell’ISS: «Oltre alle vaccinazioni per i soggetti per cui sono raccomandate, una sana prudenza nei comportamenti, da osservare soprattutto se si hanno sintomi respiratori e se si è in presenza di bambini molto piccoli, persone anziane o con fragilità. Si raccomanda inoltre di non assumere antibiotici, inutili in caso di infezioni virali, se non su indicazione del proprio medico, e di recarsi al pronto soccorso solo se strettamente necessario».


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opo aver dominato la scena negli anni precedenti, provocando purtroppo un gran numero di vittime, il Covid sembra aver lasciato spazio all’influenza. Questo non vuol dire, però, che il SARS-CoV-2 sia debellato o si stia ritirando. Come da previsioni, il virus continua a mutare e periodicamente torna all’attacco con varianti sempre più contagiose e sfuggenti alle misure di prevenzione. Varianti, fortunatamente, non più letali delle precedenti. Un virus di cui si erano un po’ perse le tracce, almeno a livello mediatico, che però ha continuato la sua periodica trasformazione e che gli addetti ai lavori continuano a tenere d’occhio con grande attenzione. In Italia, ad esempio, al momento predomina la sottovariante JN.1, che a sua volta deriva dalla variante Pirola, da cui diverge per un singolo cambiamento nella proteina Spike. Si tratta in entrambi i casi di varianti del virus ad alta trasmissibilità, capaci di eludere le difese immunitarie e di diffondersi rapidamente. Lo dimostra il fatto che sono diventate predominanti anche in altri paesi, in Europa come negli Stati Uniti. I sintomi? Febbre a 38 che dura per qualche giorno, mal di testa, più i caratteristici sintomi influenzali o parainfluenzali: mal di gola, tosse, raffreddore, dolori vari. Come confermato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, sia JN.1 che Pirola non rappresentano una minaccia all’immunità della popolazione. Gli anticorpi acquisiti naturalmente, sia per effetto di precedenti esposizioni al virus, sia attraverso la vaccinazione (in particolare con la dose booster) consentono di mitigare i rischi e di attenuare le manifestazioni più gravi della malattia. Vaccinazione che rimane fortemente raccomandata per gli over 65 e per i soggetti più fragili, ma che è possibile per tutti. JN.1 e Pirola hanno progressivamente scalzato nelle ultime settimane la variante Eris, che ha caratterizzato

© Babul Hosen/shutterstock.com

Primo piano

CORONAVIRUS: DOVE ERAVAMO RIMASTI? JN.1 e Pirola sono le nuove varianti egemoni in Italia Entrambe sono altamente trasmissibili, ma poco pericolose

la forma dominante del Covid per lunghi periodi del 2023, prendendo a sua volta il posto di Arturo (XBB.1.16). Si tratta di una sottolinea di Omicron (la sigla tecnica è EG.5) favorita nella sua affermazione da una maggior capacità di eludere gli anticorpi rispetto ad altre varianti. Anche in questo caso, una variante particolarmente aggressiva ma a bassa pericolosità, come confermato dalla stessa OMS che l’ha valutata a basso rischio a livello globale. In caso di contagio, qual è la normativa vigente adesso in Italia? Le misure restrittive, di fatto, non esistono

più. Un provvedimento approvato dal Consiglio dei Ministri ad agosto 2023 ha cancellato l’obbligo di isolamento e autosorveglianza per i soggetti positivi al tampone o al test rapido. Rimangono attive delle semplici raccomandazioni, come quella di indossare mascherine in presenza di altri soggetti, rimanere a casa in presenza di sintomi evidenti, mantenere un’adeguata igiene delle mani, evitare luoghi affollati e limitare i contatti con soggetti fragili o a rischio. Tipiche norme di buon senso, che andrebbero applicate di fronte a ogni malattia, non solo per il Covid. (R. D.) Giornale dei Biologi | Gen 2024

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Primo piano

BRONCHIOLITI E RSV COME TUTELARE I PICCOLI I consigli dei pediatri di fronte all’impennata di casi del temibile virus respiratorio sinciziale

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ovid, influenza e – soprattutto – il temuto virus respiratorio sinciziale: l’emergenza c’è per tutti, ma ovviamente quando la malattia colpisce i bambini, l’allarme è maggiore. Cosa fare per tutelare i nostri piccoli, che sono i soggetti più esposti a gravi conseguenze rispetto all’RSV, ma non solo? Una questione è certa: bisognerà convivere almeno per un altro paio di mesi, forse anche tre, con le insidie più gravi legate alle infezioni respiratorie, anche se il picco sembra essere superato. Non è il caso, però, di abbassare la guardia. 12

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Ne parla Rino Agostiniani, consigliere nazionale della Società Italiana di Pediatria, che attraverso l’Ansa ha dispensato una serie di consigli utili. «Le misure messe in atto per ridurre il contagio durante la pandemia hanno funzionato anche per i virus influenzali», spiega Agostiniani. «Oggi che le misure sono meno stringenti abbiamo di nuovo una epidemia importante di influenza che colpisce soprattutto i bambini più piccoli, che sono quelli che nel corso degli ultimi anni non hanno sviluppato un patrimonio immunitario per difendersi dall’infezione».

Il monito è lanciato: «Anche se i contagi cominceranno a calare, dovremo convivere con l’epidemia dell’influenza fino a marzo, come avveniva prima della pandemia. Importante è evitare di portare a scuola i bambini con sintomi. Altrettanto importante è non avere fretta a mandarli nuovamente a scuola quando sono guariti. Capisco che ci sono necessità organizzative delle famiglie, tuttavia, quando ci si ammala si va incontro a uno stato di depressione del sistema immunitario. Riportare troppo presto il bambino a scuola significa esporlo a un rischio aumentato di contrarre nuove infezioni». Sia l’influenza che il virus respiratorio sinciziale hanno provocato un alto numero di ricoveri tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024 in Italia, in particolare tra i più piccoli. Ma, anche quando l’ospedale non è necessario, ci sono degli accorgimenti e dei rimedi che possono essere praticati per ridurre i rischi e mitigare le sofferenze dei bimbi. «Lavaggi nasali con fisiologica e, non appena il bambino rientra a casa infreddolito, una bella doccia calda», consiglia il dottor Massimo Resti, primario di pediatria e direttore del Dipartimento Specialistico Interdisciplinare dell’AOU Meyer di Firenze. E ancora: «Tenere lontani i neonati o i bimbi più piccoli dai fratelli e dagli adulti raffreddati. Poi, quando ci si accorge che il piccolo fa fatica a respirare, va subito chiamato il medico. Se poi il neonato smette di mangiare e respira a fatica allora è bene venire in ospedale». Col virus respiratorio sinciziale, del resto, non si scherza. Si tratta infatti della seconda causa di morte nel mondo, dopo la malaria. In Italia, per fortuna, i numeri sono meno preoccupanti: «Sotto i tre mesi, i casi di bronchiolite necessitano spesso di ospedalizzazione. Il 100% dei bambini nei primi due anni di vita si infetta, il 20% va dal medico e il 4% si ricovera. Di questi, l’1% va in rianimazione». (R. D.)


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Intervista

IL GENERALE COVETTI (NAS) VISITA LA FNOB: “TANTI I PUNTI DI INTERAZIONE CON I BIOLOGI”

Intervista al comandante del Nuclei Antisofisticazione dei Carabinieri: “Molte irregolarità che riscontriamo sono direttamente connesse all’esercizio abusivo di una professione sanitaria” di Redazione

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stituiti nel 1962, i Nuclei Antisofisticazioni e Sanità dell’Arma dei Carabinieri (NAS) si occupano della repressione dei reati contro la salute pubblica. Con circa 900 unità operative e specializzate su tutto il territorio nazionale, il Reparto è inserito nei principali sistemi di allarme comunitari in materia di alimenti, di prodotti non alimentari e di farmaci. Gli ambiti operativi dei NAS sono riconducibili alle macroaree “alimenti e bevande” e “sanità pubblica”. Nello specifico, si occupano di ispezioni igienico-sanitarie sull’intera filiera di produzione, vendita e somministrazione degli alimenti e delle bevande; ispezioni presso ospedali, case di cura private e strutture ricettive per anziani (anche non autosufficienti) con repressione di tutti gli illeciti in danno del Servizio Sanitario Nazionale; verifiche in materia di legittimo esercizio delle professioni sanitarie; ispezioni tecniche presso officine farmaceutiche e di produzione di gas medicinali, nonché tutte le attività connesse alla “farmacovigilanza”; specifica azione di contrasto al traffico ed alla distribuzione illegale dei medicinali e loro contraffazione; controlli sull’uso illegale di anabolizzanti ed altre sostanze farmacologicamente attive negli allevamenti di animali da reddito; controlli sul rispetto del benessere degli animali. L’attività di controllo può essere avviata per iniziativa del Ministro della Salute o dei Reparti dell’Arma territoriale, su delega dell’Autorità

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Giudiziaria, da notizie acquisite nel corso delle operazioni condotte o da denunce o segnalazioni da parte di soggetti terzi e cittadini. Da diversi anni, l’Ordine Nazionale dei Biologi (oggi Fnob) ha istituito un ufficio dedicato alla lotta all’abusivismo della professione di biologo, che, in collaborazione con l’Arma dei Carabinieri e l’autorità giudiziaria, si occupa di reprimere e sanzionare coloro i quali, seppur privi dei requisiti di legge, esercitano illecitamente l’attività. Su questo tema abbiamo ascoltato il Generale Raffaele Covetti, Comandante dei Carabinieri della salute. Come si avviano i controlli dei Nas? I Carabinieri dei N.A.S., nella duplice funzione di ufficiali di polizia giudiziaria e di ispettori sanitari, svolgono i compiti loro affidati d’iniziativa, su richiesta del Ministro della Salute o dei Reparti dell’Arma territoriale, oppure su delega dell’Autorità Giudiziaria, su denunce o segnalazioni da parte dei cittadini, o su notizie comunque acquisite nel corso di attività di “osmosi operativa” o attraverso organi d’informazione, nelle macroaree “Alimenti e bevande” e “Sanità Pubblica”. L’attività si concretizza in: • ispezioni igienico-sanitarie sull’intera filiera di produzione, vendita e somministrazione degli alimenti e delle bevande; • ispezioni presso ospedali, case di cura pri-


Da sinistra, Pasquale Piscopo (direttore della FNOB), Raffaele Covetti (comandante dei NAS), Alberto Spanò (vicepresidente della FNOB) , Vincenzo D’Anna (presidente della FNOB).

vate e strutture ricettive per anziani (anche non autosufficienti) con repressione di tutti gli illeciti in danno del Servizio Sanitario Nazionale; • verifiche in materia di legittimo esercizio delle professioni sanitarie; • ispezioni tecniche presso officine farmaceutiche e di produzione di gas medicinali, nonché tutte le attività connesse alla “farmacovigilanza”; • specifica azione di contrasto al traffico ed alla distribuzione illegale dei medicinali e loro contraffazione; • indagini e verifiche finalizzate al contrasto dell’illecito approvvigionamento, anche transnazionale e comunque al difuori delle farmacie e dei dispensari all’uopo autorizzati, nonché all’utilizzo di sostanze farmacologicamente attive incluse in classe doping, a tutela delle competizioni sportive e della salute degli atleti. In tali contesti, previa frequentazione e superamento di specifico corso di formazione, i militari dei N.A.S. rivestono la qualifica di “Ispettori Antidoping” espletando le specifiche attività in diretta collaborazione con la NADO ITALIA (Organizzazione Nazionale Antidoping), quale articolazione funzionale della WADA (Agenzia Mondiale Antidoping); • controlli sull’uso illegale di anabolizzanti ed altre sostanze farmacologicamente attive negli allevamenti di animali da reddito; • controlli sul rispetto del benessere degli animali.

Istituiti nel 1962, i Nuclei Antisofisticazioni e Sanità dell’Arma dei Carabinieri (NAS) si occupano della repressione dei reati contro la salute pubblica. Con circa 900 unità operative e specializzate su tutto il territorio nazionale, il Reparto è inserito nei principali sistemi di allarme comunitari in materia di alimenti, di prodotti non alimentari e di farmaci.

Quali le sofisticazioni più diffuse? In seno alle proprie attività istituzionali sul territorio, i Carabinieri dei N.A.S. hanno modo di verificare come le frodi alimentari più diffuse, perpetrate nelle forme della sofisticazione, dell’adulterazione, della contraffazione e dell’alterazione, riguardino sia gli alimenti di largo consumo (che per loro natura non possono essere surrogati da altri alimenti o sostanze), sia quelli tutelati da marchi di qualità (DOP, IGP, ecc…). Tra queste, quelle più comuni interessano: L’olio: viene generalmente sofisticato con l’aggiunta di oli di semi vari scadenti, oppure viene completamente contraffatto utilizzando oli di semi vari colorati con CLOROFILLA (detto anche VERDONE), oppure con BETACAROTENE e presentato poi come extravergine di frantoio, confezionato in bottiglie con etichette stilizzate che richiamano l’albero dell’ulivo o vecchie macine in pietra; Il vino: la frode principale consiste nell’impiego di zuccheri diversi da quelli provenienti dall’uva e sottoprodotti vinosi, quali vini anomali, ultra torchiati, fecce e additivi ad uso enologico non consentiti. Si è verificato in passato il gravissimo episodio di “frode tossica”, in cui venne aggiunto a vini di bassa gradazione o “annacquati” il famigerato “METANOLO”. Altre sofisticazioni riguardano l’utilizzo di uve da tavola, non adatte alla vinificazione, per la produGiornale dei Biologi | Gen 2024

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zione di vini spacciati poi come I.G.T., D.O.C. o D.O.C.G. La carne: vendita di carni provenienti da animali ingrassati con sostanze non consentite (ormoni, tireostatici, stilbenici, beta-agonisti). In questo caso le carni sono ricche di acqua e si riducono notevolmente dopo la cottura. La vendita di carni contenenti residui di medicinali il cui trattamento non è stato dichiarato e senza l’osservanza del periodo di sospensione tra il trattamento stesso e l’avvio alla macellazione; Il pesce: vendita di prodotti scongelati per freschi o di prodotti di allevamento per prodotti catturati in mare; ancora, la commercializzazione di specie diverse da quelle dichiarate (es.: sogliole, calamari, merluzzi, ecc.), oppure di prodotti congelati coperti da glassatura senza

L’attività di controllo può essere avviata per iniziativa del Ministro della Salute o dei Reparti dell’Arma territoriale, su delega dell’Autorità Giudiziaria, da notizie acquisite nel corso delle operazioni condotte o da denunce o segnalazioni da parte di soggetti terzi e cittadini.

Da sinistra, Raffaele Covetti (comandante dei NAS), Vincenzo D’Anna (presidente della FNOB).

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Intervista

l’indicazione del peso netto o della percentuale di glassatura e di prodotti trattati con additivi per mascherare un preesistente stato di alterazione; Il latte: “annacquamento” con o senza salagione e scrematura; ricostituzione di latte in polvere; inacidito neutralizzato con l’aggiunta di alcali; aggiunta di acqua ossigenata (H2O2) per ridurre cariche batteriche elevate. Pane e pasta: vendita di pane a pezzi e non a peso; vendita di pane ricco di umidità e pertanto più pesante per non essere stato portato alla cottura dovuta (la massima % di umidità stabilita per legge dipende dalla pezzatura, e varia dal 29% per le pezzature piccole fino a 70 gr., al 40% per pezzature grandi oltre i 1000 gr.; la vendita di pane speciale con l’impiego di grassi o ingredienti particolari diversi da quelli consentiti o da quelli dichiarati; vendita di pasta di semola di grano duro ottenuta con la miscelazione di sfarinati di grano tenero. Le mozzarelle: sono sofisticate generalmente con l’impiego di “caseine industriali magre” o di “latte in polvere ad uso zootecnico”. Le mozzarelle sofisticate non si distinguono da quelle genuine se non tramite analisi chimico-fisiche per la determinazione della quantità e dei tipi di grassi presenti. Le mozzarelle e gli altri latticini a denominazione di origine tipica o protetta o garantita spesso sono sofisticati mediante l’impiego di cagliate di origine estera, in violazione ai rispettivi disciplinari. Gli esempi riportati, ovviamente, non costituiscono un elenco esaustivo, ma ciò che rileva è che le attività fraudolente sopraccitate possono determinare gravi conseguenze per la salute dei consumatori derivanti dall’utilizzo di materie prime, semilavorati o additivi di qualità scadente, dalla scarsa osservanza delle norme di carattere igienico-sanitario e/o dall’utilizzo improprio di ingredienti, additivi, coadiuvanti tecnologici, dovuto alla scarsa professionalità degli operatori. Come cambiano gli episodi di sofisticazioni nelle diverse aree del Paese? Il fenomeno delle frodi alimentari, e quindi delle sofisticazioni, riguarda sostanzialmente l’intero territorio nazionale. Tuttavia, è doveroso evidenziare come esso possa assumere contorni e caratteristiche specifiche in relazione al prodotto alimentare oggetto della frode stessa, che può essere caratterizzato da una tipicità


locale/regionale. In base a tale considerazione, è evidente che le frodi alimentari afferenti, ad esempio, la sofisticazione degli oli d’oliva o del vino possano trovare maggiori possibilità di essere perpetrati negli ambiti locali di maggiore produzione e/o in danno di questi (es: Regione Puglia, Toscana, ecc...), non escludendosi, comunque, fenomeni frodali transnazionali. Quanto l’esercizio abusivo di professioni sanitarie influisce sulle irregolarità che riscontrate? Molte delle irregolarità che riscontriamo sono direttamente connesse all’esercizio abusivo di una professione sanitaria. Ciò avviene in vari contesti operativi, nella misura in cui l’ostentato possesso del titolo abilitante mai conseguito (quale ad esempio quello di biologo) e, quindi, l’inesistenza di conoscenze scientifiche certificate, da un lato rende mendace e fraudolento il “lavoro” prodotto e dall’altro pone in pericolo la salute dell’utente che, in buona fede, si è rivolto al falso professionista. E’ il caso, a titolo esemplificativo, di “falsi” biologi nutrizionisti che elaborano tabelle dietetiche destinate a frequentatori di centri estetici e/o palestre e finalizzate al dimagrimento e all’accrescimento ponderale della massa muscolare. Quali sono i punti principali di interazione tra Nas e biologi che esercitano la professione? Atteso il variegato ambito di osservazione e sperimentazione scientifica di cui il biologo si occupa e, quindi, la poliedricità delle sue aree di specializzazione professionale, possono essere molteplici i punti di interazione tra gli ispettori dei N.A.S. e i biologi. Abbiamo già accennato come le attività di controllo dei N.A.S. sul territorio nazionale riguardino innumerevoli settori nell’ambito delle due macro aree: “Alimenti e Bevande” e “Sanità Pubblica”. In tali contesti, il ricorso alla professionalità del biologo può risultare fondamentale sia nella fase prodromica alla preparazione di procedure di intervento, in relazione a specifiche attività di verifica e/o d’indagine, sia nella fase operativa in sede di ispezione. Si pensi, ad esempio, alla figura del biologo clinico in ambito sanitario per la sua attività di studio finalizzata alla diagnosi o alla prevenzione di malattie, oppure, ancora una volta, al biologo nutrizionista che identifica i bisogni dell’individuo con riguardo all’alimentazione e alla nutrizione. Quanto è importante l’interazione tra NAS e FNOB?

Da diversi anni, l’Ordine Nazionale dei Biologi (oggi FNOB) ha istituito un ufficio dedicato alla lotta all’abusivismo della professione di biologo, che, in collaborazione con l’Arma dei Carabinieri e l’autorità giudiziaria, si occupa di reprimere e sanzionare coloro i quali, seppur privi dei requisiti di legge, esercitano illecitamente l’attività.

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Intervista

L’interazione tra la FNOB e il Comando Carabinieri per la Tutela della Salute risulta di vitale importanza nell’ambito della lotta all’abusivismo professionale. La federazione, in effetti, grazie alle proprie compagini regionali e macroregionali, stratificate sul territorio nazionale, e al proprio rilevante ruolo istituzionale, può certamente fungere da importante risorsa informativa con riguardo all’individuazione di attività illecite e sommerse ad opera di operatori senza scrupoli, la cui attività fraudolenta comporta un serio danno del contesto socio-economico-professionale-sanitario del Paese. Fondamentale, inoltre, può risultare il vicendevole scambio di esperienze e di competenze professionali, che abbia valenza formativa e di aggiornamento per tutto il personale impiegato sul territorio, auspicabile in seno alla realizzazione di seminari e consessi di studio. Rispetto delle normative vigenti, qual è la situazione nelle mense scolastiche e nella ristorazione? Nell’ambito delle attività ispettive riguardanti le mense scolastiche e la ristorazione, purtroppo, continuano a registrarsi criticità che attengono al mancato possesso dei requisiti igienico-sanitari-strutturali all’interno delle strutture in cui gli alimenti sono conservati e preparati per la somministrazione, nonché la mancata o la non corretta applicazione delle procedure di autocontrollo basate sul sistema HACCP (hazard analysis and critical control points) e/o la mancata o non corretta adozione delle procedure e dei sistemi di rintracciabilità/tracciabilità degli alimenti. Ancora, la non corretta conservazione dei prodotti alimentari e la sussistenza di violazioni in materia di etichettatura, soprattutto con riguardo alla mancata o non corretta indicazione degli allergeni e delle sostanze che possano indurre intolleranze. Presso le mense scolastiche, in particolare, è stato riscontrato il ricorso a pratiche fraudolente mediante la somministrazione di alimenti che per qualità e origine risultano difformi dalle previsioni capitolari bandite dalla Stazione Appaltante (es.: pangasio per merluzzo, olio d’oliva per olio extravergine d’oliva, ecc...). Quali i consigli per essere sicuri a tavola e nei ristoranti? Il cittadino avveduto deve porre attenzione agli alimenti che inserisce nel carrello della spesa, imparando a leggere le informazioni che per legge devono essergli garantite. Il consumatore Giornale dei Biologi | Gen 2024

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I Carabinieri dei NAS hanno modo di verificare come le frodi alimentari più diffuse, perpetrate nelle forme della sofisticazione, dell’adulterazione, della contraffazione e dell’alterazione, riguardino sia gli alimenti di largo consumo (che per loro natura non possono essere surrogati da altri alimenti o sostanze), sia quelli tutelati da marchi di qualità (DOP, IGP, ecc.).

La frutta e la verdura siano sempre accompagnate da idonea etichettatura, a seconda che si tratti di prodotti preimballati o sfusi. In un ristorante, i criteri di valutazione di un consumatore generico-medio attengono esclusivamente alle aree ed alle informazioni fruibili, non essendo possibile che gli utenti possano avere accesso alle cucine. Il primo criterio è quello della verifica e della valutazione del menu nel quale, oltre alle informazioni di natura commerciale, devono essere indicate quelle dettagliate sui singoli piatti e, quindi, evidenziate quelle riguardanti allergie e intolleranze. Sul menu potrà essere verificato se taluni dei prodotti richiesti siano freschi o surgelati. Sul piano strettamente igienico, può essere verificata la modalità di conservazione degli alimenti esposti, cercando di rilevarne le eventuali temperature di detenzione; se le bottiglie dell’olio siano tappate con sistema “antirabbocco”; se gli alimenti esposti siano adeguatamente protetti; le condizioni igieniche del tovagliato e delle posate; le modalità in cui si presenta il personale di sala. Un importante indicatore in termini d’igiene generale è costituito certamente dalle condizioni in cui versano i servizi igienici destinati al pubblico. © GIACOMO MORINI/shutterstock.com

non ha la possibilità di verificare la tracciabilità degli alimenti, compito devoluto agli organismi di controllo, ma può agevolmente leggere le etichette che accompagnano i prodotti imparando, così, a discernere le caratteristiche, anche nutrizionali, che li compongono, scegliendo secondo esigenza. In tali frangenti, la lettura delle etichette dei prodotti alimentari preconfezionati può fornire importanti informazioni anche in termini di allergeni o di sostanze che recano intolleranze, sulla provenienza, sulla data di scadenza o sul T.M.C, sul peso, ecc... Particolare attenzione, inoltre, deve essere posta con riguardo ai prodotti venduti sfusi, a peso e previo frazionamento. Questi devono essere sempre accompagnati da un elenco/cartello/registro posto nelle loro immediate vicinanze che rechi le principali informazioni necessarie a garantire al consumatore una scelta conforme alle proprie esigenze. Con riguardo ai prodotti sfusi, occorre porre attenzione alle modalità di detenzione/conservazione affinché possa essere scongiurato il pericolo delle cosiddette “contaminazioni crociate”: in un banco espositore, ad esempio, porre attenzione affinchè i prodotti freschi non siano a contatto, anche indiretto, con quelli stagionati, o che quelli crudi non siano a contatto con quelli cotti, la carne separata dal pesce, ecc…

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Intervista

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PER RESTARE SEMPRE INSIEME DIMOSTRAGLI IL TUO AMORE CON IL MICROCHIP Il microchip è il modo migliore per ritrovare il tuo amico a quattrozampe in caso di smarrimento.

COS’È IL MICROCHIP E A COSA SERVE? ●

E allora cosa aspetti? Se il tuo cane o il tuo gatto non lo hanno ancora, recati dal tuo veterinario o al servizio veterinario pubblico competente per territorio, per identificarlo e iscriverlo in anagrafe degli animali d’affezione!

Il microchip, obbligatorio per legge per il cane e presto anche per il gatto, è un piccolo dispositivo elettronico che identifica il tuo amico a quattrozampe e lo lega a te in maniera unica. L’identificazione con microchip di cani, gatti e furetti è inoltre obbligatoria per poter acquisire il passaporto europeo, per recarsi all’estero. Non temere per la sua salute: l’inserimento del microchip è sicuro e indolore! Il certificato di iscrizione nell’anagrafe degli animali d’affezione è la sua “carta d’identità”. Ricordati di portarlo sempre con te!

È un’iniziativa del Ministero della Salute in collaborazione con LAV

Informati su www.salute.gov.it e www.lav.it

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Intervista

MALATTIE NEURODEGENERATIVE I PUNTI IN COMUNE CON L’INVECCHIAMENTO Laura Ciapponi (La Sapienza) spiega le interconnessioni che potrebbero portare a migliorare le diagnosi e sviluppare nuove terapie di Chiara Di Martino

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tudiato un nuovo promettente approccio per comprendere e potenzialmente trattare le malattie neurodegenerative legate all’invecchiamento, come la SLA, l’Alzheimer e il Parkinson: porta la firma dell’Università La Sapienza di Roma e dell’Università di Cagliari la ricerca che ha approfondito le interconnessioni tra invecchiamento e malattie degenerative pubblicata di recente su Cell Death and Discovery. Un approccio promettente per comprendere e potenzialmente trattare le malattie neurodegenerative legate all’invecchiamento: a spiegarne i dettagli è Laura Ciapponi, professore associato al Dipartimento di Biologia e biotecnologie Charles Darwin dell’Ateneo romano. Il lavoro è stato coadiuvato da due ricercatrici dell’IBPM-CNR e dal laboratorio del Dr. Feiguin dell’ICGEB di Trieste, che recentemente si è spostato presso l’università di Cagliari. A che punto è, oggi, la ricerca sulle malattie neurodegenerative? È un campo attivo e in continua evoluzione. Le principali linee di ricerca si dividono in ricerca di base, che mira ad individuare i fattori coinvolti nell’insorgenza e nella progressione della malattia, e ricerca applicata rivolta all’identificazione di terapie in grado di curare o rallentare la malattia. All’aumento della vita media della popolazione corrisponde però la

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sfida di affrontare il carico sociale ed economico derivante dall’aumento di incidenza di patologie legate all’età, in particolare le malattie neurodegenerative. Questa sfida è ulteriormente accentuata dalla mancanza di terapie risolutive. Da quali evidenze siete partiti? La nostra indagine ha avuto inizio con l’osservazione che topi e moscerini della frutta vecchi presentavano ridotti livelli della proteina TDP-43, un fattore chiave nella patogenesi della SLA, e che questa riduzione correlava con il declino delle capacità locomotorie, un comune fenomeno dell’invecchiamento. Ciò che ha attirato particolarmente la nostra attenzione è stato che ripristinando la quantità di TDP-43 ai livelli tipici dei soggetti più giovani, si induceva un notevole miglioramento delle capacità locomotorie, indicando chiaramente il ruolo critico della proteina TDP-43 nel mantenimento dell’attività motoria durante l’invecchiamento. Così ci siamo chiesti: qual è il meccanismo alla base della regolazione dei livelli di TDP-43 durante l’invecchiamento e come questa regolazione influisce sulle funzioni motorie? Se dovesse dare una definizione di invecchiamento, quale suggerirebbe? Il processo biologico, psicologico e sociale, evolutivamente conservato, attraverso il quale un organismo subisce cambiamenti progressivi


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nel corso del tempo, che spesso si manifestano con la perdita graduale di funzioni fisiche, cognitive e socioemotive. Questo processo è influenzato da una combinazione di fattori genetici, ambientali e comportamentali e può variare notevolmente tra gli individui. Come si è svolto concretamente lo studio? È stato fondamentale l’uso di un approccio combinato di tre sistemi modello, la Drosophila melanogaster, il topo e le colture di cellule umane. Il moscerino della frutta permette di valutare con semplicità le capacità locomotorie di un organismo vivente. Quindi siamo state in grado di verificare come cambiavano queste abilità locomotorie in funzione delle manipolazioni (epi)genetiche che abbiamo effettuato. Inoltre il variare di queste capacità locomotorie è stato correlato con i livelli di espressione genica di TDP-43, utilizzando saggi che permettono di quantificare in modo molto preciso la quantità di uno specifico RNA espresso in un particolare gruppo di cellule. A quale risultato siete giunti? Siamo molto soddisfatte (con il plurale mi riferisco in particolare a Marta Marzullo, primo nome del lavoro, senza la quale questo studio non avrebbe mai visto luce): è infatti emerso che il gene codificante TDP-43 viene regolato attraverso un meccanismo di metilazione dell’istone H3 all’interno del promotore del gene stesso, tramite l’azione di una metiltransferasi che si chiama Suv39. Durante l’invecchiamento, la metilazione del promotore di TDP-43 aumenta e questo ne fa diminuire l’espressione, che correla con una diminuzione delle capacità locomotorie. Se eliminiamo la metiltransferasi Suv39, determiniamo una riduzione della metilazione del promotore di TDP-43, il conseguente aumento della sua espressione, e un recupero significativo delle capacità locomotorie “giovanili”. Questa scoperta evidenzia anche la presenza di meccanismi epigenetici conservati, dipendenti dall’età, che potrebbero potenzialmente influenzare la patogenesi della SLA o altre malattie neurodegenerative. Può spiegarci esattamente cosa sono la proteina TDP-43 e l’enzima Suv39? La proteina TDP-43 (TAR DNA-binding protein 43) è una proteina nucleare coinvolta in processi chiave all’interno delle cellule, specificamente svolgendo un ruolo cruciale nella regolazione della trascrizione genica e nella

Laura Ciapponi. All’aumento della vita media della popolazione corrisponde la sfida di affrontare il carico sociale ed economico derivante dall’aumento di incidenza di patologie legate all’età, in particolare le malattie neurodegenerative.

stabilità degli RNA messaggeri. È nota per essere associata a diverse malattie neurodegenerative, tra cui la sclerosi laterale amiotrofica e la malattia di frontotemporale. Il ruolo esatto della TDP-43 nella patogenesi di queste malattie neurodegenerative non è ancora completamente compreso, ma la sua presenza in inclusioni proteiche tossiche è considerata un segno distintivo. Quanto a Suv39, è un enzima appartenente alla famiglia delle metiltransferasi di istoni. La sua funzione principale è quella di aggiungere gruppi metilici all’istone H3 sull’aminoacido lisina in posizione 9 (H3K9). Questa metilazione dell’istone H3 è associata alla formazione di eterocromatina, una forma di cromatina più condensata che limita l’accessibilità del DNA e quindi può influenzare l’espressione genica. Quali implicazioni potrà avere la scoperta della connessione tra invecchiamento e malattie neurodegenerative? Diverse e significative, perché potrebbe portare allo sviluppo di farmaci o interventi che rallentano o prevengono sia l’invecchiamento accelerato che lo sviluppo di malattie neurodegenerative e contribuire a migliorare la diagnosi precoce, consentendo interventi terapeutici più tempestivi. I prossimi passi? Sarà importante esplorare quale impatto possono avere le modifiche epigenetiche istoniche sull’espressione di altri geni noti e potenzialmente correlati alla SLA o ad altre malattie neurodegenerative e comprendere come l’invecchiamento e l’esposizione a fattori di rischio ambientali possano contribuire alla loro riprogrammazione epigenetica. Giornale dei Biologi | Gen 2024

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Intervista

SALUTE E GIUSTIZIA SOCIALE LA BIOLOGIA NON È SOLTANTO UNA QUESTIONE GENETICA Carlo Alberto Redi: perché è indispensabile, e non più procrastinabile, un intervento della classe politica mondiale per rimuovere i fattori ambientali che ci fanno ammalare di Ester Trevisan

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osa si intende per genomica sociale? Con questa espressione ci si riferisce alla modificazione epigenetica, il cui principale meccanismo è la metilazione di Citosine, dell’espressione genica causata da fattori ambientali. Come interagiscono i fattori genetici e quelli socio ambientali sulle nostre vite? Durante lo sviluppo del ciclo vitale di un individuo, le cellule, i tessuti, gli organi sono esposti a diversi ambienti. Il termine ambiente va considerato nella più ampia accezione: per le cellule germinali è ambiente l’ovario o il testicolo, per l’embrione l’organismo materno, per i nuovi individui l’aria, l’acqua, la famiglia, la scuola. Il genoma, ossia il DNA, nelle diverse fasi dello sviluppo è esposto ad una varietà di agenti chimici e fisici detti xenobionti; l’ambiente sociale, che comprende censo, famiglia, scuola, religione, cultura, ne influenza in modo determinante il grado di esposizione. La struttura sociale tende a veicolare continuità di vantaggi o svantaggi: sono ben noti sia l’arresto della crescita in altezza dovuto a deprivazioni emotive o nutrizionali degli infanti sia le marcate differenze in longevità, aspettativa di vita in buona salute e forma fisica in età avanzata in relazione alla classe sociale. Ci può fare qualche esempio storico di come il sociale si fa biologico?

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Alcuni dei più robusti archivi di dati riguardano gli studi longitudinali effettuati su diverse malattie, come lo UK Economic and Social Research Council e lo USA National Institute of Aging. Classico lo studio sugli effetti della deprivazione sociale sulle traiettorie di salute nei pazienti affetti da fibrosi cistica: si possono evidenziare traiettorie sociali ben precise per le condizioni patologiche della malattia in dipendenza del grado di deprivazione sociale, accesso al sistema delle cure e stato occupazionale. Se la nostra malattia è in parte predestinata dal contesto sociale in cui nasciamo e cresciamo, cosa possiamo fare per guadagnare margini di salvezza? L’Organizzazione Mondiale della Sanità indica quale alta priorità delle nazioni “quella di assicurare un buon inizio della vita a ciascun bambino” (pag. 1012 di M. Marmot et al. “WHO European review of social determinants of health and the health divide” The Lancet 380:1011–1029, 2012) con la richiesta di ridurre entro poche generazioni le ineguaglianze di salute. Sono passati più di dieci anni da questo grido di allarme e la situazione è peggiorata: basterà leggere l’ultimo rapporto sulle disuguaglianze nel mondo dell’organizzazione OXFAM (http://www.oxfamitalia.org). Per avere popolazioni più sane, dunque, occorre investire in giustizia sociale?


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di seguire i corsi e interagire con i professori, ed appassionarsi ai grandi temi del vivere nel millennio delle Scienze della Vita quando tutto è Bio: Biotecnologie, Bioeconomia, Bioetica, Biosicurezza.

“Il termine ambiente va considerato nella più ampia accezione: per le cellule germinali è ambiente l’ovario o il testicolo, per l’embrione l’organismo materno, per i nuovi individui l’aria, l’acqua, la famiglia, la scuola”.

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Non vi è altra soluzione. Suggerisco, a tale proposito, la lettura del documento preparato dalla Fondazione Veronesi: “L’impatto delle diseguaglianze socio-economiche sul diritto ad avere eguali opportunità di salute in Italia” (https://www.fondazioneveronesi.it/ uploads/2016/11/17/Comitato_Etico_Fondazione_Veronesi_Disuguaglianze.pdf) Nel libro “DNA, la vita in tre miliardi di lettere”, scritto a quattro mani con Manuela Monti, definisce il DNA come “un’affascinante doppia elica di straordinaria bellezza”. Da cosa deriva questa straordinaria bellezza? Ai nostri occhi, dall’estetica della doppia elica: ammirarla è poetico, nel senso letterale del termine: genera pŏēsis, creatività e riflessioni profonde. Ha nuovi progetti editoriali in cantiere? Per la collana “I tipi” di Carocci, sempre con Manuela Monti, per la prossima primavera è in uscita “SOS Terra”. Perché ha scelto di diventare biologo? Per me le Scienze della Vita costituiscono la lente di lettura del nostro passaggio sul pianeta Terra. Si immagini testimonial durante un open day all’università: quali parole userebbe per convincere le future matricole a iscriversi al corso di laurea in Scienze Biologiche? Suggerirei loro di dotarsi di “conoscenza”, di “sapere”; il che vuol dire studiare, e quin-

CHI È

Carlo Alberto Redi è socio nazionale della Accademia Nazionale dei Lincei. Presidente Comitato di Etica della Fondazione Umberto Veronesi. Membro della Commissione Dulbecco sulla utilizzazione delle cellule staminali (2000 – 2001) e del Comitato Nazionale Biosicurezza, Biotecnologie e Scienze della Vita (2007 – 2012). Con Manuela Monti (Univ. Pavia) ha pubblicato: “Prepararsi al futuro” (il Mulino, 2022); “Genomica sociale, come la vita quotidiana può modificare il nostro DNA (Carocci, 2017).

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Salute

NUOVE PROSPETTIVE PER CAPIRE L’ALZHEIMER: SCOPERTI CINQUE SOTTOTIPI Un team di neurobiologi della Libera Università di Amsterdam identifica varianti distinte della malattia. La sottotipizzazione apre la strada a trattamenti personalizzati

di Carmen Paradiso 24

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Salute

Infatti, secondo i ricercatori la sottotipizzazione basata sull’analisi del liquido cerebrospinale può essere efficace per identificare i pazienti che potrebbe rispondere meglio ad un determinato trattamento terapeutico. Questo approccio può essere utilizzato sia per classificare in anticipo i pazienti sia per valutare la risposta al trattamento e gli effetti collaterali nei trial clinici.

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I

l morbo di Alzheimer è una malattia neurodegenerativa, che grazie a un recente studio è ora possibile suddivedere in cinque sottotipi. È stato il team di ricercatori neurobiologi, guidato da Betty Tijms, della Libera Università di Amsterdam a identificare i sottotipi della malattia, ognuno con caratteristiche proteiche, rischio genetico e percorsi di progressione diversi. Ogni variante presenta, all’interno dell’organismo, un differente processo molecolare. Questo studio, pubblicato sulla rivista Nature Aging, rappresenta un punto di svolta sia nella comprensione sia nel trattamento dell’Alzheimer. Si tratta di una malattia progressiva che colpisce il cervello e agisce sulla memoria causandone una costante perdita. È considerata una delle principali cause di demenza a livello mondiale e colpisce più di 44 milioni di persone. Questa malattia, caratterizzata dall’accumulo di proteine anomale, porta alla morte delle cellule nervose. Con la progressiva morte di queste cellule, vengono perse le funzioni cognitive e ciò comporta una graduale perdita dell’orientamento spazio-temporale, della capacità di pensare e ragionare in modo coerente. Ad oggi, non esiste una cura definitiva per l’Alzheimer. L’avanzare della malattia richiede cure e assistenza continua. Nello studio sono state identificate 3.863 proteine totali, di queste, 1.309 (corrispondenti a 28.408 peptidi) sono state individuate in tutti i soggetti analizzati. Successivamente, è stata condotta un’analisi per determinare quali erano le proteine che presentavano livelli differenti tra i pazienti affetti da Alzheimer rispetto ai gruppi di controllo. L’analisi è stata ripetuta, tenendo in considerazione i livelli di tau e le diverse fasi della malattia, perché i livelli proteici possono variare in modo non lineare in relazione a queste variabili. Questo approccio ha portato all’identificazione di 1.058 proteine. In seguito, sono state analizzate queste 1.058 proteine nel liquido cerebrospinale di 419 pazienti, di questi: 107 con cognizione normale, 103 con deterioramento cognitivo lieve e 209 con demenza. Nello studio sono state utilizzate una combinazione di tecniche avanzate di proteomica e spettrometria di massa. Questo approccio ha consentito di identificare modelli proteici specifici che caratterizzano ciascun

sottotipo di Alzheimer al fine di ricavare informazioni utili per lo sviluppo di nuovi farmaci. I risultati della ricerca hanno identificato cinque varianti distinte della malattia. Il sottotipo uno (Iperplasticità) che è caratterizzato da una crescita cellulare eccessivamente attiva e da un accumulo di proteine amiloide che promuove la crescita cellulare e tau (presente in quasi tutti i pazienti affetti da Alzheimer). I pazienti affetti da questa variante hanno un’aspettativa di vita più lunga rispetto agli altri: nove anni dalla diagnosi. Nel secondo sottotipo il sistema immunitario attacca il tessuto cerebrale sano (attivazione immunitaria innata). Nel terzo sottotipo si verifica un cambiamento nel trasporto delle proteine lungo gli assoni, vitali per la funzionalità delle cellule nervose (disfunzione dell’RNA). I pazienti con questa variante vivono in media cinque anni e mezzo dopo la diagnosi. Questa variante (quarta) influisce sul sistema ventricolare del cervello, alterando la produzione di liquido cerebrospinale e il trasporto di nutrienti al cervello (disfunzione del plesso coroideo). Infine, la quinta variante è caratterizzata da una ridotta produzione di amiloide e da un indebolimento della barriera protettiva del cervello, permettendo l’infiltrazione di molecole dannose (compromissione della barriera ematoencefalica). La scoperta di questi sottotipi apre la strada a trattamenti più mirati ed efficaci. Farmaci precedentemente ritenuti inefficaci potrebbero essere stati testati sul sottotipo sbagliato di pazienti. Inoltre, questa classificazione aiuta a comprendere meglio i diversi profili di rischio genetico, gli esiti clinici, i tempi di sopravvivenza e i modelli di atrofia cerebrale associati a ciascun sottotipo. Ad esempio, un farmaco che contrasta gli accumuli di amiloide potrebbe essere vantaggioso per i pazienti affetti dal sottotipo uno, ma potrebbe rivelarsi pericoloso per quelli con il sottotipo cinque, che presentano già una produzione ridotta di tale sostanza. Questa ricerca non solo migliora la comprensione dell’Alzheimer, ma pone anche le basi per lo sviluppo di strategie terapeutiche personalizzate. Sono necessari ulteriori studi per comprendere nel dettaglio le implicazioni di questi sottotipi e per sviluppare farmaci specifici per ciascuna variante. Giornale dei Biologi | Gen 2024

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Salute

«La demenza a esordio giovanile ha un impatto molto grave, perché le persone colpite di solito hanno ancora un lavoro, figli e una vita frenetica - ha affermato il neuroscienziato Stevie Hendriks dell’Università di Maastricht -. Spesso si presume che la causa sia genetica, ma per molte persone in realtà non sappiamo esattamente quale sia. Ecco perché abbiamo voluto indagare anche altri fattori di rischio in questo studio».

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Q

uando si parla di demenza si è soliti aggiungere, quasi come fosse un riflesso incondizionato, il termine senile. Come se questo tipo di problema riguardasse solo e soltanto le persone anziane. Tuttavia, il nesso tra il deficit cognitivo e l’età avanzata di un soggetto non è così automatico. La demenza può infatti colpire ogni fascia anagrafica, anche quella giovane, fin dai 30 anni di età e talvolta in maniera subdola. Senza che vi siano degli evidenti segnali che permettano di coglierla con l’opportuno tempismo. Ma quali sono i fattori di rischio? Per individuarli bisogna fare riferimento a uno studio della Maastricht University condotto dal team di esperti coordinato da Stevie Hendriks e pubblicato su Jama Neurology. I ricercatori hanno individuato ben quattro fattori ai quali prestare particolare attenzione. Ma partiamo dalla ricerca, che ha preso in esame i dati di oltre 360mila soggetti della UK Biobank, i quali sono stati seguiti per otto anni. Nel corso del follow up i casi di demenza a esordio precoce sono stati circa 17 all’anno per 100mila persone. La maggior parte dei casi riguardava persone di età compresa tra i 40 e i 50 anni. Relativamente ai fattori di rischio ne sono stati individuati complessivamente quattro: 1) bassi livelli di vitamina D; 2) ipotensione ortostatica, ovvero l’improvvisa riduzione della pressione sanguigna quando ci si alza o si cambia posizione; 3) un aumento della proteina C reattiva nel sangue che indica infiammazione; 4) isolamento sociale. «In particolare abbiamo osservato che livelli inferiori alla norma di vitamina D, che ha un effetto neuroprotettivo e, al contrario, livelli alti di proteina C reattiva, sembrano predire le probabilità di demenza giovanile» è ciò che viene messo in evidenza nello studio. Ma la scoperta diventa importante in particolar modo per ciò che può comportare in termini di modifiche nelle strategie della prevenzione delle varie forme di demenza. Questa patologia comporta una grave forma di deterioramento dell’integrità mentale che peggiora col passare del tempo. Chi ne soffre ha difficoltà a svolgere anche le più semplici attività quotidiane come ad esempio guidare, cucinare o gestire le proprie finanze. Nel deterioramento delle funzioni mentali ciò che si nota è anzitutto perdita della memoria, difficoltà a usare il linguaggio o

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fare programmi, risolvere problemi, gestire attività complesse come può essere la gestione di un conto bancario e usare il buon senso. Altri sintomi sono comportamento distruttivo, cambiamenti della personalità, disturbi dell’umore, psicosi, disturbi del sonno e problemi di deambulazione. Talvolta è possibile confonderla con la depressione, ma ci sono delle differenze che permettono di distinguerle. Anzitutto le persone depresse tendono a mangiare e dormire poco, mentre chi soffre di demenza in fase iniziale mangia e dorme regolarmente. Inoltre, difficilmente chi soffre di depressione dimentica cose ed eventi importanti riguardanti la propria vita. Nella demenza giovanile la diagnosi è un po’ più lenta e complessa e comporta rilevanti ricadute negative sul piano lavorativo, economico e sociale. La forma più frequente di “EOD” (early-onset dementia, che identifica le persone con meno di 65 anni di età) è la malattia di Alzheimer che nei giovani si manifesta con disturbi che vanno maggiormente a carico del linguaggio e del comportamento, più che della memoria. Stesse conseguenze pure per la demenza frontotemporale. Le cause della malattia non sono ancora note sebbene il fattore ereditario abbia una certa incidenza. Anche l’alcol ha ovviamente un’influenza negativa. A tal proposito i ricercatori hanno rilevato un aumento del rischio dovuto all’abuso di alcol, mentre un consumo da lieve a moderato non avrebbe particolari ripercussioni probabilmente anche perché riguardante soggetti mediamente più sani. Dall’analisi, infine, è emersa pure una correlazione con i livelli di istruzione che, se più elevati, corrispondono a un rischio minore di demenza precoce. Sono tutti aspetti da prendere in considerazione per una questione che diventa giorno dopo giorno sempre più delicata. Già, perché la demenza è in costante aumento nella popolazione, tanto da essere definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità una priorità mondiale di salute pubblica. I numeri sono allarmanti e destinati ad aggravarsi: al momento si stima che nel mondo oltre 55 milioni di persone convivono con una forma di demenza. La previsione è che entro il 2030 si arriverà a 75 milioni e a 132 milioni entro il 2050. Sempre secondo l’OMS la malattia di Alzheimer e le altre demenze costituiscono la settima causa di morte nel mondo. (D. E.).


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LA DEMENZA NON È SOLO SENILE: COLPISCE ANCHE I GIOVANI, I FATTORI DI RISCHIO Declino cognitivo in aumento tra gli under 65: dalla vitamina D alla proteina C reattiva, ecco quando deve scattare l’allarme in base allo studio della Maastricht University Giornale dei Biologi | Gen 2024

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UN ANIMALE P DOMESTICO GIOVA ALLA MEMORIA Avvalersi della compagnia di un cane o un gatto aiuta a contrastare la solitudine e il declino cognitivo

erché si usa l’espressione il cane è il miglior amico dell’uomo? Secondo alcuni studi tale affermazione avrebbe radici assai profonde. Addirittura, i cani avrebbero accompagnato i primi Sapiens nella migrazione e diffusione in Europa e Asia durante l’ultima Era glaciale. Quando sarebbe avvenuto il primo incontro e quand’è che questa relazione sia diventata così profonda non è dato saperlo con certezza. Resta il fatto che non è solo un modo di dire dei nostri tempi, ma un fatto comprovato dalla stessa scienza per un concetto che potrebbe essere allargato anche agli altri animali domestici. Almeno questa è la tesi che intende dimostrare uno studio pubblicato su Jama Network Open. Dalla ricerca emerge che per i single ultracin-

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quantenni adottare un animale domestico può salvare se non la vita quanto meno la memoria. È infatti una maniera utile per combattere la solitudine e probabilmente anche il declino cognitivo, ma per quest’ultima teoria occorreranno ulteriori studi. Ad ogni modo la direzione della scienza va proprio in questo senso come testimonia il lavoro dei ricercatori della School of Public Health, Sun Yat-sen University di Guangzhou, in Cina. L’aspetto non è banale, in virtù anche dell’aumento della vita media della popolazione mondiale. Il deterioramento delle funzioni cognitive dopo una certa età è uno dei principali problemi di salute pubblica, affermano gli esperti. Le stime parlano di un numero di persone affette da demenza in tutto il mondo destinato ad aumentare dagli attuali 55 milioni a 132 milioni nel 2050. Ecco perché è fondamentale identificare le popolazioni ad alto rischio e i fattori di rischio modificabili per poter intervenire con opportuni provvedimenti. La solitudine è un male da combattere, anche con gli animali domestici che possono offrire benefici tangibili. Per chi non è ancora convinto basta citare qualche dato. Nel 2021 la percentuale di famiglie composte da una sola persona nel Regno Unito e negli Stati Uniti ha raggiunto rispettivamente il 29,4% e il 28,5%. E una recente metanalisi di 12 studi ha riportato che gli anziani che vivono soli sono ad alto rischio di sviluppare demenza. Sono tante le ricerche che attestano i benefici degli animali domestici sul benessere psicofisico dei propri padroni. Secondo il National Institute of Health degli Stati Uniti, gli animali giocano un ruolo significativo nel ridurre lo stress, migliorare la salute del cuore, diminuire il senso di solitudine e migliorare l’umore. In più sono u n

Gli autori hanno preso in considerazione un campione di 7.945 over 50 e ciò che è emerso è proprio il valore aggiunto arrecato dalla presenza di un animale relativamente a tassi più lenti di declino della memoria e della fluidità verbale. I dati presi in considerazione sono quelli dell’English Longitudinal Study of Ageing, nei periodi giugno 2010-luglio 2011 e giugno 2018-luglio 2019. L’età media dei partecipanti è di 66,3 anni con oltre 4.400 donne. Il presupposto di fondo della ricerca prevedeva la vita in solitario, quindi senza relazioni o conviventi. Da questo punto di vista la presenza di un pet può rivelarsi determinante proprio nel discorso del calo cognitivo nelle persone anziane.

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valido aiuto anche per tenersi in salute facendo esercizio fisico, mantenere una routine quotidiana più attiva, concentrarsi sul momento che si sta vivendo e, perché no, conoscere altre persone. Insomma, un vero e proprio toccasana. E non finisce qui. Perché secondo molti, inoltre, avere un pet comporterebbe effetti di rilievo anche sulla volontà di smettere di fumare. Proprio così: il 28,4% dei tabagisti che posseggono animali sarebbe motivato a dare il benservito alle sigarette a causa degli effetti avversi sulla loro salute. Il fumo passivo, infatti, nuoce gravemente anche agli animali e può provocare cancro in cani e gatti, allergie nei cani e disturbi a occhi, pelle e vie respiratorie nei volatili. Sono quindi davvero tanti i motivi per cercare compagnia, non necessariamente umana, e ancor di più se si vive soli in casa. Non è neppure un ostacolo insormontabile lo spazio: naturalmente in base a quanto se ne ha a disposizione ci si regola di conseguenza con l’animale da prendere con sé. Ma gli italiani lo sanno: nel 2022 Euromonitor ha stimato siano presenti nelle nostre case 64,95 milioni di animali da compagnia. Quasi 19 milioni sono cani e gatti, con questi ultimi che sono ormai stabilmente più di dieci milioni. Poi gli acquari delle famiglie italiane, popolati da quasi 30 milioni di pesci. È stata inoltre stimata la presenza di 12,88 milioni di uccelli ornamentali, mentre i piccoli mammiferi e i rettili sono stimati rispettivamente in 1,8 e 1,4 milioni di esemplari. Sono dati, tra l’altro, in aumento, a conferma della necessità avvertita di avvalersi di pet per migliorare la propria qualità della vita. Anziani ma anche bambini per un’esigenza che è aumentata di gran lunga nel post pandemia, guarda caso con le persone costrette a rimanere chiuse in casa e con la socialità inevitabilmente ridotta. (D. E.).

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I risultati della ricerca suggeriscono che la rilevazione immunitaria naturale dei danni al DNA costituisca una barriera fondamentale contro la conversione oncogenica nelle preneoplasie carenti della proteina p53. La proteina Mre11, interagendo con il sensore cGas, provoca una specifica forma di morte cellulare, nota come necroptosi, nel contesto del tumore. A differenza di altre forme di morte cellulare, la necroptosi non solo distrugge le cellule tumorali, ma provoca anche una risposta infiammatoria che attiva l’intero sistema immunitario, contribuendo così a sopprimere il tumore esistente o in fase di sviluppo.

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olpire e distruggere le cellule malate prima ancora che diventino tumorali grazie ad una proteina, nota per la sua funzione di riconoscimento dei danni al Dna. È questo ciò che emerge da studi condotti da un team di ricercatori americani, di fondamentale importanza per il futuro sviluppo di nuovi trattamenti e per la prevenzione del cancro al seno. Lo studio dell’Università del North Carolina, guidato da Ming-Guk Cho e Rashmi Kumar, dal titolo: “Mre11 facilita la liberazione di cGas dal blocco dei nucleosomi durante la tumorigenesi” è stato pubblicato sulla rivista Nature. Ad innescare questo processo di riconoscimento sarebbe la proteina Mre11 che è in grado di attivare i sensori responsabili dell’innesco della risposta immunitaria contro le cellule malate o in via di malattia. Il sistema immunitario umano è dotato della capacità di eliminare le cellule cancerogene. Tuttavia, questo meccanismo innato che dovrebbe scatenare questa reazione di eliminazione del cancro è generalmente in uno stato di inattività. Da tempo i ricercatori hanno cercato di individuare il meccanismo che i tumori attivano per eludere le difese dell’organismo nonostante, per le cellule che mostrano danni al DNA, il sistema immunitario sia in costante allerta. Ed è quello che accade anche alla cellula tumorale: si divide subendo danni alle molecole del Dna. I due aspetti fondamentali della ricerca sono: l’enzima cGas e la proteina Mre11. L’enzima chiamato GMP-AMP sintasi ciclico (cGAS) ha il compito di allertare il sistema immunitario riguardo la presenza di tumori in crescita attraverso il processo di divisione delle cellule malate. In questa fase, il DNA delle cellule tumorali subisce danneggiamenti dovuti allo stress replicativo causato dall’oncogene. Questo tipo di danno permette al corpo di riconoscere tali cellule come pericoli, scatenando meccanismi di difesa volti a distruggere le cellule prima che possano trasformarsi in tumori. Gli scienziati già nel 2020 avevano scoperto che il sensore cGas, sebbene presente, generalmente rimane inattivo a causa dell’inibizione operata dalla cromatina nucleare. Questo sensore è coinvolto in una risposta immunitaria che attiva un significativo processo infiammatorio, un meccanismo che l’organismo preferisce limitare a situazioni di stretta necessità.

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Il cGAS è in uno stato inattivo poiché ha una predilezione per le molecole degli istoni, che sono proteine intorno alle quali si avvolge il DNA, piuttosto che per il DNA stesso. Come se fosse immobilizzato dal suo legame con gli istoni che lo rende incapace di adempiere alla sua funzione di riconoscere il DNA, a meno che non venga sbloccato da un qualche meccanismo specifico. I ricercatori hanno evidenziato il ruolo fondamentale di un altro elemento nel processo: la proteina Mre11 in grado di liberare il sensore cGAS dagli istoni. Infatti, si è visto come la proteina contemporaneamente al processo di riconoscimento e legame con il Dna che presenta danni, rilasci cGAS dagli istoni. Questa proteina, interagendo con il sensore cGas, provoca una specifica forma di morte cellulare, nota come necroptosi, nel contesto del tumore. A differenza di altre forme di morte cellulare, la necroptosi non solo distrugge le cellule tumorali, ma provoca anche una risposta infiammatoria che attiva l’intero sistema immunitario, contribuendo così a sopprimere il tumore esistente o in fase di sviluppo. Inoltre, nella ricerca è emerso che il blocco della funzione della proteina Mre11 porti a una riduzione della risposta immunitaria e di conseguenza a un più rapido sviluppo del cancro. Altro aspetto importante evidenziato dallo studio è stato l’importanza del ruolo del gene Zbp1 (rilevante per l’inizio e l’avanzamento del tumore) nella necroptosi, un processo che contribuisce alla soppressione del tumore, attivato da Mre11 - cGas. Nella ricerca emerge che Mre11 è un elemento chiave che connette i danni al DNA, all’attivazione di cGas, portando alla soppressione del tumore tramite la necroptosi guidata da Zbp1. Infatti, la diminuzione dell’espressione di ZBP1 nei casi di cancro al seno triplo negativo è collegata a un aumento dell’instabilità del genoma, alla riduzione dell’attività immunitaria e a una prognosi meno favorevole per il paziente. Le prospettive di questa ricerca non si limitano a suggerire un possibile trattamento per il cancro al seno, ma lasciano intravedere anche l’opportunità di sviluppare uno strumento di prevenzione. Si apre la strada a terapie sempre più mirate per la cura del tumore al seno. È già in atto una sperimentazione clinica per verificare l’efficacia nel trattamento di alcune neolpasie mammarie che vedono la combinazione di radiazioni e immunoterapia. (C. P.).


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CANCRO AL SENO: SCOPERTO RUOLO DELLA PROTEINA MRE11 Possibile rivoluzione nella prevenzione e trattamento del cancro al seno Lo studio dell’Università del North Carolina guidato da Ming-Guk Cho e Rashmi Kumar Giornale dei Biologi | Gen 2024

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UNO STUDIO RIVOLUZIONA LO SVILUPPO DEI FARMACI PER LE MALATTIE POLMONARI L’utilizzo di fette polmonari umane in vivo e una nuova combinazione di metodi sperimentali permettono di identificare più velocemente i meccanismi delle patologie e le terapie

di Sara Bovio

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n innovativo studio tedesco ha consentito di studiare i processi coinvolti nelle malattie polmonari, come la fibrosi cistica, direttamente nel tessuto umano, accelerando così lo sviluppo di nuovi farmaci. Il team di scienziati del Centro Helmholtz di Monaco, guidati da Herbert Schiller e Gerald Burgstaller, ha raccolto informazioni molecolari da campioni di pazienti e le ha utilizzate per studi di laboratorio, nei quali è stata applicata una nuova combinazione di metodi sperimentali. L’assenza di modelli di laboratorio in grado di replicare accuratamente la fisiologia umana dei polmoni e la mancanza di specifiche tecniche analitiche sono i principali fattori che determinano il fallimento della maggior parte degli studi clinici che testano nuovi farmaci per la cura delle malattie polmonari. Come spiegano gli autori nel loro studio pubblicato su Science Translational Medicine, nei comuni approcci sperimentali, specifiche vie molecolari sono indagate in condizioni altamente artificiali, utilizzando uno o due diversi tipi di cellule in un piatto di coltura in laboratorio. Questi sistemi semplici non riescono a replicare in modo completo la complessità dell’ambiente tissutale del polmone e quindi questi modelli di laboratorio non permettono di scoprire le vie di comunicazione specifiche cellula-cellula che

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sono rilevanti dal punto di vista terapeutico. Per superare questo limite, gli scienziati di Monaco hanno utilizzato un promettente modello sperimentale emerso di recente per lo studio delle malattie polmonari: le cosiddette fette polmonari umane tagliate con precisione (hPCLS). Si tratta di sottili sezioni di tessuto polmonare che possono essere utilizzate in laboratorio. Per ricavare le hPCLS, gli scienziati dell’Helmholtz di Monaco utilizzano tessuto polmonare umano ottenuto da pazienti sottoposti a interventi chirurgici a causa di malattie polmonari. Il tessuto viene tagliato in fette sottili che possono essere mantenute vive in laboratorio. Gli hPCLS hanno il vantaggio unico di conservare l’intera diversità cellulare e la struttura tridimensionale nativa del polmone. Questo metodo consente l’investigazione del tessuto umano vivente nella sua struttura e composizione naturale per la traduzione dei principali risultati di laboratorio in potenziali terapie. Nello studio gli scienziati hanno accoppiato le perturbazioni ex vivo con citochine e farmaci di fette polmonari umane tagliate con precisione (hPCLS) con il sequenziamento dell’RNA a singola cellula e hanno indotto un circuito multilineare di stati cellulari fibrogenici in hPCLS. I risultati hanno dimostrato che gli stati cellulari della ricerca erano molto simili al circuito cellulare in vivo


Il team di scienziati del Centro Helmholtz di Monaco, guidati da Herbert Schiller e Gerald Burgstaller, ha raccolto informazioni molecolari da campioni di pazienti e le ha utilizzate per studi di laboratorio, nei quali è stata applicata una nuova combinazione di metodi sperimentali.

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in un atlante di cellule polmonari di pazienti affetti da fibrosi polmonare. Il team di ricercatori tedeschi ha poi eseguito un’analisi approfondita di tutte le cellule all’interno delle hPCLS, ampliando così le possibilità di utilizzo del modello polmonare. Gli autori hanno sfruttato l’importanza della genomica a singola cellula, che registra le attività dei geni nelle singole cellule, per analizzare l’attività di tutte le cellule dell’hPCLS dopo specifici trattamenti sperimentali e terapeutici. Le nuove conoscenze di tipo avanzato sul modello hPCLS sono state utilizzate dal team per capire come le attività cellulari specifiche della malattia, che si verificano nei pazienti affetti da fibrosi polmonare, possano essere indotte nel sistema modello hPCLS e come questi stati cellulari specifici della malattia possano essere influenzati da diversi farmaci antifibrotici. Nella ricerca gli autori hanno integrato computazionalmente diversi set di dati trascrittomici a singola cellula, provenienti da coorti multiple di pazienti e hanno utilizzato approcci di apprendimento per trasferimento basati sull’intelligenza artificiale. La pro-

cedura di addestramento della rete neurale profonda è stata fatta per capire come gli stati cellulari indotti dai trattamenti con citochine e farmaci nel modello hPCLS si possano confrontare con l’Atlante delle cellule polmonari umane (HLCA) di salute e malattia. L’HLCA è una mappa completa che illustra le caratteristiche di tutti i tipi di cellule del polmone umano ed è stata pubblicata all’inizio del 2023 dagli scienziati di Helmholtz Munich e dai loro partner internazionali. I ricercatori rilevano che i nuovi metodi e le intuizioni presenti nella loro ricerca dimostrano la potenza degli studi sperimentali in hPCLS per consentire l’analisi dell’omeostasi, della rigenerazione e della patologia dei tessuti. Herbert Schiller Schiller commenta gli sforzi in corso del suo team: «Stiamo lavorando con l’obiettivo di saperne di più sulla regolazione degli stati del tessuto polmonare in condizioni di salute e malattia e fornire un modello sperimentale per testare i farmaci direttamente nel tessuto polmonare umano». Gli scienziati dell’Helmholtz Munich concludono che il loro studio sugli hPCLS offre la concreta opportunità di accelerare lo sviluppo di farmaci antifibrotici. Giornale dei Biologi | Gen 2024

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“SUPERBATTERI” RESISTENTI AI FARMACI, SCOPERTO ANTIBIOTICO CHE LI SCONFIGGE Il nuovo antimicrobico è stato testato su un batterio Gram-negativo multiresistente che può causare gravi infezioni e utilizza un metodo innovativo per provocarne la morte

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ricercatori dell’Università di Harvard in collaborazione con la casa farmaceutica F. Hoffmann-La Roche di Basilea, hanno sviluppato un nuovo tipo di antibiotico efficace contro un batterio resistente alla maggior parte degli antimicrobici disponibili e responsabile di infezioni gravi e spesso letali soprattutto in ambiente ospedaliero. Il nuovo farmaco si chiama Zosurabalpin e ha come bersaglio il batterio gram-negativo Acinetobacter baumannii noto anche come Crab. Questo patogeno può causare infezioni nel sangue, nelle vie urinarie, nei polmoni o nelle ferite in altre parti del corpo. A. baumannii, attualmente in fase di sviluppo clinico, si è dimostrato resistente a più farmaci, compreso il gruppo di battericidi ad ampio spettro chiamati carbapenemi. Come spiegano gli autori nello studio pubblicato su Nature, le infezioni batteriche resistenti agli antibiotici rappresentano un’urgente minaccia globale per la salute pubblica. Antibiotici efficaci sono alla base della medicina moderna e sono indispensabili anche nella chirurgia di routine, nei trapianti e nella terapia immunosoppressiva. Tuttavia, nel corso del tempo, i microrganismi si evolvono per sopravvivere ai farmaci, sviluppando una resistenza a uno o più farmaci e rendendo così questi medicinali inefficaci. Nonostante il crescente bisogno di antibiotici e l’aumento della resistenza ai farma-

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ci, dal 1968 non è stata immessa sul mercato nessuna nuova classe di antibiotici efficace contro i batteri gram-negativi. Questi tipi di germi sono protetti da una doppia membrana interna e di una esterna che impedisce l’ingresso della maggior parte degli antibiotici. Dopo dieci anni di lavoro, i ricercatori sono riusciti a creare un farmaco che impedisce al batterio di costruire correttamente la sua parete esterna. «Zosurabalpin - afferma Kenneth Bradley, autore dello studio e responsabile presso il gruppo Roche Pharma Research and Early Development - ha un metodo di azione unico». La membrana esterna del batterio è di natura impermeabile per la presenza di un grande glicolipide anfipatico chiamato lipopolisaccaride (LPS). L’assemblaggio della membrana esterna richiede il trasporto dell’LPS attraverso un ponte proteico che va dalla membrana citoplasmatica alla superficie cellulare. Mantenere integra la membrana esterna è essenziale per la vitalità delle cellule batteriche e la sua alterazione può aumentare la suscettibilità ad altri antibiotici. Per questo motivo, da tempo gli scienziati si concentrano sulla ricerca di inibitori delle sette proteine del lipopolisaccaride che formano questo trasportatore. Il laboratorio di Daniel Kahne dell’Università di Harvard, ha dimostrato che Zosurabalpin inibisce il complesso LptB2FGC, il macchinario che assembla la membrana esterna


Antibiotici efficaci sono alla base della medicina moderna e sono indispensabili anche nella chirurgia di routine, nei trapianti e nella terapia immunosoppressiva.

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dei batteri gram-negativi. I ricercatori sono riusciti attraverso la microscopia crioelettronica a determinare le strutture di diversi co-complessi e ottenere informazioni strutturali e biochimiche fondamentali che hanno fatto luce sul meccanismo che blocca il bersaglio. «Questa nuova classe di antibiotici – spiega Bradley – si lega sia al complesso di trasporto che all’LPS stesso, impedendogli di raggiungere la membrana esterna. Di conseguenza, l’LPS rimane intrappolato sulla membrana interna. Senza la capacità di trasportare LPS, i batteri muoiono. La nuova molecola supera i meccanismi esistenti di resistenza ai farmaci che gli antibiotici disponibili non riescono ad affrontare, il che rappresenta un notevole passo in avanti contro la resistenza antimicrobica». «Zosurabalpin – scrivono gli scienziati – sembra avere un notevole potenziale per l’uso in clinica. Il composto è risultato efficace contro più di 100 campioni di Crab testati in laboratorio e ha ridotto considerevolmente i livelli di batteri nei topi con polmonite indotta da Crab. Allo stesso tempo, i modelli murini con risposta immunitaria anomala e sepsi trattati con Zosurabalpin erano associati a un tasso di

mortalità significativamente inferiore rispetto al gruppo di controllo». In conclusione gli autori sostengono che il nuovo antibiotico non solo offre una potenziale speranza ai pazienti, ma rappresenta anche un’importante scoperta scientifica: i risultati dello studio forniscono, infatti, le basi per estendere la nuova classe di antibiotici ad altri patogeni Gram-negativi. Secondo gli autori, nella lotta alla resistenza antimicrobica è fondamentale riuscire a comprendere in modo corretto i meccanismi alla base dell’infezione batterica per poter ottenere una diagnostica molecolare rapida. Senza quest’ultima, esiste il rischio che i pazienti gravemente malati possano ricevere antibiotici standard inefficaci e dall’altro lato che i pazienti senza gravi infezioni siano trattati in modo eccessivo con gli antibiotici, provocando un’ulteriore resistenza ai farmaci battericidi. Sebbene il nuovo farmaco sia stato testato solo su un tipo di batterio, il suo funzionamento suggerisce che potrebbe essere efficace anche contro altri microbi e questo deve incoraggiare gli investimenti di ricerca necessari in questo campo. (S. B.) Giornale dei Biologi | Gen 2024

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PROGRAMMA EUROPEO PER LO SVILUPPO DELLA MEDICINA PERSONALIZZATA Il progetto parte con un finanziamento 360 milioni da parte di Commissione e regioni con lo scopo di incentivare la ricerca e migliorare il numero delle strutture

di Elisabetta Gramolini

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vrà una durata decennale la European partnership for Personalised Medicine (Ep PerMed), la più grande iniziativa internazionale dedicata alla medicina personalizzata. Finanziata con 110 milioni di euro da parte della Commissione europea e con 250 milioni dalle regioni di 24 Paesi (fra i quali anche Canada e Israele) la partnership ha l’obiettivo di aumentare le conoscenze e la diffusione delle strutture capaci di analizzare il genoma umano. Per l’Italia, le regioni che hanno aderito sono finora la Lombardia e la Toscana, ma il progetto lascia la possibilità di associarsi in corsa. La maggior parte dei fondi della partnership sarà destinata al finanziamento dei bandi di ricerca a cui potranno partecipare enti pubblici e privati. «Sono anni che sosteniamo la ricerca europea nel settore - afferma Indridi Benediktsson, Health innovations directorate people European commission - e sono contento di dire che ora è giunto a un ottimo livello di maturazione. Siamo in grado di replicare i risultati della cura nel cancro nella prevenzione e per questo la medicina personalizzata potrà dare un contributo. Non siamo tutti uguali - sottolinea - e pos-

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siamo avere bisogno di cure diverse. Lo abbiamo visto durante la pandemia: la malattia era la stessa ma i sintomi erano differenti. La partnership lavorerà per la diffusione della medicina persona-


lizzata nei sistemi sanitari che non l’hanno ancora applicata». «Abbiamo l’impressione che la ricerca sia più avanza rispetto ai sistemi sanitari - osserva il coordinatore del German aerospace center, Wolfgang Ballensiefen - ci siamo perciò preoccupati di portare l’innovazione nei sistemi sanitari dei Paesi. L’esistenza di Ep PerMed è già un successo perché è difficile raggiungere il consenso di tutti ma abbiamo davanti dieci anni per implementare e migliorare. L’idea è di non pensare solo alla ricerca ma alle sue applicazioni. L’obiettivo è prendere gli sforzi di tutti e cercare di arrivare a risultati di alto livello. La prima call che verrà pubblicata sarà a inizio 2024. Vogliamo iniziare dalle dieci regioni per portare la medicina personalizzata all’interno. Per noi sarà una base per capire come far funzionare in sistemi più ampli e complessi». L’iniziativa europea nasce dal lavoro compiuto dal consorzio internazionale Ic PerMed, nato nel 2016 sempre su spinta della Commissione europea e sostenuto da quaranta organizzazioni pubbliche, fra le quali i diversi ministeri della Salute, e private no profit. «Sono sette anni - rammenta il vice presidente del consorzio ICPerMed, Ejner Moltzen - che ci stiamo muovendo per rispettare l’agenda europea di medicina

personalizzata che crediamo sia fondamentale per rendere sostenibili i sistemi sanitari. Abbiamo notato uno sviluppo sorprendente. Siamo stati in grado di capire le difficoltà da affrontare per migliorare sempre di più. La ricerca nel settore della medicina personalizzata in questo momento si è soffermata in poche aree di studio ma abbiamo notato che c’è una difficoltà nell’attivare le infrastrutture e i fondi dedicati. Ciò che affronteremo saranno questi aspetti che limitano la ricerca nel settore. Il traguardo più grande è stata l’approvazione da parte della politica: i nostri governi hanno capito che la medicina personalizzata dovrà far parte dei nostri sistemi sanitari. Il ruolo delle regioni è fondamentale e tramite il loro impegno possiamo mostrare e implementare la medicina personalizzata nei sistemi sanitari». Sarà poi importante stabilire le regole per la gestione delle informazioni. A questo proposito, la Commissione europea sta lavorando a una nuova legislazione sul trattamento dei dati sanitari che verrà poi applicata dai vari Paesi membri per garantire la privacy e permettere allo stesso tempo l’uso. «Per la medicina personalizzata occorre una grande quantità di dati - commenta l’altra vice presidente del consorzio ICPerMed e rappresentante del ministero della Salute austriaco, Hemma Bauer -. Lo sviluppo tecnologico ci permette oggi di rispettare le leggi in merito al trattamento dei dati ma anche gli standard di sicurezza. L’equilibrio è fra la sostenibilità dei costi e gli aspetti etici a cui fare attenzione». La scelta di puntare da parte dei Paesi europei sulla medicina personalizzata ha anche la finalità di ridurre i costi dei sistemi sanitari nazionali, come suggerisce Fabrizio Landi, presidente della Fondazione Toscana Life sciences: «la visione antica - afferma - per la quale siamo tutti uguali davanti alla malattia è sbagliata. Il vaccino anti tumorale, ad esempio, si farà ad hoc. Se riusciremo a individuare il quadro specifico eviteremo i costi della diagnostica che pesano moltissimo. Lo scopo oggi è cominciare a fare il passo due cioè implementare la piattaforma. La medicina di precisione è importante per il futuro ed è interessante che l’Europa lo stia supportando».

Finanziata con 110 milioni di euro da parte della Commissione europea e con 250 milioni dalle regioni di 24 Paesi (fra i quali anche Canada e Israele) la partnership ha l’obiettivo di aumentare le conoscenze e la diffusione delle strutture capaci di analizzare il genoma umano. Per l’Italia, le regioni che hanno aderito sono finora la Lombardia e la Toscana, ma il progetto lascia la possibilità di associarsi in corsa.

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ANTIBIOTICO-RESISTENZA ALLARME DELL’OMS Lo sviluppo di antibiotici di nuova generazione è una questione di massima priorità, ma le difficoltà sono molte di Michelangelo Ottaviano

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facile intuire cosa sia l’antibiotico-resistenza e perché rappresenti un serio problema; lo è molto meno riuscire a trovare soluzioni adatte a contrastare questo fenomeno, che da tempo sta destando la preoccupazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). La realtà dei fatti è che i farmaci che nel corso del Novecento avevano permesso di salvare la vita di milioni di persone si stanno dimostrando sempre meno efficaci. Lo sviluppo di antibiotici a partire dalla fine degli anni ’20 del Novecento, ha portato all’identificazione di circa 38

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15 classi, dalle quali vengono prodotti i farmaci che utilizziamo ancora oggi. Ma la scarsa varietà di queste sostanze è diventata, assieme a un uso eccessivo e improprio degli antibiotici e antibatterici, una delle cause dell’antibiotico-resistenza. La resistenza antibiotica è una caratteristica naturale dei batteri, i quali mutano ed evolvono per vanificare l’effetto dei medicinali con cui vengono combattuti. L’uso eccessivo e/o inappropriato di tali farmaci ha favorito lo sviluppo di queste mutazioni e quindi la nascita di batteri sempre più resistenti. Non sono da trascurare i dati raccolti dal

Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC): oltre a registrare un significativo aumento del fenomeno in tutta Europa, è stato osservato come i paesi dell’area meridionale, storicamente più inclini ad un uso più “sconsiderato” di antibiotici e antibatterici, rispetto a quelli dell’area settentrionale, nei quali invece si registra un ricorso ad essi più prudente, siano quelli con l’incremento più alto. Il problema di un uso eccessivo rimane ad ogni modo globale, e l’OMS ha avviato diverse iniziative per la sensibilizzazione sul tema di governi e autorità sanitarie nazionali. In molti paesi, Italia compresa, sono state rafforzate le limitazioni legate alla possibilità di acquisto degli antibiotici in farmacia senza una prescrizione medica. Un altro filone di ricerca che ha fatto registrare dati interessanti è quello che riguarda il consumo indiretto di antibiotici e antibatterici che avviene attraverso la catena alimentari: questo perché negli allevamenti se ne fa spesso uso per assicurare una crescita rapida e in salute degli animali, nonché per ridurre il loro rischio di infezioni. La letteratura sull’argomento è ancora ridotta per delle conclusioni definitive, ma ad oggi sembra che l’impatto del trasferimento indiretto sia minimo, e che sia quindi l’assunzione diretta la principale causa del fenomeno. Per l’OMS lo sviluppo di antibiotici di nuova generazione è una questione di massima priorità, ma le difficoltà nella realizzazione e i costi della stessa sono un ostacolo non indifferente. Proprio in ragione di questa situazione il recente sviluppo di zosurabalpin, antibiotico di nuova generazione ritenuto efficace contro un batterio difficile da trattare, è stato accolto come un importante passo in avanti. Il tema sarà affrontato nel corso della prossima assemblea generale delle Nazioni Unite a settembre, con una serie di incontri dedicati alla resistenza agli antimicrobici.


LA VIOLENZA NON TI FARÀ STARE MEGLIO.

LORO SÌ. Gli operatori sanitari e socio-sanitari lavorano tutti i giorni per la tua salute. Aggredirli verbalmente e fisicamente è un reato e un atto di inciviltà che va contro il tuo stesso interesse e quello della collettività.

Campagna contro la violenza verso gli operatori sanitari e socio-sanitari

#laviolenzanoncura

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l tumore al pancreas è ancora oggi per l’uomo tra le neoplasie più letali; una chimera, tremendamente reale, che la medicina contemporanea cerca di combattere. Le proiezioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità prevedono che l’incidenza di questa malattia aumenterà notevolmente nei prossimi 40 anni, e i numeri di chi riesce a superarla non sono ad oggi confortanti. Ma la Scienza, quasi per definizione, è una disciplina che non ammette un pensiero pessimista, tutt’altro; e proprio in questa prospettiva è importante sottolineare come la ricerca stia andando sempre più avanti. Un importante contributo è stato di recente fornito dagli scienziati dell’Ospedale San Raffaele di Milano, i quali hanno compreso e individuato un meccanismo che promuove la crescita del tumore al pancreas. Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature, è ancora in fase preclinica, ma i risultati ottenuti sono di particolare importanza: si parla di una nuova possibile strategia che potrebbe fermare l’insorgere del tumore in persone a rischio o potenziare la risposta nei pazienti all’immunoterapia. L’attenzione dei ricercatori si è concentrata sul ruolo particolare di alcune cellule del sistema immunitario innato, i macrofagi, che hanno il compito di proteggere i tessuti e attivare le risposte contro i patogeni. Nei tumori però, i macrofagi possono riprogrammare la loro attività, arrivando perfino a sostenere l’avanzata della neoplasia. Una delle particolarità note del tumore al pancreas è la presenza di una forte componente infiammatoria. Ciò è particolarmente rilevante poiché l’insorgenza di danni ai tessuti e le risposte infiammatorie che ne conseguono (come le pancreatiti) sono noti fattori di rischio per lo sviluppo neoplastico. Nel nuovo studio, i ricercatori sono riusciti finalmente a capire da cosa dipende la capacità dell’infiammazione nel promuovere la crescita tumorale. In particolare, si sono concentrati sull’interazione dei macrofagi, chiamati IL-1β+,

NEURONI E LA REGOLA DI DISTRIBUZIONE La strada verso una riproduzione digitale del funzionamento del nostro cervello è ancora piuttosto lunga

e alcune cellule tumorali caratterizzate da uno specifico profilo infiammatorio e da un’elevata aggressività nell’adenocarcinoma duttale del pancreas (Pdac). Il team è riuscito a individuare un nuovo sottogruppo di macrofagi, chiamati IL1β+ TAM, capaci di stimolare l’aggressività delle cellule tumorali nelle loro vicinanze. Come spiegato nello studio, gli IL-1β+ TAM sono localizzati in piccole nicchie vicino alle cellule tumorali infiammate, ed è proprio la vicinanza fisica tra macrofagi e cellule tumorali che potrebbe sostenere la progressione della malattia. I macrofagi inducono una riprogrammazione infiammatoria e pro-

muovono il rilascio di fattori che, a loro volta, favoriscono lo sviluppo e l’attivazione degli IL-1β+ TAM. I macrofagi rendono le cellule tumorali più aggressive, e le cellule tumorali riprogrammano i macrofagi in grado di favorire l’infiammazione e la progressione della malattia. Questo approccio ha portato a una riduzione dell’infiammazione e a un rallentamento della crescita del tumore del pancreas. Bloccare il meccanismo infiammatorio, quindi, potrebbe essere utile per aumentare l’efficacia delle immunoterapie contro il Pdac, ma anche una strategia di prevenzione nelle persone a rischio. (M. O.). Giornale dei Biologi | Gen 2024

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Salute

SALVATA PAZIENTE CON UN SOLO POLMONE Intervento senza precedenti presso l’ospedale San Gerardo di Monza: ecco come una 64enne ha sconfitto un nuovo tumore

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n intervento così non era mai stato eseguito, presso la Fondazione Irccs San Gerardo dei Tintori di Monza. C’è sempre una prima volta, merito di una medicina che fortunatamente fa passi da gigante progredendo in maniera spedita. Quella effettuata presso l’ospedale brianzolo è stata un’operazione rara e delicata su una paziente di 64 anni e che dà lustro alla sanità italiana per la sua complessità. La donna, che era già stata sottoposta all’intera asportazione del polmone sinistro per un precedente intervento oncologico, è tornata sotto i ferri per la 42

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stessa ragione. Già, nel corso dei controlli di routine, aveva scoperto di aver sviluppato un nuovo tumore sull’unico polmone rimastole. Così è stata applicata una procedura di resezione polmonare su polmone unico effettuata con assistenza Ecmo, ad oggi eseguita in un numero molto limitato di casi in pochi centri di riferimento nel mondo. A rendere delicata l’operazione il fatto che, durante gli interventi di chirurgia polmonare, il polmone sul quale è eseguita la resezione viene funzionalmente escluso dalla ventilazione per permettere al chirurgo di operare. Al problema, però, i medici hanno posto

rimedio facendo ricorso all’Ecmo veno-venoso (Extra Corporeal Membrane Oxygenator), «la circolazione extracorporea grazie alla quale il sangue del paziente viene ossigenato da una macchina, mentre il cuore continua a pompare sangue normalmente». Ad occuparsene è stata l’équipe formata dal direttore del reparto di Chirurgia toracica Francesco Petrella coadiuvato dalla dottoressa Lidia Libretti, con l’assistenza anestesiologica del direttore della Cardiorianimazione Gianluigi Redaelli, in collaborazione con i cardiorianimatori Paolo Calzavacca ed Elena Maggioni e l’anestesista toracica Francesca Gallizzi. «Nonostante la complessità e la rarità del caso - ha spiegato Petrella - ho ritenuto di poter proporre alla paziente una procedura di chirurgia toracica qui al San Gerardo in completa sicurezza, per il perseguimento del miglior risultato oncologico auspicabile. Questo grazie alla collaborazione con i colleghi del servizio di Anestesia e rianimazione diretto dal professor Giuseppe Foti, che hanno un’esperienza storica nell’ambito della gestione dell’Ecmo e dei pazienti complessi da un punto di vista cardiopolmonare». Una volta terminata l’operazione è stato rimosso l’Ecmo e la paziente trasferita in reparto di degenza, dopo una notte trascorsa in terapia intensiva cardiochirurgica. Massima soddisfazione ha espresso Diego Cortinovis, direttore della Struttura complessa di Oncologia: «Le attuali terapie oncologiche disponibili per il tumore polmonare hanno reso questa patologia precedentemente incurabile una malattia guaribile anche in stadi relativamente avanzati. Le possibilità terapeutiche che permettono una vita più lunga - conclude - espongono paradossalmente il paziente alla comparsa di secondi tumori e di situazione cliniche di presentazione di malattia assai complesse come quella presente nel caso trattato». (D. E.).


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uasi dieci milioni di italiani soffrono di dolore cronico. È quanto emerge dal primo rapporto Censis-Grunenthal “Vivere senza dolore”. Il dossier svela che due italiani su dieci per un totale di circa 9,8 milioni di persone patiscono un dolore cronico che può essere definito di intensità moderata o severa. Con inevitabili ripercussioni sulla qualità della vita, sulle attività quotidiane e anche sul portafogli. Perché curarsi ha un costo. Pure sul Servizio sanitario nazionale. Ma procediamo con ordine. E scopriamo quali sono i soggetti più colpiti. La fascia più esposta a dolori persistenti è quella degli anziani con il 20,9%. A seguire gli adulti con il 21,1% e infine i giovani con il 14,1%. Tra uomini e donne la prevalenza è rosa: 21,2% contro il 18,1%. Capitolo spese, vera e propria nota dolente. Già, il dolore cronico di intensità moderata o severa determina elevati costi sociali. Il rapporto Censis-Grunenthal entra nel dettaglio: i costi sociali del dolore sono stimati addirittura in 61,9 miliardi di euro all’anno. Come si arriva a questa cifra? Il dossier tiene conto dell’insieme delle spese a carico dei malati (6.304 euro in media all’anno per paziente, di cui 1.838 euro di costi diretti e 4.466 euro di costi indiretti), del costo delle prestazioni sanitarie a carico del Servizio sanitario nazionale, della mancata produttività dei pazienti e dei servizi di assistenza di cui necessitano. Secondo il 66,5% dei malati le spese private relative alla gestione o alla cura di una patologia pesano eccome sul bilancio familiare, mentre per il 28,0% solo in misura ridotta, e soltanto per il 5,5% non vanno affatto a incidere. In particolare, le spese private gravano molto o abbastanza sui budget familiari del 76,0% delle persone con redditi bassi. Come già accennato, il dolore cronico di intensità moderata o severa crea contrac-

CENSIS: GLI ITALIANI E IL DOLORE CRONICO Ne soffrono quasi dieci milioni di persone, con pesanti ripercussioni sulla qualità della vita e costi altissimi

colpi sulla vita quotidiana del 67,8% dei malati: per l’11,1% incide molto, per il 56,7% abbastanza. Se per il 28,2% incide sì negativamente ma in maniera ridotta, solo per il 4,0% non ha alcun effetto negativo. Per il 92,8% dei malati il dolore cronico condiziona le proprie negatività quotidiane. Analizziamo quali sono le maggiori difficoltà nella vita di tutti i giorni: sollevare oggetti (per il 60,2%), fare ginnastica o altro esercizio fisico (59,3%), dormire (50,5%), passeggiare (49,0%) e svolgere le faccende domestiche (48,5%). Inoltre, il 48,8% lamenta apatia, perdita di forze

e debolezza, il 38,2% tende facilmente alla commozione, il 37,0% vive stati di ansia e di depressione, il 30,8% soffre di vertigini. E il 38,2% dei soggetti interessati chiede supporto a familiari e amici. Non finisce qui: per il 40,6% dei malati si sono registrate conseguenze negative sul proprio lavoro, con l’11,1% dei malati costretto perfino a smettere di lavorare per via del dolore cronico. Per l’86,2% sarebbe fondamentale istituire, nell’ambito del Servizio sanitario nazionale, uno specialista di riferimento per il dolore cronico di intensità moderata o severa. (D. E.). Giornale dei Biologi | Gen 2024

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Nei melanociti vengono prodotti due pigmenti chimicamente distinti: l’eumelanina (da marrone a nero) e la feomelanina (da giallo a bruno-rossastro) la cui proporzione determina il colore finale dei capelli. È già noto come diversi polimorfismi in un’ampia gamma di geni influenzino la melanogenesi e la produzione di melanine. Anche la forma dei capelli è definita dal follicolo: la dimensione e la curvatura del follicolo definiscono infatti la curvatura e lo spessore dei capelli.

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1. Matamá T, Costa C, Fernandes B, Araújo R, Cruz CF, Tortosa F, Sheeba CJ, Becker JD, Gomes A, Cavaco-Paulo A. Changing human hair fibre colour and shape from the follicle. J Adv Res. 2023 Nov 13:S2090-1232(23)00350-8. doi: 10.1016/j.jare.2023.11.013.

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capelli hanno naturalmente una curvatura e un colore che sono espressioni fenotipiche di caratteri geneticamente determinati. I fusti dei capelli nella popolazione umana mostrano una sorprendente diversità per forma e colore, suggerendo che siano la risultante di molti cambiamenti adattativi nel corso degli anni. La colorazione naturale prevede la sintesi di pigmenti (melanine) da parte dei melanociti, il loro trasferimento ai cheratinociti precorticali circostanti e la loro incorporazione nei fusti dei capelli in formazione. Nei melanociti vengono prodotti due pigmenti chimicamente distinti: l’eumelanina (da marrone a nero) e la feomelanina (da giallo a bruno-rossastro) la cui proporzione determina il colore finale dei capelli. È già noto come diversi polimorfismi in un’ampia gamma di geni influenzino la melanogenesi e la produzione di melanine. Anche la forma dei capelli è definita dal follicolo: la dimensione e la curvatura del follicolo definiscono infatti la curvatura e lo spessore dei capelli. La colorazione estetica, la permanente o la stiratura dei capelli si basano su processi chimici e/o fisici aggressivi che possono provocare traumi deleteri acuti o cronici, sia alla capigliatura che alla salute personale. Si è tentato di sviluppare sistemi di tintura e stiratura che riducano al minimo i danni alle fibre, ma i progressi sono stati limitati e permangono dei rischi. Proprio a novembre 2023 è stato pubblicato un lavoro che si dimostra essere rivoluzionario perché si pone l’obiettivo di poter cambiare colore o tipologia capillare attraverso la somministrazione topica di molecole bioattive in grado di modulare l’attività di geni e/o proteine specifici nelle cellule viventi dei follicoli (HF), cambiando i capelli dalla loro radice. Esistono in effetti già segnalazioni sull’effetto collaterale di alcuni farmaci che causerebbero la transizione dei capelli da ricci a lisci e viceversa. A causa delle limitate informazioni disponibili sui determinanti genetici dei fenotipi della forma dei capelli umani, si è eseguita una mappatura su specifici strati follicolari alcuni di quelli codificanti proteine che hanno mostrato di causare i maggiori cambiamenti tra i due fenotipi. Utilizzando

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CAMBIARE CA BIOLOGIA MO

I risultati ottenuti sono un pas che porteranno lo styling d

di Biancama


APELLI CON LA OLECOLARE

sso avanti verso i futuri cosmetici dei capelli a un nuovo livello

aria Mancini

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la tecnologia microarray è stato confrontato il profilo di trascrizione genetica degli HF molto ricci con il profilo di trascrizione genetica degli HF lisci, verificando mediante istologia che tutti gli strati cellulari significativi, inclusa la matrice, fossero rappresentati nei bulbi raccolti. I dati raccolti sui geni associati alla curvatura dei capelli sono stati poi utilizzati per mettere a punto un approccio di screening per le molecole bioattive con il migliore potenziale per modificare la curvatura dei capelli. Lo studio ha individuato 85 geni trascritti in modo significativamente diverso tra capelli ricci e capelli lisci; una nuova scoperta considerato che tali geni non erano mai stati associati a questa caratteristica umana. Degli 85 geni, 74 erano geni codificanti proteine/ polipeptidi, 5 erano piccoli RNA nucleolari, 2 erano pseudogeni processati, 2 erano lunghi RNA non codificanti e 2 erano piccoli RNA nucleari. I livelli di 68 trascrizioni erano più alti negli HF molto ricci mentre solo 17 geni erano più trascritti negli HF diritti deducendone che il capello riccio richiede maggiore regolazione e trascrizione. Successivamente, sono stati mappati alcuni dei geni più variabili sulla guaina interna della radice interna dei follicoli, confermando che questa ha un ruolo fondamentale nel modellamento della forma del capello, per tipologia e spessore. A questo punto lo studio ha potuto valutare su modelli cellulari appropriati, un pool chimico di 1200 farmaci generici, alla ricerca di quali molecole avrebbero potuto portare a cambiamenti nel colore o nella curvatura dei capelli. Dallo screening sui farmaci testati sono stati selezionati dei modulatori della sintesi della melanina e della trascrizione genetica da testare ulteriormente su 33 volontari. Nello studio clinico impostato si è assistito ad un cambiamento intenzionale specifico dei capelli: come atteso 8 volontari su 14 hanno mostrato cambiamenti di colore e 16 volontari su 19 hanno presentato modifiche della curvatura. I promettenti risultati ottenuti sono il primo passo verso i futuri cosmetici, complementari o alternativi alle metodologie attuali, che porteranno lo styling dei capelli a un nuovo livello: cambiare la loro natura dall’interno verso l’esterno in modo duraturo senza danni del fusto. Giornale dei Biologi | Gen 2024

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SKINCARE SEMPLICE O AVANZATA. QUALI BENEFICI? Evidenze cliniche dei benefici derivanti da una routine avanzata di cura della pelle rispetto a una routine semplice di Carla Cimmino

L’

utilizzo dei prodotti, per la cura della pelle è ben documentata e risale lire alle origini della civiltà, ma la complessità di questi è aumentata molto nel corso dell’ultimo secolo. Con le nuove tecnologie c’è stato lo sviluppo di ingredienti moderni, di nuovi formati di prodotto (es. le lozioni emollienti di Shiseido nel 1897, le emulsioni acqua in olio di Nivea nel 1911 il primo olio protettivo di Garnier nel 1935). L’utilizzo di prodotti per la cura della pelle come routine quotidiana molta è popolare nei paesi moderni, da non dimenticare i sistemi di cura della pelle in 3 fasi di Clinique (detergere/esfoliare/idratare) divenuti popolari nel 1967 in seguito all’intervista di un dermatologo su Vogue. Da quel momento, le routine si sono intensificate anche perché si sono subite le influenze dei paesi orientali, in particolare della Corea del Sud con 10 passi o oltre, spingendo le donne ad estendere la loro routine e la promozione di regimi più sofisticati da parte di celebrità e influencer. Molti studi controllati da veicoli hanno dimostrato il beneficio dei principi attivi rispetto a un veicolo da solo e/o rispetto agli ingredienti standard, le prove cliniche sui benefici di una routine di cura della pelle rimangono scarse, nonostante siano stati dichiarati i benefici con l’utilizzo dei prodotti come parte di una routine. L’efficacia delle routine in campo dermatologico è importante, per tener testa a particolari condizioni della pelle es: acne, dermatite atopica o rosacea. È stata messa a confronto l’efficacia di due routine

Tratto da “Clinical evidences of benefits from an advanced skin care routine in comparison with a simple routine”, di Cyril Messaraa MS, Nicola Robertson MS, Melissa Walsh BA, Sarah Hurley MS, Leah Doyle, Anna Mansfield, Lorna Daly BSc, Claire Tansey BSc, Alain Mavon PhD.

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quotidiano di una routine avanzata di cura della pelle (AR), composta da cinque passaggi, rispetto a una routine semplice (o attenta al tempo) (SR) di due passaggi su un periodo molto più lungo. I parametri cutanei valutati sono: idratazione superficiale, idratazione profonda, colore, micro e macro-topografia. Si è valutato soprattutto se vale la pena spendere più soldi e tempo in bagno per migliorare l’aspetto generale della pelle.

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Molti studi controllati da veicoli hanno dimostrato il beneficio dei principi attivi rispetto a un veicolo da solo e/o rispetto agli ingredienti standard, le prove cliniche sui benefici di una routine di cura della pelle rimangono scarse, nonostante siano stati dichiarati i benefici con l’utilizzo dei prodotti come parte di una routine.

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per la cura della pelle: 1) comprendente un siero con un estere del retinolo, una lozione con il fattore SPF 30 e una crema da notte; 2) costituito da una protezione solare SPF 30 combinata con una formulazione di tretinoina prescritta, un principio attivo molto potente. La routine testata ha funzionato in modo simile a quella con tretinoina pur presentando una migliore tollerabilità. Un altro uno studio recente ha valutato l’efficacia e la tollerabilità di una routine a base naturale per la sensibilità cutanea, con una routine sintetica raccomandato dal dermatologo (detergente e lozione) come controllo. I benefici di una routine composta da 3 a 6 passaggi per un periodo considerevole ( da 3 a 24 settimane) sono evidenti, nonostante non si sia provveduto a dimostrare, come aumentando i prodotti utilizzati ci sia qualcosa di diverso rispetto ad una routine di base. Un altro studio ha messo in risalto come l’abbinamento di una routine topica con un’integrazione orale incida sulla qualità della vita. In questo studio, si è valutato il beneficio dell’uso

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2 METODI 2.1 Pannelli di studio I volontari di età compresa tra 25 e 55 anni sono stati reclutati e assegnati in modo casuale a due diversi gruppi: uno utilizzando l’AR (n = 29, età media = 45, SD = 7) e un altro utilizzando l’SR (n = 20, età media = 42, SD = 7). Prima delle misurazioni di base, tutti i volontari hanno attraversato una fase di lavaggio di due settimane ed è stato loro richiesto di utilizzare esclusivamente una crema idratante fornita loro. Dopo un periodo di 20 minuti di acclimatazione a temperatura e umidità controllate (21°C ± 2°C, umidità relativa 50% ± 5%), i volontari sono stati sottoposti a una serie di misurazioni di immagini e sonde al basale e 4 settimane dopo. Lo studio è stato condotto in conformità con le più recenti raccomandazioni della World Medical Association (Dichiarazione di Helsinki 1964, modificata a Fortaleza, Brasile, 2013). 2.2 Prodotti dello studio La routine degli AR comprendeva: una fase detergente e tonificante, una crema per gli occhi, un siero e una crema da giorno contenente SPF 30. Di notte, l’uso della crema da giorno è stato sostituito con una crema da notte di diversa composizione e privo di SPF. La crema da giorno, la crema per gli occhi, il siero e la crema da notte erano tutte emulsioni di olio in acqua. La routine degli SR comprendeva: una fase di detersione seguita dalla sola crema da giorno, quindi solo di giorno. Le routine sono state progettate per colpire i primi segni dell’invecchiamento (ad es. linee


sottili, opacità, pori) e gli ingredienti rilevanti per ottenere l’efficacia desiderata. 3. RISULTATI 3.1 Cambiamenti nella topografia cutanea Si sono notate delle variazioni della profondità delle rughe a zampe di gallina e della profondità delle rughe naso-labiali dopo 4 settimane di trattamento, per i gruppi AR e SR. La profondità delle rughe zampe di gallina è diminuita significativamente del 7,3% per il gruppo AR rispetto al basale (P < 0,05). Questa diminuzione è stata significativamente più elevata rispetto al gruppo SR (P < 0,05), dove non è stata osservata alcuna riduzione della profondità delle zampe di gallina. Per quanto riguarda le rughe nasolabiali, sia SR che AR hanno ridotto significativamente la profondità delle rughe rispetto al basale (P < 0,05), rispettivamente dell’8,3 e del 10,7%. Si sono evidenziate variazioni delle caratteristiche microtopografiche della pelle come la ruvidità e l’area media dei pori, dopo 4 settimane di trattamento con le due routine. Sia la rugosità cutanea che l’area media dei pori sono state significativamente ridotte con l’utilizzo dell’AR rispetto al basale (P < 0,05), rispettivamente del 9,1% e del 14,4%. Inoltre, l’entità dei cambiamenti forniti dall’AR è significativamente superiore a quelli misurati per l’SR. 3.2 Cambiamenti nell’idratazione della pelle Si sono evidenziate variazioni nell’idratazione della pelle a livello superficiale (capacità) e più profondo (costante dielettrica tissutale) dopo 4 settimane di trattamento con entrambe le routine. La capacitanza cutanea è stata significativamente aumentata con entrambe le routine rispetto al basale (P < 0,05), del 16% per la SR e del 92% per l’AR. Per quanto riguarda la costante dielettrica tissutale, è stato osservato un aumento significativo del 25% rispetto al basale solo per l’AR (P < 0,05). L’AR ha sovraper-

formato significativamente l’SR (P < 0,001) indipendentemente dalla profondità della misurazione dell’idratazione cutanea. 3.3 Cambiamenti nella pigmentazione della pelle La luminosità complessiva della pelle è aumentata rispetto al basale in entrambi i gruppi; tuttavia, un miglioramento significativo (P < 0,05) è stato osservato solo nel gruppo AR. L’eterogeneità della melanina è stata significativamente ridotta dell’11,7% nel gruppo AR rispetto al basale (P < 0,05) e del -2,7% nel gruppo SR (P < 0,01). Per quanto riguarda l’eterogeneità dell’emoglobina, è stata osservata una riduzione del 6,6% e del 2,8% rispettivamente per i gruppi SR e AR. In questo studio, si è mirato a dimostrare i vantaggi clinici derivanti dall’utilizzo di una routine completa per la cura della pelle rispetto ad una semplice. Dai risultati ottenuti è facile sostenere che l’utilizzo di una routine quotidiana adeguata dimostri benefici visibili della pelle in un breve periodo, e allo stesso tempo dia motivazioni sufficienti per creare abitudini al fine di prevenire i segni dell’invecchiamento.

In questo studio, si è valutato il beneficio dell’uso quotidiano di una routine avanzata di cura della pelle (AR), composta da cinque passaggi, rispetto a una routine semplice (o attenta al tempo) (SR) di due passaggi su un periodo molto più lungo. I parametri cutanei valutati sono: idratazione superficiale, idratazione profonda, colore, micro e macro-topografia.

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La regione che ha vinto lo scudetto del riciclo è il Veneto, con il 76,2%, seguito dalla Sardegna (75,9%). Un traguardo importante è stato raggiunto dalla Sicilia, che, per la prima volta, ha superato la soglia del 50%, attestandosi al 51,5%. Risultato ancora più rilevante se si considera che nell’ultimo quinquennio l’isola ha incrementato la propria selezione dei materiali recuperabili addirittura di 22 punti percentuali.

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n Italia la spazzatura non è più solo un problema, ma anche una disfida che stiamo, pian piano, vincendo. Una raccolta selettiva, superiore al 65%, è una dimostrazione che la responsabilità ambientale sia più di una parola, diventando un’azione concreta per cambiare il volto della nazione. La produzione d’immondizia segue un andamento al ribasso, registrando nel 2022 un calo dell’1,8% malgrado la crescita economica. Segno che qualcosa sta cambiando nelle abitudini dei cittadini, più orientati al risparmio e al riutilizzo. Un primo segnale positivo che fa ben sperare, ma resta ancora molto da fare per rendere concreto il passaggio a un’effettiva economia circolare. I dati dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale confermano come la differenziata continui ad aumentare, con alcune regioni virtuose che viaggiano oltre il 75%. Tuttavia, nonostante il 49,2% sia avviato al riciclo, c’è a tuttora un ampio divario, spia che qualità e tracciabilità non sono omogenee sui territori e una parte di quanto conferito non trova ancora una gestione ottimale. La regione che ha vinto lo scudetto del riciclo è il Veneto, con il 76,2%, seguito dalla Sardegna (75,9%). Un traguardo importante è stato raggiunto dalla Sicilia, che, per la prima volta, ha superato la soglia del 50%, attestandosi al 51,5%. Risultato ancora più rilevante se si considera che nell’ultimo quinquennio l’isola ha incrementato la propria selezione dei materiali recuperabili addirittura di 22 punti percentuali. Ogni italiano ha “creato” 494 chilogrammi di mondezza, con una variazione percentuale negativa dell’1,6% rispetto al 2021. È importante notare che la popolazione residente ha subito un ulteriore contrazione dell’0,2%, equivalente a -132 mila abitanti. Questo declino è in linea con la tendenza registrata nel biennio 2020-2021, ma è più moderato rispetto alla riduzione nella produzione complessiva. Nel corso dell’ultimo quinquennio è stato rilevato un valore pro capite al di sotto dei 500 chilogrammi per ciascuno nel 2020, anno segnato dalla crisi pandemica, e nel 2022.

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Ad eccezione della Valle d’Aosta, tutte le regioni hanno avuto numeri in discesa riguardo quanto finisce nei secchi. In particolare, tra le aree settentrionali, le maggiori si osservano per il Trentino-Alto Adige (-3,7%), la Lombardia (-3,3%) e il Veneto (-2,5%); al Centro, per Marche (-2,7%) e Toscana (-2,1%) e al Sud Molise (-3,2%), Calabria, Sardegna (-2,5% per entrambe) e la Puglia (-1,9%). Analogamente agli anni precedenti, l’Emilia-Romagna, vince con 633 chilogrammi annuali a testa per residenti, pur con meno sette kg, guardando al 2021. Nel “Rapporto rifiuti urbani” non si tiene conto della cosiddetta popolazione fluttuante (legata, per esempio, ai flussi turistici), la quale può, al contrario, incidere, anche in modo sostanziale, e far, pertanto, lievitare il valore individuato. Gli impianti per il trattamento censiti sono 654. Oltre metà trattano l’organico, conferito tradizionalmente in un bidone marrone, anche se non tutti gli enti territoriali dispongono di capacità sufficiente a coprire i quantitativi. Il riciclo di questa frazione avviene principalmente (50,8%) in strutture integrate anaerobico/aerobiche, seguite dagli impianti di compostaggio (44,4%); solo il 4,8% finisce in digestori anaerobici. Si attesta al 49,2% il tasso di riciclaggio, in aumento sull’anno prima, ma lontano dal 50% fissato per il 2020 e, ancor più, dal 65% entro il 2030. Sono 5,2 milioni le tonnellate smaltite in discarica (17,8% del totale), in diminuzione del 7,9%, ma sempre al di sopra i limiti decisi dall’Unione europea. Tra i flussi più tenuti sotto controllo, gli imballaggi hanno raggiunto i target al 2025, tranne la plastica, vicina al 50% richiesto. Il costo medio pro-capite annuo è sceso: 192,3 euro. Si è dimostrato più alto al Centro (228,3 €/abitante) rispetto a Sud (202,3) e Nord (170,3). Abbiamo esportato 858 mila tonnellate, di cui 2.500 t pericolose. Riferendoci al 2021, c’è un +30,2%. Oltre 280 mila t sono avanzi provenienti dal trattamento meccanico. Pressappoco 170 mila t partono dalle strutture situate in Campania con destinazione Paesi Bassi (52 mila t), Germania (oltre 44 mila t) e Spagna (25 mila t). 38 mila t, costituite da “compost


Ambiente

Quest’ultimo è inserito tra le riforme strutturali del Pnrr, con l’obiettivo di verificare lo stato di attuazione e valutare l’efficacia degli intenti proposti. Opportunità importante, dunque, per ammodernare la filiera e assicurare sbocchi certi dove ciascuno contribuisce a costruire un avvenire più pulito e consapevole, componendo il tessuto di un’eredità ecologica indelebile. (G. P.).

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fuori specifica”, hanno viaggiato alla volta dell’Ungheria dalle regioni Emilia-Romagna e Lazio per essere smaltite in discarica. Il “Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza” ha stanziato 2,1 miliardi, destinandoli a due linee d’investimento per gli accertamenti e i progetti innovativi. Ispra ha assunto l’impegno di selezionare le pianificazioni e fornisce il supporto necessario nella fase di monitoraggio del “Programma Nazionale di Gestione dei Rifiuti”.

MENO IMMONDIZIA PRODOTTA MA BISOGNA MIGLIORARE SMALTIMENTO E RICICLO

Nel 2022, secondo l’Ispra, la produzione di rifiuti urbani ha segnato un lieve calo dell’1,8% rispetto all’anno precedente, attestandosi a circa 29 milioni di tonnellate Giornale dei Biologi | Gen 2024

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Ambiente

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vendo a cuore l’innovazione sostenibile, ora si punta a scrivere un successivo capitolo nella storia delle costruzioni urbane. La ricerca, condotta nell’ambito del progetto ES-PA di Enea in collaborazione con Sapienza Università di Roma e pubblicata su “Sustainable Chemistry and Pharmacy”, descrive una metodologia per dare nuova vita agli edifici in disuso. Si possono identificare e valutare tutti i materiali presenti in fabbricati vecchi o abbandonati da reimpiegare in progetti di riqualificazione architettonica o per altri stabili. La rivoluzione non solo promette di trasformare le macerie in risorse, ma di plasmare il rinnovato volto delle nostre città attraverso l’economia circolare e la rigenerazione cittadina. L’approccio “bottom-up” (dal basso verso l’alto) prevede una dettagliata raccolta di dati sui manufatti edili, garantendo precisione nei risultati riguar-

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do composizione, intensità e distribuzione geografica. Articolato in cinque fasi sequenziali, il processo comprende: analisi tecnologica dell’immobile; identificazione e stima quantitativa sugli elementi presenti nella struttura; programmazione del miglioramento costruttivo con strategie attente all’Ambiente; misurazione di ciò che viene rimosso e definizione della destinazione finale; valutazione sull’efficacia dell’intervento attraverso indicatori di riciclo e decarbonizzazione. Lo studio, portato avanti su un sito di archeologia industriale rappresentativo dell’ampio patrimonio dismesso in Italia, ha dimostrato che oltre il 95% di quanto proveniente da demolizioni può essere riadoperato. I ricercatori hanno “scandagliato” un deposito degli autobus, costruito a Roma negli anni ‘30 del ‘900 e in disuso dal 2008, con undicimila metri quadrati: «L’approccio proposto - spiega Antonella Luciano, ricercatrice del laboratorio Enea valorizzazione delle risorse nei sistemi produttivi e territoriali e coautrice dello stu-


dio insieme a Laura Cutaia (ENEA), Paola Altamura e Serena Baiani di Sapienza Università di Roma - consente la valutazione a diverse scale, da quella nazionale per individuare l’entità dei materiali recuperabili dal parco edilizio italiano con la finalità di supportare un piano di uso efficiente delle risorse a livello Paese, passando per quella intermedia finalizzata alle pianificazioni strategiche locali o di aree caratterizzate da omogeneità nei caratteri costruttivi, fino ad arrivare alla scala locale con l’obiettivo di fornire strumenti operativi per la pianificazione delle aree urbane, di quartieri o di singoli edifici». I risultati preliminari svelano che il sito prescelto, con i suoi 18.000 metri cubi, principalmente cemento armato, per un peso complessivo di circa 35mila tonnellate e una quantità di carbonio incorporato di oltre 15mila tonnellate di CO2, rappresenta una vera miniera. L’idea è quella di conservazione dell’ossatura esistente, con la rivalorizzazione, quasi totale, di finestre con telaio in ferro e porte in legno: «mentre per quello da demolire, come intonaco, piastrelle, mattoni e impianti, abbiamo previsto l’invio fuori sito per il riciclo nelle rispettive catene del valore, attraverso impianti presenti sul territorio di Roma, o per la rigenerazione finalizzata a riutilizzi futuri. Su un totale di oltre mille metri cubi di materiali da demolire solo una minima quantità (4,7% in volume e 4,2% in peso) è destinata allo

Articolato in cinque fasi sequenziali, il processo comprende: analisi tecnologica dell’immobile; identificazione e stima quantitativa sugli elementi presenti nella struttura; programmazione del miglioramento costruttivo con strategie attente all’Ambiente; misurazione di ciò che viene rimosso e definizione della destinazione finale; valutazione sull’efficacia dell’intervento attraverso indicatori di riciclo e decarbonizzazione.

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Ambiente

smaltimento in discarica, perché potenzialmente pericolosa. È stato così possibile migliorare del 25% la soglia minima di legge per il recupero dei materiali da demolizione (70%). E, soprattutto, questa metodologia è applicabile a tutte le tipologie costruttive che comprendono non solo edifici industriali dismessi, ma anche edilizia residenziale e scolastica». La sfida globale dei complessi costruttivi, responsabili del 60% nel consumo di materie prime e del 23% nelle emissioni di anidride carbonica, richiede condotte creative: «L’implementazione su larga scala della circolarità nel settore edile richiede un processo innovativo di progettazione e di costruzione che integri diverse attività come la stima degli stock di materiali, la demolizione selettiva, l’approvvigionamento locale e il riciclo degli scarti provenienti anche da settori industriali diversi, la cosiddetta simbiosi industriale. Per consentire il reimpiego dei materiali, servirebbe un nuovo approccio alla demolizione delle costruzioni (la decostruzione), già in fase di progettazione, che preveda ad esempio uno smontaggio selettivo dei componenti e un’ottimizzazione del recupero di tutti i materiali riciclabili come mattoni in argilla, lastre e blocchi di pietra ed elementi in acciaio che hanno un’elevata energia incorporata e un basso calo di prestazioni nel tempo».

RISORGERE DALLE ROVINE PER COSTRUIRE CON FONDAMENTA DEL PASSATO Oltre il 95% dei materiali da demolire possono essere riutilizzati evitando la discarica

di Gianpaolo Palazzo Giornale dei Biologi | Gen 2024

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OCCHI TECNOLOGICI SULL’ASFALTO PER UN VIAGGIO NELLE CITTÀ AVVENIRISTICHE Dispositivi addestrati dall’intelligenza artificiale, montati su auto elettriche, forniscono i dati, mentre un sensore monitora l’aria e crea mappe con gli inquinanti 54

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e strade non sono soltanto percorsi per unire le persone, ma veri e propri racconti futuristici di sicurezza e sostenibilità. Nel costante sforzo di rendere le cittadine più intelligenti, il laboratorio Enea di robotica e intelligenza artificiale ha sviluppato sensori all’avanguardia per veicoli elettrici, sia autonomi sia guidati, sfruttando il progetto “Smart Road”. L’iniziativa, finanziata dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, promette di rivoluzionare il monitoraggio, offrendo valori numerici in tempo reale sullo stato della corsia e sull’aria che respiriamo. I due “guardiani” svolgono un ruolo cruciale. Il primo, basato su tecnologia Lidar (Light detection and ranging), utilizza laser per misurare con precisione le distanze geometriche lungo la carreggiata. La sua controparte, una telecamera montata frontalmente, sfrutta tecniche d’intelligenza artificiale per analizzare il flusso video, consentendo la rilevazione di difetti non misurabili dal Lidar, come fessurazioni a reticolo o segnaletica sbiadita. Entrambi offrono il grosso vantaggio di operare in tempo reale, con la possibilità d’inviare dati georeferenziati al gestore della smart city per creare mappe dettagliate su aspetti positivi e problemi quotidiani. Queste informazioni non solo potenziano il benessere, ma danno una grossa mano anche nella pianificazione degli interventi legati alla doverosa manutenzione preventiva. Le stime fornite da Aci-Istat, relative ai primi sei mesi del 2023, presentano un quadro meno allarmante, evidenziando una leggera diminuzione nel numero d’incidenti con lesioni a persone (79.124; -1%) e dei feriti (106.493; -0,9%) e un calo più significativo delle vittime entro il trentesimo giorno (1.384, -2,5%). Scendendo nei dettagli, la media giornaliera nel periodo in questione registra 437 incidenti, 7,6 dipartite e 588 contusi. Paragonando queste cifre con quelle del 2019, punto di riferimento per il decennio 2021 2030, emerge un decremento del 5,4% nei sinistri, del 9% riguardo ai feriti e del 9,8% per i morti. Rispetto al primo semestre del 2022, si osserva un abbassamento dei decessi principalmente sulle autostrade (-9,7%), seguite dalle vie di comunicazione extraurbane

«L’idea di base - spiega Sergio Taraglio, ricercatore Enea del laboratorio di robotica e intelligenza artificiale del Dipartimento tecnologie energetiche e fonti rinnovabili e responsabile di questa linea di attività - è quella di veicoli a guida autonoma che fungano da sentinelle per misurare in modo capillare le condizioni della città e migliorare sicurezza, i flussi di traffico e il comfort di guida, con benefici anche in termini di risparmio energetico e sostenibilità. Nel caso del Lidar si misura il piano stradale, rivelandone le deviazioni quali buche o dossi e indicando su un display il difetto in rosso rispetto al colore verde di una strada in buone condizioni, potendo operare come un Adas (Advanced driver assistance systems, sistemi avanzati di assistenza alla guida)».

(-3,3%) e dalle urbane (-0,1%). In riferimento al nuovo decennio 20212030 e all’ambizioso proposito di spostare verso il basso il numero dei trapassi entro quella scadenza, il viaggio inizia con sfide evidenti. Nel corso dell’anno appena trascorso, la variazione percentuale mostra un -9,8% relativamente al valore del 2019. Per conseguire la meta, sarebbe necessario mantenere una flessione media annua di poco più dell’8% a partire dal 2022 e per i successivi otto anni. Il cammino verso la tutela del traffico veicolare, quindi, richiederà sforzi costanti e misure efficaci per garantire un progresso durevole che aiuti a centrare il traguardo fissato per il decennio. Un contributo determinante potrebbe esser portato dal veicolo utilizzato per la sperimentazione Enea, dotato del componente che “annusa” l’aria e diventa un elemento cruciale nella lotta all’inquinamento. Registra, difatti, le concentrazioni di particolato e dà una fotografia che diventa un contributo essenziale per migliorare e vigilare sulla qualità cittadina. È in corso, pure, lo sviluppo di sistemi per osservare il territorio da un punto di vista sonoro. «L’obiettivo - conclude Taraglio - è duplice: da un lato misurare l’inquinamento acustico, dall’altro permettere al veicolo autonomo di poter utilizzare le informazioni per la gestione di situazioni con potenziale pericolo: ad esempio in caso di avvicinamento di un mezzo di soccorso, il veicolo dev’essere in grado di riconoscere la situazione e liberare la carreggiata per quanto possibile». Nelle “città intelligenti” del domani, la mobilità si configura come il cuore pulsante di comunità consapevoli, dove l’innovazione guida il percorso in direzione di una coesistenza armoniosa tra uomo e Ambiente. Tra percorsi ingegnosi, veicoli sostenibili e una dedizione che dovrà essere sempre più collettiva, stiamo preparando giorni in cui la viabilità diviene il cardine di una comunità più ecologica, avanzata e accogliente, dando ragione a Italo Calvino quando nel racconto “I mille giardini” in “Collezione di sabbia” scriveva: «Il camminare presuppone che a ogni passo il mondo cambi in qualche suo aspetto e pure che qualcosa cambi in noi». (G. P.). Giornale dei Biologi | Gen 2024

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Ambiente

IN CALO LA POPOLAZIONE DEI CERVI ROSSI IN EUROPA LA COLPA È DELL’UOMO Uno studio dell’Università di Friburgo fa chiarezza sull’impatto dei grandi predatori Più di lupi, linci e orsi, la responsabilità principale è da attribuire agli esseri umani

di Rino Dazzo

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nche questa volta il lupo cattivo non c’entra, in realtà la colpa è principalmente nostra. Dell’uomo. I lupi e altri predatori naturali come linci e orsi, infatti, non sono responsabili del calo nella popolazione di quelli che, insieme ad alci e bisonti, sono i più grandi animali selvatici autoctoni d’Europa: i cervi rossi. Lo certifica uno studio internazionale promosso e portato avanti da un’equipe dell’Università di Friburgo, in Germania, guidata da Marco Heurich, professore di Ecologia della fauna selvatica e Biologia della conservazione presso la locale Facoltà di Ambiente e Risorse naturali. I ricercatori dell’ateneo tedesco, in particolare, hanno analizzato i fattori che regolano e influenzano la popolazione di cervi rossi in una determinata area, arrivando a dimostrare come la densità di popolazione dipenda principalmente dalla caccia e dall’uso del territorio da parte degli esseri umani. Il ruolo di grandi predatori come – appunto – i lupi, le linci e gli orsi bruni è secondario, marginale. Meno impattante del previsto. Non riveste, insomma, quell’importanza che, fino a qualche tempo fa, probabilmente gli era attribuita dagli studiosi e dallo stesso senso comune. La ricerca, pubblicata sul Journal of Applied Ecology, è stata condotta raccogliendo dati sulla densità di popolazione del cervo rosso, conosciuto anche con l’appellativo di cervo reale o più genericamente di cervo europeo, in quasi 500 siti di studio distribuiti in modo più o meno omogeneo in 28 paesi del Vecchio Continente. I fattori presi in considerazione nel corso dello studio sono stati diver-

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si. La presenza di grandi carnivori, anzitutto. Il numero, la portata e la rilevanza delle attività dell’uomo nella zona. E ancora, la produttività dell’ambiente. Senza dimenticare, infine, le variabili legate al clima oppure quelle relative allo stato di protezione dell’area. Combinando e incrociando i dati, è emerso come la caccia portata avanti dall’uomo abbia avuto un impatto maggiore sulla riduzione della popolazione del cervo rosso in rapporto ad altre variabili, prima fra tutte la presenza di grandi predatori. Il fatto che nel sito ci fossero lupi, orsi o linci, infatti, nella maggior parte dei casi non ha avuto effetti significativi, a livello statistico, sul numero di esemplari di cervi presenti nell’area. Con un’eccezione, attestata dai numeri e dai dati raccolti: solo quando tutti e tre i grandi carnivori erano presenti insieme in una determinata aerea, solo in quel caso, si è riscontrata una diminuzione rilevante nella popolazione dei cervidi, anche se non è stato possibile appurare come la presenza simultanea di lupi, orsi e linci abbia influito sul com-

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I fattori presi in considerazione nel corso dello studio sono stati diversi. La presenza di grandi carnivori, anzitutto. Il numero, la portata e la rilevanza delle attività dell’uomo nella zona. E ancora, la produttività dell’ambiente. Senza dimenticare, infine, le variabili legate al clima oppure quelle relative allo stato di protezione dell’area.

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Ambiente

portamento delle loro prede. In tutte le altre situazioni, in particolare quelle in cui il grado di antropizzazione del sito era particolarmente elevato, i predatori non hanno modificato o ridotto più di tanto il numero di cervi censiti. La prima autrice dello studio, Suzanne T. S. van Beeck Calkoen, ex dottoranda presso la cattedra di Ecologia e gestione della fauna selvatica dell’Università di Friburgo, ha sottolineato: «Mentre i grandi carnivori sono spesso considerati fattori chiave nel controllo delle popolazioni di prede in ecosistemi indisturbati, questo è meno visibile nei paesaggi dominati dall’uomo. Il nostro studio illustra che queste interazioni dipendono dal contesto». La ricerca ha contribuito a far luce, dunque, sulle cause scatenanti la diminuzione della popolazione dei cervi europei, ma ha aperto anche nuovi scenari relativamente alla possibilità di favorire e incentivare il ritorno e la ripopolazione dei lupi in Europa centrale. È su questo aspetto che ha posto l’accento il promotore dello studio, il professor Heurich: «La nostra ricerca dimostra che il ritorno di un grande carnivoro come il lupo, da solo, non ha un grande impatto sulla presenza del cervo. Questo perché nell’Europa centrale l’influenza umana predomina sia indirettamente, attraverso interventi nell’habitat del cervo, sia direttamente, attraverso l’uccisione degli animali». Insomma, se la motivazione contraria alla massiccia reintroduzione del lupo in vasti territori del centro Europa – sembra suggerire Heurich – è legata a possibili rischi per l’esistenza e la conservazione dei cervi, si tratta di una tesi che si può contraddire con relativa facilità, supportati dall’evidenza dei dati. Da solo, infatti, il lupo non è una minaccia su vasta scala per la popolazione dei cervi reali, tanto più che il tasso di mortalità degli stessi lupi in diversi paesi europei è assai elevato, soprattutto in ragione del notevole traffico stradale. L’influenza dei temuti predatori sulla stabilità e sul numero dei cervi, dunque, non sarebbe assolutamente rilevante. «Tuttavia – ha concluso il professor Heurich – abbiamo anche riscontrato un’elevata variabilità nelle densità di cervo, il che indica che potrebbero esserci situazioni specifiche in cui i grandi carnivori hanno un impatto. Questo sarà il compito di studi futuri».


L’ONB si è trasformato

Sono stati costituiti la FNOB e gli Ordini Regionali dei Biologi*

Calabria Campania-Molise Emilia Romagna-Marche Lazio-Abruzzo Lombardia Piemonte-Liguria-Valle D’Aosta Puglia-Basilicata Sardegna Sicilia Toscana-Umbria Veneto-Friuli Venezia Giulia-Trentino Alto Adige *

Tutte le informazioni su www.fnob.it

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Innovazione

L’AI AIUTA A PREVEDERE LA RICOMPARSA DEL TUMORE AL FEGATO POST-TRAPIANTO Con questo modello, si potrà valutare meglio il trapianto nei pazienti ad alto rischio di recidiva e migliorare la cura e la gestione dei pazienti trapiantati

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no studio internazionale coordinato dal Dipartimento di Chirurgia generale e specialistica della Sapienza di Roma, ha reso disponibile online un modello che sfrutta l’intelligenza artificiale per predire il rischio di ricomparsa del cancro al fegato dopo il trapianto. Gli autori della ricerca hanno raccolto i dati di circa 4000 pazienti provenienti da Nord America, Europa e Asia e, grazie all’aiuto degli ingegneri del Politecnico di Torino, li hanno utilizzati per addestrare e validare un sistema di calcolo che oggi è consultabile sul web gratuitamente. Il nuovo modello si è dimostrato più attendibile di quelli già esistenti, aumentando quindi la possibilità di migliorare la cura e la gestione di tutti i pazienti trapiantati per tumore al fegato. Come spiegano i ricercatori, l’epatocarcinoma rappresenta una delle indicazioni più comuni al trapianto: in Italia, più della metà degli oltre 1.500 trapianti di fegato effettuati ogni anno, ha come causa principale l’epatocarcinoma. Per questo motivo è di fondamentale importanza cercare di prevedere la possibilità che il tumore possa ripresentarsi per evitare di sottoporre a questo intervento pazienti ad alto rischio e allo stesso tempo per valutare con più attenzione le terapie dei pazienti trapiantati. Lo studio è stato pubblicato su Cancer Communications e ha prodotto un sistema di calcolo innovativo e sofisticato. «Lo score

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sviluppato - spiega Quirino Lai, primo autore dello studio - è stato chiamato TRAIN-AI, acronimo di Time-Response-AlphafetoproteIN-Artificial Intelligence». «Tutte le variabili che compongono lo score – prosegue il ricercatore - sono facilmente ottenibili prima del trapianto al fine di consentire il suo calcolo praticamente in ogni parte del mondo, basandosi quindi su parametri user-friendly». «Un’altra importante novità - sottolinea Lai - è stata quella di sviluppare un calcolatore basato su migliaia di pazienti provenienti da tutto il mondo, mentre gli score già esistenti si basavano su realtà regionali, o tuttalpiù nazionali, decisamente più circoscritte». Ma quali sono i vantaggi di poter prevedere il rischio di sviluppare una recidiva tumorale? Gli autori chiariscono che ciò è fondamentale per due motivi: il primo è che può consentire di identificare una classe a rischio troppo alto di recidiva che va quindi esclusa dal trapianto stesso; il secondo è che può consentire di studiare meglio il paziente nel post-trapianto, effettuando per esempio controlli più ravvicinati o prevedendo una riduzione della terapia immunosoppressiva, al fine di prevenire la recidiva in pazienti a rischio aumentato. Per superare i limiti dei modelli predittivi proposti negli ultimi anni, gli autori hanno pensato di utilizzare l’intelligenza artificiale. TRAIN-AI combina variabili tumorali morfologiche e biologiche. Per creare il model-


lo è stato adottato un Training Set (n=2.936) derivato da una coorte internazionale. Un set di validazione (n=734), derivato dalla stessa coorte internazionale, e un set di test esterno (n=356) sono stati identificati per la validazione di TRAIN-AI. Otto variabili sono risultate significativamente associate al rischio di recidiva e sono state utilizzate per la costruzione del modello TRAIN-AI: diametro della lesione bersaglio, numero di noduli, alfa-fetoproteina, durata del tempo di attesa, risposta radiologica, modello per la malattia epatica in fase terminale (MELD), trapianto di fegato da donatore vivente e volume del centro. Gli scienziati sottolineano che si tratta del più grande modello predittivo pubblicato in questo campo, basato su algoritmi di apprendimento approfondito. Un altro aspetto rilevante del modello proposto nello studio è che può evolvere continuamente con l’accumulo di nuovi dati. Il calcolatore web consente a TRAIN-AI di migliorare le sue prestazioni prognostiche attraverso un continuo ampliamento dell’addestramento dei dati.

Gli autori della ricerca hanno raccolto i dati di circa 4000 pazienti provenienti da Nord America, Europa e Asia e, grazie all’aiuto degli ingegneri del Politecnico di Torino, li hanno utilizzati per addestrare e validare un sistema di calcolo che oggi è consultabile sul web gratuitamente.

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Salute

In conclusione i ricercatori riassumono che il modello TRAIN-AI ha mostrato un’accuratezza maggiore rispetto ad altri frequentemente utilizzati per il rischio di recidiva del cancro al fegato post-trapianto. Lo studio ha inoltre migliorato la disponibilità del modello sviluppando un calcolatore web di facile utilizzo per proporre un cutoff di trapiantabilità personalizzato e giustificato, stratificando i pazienti in classi di rischio di recidiva. Il sistema di calcolo è infine migliorabile aumentando il numero di pazienti per l’addestramento. Il modello di calcolo oggetto dello studio non è stato il primo a essere sviluppato dai ricercatori della Sapienza. Nel 2019 Quirino Lai era stato premiato al settimo Congresso della Asian-Pacific Hepato-Pancreato-Biliary Association per aver sviluppato un modello in grado di prevedere la sopravvivenza del paziente dopo trapianto già dalla visita precedente l’inserimento in lista. Ciò consentiva di valutare la possibilità di dover trattare il tumore con terapie prima del trapianto o considerarlo invece troppo avanzato per affrontare un percorso trapiantologico. (S. B.) Giornale dei Biologi | Gen 2024

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Innovazione

LA PLASTICITÀ DELLE STAMINALI MUSCOLARI Lo studio, pubblicato sulla rivista Developmental Cell, aiuta la comprensione dei processi di rigenerazione muscolare di Pasquale Santilio

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na ricerca internazionale, che è stata coordinata dall’Istituto di genetica e biofisica “A. Buzzati-Traverso” del Consiglio nazionale delle ricerche di Napoli e condotta in collaborazione con l’Istituto Sanford Burnham di La Jolla (California), l’Università degli Studi di Napoli Federico II e l’Irccs Fondazione Santa Lucia di Roma, ha individuato in una piccola proteina la chiave che guida le cellule staminali adulte, presenti nelle fibre muscolari, a differenziarsi, rigenerando in tal modo il tessuto muscolare danneggiato o ad auto-rinnovarsi, 62

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conservando una riserva pronta per futuri cicli rigenerativi. Lo studio rappresenta un importante tassello nell’ottica della comprensione dei processi di rigenerazione muscolare. Tali processi risultano particolarmente compromessi durante l’invecchiamento o in presenza di patologie degenerative, come la distrofia di Duchenne. Gabriella Minchiotti, del Cnr-Igb e coordinatrice della ricerca, ha spiegato: «I muscoli forniscono sostegno strutturale al corpo, consentono il movimento e contribuiscono attivamente al metabolismo basale. Il

tessuto muscolare scheletrico costituisce circa il 40% del peso corporeo di un individuo adulto: comprendere i meccanismi alla base dei processi di rigenerazione dei tessuti in condizioni fisiologiche e nella patologia è di fondamentale importanza. Il mantenimento dell’integrità muscolare dipende principalmente da un gruppo di cellule staminali dette cellule satellite: quando il muscolo è a riposo, esse si trovano in uno stato inattivo/dormiente, denominato quiescenza. Viceversa, in risposta a danni muscolari, si attivano e manifestano la straordinaria capacità di compiere due azioni cruciali: esse sono in grado di differenziarsi, cioè trasformarsi in nuove cellule muscolari (mioblasti) che contribuiscono a rigenerare il tessuto danneggiato e, parallelamente, hanno la capacità di auto-rinnovarsi, cioè dare origine a nuove cellule quiescenti, assicurando il mantenimento di una riserva di cellule staminali pronta per i successivi cicli rigenerativi». La ricerca ha chiarito che ciò che consente alle cellule satellite attivate di scegliere se procedere “in avanti” verso il differenziamento in cellule muscolari o “tornare indietro” e ripopolare la riserva di cellule staminali quiescenti dipende da una particolare proteina, denominata CRIPTO. Gabriella Minchiotti, a tal proposito, ha aggiunto: «Abbiamo scoperto che le cellule satellite attivate non sono tutti uguali: si distinguono, infatti, per la presenza di quantità diverse sulla loro superficie di una piccola proteina che si chiama CRIPTO. In seguito a un danno muscolare, le cellule staminali si “svegliano” rivestendo la loro superficie con la proteina CRIPTO. Quando il rivestimento diventa sufficiente, le cellule CRIPTO positive vanno incontro a differenziamento. Al contrario, le cellule con livelli più bassi o assenti di CRIPTO, o CRIPTO negative, ritornano allo stato quiescente e ripopolano la “riserva” di cellule satellite».


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e cifre che fotografano, a fine sperimentazione, i risultati ottenuti con la Cellula della vita, innovativo vivaio realizzato a Palermo e a Sfax dal partenariato protagonista del progetto Celavie (acronimo di “Cellule technologique de LA VIE”), co-finanziato dall’Unione Europea attraverso il Programma ENI di cooperazione transfrontaliera Italia-Tunisia 20142020, sono chiari ed inequivocabili: cicli biologici multipli, da tre a otto all’anno a seconda delle specie vegetali, media di attecchimento pari all’86% e una resa produttiva da 1,5 a tre volte più alta rispetto alle normali coltivazioni in campo aperto. Tutto senza uso di fertilizzanti, pesticidi o altre componenti chimiche, senza emissioni inquinanti, con risparmio d’acqua dal 90% in su ed energia autoprodotta da fonti rinnovabili, in un sistema fuori suolo a circuito chiuso dotato di autonomo microclima e quindi adattabile a qualsiasi contesto ambientale. Gli aspetti scientifici della sperimentazione, per la Cellula installata a Palermo, sono stati illustrati da Angela Cuttitta, ricercatrice del Cnr-Ibbr e responsabile scientifico del progetto, e dal coordinatore tecnico Salvatore Di Cristofalo (Cnr-Ibbr). La Cellula della vita è una “capsula” di sei metri per tre, alta due metri e mezzo, nella quale è racchiuso un impianto acquaponico, cioè una comunità biologica in scala ridotta che alla coltura vegetale fuori terra (idroponica) unisce l’allevamento di animali acquatici: nel prototipo questa metodologia è stata integrata con le dotazioni tecnologiche necessarie per garantire autosufficienza energetica, autonomia climatica, gestione e monitoraggio dei cicli biologici (anche a distanza). Per un anno e mezzo, dopo le fasi di progettazione e costruzione, i test hanno riguardato alcune essenze vegetali nei letti di coltura disposti verticalmente su più livelli, principalmente pomo-

VIVAIO AUTOSUFFICIENTE E TRASPORTABILE I risultati della sperimentazione consegnano un prodotto innovativo a impatto zero, tecnologico e anche trasportabile

dori, basilico, lattuga, peperoncino e sedano, e contemporaneamente, nelle vasche sottostanti, specie d’acqua dolce come granchi di fiume, carpe e gambusie. La Cellula può essere configurata in modo flessibile per varie e specifiche esigenze produttive: la produzione “fuori suolo” a impatto zero rappresenta un’utile alternativa per quei terreni la cui fertilità è minacciata dai cambiamenti climatici, dalle attività umane tra cui l’agricoltura intensiva e da altri fattori, così come per piccole comunità in zone difficili da rifornire, e ancora in situazioni di estrema emergenza, per esempio pae-

si isolati per frane o terremoti, o per finalità umanitarie, per esempio come supporto alimentare nei campi profughi, e anche didattiche. Gianfranco Badami, presidente del Coreras (Consorzio regionale per la ricerca applicata e la sperimentazione), partner capofila del progetto, ha dichiarato: «Con innovazioni di prodotto e di metodo per minimizzare l’impatto ambientale dei processi produttivi, “Celavie”, potrà influenzare l’orientamento della produzione agricola andando incontro alle necessità alimentari delle popolazioni». (P. S.). Giornale dei Biologi | Gen 2024

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Innovazione

OLIVE: CONOSCERE IL RACCOLTO IN ANTICIPO Un sistema di previsione per sapere l’entità del raccolto e riprogettare così le pratiche agronomiche da adottare

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obiettivo della ricerca, realizzata da Enea in collaborazione con Cnr e Università della California di Berkeley, che ha identificato i principali fattori di stress climatico stagionale responsabili dei cattivi raccolti, è mettere a disposizione degli agricoltori un sistema di previsione al fine di conoscere in anticipo l’entità del raccolto delle olive, che consenta di riprogettare le pratiche agronomiche da adottare. I risultati della ricerca, basata sui dati di 66 province italiane dal 2006 al 2020, sono stati pubblicati sulla rivista Journal Agro64

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nomy and Crop Science. Luigi Ponti, ricercatore del Laboratorio Enea di Sostenibilità, qualità e sicurezza delle produzioni agroalimentari e coautore dello studio insieme ad Arianna Di Paola, Edmondo Di Giuseppe e Massimiliano Pasqui del Cnr e da Andrew Paul Guitierrez (Università della California a Berkeley), ha spiegato: «Dalle nostre analisi è emerso che livelli di raccolto eccezionalmente bassi si sono verificati in modo più frequente a partire dal 2014 in concomitanza con inverni relativamente caldi. Questo succede perché il periodo di riposo stagionale della pian-

ta diventa sempre più breve alternando il suo ciclo vitale e di conseguenza la fioritura e l’impollinazione». Utilizzando dati di uso del suolo ad alta risoluzione (fino a 300 metri) e 23 variabili climatiche (ad esempio, le precipitazioni, la siccità e la temperatura media massima registrata nei periodi di gennaio-febbraio, luglio-agosto e settembre-ottobre) si è arrivati ad elaborare un indice di previsione tre volte più preciso delle variabili prese singolarmente. Oltre alla siccità estiva, dallo studio emerge che la causa principale del calo dei raccolti è da attribuirsi a estati umide e fresche perché favoriscono la diffusione delle femmine della mosca dell’olivo, così come temperature invernali più miti fanno diminuire la mortalità delle pupe di questo parassita con conseguente aumento del rischio di epidemie per la stagione successiva. Luigi Ponti ha così concluso: «I cambiamenti nelle caratteristiche del terreno possono alterare la stabilità della resa, ma sono un processo lento. Al contrario, i fattori di stress climatico stagionale possono avere un impatto rapido e significativo sul raccolto e sui costi da sostenere per il controllo dei parassiti. Pertanto, è fondamentale lo sviluppo di metodologie innovative per aiutare il settore agricolo a raggiungere una produzione elevata e stabile». Lo studio è stato supportato da due progetti di rilevanza nazionale ed internazionale a guida scientifica Enea, Tebaka e Med-Gold, che mirano a sostenere i sistemi agroalimentari olivo, vite e grano, parte del patrimonio mondiale Unesco della dieta mediterranea. L’Italia è tra i maggiori produttori al mondo di olio d’oliva in termini di qualità e quantità. L’80% della produzione nazionale riguarda 24 province distribuite per lo più nel centro, nel sud e nelle isole dove la coltivazione dell’ulivo segue ancora pratiche agricole tradizionali. (P. S.).


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L’

esposizione alle radiofrequenze non sembrerebbe avere particolari conseguenze sulla salute del feto. Queste, sono state le risultanze emerse dal progetto SR4/WHO e relativi agli effetti sul sistema riproduttivo legati all’esposizione alle radiofrequenze, coordinato da Enea e finanziato dall’Organizzazione Mondiale della sanità, che ha individuato tra le tematiche prioritarie da investigare, cancerogenesi, conseguenze sulla salute riproduttiva e alterazioni delle capacità cognitive. Enea ha coordinato un panel internazionale composto da esperti di diversi Paesi (Australia, Canada, Cina, Gran Bretagna, Italia e Olanda), che si è occupato degli effetti dell’esposizione a radiofrequenze sulla fertilità maschile e sulla gravidanza in animali da laboratorio. I risultati relativi agli effetti sulla gravidanza sono stati pubblicati sulla rivista Environment International, che prossimamente ospiterà anche i risultati concernenti gli effetti sulla fertilità maschile. Eugenia Cordelli, coordinatrice del progetto e ricercatrice Enea del Laboratorio Salute e Ambiente, ha commentato: «Dai risultati ottenuti l’esposizione in utero a radiofrequenze non sembra alterare la sopravvivenza fetale. Abbiamo solo rilevato una moderata diminuzione del peso alla nascita, ma solo in presenza di livelli di esposizione molto elevati. Abbiamo adottato l’approccio innovativo della revisione sistematica accompagnata da meta-analisi che consente di raccogliere dati di letteratura esaustivi, classificarli, esaminare i possibili fattori che ne mettano a rischio l’obiettività, produrre una sintesi accurata dei risultati e valutare l’affidabilità del risultato complessivo». In parole più semplici, una meta-analisi è una analisi statistica che unifica in una singola misura i dati già pubblicati e aumenta l’affidabilità nella stima di un possibile

EFFETTI IN GRAVIDANZA DELLE RADIOFREQUENZE Scongiurati particolari conseguenze sulla salute fetale I risultati sono stati pubblicati su Environment International

effetto senza necessità di una nuova sperimentazione. Dalla meta-analisi dei dati non si sono potute trarre conclusioni sugli effetti a lungo termine dell’esposizione in utero a causa dell’eterogeneità dei risultati degli studi sugli effettneurocomportamentali e sulla fertilità femminile. Cordelli ha altresì spiegato: «Un altro importante risultato ottenuto è stato quello di individuare i limiti delle ricerche svolte fino ad ora ed avere ottenuto indicazioni per migliorare gli studi futuri sulla valutazione complessiva del rischio per l’uomo dell’esposizione a radiofrequenze». I moti-

vi della non omogeneità dei dati sono essenzialmente legati al moltiplicarsi delle fonti di esposizione, alle tecniche di indagine, ai diversi possibili bersagli biologici e alla mancanza di protocolli di indagine standardizzati e condivisi in questo campo. «Il progetto risponde proprio all’urgenza di raccogliere e valutare la letteratura scientifica esistente. Ma è utile anche per organizzare i risultati rendendoli fruibili dagli enti regolatori e individuare lacune e limiti da colmare con nuovi studi», ha così concluso la ricercatrice Enea Eugenia Cordelli. (P. S.). Giornale dei Biologi | Gen 2024

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Beni culturali

UN DOPPIO STRATO DI MURA PROTEGGEVA L’ANTICO VILLAGGIO DEI FARAGLIONI Già in epoca preistorica, tra 3400 e 3200 anni fa, si realizzavano fortezze complesse L’ha evidenziato uno studio innovativo e multidisciplinare eseguito nell’isola di Ustica di Rino Dazzo

Veduta di Ustica.

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U

n sistema fortificato complesso, con una struttura antemurale a fungere da primo sbarramento difensivo e un muraglione piuttosto lungo, non meno di 250 metri e alto tra i quattro e i cinque metri, che circondava l’abitato, caratterizzato da decine di capanne sistemate ordinatamente ai margini di strade e stradine. Strano ma vero: quella che sembra la descrizione di una piccola fortezza medievale, o comunque di età relativamente recente, è invece la fotografia di una fortezza vecchia di 3200-3400 anni. Una fotografia realizzata attraverso sofisticati strumenti tecnologici e accurate indagini geofisiche, che hanno fatto nuova luce sulle tecniche di costruzione e sulla stessa conformazione del Villaggio dei Faraglioni, uno degli insediamenti preistorici meglio conservati del Mediterraneo, che ancora oggi si può ammirare in una delle perle del Tirreno: la meravigliosa

© Gandolfo Cannatella/shutterstock.com

Beni culturali

Ustica. Un insediamento dell’Età del Bronzo Medio, ubicato in un tratto di costa aggettato sul mare nella parte nord dell’isola, che ebbe il suo periodo di massima prosperità, appunto, tra il 1400 e il 1200 avanti Cristo. È in questo arco temporale che si può collocare la realizzazione delle imponenti fortificazioni del Villaggio dei Faraglioni, oggetto di un interessante studio che ha visto coinvolti ricercatori di numerosi enti e atenei, provenienti da ambiti profondamente diversi: l’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia), l’Università degli Studi di Siena, il dipartimento di Matematica e geoscienze dell’Università di Trieste, l’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli, e ancora il Parco archeologico di Himera, Solunto e Iato della Regione Siciliana, l’Associazione Villaggio Letterario di Ustica, il Labmust (Laboratorio Museo di Scienze della Terra di Ustica) e il ministero della Cul-

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tura. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sul Journal of Applied Geophysics, autorevole rivista internazionale del settore, in un articolo intitolato: «Unveiling a hidden fortification system at Faraglioni Middle Bronze Age Village of Ustica Island (Palermo, Italy) through ERT and GPR prospections». In effetti le ricerche, eseguite grazie a strumenti di precisione e non invasivi quali il georadar e la tomografia elettrica, che hanno consentito di esplorare con accuratezza le profondità del terreno prospiciente ad alcuni tratti di strutture semi-sepolte, hanno messo in luce l’esistenza di un doppio sbarramento difensivo. Prima dell’imponente muraglione, appunto, è stato possibile localizzare una struttura antemurale che faceva da primo sbarramento contro eventuali incursioni dall’esterno. Insomma, il Villaggio dei Faraglioni si è rivelato una vera e propria fortezza dotata di un doppio ordine di mura, frutto di una pianificazione urbana insospettabile

© Fonte: INGV

Beni culturali

“La tecnologia geofisica ci ha permesso di svelare stratificazioni nascoste della storia, aprendo la strada a ulteriori indagini senza l’uso invasivo degli scavi”.

Villaggio dei Faraglioni - Ustica (Fonte: https://parchiarcheologici.regione.sicilia.it/)

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per un periodo così remoto nel tempo. «La nostra scoperta apre una nuova finestra sulla comprensione di questo antico villaggio, suggerendo una complessità difensiva che va oltre le aspettative», spiega Franco Foresta Martin, direttore del Laboratorio Museo di Scienze della Terra di Ustica. «La tecnologia geofisica ci ha permesso di svelare stratificazioni nascoste della storia, aprendo la strada a ulteriori indagini senza l’uso invasivo degli scavi». Lo studio, infatti, è il frutto – come anticipato – di un lavoro sinergico che ha coinvolto studiosi di discipline diverse: geofisici, geologi, archeologi e architetti. Un lavoro che ha ottenuto risultati addirittura inimmaginabili. «Abbiamo portato a Ustica degli strumenti scientifici utilizzati dai ricercatori dell’INGV per l’esecuzione di prospezioni geofisiche. Grazie ad essi, è stato possibile localizzare con accuratezza e in maniera totalmente non invasiva le fondazioni profonde della struttura antemurale lunga quanto il muraglione, che svolgeva le funzioni di primo sbarramento difensivo», sottolinea Vincenzo Sapia, ricercatore dell’INGV. Quella stabilitasi nel Villaggio dei Faraglioni di Ustica, dunque, era una comunità particolarmente avanzata, in grado di progettare e proteggere con efficienza una vasta area. Attraverso quali tecniche di costruzione? Questa è la domanda a cui ulteriori studi proveranno a dare risposte esaurienti. Le metodologie di ricerca che hanno riguardato l’insediamento preistorico dell’isola siciliana, inoltre, promettono di fare da apripista per analoghi studi e indagini presso altri importanti siti archeologici. Basta scavi indiscriminati, sì a interventi mirati grazie all’utilizzo di strumenti capaci di individuare con precisione le aree dove approfondire le ispezioni. «Questo studio – evidenzia il ricercatore dell’INGV Sandro de Vita – dal carattere fortemente multidisciplinare dimostra come l’applicazione di metodi di indagine non invasiva, combinata con le osservazioni geologiche, geomorfologiche e archeologiche di superficie, possa indicare in maniera dettagliata e puntuale le aree su cui approfondire le indagini dirette, evitando saggi e campagne di scavo dispendiose in termini economici e temporali».


Beni culturali

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INGV ha individuato ai piedi dell’Etna un nuovo sito di scavo archeologico adiacente al complesso monumentale della Chiesa della Nunziatella di Mascali, a Catania. Il lavoro è stato possibile grazie ad alcuni rilievi geofisici. Queste ricerche archeologiche sono state avviate in seguito a una convenzione stipulata tra la Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Catania, il Comune di Mascali e la Sede comprensoriale ionico-etnea dell’Archeoclub d’Italia. Inoltre è stato possibile individuare la datazione al Carbonio 14 di frammenti ossei di due sepolture trovate nell’area adiacente alla Chiesa della Nunziatella grazie all’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, che collabora ai lavori con un team multidisciplinare dell’Osservatorio Etneo e della Sezione di Roma2. «L’INGV possiede strumentazioni di alta tecnologia che servono per le ricerche geologiche del nostro pianeta. Con alcune di esse è possibile ispezionare cavità profonde senza impattare sul territorio o sulle strutture e, quindi, possono avere ampi utilizzi anche in settori scientifici diversi dalle geoscienze. Mettere a disposizione delle autorità e della cittadinanza i nostri mezzi e le nostre conoscenze è, per l’INGV, motivo di grande orgoglio» dichiara il Direttore dell’Osservatorio Etneo dell’INGV, Stefano Branca. Sono state rintracciate dalle indagini Georadar una serie di anomalie nel segnale elettromagnetico in un’area adiacente al muro meridionale della Chiesa della Nunziatella. Preso in considerazione questo rilevamento, a partire da ottobre 2023, la Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Catania ha avviato un nuovo scavo archeologico in quest’area. In realtà alcune scoperte come ad esempio il dipinto del Cristo Pantocratore del XII secolo, che adorna il catino absidale della chiesa medievale, una piccola Basilica paleocristiana a tre navate con un ricco pavimento a mosaici policromi e alcune sepolture della prima metà del XIV secolo erano già state ritrovate in questa stessa area.

Personale dell’INGV durante i rilievi a Mascali (Fonte: INVG).

A MASCALI NUOVI SCAVI ARCHEOLOGICI Grazie ad alcuni rilievi geofisici dell’INGV è stato individuato un nuovo sito ai piedi dell’Etna di Eleonora Caruso I lavori di scavo sono ancora in corso, fino a questo momento sono stati rinvenuti i resti di un muro che corre parallelo alla parete meridionale della Chiesa per oltre nove metri e che presenta sulla facciata interna uno spesso strato di intonaco e, alla base, un piano pavimentale in cocciopesto. Oltre a questo, numerosi frammenti di materiali fittili, tegole e vasellame, i quali vengono ricondotti all’epoca tra il VI ed il IX secolo. Proprio questi provano la continuità con il complesso monumentale della Nunziatella, adatta fin da sempre all’insediamento umano grazie alla presenza garantita di acqua sorgiva. Tuttavia, non si sa ancora

il motivo per il quale la struttura sia collegata all’edificio medievale e con la Basilica Paleocristiana. Benché ci siano ancora dubbi in stato di definizione, queste indagini sono essenziali per la ricostruzione della nostra storia. Infatti, ha aggiunto Stefano Barca, «l’Osservatorio Etneo offrirà sempre la propria collaborazione a questa importante attività di indagine archeologica fornendo le informazioni di carattere geologico e stratigrafico dell’area, con l’auspicio di contribuire proficuamente alla ricostruzione del passato di un complesso monumentale di grande rilevanza storico-artistica». Giornale dei Biologi | Gen 2024

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Fonte: Douglas Boin

Beni culturali

UN TEMPIO ROMANO DI COSTANTINO Un’equipe di archeologi statunitensi ha permesso il ritrovamento delle rovine di un antico edificio del IV secolo d.C.

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urante l’incontro annuale delle Archaeological Institute of America, condotto dai ricercatori della Saint Louis University, è stato presentato uno studio che ha permesso di portare alla luce i resti di un tempio romano di età costantiniana a Spello, in Umbria (provincia di Perugia). Grazie agli scavi, condotti in estate dallo storico Douglas Boin della Saint Louis University, nel sito, che si trova vicino a un santuario religioso, sono stati ritrovati tre muri che fanno parte di una struttura massiccia con fondamenta larghe un metro e mezzo e suggeriscono l’esistenza di un tempio romano costrui70

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to intorno al 330 d.C., dedicato all’imperatore Costantino. «Abbiamo trovato tre muri di una struttura monumentale che le prove suggeriscono appartenessero a un tempio romano risalente al periodo di Costantino. Risale al IV secolo d.C. e costituirebbe un’aggiunta notevole al paesaggio di questo angolo d’Italia. Aiuterà in modo significativo la comprensione della città antica, del paesaggio urbano antico e della società cittadina nel tardo impero romano, perché mostra elementi di continuità tra il mondo pagano classico e il mondo romano paleocristiano che spesso vengono offuscati o cancellati dalle

narrazioni storiche» ha annunciato il ricercatore della Saint Louis University. È stato inoltre dichiarato che questa scoperta rivela una significativa continuità tra il paganesimo classico e il mondo romano paleocristiano, due realtà spesso confuse. Costantino (306-337) fu infatti il primo imperatore romano a convertirsi al cristianesimo. Il motivo per il quale gli archeologi hanno scelto di soffermarsi su quest’area viene ricondotto al “Rescritto di Spello”, il cui testo è contenuto in un’iscrizione marmorea risalente al IV secolo, che è stata rinvenuta il 12 marzo 1732, esposta nel Municipio di Spello. Questa viene attribuita a Costantino poiché, rivolgendosi alla comunità locale, concedeva agli Umbri di poter celebrare nel proprio territorio e con un proprio sacerdote le annuali cerimonie religiose e ludiche previste dalle consuetudini, senza più doversi recare nel centro etrusco di Volsinii a cui erano legati da tempo. In cambio, però, gli abitanti di Spello, città chiamata contestualmente Flavia Constans, avrebbero dovuto costruire un tempio per il culto della Gens Flavia. Un dato innovativo è dunque la dimostrazione di un cambiamento nella società romana, ma soprattutto il sostegno cristiano a un culto imperiale. «C’era una notevole continuità religiosa tra il mondo romano e il mondo paleocristiano - ha detto Boin - Le cose non sono cambiate da un giorno all’altro. Prima della nostra scoperta, non avevamo mai avuto la sensazione che esistessero reali siti fisici e religiosi associati a questa tarda pratica di culto imperiale. Ma a causa dell’iscrizione e del suo riferimento a un tempio, Spello offriva un potenziale molto allettante per un’importante scoperta di un culto imperiale sotto un sovrano cristiano». L’esistenza del tempio era stata ipotizzata dagli studiosi, ma non era chiaro dove si trovasse prima del ritrovamento. Boin e i suoi collaboratori torneranno a Spello la prossima estate per completare lo scavo ed esaminare l’intero tempio, sperando in nuove scoperte. (E. C.)


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Sport

SINNER! Il ragazzo di San Candido ha trionfato in Australia e ora punta a diventare il numero 1: è solo questione di tempo

di Rino Dazzo

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n pochi mesi ha riscritto la storia del tennis italiano. Di più: mondiale. Conquistando trofei, ritoccando primati, avvicinandosi a quella posizione numero uno della classifica ATP che rappresenta la prossima, esaltante sfida. Jannik Sinner è entrato di prepotenza, e in tempi rapidissimi, nella leggenda dello sport tricolore. Il trionfo agli Australian Open, prima vittoria in carriera in uno Slam, uno dei quattro tornei principali del circuito (gli altri sono Roland Garros, Wimbledon e US Open) ha fatto

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una fatica tremenda e che adesso batte con regolarità. Proprio Medvedev s’è inchinato in finale a Melbourne al rosso di San Candido: cinque set palpitanti, col russo scappato avanti sul 2-0 e poi vittima di una lenta, inesorabile rimonta. Prima volta per un italiano agli Australian Open, primo italiano a vincere uno Slam su una superficie diversa dalla terra rossa dopo gli exploit parigini di Pietrangeli e Panatta. Le vittorie di Jannik stanno riportando il tennis al centro del villaggio: gli spettatori tv degli incontri decisivi del campione altoatesino si avvicinano a quelli della Nazionale azzurra di calcio. E pensare che, da bimbo, Sinner era una promessa dello sci. S’è diviso tra le due discipline fino a 13 anni, poi ha optato per palline e racchette. È cresciuto sotto la guida di Riccardo Piatti diventando una promessa internazionale (successo alle Next Gen, le ATP Finals giovanili, nel 2019), ma il definitivo salto di qualità lo ha fatto quando, dal 2022, s’è affidato alle cure di Simone Vagnozzi e di Darren Cahill, ex coach – tra gli altri – di Lleyton Hewitt e Andre Agassi. In campo è diventato ancor più glaciale, riuscendo a concentrarsi sul suo gioco anche nelle situazioni più spinose. A Malaga, nella semifinale di Davis, ha annullato tre matchpoint a Djokovic. In Australia ha rimontato da 0-2. Timido, semplice, riservato, Sinner è un campione dal fisico «normale» che ha spiccato il volo dalle montagne dell’Alto Adige lavorando duramente e giorno dopo giorno per arrivare al top. Le parole più belle le ha dette subito dopo aver vinto la finale con Medvedev a Melbourne: «Ringrazio tutti quelli che hanno tifato per me, specie la mia famiglia. Vorrei che tutti avessero dei genitori come quelli che ho avuto io, mi hanno permesso di scegliere quello che volevo, anche da giovane. Non mi hanno mai messo sotto pressione. Auguro a tutti i bambini di avere la libertà che ho avuto io». Grazie a te Jannik.

© Victor Velter/shutterstock.com

seguito a un 2023 da incorniciare, in cui ha vinto il suo primo Masters 1000 a Toronto, ha raggiunto le semifinali a Wimbledon, ha centrato altri tre titoli (Montpellier, Pechino e Vienna), ha sfiorato il successo alle ATP Finals di Torino (sconfitto in finale da Djokovic) e ha riportato la Coppa Davis in Italia a distanza di 47 anni dal trionfo del 1976 in Cile. Ventidue anni compiuti lo scorso 16 agosto, Sinner s’è arrampicato a ottobre fino alla posizione numero 4 del ranking e ora punta con decisione a scalare le altre tre. È solo questione di tempo: arriverà in cima superando Novak Djokovic, Carlos Alcaraz e Daniil Medvedev, i mostri sacri contro cui fino a un anno fa faceva

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Jannik Sinner alza il trofeo degli Australian Open dopo la finale vinta contro Daniil Medvedev.

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Sport

GIOVANE MA ESPERTA L’ITALIA AI MONDIALI DI NUOTO Assenti Ceccon e Panziera, le speranze di podio a Doha sono affidate ai big Paltrinieri, Quadarella, Pilato, Razzetti, Martinenghi e Miressi, ma anche Mora e Cerasuolo

di Antonino Palumbo

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© Marcin Balcerzak/shutterstock.com

Sport

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on ci saranno i baffi più famosi (e dorati) del nuoto, quelli di Thomas Ceccon, unico italiano a conquistare un titolo iridato a Fukuoka 2023. E non ci sarà Margherita Panziera, che andrà a caccia del pass per i Giochi di Parigi nelle selezioni di marzo in Italia. Ma ai Campionati Mondiali 2024 di nuoto in vasca lunga, in programma presso l’Aspire Dome di Doha, Qatar, dall’11 al 18 febbraio ci sarà comunque una nazionale italiana competitiva, con i vari Gregorio Paltrinieri e Simona Quadarella, Benedetta Pilato e Alberto Razzetti, Nicolò Martinenghi e Alessandro Miressi a tenere alte le ambizioni azzurre. Venti uomini e 14 donne, tutti giovani ma già esperti. «Nel comporre la rappresentativa - ha spiegato il dt azzurro Cesare Butini ai canali ufficiali della Federnuoto - abbiamo rispettato quanto era indicato nei criteri di selezione coniugando le esigenze di squadra con quelle individuali in un’ottica olimpica.

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Sport

Abbiamo formato anche questa volta una squadra che abbina esperienza a novità; ci sono nove atleti, tra maschi e femmine, che sono alla loro prima esperienza iridata. Sono state operate alcune scelte discrezionali che tendono a favorire la crescita di atleti giovani; tredici tra atlete e atleti sono nati dopo il 2001 (otto su 14 tra le ragazze e cinque su 20 tra i ragazzi)». Rispetto ad altre edizioni, dunque, quello di Doha sarà un Mondiale utile soprattutto a maturare esperienza e arrivare pronti all’evento principale della stagione, le Olimpiadi di Parigi. E la rassegna iridata metterà in palio pass per i Giochi della prossima estate. A partire dalle prove di squadra: «Abbiamo cercato di favorire la migliore composizione delle staffette - ha specificato il dt Butini - per provare a ottenere il pass olimpico in tutte le sette prove a squadre in programma a Parigi 2024. Ricordo che le prime 16 nazioni nel ranking, tra mondiali di Fukuoka 2023 e Doha 2024, avranno titolo per partecipare ai Giochi Olimpici». Unica qualificata al momento è la 4x100m stile libero maschile, grazie all’argento iridato dello scorso anno. Le speranze di medaglia e di vittoria dell’Italia saranno affidate, fra gli altri, a Benedetta Pilato e Simona Quadarella, fresche di successo ai recenti Europei in vasca corta di Otopeni, rispettivamente nei 50m rana e nei 400m stile libero. Per Quadarella anche due argenti negli 800m e nei 1500m, per ‘Benny’ un argento nei 100m. Fra gli uomini più attesi ci sono Nicolò Martinenghi, oro nei 50m rana agli Europei in vasca corta davanti a Simone Cerasuolo (anch’egli a Doha), Lorenzo Mora, campione europei nei 200m dorso e come Martinenghi nelle due staffette 4x50m miste, Alberto Razzetti primo a Otopeni nei 400m misti (e due volte argento) e Alessandro Miressi, che in Romania ha ritoccato il record italiano dei 100m stile libero. Oltre, ovviamente, al campione di tutto Greg Paltrinieri. Quanto a Ceccon, l’assenza del 22enne fuoriclasse vicentino è legata 76

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Benedetta Pilato. Rispetto ad altre edizioni, quello di Doha sarà un Mondiale utile soprattutto a maturare esperienza e arrivare pronti all’evento principale della stagione, le Olimpiadi di Parigi. E la rassegna iridata metterà in palio pass per i Giochi della prossima estate.

a un infortunio al dito che il primatista mondiale nei 100 dorso (Budapest 2022) aveva rimediato a dicembre scorso e che ha ritardato la sua preparazione. Non è da escludere, però, che la scelta sia anche tecnica, visto che si avvicinano le Olimpiadi di Parigi. E che i calendari del nuoto stanno ancora pagando gli slittamenti causati dalla pandemia: a un mese dai Giochi (10-23 giugno) a Belgrado si terranno anche i Campionati europei. «La scelta per Thomas è stata condizionata anche dall’infortunio al dito della mano nella seconda metà dello scorso dicembre ha chiarito il dt Butini - che ha costretto l’atleta a rallentare la preparazione; abbiamo quindi ritenuto opportuno, condividendo la scelta con l’atleta, il tecnico e le società, sia civile sia militare, di dedicarci con maggiore attenzione al suo completo recupero fisico e mantenere la determinazione necessaria per il prosieguo della stagione». Come Ceccon e Panziera, altri nomi altisonanti hanno propeso per rinunciare alla rassegna iridata di Doha. Spicca quello di David Popovici, che già lo scorso ottobre ha annunciato di volersi concentrare sugli Europei in vasca corta e sullo studio. Ma anche quello di Adam Peaty, detentore del record mondiale dei 50 e 100 rana, e degli staffettisti campioni in carica della 4x200 sl James Guy e Duncan scott. Fra i convocati della Cina per Doha si nota l’assenza della medaglia d’oro olimpica Zhang Yufei e dell neo detentore del record mondiale sui 200 metri rana Qin Haiyang. Assenze importanti anche nel Canada, su tutti quelli di Josh Liendo e di Summer McIntosh, e negli Stati Uniti che rinunciano, fra gli altri a Bobby Finke e Ryan Murphy (campione uscente dei 100 dorso) in campo maschile, Torri Huske e Katie Ledecky fra le donne. Quest’ultima vedrà interrompere il suo record di sei vittorie consecutive in un evento, avendo conquistato l’oro negli 800 stile libero in tutti i Mondiali dal 2013 in poi.


Sport

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ove podi consecutivi agli Europei. Eppure la vittoria era diventata un tabù. A sfatarlo sono state Elisa Balsamo, Letizia Paternoster, Martina Fidanza e Vittoria Guazzini, ovvero la “macchina perfetta” dell’Inseguimento a squadre femminile, che ha strappato applausi e conquistato la medaglia d’oro ad Appeldoorn, nei Paesi Bassi. Battuta in finale la Gran Bretagna, che un anno fa trascinata dall’insostituibile Katie Archibald si era presa il titolo continentale battendo proprio le azzurre. L’oro europeo nella specialità, in effetti, stava diventando quasi una chimera per le fortissime ragazze italiane che, dopo due successi consecutivi, erano arrivate cinque volte seconde e una volta terze, con la Germania e la Gran Bretagna ad alternarsi nel ruolo di guastafeste. Un riscatto parziale l’Italia se l’era preso nell’autunno 2022, quando Martina Alzini, Elisa Balsamo, Chiara Consonni, Martina Fidanza e Vittoria Guazzini avevano soffiato il Mondiale alle britanniche in quel di Saint-Quinten-en-Yvelines. Tornata regina mondiale della specialità lo scorso anno, la Gran Bretagna si è ritrovata di fronte qualche settimana fa un’Italia in grande spolvero. Balsamo, Fidanza, Guazzini, e Paternoster hanno vinto l’oro ad Appeldoorn in 4’12”551 grazie a una prova-capolavoro. Cambi perfetti, prestazione regolare, gestione esemplare delle energie: una finale da incorniciare per l’Italia. «Le ragazze hanno superato le campionesse del mondo in carica con una gara di grande carattere e un tempo di valore» il commento del ct delle nazionali azzurre su pista, Marco Villa. Raggianti le protagoniste: «Obiettivo centrato! Ci abbiamo creduto e lo abbiamo sognato. Grazie ragazze, grazie staff e grazie a tutte le persone che vivono con noi queste grandi emozioni! Adesso si torna a lavorare. Tanti grandi obiettivi ci stanno aspettando»

Elisa Balsamo.

CICLISMO, LE AZZURRE SFATANO IL TABÙ PISTA Balsamo, Fidanza, Guazzini e Paternoster hanno battuto la Gran Bretagna nella finale dell’Inseguimento femminile agli Europei

ha scritto sulla sua pagina Facebook la trentina Letizia Paternoster, fra cuori azzurri e tricolori. Già campionessa d’Europa nel 2017 con Tatiana Guderzo, Silvia Valsecchi ed Elisa Balsamo, Paternoster ha fatto parte della formazione italiana anche nelle edizioni successive, ad eccezione del 2020. «Il 2024 non poteva iniziare meglio. Grazie alle mie compagne e allo staff della Nazionale per il super lavoro svolto durante questo campionato!» le ha fatto eco su Instagram Elisa Balsamo, condottiera azzurra anche in occasione dei due precedenti titoli europei. L’Italia ha concluso i Campionati

europei su pista di Appeldoorn con sei podi, tre maschili e tre femminili. Oltre al trionfo nell’inseguimento a squadre femminile con Martina Fidanza, Letizia Paternoster, Balsamo e Guazzini, ha strappato applausi l’oro di Matteo Bianchi nel chilometro, il primo assoluto per il nostro ciclismo nella specialità. Terzo posto invece nell’inseguimento a squadre uomini (Lamon, Boscaro, Consonni, Milan), nello scratch con Martina Fidanza, nell’americana donne col duo Balsamo-Guazzini e nel keirin, dove Stefano Moro ha portato per la prima volta l’Italia sul podio. (A. P.) Giornale dei Biologi | Gen 2024

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Sport

DAI GIOCHI DI PARIGI AGLI EUROPEI DI CALCIO: IL 2024 DELLO SPORT Tutti i grandi appuntamenti dell’anno olimpico: dal basket al volley, con le Nazionali azzurre in cerca del “pass” a cinque cerchi, e poi il grande ciclismo, la vela e i motori

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e Olimpiadi di Parigi, gli Europei di calcio e quelli di atletica (a Roma). E poi il Preolimpico di basket e le Nations League di volley, passaggi cruciali per le nazionali azzurre in vista dei Giochi 2024. Inaugurato dagli Australian Open, con le imprese di un Sinner sempre più protagonista del tennis mondiale, il 2024 sarà un anno di importanti appuntamenti sportivi. Perciò, come è giusto e doveroso fare a inizio anno, occorre appuntarsi le date principali sul calendario, per evitare imperdonabili dimenticanze. Procediamo mese per mese, escludendo i Mondiali di nuoto (2-18 febbraio) che trattiamo a parte, almeno per quanto concerne gli obiettivi in vasca. RUGBY: IL SEI NAZIONI Dopo un anno di alti e bassi, l’Italia del rugby riparte con Gonzalo Quesada in panchina al posto di Kieran Crowley. Obiettivo è quello di accorciare le distanze da Irlanda, Galles, Francia, Inghilterra e Scozia nel Sei Nazioni, in programma dal 2 febbraio al 16 marzo. Al debutto, sabato 3, gli azzurri ospitano all’Olimpico l’Inghilterra. FORMULA 1: TUTTI CONTRO MAX Semaforo verde per la nuova stagione sabato 2 marzo, in Arabia Saudita. Sì, si gareggia di sabato causa Ramadan, nel primo appuntamento di una stagione che, fra classiche e sprint, vedrà i piloti impegnati in 30 gare. Obiettivo di quanti

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non sono Max Verstappen sarà interrompere il dominio di Max Verstappen. Su tutti i ferraristi Charles Leclerc e Carlos Sainz. MOTO GP: MARQUEZ INSIDIA BAGNAIA La settimana successiva scatta invece in Qatar il Mondiale di MotoGp, con gara sprint al sabato e classica la domenica, sotto le luci artificiali di Losail. Non si prospetta un’annata facile per il bi-campione del mondo in carica, Pecco Bagnaia: fra gli “agguerriti” avversari c’è anche Marc Marquez, sei volte iridato, al debutto sulla Ducati del team Gresini. UN GIRO D’ITALIA DI STELLE Sarà un Giro d’Italia di grandi stelle, quello numero 107, in programma dal 4 al 26 maggio prossimi. La prima tappa parte passa da Superga, nel giorno del 75° anniversario della tragedia del Grande Torino. Gran finale a Roma, dopo oltre 3.300 chilometri con 42.900 metri di dislivello. Sarà un giro di stelle: nella startlist ci sono già Tadej Pogacar, due volte re del Tour del France, Wout van Aert e il bi-campione del mondo Julian Alaphilippe. LE NATIONS LEAGUE DI VOLLEY Mancata la qualificazione olimpica lo scorso anno, le nazionali maschile e femminile proveranno a staccare il pass per Parigi grazie alla rispettiva posizione nel ranking. L’obiettivo passa anche attraverso gli impegni in Nations League: le azzurre del neo ct Julio Velasco esordiranno


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Salute

dopo, infatti, a Parigi iniziano le Olimpiadi.

A ROMA GLI EUROPEI DI ATLETICA LEGGERA Sì, d’accordo, quando ci sono le Olimpiadi tutto il resto (quasi) scompare. Ma gli Europei di atletica leggera, in programma a Roma dal 7 al 12 giugno, rappresentano un concentrato di sfide di grande livello. E una ghiotta occasione per gli azzurri che, lo scorso anno, hanno ottenuto uno storico trionfo agli Europei a squadre. CALCIO: L’ITALIA DIFENDE IL TITOLO Una finale all’Olympiastadion di Berlino rievoca l’indimenticabile notte del Mondiale 2006. Troppo bella perché possa ripetersi anche agli Europei in programma in Germania dal 14 giugno. Qualificatasi come seconda alle spalle dell’Ucraina, l’Italia di Spalletti proverà comunque a difendere il titolo conquistato a Wembley, contro gli inglesi, due anni e mezzo fa. IL TOUR DE FRANCE: GRANDEUR E ITALIA A cent’anni dal trionfo di Bottecchia, il primo di un italiano nella Grande Boucle, il Tour de France (29 giugno-21 luglio) omaggia il nostro Paese partendo da Firenze e toccando Emilia-Romagna e Piemonte, ‘salutando’ idealmente Bartali, Coppi, Nencini, Gimondi e Pantani. Il finale, per la prima volta, sarà a Nizza: pochi giorni

Gli Europei di atletica leggera, in programma a Roma dal 7 al 12 giugno, rappresentano un concentrato di sfide di grande livello. E una ghiotta occasione per gli azzurri che, lo scorso anno, hanno ottenuto uno storico trionfo agli Europei a squadre.

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il 14 maggio ad Antalya in Turchi, gli azzurri di Fefè De Giorgi saranno in campo dal 21 maggio a Rio de Janeiro.

IL PREOLIMPICO DI BASKET: OBIETTIVO A CINQUE CERCHI Alle Olimpiadi deve ancora qualificarsi anche l’Italia del basket. Ci proverà a San Juan, in Porto Rico, dal 2 al 7 luglio. Sorteggio benevolo nel girone eliminatorio, dove ci aspettano i padroni di casa e il Bahrain. Le migliori due affrontano le più brave del girone con Messico, Costa d’Avorio e Lituania. Poi la finale che mette in palio il biglietto per Parigi. LE OLIMPIADI DI PARIGI 2024 Ed eccoci, finalmente, all’evento che ogni atleta sogna. Il 26 luglio si alza il sipario sui 33esimi Giochi olimpici estivi. Gli sportivi italiani hanno ancora negli occhi le 40 medaglie di Tokyo, con imprese mai ottenute prima di allora. L’edizione con più ori azzurri resta quella di Los Angeles 1984 (14 successi), davanti a Roma 1960, Atlanta 1996 e Sydney 2000 (13). Cerimonia di chiusura l’11 agosto. GRAN FINALE: L’AMERICA’S CUP Per conquistare il diritto a sfidare Team New Zealand, al meglio delle 13 regate, le contendenti si sfideranno nella Louis Vuitton Cup, al via dal 20 agosto. Sulla strada di Luna Rossa Prada Pirelli ci sono Alinghi Red Bull, American Magic, Ineos Britannia e Orient Express. Dal 12 ottobre, a Barcellona, la 37esima edizione dell’America’s Cup. (A. P.) Giornale dei Biologi | Gen 2024

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Gigi Riva.

IL CALCIO PIANGE “ROMBO DI TUONO” GIGI RIVA Il re del gol azzurro è morto a 79 anni. Portò lo scudetto a Cagliari e, con l’Italia, fu protagonista dell’iconico 4-3 sulla Germania

«H

a scelto lui, fino alla fine». Così Nicola, figlio di Gigi Riva, nell’ultimo commosso saluto a una leggenda del calcio italiano, tradito dal suo cuore pochi giorni fa. Rombo di Tuono se n’è andato a 79 anni, il 22 gennaio scorso, dopo aver rifiutato un intervento sulla grave insufficienza coronarica che gli era stata diagnosticata al momento del ricovero. A salutarlo, fuori dalla basilica di Nostra Signora di Bonaria a Cagliari, c’erano 30mila persone. Perché non ci ha lasciati solo un grande attaccante, non soltanto un fuoriclasse che ha scritto pagine inde80

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lebili del calcio italiano (e sardo: c’è la sua firma dell’unico, straordinario successo del Cagliari). Riva è stato soprattutto un grande uomo, silenzioso come solo chi sa pesare le parole riesce a essere, opportuno quando si esprimeva. Il campione di tutti. Un eroe trasversale, il cui addio ha commosso almeno un paio di generazioni di appassionati italiani di sport. Sulla spalla di Gigi Riva un Roberto Baggio sconsolato appoggiò il capo, dopo l’errore fatale ai rigori della finale di Usa ’94. Roby che ha definito «unico e indimenticabile» il suo mentore speciale, in una lettera

all’agenzia Ansa. «Sei stato per me un esempio bellissimo di coerenza e di attaccamento alla maglia, di sincero coraggio. Hai amato come nessun altro la terra che ti ha adottato. Hai saputo trasformare la tua sofferenza e i tuoi dolori in positivo riscatto. Sei stato un compagno di viaggio saggio e prezioso, sei stato sempre te stesso dentro e fuori dal campo» le parole del Divin Codino. Già perché Riva, lombardo di nascita, si è lasciato adottare dalla Sardegna: a Cagliari ha giocato dal 1963 al 1977, segnando 208 gol fra campionati e coppe. Prima di “esplodere” definitivamente nel capoluogo sardo, il bomber di Leggiuno conquistò il titolo europeo con l’Italia nel 1968, poi fu protagonista con gli azzurri del Mondiale di Messico 1970, firmando un gol “alla Riva” nella mitica semifinale con la Germania. Solo il Brasile di Pelè privò Riva e l’Italia di quel titolo iridato. In definitiva, Rombo di Tuono - come lo ribattezzò Gianni Brera - ha vinto meno rispetto a quanto meritato. Ma è un campione che ha conquistato tutti. Luciano Spalletti, ct della nazionale azzurra, lo ha ricordato così: «Riva aveva qualità superiori, in un mondo che è profondamente cambiato. Questi eroi non smetteranno mai di seguirci». A Riva si sono legati campioni degli anni Settanta, suoi compagni di club o nazionale (come Picchio De Sisti), ma anche degli anni Novanta e oltre, visti i successivi incarichi di dirigente accompagnatore e poi team manager della nazionale maggiore, fino al 2023. Con gli azzurri ha partecipato a cinque Mondiali (compreso quello vinto a Berlino) e cinque Europei. Perciò, fra i più commossi ai funerali del principe del gol c’erano Gigi Buffon, che in Nazionale ne ha ereditato l’incarico, Fabio Cannavaro, Marco Amelia, Simone Perrotta e Marco Tardelli. Per questo, per quanto possa sembrare banale e poco consolatorio, anche se è andato via, Riva rimarrà per sempre. Non solo negli albi d’oro. (A. P.)


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Libri

“UN ALBERO NON MENTE MAI” COSÌ LA BOTANICA FORENSE RISOLVE I “GIALLI” L’ambiente cataloga involontariamente la scena del crimine Sta ai biologi risolvere il rebus attraverso lo studio di piante o parti di esse di Anna Lavinia

David J. Gibson “Cluedo botanico” Il Saggiatore, 2023 - 22 euro

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oco dopo la morte, precisamente entro quattro minuti, il corpo umano comincia a decomporsi e dopo che il cuore si è fermato dà inizio ad una trasformazione che continua per molto tempo. Mentre la putrefazione porta i batteri del corpo ad autodistruggersi, i nutrienti vengono rilasciati e diventano banchetto per una moltitudine di organismi presenti in natura. È in questo modo che la morte, lungi dall’essere la fine, rappresenterà un nuovo inizio. Il passato non è dimenticato, piuttosto è nascosto. E a cercarlo in questa grande sfida, ci pensano gli esperti di botanica forense. Gli schemi e le successioni sparse che la morte determina diventano per loro indizi essenziali per comprendere gli ultimi momenti di vita della vittima di omicidio. L’ambiente naturale diventa invece la scenografia del delitto e compone un archivio in grado di registrare informazioni su chi siamo, cosa abbiamo fatto e cosa ci è stato fatto. Il compito degli esperti è leggere correttamente questo insieme di dati catalogati involontariamente ed in modo caotico dall’assassino e ne osservano la chimica e la morfologia

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interpretando i fatti della vita, della morte e del viaggio dall’una all’altra. Come direbbe l’autore di questo saggio David J. Gibson “un albero non mente mai” specialmente se si tratta di testimoniare in un caso di omicidio. Su questo assunto getta le basi la botanica forense, scienza che indaga su casi criminali e controversie legali attraverso lo studio di piante e parti di esse (pollini, semi, alghe). E non l’avrebbe mai nemmeno lontanamente immaginato Ted Bundy che delle foglie lo avrebbero incastrato e condannato come uno dei serial killer più spietati della storia. Per la precisione tracce di fibre, alcune foglie e la caratteristica terra raccolta dal telaio del furgone bianco che guidava lo collegarono alla vittima poiché erano le stesse che crescevano sul corpo della ragazza da lui assassinata. I killer non sanno che possono spostare inavvertitamente dalla scena del crimine frammenti di piante che si trasformeranno in prove cruciali nella risoluzione dei casi. È da qui che biologi, tossicologi ed esperti forensi ricavano preziose informazioni per l’indagine. Il “Cluedo botanico” di cui ci racconta lo scrittore è in


Libri

Greta Olivo “Spilli” Einaudi, 2023 - 18,50 euro Gli spilli che Livia un giorno non vedrà più sono le lettere piccolissime che non riusciamo mai a leggere dall’oculista. Ma sono anche i dolori che la ragazza adolescente affronta in questo romanzo d’esordio quando mette nero su bianco la sua paura quotidiana di diventare cieca a causa della retinite pigmentosa di cui soffre. (A. L.)

Alberto Siracusano “Perché mentiamo” Raffaello Cortina Ed., 2023 - 16,00 euro

pratica la dimostrazione di un collegamento tra prove botaniche, scena del crimine, vittima e omicida. Tra cronache giudiziarie e dati scientifici, la biologia s’incastra con la criminologia in un viaggio sorprendente tra le piante facendocele conoscere da un punto di vista incredibilmente nuovo. Ad esempio i funghi non sono piante ma organismi molto più vicini agli animali. Possono servire a datare l’ora della morte e dalle spore fungine è possibile ricostruire perfino il luogo del reato. Invece alcuni tipi di alghe (le diatomee) permettono di capire se un soggetto è stato assassinato nel luogo d’acqua in cui è stato ritrovato o altrove in precedenza. Non molti sanno che la palinologia, la scienza che studia il polline, ha avuto un ruolo fondamentale nel perseguire i criminali di guerra responsabili del massacro di civili compiuto a Srebrenica nel 1995. Ogni piccola particella lascia una traccia e racconta una storia. A volte però prima di risolvere il crimine bisogna risolvere la “cecità delle piante” ovvero il disinteresse generalizzato per esse e la difficoltà ad identificarle.

Chi non è mai entrato nel mondo di Pinocchio per prendere in prestito bugie e fandonie? Le menzogne però non sono tutte uguali e in un viaggio tra neurobiologia e letteratura l’autore ne svela tutte le sfumature: bianche, nere e blu. È provato che non si può vivere senza mentire, ma se è così complicato perché continuiamo a farlo? (A. L.)

Yamen Manai “Bell’abisso” Edizioni E/o, 2023 - 9,99 euro A dodici anni, per l’amore di un cane si cambia completamente. Un animale può farsi ancora di salvezza facendoti scoprire il significato dell’amore fino a che, la sua morte non diventa invece motivo di distruzione, di triplice omicidio per l’esattezza. Un ragazzo che urla la sua rabbia al paese che gli ha rubato il futuro. (A. L.)

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Concorsi

CONCORSI PUBBLICI PER BIOLOGI AZIENDA SANITARIA LOCALE BI DI BIELLA Scadenza, 8 febbraio 2024 Concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura di un posto di dirigente biologo, disciplina di patologia clinica Gazzetta Ufficiale n.3 del 09-01-2024. UNIVERSITÀ DI SASSARI Scadenza, 15 febbraio 2024 Procedura comparativa per la copertura di un posto di ricercatore, settore concorsuale 05/E3 - Biochimica clinica e biologia molecolare clinica, per il Dipartimento di scienze biomediche. Gazzetta Ufficiale n. 5 del 1601-2024. AZIENDA UNITÀ SANITARIA LOCALE DI PIACENZA Scadenza, 15 febbraio 2024 Concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura di un posto di dirigente biologo, disciplina di patologia clinica. Gazzetta Ufficiale n. 5 del 16-01-2024. UNIVERSITÀ “LA SAPIENZA” DI ROMA Scadenza, 18 febbraio 2024 Procedura di selezione per la copertura di un posto di ricercatore a tempo determinato in tenure track, settore concorsuale 05/C1, per il Dipartimento di biologia ambientale. Gazzetta Ufficiale n. 6 del 19-01-2024. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE - ISTITUTO DI FISIOLOGIA CLINICA DI PISA Scadenza, 1° febbraio 2024 84

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È indetta una pubblica selezione per titoli e colloquio per il conferimento di n. 1 borsa di ricerca per l’area scientifica “Scienze Biomediche” da usufruirsi presso la Sede di Pisa dell’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR, nell’ambito dei Progetti “Big data e deep learning nella Sorveglianza dei tumori professionali (BEST)” e “Risk factors, diagnosis, and management of severe/uncontrolled asthma from general population to clinical setting: update and follow-up of the rita registry (riser study)” e “Monitoraggio abbattimento rischi sanitari inquinamento indoor (mission)”. Il bando è stato pubblicato sul sito internet www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE - ISTITUTO DI SCIENZE MARINE DI BOLOGNA Scadenza, 8 febbraio 2024 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1 Assegno di Tipologia B) “Post Dottorale” per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti l’Area Scientifica “Scienze del sistema Terra e tecnologie per l’ambiente” da svolgersi presso l’Istituto di Scienze Marine del CNR, Sede Secondaria di Bologna che effettua ricerca nel campo delle Scienze Marine, nell’ambito del progetto di ricerca: “International Ocean Discovery Program Expedition 402 Tyrrhenian Continent-Ocean Transition “ finanziato da IODP-Italia CUP B33C2200224001”, per la seguente tematica “ Studio dei processi di esumazione del mantello nel bacino tirrenico”. Il bando è stato pubblicato sul sito internet www.cnr.it, sezione “concorsi”.

CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE - ISTITUTO DI NEUROSCIENZE DI PARMA Scadenza, 9 febbraio 2024 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n.1 Assegno di ricerca professionalizzante per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti l’Area Scientifica “Neuroscienze” da svolgersi presso l’Istituto di Neuroscienze del Consiglio Nazionale delle Ricerche del CNR, UOS di Parma, che effettua ricerca nell’ambito del Progetto “Efficacy of a rehabilitation treatment using Observation THerapy Enhanced by muscLe synergy-derived eLectrical stimulatiOn (OTHELLO) in post-stroke patients”, per la seguente tematica: “implementazione e validazione di stimoli per l’Action Observation Treatment in pazienti con stroke”. Il bando è stato pubblicato sul sito internet www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE - ISTITUTO DI TECNOLOGIE BIOMEDICHE DI MILANO Scadenza, 9 febbraio 2024 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1 assegno professionalizzante per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti l’Area Scientifica “Scienze biomediche” da svolgersi presso l’Istituto di Tecnologie Biomediche del CNR – sede di Segrate, dal titolo “Unsolved challenges in dystroglycanopathies: the search for novel molecular predictors for αDG glycosylation diagnosis and management”, per la seguente tematica: “Elaborazione di dati proteomici ottenuti mediante analisi LCMS: dal processamento degli spettri MS/MS alla valutazione funzionale dei profili proteici”. Il bando è stato pubblicato sul sito internet www.cnr.it, sezione “concorsi”.


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Scienze

L’AMIANTO E LE MALATTIE CORRELATE: UNA STORIA CHE DEVE ANCORA CONCLUDERSI Epidemiologia e impatto sociale di un fenomeno passato di cui attendiamo ancora oggi il picco d’incidenza

di Simone Ielo*

N

el 1992 l’Italia, uno dei Paesi maggiormente colpiti dalle malattie correlate all’asbesto (anche detto amianto), ha introdotto la Legge 257, grazie alla quale sono stati messi al bando i prodotti costituiti - in toto o in parte - da amianto ed è stata vietata ogni forma di lavorazione e vendita degli stessi. I dati allarmanti circa gli effetti sulla salute nei soggetti esposti all’amianto hanno determinato la necessità di promulgare questa legge, che tutela la salute pubblica e quella dei lavoratori. Tuttavia, sembra che gli effetti nocivi riconducibili all’esposizione a questo materiale fossero già noti precedentemente, quando nel 1930, a seguito di una pubblicazione pioneristica sull’argomento, il Regno Unito aveva iniziato ad adottare una serie di normative cautelative nei confronti dei lavoratori dell’industria tessile(1). In seguito, nel 1977, l’asbesto era stato classificato come cancerogeno certo dall’International Agency for Research on Cancer (IARC)(2). Nel nostro Paese, a partire dai primi anni del 1900 sono state prodotte, importate o esportate milioni di tonnellate di questo minerale, con conseguente esposizione di milioni di cittadini e lavoratori(3). A complicare le cose, inoltre, è l’incertezza relativa all’esatta quantità di amianto ancora presente nel nostro territorio. Si ritiene che solo una parte dei materiali costituiti da asbesto sia stata effettivamente bonificata e che possano essere ancora presenti 40 milioni di Medico Chirurgo, collaboratore di BioPills: il vostro portale scientifico.

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tonnellate da individuare e smaltire(4). È assodato come la malattia più temibile legata all’amianto, cioè il mesotelioma, una rara forma di tumore, si manifesti con un lungo tempo di latenza, cioè dopo un arco temporale anche di quarant’anni dall’inizio dell’esposizione(5). Le malattie determinate dall’asbesto rappresentano, pertanto, un problema di salute pubblica più attuale che mai. L’amianto: chimica e utilizzi L’amianto fa parte di un gruppo di silicati di origine naturale. Ne esistono varie tipologie che vengono estratte da alcuni tipi di rocce(6). In particolare, se ne riconoscono sei forme che in relazione alla struttura chimica si distinguono in due gruppi: gli anfiboli, silicati che legano calcio o magnesio, e il serpentino, silicato che lega entrambi e di cui fa parte solo il crisotilo (noto come amianto bianco), quello in assoluto più riscontrato in natura(6). L’actinolite, l’amosite (amianto bruno, il miglior isolante termico), l’antofillite, il crocidolite (amianto blu, il più aggressivo) e la tremolite fanno parte del gruppo degli anfiboli(6). Per la diffusione ubiquitaria nella crosta terrestre, l’emissione di queste sostanze può avvenire spontaneamente a causa dei processi di erosione fisiologici. Tuttavia, ciò che rende l’asbesto un serio rischio per la salute è dovuto all’attività antropogenica. Il suo largo utilizzo nel passato è legato alle proprietà che lo contraddistinguono, quali la resilienza, la resistenza al calore e la flessibilità. È per questo che tra i maggiori impieghi in ambito industriale ci fu lo sviluppo di tessuti e materiali ignifughi (per esempio per realizzare indumenti protettivi e barriere antifiamma) o di materiali che garantissero isolamento termico (freni o frizioni di autoveicoli, condotti di


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scarico dei fumi di scarico). Venne usato anche a scopo edilizio: tutt’ora si ritrova come costituente principale di tettoie, canne fumarie, tubature o pavimentazioni di edifici che non sono stati demoliti o ristrutturati. Tutte le forme di asbesto hanno la caratteristica comune di una tipica struttura fibrosa che viene conservata anche a livello macroscopico. È proprio per questo aspetto fibroso che i materiali costituiti da questo minerale possono essere riconoscibili (per esempio, quando sono presenti fessure o crepe) e in tal modo sottoposti ai necessari processi di smaltimento. Pericolosità dei materiali contenenti amianto e normative per la tutela dei lavoratori Una distinzione che può essere fatta per valutare il rischio immediato dei materiali contenenti asbesto che necessitano di un rapido smaltimento è quella in materiali friabili e in materie compatte(7). I materiali friabili sono quelli che rilasciano una polvere al semplice tatto o a seguito di impatti traumatici minimi con agenti naturali (vento, acqua, vibrazioni). È chiaramente quello più pericoloso per via della facilità di rilascio delle fibre nell’aria(7). Esempi riguardano i materiali applicati a spruzzo (vernici) o sottoposti naturalmente a usura per il tipo di impiego. I materiali compatti vengono definiti tali se è necessario l’impiego di strumenti di lavoro per la loro demolizione. Rientrano tra le materie compatte le coperture in fibrocemento amianto (le tipiche tettoie ondulate) o le tubature. Presentandosi in forma dura, il rischio di rilascio di particelle tossiche è ridotto. Il Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro, cioè il Decreto legislativo 81 del 2008, tra i principali emanati per la tutela dei lavoratori, impone delle precise responsabilità ai datori di lavoro per quanto riguarda l’identificazione del rischio e la prevenzione delle malattie correlate all’esposizione professionale all’asbesto (ad esempio ancora oggi, le aziende che si occupano della bonifica da questo materiale e ristrutturazione). In particolare, impone la necessità di monitorare nelle attività a rischio la quantità di fibre emesse ogni ora. Nel Testo Unico viene

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individuata e imposta anche una soglia di concentrazione da non superare in questi ambienti, nella fattispecie non deve essere superiore a 0,1 fibre per millimetro cubo di aria calcolata come media nelle 8 ore. Il datore di lavoro ha l’obbligo di riportare queste misurazioni eseguite periodicamente e riportarle nel documento di valutazione dei rischi (DVR). Infine, devono essere garantite norme igieniche che comprendano adeguati spazi di lavoro e riposo, dispositivi di protezione individuale, sistemi di ventilazione e areazione. La legge di stabilità 2008 ha consentito di fare un ulteriore passo in avanti verso i lavoratori che tutt’ora continuano ad ammalarsi, grazie all’istituzione di un fondo per le vittime dell’amianto. Con la legge di stabilità del 2015 fu istituito un secondo fondo a tutela dei malati di mesotelioma non professionale, cioè di quei casi legati a esposizione ambientale o familiare (conviventi con lavoratori a rischio). Le malattie amianto-correlate Con malattie amianto-correlate si fa riferimento al gruppo di patologie correlate all’inalazione di asbesto avvenuta per motivi professionali o ambientali. Si fa riferimento a patologie che interessano l’apparato respiraGiornale dei Biologi | Gen 2024

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torio, ma anche organi interni che vengono coinvolti per via della diffusione sistemica (attraverso la circolazione sanguigna) della sostanza cancerogena (l’asbesto). In particolare, fanno parte di questa entità nosologica l’asbestosi, le placche pleuriche, il carcinoma polmonare, il mesotelioma pleurico, i mesoteliomi peritoneali e il carcinoma ovarico. La caratteristica comune delle patologie asbesto-correlate è la latenza tra tempo di inizio dell’esposizione e manifestazione (diagnosi) della malattia: quaranta anni per il mesotelioma, dieci-vent’anni per l’asbestosi e circa vent’anni per il cancro ai polmoni(5)(8). Le placche pleuriche Un riscontro molto comune nella pratica clinica è quello delle placche pleuriche. Queste solitamente non determinano sintomi e sono spesso definite come “incidentalomi”, cioè reperti che vengono identificati per l’esecuzione di esami diagnostici (come una radiografia del torace) per altri motivi. Le placche pleuriche correlate all’asbesto sono ispessimenti irregolari, solitamente nodulari, in cui il tessuto mesoteliale (membrana che riveste il polmone, cioè la pleura) è sostituita da tessuto fibroso. Pur essendo un reperto benigno necessita spesso di biopsie per avere la certezza di non essere di fronte a una neoplasia e di monitoraggio clinico e strumentale periodico. L’asbestosi 88

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L’asbestosi è una malattia dell’interstizio polmonare. L’inalazione delle fibre di amianto causa un’infiammazione cronica che determina una fibrosi polmonare che caratteristicamente si associa a placche pleuriche calcifiche e aumentato rischio di neoplasie, in particolare polmonari e pleuriche. Tipicamente si distingue da altre forme di fibrosi polmonare per i motivi suddetti e per la prevalenza nei lobi inferiori e nelle aree pericardiache e subpleuriche (zone più periferiche e mobili, per cui con l’atto del respiro in queste zone è agevolato l’arrivo delle fibre di asbesto). Il mesotelioma Si tratta di un tumore maligno, aggressivo, che origina a partire dalle cellule del mesotelio. Le fibre di asbesto determinano il loro effetto patogenico in quanto inalabili; tendono a penetrare attraverso l’epitelio di rivestimento alveolare e accumularsi nell’interstizio più profondo, in prossimità della pleura viscerale(8). Qui, si ritiene che i macrofagi alveolari attivino il processo flogistico che porta alla cancerogenesi con un rischio in relazione diretta con la dose inalata e il tempo di esposizione. Sebbene gran parte dei casi di mesotelioma interessi la pleura, parte delle fibre di asbesto può passare la membrana alveolo-capillare diffondendo in altri organi, aumentando il rischio di altri tumori come il carcinoma ovarico o il tumore del testicolo. Le analisi statistiche relative all’incidenza Negli anni sono stati proposti diversi modelli statistici per prevedere il trend epidemiologico delle malattie correlate all’asbesto, come ad esempio la Formula di Peto, accuratamente spiegata in un articolo visionario pubblicato nel 1999(5). Sulla base di questo modello, venne elaborata una proiezione relativa all’incidenza del mesotelioma pleurico in Europa per gli anni dal 1995 al 2029(9). Secondo gli autori di questo studio, in Europa dovremmo aver raggiunto il picco d’incidenza nel 2018 ed essere in questo momento in una fase di progressiva decrescita nel


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numero di casi riscontrati (che comunque rimangono più numerosi che nel passato). Diversi studiosi hanno personalizzato questi modelli per ipotizzare picco d’incidenza e numero di decessi per mesotelioma in Italia(10)(11). Lo hanno fatto tenendo in considerazione l’esposizione temporale all’amianto, il cui uso edilizio e industriale ha raggiunto il vertice tra gli anni Settanta e Ottanta per poi cessare a partire dal 1992, e il tempo di latenza della malattia (quarant’anni). A tal riguardo, uno degli studi più noti è quello di Oddone e colleghi, che a partire dai dati relativi alla mortalità fornite dall’ISTAT per il periodo 1970-2014 ha ipotizzato i dati di mortalità prevista per il periodo 2015-2039(11). Il picco previsto è tra il 2020 e il 2024, con una fase di plateau e una lenta riduzione dei casi nei decenni successivi. Sulla base di questi dati è dunque evidente come parte dell’epidemia di mesoteliomi asbesto-relati sia ancora – sfortunatamente – in divenire.

si toglieva, se ne trovava il profilo in negativo.” Primo Levi descriveva trent’anni dopo quello che aveva visto nel lontano 1941. Ma già nel 1954, Italo Calvino, ne L’Unità(13), evidenziava – come se fosse cosa nota a tutti – la situazione della cava dopo una sua visita: “[…] c’è solo il grigio polverone d’asbesto della cava che dove arriva brucia, foglie e polmoni, c’è la cava, l’unica così in Europa, la loro vita e la loro morte.” Ci vollero altri quarant’anni prima che tutto avesse fine. E qui, intanto, si continuano ad avere casi di malattia, di storie di vita vissuta, di lavoro da ciclopi (come lo descriveva Levi), di cui aspettiamo ancora il picco massimo.

La nostra storia Uno dei principali siti di estrazione e lavorazione dell’amianto era quello della cava di Balangero, nella provincia di Torino, che ci ha garantito un triste primato come uno dei Paesi tra i principali produttori ed esportatori di asbesto. L’importanza della miniera, una delle più grandi in Europa, era tale che il nome dell’azienda proprietaria della cava divenne un sinonimo della parola stessa “amianto”: l’Eternit. Al proposito di questa miniera parlano due famosi interpreti del Novecento: Italo Calvino e Primo Levi. I loro scritti, risalendo a molto prima dell’entrata in vigore della Legge 257/92 e anticipando le evidenze scientifiche, consentono di intuire come ci fosse già una consapevolezza riguardo la pericolosità dell’amianto. I due autori scrivono di questo sito amiantifero in periodi diversi e ricoprendo ruoli differenti. Il primo, come giornalista, il secondo nell’ambito del racconto autobiografico “Il sistema periodico”, descrivendo il suo primo anno di lavoro come chimico neo-laureato (datato 1941) che aveva l’arduo compito di aumentare la velocità del processo di estrazione(12). Nel 1975, nel paragrafo Nichel del Il sistema periodico, Primo Levi descrive la Società Amiantifera di Balangero come segue: “[…] in una collina tozza e brulla, […] si affondava una ciclopica voragine conica, un cratere artificiale […]: era del tutto simile alle rappresentazioni schematiche dell’inferno.”

1. Merewether ERA & Price CW. Report on Effects of Asbestos Dust on the Lungs and Dust Suppression in the Asbestos Industry, H.M. Stationery Office 1930, 1-35. 2. IARC Working Group on the Evaluation of Carcinogenic Risks to Humans. Arsenic, Metals, Fibres and Dusts. Lyon (FR): International Agency for Research on Cancer; 2012. Available from: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/books/ NBK304374/ 3. Osservatorio Nazionale Amianto (ONA). Il Libro bianco delle morti di amianto in Italia, ed. 2022. 4. Ezio Bonanni. Amianto: emergenza continua in Italia con 40 milioni di tonnellate ancora da bonificare, 2023, Pubblicato Il Sole 24 ore. 5. Peto J et al. The European mesothelioma epidemic. Br J Cancer 1999;79(34):666-672. 6. Sporn TA. Mineralogy of asbestos. Recent results in cancer research 2011, 189, 1–11. 7. Miscetti G, Bodo P, Garofani P et al. Levels of exposure to respirable fibres at worksites for abatement of compact and friable asbestos. La Medicina del lavoro, 2014, 105(1), 63–73. 8. Linee Guida 2021 sul Mesotelioma Pleurico – AIOM: Associazione Italiana Oncologia Medica. Pubblicata sul Sistema Nazionale Linee Guida dell’Istituto Superiore di Sanità. snlg.iss.it 9. Olsson AC, Vermeulen R, Schuz J, Kromhout H, et al. Exposure-response analyses of asbestos and lung cancer subtypes in a pooled analysis of a case-control studies. Epidemiology 2017, 28, 288–299. 10. Marinaccio A, Montanaro F, Mastrantonio M, et al. Predictions of mortality from pleural mesothelioma in Italy: a model based on asbestos consumption figures supports results from age-period-cohort models. Int J Cancer 2005;115:142-7. 11. Oddone E, Bollon J, Nava CR, et al. Predictions of Mortality from Pleural Mesothelioma in Italy After the Ban of Asbestos Use. Int J Environ Res Public Health 2020;17(2):607. 12. Italo Calvino. La fabbrica nella montagna, L’Unità. 28 febbraio 1954.

L’aria era impregnata dalle fibre di amianto: “C’era amianto dappertutto, come una neve cenerina: se si lasciava per qualche ora un libro su di un tavolo e poi lo

Bibliografia

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Scienze

L’ALFABETIZZAZIONE SANITARIA NELLA PROMOZIONE DELLA SALUTE La capacità di informarsi e comprendere ciò che è importante per la salute consente al paziente di orientarsi nel sistema sanitario ed effettuare scelte consapevoli

di Daniela Bencardino*

L’

alfabetizzazione sanitaria, nota anche con il termine inglese “Health literacy” è la capacità di uomini e donne di informarsi in modo corretto sulla salute ma anche di comprendere le informazioni raccolte. Ottenere, capire, valutare e utilizzare correttamente questo tipo di informazioni consente di prendere decisioni e intraprendere tutte quelle azioni valide per tutelare la propria salute e quella degli altri. Questo richiama il concetto di alfabetizzazione sanitaria della popolazione globale (Public Health Literacy) secondo cui gli individui che possiedono queste competenze sono in grado di assumere comportamenti appropriati anche per la salute della comunità dimostrando senso civico e di responsabilità collettiva [1]. In questo contesto si inserisce la formazione del “cittadino empowered” (letteralmente “cittadino responsabilizzato”), cioè un soggetto che raggiunge un livello di conoscenze, abilità personali e fiducia in se stesso tale da poter costruire il proprio sano stile di vita compiendo scelte dettate da una completa comprensione di ciò che lo circonda. Il cittadino e la comunità diventano, quindi, protagonisti del proprio benessere e cooperano in modo responsabile nella gestione della sanità e della salute [2]. Tuttavia, siamo ancora ben lontani da questo livello di consapevolezza come dimostrano i risultati poco incoraggianti delle analisi eseguite da diversi Paesi del mondo sul livello di alfabetizzazione sanitaria della propria popolazione. Da queste valutazioni, infatti, è emerso che il 14% degli americani adulti mostra una bassa alfabetizzazione sanitaria. Spostandoci in Eu-

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Comunicatrice scientifica e Medical writer

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ropa la percentuale si alza raggiungendo il 47% ma sono l’Australia e la Cina a mostrare una situazione decisamente peggiore raggiungendo, rispettivamente, il 60% e il 91%. Questi numeri lasciano facilmente intuire come quello dell’alfabetizzazione sanitaria bassa, o addirittura insufficiente, sia un problema di salute pubblica a livello mondiale [3]. Nel 1974, Simonds introduceva il concetto di alfabetizzazione sanitaria correlandolo al grado di educazione scolastica e oggi sono sempre di più gli interventi di promozione della salute organizzati proprio nelle scuole [1,4]. In generale, l’alfabetizzazione della popolazione è il processo che fornisce gli strumenti culturali che rendono gli individui capaci di comprendere e agire per il bene della propria esistenza e della società ed è influenzata da fattori sociali come lo stato di occupazione e il reddito. La Commissione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) impegnata nella determinazione dei fattori sociali che hanno un impatto sulla salute sottolinea l’importanza critica dell’istruzione per raggiungere l’equità sanitaria sia nei paesi a basso reddito che in quelli ad alto reddito. Tuttavia, il possesso di competenze generiche nella lettura, scrittura e comprensione migliorano la capacità di accedere, capire e agire, ma non garantiscono che una persona possa applicarle in modo coerente in quei contesti che richiedono conoscenze e abilità specifiche. Inoltre, la capacità di apprendere varia tra gli individui poiché ognuno risponde in modo diverso alle diverse forme di comunicazione. Da questa prospettiva nascono svariate tipologie di alfabetizzazione come quella finanziaria, scientifica, digitale e sanitaria [3]. Quest’ultima sta guadagnando sempre più attenzione in tutto il mondo grazie alla consapevolezza che è solo attraverso il suo rafforzamento che si possono ottenere benefici in termini di miglioramento della salute e di ridu-


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zione delle disuguaglianze all’accesso alle cure. Questa consapevolezza ha portato i governi delle varie Nazioni a includere l’alfabetizzazione sanitaria nei programmi sanitari. In occasione delle Conferenze Internazionali sulla promozione della salute, infatti, il ruolo dell’empowerment individuale e collettivo si è progressivamente consolidato come strategia fondamentale per il raggiungimento di questi obiettivi. Nel dicembre del 2021, la Svizzera ha ospitato, virtualmente a causa della situazione pandemica, l’ultima Conferenza Mondiale sulla promozione della salute che ha visto la nascita della “Carta di Ginevra per il Benessere”. Il documento sottolinea la necessità di un impegno globale per il raggiungimento di obiettivi sociali e di salute che siano equi salvaguardando la salute del pianeta. Nella Carta sono stati delineati azioni chiave e strumenti utili per costruire una “società del benessere” e ciò che deve essere fatto per prevenire e rispondere prontamente alle crisi sanitarie ed ecologiche. Le cinque azioni chiave prevedono: 1. la progettazione di un’economia equa che serva allo sviluppo umano entro i confini del pianeta; 2. la creazione di politiche pubbliche per il bene comune; 3. il raggiungimento della copertura sanitaria universale; 4. la gestione della trasformazione digitale per contrastarne i danni e l’impoverimento e per rafforzarne i benefici; 5. la valorizzazione e la preservazione del pianeta. La salute, quindi, è intesa come parte di un ecosistema più ampio che comprenda fattori ambientali, sociali, economici e politici. L’assistenza sanitaria deve essere posta al centro di ogni piano di azione e la sua comunicazione dovrebbe essere riformulata e considerata non come un costo bensì come un investimento per il futuro globale [5]. In quest’ottica gli operatori sanitari sono attivamente impegnati nello sviluppo di interventi e campagne di informazione volti a modificare gli atteggiamenti, aumentare l’uso del servizio e promuovere i comportamenti sanitari. Le persone con scarsa alfabetizzazione, però, tendono a essere meno sensibili ai messaggi veicolati dalle tradizionali campagne di educazione sanitaria. Di conseguenza, le probabilità di utilizzare servizi di prevenzione si riducono drasticamente, le malattie croniche non vengono gestite con successo per la scarsa adesione al trattamento terapeutico a cui si aggiunge spesso la ridotta comprensione delle prescrizioni mediche e la difficoltà di prendersi cura di se stessi [6].

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La buona comunicazione della salute rende il paziente consapevole Comunicare la salute vuol dire diffondere preziose informazioni sui problemi sanitari socialmente rilevanti e attivare flussi di comunicazione tra cittadini, istituzioni pubbliche e media. È, dunque, una comunicazione sociale a tutti gli effetti perché persegue lo scopo di sensibilizzare la popolazione su un determinato problema di salute guidandola verso sani stili di vita [7]. In ambito sanitario si distinguono almeno la comunicazione sanitaria e quella per la salute. La prima è la comunicazione delle aziende sanitarie i cui interventi mirano a diffondere conoscenze sui servizi e le prestazioni erogate ma anche informazioni durante situazioni di crisi e di emergenza. La comunicazione per la salute, invece, si concentra su quei fattori (alimentazione, attività fisica, fumo, alcol ecc.) che possono influire, direttamente o indirettamente, sulla salute fisica e mentale e informa anche sull’accesso ai servizi sanitari, sociali e scolastici. Queste due tipologie di comunicazione si sviluppano entrambe attraverso strumenti eterogenei: dalla cartellonistica impiegata per le campagne sanitarie alle riviste, ai supplementi settimanali, fino ai programmi televisivi. L’accesso all’informazione garantisce al cittadino di partecipare attivamente e consapevolmente alla gestione della propria salute. Questo richiama ancora una volta il concetto del paziente consapevole (empowered) che si intreccia con abilità e competenze da sviluppare su più livelli. Nutbeam nel 2006 definì tre diverse dimensioni dell’alfabetizzazione sanitaria: Giornale dei Biologi | Gen 2024

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1. alfabetizzazione sanitaria funzionale che si riferisce alle competenze di base di lettura, scrittura e calcolo che consentono di recepire le comunicazioni riguardanti la salute e l’utilizzazione dei servizi sanitari. Ne sono un esempio quelle competenze che permettono di comprendere i concetti di rischio oppure la capacità di navigare in internet; 2. alfabetizzazione sanitaria interattiva formata da abilità comunicative e sociali che servono, per esempio, a condividere con il personale sanitario il proprio percorso di cura, scambiare informazioni utili sulla salute oppure prendere parte a una discussione pubblica su temi di interesse sanitario; 3. alfabetizzazione sanitaria critica che si riferisce alle abilità che consentono di analizzare criticamente le informazioni e di utilizzarle per tutelare la propria salute e orientarsi nel sistema sanitario. A tutti e tre i livelli rientra la responsabilità del sistema socio-sanitario, sia pubblico che privato, che ha il compito di adattare la comunicazione alle esigenze del cittadino-paziente per favorirne l’alfabetizzazione sanitaria. Tutti, a qualsiasi età, hanno il diritto di accedere alle informazioni sulla salute, sui servizi dei sistemi sanitari e sui prodotti potenzialmente pericolosi per la propria salute. Su quest’ultimo punto, poi, dovrebbe farsi strada l’alfabetizzazione sanitaria critica dato il paziente necessita dell’abilità di analizzare e valutare correttamente le informazioni disponibili. Il mancato possesso di questa abilità si è reso particolarmente evidente durante la pandemia da COVID-19 dove l’infodemia, cioè la sovrabbondanza di informazioni (talvolta discordanti e poco fruibili dalla popolazione 92

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generale), ha prodotto molta incertezza medico-scientifica tra i non addetti ai lavori. Infatti, comprendere, elaborare e utilizzare correttamente le notizie che arrivano ancora oggi sulla diffusione del virus è particolarmente difficile per la popolazione non esperta [1]. Se da un lato la pandemia ha palesato una situazione in cui la comunicazione sanitaria necessita di essere migliorata al fine di rispondere al bisogno di conoscenza espresso dai pazienti, dall’altro ha anche accelerato il processo di alfabetizzazione del paziente digitale. I cittadini, infatti, si sono ritrovati a prendere contatto con il sistema sanitario attraverso gli schermi di un pc o di uno smartphone migliorando il proprio rapporto con i servizi digitali messi a disposizione per garantire l’accesso alle informazioni sanitarie e il monitoraggio delle condizioni croniche anche a distanza. Da Dr. Google alla sanità digitale Tradizionalmente la fonte primaria di informazioni sanitarie era rappresentata dai professionisti della salute che le trasmettevano ai pazienti. Oggi, i cittadini possono usufruire del web che fornisce di un libero accesso alle informazioni. Ma il web presenta numerosi ostacoli dovuti all’enorme quantità di informazioni sanitarie disponibili, al rischio di imbattersi in informazioni di scarsa qualità e alla mancanza di rigorose linee guida per la pubblicazione. Questi fattori contribuiscono a creare disinformazione e quindi al conseguente danno se i consumatori devono accedere e agire alle cure sulla base di informazioni fuorvianti. Pertanto, supportare i cittadini nel corretto uso di internet per la ricerca di informazioni sulla salute diventa di fondamentale importanza. Allo stesso modo, anche il ruolo professionale del medico subisce inevitabilmente una metamorfosi: deve imparare a interagire con il linguaggio del web e lavorare online nei modi e nei tempi previsti dalla rete senza trascurare la reputazione della propria figura. Un’importante innovazione di Internet è stata la nascita dei siti del “Dottor Google”, siti dove si possono ottenere consulenze che offrono al paziente informazioni aggiuntive rispetto a quelle del proprio medico. Questi siti aiutano il paziente a sentirsi meno solo e più consapevole durante il suo percorso di cura, ma in molti casi possono alimentare dubbi o addirittura casi di ipocondria. In questo contesto entrano in gioco l’alfabetizzazione sanitaria e soprattutto l’alfabetizzazione sanitaria digitale che conferiscono competenze importanti nell’individuare, accedere e utilizzare informazioni di qualità.


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A tal proposito è necessaria una regolamentazione per garantire la qualità dei servizi di informazione medico-scientifica, anche a livello internazionale. Per esempio, la maggior parte dei siti sono in lingua inglese e usano vocaboli tecnici che non solo non aiutano il paziente ma possono addirittura indurlo in errore. Infatti, un aspetto importante è che i pazienti non cercano solo approfondimenti medici, ma anche diagnosi e terapie e possono persino acquistare farmaci senza controllo medico. Questo è possibile perché eseguire una ricerca su Google è molto facile e alla portata di tutti. Il problema è che l’algoritmo di ricerca di Google si basa sulla presenza di alcune parole chiave che corrispondono al numero di volte in cui il termine di ricerca compare nelle pagine del sito e il numero degli altri siti collegati. Questi criteri di ricerca, però, non sono indicativi della qualità delle informazioni presenti in rete e il paziente non è sempre preparato al punto tale da riuscire a distinguere le informazioni valide dalle altre [8]. La tecnologia ha rappresentato un alleato importante nell’informazione durante i periodi di lockdown e l’importanza di servizi tecnologici è emersa anche in ambito sanitario. Gli accessi alle strutture ospedaliere, ambulatoriali e riabilitative erano limitati dalla diffusione del virus ma, allo stesso tempo, i pazienti necessitavano di cure soprattutto per i disturbi cronici. Il sistema sanitario digitalizzato ha, quindi, aiutato quei pazienti che necessitavano di un monitoraggio delle condizioni croniche mantenendo l’isolamento fisico. Disporre dunque degli strumenti offerti dalla sanità digitale sta diventando sempre più necessario sia per i medici che per i pazienti. Prima della pandemia i servizi di sanità digitale (eHealth) non raggiungevano nemmeno il 10% mentre durante l’emergenza hanno superato il 30% per molte applicazioni. Il servizio più utilizzato è stato il teleconsulto, una pratica adottata dal 47% dei medici specialisti e dal 39% dei medici di medicina generale. Segue la televisita, una visita medica effettuata a distanza in videochiamata, e il telemonitoraggio che consiste nel controllo a distanza dei parametri di un paziente. La modalità più utilizzata dai pazienti per monitorare a distanza il loro stato di salute è una semplice telefonata oppure una videochiamata di controllo (23%). Meno utilizzati invece la televisita con lo specialista (8%) e la teleriabilitazione (6%). Questi servizi sono ancora poco utilizzati non per la mancanza di interesse ma per l’offerta ancora limitata. I Medici di Medicina Generale ritengono che dopo la pandemia i contatti con i pazienti cronici potrebbero avvenire da remoto nel 50% dei casi e più del 40% dei pazienti è favorevole a visite e controlli da remoto. I servizi di telemedicina per i pazienti cronici consentirebbero un importante risparmio di costi a carico della collettività (pazienti e loro caregiver). Anche il Fascicolo Elettronico rimane ancora poco utilizzato, solo il 12% lo ha utilizzato almeno una volta a differenza dell’accesso ai referti online e delle ricette elettroniche utilizzate rispettivamente dal 44% e dall’88% della popolazione [9].

Conclusioni Nel corso degli anni, la consapevolezza del cittadino verso stili di vita più sani e del paziente verso cure e trattamenti adeguati ha subìto un miglioramento sostanziale grazie alle informazioni diffuse tramite Internet. Tuttavia, ricercare online le informazioni in tema di salute può presentare alcuni rischi sia per la mole di materiale disponibile sia per la scarsa conoscenza scientifica del cittadino non esperto in campo scientifico. Rispetto al passato, oggi vi è una più matura consapevolezza che spinge il paziente ad affidarsi a siti, pagine e materiale di carattere istituzionale ma il processo di alfabetizzazione del paziente è ancora in corso e necessita della messa in campo di una comunicazione sanitaria mirata ed efficace. Il ruolo dell’alfabetizzazione sanitaria è sempre più riconosciuto come uno strumento che deve guidare la pratica clinica, gli interventi e le politiche rivolte alla salute pubblica per la promozione della salute globale. Infatti, il raggiungimento di un elevato livello di conoscenze, capacità individuali e fiducia in se stessi spinge gli individui ad agire per migliorare la propria salute e quella della collettività, modificando lo stile e le condizioni di vita personali così come la capacità di accedere alle informazioni e ai servizi, e utilizzarli in modo efficace.

Bibliografia 1. Narrativa, M. L’alfabetizzazione sanitaria nelle scuole di vario ordine e grado : sottoprodotto dell’alfabetizzazione o valore aggiunto per futuri cittadini più pronti ? 2022, 102, 85–102, doi:10.53136/97912599477417 2. Wallerstein, D. WHO Regional Office for Europe’s Health Evidence Network (HEN). What is the evidence on effectiveness of empowerment to improve health (Health Evidence Network Report); 2006. Disponibile online: https://www.dors.it/alleg/0000/Doc_empowerment_OMS2006.pdf 3. Chen, X.; Hay, J.L.; Waters, E.A.; Kiviniemi, M.T.; Biddle, C.; Schofield, E.; Li, Y.; Kaphingst, K.; Orom, H. Health literacy and use and trust in health information. J. Health Commun. 2018, 23, 724–734, doi:10.1080/10 810730.2018.1511658. 4. Pinheiro, P. Conceptualizations of health literacy: past developments, Current Trends, and Possible Ways Forward Toward Social Practice. Heal. Lit. Res. Pract. 2021, 5, e91–e95, doi:10.3928/24748307-20210316-01. 5. Global Conference on Health Promotion. La Carta di Ginevra per il Ben-essere. 2021, 13–15. 6. Nutbeam, D.; Lloyd, J.E. Understanding and responding to health literacy as a social determinant of health. Annu. Rev. Public Health 2020, 42, 159–173, doi:10.1146/annurev-publhealth-090419-102529. 7. Bucchi, M. La Comunicazione della salute. Sociol. della Salut. 2001, 161–180. 8. Lee, K.; Hoti, K.; Hughes, J.D.; Emmerton, L.M. Consumer use of “Dr Google”: a survey on health information-seeking behaviors and navigational needs. J. Med. Internet Res. 2015, 17, 1–16, doi:10.2196/jmir.4345. 9. Cittadinanza attiva. Rapporto civico sulla Salute 2022. Disponibile online: https://www.quotidianosanita.it/allegati/allegato1651735626.pdf

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STUDI SULL’IMPOLLINAZIONE IL RUOLO DELLA NATURA E DELL’ECOSISTEMA Gli studiosi evidenziano come gli organismi impollinatori siano fondamentali per la riproduzione di molte specie di piante, incluse quelle dell’alimentazione umana

di Cinzia Boschiero

I

l tema dell’impollinazione è fondamentale. Già nel 2000 la Conferenza delle Parti (COP) della Convenzione sulla diversità biologica (CBD) ha istituito un’iniziativa internazionale per la conservazione e l’uso sostenibile degli impollinatori (International Pollinator Initiative, o PI, al sito https://www.besnet.world/international-pollinator-initiative-ipi). La FAO (Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura) facilita e coordina l’iniziativa. Siccome le piante non si possono muovere per trovare un partner per l’accoppiamento, il ruolo di dispersione dei gameti viene affidato a vettori abiotici, come il vento o l’acqua, e biotici, ovvero animali. L’impollinazione anemofila è la più antica e viene sfruttata dalle gimnosperme con alcune eccezioni, e da molte angiosperme. In quest’ultimo caso, spesso si tratta di un carattere derivato («secondario»). Delle trecento famiglie circa di angiosperme, solo trenta sono esclusivamente anemofile, mostrando degli adattamenti del fiore e/o della biologia riproduttiva. Contrariamente a quanto si crede, l’impollinazione anemofila non permette il superamento di grandi distanze. Se le correnti ascensionali portano il polline in alta quota, permettendogli di percorrere anche distanze di centinaia di chilometri, questo avviene a scapito della capacità di germinare. Proprio sull’impollinazione è stata pubblicata di recente su «Nature Communications» una ricerca dell’Università di Padova che dimostra come i frutti impollinati da animali abbiano una qualità superiore del 23 per cento. Gli studiosi internazionali evidenziano come gli organismi impollinatori siano fondamentali per la riproduzione di molte specie di piante, incluse molte colture utilizzate nell’alimentazione umana, come frutta e verdura. In ambienti tem94

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perati, gli impollinatori sono soprattutto insetti come api, farfalle, molti ditteri e alcuni coleotteri, mentre nelle regioni tropicali e subtropicali gli impollinatori includono anche uccelli, pipistrelli e alcuni mammiferi. Animali impollinatori (= PRONUBI) sono (in ordine crescente di importanza e di efficienza): rettili, piccoli mammiferi, uccelli, insetti. Delle cento colture che costituiscono il novante per cento della produzione mondiale di cibo, ben settantuno sono legate al lavoro di impollinazione delle api. In Europa esistono circa duemila specie di api selvatiche, tra cui l’ape occidentale Apis mellifera, una specie domestica allevata dagli apicoltori per la produzione di miele e altri prodotti dell’alveare. Sebbene molte specie di insetti siano impollinatori, si è frequentemente ritenuto che la maggior parte dell’impollinazione delle colture agricole fosse associata alle api mellifere. Il progredire della conoscenza, invece, consente oggi di affermare che sono soprattutto gli impollinatori selvatici a svolgere un ruolo vitale nell’impollinazione delle coltivazioni. Sia le specie di api selvatiche che quelle domestiche svolgono dunque un ruolo decisivo per la sicurezza alimentare. Negli ultimi decenni anche la Commissione europea ha avvisato su come si stia assistendo ad un declino globale della diversità e dell’abbondanza di molte specie di impollinatori. Vengono pertanto cofinanziati diversi progetti, ricerche e si uniscono gli sforzi in ambito scientifico concentrandosi ad esempio sulla quantificazione dell’importanza degli organismi impollinatori in agricoltura. Ci sono pure numerosi studi sperimentali sul loro effetto su resa, stabilità della produzione e qualità delle colture. La ricerca dal titolo”Global meta-analysis shows reduced quality of food crops under inadequate animal pollination”, appena pubblicata


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sulla rivista «Nature Communications» è stata realizzata dagli studiosi Elena Gazzea e Lorenzo Marini del Dipartimento di Agronomia, Animali, Alimenti, Risorse Naturali e Ambiente (DAFNAE) dell’Università di Padova. “Improving knowledge” è la mission di questo Dipartimento che punta proprio a potenziare le conoscenze per promuovere la competitività del settore agro-alimentare e l’uso sostenibile delle risorse naturali migliorando la qualità della vita. DAFNAE ha sede presso il Campus di Agripolis a Legnaro, a circa 10 km da Padova. è coinvolto in convenzioni e accordi bilaterali con diverse università e centri di ricerca in Europa e in tutto il mondo: Australia, Brasile, Cile, Nepal, Nuova Zelanda, Polonia, Stati Uniti, Turchia e Uzbekistan rappresentano solo alcuni dei principali partner. DAFNAE è coinvolto in più di trenta programmi ErasmusPlus e promuove un flusso annuale di studenti in più di quindici Stati europei. “Ci siamo posti l’obiettivo di quantificare, per la prima volta su scala globale, l’effetto degli impollinatori sulla qualità delle colture attraverso una meta-analisi, una tecnica statistica che permetta la sintesi quantitativa della letteratura esistente”, spiegano gli studiosi. I dati sono stati raccolti tramite una ricerca bibliografica sui principali database di pubblicazioni scientifiche: sono stati utilizzati i dati di centonovanta studi indipendenti condotti in quarantotto Stati del mondo e su quarantotto colture diverse. Gli studi presi in considerazione sono stati pubblicati tra il 1968 e il 2023. Per ogni studio preso in considerazione, i ricercatori hanno definito il livello di manipolazione relativi agli esperimenti di impollinazione: (1) fiore, quando è stato applicato il trattamento di insaccamento o l’impollinazione manuale livello dei fiori; (2) ramo, quando l’esperimento è stato eseguito solo su parte della pianta; (3) pianta, quando sono stati applicati i trattamenti di impollinazione a tutta la pianta. Nella meta-analisi è stato quantificato l’effetto dell’impollinazione sulla qualità degli alimenti su scala globale e in tutti i principali alimenti raccolti. E’ emerso che il servizio di impollinazione animale ha fortemente migliorato le molteplici caratteristiche organolettiche e tratti commercialmente importanti di frutta e verdura, mentre ha contribuito in mi-

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sura minore al contenuto nutrizionale degli alimenti. Nello studio l’effetto dell’impollinazione animale è stato quantificato confrontando le differenze di qualità (forma, dimensione, aspetto, sapore e proprietà nutritive) dei frutti prodotti con e senza gli impollinatori. I risultati indicano che l’impollinazione animale ha un ruolo fondamentale nel determinare la qualità delle produzioni agricole. I dati evidenziano che i frutti impollinati da animali hanno in media una qualità migliore del 23 per cento: ciò significa che quasi un quarto della qualità di un frutto dipende dalla presenza di animali impollinatori. E’ provato che questi ultimi influenzano positivamente soprattutto le caratteristiche organolettiche, come forma e dimensione, della frutta e della verdura e quelle legate alla loro durabilità dopo la raccolta, contribuendo invece in misura minore alle loro proprietà nutritive e al sapore. I benefici dell’impollinazione animale sulla qualità sono indipendenti dalle regioni geografiche e dalla specie di impollinatore. Le analisi dei dati hanno inoltre evidenziato segnali di impollinazione non ottimale, potenzialmente derivante dal declino degli impollinatori nei paesaggi agricoli, che potrebbe compromettere la qualità delle produzioni. Generalmente, però, l’utilizzo di impollinatori gestiti come l’ape mellifera, sia in campo che in colture protette, permette di mantenere la produzione di frutta e verdura della massima qualità. “Produrre frutti commercialmente non ottimali può avere molteplici effetti economici negativi, ci sono poi le conGiornale dei Biologi | Gen 2024

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seguenze ambientali da studiare e la salvaguardia dei servizi di impollinazione è importante per mantenere la sicurezza alimentare” spiegano gli studiosi, ”I risultati del nostro studio hanno delle implicazioni molto importanti per il settore agroalimentare,” sottolinea Lorenzo Marini, autore dello studio, ”La qualità dei prodotti alimentari non processati come frutta e verdura si basa su standard che sono legati soprattutto al loro aspetto estetico e alla loro durata di conservazione. La produzione di frutta e verdura che devia dalla normalità come conseguenza di un’impollinazione non ottimale ha delle ripercussioni su tutta la catena di produzione agricola, dal reddito degli agricoltori alla decisione del consumatore di acquistare o meno il prodotto”. La produzione di frutti imperfetti e poco durevoli incrementa lo spreco di alimenti ricchi di sostanze nutritive e pesa sulla conversione di terre agricole che compensino la mancata produzione di qualità soddisfacente per il mercato agroalimentare. Lo studio evidenzia i risultati di analisi su 1197 dimensioni degli effetti provenienti da 153 pubblicazioni per il servizio di impollinazione (ovvero differenza tra impollinazione aperta ed esclusione degli impollinatori) e 682 dimensioni degli effetti da 86 pubblicazioni per deficit di impollinazione (cioè differenza tra impollinazione manuale e impollinazione aperta). Occorre tenere presenti le cultivar come importante fonte di variazione della dimensione dell’effetto che causa l’eterogeneità osservata dei risultati, in quanto gli agricoltori adottano cultivar diverse a seconda delle condizioni locali e delle tendenze del mercato. Inoltre non solo gli insetti, ma anche i vertebrati sono fondamentali impollinatori soprattutto nelle regioni tropicali. 96

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C’è inoltre una potenziale dipendenza dal contesto e diverse sono le interazioni tra impollinazione e altro quali i fattori biotici e abiotici che sono ancora in gran parte sconosciuti e su cui la ricerca spiega che occorrano ulteriori approfondimenti. Saranno necessari altri studi per spiegare la variabilità nell’effetto dell’impollinazione sulla qualità delle colture alimentari, dicono i ricercatori. Lo studio ha pertanto rilevato delle lacune nella conoscenza scientifica attuale, evidenziando alcune opportunità di ricerca futura per comprendere meglio le relazioni tra impollinatori e produzione agroalimentare sostenibile. «Il declino globale degli impollinatori minaccia non soltanto la resa e la sua stabilità spaziale e temporale, ma rischia anche di compromettere la qualità della produzione agricola. La relazione tra impollinazione animale e spreco alimentare è stata finora quasi ignorata dalle politiche agroalimentari, sebbene abbia delle importanti implicazioni economiche, sociali e ambientali, specialmente in un’epoca in cui c’è un consumo globale subottimale di alimenti ricchi di sostanze nutritive» spiega Elena Gazzea, prima autrice dello studio. Sono state prese in considerazione colture commestibili suddivise in sei grandi gruppi: (1) colture orticole; (2) colture di frutta; (3) colture di noci; (4) olio commestibile e colture proteiche; (5) colture stimolanti; (6) spezie e condimenti. Ogni Stato è stato classificato in una delle tre zone climatiche in base alla latitudine: (1) tropicale (0°−23°); (2) subtropicale (23°− 33°); (3)temperato (> 33°). I ricercatori per verificare la presenza di bias di pubblicazione nel loro set di dati, hanno utilizzato diversi approcci metodologici e scientifici. Il livello di manipolazione sperimentale è considerato come una variabile importante quando si valuti l’effetto dell’impollinazione su resa, qualità, stabilità del raccolto. I dati utilizzati in questo studio sono stati depositati su Zenodo digital repository sotto https://doi.org/10.5281/zenodo.8113788. Lo studio è stato sostenuto con fondi europei dal progetto Horizon 2020 “Safeguard” (ID convenzione di sovvenzione: 101003476) nell’ambito di Society Challenges - Azione per il clima, ambiente, efficienza delle risorse e dal progetto OLEO.BEE (cod. 2105-0003-1463-2019) finanziato dalla Regione Veneto e dall’ungherese Ufficio nazionale per la ricerca, lo sviluppo e l’innovazione (NKFIH KKP 133839). Sono diversi i progetti europei cofinanziati sul tema impollinazione. Si segnala ad esempio il progetto, intitolato STEP (“Status and Trends of European Pollinators”),


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che era stato sostenuto in parte dalla Commissione europea con un finanziamento di 3,5 milioni di euro nell’ambito del tema “Ambiente” del Settimo programma quadro (7° PQ). STEP era stato avviato nel 2010 e si era concluso nel 2015, coordinato dal dottor Simon Potts della Reading University, nel Regno Unito, riuniva ricercatori di venti istituzioni di ricerca in Belgio, Bulgaria, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania , Grecia, Italia, Paesi Bassi, Polonia, Serbia, Spagna, Svezia, Svizzera e Regno Unito. E’ stato utile per comprendere meglio le cause del declino degli impollinatori tra cui la perdita degli habitat, il cambiamento climatico, le malattie, le specie invasive e i pesticidi. La Politica Agricola Comune (PAC) è uno strumento finanziario fondamentale per l’Unione Europea, con un impatto notevole sul piano economico, ambientale e sociale ed effetti diretti sulla sostenibilità ambientale delle produzioni agricole e zootecniche, sulla sicurezza alimentare, nella tutela del paesaggio e per la conservazione della biodiversità. Il sistema della condizionalità collega il sostegno al reddito della PAC all’attuazione di pratiche e norme agricole rispettose dell’ambiente e del clima, note come “Buone condizioni agricole e ambientali” (BCAA) e “Criteri di gestione obbligatori” (CGO). Tra gli obiettivi della condizionalità rafforzata associati in modo diretto alla tutela degli impollinatori vi sono la creazione di una rete di risorse e habitat a livello paesaggistico; l’espansione degli habitat con risorse disponibili tutto l’anno; la riduzione della presenza di fattori di stress, quali la prevalenza di pesticidi e l’inquinamento da fertilizzanti chimici. L’utilizzo di pesticidi mina il processo di impollinazione. Tra le curiosità scientifiche inerenti l’impollinazione si segnala che è noto un unico caso di androgenesi, ovvero di una “nascita da maschio” per un difetto nella meiosi, il granulo pollinico è diploide e il nucleo spermatico sostituisce quello aploide della cellula uovo. La pianta è Cupressus dupreziana, il cipresso del Sahara, e ne esistono poche centinaia di esemplari in natura. La meta-analisi globale di questa ricerca pubblicata su NATURE mostra una qualità ridotta delle colture alimentari con una impollinazione inadeguata. I ricercatori hanno esplicitato deboli segnali di un deficit di impollinazione di caratteristiche organolettiche, che potrebbe indicare un potenziale declino del settore agricolo. Sebbene diverse colture di base siano autoimpollinate dal vento o autoimpollinate, molte colture impollinate da animali sono ricche fonti di micronutrienti che contribuiscono a diversificare e nutrizionalmente diete equilibrate. Negli ultimi decenni molteplici pressioni antropiche hanno minacciato la diversità e l’abbondanza degli impollinatori. Il declino degli impollinatori ed un rischio crescente di deficit di impollinazione a livello mondiale minaccia i rendimenti e la stabilità della produzione agricola così come molteplici aspetti della salute umana. Nel tentativo di aumentare

la consapevolezza di tali tendenze allarmanti e di suggerire azioni prioritarie mirate per invertire la continua perdita di impollinatori, gran parte della ricerca recente si è concentrata in modo strategicamente utile sulla quantificazione degli impollinatori che contribuiscono alla produzione alimentare, ecco perché questa ricerca è particolarmente rilevante.

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