Il Giornale dei Biologi - N.9 - Settembre 2021

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Edizione mensile di AgONB, Agenzia di stampa dell’Ordine Nazionale dei Biologi. Registrazione n. 52/2016 al Tribunale di Roma. Direttore responsabile: Claudia Tancioni. ISSN 2704-9132

Giornale dei Biologi Settembre 2021 Anno IV - N. 9

GIÙ I CASI A SETTEMBRE ED EFFETTO GREEN PASS

Dati rassicuranti sul Covid, ma preoccupano i contagi tra i più piccoli

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GENOMICA

LA STRADA VERSO LA MEDICINA PREDITTIVA E PERSONALIZZATA PERCORSO FORMATIVO PER 75 BIOLOGI

OTTOBRE 2021 - APRILE 2022

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Sommario

Sommario EDITORIALE 3

Elezioni Onb: si va alle urne di Vincenzo D’Anna

PRIMO PIANO 6

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Covid, casi in diminuzione ed effetto green pass di Rino Dazzo

10

Regolamento elettorale, un ricorso inammissibile che nuoce all’immagine dell’Onb e dell’intera categoria dei Biologi

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15

Osteoartrite al ginocchio. La soluzione nel naso di Domenico Esposito

16

Lo studio del cervello si mette “a fuoco” di Pasquale Santilio

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Tumore al colon: un nanosistema per la terapia di Pasquale Santilio

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Come il tumore altera i neuroni motori di Domenico Esposito

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Sistema immunitario: scoperti composti chimici capaci di stimolarlo contro i tumori di Domenico Esposito

22

Micro-Rna e calvizie di Biancamaria Mancini

25

Frumento duro: i geni ne raccontano l’evoluzione di Domenico Esposito

26

Cosmetica green di Carla Cimmino

INTERVISTE 10

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Glioblastoma multiforme. Per le cure si punta su una glicoproteina di Chiara Di Martino L’allenamento rallenta l’invecchiamento del cervello: sì, ma come? di Chiara Di Martino

SALUTE 14

Quanto allenarsi per restare in forma? di Domenico Esposito

AMBIENTE 30

Trovati in Alaska nidi di dinosauro di Sara Bovio

34

I pesci d’acqua dolce mangiano microplastiche? di Sara Bovio

36

Etologia applicata e diritti animali di Giulia Pagani

42

Nuove etichette per illuminare di Gianpaolo Palazzo


Sommario

44

Matera Capitale, anche nel verde di Gianpaolo Palazzo

46

Dall’estate più calda a un mare di fuoco di Giacomo Talignani

48

Rivoluzione e transizione verde di Gianpaolo Palazzo

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In Islanda il più grande impianto al mondo per la cattura di CO2 di Giacomo Talignani

52

La fitoestrazione per salvare l’ambiente di Michelangelo Ottaviano

53

Lo spillover e il cambiamento climatico di Michelangelo Ottaviano

55

56

68 SPORT 62

Emozioni da paralimpiadi dieci istantanee da Tokyo di Antonino Palumbo

La prima indagine nazionale sull’energia dal mare di Pasquale Santilio

65

Due ori europei storici per l’Italia del volley di Antonino Palumbo

INNOVAZIONE

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Alessandra Perilli. La storia è una questione di testa di Antonino Palumbo

68

Il “guastafeste” nello sport di Antonino Palumbo

72

BREVI

Sensori stampabili a misura di paziente di Elisabetta Gramolini

LAVORO 74

Concorsi pubblici per Biologi

SCIENZE 76

Dai fibroblasti alla blastocisti completa di Tiziana Notari

80

I percorsi storici sul sequenziamento del DNA (parte II) di S. Barocci, I. Paolucci, P. D. Antonelli, A. F. Cristallo

84

Ortho-pharmacia. Vegetali come “medicine” naturali

44 BENI CULTURALI 58

Il Castello di Brescia luogo del cuore di Rino Dazzo

61

L’AI nell’analisi dei geroglifici egizi di Pietro Sapia

di Andrea Del Buono

ECM 90

Efficienza metabolica

di Gianni Zocchi


Editoriale

Elezioni Onb: si va alle urne di Vincenzo D’Anna Presidente dell’Ordine Nazionale dei Biologi

I

l ricorso al Tar per chiede- sitivo del parere ministeriale il Consiglio re l’annullamento della de- dell’Ordine ha deliberato in conformità. liberazione recante il “Re- Ora, si badi bene: stiamo parlando di un golamento

Elettorale”,

ha Regolamento elaborato nel pieno rispetto

suscitato non poche perplessità e tanta alla legge che disciplina, genericamente, meraviglia. È certamente strano e molto grave che tre componenti del Consiglio dell’Ordine, dopo aver discusso l’argomento, una volta finiti in minoranza, abbiano deciso di ricorrere

la materia. Uno strumenChiunque può controllare l’operato dell’Onb attraverso l’accesso all’area riservata, che consente di visionare deliberazioni, bilanci, regolamenti

to adottato al solo scopo di fornire ai commissari straordinari titolari del compito di far svolgere le elezioni, un documento più chiaro e dettagliato sul

ad un tribunale amministrativo, rifiutan- modus operandi. do le regole della democrazia.

Tuttavia, tanto non è bastato per otte-

Eppure, quegli stessi ricorrenti aveva- nere l’unanimità dei voti in un Consiglio no chiesto che un preventivo parere di che aveva sempre adottato le deliberalegittimità, per l’adozione del Regola- zioni all’unanimità: circa mille atti delimento, fosse inoltrato al Ministero vigi- berativi in quattro anni di gestione! Una lante (quello della Salute). All’esito po- gestione che chiunque può controllare GdB | Settembre 2021

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Editoriale

attraverso l’accesso all’area riservata che

L’Ordine Nazionale dei Biologi chiu-

consente al singolo iscritto di poter visio- derà i battenti il 31 dicembre del 2022 e nare deliberazioni, bilanci, regolamenti e sarà sostituito dalla Federazione Nazioprocedure adottate per l’acquisto di beni nale degli Ordini Regionali dei Biologi. e servizi. Niente a che vedere dunque con Ogni territorio eleggerà il proprio consile approssimative procedure decisionali glio direttivo e tra i suoi componenti un adottate in passato. Una prassi che non presidente dell’Ordine regionale. Il nurispettava quello che normalmente do- mero dei componenti del direttivo sarà vrebbe confacersi ad un ente pubblico e proporzionale al numero degli iscritti. I che prediligeva la stesura di semplici verbali che si vergavano, in bella copia, a posteriori rispetto alle riunioni di Consiglio e si ratificavano solo nella successiva seduta.

presidenti regionali, a loro Ogni territorio eleggerà il proprio consiglio direttivo e il proprio presidente. Tutti i presidenti regionali, a loro volta, eleggeranno il direttivo nazionale

Non abbiamo mai mena-

volta, eleggeranno il direttivo nazionale e questo, a sua volta, il presidente della Federazione Nazionale. Passaggi e procedure, si badi bene, dettati dalla legge e disciplinati nel det-

to vanto di aver reso trasparente e legit- taglio proprio da quel Regolamento Elettima la procedura deliberativa di ONB, torale ritrovatosi oggetto di un paradose la migliore prova deriva dall’unanimità sale quanto inopportuno ricorso. Un atto delle decisioni assunte finora. Non inten- proditorio che spezza il clima di concordiamo gridare allo scandalo né tantomeno dia operosa finora realizzato. faremo il gioco di coloro che sono inten-

Per mero esempio diremo che uno dei

zionati ad intorbidare le acque, oppure dettagli da determinare col regolamento ritardare significativamente le elezioni è la modalità di voto ed il numero di segdalle quali dovrà nascere la selezione di gi elettorali da istituire. Il Regolamento una nuova classe dirigente. 4

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individua la modalità di espressione del


Editoriale

voto con quello personalmente dato pres- zione e qualora non si dovesse raggiunso il seggio elettorale, su apposite schede. gere una partecipazione di almeno un I seggi elettorali saranno indicati per città terzo degli aventi diritto al voto, si pasove saranno insediati, con un massimo di serà alla terza ed ultima convocazione, quattro seggi per ciascuna regione o ma- che non avrà quorum minimi da raggiuncroregione. Perché questo meccanismo gere. I seggi saranno consti da un presiche ricopia e ricalca quello delle elezio- dente, due scrutatoti individuati durante ni che si tengono per le consuete tornate la prima convocazione dell’Assemblea elettorali nazionali e locali non sia gradito degli iscritti, per anzianità tra i presenti da taluni, non è dato comprendere. Il giudice adito ci dirà se il Regolamento è valido oltre che legittimo. Nel frattempo, inizieremo con le fasi pre-elettorali, affidando ai commissari

per gli scrutatori e dal più Il Regolamento stabilisce che i biologi esprimeranno il voto personalmente, recandosi presso il seggio elettorale territoriale, su apposite schede

straordinari le Delegazio-

giovane che avrà funzione di segretario verbalizzante. Nessuna discrezionalità quindi, ma tutto deciso pubblicamente e democraticamente. Insomma, niente a che

ni affinché predispongano quanto serve vedere col voto per posta del passato e i per lo svolgimento delle tornate elettorali mille intoppi a cui questo si presta. Giova previste nei tempi stabiliti. Il tempo indi- ricordare che per ben due volte di seguicato dalla legge è l’ultimo quadrimestre to, in passato, le elezioni sono state andel 2022, entro il quale si dovranno tene- nullate per illegittimità degli atti e delle re le tre convocazioni e il voto.

procedure. L’onta di ben due commissari

Nella prima sarà richiesta la partecipa- ministeriali non può e non deve più ripezione a maggioranza assoluta degli aventi tersi. Le elezioni si faranno e per tempo. diritto al voto. Se non si raggiungerà quel Quelli che cercano cavilli e ritardi se ne quorum, si passerà alla seconda convoca- facciano una ragione. GdB | Settembre 2021

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Primo piano

COVID, CASI IN DIMINUZIONE ED EFFETTO GREEN PASS Si deciderà sulla terza dose in base alla curva epidemica Ma la sfida non è ancora vinta. Preoccupa il contagio dei più piccoli

di Rino Dazzo

C

ontagi in diminuzione e virus che circola gradualmente sempre di meno: il trend di fine settembre è più che rassicurante. In Italia l’effetto della campagna vaccinale e delle misure di prevenzione sta sortendo gli effetti sperati. Lo indicano i numeri, che nella parte finale del mese certificano un sensibile calo dei nuovi casi (si è passati dai 6mila di media al giorno di inizio mese ai 3.500 dell’ultima settimana) e soprattutto di ricoveri e decessi. Gli “attualmente positivi” sono circa 100mila in tutto il paese, ma il dato è in diminuzione. La sfida, comunque, è tutt’altro che vinta. Va monitorato nel tempo l’impatto della riapertura delle scuole in presenza, così come l’arrivo, atteso a metà autunno, dei virus influenzali e parainfluenzali. La situazione, insomma, è in continua evoluzione, anche se il quadro tinteggiato dalle autori-

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tà sanitarie è piuttosto confortante. Scrive infatti il Ministero della Salute nell’ultimo monitoraggio settimanale: «Si conferma la diminuzione dell’incidenza settimanale a livello nazionale, da questa settimana al di sotto della soglia di 50 casi settimanali per 100mila abitanti. La trasmissibilità stimata sui casi sintomatici e sui casi con ricovero ospedaliero è sotto la soglia epidemica. Si conferma una lieve diminuzione del tasso di occupazione di posti letto in area medica e terapia intensiva associati alla malattia COVID-19. Quasi tutte le Regioni/PPAA sono classificate a rischio epidemico basso, nessuna Regione/ PPAA presenta un rischio epidemico alto. La variante delta è dominante in Italia dal mese di luglio. Questa variante è dominante nell’intera Unione Europea ed è associata a una maggiore trasmissibilità. Una più elevata copertura vaccinale e il completamento dei cicli di vaccinazione


Primo piano

rappresentano gli strumenti principali per prevenire ulteriori recrudescenze di episodi di aumentata circolazione del virus sostenute da varianti emergenti. È opportuno continuare a garantire un capillare tracciamento, anche attraverso la collaborazione attiva dei cittadini per realizzare il contenimento dei casi; mantenere elevata l’attenzione e applicare e rispettare misure e comportamenti raccomandati per limitare l’ulteriore aumento della circolazione virale». E, a proposito di vaccinazioni, l’obbligatorietà del green pass a partire da metà ottobre è stata la molla che ha spinto diversi titubanti ad aderire alla campagna. Le persone che hanno completato il ciclo vaccinale in Italia superano ormai i 42 milioni, quelle a cui è stata somministrata almeno una dose si avvicinano ai tre milioni. Tre italiani su quattro, insomma, hanno una protezione almeno parziale dal virus, percentuale che sfiora l’85% se si considerano solo gli over 12. E per alcuni è iniziata addirittura la somministrazione della terza dose. Si tratta degli ospiti delle Rsa e degli over 80, i soggetti che il Comitato tecnico scientifico ha valutato maggiormente a rischio per la possibile presenza di altre patologie e condizioni di fragilità. Discorso diverso per i sanitari più esposti, quelli che erano stati vaccinati per primi tra la fine di dicembre 2020 e gennaio 2021: per il momento a loro la terza dose non sarà somministrata, anche se prima o poi probabilmente il

La sfida, comunque, è tutt’altro che vinta. Va monitorato nel tempo l’impatto della riapertura delle scuole in presenza, così come l’arrivo, atteso a metà autunno, dei virus influenzali e parainfluenzali.

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discorso riguarderà tutti. Lo ha fatto intendere Giorgio Palù, presidente Aifa e membro del Cts, in un’intervista al Corriere della Sera: «Dipenderà dall’andamento della curva epidemica nel Paese, dalla circolazione globale del virus e dalla durata dell’immunità sia naturale sia artificialmente acquisita con la vaccinazione nei vari strati di popolazione. Gli studi sul campo stanno dimostrando che, dopo circa sei mesi, si assiste a un certo calo della risposta anticorpale e alla possibilità di infettarsi; ricordo però che gli attuali vaccini, allestiti contro un virus in circolazione ormai da due anni, sono ancora efficacissimi nel proteggerci dal Covid grave e dall’evento letale». Uno studio condotto dall’ospedale Niguarda di Milano su una coorte di tremila persone, in particolare, ha fatto chiarezza sulla protezione garantita dai vaccini e sulla loro durata nel tempo. Come accertato dall’équipe diretta dal professor Francesco Scaglione, dopo tre mesi dalla somministrazione della seconda dose la risposta anticorpale rimane alta, mentre si abbassa notevolmente dopo sei mesi nel 40-50% dei soggetti. Per chi ha avuto il Covid e ha ricevuto una dose di vaccino, invece, la risposta anticorpale rimane alta anche a sei mesi. Interessanti anche gli studi sull’inizio della protezione post seconda dose, che arriva ai suoi massimi livelli a distanza di 15 giorni o addirittura di un mese, periodo durante il quale si può essere contagiati dal virus e soprattutto trasmettere un’eventuale infezione. Un aspetto nuovo che sta emergendo nell’attuale quadro pandemico è quello relativo all’aumento di ricoveri e di decessi da Covid in una fascia della popolazione ritenuta immune, o quasi, al virus: i più piccoli. La fascia d’età da zero a tre anni è l’unica in Italia a far registrare dati dei contagi in risalita, mentre per tutte le altre sono in diminuzione. Più di due lattanti ogni milione di abitanti finiscono in ospedale, trend in aumento del 4% rispetto al primo semestre dell’anno. I sintomi dell’infezione in bambini così piccoli assomigliano a quelli di una comune influenza, con rinite e tosse che però persistono nel tempo. Per la presidentessa della Società Italiana di Pediatria, Annamaria Staiano, c’è una cosa che le donne incinte possono fare per proteggere i figli in arrivo: «Vaccinarsi». In attesa che arrivi il via libera alle vaccinazioni dai 5 agli 11 anni d’età: a ottobre l’Ema si pronuncerà su Pfizer, a novembre su Moderna. GdB | Settembre 2021

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Primo piano

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REGOLAMENTO ELETTORALE, UN RICORSO INAMMISSIBILE CHE NUOCE ALL’IMMAGINE DELL’ONB E DELL’INTERA CATEGORIA DEI BIOLOGI

È

accaduto che l’ONB ha deciso di darsi delle regole per la costituzione degli organi territoriali, trasparenti ed uguali per tutti, e soprattutto orientate a garantire la massima partecipazione dei biologi al voto, distribuendo più seggi in ciascuna Regione. Lo ha fatto nel rispetto della cornice normativa di riferimento e, si badi bene, dopo aver ottenuto l’assenso del Ministero della Salute. Il regolamento è stato approvato nel 8

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corso dell’ultima riunione di Consiglio, ma a maggioranza, poiché tre consiglieri hanno, curiosamente, manifestato la loro contrarietà. Oggi quei tre consiglieri dissenzienti, indisponibili ad accettare l’esito del voto democraticamente espresso in Consiglio, pretendono di proseguire a far valere il proprio dissenso dinanzi a un giudice. E non lo hanno fatto nemmeno in maniera discreta, ma hanno pubblicizzato quest’improbabile iniziativa sui social.

Ne stentiamo davvero a comprendere il senso, atteso che i ricorrenti ricoprono cariche e deleghe di peso all’interno del Consiglio dell’Ordine ove hanno approvato sempre tutte le deliberazioni proposte. Pertanto stentiamo a comprendere come questa azione possa intercettare interessi ed esigenze dei biologi, che di tutto hanno bisogno in questi tempi drammatici tranne che di incomprensibili beghe autoreferenziali fra i loro rappresentanti, i quali dovrebbero pensare al presente ed al futuro della categoria e molto meno a loro stessi. Staremo a vedere cosa succederà. Sarà a questo punto, però, inevitabile stabilire le consequenziali determinazioni, innanzi ad un gesto che va assolutamente stigmatizzato e che non si può esitare a definire di inusitata gravità. I consiglieri Vincenzo D’Anna Pietro Miraglia Alberto Spanò Franco Scicchitano Claudia Dello Iacovo Duilio Lamberti


Giornate Nazionali del Biologo Ambientale – Fiera ECOMONDO Rimini – 26-29 Ottobre 2021

Photographer Augusto Carbone

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Intervista

GLIOBLASTOMA MULTIFORME PER LE CURE SI PUNTA SU UNA GLICOPROTEINA Al centro della ricerca tutta italiana c’è Reelin, tra le cui potenzialità sembra avere quella di facilitare le cellule tumorali a “muoversi”. A spiegarne le potenzialità, Filippo Biamonte

di Chiara Di Martino

È

uno dei tumori cerebrali più aggressivi, colpisce il sistema nervoso centrale, manifestandosi per lo più nel cervello. Il glioblastoma multiforme (GBM), aggressivo e maligno, è caratterizzato da una sopravvivenza di appena 12-18 mesi. Ad aprire uno spiraglio tra i trattamenti possibili – che attualmente prevedono l’asportazione chirurgica seguita il più delle volte da chemioterapia e radioterapia – arriva uno studio coordinato dall’Università Cattolica, Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, in collaborazione con La Sapienza di Roma, pubblicato sulla rivista Brain Sciences. I riflettori sono puntati su una glicoproteina chiamata Reelin, che tra le sue potenzialità sembra avere quella di facilitare le cellule tumorali a “muoversi”. In che modo, lo spiega Filippo Biamonte, dottore di ricerca del Dipartimento di Scienze Biotecnologiche di Base, Cliniche Intensivologiche e Perioperatorie della Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica. Facciamo un passo indietro: cos’è il glioblastoma multiforme? È un tumore tipico delle cellule gliali dell’encefalo, si manifesta principalmente nel cervello, ma può anche originare in altre sedi del sistema

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nervoso centrale quali tronco cerebrale, cervelletto e midollo spinale. Tranne rarissimi casi, il GBM non si diffonde, ma invade e migra all’interno del solo tessuto cerebrale. È molto diffuso? In Italia si stima un’incidenza media di 8 casi ogni 100.000 abitanti, circa il 54% di tutti i gliomi diagnosticati. Nonostante i progressi nel trattamento clinico e il crescente numero di dati sperimentali volti a indagare le basi molecolari del suo sviluppo, la malattia rimane caratterizzata da una prognosi sfavorevole. Diversi studi, però, hanno suggerito il ruolo chiave di una popolazione di cellule staminali tumorali dotate di capacità di autorinnovamento e ad alto potenziale tumorigenico ritenute responsabili della resistenza ai trattamenti chemioterapici e radioterapici. La ricerca appena pubblicata ha il suo centro di interesse in una glicoproteina. Ci può dire di più? Si tratta di una glicoproteina molto grande (388 Kda) della matrice extracellulare, clivata in vivo in tre frammenti, che contribuisce alla migrazione, al corretto posizionamento e alla sopravvivenza dei neuroni, principalmente durante lo sviluppo del nevrasse; inoltre, modula la plasticità sinaptica nell’adulto. Nel 2013 abbiamo


Intervista

Il team italiano

U

n team tutto italiano dietro la scoperta che mira a individuare un nuovo bersaglio terapeutico per il glioblastoma multiforme: Filippo Biamonte, dottore di ricerca del Dipartimento di Scienze Biotecnologiche di Base, Cliniche Intensivologiche e Perioperatorie della Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica, è autore della ricerca coordinata dal professor Alessio D’Alessio, associato di Istologia del Dipartimento di Scienze della Vita e Sanità Pubblica dello stesso Ateneo in collaborazione con il professor Antonio Filippini, ordinario di istologia e embriologia umana del Dipartimento di Scienze Anatomiche, Istologiche, Medico legali dell’Apparato Locomotore dell’Università “Sapienza”.

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portato interessanti dati preliminari agli atti del Congresso della Società Italiana di Anatomia e Istologia; osservando con metodiche di stereologia e di biologia molecolare reelin in campioni di vari pazienti provenienti dal “core” del GBM e dal tessuto peritumorale. Quali domande vi siete posti? In diversi lavori pubblicati su riviste internazionali, il nostro gruppo di ricerca ha identificato nuovi biomarker per capire il comportamento delle cellule staminali tumorali provenienti dal core del GBM e dalla zona peritumorale. Identificare Reelin e il suo adattatore molecolare DAB-1 (una molecola-interruttore che si lega a reelin e le permette di funzionare) offre alla comunità scientifica informazioni importantissime sui meccanismi molecolari che governano il posizionamento delle cellule staminali tumorali e i loro complicati meccanismi di survival, dato che reelin presenta un ruolo chiave anche nella sopravvivenza cellulare. A tal proposito, ci siamo chiesti cosa accade bloccando reelin con metodiche di RNA-interference, o bloccando la parte N-terminale della proteina con un anticorpo specifico. A questa domanda vorremmo rispondere con dei dati, spero a breve. Cosa è emerso? Una più elevata espressione della proteina reelin nel GBM rispetto alla sua “periferia”. Poi, a differenza di altri studi internazionali sul tema, ci siamo concentrati sopratutto sulle cellule staminali tumorali provenienti dalle due sedi, riscontrando un forte segnale dell’RNA messaggero (mRNA) di reelin e del suo adattatore molecolare

Filippo Biamonte. Ad aprire uno spiraglio tra i trattamenti possibili – che attualmente prevedono l’asportazione chirurgica seguita il più delle volte da chemioterapia e radioterapia – arriva uno studio coordinato dall’Università Cattolica, Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, in collaborazione con La Sapienza di Roma, pubblicato sulla rivista Brain Sciences.

DAB-1 sia nelle cellule isolate dal GBM sia in quelle derivate dal tessuto peritumorale. Si aspettava questo risultato? Ho studiato per anni la glicoproteina reelin in contesti quali il neurosviluppo e pubblicato i dati su diverse riviste internazionali con IF. Ad esempio, emerge che l’assenza della glicoproteina reelin durante l’embriogenesi, nel modello murino, stravolge completamente la cito-architettura dei layer corticali neuronali. Diversi sono inoltre i lavori che documentano il ruolo pilota di reelin nel differenziamento, migrazione e survival delle cellule staminali neuronali. Credo che una cellula staminale tumorale abbia diversi “atteggiamenti” che ricordano le funzioni primordiali di un embrione. Reelin durante l’embriogenesi legandosi ai suoi recettori e attivando DAB-1 guida la migrazione, differenziamento e survival delle cellule nervose staminali durante la corticogenesi. Allora, perché non dovrebbe farlo anche in un contesto di “staminalità” quale quello del GBM? E ora? Proveremo a dare risposta alle domande che ancora non ne hanno una. Cercheremo di bloccare il meccanismo di segnalazione di reelin con un anticorpo neutralizzante specifico (CR50) che già conosciamo, o attraverso l’utilizzo dei piccoli RNA in grado di spegnere l’espressione genica della proteina, per studiare come reagiscono le cellule tumorali. Quanto tempo ci vorrà? È una strada lunga, perché siamo ancora in una fase sperimentale pre-clinica. Ma siamo pieni di entusiasmo e tenacia. GdB | Settembre 2021

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Intervista

L’ALLENAMENTO RALLENTA L’INVECCHIAMENTO DEL CERVELLO: SÌ, MA COME? Studio guidato da ricercatori del CNR di Pisa fa luce sul ruolo della molecola infiammatoria CCL11

U

na molecola la cui inibizione sembra rallentare il declino cognitivo: si chiama CCL11, nota anche come Eotaxin-1, ed è al centro di un progetto che ha preso il via nel 2007 a Pisa, Train the Brain, e che al suo interno ha visto nascere e svilupparsi ricerche di rilievo nel campo dei meccanismi molecolari che traducono l’allenamento fisico e mentale in una migliore funzione del cervello degli anziani. Oggi, l’ultimo tassello di questi studi è stato pubblicato sulla rivista Brain, Behavior and Immunity e discende dagli esperimenti coordinati da Marco Mainardi, ricercatore all’Istituto di Neuroscienze del Consiglio Nazionale delle Ricerche presso la sede di Pisa, e Margherita Maffei, collega dell’Istituto di Fisiologia Clinica. A spiegarci quali sono i punti messi a segno finora, è proprio Margherita Maffei, biologa che ha all’attivo circa 70 articoli apparsi in giornali “peer reviewed” e oggi Dirigente di Ricerca al CNR di Pisa. Facciamo un passo indietro. Cos’è il progetto Train the Brain in cui si inserisce la ricerca sulla molecola CCL11 la cui inibizione sembra rallentare il declino cognitivo? Il progetto nasce circa 15 anni fa da un’idea di Lamberto Maffei, già direttore dell’Istituto di neuroscienze del CNR: finanziato da Fondazione Pisa, è una realtà attiva sul territorio pisano e in quasi dieci anni ha coinvolto centinaia di anziani. L’ambizione era quella di usare la stimolazione ambien-

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tale per rallentare la progressione della demenza senile. Attraverso un approccio non farmacologico, ha quindi sviluppato un percorso combinato di esercizi fisici e di training cognitivo. I ricercatori, in particolare, hanno sottoposto o meno al ciclo di trattamenti una coorte di soggetti con un deficit cognitivo iniziale, predittivo di un potenziale sviluppo dell’Alzheimer o di demenza vascolare. Il gruppo sperimentale è stato sottoposto a sessioni di esercizio fisico (cyclette, camminata, allenamenti con un istruttore) e di training cognitivo (giochi, test, interazioni sociali, musica), mentre un gruppo di controllo ha continuato a svolgere la propria vita regolarmente. La rivalutazione di questi soggetti dopo 7 mesi ha prodotto evidenze definitive sull’effetto benefico del cosiddetto arricchimento ambientale sul cervello: infatti la degenerazione cerebrale appariva rallentata nel gruppo che aveva partecipato alle sessioni di allenamento. Una circostanza confermata sia dai risultati dei test cognitivi che da dati di imaging del cervello, con cui si è osservato che le aree solitamente interessate dalla degenerazione apparivano meno colpite. È in questo ambito che nasce la ricerca sull’inibizione della molecola CCL11? Sì, esatto. Di fronte a quei risultati Marco Mainardi ed io ci siamo chiesti: se si allenano fisicamente e cognitivamente soggetti anziani riscontrando un rallentamento del decli-


Intervista

no cognitivo, qual è la chiave molecolare che traduce l’allenamento fisico e mentale in una migliore funzione del cervello? Si sapeva già che alcune molecole infiammatorie come la CCL11 aumentano con l’invecchiamento; si sapeva già che la somministrazione di CCL11 in modelli sperimentali faceva sì che i giovani assumessero comportamenti “da vecchi”: diventavano, insomma, meno bravi a imparare e ricordare. Quello che non si sapeva ancora è se una molecola come CCL11, prodotta dagli organi periferici avesse a che fare con gli effetti che l’ambiente “arricchito” esercita sul cervello dell’anziano. E la risposta è arrivata? A quel punto siamo tornati al progetto originario, “Train the Brain”, misurando CCL11 sia nel sangue dei soggetti di controllo sia in partecipanti alle sessioni di allenamento, abbiamo così capito che l’allenamento fisico e cognitivo diminuisce la concentrazione plasmatica di questa molecola infiammatoria. In sintesi, cosa è stato dimostrato? Per corroborare questa osservazione ci siamo avvalsi di modelli murini esposti ad “arricchimento ambientale”, un paradigma di allevamento che mima il “train the brain” mantenendo elevati i livelli di CCL11 e abbiamo osservato che l’abbassamento di CCL11 tramite iniezioni di anticorpi era sufficiente a simulare l’arricchimento anche in assenza di stimoli. Ci possono essere ripercussioni in ambito clinico? Quella di cui parliamo, naturalmente, è una prova di principio. Siamo biologi e siamo lontani dall’ambito clinico, ma certamente i risultati aprono la strada a possibili strategie terapeutiche per alleviare gli effetti della perdita di me-

Il gruppo sperimentale è stato sottoposto a sessioni di esercizio fisico e di training cognitivo, mentre un gruppo di controllo ha continuato a svolgere la propria vita regolarmente. La degenerazione cerebrale appariva rallentata nel gruppo che aveva partecipato alle sessioni di allenamento.

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moria dovuta a patologie neurodegenerative, prima tra tutte la malattia di Alzheimer, tramite un’azione mirata su CCL11. In parallelo, siamo alla ricerca di nuovi finanziamenti per proseguire il progetto e riuscire così a chiarire, tra l’altro, quali siano le cellule cerebrali (neuroni, glia…) bersaglio dell’azione di CCL11. Il progetto Train the Brain è ancora in corso? Attualmente il progetto, più volte rifinanziato, prosegue sempre con la collaborazione del CNR; la responsabilità dell’area neuroscienze è affidata a Michela Matteoli, direttore dell’Istituto di Neuroscienze. (C. D. M.).

I ricercatori dietro lo studio

Marco Mainardi.

Margherita Maffei.

L

o studio, che ha come primi autori Gaia Scabia di CNR-IFC e Centro Obesità e Lipodistrofie; AOUP e Giovanna Testa del Laboratorio di Biologia della Scuola Normale Superiore, è stato pubblicato sulla rivista Brain, Behavior, and Immunity. A coordinarlo, Marco Mainardi, ricercatore dell’Istituto di Neuroscienze del CNR, impegnato da anni in studi sui determinanti molecolari e cellulari della plasticità sinaptica in condizioni fisiologiche e patologiche, e Margherita Maffei, esperta di infiammazione e del ruolo di molecole circolanti sulla plasticità del cervello.

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Salute

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QUANTO ALLENARSI PER RESTARE IN FORMA? Allenare la resistenza, l’abilità o costruire muscoli: il giusto approccio muta in base agli obiettivi

A

lmeno una volta nella vita ognuno di noi se l’è chiesto: “Quanto bisogna allenarsi per restare in forma?”. A rispondere a questo quesito è stata la scienza, ma a partire da un assunto: non esiste una risposta univoca. Gli atleti, ad esempio, si allenano mattina e pomeriggio quasi tutti i giorni. Il risultato è che le sessioni di allenamento, che si tratti di pista, palestra o campo sportivo, vanno da dieci a quattordici a settimana. Un ritmo insostenibile per i comuni mortali, oltre che eccessivo: per rimettersi in forma, infatti, non è necessario

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tirare troppo la corda. Dunque, da che dipende la frequenza con cui dovremmo allenarci? E come stabilirla? La verità è che i fattori da considerare sono molti e diversi tra loro. Bisogna infatti tenere conto degli obiettivi che si è intenzionati a raggiungere, dell’intensità con cui gli esercizi vengono svolti, degli eventuali infortuni da cui si viene fuori, e ovviamente della tipologia di allenamento. A cercare di fissare alcuni punti sulla questione è stato un articolo pubblicato sul portale The Conversation firmato da Matthew Wright, docente di Biomeccanica e Forza e

Condizionamento della Teesside University, nel Regno Unito, e Jonathan Taylor, docente di Sport ed esercizio fisico dello stesso ateneo. I due esperti hanno chiarito come coloro che mirano a migliorare la resistenza debbano concentrarsi su degli allenamenti regolari e a bassa intensità. I fondisti di successo, spiegano, solitamente eseguono la gran parte della loro sessione di allenamento (all’incirca l’80%) tenendo una bassa intensità. Questo non significa che non si possano allenare i cambi di ritmo e dunque aumentare l’intensità: è però importante pianificare queste sessioni con cura, magari limitandole a due o tre volte a settimana, e stando attenti ad osservare che tra l’una e l’altra intercorra un minimo di 48 ore. Questo significa privilegiare una modalità di allenamento intelligente anziché più difficile. Ed è il modo migliore di procedere sia per quanto riguarda la preparazione atletica negli sport basati sulla resistenza, sia su quelli di abilità, come possono essere il tennis, le arti marziali o il nuoto. Il discorso cambia quando ci si approccia a delle attività che richiedono alta intensità. L’esempio perfetto è quello di un servizio di tennis, dove lo sforzo può essere sostenuto soltanto per pochi frangenti. Ne deriva che, per evitare lesioni, è meglio destinare a questo tipo di lavoro un tempo limitato, diluendo lo sforzo nel lungo periodo. Infine, quando l’obiettivo è costruire muscoli, svolgere più sessioni di allenamento a settimana significa ottenere maggiori guadagni in termini di forza muscolare. Questo si deve con ogni probabilità al fatto che un volume di allenamento maggiore si traduce sia in un incremento della massa muscolare che della forza. Guai però a commettere l’errore di sottovalutare l’importanza del riposo e dei tempi di recupero tra una sessione e l’altra: insieme ad una corretta alimentazione sono componenti fondamentali affinché i muscoli aumentino di volume. (D. E.).


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onfiore, dolore, difficoltà di movimento: sono i sintomi tipici di chi soffre di problemi alla cartilagine del ginocchio. Ora, grazie ai progressi della scienza, si potrebbe dire che la soluzione era da sempre sotto il naso. Un gioco di parole riferito ai risultati di un nuovo studio che ha dimostrato come gli impianti di cartilagine nasale nelle ginocchia siano in grado di resistere all’infiammazione e riparare la degenerazione della cartilagine dall’osteoartrite. Nella ricerca, realizzata da un gruppo internazionale di scienziati, tra cui alcuni italiani dell’IRCCS Istituto Ortopedico Rizzoli e del Politecnico di Milano, sono stati coinvolti topi, pecore e due pazienti con casi avanzati. A detta degli esperti, con ulteriori test, la cartilagine nasale ingegnerizzata - così definita perché deriva da cellule prelevate dal setto nasale, i condrociti - potrebbe rivelarsi uno dei primi trattamenti rigenerativi efficaci per il trattamento dell’osteoartrite. La patologia, che affligge milioni di persone in tutto il mondo, si origina per via dell’infiammazione e della rottura della cartilagini nelle articolazioni come la ginocchia. Attualmente le terapie disponibili sono in grado di offrire sollievo dal dolore per qualche tempo - si pensi all’azione esercitata dai farmaci antinfiammatori - ma non riescono a modificare il decorso della malattia né a rigenerare la cartilagine perduta. Esistono anche opzioni meno conservative, come la sostituzione dell’articolazione, ma vengono ritenute una sorta di ultima spiaggia vista la durata limitata degli impianti. Lina Acevedo Rua dell’University Hospital di Basilea (Svizzera) e colleghi, autori della ricerca i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Science Translational Medicine, sono fiduciosi che i condrociti nasali possano rappresentare una nuova speranza per chi soffre di osteoartrite. Le mo-

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OSTEOARTRITE AL GINOCCHIO LA SOLUZIONE NEL NASO Impianti ricavati dai condrociti prelevati dal setto nasale sono stati in grado di ridurre il dolore senza alcun effetto avverso

dalità di raccolta presentano problemi minimi. E i condrociti nasali hanno mostrato di proliferare e costruire cartilagine in maniera più efficace rispetto ai condrociti articolari presenti all’interno delle articolazioni. Il team di ricercatori in passato aveva già impiegato condrociti nasali per progettare nuovi innesti di cartilagine. Nel nuovo studio il passo successivo si è tradotto nel testare se gli innesti potessero effettivamente trattare l’osteoartrite. Gli innesti non solo hanno preservato la propria capacità di produrre cartilagine quando trattati con fattori infiammatori pensati per imitare gli

effetti dell’osteoatrite, ma una volta trapiantati nei topi sono sopravvissuti. Quando inseriti nelle articolazioni del ginocchio di pecore hanno riparato i difetti della cartilagine. Gli scienziati hanno osservato la validità del trattamento anche su due persone affette da osteoartrite avanzata, concludendo che gli impianti potrebbero colmare i difetti della cartilagine nelle ginocchia dopo almeno tre mesi. I pazienti, supportando ulteriori test clinici, hanno espresso soddisfazione per il trattamento: il dolore è diminuito e non è stato sperimentato alcun effetto avverso. (D. E.). GdB | Settembre 2021

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LO STUDIO DEL CERVELLO SI METTE “A FUOCO” Pubblicata su Nature Methods una innovativa tecnica ottica per l’indagine macroscopica ad alta risoluzione

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ra le più importanti sfide della scienza possiamo annoverare lo studio del cervello, della sua anatomia e della sua architettura cellulare, fondamentale per comprendere le funzioni del sistema nervoso centrale. Un deciso passo in avanti in questo ambito strategico della ricerca è stato compiuto grazie ad una nuova tecnica ottica che consente un’indagine macroscopica ad alta risoluzione. Lo studio è stato pubblicato su Nature Methods ed è stato condotto dall’Università di Firenze (dipartimenti di Fisica e astronomia, di Ingegneria dell’informazione e di 16 GdB | Settembre 2021

Biologia), dal Laboratorio europeo di spettroscopia non lineare e dall’Istituto nazionale di ottica del Cnr. Ludovico Silvestri, primo autore dello studio e ricercatore di Fisica della materia dell’Ateneo toscano, ha spiegato: «Ad oggi, la mancanza di strumenti capaci di analizzare grandi volumi ad alta risoluzione limita lo studio della struttura del cervello a un livello grossolano. L’attuale metodologia della microscopia a foglio di luce, accoppiata a protocolli chimici capaci di rendere trasparenti i tessuti biologici, non riesce a mantenere un’alta risoluzione in campioni più grandi di poche centinaia di micron».

«Oltre a queste dimensioni - ha precisato Leonardo Sacconi primo ricercatore del Cnr-Ino- il tessuto biologico comincia a comportarsi come una “lente”, andando a rompere l’allineamento del microscopio e rendendo, di conseguenza, le immagini sfocate». La nuova tecnica elaborata dai ricercatori, chiamata RAPID (acronimo di Rapid Autofocus via Pupil-split Image phase Detection) propone una nuova integrazione della microscopia a foglio di luce, in grado di correggere in tempo reale i disallineamenti introdotti dal campione, consentendo di visualizzare e rappresentare interi cervelli di modelli murini con risoluzione subcellulare. Leonardo Sacconi ha aggiunto: «Il nuovo metodo è ispirato ai sistemi di autofocus ottico presenti nelle macchine fotografiche reflex, dove un insieme di prismi e lenti trasforma la sfocatura dell’immagine in un movimento laterale, che permette di stabilizzare l’allineamento del microscopio in tempo reale». L’alta risoluzione garantita da RAPID ha permesso ai ricercatori di studiare su scala dell’intero cervello problematiche finora analizzate solo in piccole aree circoscritte. Ad esempio, è stata oggetto di indagine la distribuzione spaziale di un particolare tipo di neuroni, che esprimono somatostatina, mostrando come queste cellule tendono ad organizzarsi in cluster spaziali, che si sospetta rendano più efficace la loro azione inibitoria. Un’altra applicazione riguarda la microglia, un insieme di cellule con diverse funzioni, (che spaziano dalla risposta ad elementi patogeni alla regolazione della plasticità dei neuroni), la cui forma cambia a seconda del ruolo che svolgono. L’analisi della microglia effettuata con RAPID ha evidenziato differenze significative tra varie regioni del cervello, aprendo la strada a nuovi studi sul ruolo di questa popolazione cellulare. (P. S.).


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lcuni ricercatori degli Istituti del Consiglio nazionale delle ricerche di Napoli per le Scienze applicate e i sistemi intelligenti, di Biochimica e biologia cellulare e di Genetica e biofisica “Adriano Buzzati Traverso” hanno descritto, in un articolo pubblicato sulla rivista Small, lo sviluppo di un nanosistema in grado di veicolare e rilasciare gradualmente un farmaco, il galunisertib, all’interno di cellule tumorali del colon retto e di misurarne la concentrazione per una corretta individuazione della terapia. Ilaria Rea, ricercatrice del CnrIsasi e ultimo autore dell’articolo, ha spiegato: «La tecnologia che abbiamo sviluppato ha un cuore di silice porosa biocompatibile, ricavata da microalghe, con pori di dimensioni nanometriche in grado di contenere piccole molecole, come gli agenti terapeutici, e trasportarle all’interno della cellula. Grazie ad un opportuno rivestimento gelatinoso, il nanosistema è in grado di trattenere il farmaco. Una volta raggiunta la zona del tumore dove il pH è più acido, il rivestimento si dissolve, consentendo il rilascio graduale del farmaco all’interno della cellula tumorale». Il nanosistema utilizza inoltre delle nanoparticelle d’oro che, amplificando la radiazione laser, consentono di aumentare il contrasto dell’immagine in fase diagnostica, individuare più facilmente il tumore e aumentare il segnale di diffusione Raman del farmaco, consentendo la realizzazione di un nanosensore del rilascio locale del galunisertib. Lo spettro Raman, cioè l’analisi della luce diffusa a diverse frequenze della radiazione che incide su una molecola da analizzare, come ad esempio il farmaco, rappresenta un’impronta digitale del campione. Sebbene ricco di dettagli, il segnale Raman risulta però debole: combinandolo con l’impiego di nanoparticelle metalliche, è possibile identificare una vasta gamma di mo-

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TUMORE AL COLON: UN NANOSISTEMA PER LA TERAPIA I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Small da ricercatori degli Istituti del Cnr di Napoli per le Scienze applicate e i sistemi intelligenti

lecole chimiche e biomarcatori. Anna Chiara De Luca, ricercatrice del CnrIbbc e tra le ideatrici dello studio, ha dichiarato: «Monitorando il segnale SERS del galunisertib è stato possibile misurare e studiare in tempo reale il rilascio del farmaco in cellule tumorali vive con una risoluzione fino all’attogrammo, permettendo la somministrazione di una minor dose e più mirata». Il galunisertib non ha effetti tossici sulla cellula tumorale, ma è in grado di renderla meno aggressiva. «Gli effetti di riduzione dell’aggressività tumorale sulle cellule del colon retto trattate con piccole

quantità di galunisertib attraverso il nanosistema, sono molto meno tossici e più evidenti rispetto all’uso del farmaco puro. Inoltre, i nanosistemi consentono di colpire le cellule tumorali in maniera selettiva, con effetti trascurabili sulle cellule sane» ha concluso Enza Lonardo, ricercatrice del Cnr- Igb. I promettenti risultati di laboratorio dovranno ora essere confermati in studi preclinici e clinici prima di un eventuale utilizzo del nanosistema nei pazienti. Lo studio è stato realizzato con il sostegno di Fondazione AIRC e della Regione Campania. (P. S.). GdB | Settembre 2021

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COME IL TUMORE ALTERA I NEURONI MOTORI

La ricerca del Vimm e dell’Università di Padova apre nuovi orizzonti nella lotta contro il cancro di Domenico Esposito

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mportanti passi avanti nella ricerca contro i tumori arrivano da una ricerca per gran parte italiana, veneta in particolare. Gli studiosi dell’Istituto Veneto di Medicina Molecolare Vimm e dell’Università di Padova sono infatti riusciti a dimostrare che la crescita della massa neoplastica causa la produzione di alcune specifiche proteine (activina A, IL6, noggin) che Neurone motorio. © sciencepics/shutterstock.com

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provocano l’alterazione della struttura e della stessa funzionalità dei neuroni motori presenti all’interno del midollo spinale. Una volta identificate le molecole coinvolte nella cachessia neoplastica, i ricercatori hanno dato inizio alla sperimentazione di un farmaco già impiegato in molti Paesi per trattare altri tipi di malattie, con risultati promettenti sotto diversi aspetti. La base teorica da cui lo studio ha preso le mosse è quella per cui la crescita di un tumore nel corpo umano determina cambiamenti che coinvolgono gli aspetti funzionali, strutturali e metabolici dei tessuti. La conseguenza di questo processo è il progressivo aggravarsi delle condizioni del malato. Nella maggior parte dei casi il tumore interviene alterando anche la normale capacità contrattile e metabolica muscolare: questo, nella quotidianità dei pazienti, si traduce in uno stato di affaticamento, di stanchezza e di mancanza di fiato che finisce per limitare la capacità di movimento dei soggetti affetti da neoplasia, ma soprattutto diminuisce anche la tolleranza degli stessi ai trattamenti farmacologici. In particolare, tra le cause di mortalità correlata alla crescita tumorale, vi è la perdita di peso incontrollata, sulla quale non è possibile intervenire mediante un supporto nutrizionale. Si pensi che oltre la metà dei pazienti con tumori solidi è destinato a sperimentare questo


processo, noto appunto come cachessia, caratterizzato da perdita sia di tessuto adiposo che di muscolo scheletrico. Il fatto che ad oggi non siano ancora completamente definiti i meccanismi molecolari alla base della cachessia neoplastica fa sì che allo stato non esistano terapie atte a contrastarne l’insorgenza. Da questa consapevolezza nasce l’attenzione della ricerca, decisa ad identificare bersagli per terapie farmacologiche in grado di intervenire su questa condizione. Proprio in questo senso vanno i risultati pubblicati sulla prestigiosa rivista internazionale Science Translational Medicine dal gruppo di ricerca guidato dal professor Marco Sandri (e coordinato dalla dottoressa Roberta Sartori, prima autrice dello studio) presso il dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università di Padova e l’Istituto Veneto di Medicina Molecolare (VIMM) di Padova e dal professor Paul Gregorevic (con il co-primo autore Adam Hagg) presso il Centre for Muscle Research dell’University of Melbourne. Il titolo dell’articolo è: “Perturbed BMP signaling and denervation promote muscle wasting in cancer cachexia”. Come spiegato anche sul portale dell’ateneo patavino, lo studio ha mostrato come la crescita della massa neoplastica sia responsabile della produzione di specifiche proteine - le sopracitate activina A, IL6, noggin - che determinano l’alterazione della strut-

Gli studiosi dell’Istituto Veneto di Medicina Molecolare Vimm e dell’Università di Padova sono infatti riusciti a dimostrare che la crescita della massa neoplastica causa la produzione di alcune specifiche proteine che provocano l’alterazione della struttura e della stessa funzionalità dei neuroni motori presenti all’interno del midollo spinale.

© Nemes Laszlo/shutterstock.com

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tura e della funzionalità dei neuroni motori; questi ultimi sono responsabili del rilascio di segnali attivatori dalla spina dorsale alle fibre muscolari. L’effetto sopra descritto sui moto-neuroni causa una ridotta comunicazione tra nervo e muscolo, inducendo nel paziente uno stato di debolezza, ma anche affaticamento precoce, perdita di massa muscolare e l’insorgenza, come detto, della cachessia. La ricerca, che ha trovato sostegno in Italia da parte di Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro e dalla Fondazione Umberto Veronesi, è stata realizzata in collaborazione con un team di ricercatori dell’Università di Padova diretto dal professor Stefano Merigliano e con il team della professoressa Paola Costelli dell’Università di Torino. Il professor Marco Sandri, del dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università di Padova, che ha guidato lo studio, ha chiarito come il lavoro realizzato dagli studiosi degli atenei coinvolti rappresenti un perfetto esempio di collaborazione «internazionale e multidisciplinare». La ricerca, ha spiegato il docente, ha consentito di individuare «delle molecole coinvolte nella cachessia neoplastica» nonché di procedere con la sperimentazione, in animali di laboratorio, di un farmaco già impiegato in altri Paesi per il trattamento di altre patologie. Il trattamento farmacologico - ha continuato Sandri - si è dimostrato in grado di contrastare la degenerazione dei neuroni e ha ottenuto l’obiettivo di preservare la massa muscolare. A questi aspetti così rilevanti bisogna poi aggiungere il fatto che il medicinale abbia aumentato anche la sopravvivenza indipendentemente dalla crescita del tumore. Si tratta, secondo lo studioso, di risultati che gettano le basi «per lo sviluppo di una nuova serie di farmaci che potrebbero agire sia sui neuroni sia sui muscoli, per massimizzare l’azione anti-cachettica e migliorare la qualità di vita e la sopravvivenza dei pazienti oncologici». Sebbene i risultati pubblicati su Science Translational Medicine siano stati ottenuti in laboratorio e debbano dunque essere confermati in sperimentazioni cliniche, non si può fare a meno di respirare un clima di ottimismo e fiducia rispetto alla ricerca appena descritta. La strada da percorrere è ancora lunga, ma grazie a studi come questo la lotta contro i tumori può contare su nuove frecce nel proprio arco. GdB | Settembre 2021

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SISTEMA IMMUNITARIO: SCOPERTI COMPOSTI CHIMICI CAPACI DI STIMOLARLO CONTRO I TUMORI Due molecole potrebbero essere preziosi strumenti per impostare nuove soluzioni anticancro basate sull’immunoterapia

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ella lotta contro i tumori, la scienza può ora contare su un’arma in più. Merito di un gruppo di studiosi dell’Università di Bologna, che hanno individuato e descritto il meccanismo che conferisce ad alcuni composti chimici la capacità di stimolare l’azione del sistema immunitario contro le cellule tumorali. Con questo lavoro si è giunti ad ottenere una maggiore conoscenza del processo che consente alle difese innate dell’organismo umano di attivarsi per combattere la malattia. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Nucleic Acid Research e spalancano ora la strada allo sviluppo di molecole da impiegare come potenziatori del sistema immunitario. I composti chimici individuati dai ricercatori sono di due tipi: il pyridostatin (PDS) e il phenDC3, e sono entrambi capaci di legarsi con i G-quadruplex (G4), ovvero strutture non canoniche del DNA avente forma a quadrupla elica, che nascono in presenza di sequenze ricche di guanina, una delle quattro basi azotate che compongono il DNA. Marco Russo, ricercatore al Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie dell’Università di Bologna, tra gli autori dell’articolo oggetto di pubblicazione sulla prestigiosa rivista scientifica, ha spiegato: «I G4 svolgono ruoli fon-

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damentali per i processi biologici delle cellule. Per questo possono anche essere utilizzati quali bersagli di terapie farmacologiche, con l’obiettivo di interferire con i meccanismi di replicazione e trascrizione del genoma. Provocando per esempio la rottura del DNA - ha precisato - si può creare un’instabilità genomica tale da risvegliare i meccanismi di difesa dell’organismo». Gli studiosi hanno mostrato che quando il pyridostatin (PDS) e il phen-DC3 entrano in contatto con una cellula tumorale, il genoma di quest’ultima sperimenta un danno di proporzioni tali da sortire la fuoriuscita del DNA dal nucleo cellulare (dove è normalmente custodito). La conseguenza diretta di ciò è la creazione di piccoli corpuscoli, meglio noti in ambito scientifico come micronuclei all’interno del citoplasma. Questa insolita presenza di DNA all’esterno del nucleo viene interpretata dalla cellula come il segnale di un attacco in atto da parte di un patogeno esterno, in questo caso il tumore. A quel punto è l’organismo ad attivare le proprie difese, dando il via libera alla risposta immunitaria. Il professor Russo ha continuato spiegando come «in seguito al danno provocato al DNA dalle molecole che abbiamo individuato, le cellule tumorali attivano una particolare via di segnalazione – nota come pathway di cGAS-STING – che


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norm a l mente è la prima barriera difensiva per contrastare l’infezione di virus e batteri». «La sua attivazione nelle cellule tumorali - ha proseguito il ricercatore - diventa però un campanello d’allarme anche per le cellule del sistema immunitario che iniziano quindi ad attaccare l’area in cui si è sviluppato il tumore». I composti chimici individuati dagli studiosi dell’Università di Bologna potrebbero dunque rivelarsi preziosi strumenti per dare forma a nuove soluzioni antitumorali basate sull’immunoterapia. Quest’ultima è una delle novità più rivoluzionarie e allo stesso tempo promettenti per quanto riguarda la lotta contro i tumori. Essa consiste in un trattamento di cura che impiega lo stesso sistema immunitario del paziente, o alcune sue componenti, per contrastare malattie come il cancro, andando a stimolare il sistema immunitario dell’organismo così da renderlo più efficace nel riconoscere e distruggere in maniera mirata le cellule cancerose. Le tecniche che sfruttano l’immunoterapia possono agire essenzialmente in due modi: il primo, se vogliamo il più tradizionale, prevede appunto la stimolazione del sistema immunitario del paziente; l’altro invece consiste nell’inoculazione di alcune molecole - quali per esempio delle proteine - al fine di potenziare le difese dell’organismo.

I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Nucleic Acid Research e spalancano ora la strada allo sviluppo di molecole da impiegare come potenziatori del sistema immunitario.

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L’obiettivo in questo caso è quello di rendere più intelligente il sistema immunitario del malato, in particolare per quanto riguarda l’identificazione prima, e l’eliminazione poi, delle cellule tumorali. Chiaramente, prima di cantare vittoria, bisognerà ancora attendere del tempo. Per quanto promettenti, infatti, i risultati dello studio svolto dai ricercatori dell’Università di Bologna necessitano di ulteriori conferme. Ecco perché nel futuro prossimo si svolgeranno altri studi di base e preclinici. Soltanto in un secondo momento si potrà compiere lo step successivo, provvedendo cioè a verificare sia il profilo di sicurezza che l’efficacia di questi composti chimici nei pazienti, nell’ambito di sperimentazioni cliniche. Il titolo dell’articolo pubblicato su Nucleic Acid Research è “G-quadruplex binders as cytostatic modulators of innate immune genes in cancer cells”. A sostenere il lavoro dei ricercatori dell’ateneo emiliano è stata la Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro, che ha creduto nel potenziale del gruppo di ricerca del Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie dell’Università di Bologna guidato da Giovanni Capranico, che comprende Giulia Miglietta, Marco Russo e Renée Concetta Duardo. Ora non resta che attendere, ma guardare con ottimismo alla lotta contro il cancro, alla luce di queste evidenze scientifiche, è possibile. (D. E). GdB | Settembre 2021

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a secoli i capelli sono simbolo di forza e bellezza, per questo la loro caduta irreversibile è spesso causa di sconforto per chi ne soffre. Lo studio delle cause della calvizie e la ricerca delle relative cure è oggi motivo di accesi dibattiti bio-medici e di impegno nella ricerca scientifica. Attualmente in commercio esistono già dei farmaci utilizzati per contrastare i disagi estetici della calvizie, ma non sempre i loro effetti sono soddisfacenti e spesso creano dipendenza, oltre a poter causare effetti collaterali. Attualmente le ricerche in corso sono in vari ambiti: chirurgico, farmacologico, biologico, naturale e molecolare. Ultimamente ha destato molto interesse la scoperta di un gruppo di scienziati della North Carolina che ha segnalato l’esistenza di un particolare micro RNA (miRNA) che potrebbe promuovere la rigenerazione dei capelli. Ma in che modo? I miRNA sono molecole endogene a singolo filamento di RNA non codificante. Si tratta di polimeri davvero piccoli (20-22 nucleotidi) codificati dal DNA nucleare eucariotico e principalmente attivi nella regolazione dell’espressione genica a livello trascrizionale e post-trascrizionale. I miRNA generalmente sono liberi e si sovrappongono a piccole sequenze complementari presenti su molecole di RNA messaggero (mRNA) bersaglio, inducendone il silenziamento genico. La loro presenza quindi, per quanto sembri irrilevante, può direzionare la sintesi proteica cellulare. Ma in che modo sono importanti questi miRNA nella nascita e crescita dei capelli?

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È importante sapere che durante il ciclo vitale del capello, dopo la fase di telogen che porta alla caduta del fusto, si innesca immediatamente una nuova fase di anagen per la crescita di un nuovo capello all’interno dello stesso follicolo, ed è questa la chiave che assicura la ricrescita dei capelli e la longevità dell’intera chioma. Il ciclo continuo fra anagen e telogen è dipendente dalla presenza delle cellule della papilla dermica (DP) che supportano la nuova crescita dei capelli. Nei processi di degenerazione infatti, sono proprio le cellule DP che perdono gradualmente le loro proprietà induttive e la crescita dei capelli si miniaturizza fino a bloccarsi. Se le cellule DP potessero essere reintegrate in quei siti, i follicoli potrebbero riprendere la loro attività mitotica, riattivare la nuova crescita dei capelli, interrompendo la miniaturizzazione o invertendo il processo degenerativo della calvizie. Proprio su questo input il ricercatore Ke Cheng nel Department of Biomedical Engineering ha improntato uno studio in vivo su topi in cui analizza la rigenerazione pilare mettendo a confronto gli effetti ottenuti dal trattamento delle cellule DP, in un primo gruppo con farmaci anticalvizie ad azione vasodilatatrice, e in un secondo gruppo con sferoidi DP su impalcatura di cheratina. Gli sferoidi DP sono risultati più efficaci nell’induzione del-


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MICRO-RNA E CALVIZIE La capacità dei capelli di percepire ed elaborare i segnali ambientali

di Biancamaria Mancini

la nuova crescita rispetto al solo trattamento delle cellule DP con rimedi farmacologici ad azione vasodilatatrice. A causa dell’importanza della segnalazione paracrina in questo processo, sono stati inoltre isolati dalla coltura cellulare con gli sferoidi DP i miRNA esosomiali, proprio per studiarne l’efficacia terapeutica. Lo studio ha dimostrato che uno specifico miRNA, chiamato miR-218-5p, era notevolmente up-regolato negli esosomi derivati da sferoidi DP che causavano la migliore crescita. Mediante imaging Western blot e immunofluorescenza è stato anche dimostrato che gli esosomi derivati da sferoidi DP regolavano la beta-catenina, promuovendo proprio lo sviluppo

dei follicoli piliferi. Il miR-218-5p svolge senza dubbio un ruolo importante nella regolazione del percorso coinvolto nella rigenerazione del follicolo e potrebbe essere un ottimo candidato per lo sviluppo di farmaci innovativi anti calvizie. Le potenzialità di sviluppi futuri con questa nuova tecnica sono enormi, infatti i miRNA sono di piccole dimensioni, e potrebbero essere utilizzati sotto forma di creme o lozioni ed essere assorbiti direttamente attraverso la pelle. Per avere sviluppi concreti a questo punto, occorre improntare sperimentazioni su modelli umani e passare poi alla sperimentazione clinica, solo allora si potrà avere una concreta risposta sulla loro efficacia e sicurezza.

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responsabili dell’imbrunimento enzimatico di molti prodotti alimentari sono gli enzimi polifenol-ossidasi (PPO), rinvenibili in quasi tutte le specie vegetali. Per il frumento, l’imbrunimento delle farine è giudicato negativamente dai consumatori. Attualmente, infatti, sebbene la colorazione scura delle paste, dei pani e dei prodotti da forno sia accettata dai consumatori, poiché derivati dall’utilizzo di sfarinati integrali e ricchi di fibre, per i prodotti raffinati, la colorazione scura è indicativa di un prodotto di scarsa qualità. Attraverso l’utilizzo di oltre 200 frumenti rappresentativi di specie selvatiche, di specie addomesticate ( come il farro, il frumento turanico, polonico, turgido ed il frumento cartlico, detto anche persiano), di ecotipi locali e di varietà di frumento duro coltivate in Italia nell’ultimo secolo, i ricercatori dell’Istituto di bioscienze e biorisorse del Consiglio nazionale delle ricerche e del CREA, Centro di ricerca Cerealicoltura e Colture Industriali, hanno compreso che gli enzimi polifenol-ossidasi hanno recitato un ruolo importante nel processo evolutivo del frumento. Lo studio è stato condotto dal Cnr-Ibbr e dal Crea in collaborazione con le Università di Padova e di Bari nell’ambito del progetto Innograno Horizo 2020 Pon I&C 20142020 e finanziato dal Ministero dello Sviluppo economico. Francesca Taranto, ricercatrice dell’Istituto di bioscienze e biorisorse del Cnr, ha spiegato: «I risultati riportati nella pubblicazione scientifica hanno evidenziato il forte impatto sia della selezione naturale, ovvero della pressione evolutiva esercitata dall’ambiente sia, più recentemente, dall’azione del miglioramento genetico prodotto artificialmente dall’uomo sui geni PPO, determinandone una progressiva riduzione dell’attività enzimatica. Inoltre, il

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FRUMENTO DURO: I GENI NE RACCONTANO L’EVOLUZIONE I ricercatori dell’Istituto di bioscienze e biorisorse del Cnr e del CREA hanno compreso che gli enzimi polifenol-ossidasi hanno avuto un ruolo importante nel suo cambiamento

lavoro sembra svelare le vere origini del frumento persiano (Triticum turgidum spp. Cathlicum). Il suo progenitore, infatti, sarebbe il farro selvatico (Triticum dicoccoides) e non il farro addomesticato (Triticum dicoccum), come invece evidenziato dagli studi precedenti”». «I geni PPO colocalizzano in regioni geniche dove geni adattivi e/o di resistenza alle patologie hanno subito una forte pressione selettiva sia naturale che artificiale. La selezione per tali caratteri ha, conseguentemente esercitato una forte pressione selettiva anche sui geni PPO - ha commentato Pasquale De

Vita, primo ricercatore del Crea -. In particolare, l’azione esercitata dal miglioramento genetico, per aumentare la produttività, ridurre l’altezza delle piante e/o modificare la durata delle fasi fenologiche, sembra abbia influenzato, indirettamente, anche il livello di attività PPO. Questo potrebbe spiegare il motivo per cui nelle varietà di frumento duro, iscritte in Italia a partire dalla seconda metà del secolo scorso, i livelli di attività PPO sono significativamente più bassi, rispetto alle antiche varietà e/o ai progenitori del frumento duro (i.e. farro)», ha quindi concluso il ricercatore. (P. S.). GdB | Settembre 2021

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COSMETICA GREEN Ingredienti alimentari naturali nelle formulazioni cosmetiche di Carla Cimmino

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n cosmetico è considerato “verde” se la sua formulazione contiene principi attivi derivati da piante, o riprodotti chimicamente in laboratorio, e lavorato in modo ecosostenibile con metodi di lavorazione, che rispettano la natura e le piante, secondo coltivazioni biologiche. Infatti molti consumatori scelgono i “cosmetici verdi”, (creme, trucchi ecc.) rispettosi dell’ambiente, sperando che non siano

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dannosi per la salute e riducano l’inquinamento. Dal 2020 siamo nell’era della “sostenibilità” , “naturale/biologico”, “cura , “etica”, “e-commerce”, “bellezza sociale”, “personalizzazione” e “sicurezza”. Non tutti i prodotti green sono uguali, infatti secondo le linee guida del National Organic Program (NOP) dell’USDA, gli ingredienti biologici sono sostanze ottenute con metodi di agricoltura meccanici, fisici o biologici nella massima misura possibile. Negli USA e in Europa, invece non esiste ancora un regolamento ufficiale che dia notizie specifiche sulla definizione di “biologico” o “naturale” dei prodotti cosmetici. Negli Stati Uniti i cosmetici che contengono o sono costituiti da ingredienti agricoli e possono soddisfare la produzione biologica secondo USDA/NOP, possono essere certificati secondo i regolamenti NOP, ovvero: 100% biologici (sono prodotti con ingredienti certificati biologici al 100%); biologico (possono contenere fino ad un massimo del 5% di prodotti non biologici, esclusi acqua e sale); “fatti con” (sono prodotti con almeno il 70% di ingredienti certificati biologici, esclusi acqua e sale); e ingredienti biologici specifici (contengono una combinazione di sostanze organiche e non organiche). In Europa, questo mercato è regolato dall’ISO (International Organization for Standardization) emessa ISO 16128 (novem-


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bre 2016), una nuova serie di linee guida per qualsiasi prodotto sul mercato europeo che si dichiara naturale/biologico, il Regolamento dell’ Unione Europea CE 1223/2009 e UE 655/2013, richiede che ogni dichiarazione in etichetta debba essere supportata da elementi di prova adeguati e verificabili. Negli ultimi anni sono nate nuove tendenze nel settore della cosmesi green: “nutri-cosmetici”, ovvero integratori che ottimizzano l’apporto di microelementi nutritivi per soddisfare i fabbisogni della pelle e degli annessi cutanei, migliorando le loro condizioni e ritardando l’invecchiamento, contribuendo così a proteggere la pelle dall’azione dell’invecchiamento provocata da fattori ambientali. Questi “integratori di bellezza”, vengono fuori dal lavoro scientifico di tre settori specifici: alimentare, farmaceutico e cura della persona. E’ possibile reperirli sul mercato come gel, capsule, compresse, sciroppi, caramelle gommose o bustine contenenti una fonte concentrata di acido ialuronico, minerali, vitamine o estratti botanici, in grado di migliorare la cura della persona. Non esiste però un quadro normativo che dia indicazioni riguardo i nutricosmetici a livello di UE e USA, ma le norme sugli integratori alimentari disciplinano gli integratori di bellezza. Nelle formulazioni di cosmeceutici e nutricosmetici ci sono molecole biologicamente attive (es.

acidi fenolici, polifenoli, triterpeni, stilbeni, flavonoidi, steroidi, saponine steroidee, carotenoidi, steroli, acidi grassi, zuccheri, polisaccaridi, peptidi, ecc.). Gli estratti bioattivi sono ottenuti anche da alghe, funghi, sottoprodotti di origine vegetale e tecnologie di coltura cellulare vegetale. Proprio le colture di cellule vegetali consentono di produrre metaboliti primari e secondari in condizioni controllate, soddisfano i requisiti di sicurezza del mercato, poiché sono privi di agenti patogeni, inquinanti e residui agrochimici, che spesso contaminano gli estratti vegetali, e quasi mai presentano composti tossici e potenziali allergeni dalle piante che li sintetizzano. Ingredienti antietà naturale Sono ingredienti che hanno azione di: riparazione, di idratazione, antinfiammatoria, di protezione. Agenti idratanti Gli agenti idratanti della pelle possono essere emollienti, occlusivi e umettanti. Gli alimenti usati come emollienti includono burro e oli come burro di karitè, cacao, cupuacu, mango, kombo e burro di murumuru; e l’olio di mandorle, avocado, argan, borragine, oliva, babassu, broccoli, colza, semi di chia, ricino, cocco, primula, palma, frutto della passione, melograno, lampone, cartamo e gi-

Un cosmetico è “verde” se la sua formulazione contiene principi attivi derivati da piante, o riprodotti chimicamente in laboratorio, e lavorato in modo ecosostenibile con metodi di lavorazione, che rispettano la natura e le piante, secondo coltivazioni biologiche.

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rasole. Gli alimenti usati come agenti idratanti occlusivi sono oli e cere come oli di oliva, jojoba e cocco; e la cera di candelilla e d’api. Gli oli di cocco e di ricino hanno entrambe funzioni emollienti e occlusive. Gli umettanti sono miele, acido ialuronico, sorbitolo, glicerina e glicerolo sono esempi di agenti idratanti degli umettanti.

Agenti schiarenti per la pelle Gli agenti schiarenti della pelle riducono la concentrazione di melanina, agiscono come inibitori della tirosinasi (enzima chiave nella melanogenesi) e/o trasferimento del melanosoma (granuli di pigmento nei melanociti, contenuti nello strato basale dell’epidermide cutanea)o aumentando il turnover epidermico e l’effetto antinfiammatorio e antiossidante che sono attivi. Le differenze etniche, l’infiammazione cronica, i cambiamenti ormonali e l’esposizione ai raggi UV, possono determinare ipo- o iper-pigmentazione. I principi attivi usati più spesso come schia28 GdB | Settembre 2021

renti sono: estratti di agrumi, acido cogico, estratto di liquirizia, estratto di gelso bianco, estratto di uva ursina, uva spina indiana, vitamina C, vitamina B3, idrochinone, retinoidi, resveratrolo e alfa e beta-idrossiacidi. © Parilov/shutterstock.com

Agenti di riparazione della barriera La barriera cutanea riduce la perdita di acqua transepidermica ed è una difesa contro i patogeni. Gli agenti riparatori di barriera sono gli acidi grassi essenziali, i composti fenolici, i tocoferoli, i fosfolipidi, il colesterolo e la ceramide. I composti antiossidanti (tocoferoli e fenoli) modulano l’omeostasi della barriera cutanea, la guarigione delle ferite e l’infiammazione. I fosfolipidi agiscono come stimolatori della permeabilità chimica, con effetti antinfiammatori controllando le -idrossiceramidi legate in modo covalente e inibendo la linfopoietina e le chemochine stromali timiche. Colesterolo e ceramidi sono altre importanti classi di lipidi nello strato corneo. Alcuni oli naturali contengono acidi grassi che svolgono un ruolo fondamentale nel mantenimento della barriera cutanea. Olio di semi di lino, olio di noci e olio di chia contengono omega-3 e olio di vinaccioli, olio di cartamo, olio di girasole, olio di semi di ribes nero, olio di enotera e olio di borragine contengono omega-6.

Gli alimenti usati come agenti idratanti occlusivi sono oli e cere come oli di oliva, jojoba e cocco e la cera di candelilla e d’api. Gli oli di cocco e di ricino hanno entrambe funzioni emollienti e occlusive. Gli umettanti sono miele, acido ialuronico, sorbitolo, glicerina e glicerolo sono esempi di agenti idratanti degli umettanti.

Ingredienti antinfiammatori Gli stimoli esogeni a volte possono determinare ferite, invecchiamento cutaneo, dermatosi infiammatorie o carcinogenesi cutanea. I danni della barriera cutanea determinano la risposta infiammatoria, che fornisce la riparazione dei tessuti e il controllo delle infezioni. Gli ingredienti utilizzati sono: radice di liquirizia, curcuma, avena, camomilla e noci riconosciute proprio come piante alimentari con attività antinfiammatoria. Ingredienti per la protezione solare La radiazione UV è suddivisa in tre categorie principali: UV-A (320–400 nm), UV-B (280–320 nm) e UV-C (100–280 nm), in base alla lunghezza d’onda. L’elevata esposizione alle radiazioni UV può causare edema, eritema, iperpigmentazione, fotoinvecchiamento, soppressione immunitaria e cancro della pelle in base all’intensità e alla gamma delle radiazioni UV. L’esposizione continua alle radiazioni UV può causare


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Sistemi antiossidanti per la pelle Le specie reattive dell’ossigeno (ROS) sono atomi o molecole il cui ultimo strato elettronico contiene elettroni spaiati e molecole di ossigeno eccitato. Questi agenti sono altamente reattivi e hanno una vita breve, poiché reagiscono nel mezzo in cui sono prodotti. L’ossigeno molecolare, il perossido di idrogeno e l’ossigeno singoletto non sono radicali liberi ma avviano reazioni ossidative e producono radicali liberi. Insieme, queste specie sono definite ROS. Le cellule della pelle sono protette dai radicali liberi da antiossidanti come vitamine (E, C e A), carotenoidi, ubichinone, acido urico, ormoni (estradiolo ed estrogeno), acido lipoico ed enzimi (catalasi, superossido dismutasi e glutatione). Le molecole antiossidanti prevengono l’ossidazione dei radicali liberi (ROS) o riducono la formazione o estinguendo i ROS formati. Vitamina C, alfa-tocoferolo (vitamina E e derivati), glu-

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pigmentazione, lesioni, scottature solari, macchie scure, degradazione delle fibre di collagene, fotoinvecchiamento delle rughe e cancro. Aloe vera, tè verde, olio di cocco, semi d’uva e zenzero contengono sostanze fitochimiche che prevengono il fotoinvecchiamento e il cancro della pelle.

Le cellule della pelle sono protette dai radicali liberi da antiossidanti come vitamine (E, C e A), carotenoidi, ubichinone, acido urico, ormoni (estradiolo ed estrogeno), acido lipoico ed enzimi (catalasi, superossido dismutasi e glutatione). Le molecole antiossidanti prevengono l’ossidazione dei radicali liberi.

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tatione, ubichinone sono esempi di molecole antiossidanti primarie (o antiossidanti antiradicali liberi). L’acido lipoico e la N-acetil cisteina sono esempi di antiossidanti secondari, riducono gli antiossidanti primari agendo come cofattore per diversi sistemi enzimatici. Inoltre, gli agenti chelanti dei metalli sono considerati antiossidanti secondari, perché neutralizzano la produzione di radicali liberi da parte dei metalli di transizione nella pelle. L’ormone del glutatione (GSH) reduttasi, le perossidasi del GSH, le glutatione S-transferasi (GST) sono sistemi enzimatici antiossidanti, che neutralizzano direttamente i ROS con l’aiuto di cofattori metallici ( Cu, Zn, Mn e Se). Gli antiossidanti sono presenti in livelli elevati negli strati basali e bassi negli strati superiori. La concentrazione e gli enzimi delle molecole antiossidanti vengono ridotti da fattori intrinseci (età) ed estrinseci (componenti atmosferici). E’ importante integrare gli antiossidanti attraverso l’applicazione topica o integratori alimentari per proteggere la pelle. In letteratura è riportata una stretta correlazione tra l’assunzione di integratori alimentari e il benessere della pelle, non esiste però, nessuna legislazione specifica che ne regoli l’uso. Ecco che attraverso questo articolo è possibile far luce su determinati argomenti in attesa di un regolamento che dia norme precise da rispettare. Non esistono metodi ufficiali o convalidati attraverso i quali è possibile identificare e dosare tutti i principi attivi ottenuti dagli alimenti . Una conoscenza precisa di queste informazioni permetterebbe di elevare al massimo gli effetti, ridurre le reazioni avverse e, soprattutto, a poter formulare regole per l’uso dei bioattivi di origine alimentare nei prodotti cosmetici. Tratto da “The New Challenge of Green Cosmetics: Natural Food Ingredients for Cosmetic Formulations” di Irene Dini e Sonia Laneri, Departemt of Pharmacy, University of Naples “Federico II”. GdB | Settembre 2021

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TROVATI IN ALASKA NIDI DI DINOSAURO SI RAFFORZA L’IPOTESI CHE FOSSERO ANIMALI A SANGUE CALDO i resti di ben 13 specie di dinosauri, come il Nanuqsaurus hoglundi, cugino del più famoso Tyrannosaurus rex, i Troodongiganti, anche loro predatori, o gli erbivori Pachyrhinosaurus perotorum e Alaskacephale gangloffi di Sara Bovio

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coperta una “culla” preistorica di dinosauri tra i ghiacci dell’Alaska: scavando nel fiume Colville, nella Prince Creek Formation, un team di paleontologi della University of Alaska Fairbanks e della Florida State University ha portato alla luce centinaia di microscopici reperti, appartenenti a cuccioli di almeno sette specie di dinosauri appena nati o ancora nell’uovo. La ricerca è stata pubblicata su Current Biology e secondo Pat Druckenmiller, autore principale dello studio, fornisce prove evidenti che i dinosauri nidificavano e potevano riprodursi anche a latitudini così alte. La Prince Creek Formation, nel nord dell’Alaska settentrionale, è una formazione geologica che sin dalla metà degli anni ’40 ha dimostrato di essere un crogiuolo di meraviglie. Qui sono stati ritrovati i resti di ben 13 specie di dinosauri, come il Nanuqsaurus hoglundi, cugino del più famoso Tyrannosaurus rex; i Troodongiganti, anche loro predatori; o gli erbivori Pachyrhinosaurus perotorum e Alaskacephale gangloffi. Ed è dunque da diversi decenni che sappiamo che i dinosauri vivevano anche a latitudini elevate, almeno in estate. Ma fino ad ora nessuno aveva trovato le prove del fatto che molte specie di dinosauri artici

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Copertina di Current Biology, agosto 2021. La ricerca è stata pubblicata su Current Biology e secondo Pat Druckenmiller, autore principale dello studio, fornisce prove evidenti che i dinosauri nidificavano e potevano riprodursi anche a latitudini così alte.

si riproducevano nella regione e probabilmente vi rimanevano tutto l’anno. I risultati contrastano con le precedenti ipotesi che gli animali migravano a latitudini più basse per l’inverno e deponevano le loro uova in quelle regioni più calde. Secondo gli autori dello studio, la scoperta è anche una prova convincente a favore dell’ipotesi secondo cui i dinosauri sarebbero stati animali a sangue caldo. Sul fiume Colville i ricercatori si sono trovati di fronte a una sorta di reparto di maternità preistorico. “Abbiamo inaspettatamente trovato resti perinatali di dinosauri che comprendono quasi ogni fase dello sviluppo dei dinosauri” ha detto Erickson, uno dei coautori del documento. Sul campo, gli scienziati hanno trasportato secchi di sedimenti dalla parete delle scogliere fino al bordo del fiume, dove hanno lavato e passato al setaccio il materiale per rimuovere terra e rocce di grandi dimensioni. Il lavoro è proseguito in laboratorio, dove i ricercatori hanno setacciato ulteriormente il materiale. Infine il team ha esaminato le particelle sabbiose rimanenti al microscopio, dove ha ritrovato piccoli denti e ossa di sette specie di dinosauri appena nati o in procinto di nascere. Le dimensioni dei fossili erano minuscole, spesso poco più grandi di una testa di spillo. “Recuperare questi piccoli fossili è come cercare l’oro”, ha detto Druckenmiller. “Richiede una grande quantità di tempo e di sforzo per esaminare tonnellate di sedimenti granello per granello sotto un microscopio. I fossili che abbiamo trovato sono rari ma scientificamente ricchi di informazioni”. Il confronto con i fossili di altri siti a latitudini inferiori ha permesso agli autori di concludere che le ossa e i denti erano di dinosauri perinatali e di comprendere poi che gli animali vivevano tutta la loro vita nella regione. Una ricerca precedente di Erickson, infatti, aveva rivelato che il periodo di incubazione per queste specie di dinosauri va dai tre ai sei mesi. “Poiché le estati artiche sono brevi, anche se i dinosauri deponevano le uova in primavera, i piccoli non sarebbero stati in grado di affrontare una lunga migrazione prima dell’arrivo dell’inverno” spiega Patrick Druckenmiller. E dunque, i dinosauri sarebbero rimasti sem-

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pre in Alaska, anche durante la stagione più fredda. In Alaska, 70 milioni di anni fa, la temperatura media annuale si aggirava intorno ai 6°C ma nei mesi invernali scendeva sotto lo zero. E proprio per il clima invernale così rigido, si è sempre pensato che la permanenza così a nord dei dinosauri – da sempre considerati a sangue freddo – fosse limitata solo ad alcuni periodi dell’anno in particolare all’estate, quando i dinosauri avrebbero goduto di luce 24 ore su 24, di un clima mite e di vegetazione abbondante per crescere la prole. Poi, al sopraggiungere dell’inverno, i dinosauri sarebbero migrati verso sud per poi ritornare in Artico in primavera per riprodursi. Gli inverni artici durante il Cretaceo comprendevano quattro mesi di buio, temperature gelide, neve e poca vegetazione fresca con cui cibarsi.

Ricostruzione del cranio del Nanuqsaurus al Perot Museum of Nature and Science di Dallas (Texas). Immagine di Jonathan Cutrer (jcutrer.com ). Fonte: Wikipedia.

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Ricostruzione di un Nanuqsaurus nel suo ambiente. Fonte: Wikipedia. Ricostruzione di Nobu Tomura (http://spinops. blogspot.com).

E quindi come hanno fatto i dinosauri a sopravvivere ai rigidi inverni artici? “Forse i più piccoli andavano in letargo per superare l’inverno, mentre altri vivevano di foraggio di scarsa qualità, proprio come fanno le alci oggi” ipotizza Druckenmiller. Inoltre nella regione sono stati ritrovati unicamente fossili di animali a sangue caldo e questo suggerisce che gli animali a sangue freddo erano poco adatti a sopravvivere alle fredde temperature di quest’area. Lo studio va dunque al cuore di una delle domande più antiche tra i paleontologi: I dinosauri erano anima-

li a sangue caldo? Secondo Druckenmiller e i suoi collaboratori, l’endotermia, cioè la capacità di mantenere una temperatura corporea elevata e costante generando calore metabolico, è stata la chiave della sopravvivenza ai rigidi inverni artici dei dinosauri vissuti 70 milioni di anni fa e ciò accrediterebbe la tesi che fossero animali a sangue caldo.


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I PESCI D’ACQUA DOLCE MANGIANO MICROPLASTICHE? I polimeri sintetici rappresentano il prodotto artificiale più abbondante nell’ambiente

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I frammenti di rifiuti plastici di dimensioni inferiori ai 5 mm (definiti microplastiche), quasi invisibili a un occhio poco allenato, una volta generati o liberati nell’ambiente possono facilmente raggiungere gli ecosistemi acquatici trasportati dall’acqua piovana o dal vento, e quindi contaminare fiumi e laghi fino a giungere in mari e oceani.

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e microplastiche hanno ricevuto una crescente attenzione nell’ultimo decennio e sono ora considerate tra gli inquinanti emergenti più preoccupanti negli ambienti naturali. Le attuali conoscenze sull’ingestione di microplastiche da parte di pesci d’acqua dolce selvatici sono state oggetto di una recente revisione scientifica da parte dei ricercatori del CNR-Istituto di Ricerca sulle Acque e pubblicata sulla rivista Water con particolare attenzione all’identificazione dei possibili fattori che portano all’ingestione di microplastiche e alle conseguenze sulla salute dei pesci e dell’uomo. L’alto livello della produzione mondiale di polimeri sintetici e la presenza diffusa dei loro prodotti nella vita quotidiana hanno fatto della plastica il prodotto artificiale più abbondante nell’ambiente. I frammenti di rifiuti plastici di dimensioni inferiori ai 5 mm (definiti microplastiche), quasi invisibili a un occhio poco allenato, una volta generati o liberati nell’ambiente possono facilmente raggiungere gli ecosistemi acquatici trasportati dall’acqua piovana o dal vento, e quindi contaminare fiumi e laghi fino a giungere in mari e oceani. I ricercatori riportano che i primi rapporti allarmanti sull’inquinamento da plastica sono emersi negli anni ‘70 nel Mar dei Sargassi, nelle acque costiere dell’Inghilterra e nell’Atlantico nord-occidentale. Negli stessi anni è stata descritta la presenza di diversi tipi di sfere di polistirene con un diametro medio di 0,5 mm attivamente ingeriti da diverse specie di pesci. Da allora, l’interesse verso le microplastiche da parte della comunità di ricerca è aumen-

tato esponenzialmente, anche se l’acqua di mare ha ricevuto molta più attenzione dell’acqua dolce e di altri comparti ambientali come l’aria e il suolo. Dall’analisi della letteratura è emerso che in 257 specie di pesci d’acqua dolce provenienti da 32 paesi sono state ritrovate microplastiche. La specie più studiata è stata la carpa comune Cyprinus carpio, che è stata inclusa in 12 diverse pubblicazioni in fiumi, laghi e ambienti estuarini da 6 diversi paesi, mentre la specie che è stata studiata su un territorio più ampio è la tilapia del Nilo (Oreochromis niloticus) presente in otto diversi paesi. Gli studi sono stati condotti in una vasta area geografica, coprendo tutti i continenti: Asia (25 pubblicazioni), Sud America (18 pubblicazioni), Europa (16 pubblicazioni), Nord America (10 pubblicazioni), Africa (7 pubblicazioni) e Oceania (2 pubblicazioni). La nazione con il maggior numero di pubblicazioni è stata la Cina (15), seguita dal Brasile (13) e dagli Stati Uniti (8). Gli studi hanno evidenziato che l’ingestione di microplastiche aumenta con l’aumento del livello di urbanizzazione, anche se una correlazione diretta con la concentrazione di microplastiche nell’acqua circostante non è stata identificata. L’ingestione di microplastiche è stata rilevata in tutti gli articoli pubblicati, con la presenza di microplastiche in più del 50% dei campioni analizzati in uno studio su due. Le microplastiche variamente distribuite tra la colonna d’acqua e i sedimenti possono essere scambiate per prede e venire ingerite dalla fauna acquatica, inserendosi nelle reti alimentari. Sono purtroppo numerosissime le specie acquatiche in cui è stata documentata l’ingestione di microplastiche, a partire da specie marine come tartarughe, delfini, svariati pesci quali tonni, acciughe e sardine, coralli, granchi e gamberetti e molluschi quali cozze e vongole. In ambienti d’acqua dolce si sono trovate evidenze di ingestione da parte di svariati pesci (pesce persico, cavedano, gardon), oltre a uccelli (cigno, airone, germano reale), ditteri e molluschi. Una volta entrate all’interno dell’apparato digerente, le particelle possono causare danni fisici, come lacerazioni e ulcere della parete stomacale, oppure accumularsi e dare un finto senso di sazietà, comportando un ridotto accrescimento e un cambiamento GdB | Settembre 2021

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nelle attività predatorie dell’animale. I danni possono anche essere più estesi e riflettersi nell’infiammazione del fegato e in cambiamenti del metabolismo con squilibri dei contenuti di lipidi e di acqua in diversi tessuti, tra cui quello cerebrale. Anche la microflora batterica che ricopre le microplastiche può causare alterazioni nella composizione del microbiota intestinale che possono influire negativamente sui processi digestivi, diminuire la capacità di assimilazione dei nutrienti e ridurre le capacità di difesa e recupero dalle malattie. Inoltre, le microplastiche possono essere veicolo di inquinanti chimici, come i plastificanti, i ritardanti di fiamma e gli stabilizzatori aggiunti in fase di produzione (il bisfenolo A, gli ftalati e i polibromodifenileteri) e possono fungere da concentratori dei microinquinanti presenti nell’acqua, come il

Tilapia del Nilo.

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Le microplastiche possono essere veicolo di inquinanti chimici, come i plastificanti, i ritardanti di fiamma e gli stabilizzatori aggiunti in fase di produzione.

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DDT, gli idrocarburi policiclici aromatici, i metalli pesanti, e cederli ai tessuti dell’apparato digerente una volta ingerite, veicolando quindi ulteriori sostanze tossiche. Vi sono inoltre evidenze della possibilità che le particelle più piccole possano passare nel circolo sanguigno, e da qui spostarsi ad altri organi dell’animale. Di recente sono state ritrovate microplastiche anche nelle branchie, nello stomaco e in percentuale minore nel fegato e nei muscoli dei pesci e quindi appare chiaro come esse possano rappresentare un pericolo diretto anche per la salute umana. Infine, gli effetti tossicologici sono stati evidenziati anche in catture selvatiche, dimostrando l’importanza di questo problema e suggerendo la necessità di esperimenti di laboratorio più rappresentativi della situazione ambientale. (S. B.)

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DATE: Ottobre 2021 Novembre 2021 Novembre 2021 Novembre 2021 Novembre 2021 Novembre 2021 Novembre 2021 Dicembre 2021

Webinar IL CONSULENTE TECNICO AUSILIARIO DEL GIUDICE E IL CONSULENTE TECNICO DELLE PARTI DELEGAZIONE REGIONALE TOSCANA E UMBRIA

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ETOLOGIA APPLICATA E DIRITTI ANIMALI Un cammino da costruire per il benessere di tutti, umani compresi di Giulia Pagani* 38 GdB | Settembre 2021

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iritti animali: finalmente un primo passo importante si è fatto e da qualche tempo esiste un Codice di Diritto Animale. Grazie a questa importante evoluzione giuridica inizia un delicato compito, quello di saper valutare nello specifico lo stato di benessere psicofisico di un animale. Recentemente è stata resa pubblica l’ennesima notizia sconcertante: un cane ha perso la vita a causa di un colpo di calore in attesa di imbarcarsi su un traghetto insieme ai suoi padroni; a nulla è valso il tentativo di salvarlo a seguito del trasporto d’urgenza in una clinica veterinaria. Un cane, probabilmente molto amato dai suoi proprietari che lo stavano portando in vacanza con loro, sarebbe ancora vivo se a questi ultimi fosse stata data l’opportunità di un accesso prioritario per il cane che stava soffrendo in quelle condizioni. La verità è che sarebbero stati probabilmente messi alla gogna (non era di certo una donna incinta, un anziano, una persona in condizioni di salute precarie), perché nel nostro codice di comportamento il “silenzio assenso” di un cane (ovvero un cane che non esibisce comportamenti per noi “inadeguati”) fa di lui un “bravo” cane e, su questa base, si assume anche che l’animale non stia subendo una qualche forma di disagio (d’altronde i cani “cattivi” solo dalla nicchia di esperti vengono riconosciuti come cani che manifestano un disagio). Si, l’animale che sa anche soffrire in silenzio è un bravo animale, l’animale che manifesta la sofferenza fisica o psicologica è un animale che “crea disagio all’umano”. Ci sono animali domestici che vivono una vita intera e muoiono senza che i propri proprietari li abbiano mai compresi e magari sviluppano patologie degenerative e/o autoimmuni a causa dello stress cronico che subiscono all’interno di una relazione/un contesto, o di un’alimentazione inadeguata. Questa forma di maltrattamento può avvenire anche in buona fede e non essere leggibile in sede di valutazione da parte di un medico veterinario che si occupa della condizione clinica dell’animale. Al veterinario generalista vengono spesso posti quesiti inerenti il comportamento e la gestione degli animali portati in visita, ma non sempre ha le competenze specifiche per poter *

Etologa riabilitatrice e biologa nutrizionista.

Giulia Pagani. Quando si parla di comportamento animale, se non ci si riferisce ad animali che vivono nel loro habitat, la cui vita si svolge in funzione della propria nicchia ecologica definita dai macro e micro processi evolutivi, allora dobbiamo considerare un aspetto fondamentale, quello relazionale interspecifico, tra l’animale umano e non umano, oltre che intraspecifico.

rispondere. Nel migliore dei casi, solo quando il disagio dell’animale diventa un problema di gestione per l’essere umano viene interpellato un esperto in merito; ma a quale “gamma” di esperti rivolgersi? Il veterinario comportamentalista, ha le competenze specifiche necessarie per inquadrare eventuali problematiche (anche se a volte manca una lettura organica di impronta etologico-evoluzionistica del paziente), svolgere una visita mirata ad emettere una diagnosi ed impostare una terapia, che può prevedere la somministrazione di medicinali e lo svolgimento di attività riabilitativa. La riabilitazione, nella maggior parte dei casi, viene svolta da figure terze, ma c’è una grande difficoltà nel reperire professionisti con competenze specifiche indispensabili per lavorare in ambito riabilitativo (aldilà dei diplomi abilitanti). Spesso gli addetti ai lavori nelle attività di riabilitazione sono professionisti dell’area di cinofilia, preparatissimi nel loro campo originario di competenza, ossia l’addestramento per gli sport e lo svolgimento di attività lavorative specifiche, ma che mancano di una preparazione organica e completa in materia di etologia e riabilitazione comportamentale, ma anche di un lessico condiviso (nonché approccio analitico), che permetta la cooperazione con il veterinario di riferimento, fondamentale nel processo di riabilitazione. Non sono rari i casi che vanno analizzati avvalendosi di un approccio multidisciplinare, dal momento che condizioni subcliniche possono manifestarsi a livello comportamentale, così come problemi comportamentali possono evidenziarsi grazie a manifestazioni cliniche. Se poi parliamo di specie domestiche diverse dal cane le figure di riferimento si riducono a pochissimi, rarissimi, esperti. Per non parlare di specie selvatiche in cattività, per le quali il veterinario gioca un ruolo erroneamente fondamentale nell’intervento sul loro benessere psicofisico, mentre la figura di riferimento dovrebbe essere l’etologo applicato con competenze in campo riabilitativo, che si avvale della collaborazione del veterinario per la sfera prettamente clinica. Quando si parla di comportamento animale, se non ci si riferisce ad animali che vivono nel loro habitat, la cui vita si svolge in funzione della propria nicchia ecologica definita dai macro e micro processi evolutivi, allora dobbiamo considerare un aspetto fondamentale, quello relazionale interspecifico, tra l’animale umano e non umano, oltre che intraspecifico. GdB | Settembre 2021

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Foto a sinistra. Il PME Play Picture Making Music Emotional Enrichment a Ngamba Island Chimpanzee Sanctuary - CSWCT, Uganda, 2012. Il PME, ideato e realizzato in più Paesi dalla psicoterapeuta Dott.ssa Mariangela Ferrero, è un intervento specialistico e sperimentale di arricchimento che impiega strumenti e tecniche prettamente psicologici e psicoterapeutici, normalmente impiegati in ambito umano, rivisitati e applicati per la riabilitazione psicosociale e la promozione del benessere nei primati non umani”.

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Cani in una comunità della valle dell’Omo (Etiopia), 2012.

Bogotà 2015.

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Laddove è l’essere umano ad occuparsi dell’esistenza di un animale, nella relazione entra in gioco anche la psicologia umana e non esiste più una linea di demarcazione netta all’interno delle dinamiche relazionali tra ciò che riguarda il comportamento dell’animale non umano e il comportamento dell’umano. Per questo motivo le competenze di un etologo applicato vanno necessariamente integrate con competenze di psicologia umana. La pressione selettiva esercitata dall’uomo, meglio definita domesticazione, ha portato in ambito botanico e zootecnico allo sviluppo di varietà di piante e animali destinati a ottimizzare le energie impiegate dall’essere umano per alimentarsi e svolgere lavori fisici ma, molto più anticamente quando l’uomo ancora cacciava per sopravvivere, alla nascita del cane. Sviluppato per lavorare in simbiosi con gli umani, costituisce una prima “tecnologia” che ha permesso all’umano, attraverso l’alleanza interspecifica, di avere olfatto, udito, velocità e riflessi in grado di garantire bottini di caccia e difesa tali da permettere fitness aumentata a entrambe le specie. Usato successivamente anche come collaboratore per la gestione degli animali allevati, il cane continua ad essere un alleato prezioso, pronto a farsi plasmare geneticamente al bisogno. La necessità di selezionare animali con i quali capirsi e collaborare ha portato il cane ad essere un animale che spesso è più competente di noi umani nel leggere il comportamento altrui. Ad oggi, gli attuali paradigmi culturali prevedono una serie di regole di interazione con gli animali, e tra animali, che vengono anche definiti “imprevedibili” (certo, quando non si conosce qualcosa è difficile prevederne l’evoluzione). Ultimamente sta facendo anche breccia un atteggiamento più “empatico” nei confronti degli animali, ma che purtroppo subisce delle distorsioni pericolose in termini di gestione dell’animale, generando situazioni estremamente rischiose. Per dirlo in termini più spiccioli, se oggi viene considerato da alcuni anacronistico educare gli animali da compagnia con metodi poco etici, dall’altro lato una buona parte di costoro di fatto non si preoccupa di insegnare all’animale (e imparare a sua volta) una modalità di convivere armoniosamente nel contesto umano. Filosofie come “i cani si gestiscono da soli le relazioni”, decontestualizzate, sono molto pericolose: prevedono che ogni volta che il cane si trovi in presenza di cani sconosciuti sta-


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bilisca limiti, confini e modalità di interazione con il rischio costante di conflitti. Così oggi la vita cittadina di un cane nelle aree pubbliche di sgambamento è a rischio costante di incidenti. Si dovrebbe riflettere su una serie di regole da tenere nelle aree pubbliche, come “niente palla, niente cibo, niente risorse che potrebbero scatenare conflitti”: indubbiamente queste regole hanno fondamento in funzione del fatto che anche cani fortunati che praticano sport cinofili seguiti da educatori non sanno controllarsi davanti a una risorsa. Purtroppo questo succede perché, presupponendo che l’animale abbia un istinto, l’autocontrollo non viene nemmeno preso in considerazione come ambito di lavoro (se non nel contesto esclusivo degli esercizi sul campo di addestramento). In questo modo si fa un grande errore di valutazione, perché, se non è possibile che un cane capisca quando una pallina o un biscotto sono per lui e quando, pur essendo presenti, non deve prenderli, mi dite come dovrebbe fare uno stesso cane a guidare un non vedente? Come fa un Labrador, un cane che non potrebbe avere motivazione più alta su cibo e gioco, a dare priorità alla sicurezza dell’umano mentre lavora? Vi assicuro che l’addestramento di un cane guida non può essere fatto secondo metodi coercitivi, perché la base del rapporto con il suo simbionte è la collaborazione e il non vedente non sarà in grado di punire o correggere con il tempismo adeguato gli errori del cane. Allora stiamo facendo due errori: stiamo sottostimando l’intelligenza dell’animale (e per questo forse ci perdonerà), stiamo perdendo la possibilità di vivere dinamiche relazionali fluide, gratificanti... nonché di incidenti! (e per questo siamo imperdonabili). Il ruolo che svolge oggi il cane nella società è molto lontano da quello originario e copre aree molto più importanti, ha implicazioni più profonde perché connesso direttamente con l’affettività. Non basta quindi sviluppare strumenti tecnico-comunicativi per relazionarsi con il cane, molte volte è necessario sviluppare strumenti affettivi e relazionali. Tante persone avendo avuto cani e magari la fortuna di trovarsi con cani compatibili con loro a livello caratteriale (si, perché ogni individuo, anche nel mondo animale non umano è unico anche nella personalità) non immaginano di trovarsi improvvisamente a non riuscire a comunicare con un cane. Molte persone hanno delle riserve nel chiedere supporto a un esperto e credo che questa diffi-

Casanare (Colombia) 2012.

Ultimamente sta facendo anche breccia un atteggiamento più “empatico” nei confronti degli animali, ma che purtroppo subisce delle distorsioni pericolose in termini di gestione dell’animale, generando situazioni estremamente rischiose.

coltà sia dovuta proprio agli aspetti affettivi che caratterizzano la relazione con l’animale domestico, mentre la realtà è che a volte è come pretendere di imparare il cinese da autodidatti. Peggio mi sento quando l’esperto di turno è il motore di ricerca sul web: a quel punto si crea una gran confusione che, unitamente ai dogmi in materia di comportamento animale, difficili da scalzare nonostante l’evidenza scientifica della loro inconsistenza e divulgati continuamente da persone scarsamente competenti, creano una falsa percezione nelle persone comuni di essere in grado di gestire il proprio animale. Tutto questo potrebbe essere un semplice problema filosofico, invece smette di esserlo tutti i giorni, ovunque, quando le morsicature di cani che vivono senza voce nel mondo degli umani emergono come reazione esasperata dal mare di disagio provato a causa della comunicazione distorta, dell’incomprensibilità di contesti e delle incoerenze comportamentali degli umani. Quanto tempo ancora bisogna aspettare perché venga compreso che il campo di competenze da mettere in opera è proprio quello del biologo? In biologia della conservazione ha fatto breccia la realtà che in determinate attività antropiche risieda la chiave di conservazione di alcune biocenosi ricchissime di diversità; l’etnobiologia si occupa della straordinaria interazione fra essere umano e risorse ambientali nell’ambito delle complesse necessità umane che comprendono anche la spiritualità. È ora che l’etologo prenda il ruolo di riferimento per l’analisi, ma anche l’intervento sulla comunità degli animali che vive in cattività, la cui esistenza (non solo materiale) dipende dall’essere umano e dalle sue capacità di relazionarsi adeguatamente con la specie in oggetto, sviluppando le condizioni ambientali atte a garantire il benessere psico-fisico al quale quest’ultima ha diritto. GdB | Settembre 2021

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NUOVE ETICHETTE PER ILLUMINARE Efficienza energetica, sette nuove classi per le lampadine, dalla A alla G di Gianpaolo Palazzo

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n sostegno per i consumatori e uno stimolo per i produttori. Dopo frigoriferi, lavastoviglie, lavatrici e televisori anche le sorgenti luminose hanno, dal primo settembre, una nuova versione dell’etichetta energetica. Il provvedimento vuole «aiutare i consumatori a ridurre le proprie bollette energetiche e l’impronta di carbonio» ed è stato reso possibile grazie al «notevole miglioramento dell’efficienza energetica in questo settore negli ultimi anni». Avremo, dunque, una classificazione più facile, con sette classi colorate da verde a rosso, dalla A (migliore) alla G (peggiore). Quali saranno le lampadine etichettate? Quelle con o senza unità di alimentazione integrata, direzionali e non direzionali o immesse sul mercato come parte di un prodotto contenitore. Sono escluse dall’obbligo le sorgenti luminose impiegate per applicazioni particolari in: dispositivi medici, impianti radiologici e di medicina nucleare, spettroscopia e applicazioni fotometriche, situazioni di emergenza, veicoli (automobili, biciclette, ecc.), aeromobili civili, veicoli ferroviari, equipaggiamento marittimo, usi legati alla difesa ecc., quelle nei prodotti a batteria, nelle cappe da cucina e i display elettronici. L’attuale scala è più esigente ed è stata progettata affinché pochissimi siano al principio in grado di ottenere “A” e “B”, lasciando un mar-

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gine all’ingresso sul mercato di soluzioni più valide. I “migliori” presenti ora sugli scaffali troveranno spazio nelle caselle “C” o “D”. Oltre a mostrare il nome o il marchio di produttore e del modello, ritroveremo il consumo di energia in kWh per mille ore di uso / accensione e un codice QR (Quick Response “risposta rapida”), come quello del famigerato Green pass, che si collega al database Eprel (European product registry for energy labelling), in cui scoprire maggiori dettagli sulla merce da acquistare. «Le nostre lampade e altri prodotti per l’illuminazione - ha dichiarato la commissaria europea per l’energia, Kadri Simson - sono diventati molto più efficienti negli ultimi anni che più della metà dei led sono ora nel-


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la classe A++. L’aggiornamento delle etichette renderà più facile per i consumatori vedere quali sono i prodotti best in class, che a loro volta li aiuteranno a risparmiare energia e denaro sulle bollette. L’uso di un’illuminazione più efficiente dal punto di vista energetico continuerà a ridurre le emissioni di gas serra dell’UE e contribuirà a diventare neutrale dal punto di vista climatico entro il 2050». La normativa ha previsto un periodo di diciotto mesi nei quali potranno esser vendute lampade con la vecchia etichetta nei negozi fisici. Per le vendite on-line, invece, le sostituzioni sono arrivate entro 14 giorni lavorativi. I moduli led, che quasi per tutte gli usi costituiscono una tecnologia d’illuminazione più proficua dal punto di vista energetico, hanno conosciuto una decisa espansione nell’Unione Europea: dallo 0% nel 2008 al 22% nel 2015. Salendo l’efficienza energetica media (quadruplicata tra 2009 e 2015), i prezzi sono diminuiti: se si guardasse come riferimento al 2010, nel 2017 una lampada a led per uso domestico era più economica del 75% e una per uffici del 60%. Secondo le stime, riportate dal sito della Commissione europea (htec.europa.eu/info/ index_it), l’anno scorso nell’UE sono state vendute «circa 1500 milioni di sorgenti luminose, ma è probabile che questa cifra scenda a 600 milioni nel 2030 (in calo del 60%), anche se il numero di sorgenti luminose utilizzate

Dopo frigoriferi, lavastoviglie, lavatrici e televisori anche le sorgenti luminose hanno, dal primo settembre, una nuova versione dell’etichetta energetica. Il provvedimento vuole «aiutare i consumatori a ridurre le proprie bollette energetiche e l’impronta di carbonio» ed è stato reso possibile grazie al «notevole miglioramento dell’efficienza energetica in questo settore negli ultimi anni». Avremo, dunque, una classificazione più facile, con sette classi colorate da verde a rosso, dalla A (migliore) alla G (peggiore).

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aumenterà di oltre il 17%. Ciò è dovuto alla maggiore efficienza energetica e in particolare alla maggiore durata delle sorgenti luminose a LED. La famiglia media nell’UE ha acquistato 7 sorgenti luminose all’anno nel 2010, 4 all’anno nel 2020, e si prevede che questa cifra scenderà a meno di 1 all’anno entro il 2030». Sempre la Commissione europea, nella propria valutazione d’impatto, indica che le modifiche permetteranno di risparmiare all’anno sette milioni di tonnellate per la CO2 equivalente (mt CO2 eq) entro il 2030, rispetto ad una situazione senza le recenti regole. Ciò va ad aumentare i 12 mt CO2 eq già attesi dai precedenti regolamenti adottati nel 2009 e nel 2012. L’etichetta energetica europea è presente su molti prodotti per la casa e ha aiutato i consumatori a scegliere in modo maggiormente consapevole per più di venticinque anni. Lo certifica pure un sondaggio curato da Eurobarometro, durante il 2019, nel quale il 93% degli intervistati ha assicurato di aver riconosciuto la classificazione e il 79% ha dichiarato di aver comprato basandosi su quanto riportato nella scala di efficienza stampata sulla confezione. La Commissione europea sta anche lavorando all’aggiornamento dell’etichettatura per altri prodotti, tra cui asciugabiancheria, riscaldatori d’ambiente locali, condizionatori d’aria, apparecchi di cottura, unità di ventilazione, armadi frigoriferi professionali, scaldabagni, caldaie a combustibile solido e considerando l’introduzione d’informazioni più dettagliate sui pannelli solari.

Come leggere l’etichetta

L’

etichetta per le sorgenti luminose comprende tre settori e ha in alto quella di dimensioni standard, mentre in basso l’altra con dimensioni ridotte. Nel primo settore viene identificata la sorgente luminosa, riportandone la denominazione, il marchio o il nome del costruttore; nel secondo sono presenti le classi di efficienza energetica e si evidenzia a quale appartenga il modello. C’è una serie di frecce con lunghezza crescente e colore diverso, associate ad una lettera dell’alfabeto dalla A alla G; nell’ultimo settore abbiamo il consumo di energia in modo acceso per mille ore, in kWh, il codice QR e il numero del Regolamento europeo.

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iò che semini raccogli» è un proverbio presente in molte parti d’Italia e pure a Matera, il capoluogo con la maggior superficie di verde urbano, 60.236.090 metri quadrati, di cui 59.229.010 riferiti a quello storico. Al secondo posto c’è Roma, 48.165.476 m2, seguita da Trento (47.991.834 m2), Milano (24.993.706) e Torino (19.840.807). Tra gli ultimi, al contrario, Imperia (252.950). Crotone (231.735) e Isernia (103.957). I dati, provenienti dall’Istituto nazionale di statistica (Istat) pubblicati nel Report sull’ambiente urbano del 2019, sono stati analizzati dal Centro Studi Enti Locali (Csel). Per capire che cosa sia considerato verde urbano occorre sapere che si tratta del patrimonio di aree, disponibili per ciascun cittadino, presenti sul territorio comunale e gestite, direttamente o indirettamente da enti pubblici. Include ville, giardini e parchi che abbiano interesse artistico, storico, paesaggistico e che si distinguono per la non comune bellezza, le zone attrezzate, di arredo urbano, (piste ciclabili, rotonde stradali, gli spartitraffico etc.), i giardini scolastici, gli orti urbani e botanici, gli spazi sportivi all’aperto, quelli destinati alla forestazione urbana, le aree boschive, il verde incolto, giardini zoologici e cimiteri. Se i numeri sono condizionati anche dalla dimensione dei capoluoghi di provincia, quello con la maggior incidenza percentuale di densità è Sondrio

(30,76%), pedinato da Trento (30,4%) e Monza (21,97%). Milano (13,76%), batte decisamente Napoli (9,59%) e Roma (3,74%). Chiudono la classifica Crotone (0,13%), Caltanissetta (0,12%) ed Enna (0,09%). Sono 33 i capoluoghi di provincia che hanno un’incidenza percentuale di densità inferiore all’1% su una media nazionale che si stabilisce al 3,09%. Superiori al 10%, invece, sono dodici. Oltre a quelli già citati, rientrano in questo ultimo gruppo Cagliari, Gorizia, Pescara, Milano, Trieste, Pordenone, Torino, Matera e Como. Nelle 109 città osservate l’estensione delle aree verdi urbane è di 603 km2, pari al 3,1% del territorio, corrispondente a 33,8 m2 di disponibilità per abitante. Insieme con quelle naturali protette, l’incidenza raggiunge il 19,4% del territorio nei capoluoghi (3.784 km2). Tra le note positive è stato registrato un continuo aumento delle superfici complessive: in media dello 0,4% all’anno dal 2015. Guardando i capoluoghi di Regione balza subito agli occhi una differenza marcata tra Nord e Sud. I comuni dell’Italia settentrionale, di solito, hanno un’incidenza percentuale maggiore sulla superficie comunale. Quelli nel Mezzogiorno, generalmente, ne hanno una minore. All’ultimo posto di questa graduatoria, c’è L’Aquila con lo 0,4%. A seguire, Campobasso (1,04%), Perugia (2,32%), Bari (2,48%), Venezia (2,65%) e Aosta (3%). Gli altri sono tutti sopra la media nazio-

MATERA CAPITALE, ANCHE NEL VERDE Le aree verdi, specialmente gli alberi, contrastano l’inquinamento atmosferico 44 GdB | Settembre 2021


La superficie verdeggiantie è mediamente di 9 m2 ogni 100 m2 di area urbanizzata nei capoluoghi. L’Aquila ha la percentuale più alta (79,68%), seguita da Bari (31,48%) e Milano (28,63%).

densità percentuale di verde urbano maggiore sulla superficie comunale, poiché è coperto per il 90,5% da aree boschive; Torino, per il 42,12%, da verde storico; Trieste, per il 33,17%, da verde incolto; Milano, per il 41,44%, da grandi parchi urbani. Sempre nel centro meneghino sono stati ventimila i nuovi alberi messi a dimora dopo la nascita di ogni bambino e per ciascun minore adottato registrato all’anagrafe con georeferenziazione dei dati. Distaccati di molto Torino (12.509) e Roma (7.700). Le zone verdi disponibili sono accessibili ai cittadini dei capoluoghi per il 66,7% della loro estensione, con minime differenze. L’incidenza di aree direttamente accessibili (verde storico, parchi urbani, aree attrezzate, giardini di quartiere e altre tipologie minori) è più grande nei capoluoghi metropolitani (78,2% contro il 61,3% degli altri capoluoghi) ed è massima a Roma, Milano, Bologna e Torino, in cui costituisce più del 95% del verde disponibile. Rispetto al 2015, infine, l’estensione complessiva delle aree coperte di vegetazione in ambito urbano nelle grandi città è cresciuta del 2%. (G. P.).

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nale (3,09%). Al primo posto si trovano Trento (30,4%), Torino (15,26%), Trieste (14,65%), Milano (13,76%) e Cagliari (10%). I rimanenti hanno percentuali comprese tra il 3 e il 10. Sempre al Nord c’è, mediamente, una maggiore disponibilità di aree verdeggianti (38,2 m2 per abitante): tra i capoluoghi metropolitani spicca Venezia (42,4), mentre Milano ha la disponibilità più bassa (17,8). Nel Sud scende a 33,6 pro capite: fra i capoluoghi metropolitani Reggio di Calabria (108,2) e Cagliari (56,2) hanno i valori più alti (anche se con bassa incidenza di verde fruibile), Bari (9,2) e Messina (15,2) i più bassi. Al Centro la disponibilità risulta di 27,2 m2 per cittadino: Firenze e Roma sono sotto la media della ripartizione (rispettivamente 22,2 e 17,1). Molto diffusa nelle città è la forestazione urbana, con nuovi boschi a sviluppo naturale capaci di migliorare le condizioni climatiche e mitigare l’effetto “isola di calore” diminuendo l’inquinamento. Interventi per nuove piantumazioni sono presenti in 43 capoluoghi (28 nel 2011) e interessano 11 milioni di m2 di superficie, in aumento del 30% negli ultimi nove anni. Vincono daccapo i comuni del Nord, invece sono pochi nel Meridione. Trento è il capoluogo con la

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iù che una estate, la si potrebbe chiamare un assaggio di futuro. Quella appena trascorsa è stata una estate drammatica dal punto di vista climatico e, di conseguenza, anche economico. In Europa, è stata la più calda degli ultimi 30 anni e secondo altre rilevazioni la più bollente di sempre. Abbiamo assistito a una serie di eventi, uno dietro l’altro, in grado di togliere le fette di prosciutto anche dagli occhi dei più scettici riguardo al surriscaldamento globale: le devastanti alluvioni che, perdurando per più giorni, hanno messo in ginocchio la Germania e il Belgio, con quasi 200 vittime, sono forse l’esempio più lampante del cambio di correnti e di masse d’aria. Inondazioni che hanno colpito anche l’Olanda, la Francia, la Scozia, l’Inghilterra, grandinate devastanti in Italia che hanno distrutto raccolti di un anno intero e poi gli incendi, che dalla Sardegna alla Calabria, dalla costa adriatica sino a Cipro, hanno distrutto ettari e ettari di territorio in tutto il Mediterraneo. Le immagini dei turisti che scappano a bordo di imbarcazioni dalle isole greche sono difficili da dimenticare. Stesse scene in Turchia. Sebbene parte di questi roghi, come in Sardegna, possono essere di origine dolosa, è indubbio che il carattere siccitoso dei territori - in una Italia come altrove dove aridità e desertificazione stanno diventando un problema sempre più serio - favoriscono il propagarsi delle fiamme che corrono sempre più veloce spesso sospinte da venti caldi.

I climatologi e gli scienziati, pur ricordando che ogni evento meteo andrebbe osservato singolarmente per poter essere o meno collegato alla crisi climatica, sostengono che se si guarda al contesto l’impronta del surriscaldamento è innegabile: non solo alluvioni, incendi e frane, ma tantissimi record di temperature battuti perfino in zone - come nel nord ed est europa - caratterizzate da estati miti. C’è il record di caldo di 48.8 gradi centigradi in Sicilia, così come gli oltre 33 gradi raggiunti in Finlandia. E questa, per dire, è stata solo l’estate europea. Se si guarda agli altri continenti emergono condizioni ancor più tragiche: per prima l’ondata di calore che ha devastato il Canada - con temperature che hanno sfiorato i 50 gradi ed intere cittadine andate distrutte tra le fiamme - oppure il Nord Ovest degli Stati Uniti. Ma anche i roghi della California, o ancora - se si escludono i danni da uragani - la Bolivia e il Sudamerica che ha sperimentato

DALL’ESTATE PIÙ CALDA A UN MARE DI FUOCO Cosa ci raccontano gli ultimi mesi sugli effetti del surriscaldamento 46 GdB | Settembre 2021


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alluvioni e momenti di freddo estremo. Dall’altra parte, due dei drammi più lampanti di questa estate: la pioggia caduta per la prima volta sulla calotta glaciale artica in Groenlandia e la Siberia in fiamme. Migliaia di ettari bruciati in un territorio difficilissimo da gestire. E ancora: le alluvioni in Cina con la metro allagata e millimetri di pioggia pari alle medie di mesi caduti in soli tre giorni, esattamente come avvenuto anche in Giappone. Non solo: alluvioni e disastri anche in India, sud-est asiatico e temperature record sfiorate in Nuova Zelanda e Australia. L’aspetto feroce del cambiamento climatico ci ricorda dunque che nessun luogo è più al sicuro e l’estate 2021 è stato un assaggio - sostiene anche il report Ipcc ( Intergovernmental Panel on Climate Change) - di quello che da qui al 2050 potrebbe accadere

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Quella appena trascorsa è stata una estate drammatica dal punto di vista climatico e, di conseguenza, anche economico. In Europa, è stata la più calda degli ultimi 30 anni e secondo altre rilevazioni la più bollente di sempre. C’è stato il record di caldo di 48.8 gradi centigradi in Sicilia, così come gli oltre 33 gradi raggiunti in Finlandia. © Adam Gregor /shutterstock.com

sempre più spesso, con innalzamento delle temperature e del livello dei mari e fenomeni meteo estremi sempre più intensi, oppure in certi casi frequenti. «Non possiamo restare fermi a guardare: la frequenza, l’estensione e l’intensità degli incendi sono aumentati enormemente nell’ultimo secolo e la stagione degli incendi sta diventando più estrema e più lunga, nella misura del 15% negli ultimi 50 anni, alimentata da lunghi periodi di caldo estremo e poca pioggia» ha ricordato per esempio il Wwf parlando di roghi. Sebbene incendi e disastri meteo si siano ripetuti negli anni quasi in ogni estate, quello che sta avvenendo nell’ultimo decennio che ospita otto dei dieci anni più caldi della storia - per gli esperti è soprattutto collegabile alle dinamiche del cambio di correnti, di ciò che accade nell’Artico e delle temperature sempre più elevate dei mari. Il caldo del Mediterraneo, per esempio, è legato in parte a un ampliamento verso nord della circolazione equatoriale tropicale. Se prima c’era il famoso anticiclone delle Azzorre adesso ci sono anticicloni africani, più forti come temperature, che portano ondate di calore più intense. Il riscaldamento globale ha fatto espandere la cella di Hadley della circolazione tropicale equatoriale verso nord favorendo anticicloni africani che inducono eventi estremi, di caldo e di precipitazioni. Altri fenomeni, collegati alla corrente a getto, portano ulteriori scombussolamenti. Gli scienziati, anche quest’anno in cui gli incendi hanno superato quelli del 2017 caldo e secco, ribadiscono dunque ancora una volta che i ritmi del surriscaldamento globale che accelera saranno sempre più difficili da contenere se non riusciremo a ridurre davvero le emissioni: in sostanza a decarbonizzare e puntare su altre forme di energia. L’occasione per evitare che estati come queste diventino in futuro la norma o addirittura peggio, ce la offre l’autunno: a novembre a Glasgow in Scozia oltre 200 leader mondiali si riuniranno alla Cop26, la conferenza sul clima delle Nazioni Unite. Se riusciranno a trovare un’intesa concreta, con azioni urgenti da iniziare fin da subito nel tentativo di porre un freno alle emissioni climalteranti globali, allora forse l’estate 2021 resterà soltanto un brutto ricordo. (G. T.). GdB | Settembre 2021

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eguire la rotta della sostenibilità e puntare sui giovani. Il protocollo d’intesa con la promozione del “Servizio civile ambientale e per lo sviluppo sostenibile”, firmato dal ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani e da quello per le Politiche giovanili, Fabiana Dadone, mira a promuovere green economy, tutela del nostro pianeta, circolarità e volontariato. Sono previsti programmi e progetti indirizzati alla rivoluzione verde e alla transizione ecologica. Dieci i milioni di euro messi dal Mite per l’anno 2022 e altri dieci per quest’anno stanziati dal Dipartimento per le politiche giovanili. La proposta, ora diventata realtà, era stata lanciata a giugno 2020 dell’ex parlamentare del Movimento cinque stelle, Alessandro Di Battista e da Lapo Sermonti, esperto di protezione ambientale del Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo (IFAD) delle Nazionali Unite, ispirandosi all’ambizioso progetto Green New Deal della parlamentare democratica statunitense Alexandria Ocasio-Cortez (2019). Nel marzo scorso, poi, l’idea era stata ripresentata, durante una conferenza stampa alla Camera dai deputati di FacciamoECO - Federazione dei verdi, da Andrea Cecconi, Lorenzo Fioramonti, Alessandro Fusacchia, Antonio Lombardo e Rossella Muroni. Tra gli obiettivi messi nero su bianco in primis c’è l’intenzione di aumentare il numero degli operatori volontari da

utilizzare, anche per aiutare gli enti territoriali, in piani d’intervento e progetti dedicati alle tematiche ambientali. Con la speranza di far incontrare subito domanda e offerta saranno potenziate sia le conoscenze e competenze degli enti di servizio civile universale, che aderiranno all’iniziativa tramite percorsi di capacity building (sviluppo delle capacità) sia quelle degli operatori volontari sulle questioni connesse alla sostenibilità e al cambiamento ecologico con specifici corsi di formazione. Nel protocollo, di durata biennale, non manca la valorizzazione del saper fare dei volontari basandosi sulle prospettive dell’economia “verde”, con un occhio rivolto pure verso «le nuove professionalità richieste in settori quali la tutela e valorizzazione delle biodiversità, la lotta allo spreco alimentare, la promozione delle energie rinnovabili, lo sviluppo delle nuove tecnologie ambientali, la digitalizzazione, l’economia circolare, la bio-economy, la tutela del patrimonio marino-costiero, la blue economy, la lotta al marine litter, il Green Public

RIVOLUZIONE E TRA 20 milioni di euro per il servizio

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Procurement e i Criteri Ambientali Minimi, l’educazione ambientale e allo sviluppo sostenibile». «Il futuro - ha detto il ministro, Fabiana Dadone - dipende dallo stato di salute del pianeta in cui vivranno le giovani generazioni ed è sempre più chiaro che sia necessario fare un cambio di rotta verso un mondo sostenibile e ad impatto zero. In origine il servizio civile fu pensato come alternativa al fermo obbligatorio; oggi il futuro si costruisce e si protegge con le competenze ambientali, oggi conoscere e studiare mettendo in pratica le proprie conoscenze è difendere non solo la patria ma il pianeta intero. La responsabilità, il rispetto, l’onore e la disciplina sono valori tutti proiettati verso la tutela dell’ambiente, delle risorse idriche, la prevenzione degli incendi e dell’inquinamento. Oggi parte la rivoluzione verde, possiamo dare ai ragazzi l’opportunità e gli strumenti per diventare parte attiva del cambiamento». Quel cambiamento potrebbe essere sempre più vicino orientando i giovani, com’è stato previsto, verso impegni nei settori dell’agricoltura, del manifatturiero, nell’ambito della ricerca e sviluppo, dell’amministrazione

Il protocollo d’intesa con la promozione del “Servizio civile ambientale e per lo sviluppo sostenibile”, firmato dal ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani e da quello per le Politiche giovanili, Fabiana Dadone, mira a promuovere green economy, tutela del nostro pianeta, circolarità e volontariato © artjazz/shutterstock.com

e dei servizi che contribuiscono in maniera incisiva a preservare e restaurare la qualità ambientale, con un particolare riferimento all’occupazione femminile. Gli operatori volontari dovranno dare impulso ad attività educative rivolte alla comunità o a particolari categorie, con lo scopo di curare la diffusione della cultura legata alla sostenibilità ambientale, sociale e darsi da fare in «servizi finalizzati all’attuazione delle azioni comprese nell’ambito delle Strategie nazionali, regionali e locali per lo sviluppo sostenibile, in particolare per organizzazioni private e pubbliche amministrazioni». Il ministero della Transizione ecologica, ricorrendo alle proprie strutture, nonché a quelle degli enti di ricerca vigilati, s’impegna ad organizzare e portare a termine le attività di formazione destinate ai ragazzi. Oltre alle risorse umane interne, a salire in cattedra potrebbero essere, quindi, professionisti dell’Istituto Superiore di Protezione e Ricerca Ambientale (ISPRA), del Sistema Nazionale per la Protezione Ambientale (SNPA), di università e centri di ricerca pubblici e delle associazioni di protezione ambientale riconosciute. Alla conclusione del servizio civile ambientale verrà rilasciata, di comune accordo tra il Dipartimento e il Mite, un’attestazione delle competenze apprese e messe in pratica. (G. P.).

ANSIZIONE VERDE civile dedicato alla Natura

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rca vive. Il più grande impianto al mondo di cattura dall’aria e stoccaggio della CO2 è entrato in funzione a settembre in Islanda. È stato chiamato Orca, visto il suono della parola che in islandese ricorda “energia”, ed è in grado di catturare ogni anno 4000 tonnellate di CO2 e iniettarla nel sottosuolo dove si trasformerà in pietra. Si tratta di un sistema innovativo, dai costi per ora ancora abbastanza proibitivi, che potrebbe però in futuro se replicato su larga scala diventare un ottimo metodo per tentare di assorbire CO2 e partecipare così alla lotta al surriscaldamento globale. L’impianto è costato tra i 10 e i 15 milioni di dollari di investimento e ogni anno assicura di assorbire più o meno l’equivalente delle emissioni annuali di oltre 800 auto. Poco prima di metà settembre Orca è stato acceso per la prima volta ed è entrato ufficialmente in funzione dopo un lungo lavoro di progettazione e realizzazione portato avanti dalla società svizzera Climeworks AG in collaborazione con l’islandese Carbfix, entrambe realtà che hanno come obiettivo lo sviluppo di sistemi di cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica. Di fatto, Orca funziona così: grazie a una serie di

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ventilatori posizionati in uno dei collettori-edificio viene aspirata dall’aria l’anidride carbonica che finisce appunto in un grande collettore dotato di materiali filtranti. Una volta riempito di CO2 il collettore viene chiuso e vengono elevate le temperature interne per far sì che la CO2 venga rilasciata: a questo punto la CO2 viene miscelata con l’acqua e iniettata a mille metri di profondità nella roccia basaltica del sottosuolo dove viene mineralizzata. Con il passare dei mesi si trasforma quindi in pietra. Il grande impianto si trova nel sud-ovest dell’Islanda nel parco geotermale di Hellisheidi, a poche decine di chilometri dalla capitale Reykjavik, ed è alimentato con l’energia prodotta dalla centrale geotermica del luogo. È stato realizzato in poco tempo, con i lavori iniziati a fine 2020 ed è ispirato a un progetto simile installato nel 2017. L’impianto di “cattura diretta dell’aria” (Direct Air Capture o DAC) è caratterizzato da diverse ventole alte circa un metro che, assorbendo l’aria, danno il via all’intero processo. Una parte della CO2 assorbita con questo sistema potrà essere anche trasformata in carburante con l’aggiunta di idrogeno, oppure immagaz-


Ambiente

IN ISLANDA IL PIÙ GRANDE IMPIANTO AL MONDO PER LA CATTURA DI CO2

Si chiama “Orca” ed è in grado di stoccare ogni anno circa 4mila tonnellate di anidride carbonica nel sottosuolo

zinata in contenitori in pressione con lo scopo di essere venduta ad aziende che producono bibite gasate. Per Christoph Gebald, uno dei due fondatori e co-direttore di Climeworks, Orca è un punto di partenza per “un mercato che non esiste ancora ma che deve essere costruito urgentemente” ha dichiarato spiegando che gli attuali costi sono ancora alti rispetto agli obiettivi. Attualmente si stimano ancora costi elevati infatti per l’intero processo: tra i 600 e gli 800 dollari per tonnellata di anidride carbonica, con lo scopo però in futuro di scendere prima a circa 300 dollari per tonnellata entro il 2030 e poi a un valore fra i 100 e i 150 dollari per iniziare ad essere vantaggioso. Lo scopo, per entrambe le start up ideatrici, è combattere la crisi climatica, ma per farlo impianti come Orca dovranno essere replicabili e sviluppabili altrove, anche se va detto che l’Islanda è un’ottima base di partenza che gode di riserve di energia geotermica da sfruttare che altrove non ci sono. Per la prima ministra islandese Katrin Jakobsdottir, intervenuta durante l’inaugurazione, Orca “sembra quasi una storia di fantascienza ma di fatto è un passo importante per raggiungere le emissioni zero, necessarie per gestire la crisi climatica”, mentre secondo il direttore del programma di ricerca sulla riduzione di anidride carbonica dell’Università di Princeton, Stephen Pacala, in futuro “potrebbe essere davvero un affare. Davvero un mercato molto

È stato chiamato Orca, visto il suono della parola che in islandese ricorda “energia”, ed è in grado di catturare ogni anno 4000 tonnellate di CO2 e iniettarla nel sottosuolo dove si trasformerà in pietra. Si tratta di un sistema innovativo, dai costi per ora ancora abbastanza proibitivi, che potrebbe però in futuro se replicato su larga scala © nexusby /shutterstock.com

grosso”. Il progetto divenuto realtà in Islanda è solo uno, di fatto, dei tanti sistemi - sempre più di cattura e stoccaggio - che si stanno sperimentando nel mondo nel tentativo di ridurre la CO2. Nel globo esistono oggi circa tra i 15 e i 20 impianti di cattura diretta dell’aria che catturano più di 9.000 tonnellate di CO2 all’anno, secondo l’IEA, e diverse tecnologie basate su differenti sistemi sono in funzione o fase sviluppo, come per esempio metodi implementati su riforestazione, idrogeno, fertilizzazione degli oceani con ossidi di ferro per avere più plancton, sviluppo di alghe e diversi processi biologici. Il Regno Unito nel suo piano verde ha dedicato un miliardo sui dodici messi a disposizione allo sviluppo di tecnologie come queste. Nonostante questi impianti però, le cifre di tonnellate di anidride carbonica assorbite ogni anno sono ancora troppo poche per contare davvero nella lotta al surriscaldamento. La buona notizia è però quella che sono in fase di crescita e sviluppo sempre più tecniche che, se trasformate su larga scala, potrebbero giocare una partita importante: si va da impianti canadesi che cercano di realizzare una sorta di “benzina” che non emette nuova CO2 perché aspira quella già presente in atmosfera sino a un progetto in atto a Chicago negli Usa dove si tenta attraverso una cella solare di catturare l’anidride carbonica e trasformarla in carburante con un sistema simile alla fotosintesi. (G. T.). GdB | Settembre 2021

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Ambiente

© MAXSHOT.PL/shutterstock.com

LA FITOESTRAZIONE PER SALVARE L’AMBIENTE Phytomining e fitorisanamento come soluzioni all’inquinamento dell’industria mineraria

di MIchelangelo Ottaviano

T

ra le attività umane che hanno un impatto negativo sull’ambiente l’industria mineraria spicca per essere una di quelle con le ripercussioni più consistenti. I motivi per cui l’estrazione di materie prime è particolarmente problematica sono diversi, e vanno dal forte inquinamento dei macchinari fino ad arrivare al modo in cui tale processo modifica il territorio circostante. È ormai tanto tempo che ricercatori e scienziati cercano soluzioni alternative ai metodi tradizionali più invasivi. Una soluzione molto suggestiva e in perfet-

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ta sintonia con le esigenze ambientali è quella che coinvolgerebbe le piante in un processo chiamato phytomining, anche detto fitoestrazione. Circa 700 delle numerosissime specie di piante tuttora conosciute sono in grado di assorbire dal terreno e trattenere significative quantità di metalli senza risentire di effetti negativi. Proprio in virtù di questa caratteristica vengono definite piante iperaccumulatrici: sono un esempio il salice, il girasole o l’alisso giallo. Tra i metalli che trattengono ci sono lo zinco, il cobalto e il nichel, necessari per

la realizzazione di moltissimi oggetti di uso comune. In breve, la fitoestrazione consiste nel coltivare e raccogliere piante che trattengono grandi quantità di metalli, a loro estraibili tramite processi chimici. Tra gli scienziati che si sono dedicati alla fitoestrazione, spicca la figura di Antony van der Ent (ricercatore di biogeochimica all’Università del Queensland), le cui ricerche hanno stimolato la sperimentazione di questo metodo sostenibile nel parco nazionale di Kinabalu (isola del Borneo), dove si sta costituendo una vera e propria agro-miniera. I risultati che emergono dal parco patrimonio dell’UNESCO sono molto incoraggianti e stanno catturando l’attenzione di imprenditori e investitori. È un processo che ha tutte le caratteristiche per essere utilizzato su larga scala anche per l’estrazione di cobalto, tallio e selenio. Nonostante tali tecniche siano efficaci e molto poco dannose all’ambiente restano ancora delle soluzioni complementari ai metodi tradizionali. Un altro grande vantaggio è sempre collegato ai limiti dell’estrazione tradizionale, in particolare al lungo ed oneroso processo di bonifica dei terreni, che viene fatto (o meglio, dovrebbe) dopo il rilascio nel suolo dei componenti chimici impiegati per separare i metalli dai minerali grezzi. Ecco quindi che sviluppare in parallelo ai metodi tradizionali la fitoestrazione e, nello specifico del caso, il fitorisanamento del suolo, si prospetta come una soluzione sostenibile ed economica per le imprese. Quest’ultimo processo si verifica poiché le piante iperaccumulatrici catturano le sostanze nocive del suolo, ed è già stato sperimentato come metodo di bonifica in diversi paesi europei tra cui l’Italia. In Francia, nell’ambito di un piccolo progetto di bonifica, è stato dimostrato che le piante erano riuscite ad assorbire buoni livelli di nichel, zinco e cadmio; in Italia sono state sperimentate tecniche di fitorisanamento sia coi girasoli che con la brassica, un’altra pianta erbacea.


Ambiente

L

a preoccupazione degli scienziati attorno all’aumento globale delle temperature non è cosa nuova. Il cambiamento climatico, lo scioglimento dei ghiacciai e l’alterazione degli equilibri ecosistemici sono i fenomeni più grandi e più noti che il surriscaldamento ci ha fatto conoscere. Ma un altro pericolo ultimamente sta catturando l’attenzione della comunità scientifica, ed è strettamente legato allo scioglimento dei grandi ghiacci artici. Il termine spillover, in italiano “salto di specie”, definisce quel fenomeno per cui un virus riesce a trovare un nuovo ospite da infettare e in cui riprodursi. Infatti, sebbene molti virus abbiano un unico ospite naturale, può succedere che essi riescano a infettare nuove specie: sono un esempio il virus dell’influenza A, Ebola e Sars-Cov-2. In questo fenomeno le particelle virali devono attaccarsi a recettori specifici sulla cellula del loro ospite. Ad aumentare le possibilità di questo fenomeno ci sono numerosi fattori e la comunità scientifica è concorde nel pensare che i salti di specie continueranno a verificarsi con sempre maggiore frequenza. Uno studio dei ricercatori dell’Università di Ottawa (Canada) ha suggerito che lo spillover potrebbe essere alimentato anche dal cambiamento climatico, in quanto questo processo sta trasformando gli ambienti e gli equilibri tra le specie che li popolano. Nello studio, non ancora sottoposto alla revisione tra pari, il team di ricercatori ha cercato di quantificare il rischio di salto di specie e di come viene modificato per effetto del cambiamento climatico, concentrandosi sui campioni prelevati dal lago Hazen, nell’Artico. Grazie alle sue grandi dimensioni, alla varietà di organismi e di ambienti che si trovano all’interno del suo bacino e alla sua localizzazione, il lago Hazen rappresenta un sistema ideale per esaminare gli impatti dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi di acqua dolce dell’Artico. I ricercatori hanno

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LO SPILLOVER E IL CAMBIAMENTO CLIMATICO Uno studio dei ricercatori dell’Università di Ottawa (Canada) ha suggerito che il salto di specie dei virus sarebbe aumentato dal global warming

quindi analizzato i campioni di suolo e di sedimenti presenti nel lago attraverso il sequenziamento di Dna e Rna dei virus e degli ospiti eucariotici che costituiscono la biosfera del lago. Successivamente hanno analizzato i dati ottenuti utilizzando un algoritmo in grado di stimare il rischio di spillover. Grazie a questo metodo, è stato notato che il rischio di salto di specie è più elevato nei campioni di lago vicini al punto in cui sfocia un maggior volume di acqua proveniente dallo scioglimento dei ghiacciai vicini. Insomma, i dati sembrano indicare che i cambiamenti climatici, di cui il

disgelo dei ghiacciai rappresenta un indicatore diretto, sono legati a un maggiore rischio di salto di specie dei virus. Ciò non significa che bisogna temere nuove epidemie di virus sconosciuti: affinché il salto di specie avvenga c’è bisogno di alcuni organismi “ponte” che servono al virus per riprodursi prima di passare all’ospite definitivo. Questi dati però non devono nemmeno essere sottovalutati. Non sono altro che l’ennesimo segnale che la terra manda, un segnale di arresto nei confronti un’emergenza climatica mondiale che sembra ormai inarrestabile. (M. O). GdB | Settembre 2021

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Ambiente

«L’

incarico di guidare la task force suggella i tanti anni di lavoro a fianco di università e industria italiane sulle nuove tecnologie e sul calcolo del potenziale energetico del mare» ha dichiarato Gianmaria Sannino, responsabile del Laboratorio Enea di Modellistica Climatica e Impatti e chair del team di ricerca europeo. «La task force avrà il compito di traghettare il settore dell’energia dal mare dalla attuale fase di sviluppo tecnologico dei dispositivi alla piena operatività commerciale, attraverso l’incremento del livello di maturità tecnologica dei singoli dispositivi sperimentali e di tutta la filiera industriale, la ricerca di strumenti finanziari e lo sviluppo di standard e certificazioni ambientali» ha aggiunto il ricercatore. Maria Vittoria Struglia, ricercatrice del Laboratorio Enea di Modellistica Climatica e Impatti, ha spiegato: «Grazie a questa indagine potremo conoscere lo stato di avanzamento tecnologico dei progetti, i finanziamenti e gli incentivi disponibili per il settore a livello europeo. Ci sarà, inoltre, un focus su tutti gli aspetti cruciali che riguardano la fase di messa a mare dei dispositivi, come la disponibilità di laboratori naturali, l’infrastruttura di rete, le procedure autorizzative e la presenza o meno di una pianificazione dello spazio marittimo». Enea è impiegata sull’energia dal mare con le attività finanziate dall’accordo di Programma con il Ministero dello Sviluppo Economico, che prevedono la realizzazione di un prototipo in scala del PeWEC, in collaborazione con il Politecnico di Torino, e il suo utilizzo nei test di laboratorio in condizioni di onda estrema. Le attività di ricerca in corso hanno lo scopo di ridurre il costo dell’energia prodotta, fino a raggiungere un valore di interesse per applicazioni reali in ambiente insu-

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LA PRIMA INDAGINE NAZIONALE SULL’ENERGIA DAL MARE Enea guida una task force europea per sfruttare l’energia da correnti di marea e onde marine

di Pasquale Santilio lare. Inoltre, le attività prevedono lo studio della predicibilità dello stato del mare e, di conseguenza, dell’energia marina disponibile nel bacino Mediterraneo, su scala di tempo stagionale. «Attraverso questi studi sarà possibile prevedere con largo anticipo gli uragani mediterranei, i cosiddetti medicane, che per dimensioni e forza possono mettere a rischio le infrastrutture offshore», ha sottolineato Irene Cionni, ricercatrice Enea del gruppo di studio. La Ue ha obiettivi molto ambiziosi in tema di lotta ai cambiamenti climatici, vale a dire l’azzeramento delle emissioni di gas serra e neutralità cli-

matica al 2050. «Il raggiungimento di questi obiettivi passa anche dal mare, dal momento che tra le tecnologie delle energie rinnovabili quelle offshore presentano il maggior potenziale di espansione» ha commentato Gianmaria Sannino. Lo sfruttamento dell’energia dal mare sta accelerando in molte parti del mondo. Tuttavia, l’Europa resta leader sia a livello tecnologico che per capacità di sfruttamento; infatti, è riconducibile a società Ue il 66% dei brevetti per l’energia da correnti di marea, il 44% di quelli per l’energia dalle onde e il 70% della capacità energetica globale. GdB | Settembre 2021

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Innovazione

SENSORI STAMPABILI A MISURA DI PAZIENTE Uno studio pubblicato su Scientific Reports evidenzia i vantaggi degli elettrodi a base di nanoparticelle di argento per l’elettromiografia di superficie

di Elisabetta Gramolini

U

n nuovo studio ha osservato la valenza delle nanoparticelle d’argento (AgNP) usate per realizzare sensori impiegati nella elettromiografia di superficie (sEMG), la metodica usata tra l’altro per la diagnosi di malattie muscolari o neuromuscolari e la riabilitazione. Rispetto ai materiali di ultimissima generazione, gli elettrodi a base di nanoparticelle del prezioso metallo hanno mostrato una serie di vantaggi: sono a basso costo, di facile utilizzo e velocemente realizzabili grazie alla stampa a getto d’inchiostro, per acquisire e analizzare i segnali. Il lavoro, pubblicato sulla rivista scientifica Scientific Reports, è stato condotto nel laboratorio di Neuroscienze e tecnologie applicate dell’IRCCS Santa Lucia dal team di ricerca coordinato da Viviana Betti del Dipartimento di Psicologia della Sapienza, in collaborazione con l’azienda romana di ricerca applicata in neuroscienze BrainTrends, l’Università di Padova, il Consorzio nazionale inter-universitario per le telecomunicazioni di Roma (Cnit) e il Centro nazionale di neurologia e psichiatria giapponese (Ncnp). Finora l’impiego dell’elettromiografia di superficie nel campo delle neuroscienze per misurare il segnale elettromiografico durante scenari di vita quotidiana è stato limitato a causa di complesse procedure di fabbrica-

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zione, materiali costosi e la necessità di una notevole preparazione degli operatori. Negli ultimi anni, infatti, i nanomateriali utilizzati, come grafene, nanofili d’argento e nanotubi di carbonio, hanno mostrato significativi limiti, quali mancanza di riproducibilità, conduttività limitata, instabilità e costi solitamente elevati. La ricerca coordinata dall’ateneo romano, invece, propone un completo cambio di paradigma nella prototipazione e nella produzione di sensori stampabili per la elettromiografia: introduce una tecnologia di fabbricazione print and play ultrarapida, economica e sfruttabile da qualsiasi laboratorio, per sistemi di misurazioni elettrofisiologiche personalizzabili, anche senza specifiche competenze. L’idea è di fornire ai clinici una piattaforma di fabbricazione costituita da strumenti di facile impiego. A questo scopo il team di ricerca è stato in grado di ottimizzare ogni fase del processo produttivo, per mantenere bassi i costi. Gli inchiostri a base di nanoparticelle d’argento commerciali hanno dimostrato essere molto più stabili e riproducibili, garantendo migliori prestazioni. In più, tali sensori sono progettabili in modo completamente personalizzato, a seconda dell’applicazione e delle esigenze dell’utente finale. Inoltre, a differenza di numerose altre interfacce uomo-macchina che hanno una


Innovazione

buona trasduzione del segnale e classificazioni appropriate e accurate, la trasduzione del segnale per l’elettromiografia resta invece un punto critico, in particolare per quelle applicazioni che richiedano geometrie di elettrodi personalizzate e che si adattino a esigenze specifiche del paziente. Questo lavoro contribuisce agli sforzi della ricerca sullo sviluppo di strumenti nuovi e a basso costo, che permettano di evolvere verso applicazioni indossabili, scalabili e personalizzabili. Lo scopo della ricerca era infatti aiutare pazienti e operatori sanitari a migliorare la pratica clinica e la fase di riabilitazione da malattie o lesioni neuromotorie, con un approccio al paziente sempre più personalizzato. “Abbiamo progettato matrici per l’elettromiografia di superficie a otto canali per misurare l’attività muscolare dell’avambraccio, utilizzando inchiostri innovativi a base di nanoparticelle d’argento per stampare i sensori direttamente incorporati in ogni matrice, con una stampante commerciale a getto d’inchiostro”, dichiara Viviana Betti della Sapienza. “Abbiamo poi acquisito i dati per l’elettromiografia di superficie multicanale dai 12 partecipanti, mentre eseguivano ripetutamente dodici movimenti standard delle dita, sei estensioni e sei flessioni”. I sensori sono risultati in grado di registrare valori significativamente simili tra le differenti ripetizioni di uno stesso gesto, per ciascun partecipante, e una differenza abbastanza ampia tra i diversi movimenti. Confrontati vari modelli predit-

Finora l’impiego dell’elettromiografia di superficie nel campo delle neuroscienze per misurare il segnale elettromiografico durante scenari di vita quotidiana è stato limitato a causa di complesse procedure di fabbricazione, materiali costosi e la necessità di una notevole preparazione degli operatori.

© Pixel B/shutterstock.com

© Roman Zaiets/shutterstock.com

tivi, è emerso un buon livello di accuratezza complessiva della classificazione nel riconoscimento di specifici gesti delle dita della mano (93-95%), sia per la flessione che per l’estensione. “Infine – continua Betti – utilizzando simulazioni FEM (metodo a elementi finiti), si potrebbero ottenere anche ulteriori personalizzazioni dell’acquisizione per la elettromiografia di superficie, per adattarla a diversi scopi: rendendola, ad esempio, meno invadente nel monitoraggio continuo nella vita quotidiana, o con una configurazione più densa per test clinici molto fini, durante l’allenamento motorio”.

Gli elettrodi di superficie

L’

elettromiografia di superficie (sEMG) rappresenta l’approccio classico e non invasivo per indagare l’attività muscolare. Mediante due elettrodi collocati sulla pelle è possibile, infatti, misurare la differenza di tensione tra due posizioni sopra il muscolo da esaminare, permettendo di registrare l’attività muscolare durante qualsiasi attività motoria, come la presa di un oggetto, il movimento degli arti o l’andatura. La metodica è molto utilizzata nella realizzazione e nel controllo di protesi robotiche come interfaccia muscolo-computer per il monitoraggio dei dispositivi riabilitativi: in questo contesto svolge un ruolo rilevante il riconoscimento di gesti specifici, o gesture recognition, basato sulla sEMG con l’obiettivo di interpretare i gesti umani attraverso algoritmi matematici.

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Beni culturali

IL CASTELLO DI BRESCIA LUOGO DEL CUORE

Simbolo della città lombarda, si è piazzato al terzo posto tra i Luoghi del Cuore 2020 del FAI La sua è una storia lunga tremila anni e nei suoi sotterranei vive un insetto unico al mondo

di Rino Dazzo

N

el fare i complimenti al sindaco Emilio Del Bono per il terzo posto ottenuto nella classifica dei Luoghi del Cuore 2020 il presidente del Fai Andrea Carandini ha pronunciato parole assai significative: «Il Castello di Brescia rappresenta l’identità della città. Tutta Brescia ha votato per lui». Arroccato

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sulle pendici del colle Cidneo, in effetti, l’imponente castello guarda da oltre tremila anni con benevolenza e ammirazione alla città che si estende ai suoi piedi, figura rassicurante e protettiva e al tempo stesso scrigno inestimabile di tesori, bellezze e memorie. Solo due attrazioni lo hanno preceduto nella graduatoria dei luoghi più amati


Sede nel 1904 dell’Esposizione Industriale Bresciana, al suo interno sono poi stati allestiti il Museo del Risorgimento, il Museo di Scienze Naturali con giardino zoologico e il Civico Museo delle Armi Luigi Marzoli.

i dominatori più disparati? Probabilmente il fatto che il castello sia al suo posto da... sempre. I primi insediamenti sul colle Cidneo, così chiamato in ossequio alla leggenda della fondazione di Brescia da parte del re ligure Cidno, risalgono infatti a circa tremila anni fa, all’età del Bronzo. Fu allora che, nel luogo dove oggi sorge il castello, venne edificato un tempio dai Celti, dedicato probabilmente al dio Bergimus. Quando nel 197 a.C. l’esercito romano guidato da Caio Cornelio Cetego sconfisse la coalizione celtica di Cenomani e Insubri e prese possesso della città, l’area del tempio fu inglobata nel perimetro cittadino. Dopo tre secoli, i Romani provvidero alla costruzione di un tempio dedicato al Genius Coloniae, proprio nel luogo dove oggi fa bella mostra di sé il Mastio visconteo: parte delle gradinate e parte delle mura interne di sostegno sono quel che resta dell’antica costruzione imperiale. Nel V seco-

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© Artyart petrmalinak/shutterstock.com

promossa annualmente dal Fai e che nell’ultima edizione ha visto una partecipazione record: la Ferrovia Cuneo-Ventimiglia-Nizza, che ha totalizzato 75.586 voti, e il Castello e Parco di Sammezzano a Reggello (62.690). Il Castello di Brescia di voti ne ha raccolti 43.469, frutto di una vera e propria mobilitazione popolare che ha consentito di piazzare una clamorosa rimonta in extremis. Terzo posto valso 30.000 euro messi a disposizione da Fai e Intesa San Paolo, utilizzati – come ha spiegato il primo cittadino – «per un’illuminazione suggestiva della strada del Soccorso disegnata con il contributo di un’associazione culturale, gli Amici del Cideo». Ma cos’è che rende il castello una vera e propria istituzione per i bresciani, simbolo e motivo d’orgoglio per una città che ha visto succedere tra le sue mura

Fonte: www.bresciamusei.com

Beni culturali


lo, con l’inizio delle invasioni barbariche, il tempio e l’area circostante furono riconvertite in fortificazione con spiccate funzioni difensive. L’intero colle Cidneo divenne un’area sacra, con la costruzione di un martyrium paleocristiano e successivamente di una basilica, purtroppo distrutta nel XVI secolo dallo scoppio di una polveriera e di cui oggi rimane solo una torre, conosciuta come Torre Mirabella, che faceva parte della facciata. Molto importante per la storia del castello è stato il periodo visconteo, iniziato nel 1337 e durante il quale fu costruito il poderoso mastio, che in sostanza era l’appartamento privato del capitano della guarnigione. Attorno al torrione centrale fu poi realizzato un sistema difensivo con sei torri, fossati, ponti levatoi e la Strada del Soccorso, un suggestivo passaggio da utilizzare come via di fuga o per i rifornimenti d’emergenza. Anche l’avvento dei Veneziani, nel XV secolo, cambiò fisionomia al castello. Le torri, infatti, furono modificate: da pianta quadrata a circolare, in modo da resistere meglio ai colpi delle armi da fuoco. Inoltre, dopo il ritorno di Venezia in seguito al breve periodo di dominazione francese, fu ampliata la strada del Soccorso, furono costruiti i baluardi di San Pietro, San Marco, San Faustino e della Pusterla e fu realizzata la cinta bastionata. Al suo interno c’erano depositi, caserme, chiese, polveriere e forni. Utilizzato anche come luogo di prigionia, il Castello di Brescia è stato il luogo dove si arroccarono i protagonisti delle “Dieci Giornate”, una delle pagine più significative del Risorgimento. Nel 1849 i bresciani si ribellarono agli austriaci, cacciandoli dalla città e resistendo stoicamente per dieci giorni appunto, dal 23 marzo al 1° aprile, prima di essere piegati dalle truppe guidate dal generale von Haynau: una resistenza tenace 60 GdB | Settembre 2021

Utilizzato anche come luogo di prigionia, il Castello di Brescia è stato il luogo dove si arroccarono i protagonisti delle “Dieci Giornate”, una delle pagine più significative del Risorgimento.

© Pryimachuk Mariana/shutterstock.com

Beni culturali

e appassionata che valse all’intera città di Brescia l’appellativo di “Leonessa d’Italia”. Sede nel 1904 dell’Esposizione Industriale Bresciana, al suo interno sono poi stati allestiti il Museo del Risorgimento, il Museo di Scienze Naturali con giardino zoologico e soprattutto il Civico Museo delle Armi Luigi Marzoli, con oltre mille pezzi che documentano la produzione armiera bresciana e milanese dal ’400 a ’700. Insieme al giro delle torri, alle passeggiate lungo la strada del Soccorso e alla visita degli spazi museali, è d’obbligo un salto nei sotterranei del castello che racchiudono testimonianze di epoca romana e di tutti i periodi successivi: un salto all’indietro nella storia coinvolgente e appassionante, ma anche l’occasione per ammirare un animaletto che non è possibile vedere da nessun’altra parte. I sotterranei, infatti, hanno pure un’altra peculiarità: sono abitati da un insetto unico al mondo. Nel 1937 è stata scoperta una particolare specie di coleottero che si è sviluppata soltanto tra gli antichi corridoi e le fondamenta della rocca, denominata «Boldoria Ghidinii» in onore del suo scopritore, l’entomologo Gian Maria Ghidini, e del suo maestro, il naturalista Leonida Boldori. La caratteristica più significativa di questo insetto è che è completamente cieco.

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Beni culturali

S

i chiama “Deep Learning” ed è una nuova tecnica basata su Intelligenza Artificiale e algoritmi di reti neurali che, a partire da immagini e fotografie, permette di studiare e classificare i testi dell’antico Egitto indipendentemente dal supporto su cui sono stati scritti. La sperimentazione è frutto della collaborazione tra Istituto di fisica applicata “Nello Carrara” del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ifac), Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Firenze e Centro Studi CAMNES (Center for Ancient Mediterranean and Near Eastern Studies). «Le tecniche basate sulle reti neurali profonde pervadono ormai tutti i campi della conoscenza - spiega Barucci del Cnr-Ifac ed esperto di analisi di immagini biomediche con tecniche di machine e deep learning - Noi ci siamo chiesti se tale paradigma poteva essere traslato in un ambito apparentemente distante e diverso, come il riconoscimento di simboli antichi. La nostra esperienza nel campo delle immagini cliniche ci suggeriva che le reti neurali fossero strumenti estremamente potenti e versatili, tuttavia la sfida era aperta». Lo studio consentirà sia la traduzione automatica di antichi documenti egizi sia la codifica e la traslitterazione dei geroglifici, permettendo all’equipe di approfondire diversi aspetti di una scrittura la cui decifrazione ha lasciato molte questioni aperte e irrisolte nel corso degli anni. «La topo-sintassi dei segni geroglifici combinati per formare parole; l’analisi linguistica dei testi; il riconoscimento di segni corrotti, riscritti, cancellati; fino alla possibilità del riconoscimento della scuola dello scriba o alla mano dello scultore - dice l’egittologo Massimiliano Franci -. L’intuizione dell’esperto è ancora fondamentale nell’integrazione delle complesse analisi fornite dagli algoritmi di intelligenza artificiale e il futuro impoConsigliere tesoriere dell’Onb, delegato nazionale per le regioni Emilia Romagna-Marche e Piemonte-Liguria-Valle D’Aosta.

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© Lisa Strachan/shutterstock.com

L’AI NELL’ANALISI DEI GEROGLIFICI EGIZI La tecnica del “Deep Learning” permetterà di studiare e classificare i testi dell’antico Egitto indipendentemente dal supporto su cui sono stati scritti

di Pietro Sapia

ne una sempre maggiore armonizzazione fra l’analisi informatica e quella umana. Il nostro studio vuole mettere in luce come gli strumenti di analisi basati sull’AI possano supportare le indagini in campo egittologico, integrandosi col lavoro dell’archeologo». Costanza Cucci, esperta in analisi in ambito di Beni Culturali ha raccontato l’importanza della multidisciplinarietà in questo progetto, che «nel facilitare lo scambio e la cross-fertilizzazione fra campi di ricerca diversi, come è successo per questo lavoro, sono state unite competenze di egittologia, ingegneria informatica e fisica applicata».

Fabrizio Argenti, del Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Firenze, ha raccontato come, dal punto di vista ingegneristico, l’equipe fosse certa delle grandi potenzialità offerte dagli strumenti di analisi scelti, ma che fosse assolutamente indispensabile un test pratico di queste nuove applicazioni. I risultati sono stati importanti e incoraggianti. «La speranza – conclude Barucci - è che questo primo studio apra la strada verso una stabile collaborazione fra le comunità che si occupano di archeologia e di intelligenza artificiale, per creare nuovi strumenti che facilitino il lavoro degli studiosi delle scritture delle antiche civiltà». GdB | Settembre 2021

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Sport

EMOZIONI DA PARALIMPIADI DIECI ISTANTANEE DA TOKYO I momenti e i personaggi che hanno scritto pagine memorabili ai Giochi disputati la scorsa estate: dalla tripletta azzurra nei 100 metri femminili alle imprese dei rifugiati

di Antonino Palumbo

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© fifg/shutterstock.com

opo le Olimpiadi, le Paralimpiadi. L’estate magica dello sport italiano si è arricchito di nuovi, splendidi capitoli ai Giochi a cinque cerchi riservati ad atleti con disabilità fisiche, disputati a Tokyo dal 24 agosto al 5 settembre scorsi. Trionfale il bilancio della spedizione azzurra con 69 medaglie totali tra cui 14 ori, 29 argenti e 26 bronzi. Ogni

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podio, una storia. Ogni storia, un esempio straordinario di come spesso non è importante cosa ci riserva la vita, ma come sappiamo affrontarlo. Difficile scegliere dieci momenti o personaggi “copertina”, perché inevitabilmente ne rimarrà fuori qualcuno che ci ha regalato grandi emozioni. Ci abbiamo provato, sperando che gli esclusi ci perdoneranno. LA TRIPLETTA AZZURRA NEI 100 METRI Come Marcel Jacobs,


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più di Marcel Jacobs. Nella finale dei 100 metri categoria T63 (atleti con protesi a un arto), l’Italia ha centrato un’incredibile tripletta, monopolizzando il podio. Al primo posto si è classificata Ambra Sabatini, 19enne grossetana di Porto Ercole; che ha preceduto la pluricampionessa olimpica, mondiale ed europea Martina Caironi, 32 anni, e Monica Contraffatto, classe 1981, già Medaglia al valore dell’esercito e a podio nelle più importanti manifestazioni sportive paralimpiche. IL BIS D’ORO DI BEBE VIO Il bis d’oro di Bebe Vio, 24enne schermitrice veneta, stavolta ha del miracoloso. Dopo l’oro di Tokyo nel fioretto femminile, ottenuto grazie al successo in finale sulla cinese Zhou Jingjing, l’azzurra ha svelato che lo scorso aprile ha rischiato la vita per un’infezione da staffilococco. Ha dedicato la sua nuova impresa ai medici che l’hanno salvata. NUOTO, LA “PRIMA” DI BAARLAM E I 7 PODI DI RAIMONDI Simone Barlaam, 21enne studente della Bocconi di Milano, soprannominato Nemo come il pesciolino del cartone animato, aveva vinto sette mondiali e otto titoli europei nel nuoto. Gli mancava l’oro olimpico e l’ha vinto nei 50 metri stile libero categoria S9, stabilendo il primato dei Giochi. Record di medaglie totali, invece, per Stefano Raimondi

che è salito sul podio per 7 volte con un oro, 4 argenti e 2 bronzi. Doppio trionfo per Francesco Bocciardo, nei 100m e nei 200m stile libero categoria S5. I podi totali nell’Italia nel nuoto sono stati 39, con 11 successi.

Da sinistra, le azzurre Contraffatto, Sabatini e Caironi, autrici della storica tripletta alle Paralimpiadi di Tokyo. Nella finale dei 100 metri categoria T63 (atleti con protesi a un arto), l’Italia ha centrato un’incredibile tripletta. Al primo posto si è classificata Ambra Sabatini, 19enne grossetana di Porto Ercole; secondo posto per Martina Caironi, 32 anni, e terzo poto per Monica Contraffatto, classe 1981, già Medaglia al valore dell’esercito e a podio nelle più importanti manifestazioni sportive paralimpiche.

PARFAIT HAKIZIMANA, LA SPERANZA OLTRE IL DOLORE Originario del Burundi, dove da bambino rimase gravemente ferito al braccio sinistro, Parfait Hakizimana è stato uno dei sei atleti della squadra dei rifugiati alle Paralimpiadi di Tokyo. Ha trovato una nuova casa nel Mahama Refugee Camp, nel vicino Ruanda: lì ha creato una scuola di arti marziali ed insegna a più di 150 persone. SARAH E JESSICA, ICONE DEL NUOTO A 44 anni la britannica Sarah Storey, malgrado un braccio sinistro non completamente sviluppato perché rimasto incagliato nel cordone ombelicale, ha terminato l’ottava Paralimpiade di fila arrivando a toccare quota 17 ori tra nuoto e ciclismo. Non è certo una sconosciuta neppure la statunitense Jessica Long, autentica icona del nuoto, che all’Aquatics Centre si è aggiudicata 6 medaglie (la metà d’oro), toccando quota 29 in carriera. LA

MISSIONE KUKUNDAKWE “I miei

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compagni di classe sono invidiosi perché ho saltato qualche giorno di scuola per allenarmi”. Quanto sono lontani gli insulti e le derisioni, per Husnah Kukundakwe, 14enne dell’Uganda che ha gareggiato nel nuoto alle Paralimpiadi. Il suo obiettivo? Sensibilizzare la comunità del suo Paese e di tutta l’Africa al tema della sensibilità. LUCA MAZZONE, DAL NUOTO ALLA HANDBIKE LA CLASSE NON HA ETA’ Classe ‘71, il polivalente atleta di Terlizzi aveva già vinto due medaglie d’argento nel nuoto ai Giochi paralimpici di Sidney 2000. Poi, dopo il ritiro, ha scoperto la handbike ed è diventato uno dei massimi esponenti mondiali. Due ori e un argento a Rio 2016, ha confermato la sua classe anche a Tokyo, piazzandosi secondo nella prova in linea e a cronometro H2 e conducendo la staffetta mista H1-5 azzurra all’oro. ZHENG TAO, LE GAMBE PIU’ VELOCI DEL MONDO Rimaniamo in vasca per parlare di Zheng Tao, cinese, è stato un autentico dominatore nelle sue gare, diventando un vero e proprio simbolo di Tokyo 2020. “Figlia mia, guardami: so nuotare così velocemente anche se non ho le braccia”, il suo messaggio dopo il poker di suc-

La delegazione italiana alle Paralimpiadi di Tokyo.

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cessi. Già, perché a rendere ancora più speciali le sue imprese è stata proprio l’impossibilità di contare sugli arti superiori.

Bebe Vio. Dopo l’oro di Tokyo nel fioretto femminile, ottenuto grazie al successo in finale sulla cinese Zhou Jingjing, l’azzurra Bebe Vio ha svelato che lo scorso aprile ha rischiato la vita per un’infezione da staffilococco.

CARLOTTA GILLI E GIULIA TERZI, PRESENTE E FUTURO DELLA VASCA AZZURRA Vent’anni, ha trasformato il suo problema agli occhi in una sua personale, totale libertà. Nella vasca olimpica di Tokyo, è stata fra le regine del nuoto azzurro e non solo, conquistando due ori, due argenti, un bronzo e qualche record del mondo sparso qua e là. E sarà una delle “regine” più attese anche a Parigi 2024. Quattro volte campionessa europea, la 26enne milanese Giulia Terzi è a stata a sua volta fra le nuotatrici più applaudite, con due ori e due argenti. SALUME AGEZE KASHAFALI, DA MENDICANTE A CAMPIONE La storia di questo 27enne congolese sembra un romanzo: in patria era un mendicante, in Norvegia un rifugiato, prima di diventare una stella della velocità. Iridato a Dubai e due anni fa, principe d’Europa a Bydgoszcz lo scorso giugno, ha completato l’opera a Tokyo, aggiudicandosi la medaglia d’oro nei 100 metri T12, specialità nella quale detiene il record del mondo.

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cusate il ritardo. Grande assente nell’estatica estate dello sport azzurro, l’Italia del volley si è rifatta con gli interessi dalle delusioni delle Olimpiadi di Tokyo. Con un’impresa storica: per la prima volta la nazionale femminile e quella maschile si sono laureate campioni d’Europa nello stesso anno. Il 4 settembre le ragazze di coach Mazzanti hanno festeggiato il titolo femminile battendo a Belgrado il tabù Serbia, loro giustiziera ai Giochi 2021. Due settimane più tardi ecco i ragazzi di De Giorgi, al primo passo di una rifondazione che ha già dato frutti abbondanti all’inizio della semina: nove vittorie in altrettante partite, l’ultima vinta 3-2 sulla Slovenia alla Spodek Arena di Katowice, in Polonia. L’ultima volta che la nazionale maschile aveva vinto l’Europeo, alcuni dei campioni di oggi andavano ancora all’asilo. Era il 2005 e nella finale di Roma riscattammo l’insuccesso del girone con la Russia, vincendo l’oro in rimonta al tie-break. Fu il titolo che chiuse una fase di gloria senza fine, con sei successi in nove edizioni a partire dall’89 e le sole Unione Sovietica, Olanda e Jugoslavia a interrompere saltuariamente l’onda e con gli azzurri comunque sul podio. Nei successivi sette Europei, l’Italia è entrata fra le migliori in appena tre occasioni: due volte battuta in finale, una volta bronzo. A riportare l’Italvolley al top è stato il pugliese Fefé De Giorgi, uno della cosiddetta “generazione di fenomeni”, che in sette settimane è passato dalla delusione delle Olimpiade al trionfo continentale, puntando sul ricambio generazionale, sulle motivazioni e su scelte coraggiose nei momenti decisivi. Come quella di inserire il mancino Yuri Romanò nel quarto set della finale con la Slovenia, avanti 2-1, una mossa che ha mandato in tilt gli avversari, prima che tornasse in cattedra il 19enne gardesano Alessandro Michieletto, devastante nel tie-break come lo era stato in tutto il torneo (assieme a Daniele Lavia).

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La nazionale di pallavolo femminile dell’Italia (immagine di repertorio).

DUE ORI EUROPEI STORICI PER L’ITALIA DEL VOLLEY Le azzurre di Mazzanti hanno “dimenticato” l’Olimpiade battendo la Serbia, poi il ct degli azzurri De Giorgi ha compiuto un capolavoro nel segno del ricambio generazionale

Regista eccelso della squadra è stato Simone Giannelli, premiato come miglior giocatore degli Europei per carisma, caparbietà e abilità di palleggiatore. Un percorso fenomenale per il collettivo più giovane della manifestazione. E pensare che qualcuno degli azzurri non ha neppure mai giocato nella Superlega nazionale. L’oro delle ragazze di Mazzanti a Belgrado è stato invece la medaglia del riscatto, per un gruppo uscito troppo presto dalle Olimpiadi. Stupendo il percorso delle atlete trascinate da Paola Egonu (mvp dell’Europeo), culminato nell’esemplare finale della Stark Arena. Primo set perso dopo un punto dubbio

per le padrone di casa, poi solo Italia fino al 25-11 (da 3-8!) del quarto e decisivo parziale. Rispetto a Tokyo, Sylla e compagne sono riuscite a esprimere il loro gioco con coraggio e maggiore continuità, soprattutto nei match decisivi, quando le avversarie sono diventate di rango e il livello di difficoltà si è elevato. Tre a zero alla Russia nei quarti, tre a uno alle olandesi in semifinale, poi il gran riscatto con le serbe, con buona pace della fortissima Tijana Boskovic, miglior realizzatrice della manifestazione. Italia prima, Serbia seconda: come nel 2007, quando le azzurre di Barbolini ruppero l’incantesimo, vincendo il primo titolo. (A. P.) GdB | Settembre 2021

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Sport-Intervista

ALESSANDRA PERILLI LA STORIA È UNA QUESTIONE DI TESTA Padre riminese, madre sanmarinese, la 33enne specialista del trap ha regalato alla Repubblica di San Marino la prima storica medaglia olimpica, ripetendosi nella prova a squadre. Ecco la sua storia e i suoi segreti

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entrata nella storia di San Marino con il suo sorriso, il suo occhio e la sua mira. Riminese di nascita, madre sanmarinese, Alessandra Perilli è uno dei “volti” di Tokyo 2021: è stata lei, infatti, a regalare al Titano la prima, storica medaglia olimpica. E dopo il bronzo nella gara individuale nel tiro a volo, specialità trap, la 33enne riminese si è migliorata prendendosi l’argento nella prova a squadre con Gian Marco Berti. Ha iniziato la finale pensando “Non posso arrivare di nuovo quarta”. Come ha tradotto il proposito in medaglia? Fino alla finale ho pensato solo a tirare, con serenità. Poi la tensione sale, specie quando arriva qualche zero. Si è fatta dura quando siamo rimaste in quattro. Peraltro, non sapevo i piattelli di vantaggio o svantaggio: non guardo mai i punteggi. Qual è stato il momento decisivo? Quando mi sono detta: “Non mollare ora”. Peraltro, non ho ancora visto la finale... Come si battono i “fantasmi” che vengono fuori in gara? Da undici anni vado da una bravissima psicologa che mi ha insegnato qualche trucco per non “cadere”. Un esempio? Cambiare abitudini, ad esempio il passo fra una pedana di tiro e l’altra. Di solito sono veloce, ma nel mese precedente le Olimpiadi ho inizia-

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to ad andare più lentamente, gustandomi la camminata. Se ti soffermi su quello che fa, lo percepisci in maniera diversamente e questo ti aiuta a stemperare. Com’è stata festeggiata al ritorno a casa? In tutti i modi immaginabili. Ma l’emozione più grande è stata riabbracciare mio figlio Maykol, mi era molto mancato. Ha abitudini o riti particolari prima o alla vigilia della gara? Quando sono in trasferta, prego sempre, anche solo per chiedere a Dio di proteggere mio figlio o i miei nonni, quando non sono assieme a loro. E poi ho il vizio di sistemarmi i calzonzini durante la gara, in campo: non riesco a correggerlo, fa parte di me. A Londra fu quarta, dopo lo spareggio a tre per l’argento. Stavolta ha preso il bronzo individuale e l’argento a squadre con Gian Marco Berti. Cosa è cambiato? Sono diventata molto più sicura. Ho capito qual era la squadra da percorrere. Se in futuro non dovesse più funzionare, ne troveremo un’altra. Alle Olimpiadi si incontrano tanti miti: qual è il suo? A Tokyo eravamo rinchiusi, a parte la gara. L’esperienza memorabile è stata quella di Londra. Lì, quando ho incontrato Federica Pellegrini, sono rimasta a bocca aperta. Però è capitato anche a lei di venire rico-


Sport - Intervista

nosciuta, al ristorante... Sì, è successo a Bellaria un paio di anni fa. La madre di un ragazzo disabile, che mi stava fissando, si è avvicinata scusandosi e spiegandomi che il figlio mi aveva riconosciuta e mi ha chiesto conferma che fossi io. Papà tiratore, sorella tiratrice: percorso naturale. Quali sono i primi ricordi? Mia sorella sparava già da dieci anni quando ho cominciato. Ed era in nazionale. Per cui batterla in una gara in notturna, quando avevo 14 anni, è stato davvero una grande emozione. Oltre al trap, cosa c’è nella sua vita? Mio figlio, le mie amiche. Appena abbiamo del tempo cerchiamo di scappar via, anche un fine settimana. Quanto si allena?

Da undici anni vado da una bravissima psicologa che mi ha insegnato qualche trucco per non “cadere”. Un esempio? Cambiare abitudini, ad esempio il passo fra una pedana di tiro e l’altra.

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Alessandra Perilli alle Olimpiadi di Tokyo.

Nei periodi più intensi, quattro ore a settimana più palestra. Altrimenti due ore di tiro e altrettante di palestra. Segue particolari abitudini alimentari, nel quotidiano o prima di una gara? Sicuramente bevo molta acqua e, se fa molto caldo come a Tokyo, succhi per recuperare energie. Per il resto preferisco mangiare più volte al giorno, anziché dividere i pasti in colazione, pranzo e cena. C’è mai stato un momento in cui ha pensato di dedicarsi ad altro? Mai. Neanche quando sono diventata mamma. Sarà lo stesso fra dieci anni... E non so dire neanche dove mi penso tra vent’anni, ma sicuramente nel mondo del tiro a volo. (A. P.) GdB | Settembre 2021

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IL “GUASTAFESTE” NELLO SPORT È chi vince contro un avversario o una squadra favoriti, ma anche chi interrompe un cammino da record a un passo dalla storia 68 GdB | Settembre 2021


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uastafeste. Letteralmente è chiunque sopraggiunge inopportuno fra persone riunite in pace e in allegria, simbolicamente è qualsiasi elemento che sconvolge un progetto o piano prestabilito. Nello sport, guastafeste è chi capace di trionfare contro un avversario o di una squadra favoriti dal fattore-campo, ma anche chi interrompe un cammino da record a un passo dalla storia. Il “guastafeste del mese” è Daniil Medvedev, 25 anni, numero 2 del tennis mondiale. Nella finale degli US Open, l’atleta moscovita ha battuto con un triplo 6-4 il serbo Novak Djokovic, impedendogli di completare il Grand Slam, ovvero l’impresa di vincere tutti i tornei maggiori in un solo anno. L’ultimo a esserci riuscito, nel 1969, rimane Rod Laver. La vittoria del russo è maturata al termine di un incontro perfetto, contro il numero 1 assoluto che per l’occasione ha avuto dalla sua anche il sostegno dell’Arthur Ashe Stadium. Cosa vuoi che sia, del resto, la radicata antipatia per un campione di fronte alla possibilità di dire, un domani, “Io c’ero”? Vincitore delle ATP Finals e della ATP Cup nel 2020, Medvedev ha conquistato il successo più difficile, confermandosi grande anche nella tenuta mentale. Lo stesso Novak Djokovic sa cosa vuol dire vincere tra i fischi, essendo la sua presa sul pubblico inversamente proporzionale alla sua classe. Cresciuto all’ombra di Rafa Nadal e Roger Federer, ma diventato secondo molti anche più grande delle due divinità tennistiche contemporanee, il serbo ha passato i primi anni di carriera a cercare il consenso degli appassionati, per poi “arrendersi” e nutrire con i loro fischi il proprio orgoglio. Con qualche caduta sul cammino. A Doha, due anni fa, durante un’intervista a bordo campo, ha sfidato i contestatori dicendo: “Vi piace fischiare? Allora facciamo una gara”. Sempre nel 2019, Nole fu attaccato verbalmente da un hater durante un allenamento e per tutta risposta gli promise: “Ti verrò a cercare”. Fu fischiato addirittura dopo il ritiro agli ottavi con Stan Wawrinka, ma fece spallucce: “Mi fischiano? Non ci posso far nulla”. Al di là di simpatie o antipatie, comunque, spesso può capitare semplicemente di giocare contro l’idolo di casa e dover misuGdB | Settembre 2021

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Rod Laver. Il Grand Slam dindica la vittoria dei più importanti tornei di tennis al mondo nello stesso anno. L’ultimo a esserci riuscito, nel 1969, è stato l’australiano Rod Laver, classe 1938.

2000 organizzato dal Belgio e dai Paesi Bassi? Anche nel 1978, in Argentina, battemmo la nazionale del Paese ospitante – uno a zero nel primo girone, gol di Bettega – ma poi facemmo strada all’Olanda di Ernst Happel. Ben più indigesto lo sgarbo riservatoci dai gauchos sudamericani a Napoli, nella semifinale di Italia ‘90. In Brasile le sconfitte casalinghe ai Mondiali diventano drammi e vengono battezzate prendendo spunto dalla location: se “Maracanazo” è il 2-1 subito dall’Uruguay nel match decisivo dei Mondiali del ‘50, allo stadio Maracanà di Rio de Janeiro, l’1-7 con la Germania si riferisce al clamoroso tonfo del 2014 al Mineirão di Belo Horizonte. Storia attuale, assai piacevole, è l’impresa dell’Italvolley femminile agli Europei in Serbia. Eliminata ai quarti delle Olimpiadi proprio dalle ragazze balcaniche, le ragazze di Mazzanti si sono riscattate a inizio settembre battendo la Serbia alla Štark Arena di Belgrado, per tre set a uno. Due mesi prima (era luglio) e sei chilometri più in là, sull’altra sponda del fiume Sava, la Nazionale maschile di basket ha scritto una pagina epica al Aleksandar Nikolic Hall, sconfiggendo la Serbia per 102-95 nella finale del Torneo Preolimpico. (A. P.)

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rare “soltanto” la differenza fra gli applausi scroscianti sui punti incassati e il silenzio surreale sui punti realizzati. Misura un set, misura due set, può capitare che alla lunga una reazione scappi, nel contesto di un match tecnicamente ineccepibile. Indimenticabile, in tal senso, è la semifinale degli US Open del 2015, che vide Roberta Vinci battere la statunitense Serena Williams. Nel terzo e decisivo set, sul punteggio di 3-3, dopo un punto-chiave a conclusione di uno scambio spettacolare, ha urlato “E ora applaudite me, c...”, accompagnando il suo invito con gesti plateali. A fine match, le scuse: “Sorry, guys”. Chi segue il calcio, ha già pensato al recente trionfo dell’Italia nella finale degli Europei con l’Inghilterra, in uno stadio di Wembley gremito di tifosi locali e con appena 6.600 italiani, al di là di quelli residenti nel Regno Unito. Impresa non nuova, agli azzurri del pallone. Come non ricordare i gol di Grosso e Del Piero, che piegarono in semifinale i forti tedeschi a Germania 2006, edizione poi vinta in finale con la Francia? Oppure, sei anni prima, la maledizione dei rigori che premiò l’Italia di Zoff e fece piangere gli olandesi, in un’Amsterdam Arena tutta arancione, nella semifinale dell’Euro

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Il russo Daniil Medvedev ha battuto il numero 1 al mondo Novak Djokovic nella finale degli US Open 2021, impedendo al serbo di vincere il Grand Slam.

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DELEGAZIONE REGIONALE LAZIO E ABRUZZO

PATOLOGIA E RIPRODUZIONE: LE RISPOSTE DELLA CLINICA E DELLA RICERCA SCIENTIFICA 19 ottobre 2021

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http://lazioabruzzo.ordinebiologi.it

Introduzione

Dott. Aberto Spanò Consigliere ONB – Delegato ONB Lazio e Abruzzo

Prof.ssa Donatella Paoli “La preservazione della fertilità: l'Oncofertilità, la Banca del Seme e le questioni emergenti”

Dott.ssa Lucia De Santis “Come il Covid-19 ha modificato le attività del laboratorio di PMA”

Prof.ssa Sandra Moreno “Cellule staminali pluripotenti umane: proprietà ed applicazioni allo studio di malattie genetiche rare”

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Brevi

LA BIOLOGIA IN BREVE Novità e anticipazioni dal mondo scientifico

a cura di Rino Dazzo

AMBIENTE L’uomo fa troppo rumore, anche negli abissi marini

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ltro che silenzio, anche negli abissi marini l’attività sonora è intensa, sia che sia prodotta da pesci e altre specie, sia che sia conseguente all’attività dell’uomo. Ne ha parlato una ricercatrice dell’Università di Venezia Ca’ Foscari, Marta Picciulin, in un panel presentato al Trieste Next 2021 dal titolo: «Un mare di rumori: monitoraggio in tempo reale del rumore sottomarino». La ricerca ha analizzato i ritmi dei suoni emessi da tre specie ittiche del Mediterraneo: scorfano, corvina e galletto pinne gialle. La quantità e la qualità dei suoi emessi da questi pesci, spesso a scopo riproduttivo, sono influenzate e in qualche modo disturbate dall’attività umana. Soprattutto in presenza di porti, cantieri e in altre zone caratterizzate da forte antropizzazione.

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SPAZIO Scoperte due nuove galassie

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e hanno chiamate REBELS-12-2 e REBELS-29-2 e sono due galassie formatesi poco più di 13 miliardi di anni fa, circa un miliardo di anni dopo il Big Bang. A scoprirle è stato un gruppo di ricerca internazionale che in Italia vede coinvolte la Scuola Normale Superiore di Pisa e l’Università Sapienza di Roma, che ha utilizzato i dati di Alma, un potentissimo radiointerferometro situato a 5mila metri d’altitudine nel deserto di Atacama, in Cile. È stato il dottor Fudamoto, della Waseda University, a notare una forte presenza di polvere e carbonio ionizzato in zone dello spazio ritenute vuote, segnali emessi da due galassie non visibili nella lunghezza d’onda dell’ultravioletto perché oscurate dalla polvere cosmica. Secondo gli esperti, il prossimo lancio del telescopio spaziale JWST consentirà eccezionali progressi in questo campo.


Brevi

SALUTE Alzheimer, senza diagnosi il 75% degli affetti

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l 75% dei 55 milioni degli affetti da demenze nel mondo è senza diagnosi. È la conclusione contenuta nel Rapporto Mondiale Alzheimer 2021 dell’Alzheimer’s Disease International, secondo cui nei paesi a basso reddito la percentuale sale fino al 90%. Secondo il rapporto, ogni tre secondi si verifica un nuovo caso di demenza nel mondo e il numero di malati è destinato a salire fino a 139 milioni entro il 2050, il 71% dei quali nei paesi a basso e medio reddito.

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RICERCA Con la sindrome di Tourette più rischi per la cervicale

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soggetti affetti da sindrome di Tourette, o disturbo cronico da tic, hanno maggiori probabilità di sviluppare disturbi alla colonna cervicale. È la conclusione a cui è giunto uno studio svedese sviluppatosi per 17 anni e che ha preso in esame i dati di 6.791 adulti con la sindrome di Tourette, messi in relazione con 67.910 soggetti sani. Durante la ricerca, il 3,5 dei soggetti con sindrome ha ricevuto almeno una diagnosi di disturbo alla colonna cervicale a fronte del 2,2% tra la popolazione comune. Inoltre, è stata notata una correlazione anche con i disturbi cervicali vascolari e non vascolari. Tra i disturbi alla colonna cervicale più comuni riscontrati nel corso dello studio figurano infarto cerebrale, spondilosi, aneurisma, dissezione dell’arteria carotidea, disturbi del disco cervicale, cervicalgia e fratture della colonna cervicale.

GENETICA Scoperti i geni della longevità: proteggono dalle malattie

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l segreto della longevità dei centenari è racchiuso in alcune rare varianti genetiche protettive che li mettono al riparo dalle malattie e che sono invece assenti nel Dna degli individui con un’aspettativa di vita normale. Lo hanno accertato i ricercatori dell’Albert Einstein College of Medicine in New York, guidati da Zhengdong Zhang, che hanno confrontato il Dna di 515 persone con più di cento anni d’età con quello di quasi 500 anziani tra i 70 e i 95 anni. La presenza costante di alcuni geni molto rari protegge i centenari dalle malattie tipiche dell’invecchiamento. La scoperta potrebbe consentire lo sviluppo di farmaci anti-aging ad ampio spettro, capaci cioè di colpire i meccanismi dell’invecchiamento del loro insieme piuttosto che singole malattie, allo scopo di migliorare e ampliare l’aspettativa di vita di tutti.

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Lavoro

CONCORSI PUBBLICI PER BIOLOGI UNIVERSITÀ DI SIENA Scadenza, 3 ottobre 2021) Valutazione comparativa, per titoli, discussione pubblica e prova orale, per la copertura di due posti di ricercatore a tempo determinato di durata triennale e pieno, settore concorsuale 05/E2 - Biologia molecolare, per il Dipartimento di scienze della vita. Gazzetta Ufficiale n. 70 del 03-09-2021. UNIVERSITÀ DI CATANIA Scadenza, 10 ottobre 2021 Procedura di selezione per la copertura di un posto di ricercatore a tempo determinato di durata triennale, settore concorsuale 06/A3 - Microbiologia e microbiologia clinica. Gazzetta Ufficiale n.72 del 1009-2021. AZIENDA SOCIO-SANITARIA LIGURE 1 IMPERIESE DI BUSSANA DI SANREMO Scadenza, 17 ottobre 2021 Concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura di tre posti di dirigente biologo, disciplina di patologia clinica, a tempo indeterminato. Gazzetta Ufficiale n. 74 del 17-09-2021. ESTAR TOSCANA Scadenza, 17 ottobre 2021 Conferimento dell’incarico quinquennale rinnovabile ad un dirigente medico/biologo/chimico, disciplina di igiene degli alimenti e della nutrizione, a tempo determinato e con rapporto esclusivo, per la direzione della struttura complessa igiene alimenti e nutrizione area sud, dell’Azienda USL Toscana Sud Est. Gazzetta Ufficiale n. 74 del 1709-2021. UNIVERSITÀ DI VERONA Scadenza, 24 ottobre 2021 Procedura di selezione per la copertura di un posto di ricercatore a tempo determinato, settore concorsuale 05/C1 - Ecologia, per il Dipartimento di biotecnologie. Gazzetta Ufficiale n. 76 del 24-092021.

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UNIVERSITÀ DI PAVIA Scadenza, 28 ottobre 2021 Procedura di selezione per la copertura di un posto di ricercatore a tempo determinato, settore concorsuale 05/I1 - Genetica, per il Dipartimento di Biologia e biotecnologie L. Spallanzani. Gazzetta Ufficiale n. 77 del 28-09-2021. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI RICERCA SULLE ACQUE DI BARI Scadenza, 6 ottobre 2021 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1 Assegno di Ricerca Senior per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti l’Area Scientifica “Scienze della Terra e dell’Ambiente” da svolgersi presso l’Istituto di Ricerca Sulle Acque del CNR – Sede Secondaria di Bari che effettua ricerca nell’ambito dei progetti di ricerca: NITRATI, FITOFARMACI, GUARDIA DI FINANZA, MIA RETE NATURA 2000, per la seguente tematica: “Sviluppo di metodi di indagine per la valutazione e caratterizzazione della qualità delle matrici acqua e suolo attraverso l’identificazione e quantificazione di contaminanti ambientali”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI ANALISI DEI SISTEMI ED INFORMATICA “ANTONIO RUBERTI” DI ROMA Scadenza, 7 ottobre 2021 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1 Assegno Professionalizzante per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti l’Area Scientifica “Biomatematica” da svolgersi presso l’Istituto di Analisi dei Sistemi ed Informatica “Antonio Ruberti” – UOS GEMELLI del CNR che effettua ricerca nell’ambito del progetto “MOCARPO – Modellistica cardiopolmonare” per la seguente tematica: “Analisi di dati e metodi bioinformatici per la modellistica del sistema cardiopolmonare”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE

– ISTITUTO DI BIOIMMAGINI E FISIOLOGIA MOLECOLARE DI MILANO Scadenza, 8 ottobre 2021 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1 (UNO) Assegno Professionalizzante per lo svolgimento di attività di ricerca inerente l’Area Scientifica “Medicina e Biologia (Me)” da svolgersi presso l’Istituto di Bioimmagini e Fisiologia Molecolare del CNR Sede di Segrate, sita in Via Fratelli Cervi, 93 – 20090 Segrate (MI), con attività da svolgersi anche presso l’Ospedale San Raffaele, via Olgettina 60, Milano che effettua ricerca nel campo delle Scienze mediche nell’ambito del programma di ricerca “EuroBioImaging”, con la seguente tematica: “Gestione ed elaborazione delle immagini PET-CT nel piccolo animale”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI BIOCHIMICA E BIOLOGIA CELLULARE DI NAPOLI Scadenza, 13 ottobre 2021 È indetta una pubblica selezione per titoli, eventualmente integrata da colloquio, per il conferimento di n. 1 borsa di studio per laureati, per ricerche inerenti l’Area scientifica “Scienze biologiche, biochimiche e farmacologiche” da usufruirsi presso l’Istituto di Biochimica e Biologia Cellulare del CNR presso la sede di Napoli, nell’ambito del Progetto: “IMPARA- IMAGING DALLE MOLECOLE ALLA PRECLINICA - RAFFORZAMENTO DEL CAPITALE UMANO”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI BIOCHIMICA E BIOLOGIA CELLULARE DI MONTEROTONDO Scadenza, 13 ottobre 2021 È indetta una pubblica selezione per titoli, eventualmente integrata da colloquio, per il conferimento di n.1 borsa di studio per laureati, per ricerche inerenti l’Area scientifica “Scienze biologiche, biochimiche e farmacologiche” da usufruirsi presso l’Istituto di Biochimica e Biologia Cellulare del CNR presso la sede di


Lavoro

Monterotondo (Rm), nell’ambito del Progetto: Nuovi biomarker diagnostici e terapeutici delle malattie neurodegenerative. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO PER I PROCESSI CHIMICO-FISICI DI BARI Scadenza, 13 ottobre 2021 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n.1“Assegni Post Dottorali” per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti l’Area Scientifica “Chemistry” da svolgersi presso l’Istituto per i Processi Chimico Fisici del CNR, sede secondaria di Bari, che effettua ricerca scientifica nell’ambito DEI PROGRAMMI DI RICERCA “PON ECOTEC ARS01_00951: Fibre e tessuti intelligenti ed ECOsostenibili per l’abbigliamento TECnico e l’alta moda” e “PON TITAN : “Nanotecnologie per l’immunoterapia dei tumori – TITAN” per la seguente tematica: “Preparazione e manipolazione di colture batteriche per lo studio e l’ottimizzazione delle proprietà di nanomateriali verso realizzazione di superfici con proprietà ntimicrobiche e realizzazione di sistemi vettori per materiale genetico”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI BIOLOGIA E BIOTECNOLOGIA AGRARIA DI MILANO Scadenza, 14 ottobre 2021 È indetta una pubblica selezione per titoli, eventualmente integrata da colloquio, per il conferimento di una borsa di studio per laureati, per ricerche inerenti all’Area scientifica “Genetica Agraria” da usufruirsi presso l’Istituto di Biologia e Biotecnologia Agraria del CNR di Milano, nell’ambito del Progetto di Ricerca LEGUPLUS “Valutazione di leguminose alternative per l’alimentazione sostenibile e funzionale del suino”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO PER LO STUDIO DEGLI IMPATTI ANTROPICI E SOSTENIBILITÀ IN AMBIENTE MARINO DI GENOVA Scadenza, 14 ottobre 2021 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1 Assegno per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti l’Area Scientifica “Rischi naturali, ambientali ed antropici” da svolgersi presso l’Istituto per lo Studio degli Impatti Antropici e Sostenibilità in ambiente marino (IAS) del CNR, Sede Secondaria di Genova, nell’ambito del Contratto di ri-

cerca DTA.AD005.298 ALVAREZ SCHAER “Test di esposizione all’aperto in atmosfera marina di diverse saldature eseguite su substrati di alluminio anodizzato per valutarne il comportamento alla corrosione”, per la seguente tematica: “Biocorrosione marina, studio delle dinamiche di biocorrosione e degradazione di rivestimenti protettivi in ambiente marino”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO NAZIONALE DI OTTICA DI FIRENZE Scadenza, 18 ottobre 2021 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1 Assegno Professionalizzante per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti l’Area Scientifica “Scienze fisiche” da svolgersi presso il CNR - Istituto Nazionale di Ottica, Sede Secondaria di Sesto Fiorentino, che effettua ricerca scientifica nell’ambito del Progetto REPAIR “Restoring cardiac mechanical function by polymeric artificial muscular tissue” G.A. 952166, finanziato dalla Unione Europea, CUP B59C20000740006 per la seguente tematica: “Caratterizzazione di una piattaforma ottica per imaging mesoscopico cardiaco”. Per informazioni, www. cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI BIOLOGIA E PATOLOGIA MOLECOLARI DI ROMA Scadenza, 18 ottobre 2021 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1 Assegno Post Dottorale per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti l’Area Scientifica “Scienze Biologiche” da svolgersi presso l’IBPM - Istituto di Biologia e Patologia Molecolari del CNR che effettua ricerca in Biologia Cellulare e Molecolare nell’ambito del programma di ricerca “Metodologie innovative di 3D high content imaging per la validazione di nuove molecole antitumorali” per la seguente tematica: “Sviluppo e applicazione di metodologie avanzate per acquisizione ed analisi ad alto contenuto informativo di immagini di microscopia in fluorescenza in sistemi cellulari 2D e 3D in vitro”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI RICERCA SUGLI ECOSISTEMI TERRESTRI DI PORANO (TERNI) Scadenza, 19 ottobre 2021 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1 Assegno Post Dottorale per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti

l’Area Scientifica “Chimica, Fisica e Ambiente” da svolgersi presso l’istituto di Ricerca sugli Ecosistemi Terrestri, sede di Porano (TR) sulla seguente tematica di ricerca: “Messa a punto di tecniche di misura di composizione isotopica mediante Spettrometro di Massa per Rapporti Isotopici interfacciato con le relative periferiche per le analisi degli isotopi stabili di Carbonio, Azoto, Idrogeno e Ossigeno in matrici solide, liquide e gassose. Sviluppo e/o implementazione delle procedure analitiche di separazione cromatografica di campioni gassosi (GS) e liquidi (HPLC) associate alla spettrometria di massa isotopica. Queste attività verranno svolte nell’ambito del Progetto di rafforzamento del capitale umano CIR01_00019 – PRO-ICOS_MED “Potenziamento della Rete di Osservazione ICOS-Italia nel Mediterraneo -Rafforzamento del capitale umano” dell’infrastruttura di ricerca denominata ICOS-ERIC - Integrated Carbon Observation System”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI STRUTTURA DELLA MATERIA SEZIONI DI MONTELIBRETTI (ROMA) Scadenza, 20 ottobre 2021 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1 Assegno Professionalizzante per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti l’Area Scientifica “Scienze Chimiche” da svolgersi presso la sede Secondaria di Montelibretti dell’Istituto di Struttura della Materia del CNR nell’ambito del PROGETTO “BIOMARKERS DISCOVERY CON ELECTROSPRAY-MASS SPECTROMETRY “-Avviso “Gruppi di ricerca 2020” di cui alla Det. n. G04052 del 04/04/2019 – POR FESR LAZIO 2014 – 2020 per la tematica: “Studio computazionale con tecniche di MD classica e ML della struttura dei miRNA isolati e in interazione per formare complessi”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO PER LE RISORSE BIOLOGICHE E LE BIOTECNOLOGIE MARINE DI MESSINA Scadenza, 25 ottobre 2021 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1 (uno) assegno di ricerca di Tipologia A) “Assegni Professionalizzanti” per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti l’Area Scientifica “Scienze Biologiche” da svolgersi presso l’Istituto per le Risorse Biologiche e Biotecnologie Marine Sede di Messina del CNR per la seguente tematica: “Ricerca nel campo delle produzioni d’acquacoltura”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”.

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Dai fibroblasti alla blastocisti completa Due gruppi di ricerca, utilizzando linee cellulari umane diverse, hanno raggiunto lo stesso risultato, ovvero la riorganizzazione di queste cellule in strutture simili a blastocisti umane

di Tiziana Notari

È

apparsa per la prima volta, lo scorso 17 marzo, sulla prestigiosa rivista scientifica “Nature”, la notizia della formazione di blastocisti umane artificiali. Contemporaneamente due gruppi indipendenti di ricercatori hanno pubblicato i dati, che si prefigurano rivoluzionari per lo studio dell’embriologia umana. I due gruppi di ricerca, l’uno guidato da Jun Wu dell’Università del Texas, e l’altro diretto da Jose Polo della Monash University (Australia), utilizzando linee cellulari umane diverse, hanno raggiunto lo stesso risultato, ovvero la riorganizzazione di queste cellule in strutture simili a blastocisti umane. La blastocisti è una struttura pluricellulare, che si forma circa 5-6 giorni dopo la fecondazione dell’ovocita con lo spermatozoo, ed ha un’organizzazione cellulare ed architettonica complessa. All’esterno della blastocisti è presente la zona pellucida (ZP), di derivazione ovocitaria; immediatamente al di sotto della ZP troviamo un sottile strato di cellule, ovvero le cellule del trofoectoderma (TE), che genereranno le future cellule placentari; dal lato interno di questo sottile strato di cellule, in una zona circoscritta, è

Figura 1.

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presente un ispessimento cellulare, la cosiddetta massa cellulare interna (ICM: Inner Cell Mass) che darà vita all’embrione vero e proprio; nella cavità centrale, la cavità del blastocele, troviamo un liquido denominato fluido blastocelico. La ICM, a sua volta, contiene tre tipi di cellule embrionali diverse: le cellule dell’ectoderma, del mesoderma e dell’endoderma; questi tre tipi cellulari hanno il potenziale di dare origine a tutte le cellule dell’organismo adulto e sono le cellule utilizzate, finora, dai ricercatori per derivare le cellule staminali embrionali. La blastocisti evolve poi, fisiologicamente, in una progressiva espansione, fino alla rottura della ZP ed alla sua fuoriuscita completa dalla ZP stessa, quando le cellule del TE incontreranno le cellule dell’endometrio materno per instaurare quel dialogo biochimico e meccanico, che condurrà l’embrione all’attecchimento in utero e, quindi, all’inizio della gravidanza (Fig. 3A). La blastocisti è, dunque, quella fase dello sviluppo embrionario che precede immediatamente l’impianto in utero e, per questa ragione, il suo studio risulta estremamente interessante al fine di comprenderne i meccanismi che possono favorirne od impedirne l’impianto stesso.


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Figura 2.

Tuttavia, finora, per i legittimi motivi di natura etica e legislativa, lo studio dell’embriologia umana era limitato all’utilizzo di embrioni donati per ricerca, nei Paesi in cui tale pratica è consentita, ed all’applicazione delle conoscenze acquisite dal modello animale. Il gruppo di Jun Wu, partendo dalle iPSCs (Fig. 2C), di derivazione embrionaria, ha potuto osservare come queste cellule si siano riorganizzate progressivamente per formare strutture simili a blastocisti umane. Per creare un blastoide umano, i ricercatori hanno sottoposto le linee di cellule staminali embrionali umane, registrate presso il National Institutes of Health, a condizioni di coltura intese a spingere tali cellule verso la creazione di strutture paragonabili alle blastocisti. Nel 10-20 percento, circa, degli esperimenti riprodotti, la loro strategia ha portato alla formazione dei blastoidi, che hanno profili di espressione genica comparabili alle blastocisti umane (Fig. 1), sono in grado di generare cellule staminali somiglianti alla massa cellulare interna e capacità di formare strutture embrionali adesive alle capsule Petri di plastica. Il gruppo di Jose Polo, invece, è partito da cellule adulte prelevate dalla pelle umana (Fig. 3B), i fibroblasti, che ha riprogrammato (seguendo un protocollo di studio precedentemente pubblicato) e coltivato fino ad osservare che - dopo circa tre settimane- le cellule stavano differenziandosi nei tre tipi di cellule staminali embrionali umane. Ha, quindi, trasferito queste colture cellulari dalla classica coltura in capsule Petri a quella in sistemi di coltura tridimensionali (3D), osservando la formazione di vari tipi di strutture. In una percentuale variabile tra il 6% e il 18% di queste unità 3D (Fig. 3C) ha osservato una cavità interna con un gruppo di cellule adiacenti che produceva diversi marcatori di pluripotenza, come fa la ICM in una blastocisti, mentre le cellule esterne, che circondavano la cavità, sembravano assomigliare moltissimo alle cellule del TE (Fig. 1). Sicuramente il prossimo passo sarà quello di rendere tale tecnologia più efficiente e riproducibile. Tuttavia, si pone come una scoperta che apre il futuro allo studio

dell’embriologia umana, delle cellule embrionali e della medicina rigenerativa, sganciando la ricerca dalla problematica etica e morale dell’utilizzo di cellule derivanti da veri e propri embrioni o feti umani. Appare evidente che questi “blastoidi”, o più genericamente “embrioidi”, non sono veri embrioni umani, proprio perché non derivanti dall’unione del gamete femminile e maschile, e - se anche venissero impiantati in una pseudo-madre - non andrebbero avanti nello sviluppo, come ci confermano gli studi dello stesso Jun Wu sul modello murino. In precedenza, infatti, Wu e colleghi hanno generato blastoidi da cellule staminali di topo e hanno dimostrato che potrebbero formare alcune, ma non tutte, le strutture embrionali quando impiantate in una femmina surrogata. Questi esperimenti - come dichiarano gli stessi autori dei due studi - sono stati condotti con la esclusiva finalità di ricerca e nessuno dei blastoidi ottenuti è stato trasferito in utero. È bene evidenziare accuratamente, quindi, che siamo ben lontani, per ora, dal pensiero di poter utilizzare i blastoidi per scopi diversi da quelli della ricerca pura, oppure per fini riproduttivi. La loro somiglianza agli embrioni umani non implica la loro completa equipollenza, in termini di espressione genica e sviluppo, come finora confermano gli studi scientifici. Inoltre, spostando l’attenzione sugli embrioni umani prodotti in laboratorio, con le tecniche di fecondazione in vitro per scopi riproduttivi, bisogna sottolineare come, anche in questo caso, non vi sia una perfetta sovrapponibilità con gli embrioni ottenuti da concepimenti spontanei. La letteratura scientifica, infatti, sta attenzionando - in maniera crescente- la problematica relativa alle alterazioni epigenetiche dei bambini nati con tecniche di riproduzione assistita. Se è vero che molti lavori correlano tali problemi epigenetici alle cause d’infertilità dei genitori, è altrettanto vero che il numero di studi a sostegno della possibilità che le modifiche epigenetiche possano essere determinate dalle manipolazioni stesse degli embrioni umani in vitro è in continua crescita. Altre pubblicazioni, ancora, descrivono GdB | Settembre 2021

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Figura 3. A. Sviluppo embrionale fisiologico a partire dai gameti. B. Biopsia cutanea con coltura di fibroblasti in modo da ottenere cellule staminali embrionali umane pluripotenti indotte. C. Cellule staminali embrionali umane pluripotenti indotte coltivate in modo da ottenere blastoidi.

i meccanismi attraverso i quali le modifiche epigenetiche potrebbero trasmettersi in maniera transgenerazionale, cioè potrebbero essere capaci di penetrare nella popolazione, non sono alla generazione immediatamente successiva, ma anche alla terza e quarta generazione. Alla luce di tutti questi dati emergenti dalla letteratura, sullo stato di salute degli embrioni umani - propriamente detti - prodotti in vitro, ancora di più si pongono interrogativi sulla sicurezza nella ipotetica eventualità futuristica di utilizzare embrioidi per scopi riproduttivi. Rimane l’amplissimo campo di applicazione di tale scoperta nell’impiego dei blastoidi umani per approfondire la conoscenza dei meccanismi di sviluppo ed impianto embrionario, degli effetti delle modificazioni in vitro, della produzione di linee cellulare e/o organoidi da utilizzare per trapianti, dell’effetto di sostanze chimiche, inquinanti o patogeni sull’embriogenesi, bypassando l’utilizzo di em78 GdB | Settembre 2021

brioni umani e riducendo anche l’utilizzo degli embrioni animali. In conclusione, possiamo dire che questi modelli di blastoidi sono una pietra miliare entusiasmante nel campo della ricerca, sebbene le questioni politiche e le linee guida per la condotta etica relativa all’utilizzo di tali strutture cellulari non siano, ovviamente, ancora ben definite e richiederebbero degli approfondimenti futuri.

Bibliografia 1. Yu, L. et al. Blastocyst-like structures generated from human pluripotent stem cells. Nature 591, 620–626 (2021). 2. Liu, X. et al. Modelling human blastocysts by reprogramming fibroblasts into iBlastoids. Nature 591, 627–632 (2021).


Organizzato dall’ Ordine Nazionale dei Biologi Delegazione Regionale Toscana-Umbria

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Delegazione Regionale Emilia Romagna - Marche

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I percorsi storici sul sequenziamento del DNA: da C. Venter all’avvento delle tecnologie di sequenziamento di nuova generazione o NGS (parte II) Il sequenziamento del Dna e i primi passi verso l’anilisi degli acidi nucleici Come si arriva alla genomica moderna

di S. Barocci*, I. Paolucci**, P. D. Antonelli***, A. F. Cristallo****

I

l Progetto Genoma o HGP “Human Genome Project” fu realizzato dall’U.S. Department of Energy (DOE) e dal National Institute of Health (NIH) con la partecipazione di strutture di Tecnologia e Ricerca di tutto il mondo. Ebbe una durata di 13 anni, dal 1990 al 2003 e come obiettivi la determinazione della sequenza dell’intero genoma umano, la definizione di tutti i geni in esso presenti, il corretto ordine di tutti i tre miliardi di basi del genoma umano e la creazione di un database per raccogliere tutte queste informazioni da mettere a disposizione di Enti di ricerca pubblici e privati per studi successivi. Inizialmente si trattò di un progetto pubblico guidato da due istituzioni statunitensi, ma, quando nel 1998 C. Venter lasciò il National Institute of Health (NIH) per fondare la Celera Genomics (Società di ricerca privata), egli proseguì, per fini commerciali, il progetto di caratterizzazione del genoma umano. Lo scopo di tale società privata, infatti, era quello di creare una banca dati genomica che poteva essere utilizzata a seguito del pagamento di una determinata tariffa. Tale approccio rese Venter molto impopolare tra la comunità scientifica e, soprattutto, ebbe l’effetto di dare ulteriore vigore ai numerosi gruppi che stavano partecipando al Progetto pubblico coordinato dal genetista F. Collins dell’NIH. Per portare a termine il sequenziamento del genoma umano, i laboratori della Celera Genomics misero a punto nel 1999, la tecnica dello “shotgun sequencing”, che permise a Venter di annunciare nel 2000, in presenza del Presidente Università di Genova per la terza età, UNITE e UNITRE. Servizio di Immunoematologia e Trasfusione, Ospedale Castelli di Verbania. *** ADMO Regione Toscana. **** Servizio di Immunoematologia e Trasfusione, Ospedale Santa Chiara di Trento. *

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degli Stati Uniti d’America Bill Clinton, il quasi completamento del lavoro in concomitanza con il contemporaneo annuncio di F. Collins, direttore del Progetto Genoma Umano. La metodica dello shotgun sequencing si fondava sul metodo enzimatico di Sanger tramite i nuovi sequenziatori automatici dell’Applied Biosystems che permettevano di codificare 400.000 basi al giorno, riducendo notevolmente i tempi necessari all’ottenimento di una sequenza. La Celera Genomics elaborò ulteriormente un approccio alternativo di sequenziamento, definito whole genome shotgun, in cui il genoma veniva spezzettato in numerosi frammenti casuali di diverse dimensioni (da 5 a 20 Kb e da 0,4 a 1,2 Kb) chiamate “reads”. La procedura veniva ripetuta più volte allo scopo di avere delle reads parzialmente sovrapposte e la sequenza risultante era ottenuta assemblando, al calcolatore, le diverse reads. I Progetti Hap Map e 1000 Genomi Durante la fase finale del progetto e negli anni successivi, furono avviati diversi studi tra cui il Progetto Internazionale HapMap ed il 1000 Genomes Project. Il primo progetto partito inizialmente nell’ottobre del 2002 vide la collaborazione tra ricercatori di centri accademici, gruppi di ricerca biomedica senza scopo di lucro e società private in Canada , Cina , Giappone , Nigeria , Regno Unito e Stati Uniti. Esso mirava al riconoscimento di una mappa degli aplotipi del genoma umano con l’obiettivo di identificarne le variazioni di sequenza. Lo studio comprendeva più fasi. I dati completi della prima fase furono pubblicati nel 2005 e consistevano in una prima mappatura dei blocchi aplotipici umani attraverso il censimento di più di un milione di polimorfismi genetici (SNPs o “Single Nucleotide Polymorphisms”) (2). Quelli della seconda fase, nel 2007, riportavano dati estesi ad un censimento di oltre tre milioni di SNPs) (3). Quelli della terza fase, nella primavera nel 2010, definivano gli aplotipi di individui provenienti da 11 diverse popolazioni (4).


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In meno di dieci anni questo enorme sforzo tecnico-scientifico e finanziario permise di rendere sempre più dettagliata la mappa aplotipica del genoma umano, consentendo la realizzazione di importanti studi genetici con tempi e costi sempre più contenuti. Il secondo progetto, partito nel 2008, si è concluso, dopo 7 anni di ricerca, nel 2015. Questo progetto era invece concentrato sul sequenziamento di genomi di almeno mille partecipanti anonimi e di gruppi etnici diversi, allo scopo di fornire una valida interpretazione sulla variabilità genetica umana (Genomes). Gli studi pubblicati sulla Rivista Nature (5,6,7) riportavano i risultati del sequenziamento di oltre 2500 genomi rappresentativi di 26 popolazioni provenienti da Europa, Africa, Asia e Americhe. Oggi, grazie a questo progetto, i ricercatori di tutto il mondo hanno a disposizione per i loro studi un catalogo di tutte le varianti rare che sono presenti nel DNA del genoma umano di almeno una persona su mille. Entrambi i progetti sono stati di estrema utilità per un rapido , completo, affidabile ed economico sequenziamento di genomi di dimensioni paragonabili a quelli dei mammiferi. Hanno prodotto lo sviluppo di nuove tecnologie di sequenziamento, generando preziose informazioni delle varianti rare del DNA e sulla sequenza genomica di migliaia di individui. Il Progetto Encode Un altro progetto internazionale, chiamato “Encode” (Encyclopedia of DNA elements), lanciato nel mese di settembre 2003 dal National Human Genome Research Institute (NHGRI), ha visto il coinvolgimento di un Consorzio Mondiale formato da gruppi di ricerca con diverse finalità, quali la costruzione di un catalogo di elementi funzionali nel genoma umano in alcune regioni trascritte, lo studio di elementi regolatori, le modificazioni del DNA e delle proteine ad esso legate. Un’altra enorme impresa. Encode, nel 2007, completava il suo primo studio e ripartiva subito dopo con l’analisi dell’intero genoma umano, sulla base delle tecniche testate in fase pilota (8). Dopo cinque anni di lavoro e il coinvolgimento di molti scienziati, nel settembre del 2012, Encode completava la sua missione pubblicando simultaneamente 30 articoli scientifici open access (senza obbligo di pagamento per la consultazione) su tre differenti riviste : Nature, Genome Biology e Genome Research , oltre sei review su altre importanti rivi-

ste come Science e Cell, ultimando lo sforzo per completare il riconoscimento degli elementi funzionali lungo tutto il genoma umano. Il risultato è stato quello di assegnare una funzione a circa l’80% del genoma umano, superando il concetto di “DNA spazzatura” o “junk DNA”, spesso invocato per descrivere quella parte di DNA il cui significato era controverso da anni. È stato così fornito un quadro più completo, dal punto di vista del DNA, di cosa renda una cellula diversa dall’altra, ad esempio una cellula epatica da un neurone, anche tra individui differenti. Il progetto Encode ha, inoltre, contribuito a come riposizionare gli studi di associazione genome-wide, cioè a caratterizzare le variazioni genetiche tra individui della stessa specie allo scopo di individuare le correlazioni di alcuni elementi genetici con specifiche malattie e al contempo riclassificare tutte le porzioni regolatorie ancora sconosciute. Infine, dal punto di vista tecnologico, il progetto Encode ha apportato grandi avanzamenti sulla messa a punto di software standard di analisi e di come archiviare in modo integrale i dati generati; una impronta decisamente notevole nel campo della bioinformatica. Le strategie di sequenziamento durante il Progetto Genoma Umano L’avvento dell’automazione, alla fine degli anni ’80, rese il sequenziamento di interi genomi molto più veloce e contribuì alla commercializzazione di sequenziatori automatici che, ben presto si diffusero in tutta la comunità di ricerca scientifica. Il primo sequenziatore automatico commerciale, a elettroforesi capillare, venne introdotto nel 1997 dall’Applied Biosystems, l’ABI 310. Quando fu lanciato il Progetto Genoma Umano negli anni ’9 , si incominciò ad avviare su larga scala lo studio sul sequenziamento dei primi genomi batterici e arcaici. A quel tempo esistevano due approcci per sequenziare un genoma. Il primo (“hierarchical shotgun”) creava inizialmente una mappa che permetteva di suddividere il genoma in diversi segmenti attraverso la costituzione di mappe genetiche e fisiche e, successivamente, proseguiva con il sequenziamento dei vari segmenti. Si può trovare un’analogia a questo approccio pensando di ordinare i capitoli di un libro e poi trovare le paole comprese in ogni capitolo. Tale tecnica fu, per esempio, quella utilizzato dal Consorzio Pubblico del Progetto Genoma Umano che si basava su mappe di cloni contigui all’interno GdB | Settembre 2021

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di vettori artificiali batterici BAC o YAC. Con questo me¬todo, il DNA umano veniva frammentato in pezzi (100.000 - 200.000 bp) e i frammenti poi clonati in batteri che conservavano e replicavano il DNA in modo da prepararne quantità abbastanza grandi per il sequenziamento. Ogni clone BAC veniva mappato in modo da determinare il punto del genoma umano da cui originava il DNA del clone stesso. Questo metodo assicurava la comprensione della sequenza precisa del DNA di ogni clone e la relazione spaziale con gli altri cloni. Minimizzando la sovrapposizione, occorrevano circa 20.000 cloni BAC diversi per raccogliere i 3 miliardi di bp del genoma umano. Per il sequenziamento, ogni clone BAC veniva tagliato in frammenti più piccoli (circa 2000 basi) che, in seguito, erano sequenziati automaticamente da uno strumento che leggeva circa 500 -800 basi a reazione. Dopo che ogni frammento era stato sottoposto a sequenziamento, un computer allineava le sequenze contigue permettendo in tal modo di risalire alla sequenza di un clone BAC. Il secondo approccio, denominato “WGS” (Whole-Genome Shotgun), ovvero sequenziamento diretto, prevedeva la frammentazione casuale del genoma in segmenti parzialmente sovrapposti e poi il loro sequenziamento. La sequenza genomica era in seguito assemblata da un computer sulla 82 GdB | Settembre 2021

base delle sovrapposizioni di sequenza tra i frammenti. Questo approccio era analogo a quello di strappare diverse copie dello stesso libro per poi ricostruirne una copia completa rimettendo insieme le pagine che si sovrapponevano. Con tale modalità, nel 1995 C. Venter, in collaborazione con H. Smith, sequenziò il genoma completo (1,8 Mb) di Haemophilus influenzae, (un batterio Gram negativo a forma di bastoncino immobile descritto per la prima volta nel 1892 in seguito ad una pandemia di influenza), senza far uso di mappe fisiche e genetiche (9) e di Mycoplasma genitalium con genoma di 580 Kb. Il successivo passo fu il sequenziamento, nel 1997, del genoma del batterio Bacillus subtilis di 4,2 Mb. L’ introduzione dello shotgun sequencing permise di estendere lo studio ad altri genomi. Tra questi, nel 1996, vi fu anche quello del primo eucariota unicellulare, il lievito di birra “Saccharomyces cerevisiae” di 12 Mb ( 10). Nello stesso anno P. Nyren e M. Ronaghi al Royal Institute of Technology di Stoccolma, pubblicavano il metodo del pirosequenziamento (usato nel 2007 per determinare la sequenza del genoma di James Watson). A partire da quell’anno furono sviluppati i metodi per il sequenziamento “high –throughput. Infatti, nel 1997, P. Meyer e L. Farinelli presentarono un loro brevetto alla Word Intellectual Property Organization implementato successivamente nei sequenziatori Hi Seq Illumina mentre F. Blattner e G. Plunkett dell’Università del Wisconsin completavano la sequenza dell’Escherichia Coli di 5 Mb (11). Nel 2000, la Lynx Therapeutics (acquistata nel 2004 dalla Solexa Inc) pubblicava e lanciava sul mercato il sequenziamento “MPSS” ( Massively Parallel Signature Sequencing); un processo tecnologico avanzato di sequenziamento massivo parallelo utilizzato per identificare e quantificare i trascritti degli mRNA, dando inizio al sequenziamento di nuova generazione o“ NGS” Durante il 1998 venne sequenziato, da parte di J. Sulston del Sanger Center e di B. Waterstone dell’Università di Washington, il genoma del nematode Caenorhabditis elegans (100 Mb) (12), primo esempio di sequenziamento di un organismo eucariotico multicellulare. Inoltre, sempre in quell’anno, fu sequenziata una prima bozza della mappa del genoma umano che mostrava la bellezza di 30.000 geni. P. Green dell’Università di Washington, pubblicava un programma informatico denominato “Phred” (13) sviluppato per verificare la bontà del sequenziamento (analisi degli elettroferogrammi). Phred ha svolto un ruolo particolarmente notevole anche nel Progetto Genoma Umano in cui grandi quantità di dati di sequenza erano elaborati da script automatizzati, insieme ad un altro software “Phrap”, un programma per assemblare le sequenze di DNA. Nel 1999 fu sequenziato il cromosoma umano 22 (14) e nel 2000, la sequenza completa del cromosoma 21 (15. In successione, quella del genoma del moscerino della frutta Drosophila Melanogaster (16), del genoma del pesce Fugu


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rubripes (17) e il primo genoma vegetale, quello dell’organismo modello Arabidopsis thaliana (125 Mb )(18). Nel febbraio del 2001, su Science veniva pubblicata la bozza del progetto genoma umano da parte di Celera (19) seguita dopo nel mese (giugno) dalla pubblicazione, su Nature, quella del Consorzio Pubblico (20). Il 2002 fu l’anno in cui venne invece annunciato il sequenziamento completo del genoma murino del topo da laboratorio Mus musculus mentre nell’ aprile del 2003 ci fu l’annuncio ufficiale del completamento (99,7%) del progetto genoma con due anni di anticipo rispetto ai tempi stabiliti. In realtà, il Progetto Genoma Umano venne veramente completato solo nel maggio del 2006 quando l’NIH pubblicò, via Internet, la sequenza del cromosoma 1 (il cromosoma più lungo e più difficile da analizzare). Nella metodologia “shotgun sequencing”, detto anche a colpo di fucile, venivano prodotti frammenti di DNA a caso; era un metodo radicalmente nuovo e differente da quello “gerarchico” che era più indaginoso in quanto prevedeva la costruzione di una libreria BAC e di una mappa fisica. Lo shotgun sequencing si dimostrava più semplice da un punto di vista della preparazione della libreria genomica (più veloce e meno costoso) ma più esigente dal punto di vista computazionale; questo problema fu risolto solo con lo sviluppo di metodi bioinformatici più avanzati. L’utilizzo del metodo shotgun per il sequenziamento di genomi di più grandi dimensioni pose diversi problemi di assemblaggio dei contigs (tratti di sequenza assemblati senza discontinuità) per le sequenze ripetute; per questo motivo, nei primi anni del 2000, cominciarono ad apparire tecnologie innovative capaci di effettuare un elevatissimo numero di sequenziamenti in contemporanea (anche dell’ordine di miliardi) e denominate “tecnologie ad elevato parallelismo”. Questa evoluzione ha determinato la nascita e lo sviluppo di molteplici tecnologie dotate di alta processività raggruppate sotto la denominazione di Next Generation Sequencing o NGS. Le tecniche NGS hanno promosso nuove tecnologie hight – throughtput applicate nel campo della genomica, metagenomica, trascrittomica e metatrascrittomica che, a differenza di quelle precedenti, consentirono di ottenere una descrizione più dettagliata degli ecosistemi microbici. Esse, possono essere utilizzate sostanzialmente in due modi: 1. sequenziamento di tutto l’acido nucleico microbico (shotgun sequencing), 2. sequenziamento di uno specifico gene (targeted sequencing). Lo shotgun sequencing fornisce informazioni, oltre che della composizione filogenetica, anche del numero e della potenziale funzione di specifici geni (21); mentre il targeted sequencing consente l’amplificazione di un gene specifico tramite PCR per isolare le regioni genomiche di interesse, in modo da ottenere una quantità di DNA necessaria per il sequenziamento.

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Ortho-pharmacia Vegetali come “medicine” naturali Dieta bilanciata, blocco metabolico, metalli pesanti e malattie croniche. Idee, strumenti e pratiche per ridurre i livelli di metalli tossici e garantire una produzione di qualità con proprietà salutistiche degli ortaggi

di Andrea Del Buono

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metalli pesanti sono privi di funzioni fisiologiche, dotati di elevata tossicità a lungo termine, sempre più presenti nell’ambiente e nel nostro cibo. Interferiscono con il normale metabolismo cellulare arrivando a ostacolare il corretto svolgimento di funzioni vitali. L’accumulo cronico di tali elementi tossici assunti con l’alimentazione o respirati, entrano quindi nel nostro metabolismo, inibiscono enzimi e molecole che partecipano all’attività antiossidante endogena, con conseguente stress ossidativo e disfunzione mitocondriale che sono alla base di buona parte delle malattie che affliggono i paesi occidentali (malattie cardiovascolari, neoplasie, sindromi neurodegenerative, ecc.). I metalli pesanti sono da considerare una reale ed inconsapevole condizione di rischio, per la loro tossicità, permanenza nell’ambiente e natura chimica. Da alcuni anni stiamo studiamo un modello matematico integrato (mineralogramma-Snips) con “intelligenza artificiale” per valutare il rischio prognostico di complicanze acute cardiovascolari (CVD -HSHA) a seguito di stressors esogeni. I dati preliminari ci consentono di correlare fenotipo CVD e Metalli pesanti, condizione che potrebbe rappresentare un obiettivo per future terapie personalizzate “Medicina di Precisione”. A partire dalla rivoluzione industriale, le concentrazioni di xenobiotici nell’ambiente sono aumentate drasticamente. Diversi studi dell’Agenzia per le sostanze tossiche e il registro delle malattie (ATSDR) hanno affermato che diverse sostanze chimiche contenenti metalli pesanti vengono rilasciate nell’ambiente e interagiscono con interi ecosistemi biologici. A seconda della concentrazione e del tempo di esposizione, il danno da metalli pesanti può essere suddiviso in tre diversi livelli crescenti: (i) sovraccarico tossico, lento accumulo di sostanze dannose; (ii) avvelenamento cronico, una regolare Biologa zoologa presso il Laboratorio di Zoologia Marina Applicata del DiSTeBA, Università del Salento. Membro dell’Assemblea Nazionale del CNBA.

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esposizione a concentrazioni tossiche ma non letali di metalli; e (iii) avvelenamento acuto. La concentrazione, il tempo di esposizione e soprattutto il tipo di metallo pesante determinano il grado di tossicità e influiscono sui processi biologici coinvolti. Gli xenobiotici possono assumere i compiti biologici che in un normale metabolismo sono occupati da minerali nutritivi essenziali, e possono aumentare significativamente la produzione di radicali liberi che alterano l’integrità strutturale e funzionale delle cellule sane, rendendo l’organismo più vulnerabile a patologie degenerative come neoplasie, malattie cardiovascolari, Alzheimer e invecchiamento precoce causate da danni al DNA. Un altro fattore che influenza la tossicità dei metalli pesanti è la loro non biodegradabilità; quindi, una volta rilasciati nell’ambiente, tendono a bioconcentrarsi e a raggiungere l’uomo. Ad esempio, i composti del mercurio, una volta rilasciati in mare come rifiuti industriali, possono trasformarsi in metilmercurio a causa del metabolismo dei batteri, rappresentando così una sostanza altamente tossica per il SNC. I metalli pesanti nel corpo umano danneggiano il DNA causando la formazione di specie reattive dell’ossigeno, favoriscono mutazioni e interferiscono con i sistemi enzimatici di riparazione del DNA (PARP) contribuendo al danno genetico e alle rotture del doppio filamento (DSB). I metalli pesanti possono danneggiare non solo il corredo genetico delle cellule somatiche ma anche delle cellule germinali. Benoff et al. hanno scoperto che le esposizioni ambientali al cadmio potrebbero ridurre la concentrazione e la motilità degli spermatozoi maschili umani. Tuttavia, dobbiamo anche considerare che il vero meccanismo con cui i metalli pesanti influenzano i fattori di rischio cardiovascolare rimane ancora abbastanza sconosciuto e difficile da identificare. A causa della complessa fisiologia della CVD, i pazienti differiscono per alcuni aspetti patologici della malattia quali: il tempo di esordio, dinamica e risultati. Questa complessità correlata alla malattia rende la rilevanza dei fattori ambientali difficile da quantificare e studiare nonostante una crescente comprensione dei meccanismi


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pesanti dovrebbe dunque essere annoverato come concausa primaria delle principali malattie dismetaboliche.

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genetici, proteici e molecolari coinvolti nella CVD. Di conseguenza, il nostro lavoro che ha indagato l’associazione tra polimorfismi a singolo nucleotide (SNP) e condizioni patologiche legate ai metalli pesanti ambientali concentrandoci sulle malattie cardiovascolari, è stato possibile grazie all’intelligenza artificiale visto i tanti parametri e possibili BIAS presenti. Trovata tale correlazione diventava imperativo concentrarci sull’ambiente per ridurre l’immissione di questi tossici. ”Ortho-Pharmacia for Health-Vegetables” è stato il secondo step. Il progetto di fare Bio_Agricoltura per una Ecologia Integrale, è possibile. Il controllo dei metalli tossici, fare agricoltura naturale e rispettare la composizione del suolo per coltivare ortaggi che donano salute all’uomo e risanano l’ambiente potrebbe essere reale (“One Health”, www.onehealthcommission.org - Destoumieux-Garzón t al., 2018; ISS CS 37/18 - Carta di Roma 2018). Attualmente stiamo assistendo anche a consumatori sempre più eco attivi, con una sensibilità per l’ambiente che non appartiene ancora ai nostri Policy-Maker. Una persona su cinque desidera acquistare prodotti e/o servizi che non impattano sulla salute e sull’ambiente. In Italia si stima che entro il 2025 questo segmento potrebbe arrivare a pesare il 40% del totale. Un’agricoltura eco-sostenibile è quella che non contiene multiresidui chimici, metalli pesanti e metaboliti secondari. Agricoltura e Metalli tossici Negli ultimi anni l’espansione dell’agricoltura intensiva, per aumentare la produzione alimentare, ha comportato, per il massivo uso della chimica, una grave perdita in biodiversità e della composizione quali-quantitativa del microbiota del suolo (Pérez-Jaramillo et al., 2016) con conseguente perdita di micronutrienti negli ortaggi e facilitazione al “transfert suolo-piantina” di metalli tossici. Gli studi sulla presenza dei metalli tossici negli alimenti si sono moltiplicati. Metalli come l’Alluminio, Rame, Cadmio, Piombo e Mercurio anche quando la loro concentrazione nell’atmosfera è bassa, possono accumularsi nel terreno entrando nella catena alimentare, bio-accumulandosi con molteplici effetti sulla salute: problemi ai reni, alle ossa, neurocomportamentali, dello sviluppo, elevata pressione sanguigna e, potenzialmente, anche cancro (“Health risks of heavy metals from long-range transboundary air pollution”, pubblicato congiuntamente dall’Oms Europa e dalla Convention Task Force on the Health Aspects of Air Pollution). Il processo d’intossicazione cronica da metalli

Ortho-Pharmacia ”Ortho-Pharmacia” è un modello semplice, di agro-food naturale, per ottenere alimenti vegetali ricchi in principi attivi dosabili come un farmaco o come complemento alimentare. E’un progetto che parte dal suolo per il recupero del microbiota e sostanza organica per produrre vegetali che abbiano proprietà farmacologiche e salutistiche dai quali attingere i vantaggi dai loro metaboliti secondari. La possibilità di ottenere vegetali con una concentrazione di principi attivi tale da essere paragonabile ad un’integrazione richiede infatti un nuovo modello di bio-agricoltura con tecniche di geodisinfestazione sostenibili del suolo e sostituzione di fertilizzanti e pesticidi con corroboranti. Tutto ciò è possibile, proprio rispettando il suolo, la flora eubiotica, modulando il PH radicale. Appare, questa, una strategia promettente per lo sviluppo di un’agricoltura di nuova generazione e più sostenibile. Siamo fortemente motivati che questa ricerca sul potenziale funzionale dei microbiomi del suolo e delle piante potrà portare ad una riduzione degli input chimici, incrementando allo stesso tempo la fornitura di funzioni ecosistemiche benefiche (Chaparro et al., 2012; Gopal & Gupta, 2016; Song et al., 2020 - The 2013 European Union report on pesticides in food, 12 marzo 2015). Materiali e Metodi per una Bio-Agricoltura Ecosostenibile. Solarizzazione Naturale, Corroboranti Naturali e applicazione di un convertitore risonante ad accoppiamento induttivo basato su tecnologia rfid passiva Il trattamento di un terreno rappresenta una pratica comune, necessaria e spesso indispensabile per poter ripartire con un nuovo ciclo produttivo, liberandolo da agenti patogeni la cui presenza potrebbe compromettere seriamente il raccolto. Esistono due approcci metodologici completamente diversi tra loro sia sul piano tecnico che concettuale: la fumigazione basata sull’uso di agenti chimici (fumiganti) che sterilizzano il terreno eliminando i patogeni “negativi” ma anche quelli “positivi” (microorganismi) che rappresentano la fertilità del suolo; e la solarizzazione, con metodo naturale che sfrutta l’energia solare per riscaldare il terreno fino a temperature letali per i patogeni “negativi”. Il primo metodo punta a “tutto e subito”; la componente gassosa degli agenti chimici aggredisce ogni patogeno e nel giro di pochi giorni il terreno è depauperato di ogni forma vivente al punto che deve essere “rigenerato” prima di ospitare una nuova coltivazione. Gli svantaggi maggiori dei diversi fumiganti presenti sul mercato sono il loro impatto ambientale, spesso estremamente negativo, rappresentato dall’inquinamento atmosferico, e delle falde acquifere, da residui e accumuli nei terreni, da probaGdB | Settembre 2021

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COMBIPLUS®.

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bile pericolosità per la salute degli operatori e delle persone in zone limitrofe al campo trattato, da fastidiosi odori, percepiti anche in zone urbane limitrofe, spesso insopportabili per le alte concentrazioni di gas e, non ultimo, da notevoli costi per la messa in opera. Tale situazione, in assenza di valide alternative, viene tollerata procrastinando anno per anno l’uso di taluni fumiganti o vietandone la vendita con scadenze imposte dalle autorità sanitarie in presenza di pericolosità accertate per la salute umana. La solarizzazione naturale sfrutta il calore del sole per riscaldare il terreno fino a temperature tali da eliminare patogeni negativi (sia animali che vegetali) risparmiando i microorganismi che per loro natura hanno una elevata difesa alle alte temperature. Abbiamo testato questo nuovo metodo in diverse condizioni pedoclimatiche e strutture serricole, con diversi materiali (film plastici e concentrazione di liquido nero) su diversi tipi di terreno. Le prove sono state eseguite con l’obiettivo di dimostrare che le temperature registrate nel terreno a diverse profondità erano più elevate nel caso del nuovo metodo di solarizzazione rispetto a quello tradizionale, grazie al contributo della sottilissima pellicola di colore nero che si forma sulla superficie del terreno e che funge da collettore solare. I risultati sperimentali hanno confermato che uno dei principali vantaggi della solarizzazione è quello di preservare i microorganismi, gli “agenti positivi” secondo la teoria di Katan, molto utili per la fertilità dei terreni. L’integrazione di corroboranti e del convertitore Com-

biplus® ha notevolmente migliorato la qualità del terreno e preservato gli ortaggi da parassitosi. I prodotti applicati sono stati: 1. Soluzione di acqua ossidata (RedoxPlus/ ANK): Cloruro di sodio, Sodio solfato anidro, Fosfato di sodio. I valori elettrici di questa soluzione alla diluizione indicata oscillano tra + 700 / + 800 mV. I valori di pH dipendono molto dal pH dell’acqua di diluizione, importante il controllo con PHmetro. ORP positivo (RedoxPlus/ANK); ph di diluizione 7,5. 2. Soluzione di acqua alcalina idrogenata preparata con: flacone A: potassio idrossido e cloruro di sodio; flacone B: acido ascorbico e calcio ascorbato. I valori elettrici della combinazione dei due prodotti oscillano tra - 50 e -100 mV. ORP Negativo; PH 9-9,5. 3. Convertitore risonante ad accoppiamento induttivo basato su tecnologia rfid passiva. Meccanismo d’azione ipotizzato Gli ioni attivi in prossimità della superficie delle cellule vegetali hanno la capacità di alterare e talvolta invertire le cariche elettriche di membrana, creando una condizione controllata di stress esogeno. Tale meccanismo modifica l’aggressività dei parassiti e stimola la piantina alla produzione di molecole come antociani, licopene carotenoidi flavonoidi e carotenoidi a difesa. Il convertitore impatta sul campo magnetico ambientale, sulla magnetoricezione vegetale, cluster dell’acqua e sulla variazione di permeabilità dei canali ionici delle membrane cellulari. Tale condizione di stress esogeno se controllato ed entro alcuni limiti ne modulerebbe l’espressione positiva di geni a difesa del vegetale stesso. Conclusione I nostri risultati dimostrano che è possibile introdurre in agricoltura una nuova solarizzazione ad “impatto zero” per la sostenibilità ambientale, senza ricorrere necessariamente alla fumigazione del suolo, ed evitare l’utilizzo di prodotti chimici per infestazioni e/o parassitosi. Lo scenario, che A sinistra, T 30 Aprile2021. A destra, 07/06/21 - da sx a dx: sett- 1,2,3,4,5 Peperoncino. Miglior impianto radicale settore 5

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si aprirà, potrebbe rappresentare una vera e propria rivoluzione in agricoltura con drastici cambiamenti che avranno un grande impatto nelle pratiche agronomiche tradizionali, nella salvaguardia dell’ambiente, nel rispetto della salute umana, con benefici per l’economia delle aziende e per le colture agricole di qualità. Consapevoli che l’acquisizione di questi risultati non possono essere conclusivi, ma certamente meriterebbero un approfondimento su più tipologie di suoli e di ortaggi, inoltre ci consente di aprire un varco per un’agricoltura naturale altamente innovativa, sostituendosi alle attuali pratiche. Il dato più sorprendente è che tutto nell’ambiente sembra abbia un’influenza sul microbiota del suolo, anche i campi elettromagnetici, infatti proprio nel settore sotto controllo dei CEM il risultato è stato tra i più soddisfacenti sia per il dato analitico che sulla piantina macroscopica. Nota Forse siamo molto ambiziosi, ma ci piacerebbe che questa esperienza potesse trovare interesse negli operatori e rendere maggiormente consapevoli i consumatori affinché siano più attenti negli acquisti. Ringraziamenti Biochem srl, via jannelli, Napoli Med-System srl, Crotone. Biofarmex srl, Salerno Studio Sisti & Associati, Caserta D’Aniello Lab, S.Egidio Monte albino, Salerno. Vivere Alcalino Srl, S. Michele Salentino,Brindisi. Pasquale Mormile, Ricercatore CNR, ISASI. Dott. Francesco Guariglia, Agronomo, Pagani. Dott. Nicola de Monaco, Agronomo, Caserta. Dott. Francesco di Tuoro, Biologo, Caserta. Tec.Inf. Luciano Mion www.info@geolam.org

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ORTHO-PHARMACIA VEGETALI COME“MEDICINE” NATURALI. IL CONVEGNO DEL 30 OTTOBRE 2021

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metalli pesanti privi di funzioni fisiologiche, dotati di elevata tossicità a lungo termine, sempre più presenti nell’ambiente e nel nostro cibo. L’evento affronterà due sessioni tematiche: la prima dedicata a “Ortho-pharmacia. Vegetali come “medicine” naturali”. La seconda dedicata a “La biologia del microbioma applicata alla bio-agricoltura per disintossicare l’uomo e l’ambiente dai metalli pesanti”. L’evento ha il patrocinio dell’Ordine Nazionale dei Biologi e rappresenta un appuntamento importante per stimolare il dibattito scientifico in merito alla salvaguardia e valorizzazione della agricoltura biologica. In sintesi, un’agrofood eco-sostenibile ad impatto ambientale “zero” non solo è possibile, ma anche facilmente perseguibile da piccole realtà produttive. 88 GdB | Settembre 2021

Lo scenario, che si aprirà, potrebbe rappresentare una vera e propria rivoluzione in agricoltura con drastici cambiamenti forieri di un grande impatto nelle pratiche agronomiche tradizionali, nella salvaguardia dell’ambiente, nel rispetto della salute umana, con benefici per l’economia delle aziende e per le colture agricole di qualità. Sarà necessario implementare un nuovo paradigma di impresa agraria capace di rispondere allo stesso tempo sia alla necessaria transizione ecologica sia al cambiamento etico-sociale da tempo in atto nella società e destinato ad ulteriori mutamenti. Stato dell’Arte L’agricoltura e l’allevamento animale intensivi rappresenta la seconda causa dell’effetto serra, nonché un terzo dell’inquinamento globale. Questi fenomeni

contribuiscono a diminuire il tasso di sostanza organica nei suoli agricoli, impoverendoli sia dal punto di vista fisico che da quello chimico e nutrizionale e favorendo il bio-accumulo dei metalli pesanti in una sorta di catena alimentare negativa e invertita. L’accumulo cronico di tali elementi tossici assunti con l’alimentazione o respirati, entrano nel nostro metabolismo, inibiscono enzimi e molecole che partecipano all’attività antiossidante endogena, con conseguente stress ossidativo e disfunzione mitocondriale che sono alla base di buona parte delle malattie che affliggono i paesi occidentali. L’intossicazione cronica da metalli colpisce tutte le fasce di età, con una maggior incidenza del rischio nelle donne in gravidanza. Longo et al (2021) mettono in evidenza i pericoli di sterilità per i giovani maschi che potrebbero palesarsi entro il 2050 (International Journal of Environmental Research and Public Heatlh. Longo et al). In conclusione, poiché è impossibile evitare l’accumulo di metalli pesanti, occorre migliorare il nostro stile di vita, puntando alla disintossicazione dell’organismo, attraverso la scelta di alimenti vegetali ricchi in fito-chelatine, oligoelementi e antiossidanti. La disintossicazione cellulare da metalli al fine di ridurne l’impatto ecotossicologico e tossicologico (attraverso il bioaccumulo) è una misura urgente di Sanità pubblica ed è proprio l’agro-food il primo tassello sul quale intervenire.


Scienze

in collaborazione

Società Italiana di Biologia e Alimentazione, Roma.

CON IL PATROCINIO DI

Tecnopolis PST - Università di Bari

CONVEGNO NAZIONALE 30 Ottobre 2021

Hotel Belvedere, Caserta. SS87 Sannitica, 85, 81100 Caserta CE 0823 304925 ORTHO-PHARMACIA VEGETALI COME “MEDICINE” NATURALI. NON SOLO .. DIETA BILANCIATA, BLOCCO METABOLICO, METALLI PESANTI E MALATTIE CRONICHE I metalli pesanti privi di funzioni fisiologiche, dotati di elevata tossicità a lungo termine, sempre più presenti nell’ambiente e nel nostro cibo. 1° sessione “ORTHO-PHARMACIA” VEGETALI COME “MEDICINE” NATURALI. 2° sessione LA BIOLOGIA DEL MICROBIOMA APPLICATA ALLA BIO-AGRICOLTURA PER DISINTOSSICARE L’UOMO E L’AMBIENTE DAI METALLI PESANTI. Con il contributo incondizionato di

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Ecm Questo articolo dà la possibilità agli iscritti all’Ordine di acquisire 3 crediti ECM FAD attraverso l’area riservata del sito internet www.onb.it.

Efficienza metabolica Di seguito pubblichiamo un breve abstract di sintesi del corso Fad “Efficienza metabolica” Il corso è disponibile all’interno dell’area riservata “MyOnb”

di Gianni Zocchi*

C

ome potremmo mai parlare di metabolismo senza pensare all’ efficienza della nostra macchina biologica? La scienza ci insegna che non tutto può essere chiaro da subito. Può accadere pertanto che certe posizioni possono essere riviste alla luce di nuove evidenze scientifiche. In coerenza a quanto detto, credo di poter dire che l’obiettivo di questo percorso sia quello di generare, riflessioni, cercando di aprire più cassetti possibili, perché solo così ci potremmo avvicinare in modo migliore alla comprensione del fenomeno nella sua interezza, troppo spesso semplificato. Alla base, pertanto la riflessione di come possono essere interconnessi tra di loro aspetti diversi come; metabolismo, fabbisogno energetico, alimentazione, composizione corporea ecc. Già considerare che gli organi pesano poco rispetto all’intero organismo e consumano invece tanto in termini di metabolismo basale, ci fa molto riflettere, anche l’ipotesi che il cervello consumi pressocché quanto l’intera massa muscolare, anche questo può sembrare strano. Entrando nel vivo del percorso scorrendo le varie slide l’intento rimane quello di riflettere insieme su come possono coincidere ed essere appunto interconnesse tra di loro alcune variabili al fine di capire, sia in termine metabolici che di composizione corporea (fattori questi estremamente collegati al nostro stato di efficienza, benessere e salute) chi realmente siamo e dove stiamo andando, tutto questo sempre nell’ ottica di guidarci nelle scelte strategiche più idonee da caso a caso. Nei nostri studi non è raro che la frase ricorrente possa essere, “Dott. il metabolismo si è fermato, mi ha abbandonato, ecc. ecc.”, quali dati e riflessioni dobbiamo mettere insieme per cercare di dare una risposta più efficacie e quindi attuare la miglior strategia possibile? Ricordiamoci a tale riguardo che l’alimenta-

Biologo Nutrizionista, Specialista in Scienza dell’ Alimentazione e Delegato Nazionale per la Nutrizione per l’Onb.

*

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zione è una componente del sistema ma non l’unica soluzione, a volte siamo costretti anche a sacrificarla o metterla in secondo ordine, per scelte diverse obbligate. Per fare un buon lavoro dobbiamo sempre considerare che, al di là della motivazione individuale che rimane sempre un fattore importante e determinante, l’alimentazione muove alti livelli di sensorialità ed è spesso compensativa ai nostri stati d’animo. Lo stress psichico, per esempio, non certo favorisce il nostro compito, non solo per gli ormoni che muove ma perché genera atteggiamenti compulsivi e compensatori e non ultimo spesso anche dipendenza. Dato per scontato quanto detto, l’obiettivo rimane quello di generare più “efficienza d’organo e quindi metabolica possibile” in quanto il nostro organismo può essere paragonato ad una macchina termoidraulica, nello specifico biologica estremamente sofisticata dove le nostre centrali operative non hanno occhi per vedere, orecchi per sentire ma controllano tutto appunto tramite la chimica e la biochimica che si genera, questi fattori sono estremamente connessi al nostro stile di vita, dove l’ alimentazione gioca un ruolo decisamente importante sia in forma diretta che indiretta. Obiettivo rimane pertanto il raggiungimento di un livello di controllo straordinario e unico che favorisca il miglioramento funzionale di questo sistema complesso e lo renda ai massimi livelli possibili di efficienza. Lasciandosi alle spalle una parte di riflessioni che sembrerebbero anche avere un carattere filosofico, iniziamo ad analizzare alcuni punti considerandoli sempre comunque come riflessione, la domanda a questo punto potrebbe essere “come facciamo a rendere più efficace la nostra proposta nutrizionale che in questa logica debba mirare all’ efficienza del sistema considerando anche aspetti che vanno da quello: cellulare, tissutale, d’ organo e quindi sistemico?”. Analizziamo non in ordine d’ importanza ma in ordine volutamente sparso i fattori che a mio parere generano riflessione e allo stesso tempo potrebbero condizionare le nostre scelte. Partiamo dall’ Etnia visto che viviamo in un contesto di globalizzazione. In questo caso dobbiamo pensare all’ impatto che, alimenti diversi rispetto alle abitudi-


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© Panchenko Vladimir/shutterstock.com

ni, possono generare e qui la genetica ci ricorda quanto siano lunghi, per esempio, i tempi di adattamento. Altro aspetto considerare le strutture anatomiche tra i vari tipi di popolazioni che comportano alloro volta un metabolismo basale più alto o più basso, in virtù proprio della dimensione di alcuni organi. Come non considerare la temperatura dell’ambiente. In questo caso t° maggiori dei 30° o addirittura all’ opposto, fredde, aumentano in genere il metabolismo, quindi differenza tra stagione e stagione. E l’attività fisica cosa comporta? Solo per citarne alcuni degli aspetti, a seconda della tipologia non solo può sviluppare strutture e migliorare il metabolismo ma allo stesso tempo può consentire un miglior ridistribuzione dei liquidi con effetto drenante, ma anche consentire se svolta con un certo criterio e continuità il perdurare del consumo calorico anche dopo qualche ora dalla sospensione. Come non prendere in considerazione poi la composizione corporea (distribuzione e percentuali tra massa grassa, massa magra e liquidi totali, nonché la loro distribuzione nei comparti tra intra ed extracellulari) tutti aspetti che comportano scelte alimentari e di stile di vita diverse tra loro. Se ho una struttura muscolare importante e anche molta massa grassa potrò più spingere sull’ attività fisica non sacrificando troppo l’alimentazione ma se al contrario la massa muscolare è poca e la massa grassa rimane su livelli importanti, qui la strategia iniziale sarà più focalizzata sull’ alimentazione e se poi l’idratazione in entrambi i casi non fosse idonea, cosa devo fare? e così via. Queste sono alcune domande che ci dovremmo porre quando affrontiamo l’analisi della composizione corporea. L’età può essere qualcosa di importante da valutare? Siamo in costante modifica del nostro organismo, si va dai periodi nel quale l’individuo cresce e si sviluppa a periodi particolari della vita fino a momenti nei quali tutto è più in salita dove cambiano gli assetti ormonali e le funzionalità d’ organo, nonché l’efficienza delle strutture muscolari e il disallineamento dei liquidi (basti pensare alla presenza di un edema declivio) di solito presente più in tarda età. Le condizioni ormonali (FSH, TSH, Ft3, Ft4, cortisolo, adrenalina, progesterone, estrogeni, testosterone, aldosterone, ecc.) corresponsabili con pesi e modalità diverse tra loro di alcune variazioni nel nostro organismo, per esempio delle masse muscolari, della massa adiposa e della sua distribuzione, dell’alterata sensibilità ai carboidrati, del funzionamento della tiroide, della ritenzione dei liquidi e del loro spostamento nei vari comparti e potremmo ancora andare avanti. L’ efficienza dei nostri organi, sicuramente non

è ottimale in presenza di acidosi, di infiammazione, di stress ossidativo, di intossicazione, di iper o ipoidratazione e solo per citarne anche qui, alcune. Tutti aspetti questi da tenerne di conto da caso a caso al fine di rendere più “efficiente la nostra macchina biologica”. Altro aspetto ovviamente riguarda tutto il campo legato alle patologie, li si aprono considerazioni e contesti completamente diversi tra loro nei quali è per noi difficile addentrarsi. La genetica ovviamente anche questa ha il suo peso anche se non va confusa con quelle che sono invece le abitudini sbagliate a livello familiare, trasferite dai genitori ai propri figli. Nuova frontiera di osservazione il microbiota intestinale. Sempre più studi confermano l’ ipotesi di come il microbiota intestinale possa, pilotare le nostre scelte alimentari, sfruttare gli alimenti e renderli più impattanti (vedi i carboidrati), creare tossicità, aumentare o ridurre l’ infiammazione, produrre sostanze importanti per il trofismo cellulare, aumentare la sensibilità agli alimenti e migliorarne o non la digeribilità, alterare per esempio gli amminoacidi (decarbossilazione) creando ammine alcune addirittura tossiche e non ultimo contribuire ad alterare la permeabilità intestinale e così via. Un’ultima riflessione che mi viene da fare visto la mia esperienza anche come nutrizionista sportivo (seguo atleti di punta che partecipano per titoli nazionali, europei, mondiali, olimpici), che fine fanno le proteine se non supportate da una digestione corretta e un microbiota in equilibrio (eubiotico) e collaborante? In conclusione, come potete vedere è difficile pensare come ottenere risultati al massimo del possibile senza mettere insieme tutte queste considerazioni e forse sicuramente altre. Del resto abbiamo detto che la nostra è una macchina biologica molto complessa e l’obiettivo da raggiungere rimane sempre e comunque l’“efficienza”. Solo dopo tutte queste considerazioni possiamo pensare a come costruire un piano nutrizionale efficace. In conclusione potremmo affidarci a tante considerazione e strumenti l’ importante è creare sinergia e sintesi ecco che potremmo considerare; la T.I.D. (termo genesi indotta dagli alimenti), come combinare gli alimenti e sceglierli in base alle necessità del momento, come ridurre il più possibile le risposte esasperate insulinemiche, come alzare la barriera antiossidante, come ridurre i coefficienti infiammatori, come idratare il nostro organismo e quindi nell’ insieme fornire tutto ciò che serve passo dopo passo nella giornata senza generare difficoltà e sovraccarico ai nostri emuntori (fegato, reni, pancreas) e anche ovviamente nel rispetto dell’ asse gastro-intestinale e quindi digestiva. Tutto questo dopo aver visto e valutato bene nelle sue sfaccettature, l’individuo. Buon lavoro a tutti. GdB | Settembre 2021

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Anno IV - N. 9 Settembre 2021 Edizione mensile di AgONB (Agenzia di stampa dell’Ordine Nazionale dei Biologi) Testata registrata al n. 52/2016 del Tribunale di Roma Diffusione: www.onb.it

Direttore responsabile: Claudia Tancioni Redazione: Ufficio stampa dell’Onb

Giornale dei Biologi

Edizione mensile di AgONB, Agenzia di stampa dell’Ordine Nazionale dei Biologi. Registrazione n. 52/2016 al Tribunale di Roma. Direttore responsabile: Claudia Tancioni. ISSN 2704-9132

Settembre 2021 Anno IV - N. 9

Progetto grafico e impaginazione: Ufficio stampa dell’ONB. Questo magazine digitale è scaricabile on-line dal sito internet www.onb.it edito dall’Ordine Nazionale dei Biologi. Questo numero de “Il Giornale dei Biologi” è stato chiuso in redazione lunedì 27 settembre 2021. Contatti: +39 0657090205, +39 0657090225, ufficiostampa@onb.it. Per la pubblicità, scrivere all’indirizzo protocollo@peconb.it.

GIÙ I CASI A SETTEMBRE ED EFFETTO GREEN PASS Dati rassicuranti sul Covid, ma preoccupano i contagi tra i più piccoli

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Gli articoli e le note firmate esprimono solo l’opinione dell’autore e non impegnano l’Ordine né la redazione. Immagine di copertina: © Budimir Jevtic/www.shutterstock. com


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DELEGAZIONE REGIONALE LAZIO E ABRUZZO

CORSO FAD

IL LABORATORIO E LA CLINICA NELLA LOTTA ALLA PANDEMIA DA SARS-COV-2 8 ottobre 2021


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