Il Giornale dei Biologi - N.10 - Ottobre 2021

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Giornale dei Biologi

Edizione mensile di AgONB, Agenzia di stampa dell’Ordine Nazionale dei Biologi. Registrazione n. 52/2016 al Tribunale di Roma. Direttore responsabile: Claudia Tancioni. ISSN 2704-9132

Ottobre 2021 Anno IV - N. 10

BIOLOGI PROTAGONISTI DELLO SVILUPPO SOSTENIBILE L’Onb ha partecipato a Ecomondo l’Expo della Green Technology D’Anna: “La nostra categoria è fondamentale per la tutela ambientale”

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DELEGAZIONE REGIONALE LAZIO E ABRUZZO

CORSO FAD

IL LABORATORIO E LA CLINICA NELLA LOTTA ALLA PANDEMIA DA SARS-COV-2 24 novembre 2021 - II edizione


Sommario

Sommario EDITORIALE 3

In vista del traguardo di Vincenzo D’Anna

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PRIMO PIANO 6

Covid, Italia meglio degli altri paesi europei Ma la battaglia non è ancora vinta di Rino Dazzo

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Diabete, su prevenzione ancora gap tra regioni di Ester Trevisan

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Un pacemaker per curare la depressione di Ester Trevisan

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Il ruolo antivecchiamento dell’alfa-sinucleina di Pasquale Santilio

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Una molecola contro il declino cognitivo di Pasquale Santilio

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Parkinson, novità con elettrocateteri direzionali di Domenico Esposito

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Un modello alternativo per combattere l’obesità di Domenico Esposito

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L’Oms pubblica nuove liste di farmaci essenziali di Domenico Esposito

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Ringiovanire le cellule del cuore di Domenico Esposito

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Mutazione e varianti del coronavirus di Michelangelo Ottaviano

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Obesità e capelli di Biancamaria Mancini

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L’epigenetica delle cellule della pelle di Carla Cimmino

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AMBIENTE

INTERVISTE 12

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Piombo: più è diffuso più si concentra nelle ossa di Chiara Di Martino Clima e beni culturali. Ecco la piattaforma che prevede i rischi di Chiara Di Martino

SALUTE 16

Perché le donne sono più freddolose degli uomini? di Sara Bovio

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Ecomondo. Il futuro green con al centro i biologi

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Il futuro della Terra è in alto mare di Giacomo Talignani

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Dallo spazio si osservano i trichechi di Giacomo Talignani

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L’estinzione degli impollinatori di Gianpaolo Palazzo

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La muraglia cinese dei rifiuti elettronici di Giacomo Talignani


Sommario

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Riciclo fino all’ultima goccia di Gianpaolo Palazzo

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Italiani, campioni di mobilità di Gianpaolo Palazzo

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Crisi energetica e rincari economici di Michelangelo Ottaviano

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La simmetria spiega le basi molecolari nelle piante di Pasquale Santilio

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I tre fattori principali degli ecosistemi terrestri di Pasquale Santilio

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INNOVAZIONE 52

Organoidi per sviluppare trattamenti per il cancro al pancreas di Sara Bovio

SPORT 58

Ganna, Balsamo & co. Italia “padrona” del ciclismo di Antonino Palumbo

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Polo e cricket, le ultime “favole” della saga Italia-Inghilterra di Antonino Palumbo

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Tuffi, Cosetti prima italiana nell’high diving di Antonino Palumbo

65

Dopo il Bernabeu, il calcio solidale di Borja Valero di Antonino Palumbo

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BREVI LAVORO

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Concorsi pubblici per Biologi

SCIENZE

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Nuovi studi sulla Neuropatia Ottica ereditaria di Leber di Cinzia Boschiero

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La conservazione di stagni e zone umide minori per contrastare il cambiamento ambientale globale di Valentina Della Bella

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I percorsi storici sul sequenziamento del DNA (III) di S. Barocci, I. Paolucci, P. D. Antonelli, A. F. Cristallo

BENI CULTURALI 54

Villa dei Vescovi nel cuore dei Colli Euganei di Rino Dazzo

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La cultura investa sull’archeologia subacquea di Pietro Sapia

ECM 90

Dieta Chetogena nel Paziente con Obesità e Comorbidità Obesità-Associate di Luigi Barrea


Editoriale

In vista del traguardo di Vincenzo D’Anna Presidente dell’Ordine Nazionale dei Biologi

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l prossimo 7 dicembre si conA sovrintendere, in piena autonoclude il mandato ordinario del mia, sulle varie fasi della competizione Consiglio dell’Ordine Nazio- elettorale, per eleggere i presidenti Renale dei Biologi, insediatosi gionali ed i relativi Consigli direttivi, nel 2017. Non si conclude invece il saranno chiamati gli undici commissamandato temporale di ri straordinari già nomiIl 31 dicembre 2022 “vigenza in carica” delnati, all’uopo, con Del’Onb sarà sciolto per lo stesso Consiglio, che creto del Ministero della disposizione di legge proseguirà fino al 31 Salute. Quindi: netta see sarà sostituito da undici Ordini Regionali dicembre del 2022 alparazione di compiti tra dei Biologi coordinati lorquando l’Ordine dei la dirigenza nazionale, dalla FORB Biologi sarà sciolto per che resterà per la parte disposizione di legge e sarà sostituito politica ed organizzativa “normale” da undici Ordini Regionali dei Biologi dell’ONB fino al suo scioglimento, ed i coordinati, nella loro attività relativa responsabili della fase elettorale. In un alle funzioni ed ai compiti specifica- recente incontro tenutosi a Roma, nel mente demandati agli enti territoriali, mese di ottobre, che ha riunito tutti i dalla Federazione degli Ordini Regio- commissari, per un approfondimento nali dei Biologi (FORB). sulla legge e sul regolamento elettoGdB | Ottobre 2021

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Editoriale

rale, si è registrata una piena sintonia nuità né disagi agli iscritti che intendoe si sono poste le basi per un’azione no adoperarsi negli eventi che devono coordinata dei commissari medesimi svolgersi e nelle varie iniziative messe per far svolgere, all’unisono, tutte le in cantiere. Insomma, siamo all’ultimo competizioni regionali. Pieno e totale chilometro di una corsa durata quattro il supporto economico ed amministra- anni e che ha fatto segnare una miriade tivo che l’Ordine metterà a loro dispo- di attività scientifiche e formative sia sizione per un’efficiente e trasparente in presenza che via web. attività legata alla fase elettorale. Una corsa che ha visto una profonLe Delegazioni, aperte da innovazione e l’effiLe Delegazioni già da tempo, sono nella cientamento dei servizi sono nella pienezza pienezza organizzativa e dedicati agli iscritti, a organizzativa e funzionale per ospitare i cominciare dai canali di funzionale per ospitare commissari che disporcomunicazione che, tra i commissari che disporranno di quelle ranno di quelle sedi per giornali (webmagazine e sedi per le loro funzioni l’espletamento delle funcartaceo), sito istituziozioni loro assegnate. Non nale ed area riservata, cesserà, nel frattempo, la piena fruizio- hanno avvicinato migliaia di iscritti ne delle Delegazioni da parte dei grup- alla gestione ordinistica abbattendo i pi di lavoro insediati e delle attività muri dell’incomunicabilità e del senscientifiche e formative già program- timento di solitudine che pervadeva mate. Il riferimento per svolgere quel- molti nostri colleghi. Sembrano fatti le attività “ordinarie” sarà il Consiglio attinenti alla burocrazia ma rappresendell’Ordine per il tramite del presi- tano, invece, la punta di diamante di dente e del vicepresidente. L’intento è una radicale trasformazione a cui è anquello di non creare soluzioni di conti- dato incontro l’ONB. 4

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Editoriale

Senza dialogo, senza coinvolgimen- buti e borse di studio laddove ne ricorto, senza una capillare informazione resse il diffuso interesse degli iscritti. e senza la possibilità di poter accedeÈ presto per fare un bilancio definire a tutti gli atti deliberativi, ai rego- tivo essendo un anno ancora innanzi al lamenti, ai bilanci, alla gestione per Consiglio dell’Ordine. Tempo che sarà l’acquisto di beni, servizi e collabora- impiegato per raggiungere i pochi obietzioni nulla avrebbe potuto cambiare le tivi rimasti a cominciare dalla revisione cose in maniera efficiente, adeguata e dell’Albo e degli accessi al medesimo, soprattutto legittima. Non c’è chi non per poi passare all’incremento delle veda, infatti, lo sforzo competenze per le varie Non c’è chi non veda che è stato profuso per tipologie di attività svollo sforzo profuso cambiare rotta e migliote dai Biologi, soprattutto per cambiare rotta rare la rappresentanza nel campo della Nutrizioe migliorare la dei Biologi ovunque fosne e dell’Ambiente, delle rappresentanza dei Biologi ovunque se necessario, a cominnuove branche di interfosse necessario ciare dagli enti funzionavento come la Genetica e li che si intersecano con la Genomica, la Procreal’ONB. Un altro elemento da conside- zione medica assistita e lo sfruttamenrare, come ulteriore approdo, è quello to dei molti sentieri indicati nell’albero di consegnare a coloro che arriveranno delle opportunità. Le specializzazioni mediante le elezioni, un ente che non innovative, l’aumento del numero dei ha debiti e che non ha preteso un cen- posti disponibili per i Biologi, le agetesimo di euro dagli iscritti per tutti gli volazioni economiche per coloro che si eventi scientifici, i master, le summer specializzano, sono nel taccuino delle school e i corsi di formazione fin qui cose indifferibili. Il traguardo è vicino organizzati, distribuendo, anzi, contri- ma la strada è ancora in salita. GdB | Ottobre 2021

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Primo piano

COVID, ITALIA MEGLIO DI ALTRI PAESI EUROPEI MA LA BATTAGLIA NON È ANCORA VINTA Aumentano i casi tra gli operatori sanitari, con un abbassamento della protezione dopo otto-nove mesi dalla somministrazione del vaccino. Terza dose per tutti “scenario verosimile”

di Rino Dazzo

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a situazione rimane sotto controllo, cominciano però ad accendersi alcune spie rosse. In Italia il Covid continua a essere fronteggiato con efficacia, a differenza di altri Paesi europei dove i numeri dei nuovi casi, dei ricoveri e dei decessi ricordano quelli delle fasi più dure della pandemia. Gli indicatori nazionali, tuttavia, segnalano chiaramente come non sia il caso di considerare vinta la partita. Se il mese di settembre, infatti, si era chiuso con trend relativi a contagi, ricoveri e decessi in progressiva diminuzione, ottobre ha fatto registrare una parziale controtendenza. Dalla seconda metà del mese, soprattutto, sono tornati ad aumentare, sia pure in maniera ancora poco significativa, i numeri dei casi giornalieri, delle ospedalizzazioni e anche dei morti. Per ora la crescita è debole e riguarda sia la percentuale dei positivi ai test molecolari che gli ingressi in te-

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rapia intensiva, con una leggera risalita della stessa curva media dei decessi. Campanelli d’allarme che segnalano come non sia affatto il momento di abbassare la guardia. Così l’ultimo monitoraggio settimanale del Ministero della Salute: «L’incidenza a livello nazionale mostra una lieve controtendenza rispetto alla settimana precedente ma è al di sotto della soglia di 50 casi settimanali per 100.000 abitanti. La trasmissibilità stimata sui casi sintomatici e sui casi con ricovero ospedaliero, pur permanendo sotto la soglia epidemica, mostra segnali di crescita». Le armi a disposizione contro il virus sono sempre le stesse: «Una più elevata copertura vaccinale, il completamento dei cicli di vaccinazione ed il mantenimento di una elevata risposta immunitaria anche attraverso la dose di richiamo nelle categorie indicate dalle disposizioni ministeriali, rappresentano gli strumenti principali per preve-


Primo piano

nire ulteriori recrudescenze di episodi di aumentata circolazione del virus sostenuta da varianti emergenti. È opportuno continuare a garantire un capillare tracciamento, anche attraverso la collaborazione attiva dei cittadini per realizzare il contenimento dei casi; mantenere elevata l’attenzione ed applicare e rispettare misure e comportamenti raccomandati per limitare l’ulteriore aumento della circolazione virale». Le curve in risalita possono essere spiegate, almeno parzialmente, con l’elevato numero di test effettuati per il green pass. Per fortuna, cresce seppur sempre più lentamente anche la curva dei vaccinati. Alla fine di ottobre più di tre italiani su quattro hanno completato il ciclo di protezione. Superato il 75% della popolazione che ha ricevuto due dosi (quasi 45 milioni di persone), percentuale che si fa ancora più alta e che arriva a sfiorare l’80% se si considerano i pre-infettati che hanno ricevuto una sola dose dopo essere guariti dal Covid e i soggetti che hanno ricevuto il vaccino monodose sviluppato da Johnson & Johnson. Considerando poi solo la fascia di popolazione over 12, si arriva a oltre l’86% di copertura. L’efficacia dei vaccini, del resto, non è in discussione. Nel suo ultimo report esteso l’Istituto Superiore di Sanità ha snocciolato alcuni dati, che ribadiscono l’azione protettiva dei vaccini nella prevenzione dei ricoveri nei reparti ordinari (92% contro la variante delta, 95% contro le altre varietà del virus), in terapia intensiva (95% delta, 97% le altre) e contro i decessi (91% delta, 97% le altre). Nello stesso report si sottolinea anche l’aumento dei casi tra gli operatori sanitari (371, contro i 306 della settimana precedente) a testimonianza di un certo abbassamento della protezione a distanza di otto-nove mesi dalla sommi-

Sono stati registrati anche in Italia i primi casi di variante Delta Plus (AY.4.2), la nuova osservata speciale tra le varianti emergenti con oltre 15mila contagi in Gran Bretagna e casi segnalati anche in altri Paesi europei.

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nistrazione del vaccino. Non a caso, si parla con sempre maggior insistenza di terza dose per tutti e non solo per le categorie a rischio, per le quali la campagna è già iniziata e procede a buon ritmo. Eventualità a cui ha accennato lo stesso presidente dell’ISS, Silvio Brusaferro, che ha parlato di «scenario verosimile» in riferimento all’estensione della terza dose, o «dose aggiuntiva», per tutta la popolazione di età superiore ai 12 anni. Molto probabilmente del vaccino anti-Covid bisognerà fare un richiamo annuale, o comunque periodico. Di vaccinazione eterologa ha invece parlato Franco Locatelli, presidente del Consiglio Superiore di Sanità, in relazione alla seconda dose per chi aveva fatto il vaccino Johnson & Johnson, a distanza di almeno due mesi dalla prima (che originariamente doveva essere l’unica): «C’è la notizia di un processo di revisione da parte di FDA, successivamente ci sarà sicuramente anche da parte di EMA», le parole di Locatelli a Rai Tre. «Qualora arrivassero indicazioni sulla possibilità di somministrare una seconda dose con un vaccino a Rna messaggero, si avrebbe il vantaggio di indurre una risposta immunologica anche migliore. Queste persone verranno chiamate, c’è un’anagrafe vaccinale molto precisa. Somministrare oltre i due mesi non compromette l’efficacia». Intanto sono stati registrati anche in Italia i primi casi di variante Delta Plus (AY.4.2), la nuova osservata speciale tra le varianti emergenti con oltre 15mila contagi in Gran Bretagna e casi segnalati anche in altri Paesi europei. Gli esperti la considerano il 10% più contagiosa e aggressiva della Delta, anche se meno pericolosa. «Gli studi provenienti dal Regno Unito non ci fanno preoccupare molto su questa variante», la rassicurazione del sottosegretario alla Salute Pier Paolo Sileri. «I vaccini funzionano anche contro la Delta Plus e l’obiettivo del 90% di copertura è sempre più vicino». Intanto sono stati registrati anche in Italia i primi casi di variante Delta Plus (AY.4.2), la nuova osservata speciale tra le varianti emergenti con oltre 15mila contagi in Gran Bretagna e casi segnalati anche in altri Paesi europei. Gli esperti la considerano il 10% più contagiosa e aggressiva della Delta, anche se meno pericolosa. «Gli studi provenienti dal Regno Unito non ci fanno preoccupare molto su questa variante», la rassicurazione del sottosegretario alla Salute Pier Paolo Sileri. «I vaccini funzionano anche contro la Delta Plus e l’obiettivo del 90% di copertura è sempre più vicino». GdB | Ottobre 2021

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Primo piano

DIABETE, SU PREVENZIONE ANCORA GAP TRA REGIONI Più ombre che luci nella seconda edizione dell’indagine “Disuguaglianze, territorio, prevenzione, un percorso ancora lungo”, realizzata da Cittadinanzattiva su un campione di 6.743 intervistati

di Ester Trevisan

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carsa prevenzione, gap molto accentuati fra regioni, troppi costi sostenuti dai malati, livelli di assistenza inadeguati tra i banchi per i piccoli pazienti. E, a pesare come un macigno, la pandemia che ha costretto in secondo piano le visite di controllo e gli accertamenti clinici e diagnostici. È una fotografia in cui prevale il nero sul bianco quella scattata dalla seconda edizione dell’indagine civica sul diabete “Disuguaglianze, territorio, prevenzione, un percorso ancora lungo”, realizzata da Cittadinanzattiva. Il rapporto si basa sulle risposte fornite da 7.096 intervistati, tra cui 6.743 cittadini, pazienti diabetici e genitori di bambini affetti da questa patologia, e 353 professionisti sanitari. Il 78% del campione risulta affetto da diabete di tipo 2, il 18% da diabete di tipo 1, lo 0,3% da diabete gestazionale, il 2,5% da altre forme. Sul fronte della presa in carico e dell’assistenza, il tallone di Achille risulta la mancanza di raccordo tra i servizi di cure: dei pazienti oggetto dell’indagine, appena il 6% dichiara che esistono procedure formalizzate di coordinamento tra diabetologi e altri specialisti e medici di medicina generale o pediatri di libera scelta. Questo aspetto viene percepito negativamente dai pazienti e a dimostrarlo è, di contro, l’apprezzamento di quel 64% di intervi-

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stati che si ritiene soddisfatto dell’esperienza vissuta all’interno del percorso diagnostico terapeutico e assistenziale (PDTA): per il 65% è indice di un maggiore riguardo della sanità pubblica nei confronti dei diabetici e il 43% lo ritiene un sistema per ottenere più informazioni, mentre per il 73% rappresenta un servizio migliore per quanto concerne organizzazione e presa in carico, per il 52% è garantito un controllo più attento della malattia e per il 7% è più facile ottenere dispositivi e tecnologie per l’autocontrollo della glicemia. Una nota dolente riguarda i costi sostenuti dai pazienti per le cure: l’86% degli intervistati dichiara di pagare di tasca propria esami di laboratorio, visite specialistiche e i kit composti da gel glucosio convertito, strisce reattive, cerotti e sensori per il monitoraggio della glicemia, lancette pungidito, perché non prescritti o forniti in quantità insufficiente, o in ritardo. Su base annua, per circa il 13% la spesa ammonta a 100 euro, il 33% ne spende mediamente 300, il 6% 450 euro, il 7% 1.000, il 19% 1.500 euro, con punte fino a 3.000 euro. Oltre la metà degli intervistati riporta difficoltà ad ottenere terapie e strumenti per tenere sotto controllo la patologia. Il 90% evidenzia limiti nella prescrizione di strisce reattive, con differenze molto marcate tra le regioni: per i pazienti affetti da diabete di


Primo piano

terruzione si è protratta da 6 a 9 mesi e in un terzo dei casi, quando la pandemia ha attraversato le fasi più acute, sono stati attivati controlli a distanza attraverso telefono, chat, collegamento web o piattaforme di telemedicina. Per il 58% dei pazienti queste modalità proseguono ancora oggi. Carente l’assistenza agli alunni diabetici da parte delle istituzioni scolastiche: oltre la metà dei genitori intervistati da Cittadinanzattiva lamenta la mancanza di formazione del personale scolastico e la presenza di infermieri per la somministrazione di insulina è garantita soltanto nel 6% delle

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tipo 1 si va dalle 25 strisce mensili garantite in Sicilia alle 250 di Abruzzo, Molise e Toscana, dove si arriva ad erogarne 300 per i minorenni. Anche i pazienti con diabete di tipo 2 in terapia insulinica basale segnalano limiti mensili di 25 strisce nelle Marche, in Friuli-Venezia Giulia, Sicilia, Veneto, Trentino-Alto Adige. La pandemia ha reso la vita dei diabetici ancora più difficile a causa della sospensione dei servizi offerti da centri o servizi diabetologici durante il lockdown. Il 46% afferma di aver usufruito di un centro diabetologico una sola volta lo scorso anno, mentre il 28% si è rivolto a un reparto ospedaliero che si occupa anche di diabete. Lo stop alle visite diabetologiche si è registrato nel 40% dei casi, per lassi di tempo che vanno dai 4 mesi ad un anno. In due casi su tre l’in-

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Primo piano

scuole. Secondo il 13% dei genitori la mensa scolastica non è in grado di soddisfare le esigenze alimentari dei piccoli pazienti e uno su tre decide di rinunciare a questo servizio ritenendolo inadeguato. I diabetici in Italia sono circa 3,4-4 milioni e rappresentano quasi il 6% della popolazione. Le regioni dove l’incidenza della patologia è maggiore rispetto alla media italiana del 5,8% sono Calabria (8%), Molise e Sicilia (oltre il 7%), mentre le Province Autonome di Bolzano (3%) e Trento (4%) insieme con il Veneto (circa il 5%) sono le più virtuose. Al Sud (4,48 per 10.000) e nelle Isole (4,26) si muore di più a causa del dia-

I diabetici in Italia sono circa 3,4-4 milioni e rappresentano quasi il 6% della popolazione.

bete che non nelle regioni del Centro (2,61) e del Nord (2,20). Maglia nera per la mortalità a Campania (5,53), Sicilia (4,93) e Calabria (4,43), mentre in Lombardia (1,95) e P.A. di Bolzano e di Trento (1,60) si rilevano i dati più bassi. «Il Piano nazionale sulla malattia diabetica è ancora lì, a quasi dieci anni dalla sua approvazione, e le Regioni lo stanno attuando in ordine sparso e con modalità diverse – ha commentato Francesca Moccia, vicepresidente di Cittadinanzattiva -. È il momento di rispolverare quel documento, riattualizzando e confermando con politiche concrete gli impegni assunti ormai quasi un decennio fa».

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Organizzato dall’ Ordine Nazionale dei Biologi Delegazione Regionale Toscana-Umbria

http://toscanaumbria.ordinebiologi.it/

Delegazione Regionale Emilia Romagna - Marche

http://emiliaromagnamarche.ordinebiologi. it/

Delegazione Regionale Piemonte, Liguria e Valle D’Aosta http://piemonte.ordinebiologi.it/

Webinar

Accreditato ECM (33 Crediti , ID Evento: 330915)

II Edizione LE CINQUE GIORNATE DELL’ONCOLOGIA INTEGRATA: APPROCCI MULTIDISCIPLINARI PER LA PREVENZIONE, LA CURA DEL TUMORE E IL SOSTEGNO ALLA PERSONA MALATA 07 Settembre 2021 - 23 Settembre2021 - 11 Ottobre 2021 11 Novembre 2021 - 03 Dicembre 2021 Clicca qui per visualizzare il programma GdB | Ottobre 2021

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Intervista

PIOMBO: PIÙ È DIFFUSO PIÙ SI CONCENTRA NELLE OSSA Uno studio congiunto Israele-Roma-Vienna su resti umani di un periodo lungo 14mila anni spinge verso una regolamentazione dell’uso di metalli pesanti. Ne parla Alfredo Coppa (La Sapienza)

di Chiara Di Martino

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iombo nelle ossa: nella storia, ai periodi di grande utilizzo di questo e altri metalli pesanti corrisponde una loro maggiore presenza nel corpo umano. Allo stesso modo, da un impiego minore deriva un calo pressoché contestuale della sua concentrazione (e questa è una buona notizia). Un arco temporale lunghissimo, quello indagato dalla ricerca guidata da studiosi della Hebrew University of Jerusalem insieme a ricercatori dell’Università La Sapienza di Roma e dell’Università di Vienna: circa 14mila anni. Al centro dello studio, pubblicato su Environmental Science and Technology, resti umani di individui vissuti a Roma e dintorni da 12mila anni fa fino al 17esimo secolo. L’impatto delle osservazioni che ne discendono è particolarmente significativo: è noto, infatti, che anche un’esposizione a basse dosi provoca danni alla salute umana, tanto da spingere molti governi, negli anni, a limitare l’utilizzo del piombo in molti prodotti. E, stando a quanto emerso dalla ricerca, continuare a farlo può generare effetti positivi. Lo spiega bene uno degli autori, Alfredo Coppa, ordinario di Antropologia al Dipartimento di Biologia ambientale della Sapienza. La concentrazione di piombo nelle ossa e nei denti riflette l’andamento della produzione di questo metallo. Perché è una buona notizia?

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Più piombo viene prodotto, più è probabile che i corpi umani lo assorbano, con un effetto altamente tossico. Ma se se ne produce di meno, questo effetto segue lo stesso percorso. Il che significa che con una regolamentazione adeguata potremo ridurre gli impatti dannosi sulla salute della contaminazione da metalli tossici. Facciamo un passo indietro. Come nasce questo studio? L’origine è in una ricerca precedente che non aveva nulla a che fare con l’inquinamento, ma ne ha utilizzato i campioni. Il lavoro, pubblicato su Science, fu il primo ad analizzare la genomica di popolazioni storiche: in particolare, i Romani lungo uno spettro temporale che va dal Meseolitico al 17esimo secolo. fino ad allora, lo studio su Dna ‘antico’ aveva riguardato le popolazioni preistoriche. Lo stesso materiale è stato utilizzato poi per questa ricerca sull’inquinamento da piombo: si tratta di campioni casuali che rappresentano una popolazione generica, non sono moltissimi, ma sono indicativi di un trend. Quanti, quindi? Resti umani di 132 individui vissuti in diverse necropoli del Centro Italia a partire da circa 12.000 anni fa allo scopo di rilevare le variazioni nel tempo dei tassi di produzione di piombo e del rischio di esposizione dell’essere umano a questo metallo. Nello specifico è stata analizzata la concentrazione di 24 ele-


Intervista

Il team

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aurea con lode in Scienze Biologiche alla Sapienza di Roma, oggi è Ordinario di Antropologia nello stesso Ateneo: Alfredo Coppa, Alfredo Coppa. che ha anche una affiliation a Harvard e una a Vienna, è stato presidente dell’Associazione Antropologia Italiana. Insieme a lui, nello studio che ha fotografato l’inquinamento da metalli pesanti in resti umani su un asse temporale di oltre 14mila anni, Ron Pinhasi (University of Vienna); Adi Ticher, Ofir Tirosh e Liran Carmel (The Hebrew University of Jerusalem).

menti, tra cui il piombo, in frammenti ossei appartenenti a individui vissuti a Roma e in aree limitrofe (cinque in Sardegna), a partire da 12.000 anni fa e fino al 17esimo secolo, dimostrando come la concentrazione di piombo nelle ossa e nei denti rifletta i cambiamenti storici nella produzione di questo metallo: a una maggiore concentrazione, riscontrata negli ultimi millenni, corrisponde infatti un incremento generale della sua produzione. In corrispondenza di quali eventi è aumentata la produzione di piombo? Questo metallo ha rappresentato a lungo un volano economico importante: se ne è estratto e lavorato parecchio circa 5mila anni fa circa, quando si utilizzava per la coppellazione, un processo di raffinazione che separa i metalli nobili dai meno nobili. Prima di quell’epoca i livelli erano piuttosto bassi. L’aumento è lento fino all’introduzione del conio a metà del primo millennio a.C. Successivamente, il ritmo di produzione accelera fino a raggiungere un picco durante l’Impero Romano, per poi diminuire durante il Medioevo. A partire da circa 1000 anni fa, la crescita riprende, stimolata dall’estrazione dell’argento in Germania, poi nel Nuovo Mondo e infine dalla Rivoluzione industriale. Quanto piombo c’era nell’ultimo periodo considerato, il 17esimo secolo? Iniziava a crescere di nuovo la sua presenza nelle ossa. Dopo non sappiamo cos’è suc-

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Al centro dello studio, pubblicato su Environmental Science and Technology, resti umani di individui vissuti a Roma e dintorni da 12mila anni fa fino al 17esimo secolo.

cesso. Sappiamo però che anche nel 20esimo e nel 21esimo secolo si è diffuso molto nella produzione di batterie, nelle leghe e nelle saldature di comuni oggetti di consumo come anche i dispositivi elettronici. Ma lo studio ci ha detto anche qualcos’altro. Cosa? Che quei livelli non interessavano soltanto le persone con una maggiore esposizione professionale al piombo, come per esempio i minatori o dipendenti degli impianti di riciclaggio, ma tutti, anche chi non era a diretto contatto con il metallo. Qualsiasi uso esteso dei metalli dovrebbe andare di pari passo con l’igiene industriale, con un riciclaggio sicuro dei metalli e una maggiore considerazione ambientale e tossicologica nella selezione dei metalli per uso industriale. Quale futuro è possibile immaginare per questi studi? L’idea è di allargare numericamente e geograficamente il campione, perché abbiamo molto altro materiale a disposizione. Sarebbe davvero interessante capire se in luoghi lontani da Roma, che era senza dubbio il fulcro della maggior parte delle attività produttive, la presenza di piombo nelle ossa fosse la stessa. GdB | Ottobre 2021

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Intervista

CLIMA E BENI CULTURALI ECCO LA PIATTAFORMA CHE PREVEDE I RISCHI Un progetto coordinato dal Cnr. A illustrarlo, il Primo ricercatore Alessandra Bonazza

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agli anni Cinquanta, nel Mediterraneo e in Europa, gli eventi estremi di elevata temperatura, stimati sulla base delle temperature massime giornaliere ma anche sulla durata, frequenza e intensità delle ondate di calore, sono aumentati così come gli eventi siccitosi misurati in base al contenuto di umidità del suolo e al bilancio idrico, complice l’attività dell’uomo: è quanto contenuto nel sesto Rapporto IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) creato dalle Agenzie delle Nazioni Unite UN Environmental Program e World Meteorological Organization. Gli studiosi sostengono che molte delle variazioni già osservate – tra le altre, aumento della frequenza e dell’intensità degli estremi di temperatura, ondate di calore, forti precipitazioni, siccità - non faranno che crescere. Eventi climatici estremi che si abbattono su un territorio reso più fragile dalla cementificazione e dall’abbandono con ben 7252 i comuni italiani (il 91,3% del totale) a rischio idrogeologico. Inevitabilmente questi rischi riguardano anche il patrimonio culturale: ecco perché sono così elevate le aspettative risposte nel metodo sviluppato a partire da uno studio coordinato dall’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Cnr di Bologna nell’ambito di due Progetti Interreg Central Europe, ProteCHt2save e STRENCH. Un’azione concreta che può concretamente assistere operatori del pubblico e del privato nella gestione e manutenzione di beni come comples-

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si monumentali, edifici storici e siti archeologici, piccoli borghi montani e giardini storici nelle aree urbane e costiere. A entrare nel dettaglio è Alessandra Bonazza del Cnr-Isac, coordinatrice dei progetti e primo autore dell’articolo pubblicato su International Journal of Disaster Risk Reduction. Quando e perché nasce lo studio? Il patrimonio culturale è esposto all’impatto dei cambiamenti climatici e ai decisori occorrono strumenti concreti, dal momento che mancano tutt’ora misure specifiche per la protezione del patrimonio culturale nei Piani di Adattamento ai cambiamenti climatici e di riduzione del rischio, o almeno sono sporadiche. Nel 2017 prende il via il progetto di ricerca, finanziato dall’Ue e coordinato dal Cnr. Insieme all’Institute of Theoretical and Applied Mechanics della Repubblica Ceca e al Donau-Universität Krems austriaco, sono state sviluppate nella piattaforma WebGIS mappe di rischio a livello territoriale basate sugli output dei modelli climatici e sulla valutazione della vulnerabilità a scala dell’edificio, calcolata sulle criticità fisiche e gestionali del patrimonio costruito. Così vengono messe in evidenza le zone più a rischio a seguito di eventi come piogge intense, allagamenti e periodi prolungati di siccità. È uno strumento di previsione? Il tool è in grado di valutare la pericolosità degli eventi climatici per passato, presente e futuro, abbiamo mappe fino al 2070-2099. Nel database vengono inserite, in particolare, le va-


Intervista

Centro storico della città di Ferrara, tra i siti pilota del progetto.

Alessandra Bonazza.

Riguardo alle precipitazioni intense, è coinvolto non solo il patrimonio costruito ma anche quello paesaggistico, nonché la parte gestionale di entrambi, inclusa la manutenzione preventiva.

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riazioni di temperature e precipitazioni per valutare l’aumento o la diminuzione della frequenza di quegli eventi. Si stanno realmente intensificando? In effetti sì. L’analisi mostra in quei territori un aumento dell’indice climatico utilizzato per le precipitazioni intense in un lontano futuro (2071–2100) nello scenario pessimistico, con un’elevata probabilità di rischio di alluvioni. E questo davvero apre uno scenario importante per i beni culturali. È coinvolto non solo il patrimonio costruito ma anche quello paesaggistico, nonché la parte gestionale di entrambi, inclusa la manutenzione preventiva. Ci sono stati dei siti pilota, giusto? Sì, per alcuni la valutazione è terminata, per altri è ancora in corso perché il progetto è operativo fino a febbraio 2022. In Italia, per esempio, uno dei siti pilota è stato il centro storico di Ferrara. Qui, come altrove, è stata simulata l’evacuazione di oggetti di valore anche grazie alla collaborazione della Protezione civile e dei Vigili del fuoco, per calcolare i tempi necessari in caso di allerta. L’altro sito italiano è stato il Parco di Villa Ghigi a Bologna: sono stati scelti in base alla loro rappresentatività. E all’estero? La mappatura sperimentale in Europa ha coinvolto le città di Praga - Troja in Repubblica Ceca e Krems - Stein in Austria, due luoghi altamente suscettibili alle inondazioni. Chi sono i fruitori? Per ora, è aperto il dialogo con le autorità pubbliche dei siti pilota, ma anche con i professionisti della pianificazione. L’obiettivo, ovviamente, è quello di renderlo sempre più fruibile.

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Il team

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ietro il progetto della piattaforma, disponibile all’indirizzo https://www.protecht2save-wgt.eu, c’è il coordinamento di Alessandra Bonazza, Primo ricercatore presso l’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del Cnr, dove è responsabile dell’Area di ricerca “Impatti su Ambiente, Beni Culturali e Salute Umana”. Con lei, nel team di ricerca direttamente coinvolto, Alessandro Sardella, Paola De Nuntiis Elisa Palazzi e Jost von Hardenberg.

Adesso cosa accadrà al progetto? Puntiamo a tenere attivo lo strumento con il supporto di altri progetti in sinergia, con altri fondi e risorse. Protecht2save è stato concepito per essere integrabile con altri casi di studio e nuovi siti. Di certo, c’è l’interesse ad ampliarlo ad altre categorie di beni, in particolare dell’underwater: sono tutte idee nuove da sottoporre a nuovi bandi. Intanto, fino alla scadenza di febbraio 2022 abbiamo in calendario molti eventi che coinvolgono dal locale all’internazionale, insieme a ministeri e sovrintendenze. (C. D. M.) GdB | Ottobre 2021

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Salute

PERCHÉ LE DONNE SONO PIÙ FREDDOLOSE DEGLI UOMINI? Secondo uno studio israeliano, la differenza della percezione del calore si sarebbe sviluppata nel corso dell’evoluzione di Sara Bovio

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onne che al lavoro indossano maglioni e uomini che si sentono a loro agio nello stesso ufficio in maniche corte: un classico scenario che deriva dalla differente percezione della temperatura ambientale tra i sessi e per cui ora esiste una nuova spiegazione scientifica. Secondo un gruppo di ricercatori israeliani della Scuola di Zoologia dell’Università di Tel Aviv e dell’Università di Haifa, la tendenza delle donne a sentire più freddo rispetto agli uomini è intrinseca nei meccanismi di rilevamento del calore tra i due sessi e si è sviluppata nel corso dell’evoluzione. Gli studiosi hanno anche dimostrato che il fenomeno è diffuso non solo tra gli esseri umani: in molte specie di endotermi (uccelli e mammiferi), le femmine preferiscono un ambiente più caldo dei maschi e, in certi momenti, queste preferenze causano la segregazione (allontanamento) tra i due sessi. Secondo i ricercatori israeliani, la preferenza climatica tra gli endotermi

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è comparsa poiché si dimostra molto vantaggiosa per l’evoluzione della specie: in primo luogo, la separazione tra maschi e femmine riduce la competizione per le risorse presenti nell’ambiente e allontana i maschi che potrebbero essere aggressivi e mettere in pericolo i piccoli e le femmine. Ma c’è anche un altro vantaggio. Le femmine, che proteggono la prole, sono più sensibili ai cambiamenti delle temperature che possono nuocere i cuccioli non ancora in grado di autoregolare la proGli studiosi hanno anche pria temperatura corporea: avendo una magdimostrato che il fenomeno è diffuso non solo tra giore sensibilità al freddo, sono più stimolate gli esseri umani: in molte a riscaldare i loro piccoli e hanno sviluppato specie di endotermi una preferenza per un clima relativamente (uccelli e mammiferi), le caldo. femmine preferiscono un Lo studio israeliano, pubblicato sulla riviambiente più caldo dei maschi. sta Global Ecology and Biogeography, ha incluso un’approfondita analisi statistica e spaziale della distribuzione di decine di specie di uccelli e pipistrelli che vivono in Israele, insieme a una revisione completa della letteratura scientifica internazionale sull’argomento. Il Dottor Eran Levin, uno degli autori della ricerca che si occupa anche dello studio della fisiologia e del comportamento dei pipistrelli, ha evidenziato in alcuni suoi lavori precedenti che durante la stagione riproduttiva i maschi e le femmine di pipistrello tendono a segregarsi, con i maschi che scelgono zone più fredde. Per esempio, durante la stagione riproduttiva intere colonie in grotte sulle pendici del Monte Hermon sono composte da soli maschi, mentre nella zona più calda del Mare di Galilea ci sono soprattutto femmine, che partoriscono e allevano i loro cuccioli. Fu questo fenomeno a suscitare la sua curiosità e a spingerlo a nuove indagini. Inoltre, nella letteratura si trovano diversi esempi di un fenomeno simile osservato in molte specie di uccelli e mammiferi. Nelle specie di uccelli migratori, i maschi passano l’inverno in zone più fredde rispetto alle femmine ma va notato che negli uccelli, la segregazione tra i sessi avviene al di fuori della sta© Cookie Studio/shutterstock.com gione riproduttiva, poiché i GdB | Ottobre 2021

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maschi partecipano all’allevamento dei pulcini. In molte specie di mammiferi, i maschi preferiscono l’ombra mentre le femmine prediligono il sole, o i maschi salgono sulle cime delle montagne mentre le femmine rimangono nelle valli. Lo studio, durato più di quarant’anni, ha raccolto i dati di 13 specie di uccelli migratori da 76 siti e 18 specie di pipistrelli da 53 siti. In totale, la ricerca ha incluso più di 11.000 singoli uccelli e pipistrelli, dal Monte Hermon nel nord a Eilat nel sud del Paese. Le conclusioni dei ricercatori suggeriscono che le specie animali hanno migliori possibilità di sopravvivenza se maschi e femmine si tengono a distanza tra loro. Ma perché sono stati scelti uccelli e pipistrelli come specie animali oggetto dello studio? Il motivo è che questi animali possono volare e quindi spostarsi molto più facilmente: la separazione spaziale tra i sessi, se presente, sarebbe stata particolarmente chiara in questi due gruppi. Inoltre, la significativa diversità climatica di Israele ha permesso agli scienziati di studiare singoli animali della stessa specie che vivono in condizioni climatiche molto diverse. I risultati dello studio hanno dimostrato chiaramente che i maschi preferiscono una

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Lo studio, durato più di quarant’anni, ha raccolto i dati di 13 specie di uccelli migratori da 76 siti e 18 specie di pipistrelli da 53 siti.

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temperatura più bassa delle femmine, e che questa preferenza porta a una separazione tra i sessi in certi periodi come durante i cicli di riproduzione, quando i maschi e le femmine possono anche interferire tra loro. «Alla luce dei risultati e del fatto che si tratta di un fenomeno diffuso - spiega il Dottor Levin - abbiamo ipotizzato che la differenza nella percezione della temperatura ambientale tra i due sessi è simile nella sua essenza alle note differenze tra le sensazioni di dolore provate da maschi e femmine, ed è influenzata da differenze nei meccanismi neurali responsabili della sensazione e anche da differenze ormonali tra i due sessi». Tornando all’ambito umano, gli autori concludono che la differenza di sensazione termica tra i sessi ha lo scopo di far prendere ai membri della coppia una certa distanza l’uno dall’altro in modo che ogni individuo possa godere di un po’ di pace e tranquillità. Il fenomeno può anche essere collegato a fenomeni sociologici osservati in molti animali e anche nell’uomo, in un ambiente in cui si trovano insieme femmine e maschi: le femmine tendono a stare molto più vicine tra di loro, mentre i maschi preferiscono “mantenere le distanze” e rifuggono il contatto fisico.


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iccolo quanto una scatola di fiammiferi, in grado di captare alcune variazioni dell’attività neurale legata all’amigdala, responsabili dei sintomi depressivi, e di alleviare quel mal di vivere che ormai rappresenta una delle patologie più diffuse, con 300 milioni di persone nel mondo che ne soffrono, 40 in Europa e oltre 3 in Italia. È un dispositivo a batteria, una sorta di “pacemaker cerebrale”, messo a punto dal team di ricercatori del Dipartimento di Neuroscienze presso l’Università della California, a San Francisco, e che un’èquipe chirurgica degli University College London Hospitals ha impiantato nel cervello di Sarah, una donna di 36 anni affetta da una grave forma di depressione. Grazie a questo apparecchio, la paziente ha riscontrato benefici considerevoli, tornando a manifestare interesse per i suoi hobbies e riuscendo a non lasciarsi sopraffare dai pensieri negativi e dagli istinti suicidi che avevano segnato la sua vita fin da quando era una bambina. Gli esiti della sperimentazione sono stati pubblicati sulla rivista Nature Medicine. Prima di sottoporsi a questa sperimentazione clinica, Sarah aveva tentato numerose cure farmacologiche e anche la stimolazione magnetica transcranica e la terapia elettroconvulsivante senza, però, ottenere risultati soddisfacenti. Quando ha deciso di entrare a far parte del trial clinico proposto dall’ateneo californiano, per lei si è accesa la speranza di potersi riappropriare finalmente della sua vita. E, a distanza di due anni, per Sarah quella speranza si è trasformata in realtà. La tecnica utilizzata dai ricercatori è la Deep Brain Stimulation, una procedura neurochirurgica adoperata già per il trattamento del morbo di Parkinson, che agisce attraverso elettrodi impiantati nel cranio e collegati a un neuro stimolatore che, analogamente al funzionamento di un pacemaker cardiaco, produce impulsi elettrici per regolare l’attività cerebrale. Durante un periodo di osservazione durato dieci giorni,

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UN PACEMAKER PER CURARE LA DEPRESSIONE Sperimentazione su un paziente di 36 anni del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università della California e degli University College London Hospitals

il team dell’università californiana ha messo in correlazione il bombardamento di onde gamma subìto dall’amigdala di Sarah con il netto peggioramento del suo stato depressivo. Nel corso della sperimentazione, il dispositivo è stato attivato e disattivato per studiare le reazioni della paziente e permettere ai ricercatori di calibrare la frequenza delle stimolazioni da trasmettere al cervello per sedare i sintomi connessi alla depressione. Nonostante gli indiscutibili benefici che Sarah ha tratto da questa terapia, non la si può definire guarita perché il pacemaker non inibisce la comparsa dei sintomi ma li elimina quando li capta. L’esperienza

di Sarah potrebbe diventare apripista per altri undici pazienti con cui la squadra di esperti vorrebbe sperimentare lo stesso approccio. Pur costituendo un passo significativo verso la cura della depressione, però, questo approccio non è sempre di facile applicazione a causa dei suoi costi molto alti e dei rischi elevati che comportano gli interventi di chirurgia cerebrale necessari per l’inserimento dell’apparecchio. Al momento, dunque, il ricorso a questa pratica potrebbe essere riservata soltanto ai pazienti affetti da una forma depressiva molto grave che non hanno ottenuto miglioramenti significativi con altre terapie. (E. T.) GdB | Ottobre 2021

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IL RUOLO ANTIVECCHIAMENTO DELL’ALFA-SINUCLEINA I risultati della ricerca condotta da studiosi del Cnr sono stati pubblicati su Frontiers in Cell and Developmental Biology

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er tutta la vita, il cervello dei mammiferi è impegnato nella generazione di neuroni, a partire da cellule staminali neurali. Questo processo si consuma in due zone specifiche denominate nicchie neurogeniche: il giro dentato dell’ippocampo e la zona subventricolare. Una equipe di ricercatori dell’Istituto di biochimica e biologia cellulare del Consiglio nazionale delle ricerche, guidato da Felice Tirone e Laura Micheli in collaborazione con Giorgio D’Andrea e Manuela Ceccarelli, si è posto l’obiettivo di scoprire se vi fossero dei geni particolarmen20 GdB | Ottobre 2021

te coinvolti nel mantenimento della produzione di neuroni nei soggetti anziani. Al fine di perseguire e giungere a realizzare un risultato di rilievo e valenza scientifica, gli studiosi hanno utilizzato un modello di invecchiamento in vivo, con ridotta produzione di cellule staminali e neuroni del giro dentato dell’ippocampo e conseguente riduzione della capacità mnemonica. La neurogenesi nel giro dentato, infatti, è particolarmente importante per la formazione della memoria associativa, che consente di collegare tra loro ricordi diversi. Entrambi i processi subiscono una riduzione funzionale durante l’invec-

chiamento e nelle malattie neurodegenerative. Felice Tirone, dell’Istituto di biochimica e biologia cellulare del Cnr, ha spiegato: ”Attraverso un’analisi genomica, abbiamo identificato in questo modello i geni che erano riattivati dalla corsa volontaria, che sappiamo essere un potente stimolo della produzione di neuroni. Abbiamo osservato che l’alfa- sinucleina, gene la cui espressione è ridotta nell’invecchiamento fisiologico e anche nel nostro modello, è riportata ai livelli normali dalla corsa. Inoltre, se la sua ridotta espressione nel giro dentato invecchiato è aumentata artificialmente, le cellule staminali riprendono a produrre neuroni”. È emerso, quindi, che l’alfa- sinucleina svolge un ruolo chiave nel mantenimento della produzione di neuroni nel cervello anziano. “È poi noto che nel caso di un eccesso dei livelli di alfa-sinucleina o quando la sua struttura è alterata, essa diventa responsabile di neurodegenerazione, in particolare, nelle sinucleinopatie, fra cui ad esempio il morbo di Parkinson. Il nostro lavoro fa quindi luce sulla funzione fisiologica di questa molecola e la evidenzia come possibile target per terapie nell’anziano, preventive della neurodegenerazione”, ha concluso Laura Micheli. A questo studio hanno contribuito, per quanto concerne l’analisi dei dati genomici, Teresa Maria Creanza e Nicola Ancona dell’Istituto di sistemi e tecnologie industriali intelligenti per il manifatturiero avanzato (Cnr-Stiima), Roberto Coccurello dell’Istituto dei sistemi complessi (Cnr-Isc) e Fondazione Santa Lucia IRCCS e Giacomo Giacovazzo dell’Università di Roma Tor Vergata per tutto ciò che ha riguardato l’induzione dell’espressione cerebrale della alfa-sinucleina e Raffaella Scardigli, dell’Istituto di farmacologia traslazionale (Cnr-Ift) per gli studi relativi all’espressione genica. (P. S.).


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ombinando esercizio fisico e training cognitivo è possibile ridurre gli effetti dell’invecchiamento sulle prestazioni del cervello, prima tra tutte la memoria. In questo contesto, il progetto Train the Brain, svolto con il sostegno di Fondazione Pisa e coordinato da Lamberto Maffei, che è stato direttore dell’Istituto di neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-In) di Pisa, è una realtà attiva sul territorio pisano e in quasi dieci anni ha coinvolto centinaia di anziani. Il progetto ha inteso costituire un laboratorio permanente e, nel contempo, rappresentare uno stimolo per la comprensione dei meccanismi molecolari che traducono l’allenamento fisico e mentale in una migliore funzione del cervello degli anziani. Per studiare questi meccanismi, un team di ricerca coordinato da Marco Mainardi del Cnr-In e Margherita Maffei dell’Istituto di fisiologia clinica (Cnr- Ifc), ha esteso la propria indagine al sangue dei soggetti inclusi in Train the Brain, evidenziando alcune particolarità. Lo studio, che ha come primi autori Gaia Scabia del Cnr- Ifc e dipartimento di Medicina clinica e sperimentale dell’Università di Pisa e Giovanna Testa del Laboratorio di biologia della Scuola normale superiore, è stato pubblicato sulla rivista Brain, Behavior and Immunity. “Abbiamo notato che nel sangue dei partecipanti al progetto i livelli della molecola infiammatoria CCL11, nota anche come Eotaxin-1, erano più bassi rispetto a quelli misurati prima dell’inizio del programma di allenamento”, ha dichiarato Marco Mainardi, che ha proseguito: ”Per capire se questa riduzione fosse una conseguenza dell’esercizio fisico e mentale abbiamo utilizzato il modello murino, seguendo un protocollo, detto “arricchimento ambientale”, di esercizio fisico volontario, di stimolazione cognitiva e di interazio-

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UNA MOLECOLA CONTRO IL DECLINO COGNITIVO Si tratta della molecola infiammatoria CCL11. La ricerca dell’equipe è stata pubblicata su Brain, Behavior and Immunity

ne sociale, che riproduce Train the Brain. I modelli animali “arricchiti”, normalmente più bravi nello svolgimento di un test di memoria spaziale rispetto a quelli allevati in condizioni standard, perdono il loro vantaggio se i livelli di CCL11 sono mantenuti elevati artificialmente. Viceversa, la neutralizzazione di questa molecola nei soggetti allevati in condizioni standard comporta un miglioramento della loro capacità cognitiva che li rende simili agli arricchiti”. Margherita Maffei del Cnr-Ifc ha così concluso:” Questi esperimenti mostrano come la riduzione del livello emetico della molecola infiam-

matoria CCL11 costituisca un meccanismo chiave nel miglioramento delle prestazioni di apprendimento e memoria indotto dal training fisico e cognitivo. I risultati, quindi, aprono la strada a possibili strategie terapeutiche per alleviare gli effetti della perdita di memoria dovuta a patologie neurodegenerative, prima tra tutte la malattia di Alzheimer, tramite un’azione mirata su CCL11. Il gruppo è attualmente alla ricerca di nuovi finanziamenti per proseguire il progetto e riuscire così a chiarire anche quali siano le cellule cerebrali bersaglio dell’azione di CCL11”. (P. S.). GdB | Ottobre 2021

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PARKINSON, NOVITÀ CON ELETTROCATETERI DIREZIONALI Sottili cateteri elettrici impiegati nella stimolazione cerebrale profonda garantiscono per una terapia personalizzata ed efficace

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a nuova frontiera per la gestione del Parkinson è rappresentata da sottili cateteri elettrici nell’ambito della cosiddetta stimolazione cerebrale profonda (Deep Brain Stimulation, DBS). Stiamo parlando di un trattamento chirurgico che negli ultimi 20 anni ha conseguito ottimi risultati sia per quanto riguarda il controllo dei sintomi motori del paziente, sia il miglioramento generale del suo quadro clinico. Ma in cosa consiste di preciso il trattamento? Gli elettrocateteri direzionali sono fili molto sottili, con spessore compreso da 0,5 e 1,5 mm, 22 GdB | Ottobre 2021

da impiantare in regime di anestesia locale soltanto su determinati pazienti. La loro azione avviene in sinergia con un neurostimolatore di piccole dimensioni, molto simile ad un pacemaker, che si occupa di inviare segnali elettrici all’area del cervello associata ai sintomi del morbo. A fare la differenza è appunto la possibilità di dirigere questi impulsi nelle aree cerebrali che ne hanno necessità. La stimolazione profonda, infatti, è una terapia di precisione, che sfrutta la capacità di tarare gli input sulla base delle esigenze del paziente. Ciò è possibile grazie al cosiddetto sensing, ovvero il monitoraggio dell’attività cerebrale

da parte dell’operatore. I vantaggi si traducono nella realizzazione di una terapia personalizzata, che usufruisce di dati individuali e specifici per ogni paziente, controllati su computer. Non tutti i pazienti possono avere accesso alla stimolazione cerebrale profonda: è necessario, infatti, che abbiano una diagnosi confermata di malattia di Parkinson scompensata, come chiarisce il professor Andrea Landi, dell’UO Neurochirurgia Pediatrica, Azienda Ospedaliera Università di Padova, autore del primo intervento di questo tipo in Italia. La parola «scompensata» sta a significare che il morbo non è più «gestibile con il solo trattamento farmacologico». I pazienti inoltre non devono presentare disturbi psichiatrici né lesioni all’esame di risonanza cerebrale che viene effettuato prima dell’impianto. Questa modalità di intervento è indicata per i pazienti non oltre i 70 anni. I benefici della DBS sono palesi e si traducono in un buon controllo del tremore, della rigidità e della bradicinesia (ovvero la caratteristica lentezza dei movimenti che interessa le persone affette dal Parkinson). A migliorare in maniera evidente sono anche le discinesie dovute ai farmaci (in particolare alla levodopa) e le fluttuazioni, senza dimenticare il cammino, il tono dell’umore e il ritmo sonno-veglia. Tutti motivi che nella maggior parte dei casi portano, dopo l’intervento, ad una riduzione della terapia medica. Oltre all’Azienda Ospedaliera di Padova, l’elettrocatetere direzionale è stato impiantato con successo in altre strutture italiane quali: l’ASST Papa Giovanni XXIII di Bergamo, l’IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano, l’IRCCS Fondazione Mondino di Pavia, l’AOU Maggiore della Carità di Novara, l’IRCCS Istituto delle Scienze Neurologiche di Bologna, l’Azienda Ospedaliera Universitaria Senese e il Presidio Ospedaliero “S. Salvatore” de L’Aquila. (D. E.).


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approccio più diffuso al problema dell’obesità è basato sul modello di bilancio energetico secondo cui a provocare l’aumento di peso è un’assunzione di energia maggiore di quella che viene consumata. Le Linee guida dietetiche per gli americani stilate dalla USDA nel quinquennio 2020-2025 affermano che per perdere peso gli adulti devono ridurre il numero di calorie ingerite da cibi e bevande e aumentare la quantità spesa attraverso l’attività fisica. Ciononostante, al netto di un messaggio sulla salute pubblica che per decenni ha avuto come obiettivo quello di convincere le persone a fare più attività fisica e a mangiare meno, i tassi di obesità, così come le malattie ad essa legate, sono aumentati in maniera costante. Il CDC, Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie, ha fornito un dato allarmante: più del 40% degli adulti americani è obeso. Ciò significa che quasi un cittadino Usa adulto su due è soggetto ad un rischio aumentato di malattie cardiache, ictus, diabete di tipo 2 e alcuni tipi di tumore. Si tratta di dati che impongono una riflessione, addirittura una messa in discussione del modello di bilancio energetico a lungo considerato intoccabile. Ed è proprio quanto hanno fatto gli autori di “The Carbohydrate-Insulin Model: A Physiological Perspective on the Obesity Pandemic”. Nello studio, pubblicato su “The American Journal of Clinical Nutrition”, i 17 autori tra scienziati, ricercatori clinici ed esperti di salute pubblica riconosciuti a livello internazionale, hanno sostenuto che il modello alternativo carboidrati-insulina, è in grado non solo di spiegare meglio l’obesità e l’incremento di peso, ma anche di indicare la strada per strategie di gestione del peso più efficaci e durature. L’autore principale, David Ludwig, endocrinologo presso il Boston Children’s Hospital e docente alla Harvard

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UN MODELLO ALTERNATIVO PER COMBATTERE L’OBESITÀ Il modello carboidrati-insulina afferma che non è l’eccesso di cibo la causa principale dell’obesità, ma il loro alto carico glicemico

Medical School, pensa che anziché spingere le persone a mangiare meno, sia più utile farle concentrare su ciò che mangiano. Il modello carboidrati-insulina afferma in maniera audace che non è infatti l’eccesso di cibo la causa principale dell’obesità bensì il consumo oltre i limiti di alimenti ad alto carico glicemico, in particolare carboidrati trasformati e rapidamente digeribili, in grado di causare risposte ormonali e modificare il metabolismo. Mangiare carboidrati altamente raffinati porta il corpo ad aumentare la secrezione di insulina e sopprime quella di glucagone, che a sua volta segnala alle cellule adipose di immagaz-

zinare più calorie, lasciandone meno a disposizione per nutrire muscoli e altri tessuti metabolicamente attivi. Come in un effetto domino, il cervello recepisce che il corpo non ha ottenuto abbastanza energie e provoca la sensazione di fame. Lo stesso metabolismo può rallentare nel tentativo dell’organismo di risparmiare carburante: ciò vuol dire che siamo portati a restare affamati, anche se continuiamo ad incrementare il grasso in eccesso. Per il futuro gli studiosi riconoscono l’importanza di condurre ulteriori ricerche per stabilire l’efficacia dei due modelli e, forse, per generarne di nuovi. (D. E.). GdB | Ottobre 2021

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L’OMS PUBBLICA NUOVE LISTE DI FARMACI ESSENZIALI Tra le novità c’è l’inserimento di medicinali contro diabete, cancro, malattie infettive e per smettere di fumare

di Domenico Esposito

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Organizzazione Mondiale della Sanità ha pubblicato pochi giorni fa la nuova edizione dei suoi elenchi di farmaci essenziali (EML) e di farmaci essenziali per bambini (EMLc). Al loro interno fanno capolino nuovi trattamenti per diversi tipi di tumore, analoghi dell’insulina e nuovi medicinali orali per il diabete; presenti anche dei nuovi farmaci pensati per chi vuole smettere di fumare, nonché antimicrobici per il trattamento di gravi infezioni fungine e batteriche. Per la precisione gli elenchi aggiornati OMS includono 20 nuovi farmaci essenziali per adulti e 17 per bambini, oltre a contenere delle specificazioni inerenti nuovi usi per 28 medicinali già presenti in elenco. Alla luce delle modifiche raccomandate dal comitato di esperti dell’OMS i farmaci reputati essenziali per soddisfare le esigenze della saluta pubblica diventano 479 per l’elenco EML e 350 per quello EMLc. Come spiegato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, gli elenchi hanno l’obiettivo di affrontare le priorità sanitarie globali, individuando i medicinali che apportano i maggiori benefici e che dovrebbero essere a disposizione di tutti. Un obiettivo spesso fuori portata a causa dei prezzi troppo elevati, sia per quanto concerne i nuovi farmaci brevettati sia quelli più vec-

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chi, come per esempio l’insulina, che impediscono a molti pazienti di avere accesso alle cure. L’aggiornamento avviene ogni due anni ad opera di un comitato di esperti, formato da specialisti provenienti dal mondo accademico, della ricerca e della professioni farmaceutiche e mediche. Il direttore generale dell’OMS, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha posto l’accento sulla sfida rappresentata dal diabete, sottolineando come la malattia sia «in aumento a livello globale» e lo stia facendo «più rapidamente nei paesi a basso e medio reddito». Ghebreyesus ha spiegato che «troppe persone che hanno bisogno di insulina incontrano difficoltà finanziarie nell’accedervi o ne fanno a meno e perdono la vita». Per questo, ha detto, «includere gli analoghi dell’insulina nell’Elenco dei farmaci essenziali, insieme agli sforzi per garantire un accesso a prezzi accessibili a tutti i prodotti insulinici e ampliare l’uso di biosimilari» rappresenta «un passo fondamentale per assicurare che tutti coloro che necessitano di questo prodotto salvavita possano accedervi». Per comprendere quanto questo tema sia centrale basta citare un esempio pratico: un trattamento mensile di insulina costa ad un lavoratore di Accra, la capitale del Ghana, l’equivalente di 5,5 giorni di lavoro. Evidentemente troppo. Il fatto che


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nell’elenco siano stati inseriti degli analoghi dell’insulina a lunga durata d’azione (insulina degludec, detemir e glargine) e dei loro biosimilari, è da interpretare con la volontà di incrementare l’accesso alle cure ampliando la scelta del trattamento. Questa svolta si traduce nella possibilità, per gli analoghi dell’insulina biosimilari, di essere inclusi nel programma di prequalifica dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, preludio all’ingresso nel mercato internazionale e, di conseguenza, alla creazione di una concorrenza che favorisce il calo dei prezzi e offre alle nazioni una scelta più ampia di medicinali. Non un risultato banale se si pensa che ad oggi la produzione di insulina è demandata a tre grandi produttori che dominano il mercato. L’effetto più evidente della mancanza di concorrenza sono i prezzi proibitivi. Nell’elenco sono stati inclusi anche gli inibitori del sodio-glucosio co-trasportatore-2 (SGLT2) empagliflozin, canagliflozin e dapagliflozin come terapia di seconda linea negli adulti con diabete di tipo 2. Si tratta di farmaci che, assunti per via orale, hanno mostrato numerosi vantaggi, tra cui un diminuito rischio di morte, insufficienza renale ed eventi cardiovascolari. Agli elenchi sono stati aggiunti poi quattro nuovi farmaci per il trattamento dei tumori. Medicinali mirati, pensati per colpire specifiche caratteristiche molecolari del cancro e che in molti casi sono in grado di garantire risultati migliori della chemio-

Gli elenchi hanno l’obiettivo di affrontare le priorità sanitarie globali, individuando i medicinali che apportano i maggiori benefici e che dovrebbero essere a disposizione di tutti. Un obiettivo spesso fuori portata a causa dei prezzi elevati, sia per quanto concerne i nuovi farmaci brevettati sia quelli più vecchi

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terapia tradizionale. I farmaci freschi di inserimento negli elenchi OMS sono enzalutamide per il tumore alla prostata (in alternativa all’abiraterone); everolimus, per l’astrocitoma subependimale a cellule giganti (SEGA), un tipo di cancro al cervello che colpisce i bambini; poi ibrutinib contro la leucemia linfatica cronica; e Rasburicase, per la sindrome da lisi tumorale, una grave complicanza di alcuni trattamenti contro il cancro. Aggiunti all’elenco anche imatinib (inibitori della crescita tumorale) per il trattamento mirato della leucemia, nonché nuove indicazioni inerenti 16 medicinali contro il cancro nei bambini, incluso il glioma di basso grado, la forma più comune di tumore cerebrale nei bambini. Sul fronte delle malattie infettive introdotti cefiderocol, antibiotico del gruppo “Riserva” efficace contro batteri multiresistenti, antimicotici echinocandine per gravi infezioni fungine e anticorpi monoclonali per la prevenzione della rabbia. Incluse anche nuove formulazioni per le comuni infezioni batteriche, epatite C, HIV e tubercolosi. Nuove opzioni infine pure per chi intende smettere di fumare, non a base di nicotina, che vanno ad aggiungersi alla terapia sostitutiva della nicotina nell’elenco dei modelli: si tratta di bupropione e vareniclina. L’obiettivo resta quello fissato dalla campagna “Comit to Quit” dell’OMS: portare cento milioni di persone in tutto il mondo a smettere di fumare nel prossimo anno. GdB | Ottobre 2021

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he cosa succede al cuore quando subiamo un infarto? L’area interessata dall’ischemia muore e quanto più la zona coinvolta dall’attacco cardiaco è estesa, tanto più sono ingenti i danni riportati. A fare la differenza è la tempestività delle cure: riaprire il flusso del sangue equivale a limitare i rischi, intervenendo sia sulle dimensioni della lesione, sia sulle possibilità di recupero. I medici devono però fare i conti una realtà incontrovertibile: le cellule muscolari specializzate del cuore, i cosiddetti miocardiociti, una volta morte non possono essere oggetto di sostituzione negli adulti come invece accade nel feto. Se quest’ultimo subisce dei danni al cuore quando si trova all’interno dell’utero, infatti, il problema può essere corretto sfruttando le proprietà autorigenerative delle cellule staminali. Lo stesso non può dirsi dopo la nascita, quando i miocardiociti perdono la capacità di rigenerarsi. Osservando quanto avviene nellae vita intrauterina, un gruppo di scienziati di centri tedeschi e canadesi ha presentato sulla rivista Science (primo autore Yanpu Chen) una tecnica finalizzata a rendere nuovamente bambine le cellule del muscolo cardiaco. I risultati sono a dir poco incoraggianti, sebbene si debba specificare che gli esperimenti hanno interessato i topi e sussistano ancora molti dubbi sulla possibilità di applicare questa tecnica. Il primo a sfidare le cicatrici del cuore è stato lo scienziato giapponese Shinya Yamanaka,

RINGIOVANIRE LE CELLULE DEL CUORE

Grandi aspettative dalla ricerca in grado di convertire le cellule cardiache riportandole alla condizione fetale 26 GdB | Ottobre 2021

Premio Nobel per la Medicina 2012, che sei anni prima prese delle cellule adulte di topo e inserì al loro interno una manciata di geni trasformandole in cellule staminali dalle proprietà del tutto simili a quelle embrionali. Un esperimento, quello condotto dal ricercatore nipponico, tanto elegante quanto semplice, accolto dalla comunità medica come la scoperta di una pietra filosofale in grado di fornire ai camici bianchi cellule staminali in quantità per cercare di curare le malattie più disparate. Il tutto senza la necessità di distruggere embrioni. A partire dalle cellule simil-staminali scoperte da Yamanaka, chiamate ips (“induced pluripotent stem cell”) gli scienziati sono stati in grado di ringiovanire le cellule muscolari del cuore,


rendendole dunque simili a quelle del feto, mediante l’utilizzo di specifici fattori “Yamanaka c-Myc, Klf4, Sox2 e Oct4”. Ciò è stato possibile regolandone la funzione grazie alla doxiciclina, un antibiotico di vecchia data che funge da interruttore. Nel corso della sperimentazione, ai topi con le cellule riprogrammate, la doxiciclina è stata somministrata subito prima e subito dopo il danno al cuore. Gli scienziati hanno così avuto modo di osservare un recupero in termini cellulari tradottosi anche in un miglioramento della funzione contrattile del cuore. Come detto, a fare la differenza è la tempestività del trattamento: se somministrata a qualche giorno dal danno riportato, infatti, l’impatto della doxiciclina non è lo stesso. Restano comunq u e

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Osservando quanto avviene nellae vita intrauterina, un gruppo di scienziati di centri tedeschi e canadesi ha presentato sulla rivista Science (primo autore Yanpu Chen) una tecnica finalizzata a rendere nuovamente bambine le cellule del muscolo cardiaco. I risultati sono a dir poco incoraggianti, sebbene si debba specificare che gli esperimenti hanno interessato i topi e sussistano ancora molti dubbi sulla possibilità di applicare questa tecnica.

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ancora diversi nodi da sciogliere prima che questa soluzione terapeutica venga approvata. Il fatto che il dna delle staminali di Yamanaka non sia al 100% in ordine porta gli scienziati ad usare la massima prudenza e a studiare ancora i possibili effetti collaterali del trattamento a base di queste unità pluripotenti: con il tempo, infatti, potrebbe venire a galla il rischio di sviluppo di tumori. L’intento degli scienziati è quello di indagare a fondo per escludere ogni tipo di complicazione associato al trattamento, poiché è forte la consapevolezza che questa strategia in futuro potrebbe dare una grossa mano nel tentativo di contrastare gli esiti dell’infarto, quali ad esempio lo scompenso cardiaco. Questa condizione, come emerso durante un convegno organizzato da Novartis e patrocinato da Health City Institute, rappresenta oggi la causa principale di ricovero nelle persone over 65, con tassi di mortalità elevati. In Italia circa un milione di italiani sopra i 40 anni ne sono colpiti e ciò implica anche un costo economico ingente per il Servizio Sanitario Nazionale, quantificabile attorno ai tre miliardi l’anno (più di 11.800 euro di spesa media a paziente). Numeri che, in assenza di una tecnica spendibile nell’immediato per ottenere il ringiovanimento delle cellule del cuore, porta ad investire soprattutto sulla prevenzione. Maria Rosaria Di Somma, consigliere dell’associazione Italiana Scompensati (Aisc), pone l’accento sulla «complessità di gestione» dello scompenso cardiaco, sottolineando il carico aggiuntivo comportato dalla pandemia, durante la quale al paziente sono venuti meno «i riferimenti ospedalieri e territoriali». Ex malo bonum: proprio la pandemia ha consentito di favorire un modello di gestione della patologia di tipo interdisciplinare ed integrato in cui tutti gli attori coinvolti possono dialogare affidandosi anche a sistemi digitalizzati. Nel breve termine, spiega Pasquale Perrone Filardi, presidente eletto della Società Italiana di Cardiologia (Sic), è necessario che «maturi la piena consapevolezza» della necessità di fornire «una risposta assistenziale» per la gestione di malati complessi e cronici, come quelli affetti da scompenso cardiaco. In che modo? A partire da percorsi personalizzati che identifichino e stratifichino il rischio, definendo dei «riferimenti di invio allo specialista o al territorio, una nuova modalità di follow-up» e che introducano il monitoraggio da remoto. Tutto ciò con un obiettivo sullo sfondo: garantire un accesso «più equo alle cure e all’innovazione». (D. E.). GdB | Ottobre 2021

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MUTAZIONI E VARIANTI DEL CORONAVIRUS La Penn State University ha studiato un modello computazionale che potrebbe prevedere le alterazioni della proteina spike

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n una fase della pandemia dove stiamo iniziando a vedere qualche spiraglio di luce, è forse pleonastico valorizzare il contributo dato dalla scienza. I miglioramenti della ricerca si sono piano piano adeguati alla velocità con cui il virus colpiva e adesso hanno iniziato a correre sul serio. Sorvolando sul contributo dato dai vaccini, non è altrettanto superfluo porre l’attenzione su come i sistemi di tracciamento delle varianti stiano migliorando notevolmente e su quanto sarà fondamentale lavorare per renderli più efficaci. È probabilmente in questo contesto che si gioca uno spezzone impor28 GdB | Ottobre 2021

tante della lotta al virus. Un nuovo strumento, ancora in corso di studio, potrebbe in futuro consentire di riuscire a prevedere le nuove mutazioni nel genoma di Sars-Cov-2. Lo strumento in questione è un modello computazionale che permetterà di prevedere la comparsa di mutazioni della proteina spike che potrebbero rendere le varianti più contagiose e/o pericolose. A sviluppare il nuovo modello è un gruppo di ricercatori della Penn State University. L’idea di fondo è di anticipare il processo di individuazione dei cambiamenti del virus prevenendo le sue mosse. Gli scienziati sono partiti

dallo studio del comportamento del virus e su come si modifica: per ottenere il modello hanno combinato e rielaborato i dati tramite algoritmi di intelligenza artificiale. L’accuratezza del metodo, cioè la precisione con cui all’interno del database già raccolto e noto riesce a prevedere alterazioni rilevanti del virus, è più alta dell’80%, dunque piuttosto efficace. Lo strumento consente anche di prevedere le mutazioni degli amminoacidi già osservate in alcune varianti, quali la alfa, la beta e la delta. I ricercatori hanno rivolto l’attenzione ai meccanismi e al momento in cui il virus entra nel nostro organismo, poiché è proprio attraverso la proteina spike che riesce a penetrare. L’aggancio avviene tramite un’altra proteina, il recettore Ace2, presente in alcune cellule umane. I ricercatori si sono concentrati sulla spike e su come questa intercetta e si collega ad Ace2, permettendo l’ingresso del virus e l’infezione. In particolare, hanno posto sotto i riflettori la parte della proteina, chiamata dominio di legame al recettore (Rbd), le cui caratteristiche sono centrali per capire se e con quale abilità avviene l’ingresso del virus nelle cellule umane o animali. Le attuali varianti di Sars-Cov-2 hanno tutte una o più mutazioni che hanno a loro volta portato a modifiche in questa parte della proteina e che possono aver conferito una maggiore trasmissibilità e un’aumentata capacità di infettare. Susresh Kuchipudi, professore di Medicina veterinaria e scienza biomediche della Penn State, ha spiegato come è la forza del legame fra il dominio Rbd e il recettore Ace2 ad avere un effetto diretto sulla dinamica dell’infezione e sulla progressione della malattia. La capacità di prevedere con ampia probabilità come cambierà il virus e come questo avrà effetto, sono strumenti fondamentali per le valutazioni degli specialisti, anche in virtù di possibili nuovi spillover. (M. O.).


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OBESITÀ E CAPELLI Pubblicato su Nature uno studio che indaga la correlazione tra il sovrappeso grave e il diradamento del follicolo pilifero di Biancamaria Mancini

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Bibliografia Morinaga, H., Mohri, Y., Grachtchouk, M. et al. Obesity accelerates hair thinning by stem cell-centric converging mechanisms. Nature 595, 266–271 (2021).

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l sovrappeso e l’obesità sono riconosciute dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) come condizioni di anormale o eccessivo accumulo di grasso corporeo che presentino un rischio per la salute. L‘obesità è causata da fattori biologici, genetici, psicologici e socio-ambientali e sempre da uno squilibrio del rapporto fra assunzione calorica e spesa energetica. Nel 2000 l’OMS ha riconosciuto l’obesità come un’epidemia mondiale che predispone gli individui a molte malattie, anche se i suoi reali effetti sulla disfunzione d’organo non sono del tutto ancora conosciuti. Ci sarà sicuramente capitato di osservare che molte persone obese, mostrano anche diradamento dei capelli o una massa impoverita, ma c’è correlazione fra gli eventi? Tra le disfunzioni d’organo causate dall’obesità possiamo anche inserire i follicoli capillari? L’Ordine Nazionale dei Biologi il 5 ottobre ha messo in evidenza un recente articolo pubblicato su Nature, dove un gruppo di ricercatori guidati da Morinaga, ha affermato esattamente questo, ovvero la presenza di una correlazione tra lo stato di obesità e la caduta dei capelli che porta al diradamento. Oggi sappiamo bene che i follicoli da cui nascono i capelli, vengono miniaturizzati se subiscono invecchiamento precoce delle strutture cellulari e in particolare, si osserva l’esaurimento delle cellule staminali (HFSC) contenuti nel bulge. L’area di bulge è una zona anatomica del follicolo pilifero situata sotto l’inserzione del muscolo erettore del pelo, ed

è un vero serbatoio di cellule staminali, che una volta raggiunta la papilla dermica origineranno un nuovo capello (anagen) al temine di ogni ciclo follicolare (telogen). E’ proprio il meccanismo di alternanza tra vecchio telogen e nuovo anagen, all’interno dello stesso follicolo, che ci garantisce una chioma sempre coprente e rinnovata. L’alimentazione con una dieta ricca di grassi può accelerare il normale processo di invecchiamento che avviene con l’età, e l’impoverimento di HFSC nel bulge, portando a manifestare prima del tempo i segni del diradamento. L’obesità, sostengono gli scienziati della Tokio Medical and Dental University, anticipa proprio l’esaurimento delle HFSC attraverso l’induzione di segnali che innescano eventi a cascata di tipo infiammatorio, causando il blocco della rigenerazione del follicolo e quindi del nuovo ciclo di anagen. Lo stress indotto dall’obesità, come quello causato da una dieta ricca di grassi (HFD), prende di mira le HFSC che riescono sempre meno a reintegrare le nuove cellule e a costituire il nuovo capello. Così facendo si arriva presto all’esaurimento dei nuovi cicli vitali capillari previsti e si arriva inesorabili al diradamento. Questo assunto è stato confermato con uno studio in vivo su topi, in cui i giovani animali sono stati nutriti per 4 giorni solo con HFD. L’analisi dell’espressione genica ha rivelato che l’alimentazione di HFD per quattro giorni consecutivi ha indotto gli HFSC attivati verso la cheratinizzazione epidermica generando radicali ossigeno in eccesso, ma non ha


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ridotto il pool di HFSC. Continuando l’esperimento e aumentando i giorni con dieta ricca di HFD, si sono tracciate le cellule staminali e, grazie a metodiche che sfruttano l’epigenetica e la genetica inversa, è stato dimostrato che l’ulteriore alimentazione con un HFD ha successivamente indotto accumuli lipidici nelle HFSC. Inoltre, tramite la segnalazione di IL-1R autocrina e/o paracrina, si è osservata l’attivazione di NF-kB, un fattore di trascrizione che svolge un ruolo primario nella regolazione della risposta immunitaria, nell’infiammazione, nella proliferazione cellulare e nell’apoptosi. Questi fattori integrati conducono alla marcata inibizione della trasduzione del segnale di Sonic hedgehog (SHH) negli HFSC, riducendo ulteriormente e in maniera mirata gli HFSC carichi di lipidi. Infatti, gli HFSC iperlipidici iniziano così a differenziarsi in maniera aberrante inducendo la miniaturizzazione del follicolo pilifero e la conseguente riduzione e perdita dei capelli. SHH è uno dei ligandi più studiati della via di segnalazione di hedgehog (hedgehog signaling pathway), ed è fondamentale nella regolazione dell’organogenesi; la sua inibizione soprattutto a carico dei follicoli contenenti gli accumuli lipidici segna un processo di causa effetto importante nel determinare il ruolo che l’obesità ha sui capelli. Al contrario, l’attivazione transgenica o farmacologica di SHH previene e aiuta la caduta dei capelli indotta da HFD. Per concludere, i dati emergenti da questo studio, dimostrano che i segnali infiammatori indotti dall’obesità, a livello delle cellule staminali del follicolo, reprimono i segnali di rigenerazione degli organi per accelerare la miniaturizzazione dei follicoli e dei capelli e sono correlati alla disfunzione di quest’organulo.

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L’EPIGENETICA DELLE CELLULE DELLA PELLE Regolazione delle variazioni delle cellule dell’epidermide nell’invecchiamento naturale e nelle malattie dell’invecchiamento precoce

di Carla Cimmino

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lcune tra le vie di segnalazione e di trascrizione regolano l’espressione dei geni implicati nell’omeostasi epidermica, nella proliferazione, nel differenziamento e nell’invecchiamento delle cellule staminali (SC). P16INK4a è un inibitore del complesso Cdk4/ciclina D e mantiene la proteina retinoblastoma (pRb) nel suo stato attivo ipofosforilato, impedendo la trascrizione mediata da E2F e bloccando l’ingresso delle cellule proliferanti nella fase S. Un requisito chiave per il mantenimento e la sopravvivenza della popolazione SC cutanea per tutta la vita è la repressione di p16INK4a. Nell’epidermide umana, ∆Np63 e la proteina codificata dal suo gene redD1 bersaglio trascrizionale sono essenziali per la capacità proliferativa e la differenziazione delle cellule progenitrici. Infatti, diverse reti epigenetiche lavorano di concerto per preservare la staminalità dei cheratinociti e promuovere la proliferazione reprimendo la trascrizione del p16INK4a a codificare geni e altri inibitori del ciclo cellulare, nonché inibendo l’attivazione non programmata di geni non associati alla differenziazione non di linea o terminale. Uno dei tratti distintivi dell’invecchiamento è la senescenza cellulare che è innescata da diversi stimoli intrinseci (ad esempio, accorciamento dei telomeri, sovrapprodu-

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zione di ROS) ed estrinseci (ad esempio, radiazioni UV, privazione di nutrienti, infiammazione) che portano all’arresto della crescita e a specifiche alterazioni fenotipiche, come i cambiamenti della cromatina e del secretoma. La senescenza cellulare impedisce la proliferazione incontrollata delle cellule danneggiate e induce la clearance e la rigenerazione del tessuto. La maggiore clearance di p16INK4a (soppressore tumorale) cellule senescenti positive ritardano l’insorgenza dei segni dell’invecchiamento nei modelli murini progeroidi, mentre la carenza di p63 (regolatore della morfogenesi epidermica) provoca un arresto della crescita cellulare che compromette la rigenerazione dei tessuti e induce la comparsa di caratteristiche di invecchiamento. Le reti regolatorie epigenetiche sono costituite da tre eventi principali: modificazioni del DNA (principalmente metilazione del DNA), modificazioni istoniche (principalmente metilazione degli istoni o acetilazione) e reclutamento di rimodellatori della cromatina di ordine superiore. Le modificazioni del DNA e degli istoni influenzano la trascrizione genica alterando le interazioni istono-DNA e istone-istone e, quindi, regolando l’accessibilità dei fattori di trascrizione e dei componenti del meccanismo trascrizionale alla cromatina. Possono essere modificati da


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stimoli endogeni (ad esempio, vie di segnalazione intracellulare) ed esogeni derivanti dallo stile di vita, dalla dieta e dall’esposizione ambientale (ad esempio, radiazioni UV, fumo, attività fisica, assunzione di antiossidanti, restrizione calorica. Le sindromi progeroidi (PS) rappresentano un gruppo di entità patologiche cliniche e geneticamente eterogenee caratterizzate da un processo di invecchiamento accelerato che interessa vari (ma non tutti) tessuti e organi. Questo aspetto ha fatto guadagnare loro il nome di sindromi progeroidi segmentali e presentano molte delle caratteristiche cliniche e molecolari associate al processo di invecchiamento naturale. A causa di queste somiglianze, l’indagine sui PS contribuisce alla comprensione dei meccanismi causali che sono alla base dell’invecchiamento. Inoltre, le biopsie cutanee e le colture cellulari cutanee primarie di pazienti affetti da PS rappresentano una preziosa e insostituibile fonte di materiale biologico la cui analisi sta facendo luce sui processi che regolano la sorveglianza e la progressione della senescenza. In base all’alterazione funzionale responsabile dei sintomi patologici, le PS possono essere classificate come associate a difetti di riparazione del DNA, ad alterazioni dell’involucro nucleare o del metabolismo dei telomeri. Diverse linee di prova supportano l’idea che i meccanismi molecolari che portano alle caratteristiche progeroidi siano anche impli-

Diverse reti epigenetiche lavorano di concerto per preservare la staminalità dei cheratinociti e promuovere la proliferazione reprimendo la trascrizione del p16INK4a a codificare geni e altri inibitori del ciclo cellulare.

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cati nei normali processi di invecchiamento. Un modello simile di riduzioni è osservato in circa il 61% dei fibroblasti di individui di età normale, con un’età compresa tra 81 e 96 anni, sostenendo fortemente il concetto che i disturbi progeroidi imitano gli eventi naturali di invecchiamento. Una simile diminuzione dei segni di eterocromatina e della proteina WRN viene rilevata nelle cellule staminali mesenchimali isolate da individui normalmente anziani. Oltre a H3K9me3, l’espressione della progerina nelle cellule HGPS influenza il controllo epigenetico dell’eterocromatina facoltativa e costitutiva, come dimostrato dai ridotti livelli di H3K27me3 nel cromosoma X inattivo delle femmine HGPS e dall’up-regolazione di H4K20me3, un marker per l’eterocromatina costitutiva. Anche in assenza di un attacco genotossico, il reclutamento di questi fattori NER al promotore dei geni attivi è necessario per ottenere la metilazione del DNA e le modificazioni post-traduzione degli istoni tra cui la metilazione (H3K4 e H3K9) e l’acetilazione (H3K9/14). Inoltre, XPG e XPF sono essenziali per la demetilazione del DNA e la formazione di un loop di cromatina CTCF-dipendente tra il promotore e il terminatore del gene attivo RARβ2. Tra i fattori NER, la proteina causativa CS CSB è un’ATPasi DNA-dipendente simile a SWI/SNF che presenta attività di rimodellamento della cromatina ATP-dipendente in vitro. Le cellule carenti di CSB di topo GdB | Ottobre 2021

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Gli elenchi hanno Il codice epigenetico e lo stato della cromatina sono strettamente interconnessi e mostrano i loro effetti sulla proliferazione e differenziazione cellulare regolando il profilo di espressione genica di ogni singola cellula. Durante la normale omeostasi cutanea e il rinnovamento tissutale, i meccanismi epigenetici governano la decisione tra l’auto-rinnovamento della SC epidermica e la differenziazione verso i cheratinociti completamente differenziati.

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e umane mostrano iperattivazione PARP-1 che porta all’attenuazione di SIRT1 e, a sua volta, guida la disfunzione mitocondriale e il profilo pro-infiammatorio. L’assenza di CSB nei fibroblasti dei pazienti induce il legame di p53 a p300 causando la stabilizzazione di p53 e l’attivazione dei suoi geni bersaglio. Inoltre, un processo di eterocromatinizzazione attiva a seguito di irradiazione UV è stato osservato in cellule NER-difettose di pazienti progeroidi che presentano una combinazione di caratteristiche cliniche XP e CS. Poiché SIRT6 è una proteina associata alla cromatina che promuove la resistenza al danno al DNA e sopprime l’instabilità genomica nelle cellule di topo, questi risultati collegano ancora una volta i percorsi di riparazione del DNA ai processi di invecchiamento. Tuttavia, SIRT6 interagisce anche con il fattore di trascrizione responsivo allo stress NF-κB e regola l’espressione di alcuni geni bersaglio NF-κB dipendenti, aprendo la possibilità che il ruolo di SIRT6 nell’invecchiamento possa essere attribuito alla sua capacità di regolare l’espressione di geni legati all’invecchiamento compresi quelli implicati nella sopravvivenza cellulare, nella senescenza, nell’infiammazione e nell’immunità. I cheratinociti primari ottenuti da pazienti con TTD e XPC mostrano una downregulation di Bmi-1 in concomitanza con

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l’espressione precoce di p16INK4a e senescenza SC. In particolare, l’espressione di Bmi-1 ripristina il potenziale clonogenico dei cheratinociti e ritarda la senescenza cellulare modulando p16INK4a trascrizione. Infine, sono state riportate evidenze di instabilità dell’eterocromatina anche in cellule di pazienti affetti da FA. Il codice epigenetico e lo stato della cromatina sono strettamente interconnessi e mostrano i loro effetti sulla proliferazione e differenziazione cellulare regolando il profilo di espressione genica di ogni singola cellula. Durante la normale omeostasi cutanea e il rinnovamento tissutale, i meccanismi epigenetici governano la decisione tra l’auto-rinnovamento della SC epidermica e la differenziazione verso i cheratinociti completamente differenziati. Regolando l’espressione di diversi rimodellatori di cromatina ed enzimi modificanti gli istoni, il fattore di trascrizione p63 è un attore chiave in questo processo. La facile accessibilità della pelle rende questo tessuto il sistema modello preferito per studiare le alterazioni molecolari e le disfunzioni dei disturbi associati all’invecchiamento. Poiché le modificazioni epigenetiche sono reversibili, diversi studi indicano il potenziale delle terapie epigenetiche come strumento per riprogrammare il destino cellulare. Tuttavia, sono necessarie una conoscenza più approfondita e ulteriori studi sui meccanismi epigenetici della pelle per ottenere la realizzazione di approcci terapeutici epigenetici diretti ad alleviare i segni dell’invecchiamento nella popolazione umana. Tratto da “Epigenetic Regulation of Skin Cells in Natural Aging and Premature Aging Diseases”di Donata Orioli ed Elena Dellambra.


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Webinar IL CONSULENTE TECNICO AUSILIARIO DEL GIUDICE E IL CONSULENTE TECNICO DELLE PARTI DELEGAZIONE REGIONALE TOSCANA E UMBRIA

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ECOMONDO IL FUTURO GREEN CON AL CENTRO I BIOLOGI L’Onb ha partecipato, alla Fiera di Rimini, all’evento che punta sull’innovazione tecnologica e industriale in campo ambientale

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comondo, l’expo della green technology che si è tenuta alla Fiera di Rimini dal 26 al 29 ottobre, è l’evento di riferimento in Europa per l’innovazione tecnologica e industriale in campo ambientale. Una fiera internazionale con un format innovativo che unisce in un’unica piattaforma tutti i settori dell’economia circolare: dal recupero di materia ed energia allo sviluppo sostenibile. Ha dato spazio alle nuove priorità normative in campo di ricerca ed innovazione e alla formazione in ambito professionale; in collaborazione con associazioni industriali, ministeri, enti di ricerca, la Commissione Europea, l’OCSE, piattaforme tecnologiche europee e iniziative internazionali. È l’unica piattaforma in Europa ad offrire un ampio programma di conferenze, workshop e seminari volti a presentare evidenze e nuovi trend, nazionali ed internazionali, legati all’economia circolare nelle diverse filiere, dall’ edilizia al packaging, dall’elettronica all’automotive.

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Ha proposto un ampio programma di incontri internazionali con la partecipazione di imprese innovative e ricercatori conosciuti in tutto il mondo per fare il punto dell’innovazione e divulgare le best practice. Si presentano ogni anno le nuove priorità normative/ regolatorie, di ricerca e formazione sul fronte dell’economia circolare, i nuovi processi, anche 4.0 e prodotti annessi alla sua adozione a livello industriale, nelle città e nei territori. In particolare, in collaborazione con associazioni industriali, ministeri ed altre istituzioni, enti di ricerca, la Commissione Europea e l’OCSE, è qui che vengono annualmente esaminate e discusse le principali novità, necessità, criticità ed


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Vincenzo D’Anna.

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opportunità nell’ambito del riuso e valorizzazione dei principali rifiuti tecnici e biologici (incluse le acque reflue), le materie prime alternative e l’ecodesign industriale, la bonifica e la riqualificazione delle aree contaminate, anche marine, e la bioeconomia. Ecomondo è un’occasione importante per i biologi che si occupano di sviluppo sostenibile, economia circolare, rifiuti, riqualificazione ambientale e processi produttivi. All’iniziativa hanno partecipato le più importanti aziende del settore e le società di servizi più qualificate ma anche le Istituzioni pubbliche di settore. Entrare con competenza e merito in questo ambiente per i biologi significa

“L’ambiente – ha detto il presidente dell’Ordine Nazionale dei Biologi, Vincenzo D’Anna – è costantemente al centro dei programmi di ricerca e di tutela in cui sono impegnati biologi. Il nostro Ordine sta investendo come non mai sui saperi e sull’alta formazione in questo campo, perché il futuro green non potrà che vedere il virtuoso protagonismo della nostra professione”.

poter confrontarsi con un mondo di aziende, professionisti e istituzioni che determinano le scelte presenti e future del mercato del lavoro in cui operiamo. Ecomondo è anche un’occasione formativa per molti giovani biologi che operano nel settore ambientale per conoscere direttamente un ambito professionale potenziale dove capire come si muove il mondo del lavoro, il grado di conoscenza ed innovazione ma anche come poter valorizzare le proprie competenze. Per l’Ordine Nazionale dei Biologi, che ha partecipato con un proprio stand e con un fitto calendario di iniziative, è stata un’occasione per costruire relazioni, portare il proprio contributo e farsi portavoce di una categoria sempre più centrata sulle questioni ambientali. Ecomondo rappresenta per la categoria un’occasione importante per incontrare il sistema nazionale della gestione ambientale in Italia (imprese, istituzioni pubbliche, professionisti) e mettere in campo soluzioni e opportunità sviluppate nell’ambito della ricerca e della gestione ambientale. Gli spazi dell’Onb all’interno dell’expo sono serviti a far conoscere l’ ordine professionale dei biologi, i professionisti che ne fanno parte, le competenze e i settori in operano, con particolare riferimento ai professionisti che lavorano in campo ambientale sia nel settore pubblico che privato. Durante le “Giornate Nazionali del Biologo Ambientale” sono stati organizzati diversi eventi informativi e formativi, trasmessi on-line sulla piattaforma dell’Onb. Ogni giornata è stata dedicata ad una tematica specifica all’interno della quale sono stati presentati i lavori dei colleghi che hanno esposto una loro esperienza professionale. La giornata conclusiva è stata dedicata alla Conferenza nazionale dei biologi ambientali che quest’anno ha affrontato le tematiche legate alla Strategia Nazionale per la Transizione ecologica. «L’ambiente – ha detto il presidente dell’Ordine Nazionale dei Biologi, Vincenzo D’Anna – è costantemente al centro dei programmi di ricerca e di tutela in cui sono impegnati biologi. Il nostro Ordine sta investendo come non mai sui saperi e sull’alta formazione in questo campo, perché il futuro green non potrà che vedere il virtuoso protagonismo della nostra professione». GdB | Ottobre 2021

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e vogliamo capire quali spiagge ci saranno ancora domani, quali coste reggeranno in futuro, quali campi a ridosso del mare saranno ancora coltivabili, o addirittura quali città resisteranno, allora dobbiamo guardare alle scelte che faremo in questo periodo storico. Perché una cosa è ormai certa: l’innalzamento del livello del mare è irreversibile e forse solo decisioni climatiche ed energetiche drastiche potranno nei decenni a limitarne l’impatto. Come sappiamo, a causa del surriscaldamento globale, i mari del mondo sono sempre più caldi. Con le previsioni attuali il livello di emissioni climalteranti (che continua a crescere) porterà entro fine secolo il riscaldamento globale anche a +3° gradi, a seconda degli scenari esaminati. Questo significa mari sempre più alti, che nel prossimo secolo potrebbero crescere fino a sfiorare i due metri in più. “A causa dell’incessante innalzamento del livello del mare che durerà centinaia di anni, ma messo in moto dall’inquinamento di questo secolo e anche di prima, circa 50 grandi città in tutto il mondo dovranno innalzare difese senza precedenti o perdere la maggior parte delle loro aree popolate. Abbiamo l’opportunità ora di cambiare questo futuro”, spiegano gli autori del report. Lo studio si basa sull’esame delle aree dove le popolazioni nei prossimi secoli saranno più vulnerabili: secondo le previsioni dopo i +3° gradi di surriscaldamento il mare potrebbe invadere la terra occupata da circa il 10% dell’attuale popolazione mondiale e sconvolgere così le vite di oltre 800 milio-

ni di persone. Chiaramente, dal Pacifico ai Caraibi, molte piccole nazioni insulari potrebbero completamente sparire. Un fenomeno, quello legato alle isole, che dalle Marshall a Vanuatu è giù realtà: oggi il mare che sale sta già invadendo campi destinati all’agricoltura incidendo così sulle economie di diversi stati, tanto che alcuni governi hanno persino già previsto piani di trasferimento della popolazione in altre isole. In uno scenario di riscaldamento di 3° C le Isole Cocos, le Maldive, le Isole Marshall, Kiribati, le Cayman, Tokelau, Tuvalu e le Bahamas vedranno sommerso il territorio dove vive il 90% delle loro attuali popolazioni mentre con un riscaldamento di 1,5° C ci sono margini un po’ migliori, ma comunque preoccupanti dato che la minaccia toccherebbe ancora il 60% della popolazione in ognuno di questi Paesi. Il report sottolinea inoltre che i paesi asiatici costituiscono otto delle prime

IL FUTURO DELLA TE Nuovi report raccontano come il drammatico innalzamento dei livelli del mare

di Giacomo 38 GdB | Ottobre 2021


dieci grandi nazioni più a rischio, con particolari rischi per esempio per Cina, India, Vietnam e Indonesia, paesi che ancora oggi - per rovescio della medaglia - sono fra quelli più impegnati nell’uso dei combustibili fossili che producono emissioni climalteranti. Per ora, chiaramente, si tratta di analisi di modelli climatici, proiezioni e previsioni. Ma dal Climate Central evidenziano che “le differenze complete nell’innalzamento del livello del mare causate da percorsi di emissione più alti rispetto a quelli più bassi impiegheranno secoli a svilupparsi, ma queste conseguenze saranno determinate dalle azioni dell’umanità nei prossimi decenni. Livelli più elevati di riscaldamento richiederanno difese senza precedenti a livello globale contro le inondazioni o l’abbandono forzato in decine di grandi città costiere in tutto il mondo. Se limitiamo il riscaldamento a 1,5° C attraverso un f o r-

Un nuovo studio, chiamato “Unprecedented threats to cities from multi-century sea level rise” e pubblicato su Environmental Research Letters da un gruppo di ricercatori di Climate Central, Princeton University e Potsdam-Instituts für Klimafolgenforschung (PIK) e the Potsdam Institute for Climate Impact Research, ci dice che decine di realtà costiere in futuro rischiano letteralmente di essere inglobate dal mare e che circa 50 grandi città dovranno, di fatto, innalzare difese se non intendono perdere la maggior parte delle loro aree popolate. Raggiungere gli obiettivi più ambiziosi dell’Accordo di Parigi sul clima ridurrà probabilmente l’esposizione di circa la metà, consentendo alle nazioni di evitare di costruire difese non testate o di abbandonare molte megalopoli costiere.

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te rispetto dell’Accordo di Parigi, queste conseguenze potrebbero essere limitate a una manciata di luoghi”. Il problema, è che se anche invertissimo la rotta ora, in maniera drastica come chiedono diversi leader del mondo che si riuniranno alla Cop26 di Glasgow, ormai per molte dinamiche è troppo tardi. Lo studio prevede infatti che “le emissioni cumulative di carbonio delle attività umane nel XX e nel XXI secolo sosterranno le temperature globali per migliaia di anni. Ci sono una serie di ragioni per questo, incluso il fatto che l’anidride carbonica rimane nell’atmosfera per secoli e a causa di possibili circuiti di feedback come lo scongelamento del permafrost. Il carbonio già presente nella nostra atmosfera sta riscaldando il pianeta di 1,1° C, abbastanza per far salire il livello medio globale del mare di circa 1,9 metri nei prossimi secoli, anche senza emissioni globali nette dopo il 2020”. Si tratta dunque di cercare, oggi, di realizzare urgenti piani di mitigazione, adattamento e difesa, per il futuro delle nostre coste. Dobbiamo prepararci. Perché come concludono gli autori del report, “limitare il più possibile il riscaldamento globale ci fa guadagnare tempo per adattarci. I mari si alzeranno, ma è quasi certo che lo faranno più lentamente in un mondo più caldo di 1,5 o 2 gradi”.

ERRA È IN ALTO MARE sia ormai irreversibile. A seconda degli scenari, città e isole spariranno

o Talignani

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DALLO SPAZIO SI OSSERVANO I TRICHECHI

Nuovo progetto di Wwf e British Antarctic Survey per contare i mammiferi marini nell’Artico

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.A.A cercasi contatori di zanne dallo spazio. Se avete un buono spirito di osservazione e la capacità di destreggiarvi tra migliaia di foto allora c’è una strana missioneW che fa per voi: contare i trichechi dallo spazio. Il WWF ha lanciato una campagna in cui collaborano biologi e cittadini con lo scopo di ottenere più dati e informazioni sulla presenza di trichechi nell’Artico, animali come altri duramente colpiti dalla crisi climatica e dallo scioglimento dei ghiacci. Il progetto si basa sull’osservazione di immagini satellitari, migliaia di scatti tra cui riconoscere le zanne dei trichechi. Questi animali oggi combattono per sopravvivere in un territorio sempre più mutato: con meno ghiaccio i mammiferi marini fanno più fatica a raggiungere luoghi in cui andare a cacciare invertebrati e altri organismi, dai granchi ai

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gamberi di cui si nutrono e la loro vita sta subendo continui mutamenti. Per questo, dice il WWF, è importante monitorare la presenza di questi animali per comprendere l’impatto del surriscaldamento sul loro futuro. «Stiamo assistendo a una perdita di circa il 13% del ghiaccio marino estivo ogni decennio ha spiegato Rod Downie del WWF -. Una delle implicazioni è che stiamo vedendo i trichechi trascorrere più tempo sulla terraferma. Questo comporta una serie di impatti che includono il sovraffollamento o l’esaurimento delle fonti di cibo». Da qui l’idea di lanciare il progetto “Walrus From Space” insieme al British Antarctic Survey (BAS) che, proprio grazie alle immagini satellitari, ha già avviato la conta per esempio di foche, albatros, pinguini o balene mentre affiorano in


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superficie. Come ha spiegato Peter Fretwell, specialista del BAS, «solo di recente i satelliti hanno avuto una risoluzione sufficientemente elevata da consentirci di contare i trichechi con precisione». I volontari che prenderanno parte al progetto verranno indirizzati a un sito online dove osservare le immagini satellitari e contare la presenza di trichechi. Un’indagine che durerà cinque anni e si concentrerà sulla sottospecie atlantica dei trichechi presenti soprattutto nel mare di Laptev. Attualmente, gli esperti stimano che ci siano circa 30mila trichechi atlantici, ma il progetto potrebbe rivelare altri numeri alla sua conclusione. L’iniziativa mira reclutare circa 500mila “citizen science”, cittadini appassionati di scienze. L’impresa non sarà semplice, perché come hanno ricordato i ricercatori «è piuttosto difficile riconoscerli». In futuro, il progetto potrebbe essere ampliato anche alla più numerosa sottospecie del Pacifico, ma intanto si comincerà con quella atlantica considerata più a rischio. Obiettivo della missione per i “detective di trichechi” sarà inoltre quello di fornire anche dati che possano poi dar vita a un database per comprendere meglio comportamenti e luoghi in cui vivono e si spostano gli animali. Seppur complesse, le osservazioni dei trichechi grazie ai satelliti, rispetto ad altri animali più piccoli come ad esempio i pinguini, potrebbero essere aiutate dalla mole di questi animali: presenti in generale dal mar glaciale Artico e nelle varie coste di Russia, Norvegia, Groenlandia e Canada, questi animali possono arrivare a pesare oltre due tonnellate e raggiungere oltre i 3 metri e mezzo di lunghezza in una vita, che può superare anche i 40 anni. Fondamentale, sempre nelle tecniche di osservazione “dallo spazio”, sarà anche quella

Il WWF ha lanciato una campagna in cui collaborano biologi e cittadini con lo scopo di ottenere più dati e informazioni sulla presenza di trichechi nell’Artico, animali come altri duramente colpiti dalla crisi climatica e dallo scioglimento dei ghiacci. Il progetto si basa sull’osservazione di immagini satellitari, migliaia di scatti tra cui riconoscere le zanne dei trichechi. © Dima Zel /shutterstock.com

di riconoscere le zanne, segno distintivo di questi animali e usate sia per aiutarsi a salire sulle piattaforme di ghiaccio che per difendersi. «Stimare la popolazione dei trichechi con metodi tradizionali è molto difficile, perché i trichechi vivono in aree estremamente remote» ha spiegato Hannah Cubaynes, una ricercatrice della British Antarctic Survey che ha raccontato le potenzialità delle immagini satellitari (coprono aree enormi e permettono ai biologi di non interferire con le attività dei trichechi). Decisiva, in questa sfida, è però la partecipazione dei cittadini, dato che “c’è da visionare una montagna di immagini” e un piccolo gruppo di scienziati non potrebbe mai farlo da solo. Un contributo, quello dei cittadini scienziati, che potrebbe davvero fare molto per il futuro dei trichechi: come ha spiegato Rod Downie, consigliere del WWF esperto di circoli polari, questi mammiferi marini «sono una specie iconica dall’enorme valore culturale per le popolazioni dell’Artico, ma il cambiamento climatico sta facendo sciogliere la loro casa. Siamo impotenti davanti a certe situazioni legate al surriscaldamento, ma questo progetto dà alle persone l’opportunità di fare qualcosa di concreto per capire le difficoltà di una specie minacciata dalla crisi climatica e aiutare a tutelare il suo futuro». Se avete voglia di cimentarvi nel conteggio dei trichechi dallo spazio, per aiutarne la conservazione, sui siti del Wwf internazionale e del British Antarctic Survey si trovano le informazioni del “Walrus From Space” tutte dedicate agli osservatori di trichechi dall’alto. (G. T.).

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L’ESTINZIONE DEGLI IMPOLLINATORI Il 9% circa delle specie di api e farfalle è a rischio, minacciando anche la riproduzione delle piante. La perdita economica è stimata in circa 153 miliardi di euro l’anno su scala mondiale

di Gianpaolo Palazzo

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ape mellifera, allevata da millenni per i propri prodotti apistici, tra cui il miele, è in grado di provvedere all’impollinazione di numerose colture; tuttavia in Europa bombi, api solitarie e sirfidi svolgono in maniera più produttiva il loro lavoro. Nel Regno Unito, ad esempio, le api mellifere riescono ad essere utili solo ad un terzo delle colture agricole, mentre sono gli impollinatori selvatici a compiere il grosso dell’opera. Il valore economico è stimato in circa 153 miliardi di euro l’anno su scala mondiale, 22 a scala europea e tre su scala nazionale. La produzione agricola internazionale direttamente associata all’impollinazione costituisce un valore economico stimato tra 199 e 589 miliardi di euro. Le cifre sono racchiuse nel rapporto Ispra “Piante e insetti impollinatori: un’alleanza per la biodiversità”, disponibile on-line sul sito dell’Istituto superiore

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per la protezione e la ricerca ambientale. Alle associazioni, i quali da anni sono impegnati in attività d’informazione, formazione e ricerca sul tema. Gli insetti impollinatori in Europa contribuiscono alla produzione agricola di almeno 150 colture (84% delle coltivazioni presenti nel continent e ) .


Le api selvatiche frequentemente controbilanciano la scomparsa delle mellifere, tanto da ospitare nel Vecchio continente oltre 2.500 specie. Rappresentano, difatti, quella che viene chiamata una sorta di “polizza assicurativa compensativa”, diminuendo la variabilità dei raccolti sul lungo termine, poiché hanno successo nel caso in cui le mellifere non siano copiose sufficientemente o l’affitto delle arnie si riveli oltremodo salato. Le osmie con il tipico volo a zigzag aiutano, ad esempio, il melo, mentre per colture come il fagiolo e altre orticole ci pensano i bombi. Con la loro livrea gialla e nera a bande di colore più larghe riescono nella vibroimpollinazione, scuotendo il fiore e favorendo la fuoriuscita del polline, su colture quali pomodoro, peperone e mirtillo, le quali non possono essere “Aiutate” dall’ape mellifera o altri apoidei di piccole dimensioni. Il Bombus terrestris è un ottimo lavoratore, poiché le larve hanno necessità di tanto cibo e così le operaie “visitano” ogni giorno una significativa quantità di fiori. Circa il 9% di quelli presenti sulla Terra (corrispondenti a quasi ventimila specie di piante) viene impollinato essenzialmente attraverso l’impollinazione del ronzio o impollinazione vibrante. Non dimentichiamo, inoltre, che osmie e bombi riescono a bottinare sulle colture agricole anche in presenza di condizioni climatiche sfavorevoli, come basse temperature, vento forte ed elevata umidita, quando le api mellifere non

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Tra le città italiane con un rilevante patrimonio mellifero c’è Torino. Il “capitale” arboreo di proprietà del capoluogo piemontese comprende più di 110mila piante tra parchi o giardini, tra cui quindicimila esemplari di platano, diecimila di tiglio e ancora 230mila alberi nei boschi collinari. È stata riscontrata una presenza di bombi (44%), sirfidi (33%) e altri apoidei (23%) che sfruttano, stando al recente Piano Strategico dell’Infrastruttura Verde, i circa due milioni di m2 verdi adibiti a orti urbani e superficie agricola. Di questi, oltre 400.000 m2 sono per l’orticoltura urbana, fra cui 330.000 m2 in attività spontanee; la restante parte è suddivisa in 40 progetti, tra orti associativi, circoscrizionali e pontanei.

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possono volare. Diventa, quindi, importante salvaguardare il 9% delle specie di api e farfalle a rischio di estinzione e con esse anche le contribuzioni rese disponibili, tra cui l’impollinazione delle piante, il principale meccanismo che esse hanno a disposizione per riprodursi; circa il 90% di quelle selvatiche da fiore ha bisogno, per moltiplicarsi, d’impollinatori: api, vespe, farfalle, mosche, coccinelle, ragni, rettili, uccelli e anche mammiferi; oltre il 75% delle principali colture agrarie deve ringraziare moltissimi animali (almeno 16mila varietà tra gli insetti). Nelle piante coltivate una corretta impollinazione significa maggior valore commerciale e quindi frutti e semi più grandi, dolci e regolari, prodotti in maggiore quantità. La zoidiofilia è la base per la crescita degli ecosistemi, la conservazione degli habitat e, dunque, per l’uomo. Senza questi apporti essenziali molte piante non vivrebbero, causando una diminuzione della diversità nella vegetazione, privando molti animali di una fonte primaria di cibo e accenderebbero effetti negativi a catena nell’alimentazione. Resteremmo privi anche di molti frutti, semi e verdure per la nostra dieta; addio pure a numerosi altri alimenti e materiali importanti, come oli vegetali, cotone, lino, legna da ardere e da opera. L’attuale decadenza per gli impollinatori discende da una serie di pressioni ambientali che frequentemente procedono in sinergia: devastazione e divisione degli ambienti naturali, contaminazione ambientale, sregolatezza nelle pratiche agricole intensive (uso di pesticidi e distruzione degli elementi di naturalità, come stagni, filari, muretti all’interno delle aziende agricole), cambiamenti climatici, l’arrivo e la diffusione di specie aliene invasive, tra cui patogeni e parassiti, come la vespa velutina, l’ape resinosa gigante, la formica faraone, quella argentina e specie vegetali che alterano gli ecosistemi o sono tossiche per le impollinatrici native. Il rapporto propone alcune soluzioni come la riduzione nell’utilizzo di pesticidi e nel consumo di suolo, un’irrigazione di precisione, scelte appropriate sull’epoca di semina, l’incremento della superficie coltivata con metodi sostenibili, rispettosi dell’ambiente, della biodiversità e il mantenimento di aree inerbite e incolte sia in ambito agricolo sia urbano e periurbano. GdB | Ottobre 2021

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LA MURAGLIA CINESE DI RIFIUTI ELETTRONICI

Il peso complessivo di tutti i rifiuti prodotto nell’ultimo anno arriva a 57,4 milioni di tonnellate

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iù che una marea, una muraglia di rifiuti. Fra gli effetti del mondo globalizzato e quelli innescati dalla pandemia da Covid-19, c’è anche questo: una gigantesca produzione di rifiuti elettronici. Soltanto quelli prodotti nell’ultimo anno pesano più della Grande Muraglia cinese, una delle opere architettoniche più pesanti al mondo. In totale, il peso complessivo di tutti i rifiuti prodotto nell’ultimo anno arriva infatti all’esorbitante cifra di 57,4 milioni di tonnellate. A raccontaWrlo è l’ultimo rapporto sugli e-waste, diffuso durante il Weee Forum nella Giornata mondiale dei rifiuti elettronici 2021. Una cifra che non solo certifica la costante crescita di questi scarti, aumentata a livello globale del 21% dal 2014 ad oggi, ma pone anche i riflettori sul problema smaltimento. Di questo passo, spiegano gli esperti, nel 2030 arriveremo a 74 milioni di tonnellate. Dove finiranno? Oggi buona parte di questi scarti vengono smaltiti nei centri RAEE ma sempre più spesso quelli complessi da recuperare prendono destinazioni lonta-

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ne: buona parte di quelli europei raggiungono l’Africa, dove dal Ghana alla Costa d’Avorio o la Nigeria finiscono in enormi discariche illegali a cielo aperto. Nel Vecchio Continente 11 articoli elettronici su 72, in una famiglia media, risultano infatti non più in uso, rotti, da buttare. Soltanto in Francia per esempio si stima che siano da 54 a 113 milioni i telefonini inutilizzati e pronti a diventare rifiuto, mentre negli Usa si parla di 400mila cellulari al giorno scartati. Proprio negli States, di conseguenza, si crede che il 40% dei metalli pesanti presenti nelle discariche provenga da scarti elettronici. “In 1 milione di telefoni cellulari, ad esempio, ci sono 24 kg di oro, 16.000 kg


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di rame, 350 kg di argento e 14 kg di palladio, risorse che potrebbero essere recuperate e restituite al ciclo produttivo. E se non riusciamo a riciclare questi materiali, è necessario estrarre nuove forniture, danneggiando l’ambiente” ha spiegato Ruediger Kuehr, direttore di UNITAR, lo United Nations Institute for Training and Research delle Nazioni Unite. “Inoltre - aggiunge - il recupero di oro e altri materiali dai rifiuti consente di risparmiare molte emissioni di anidride carbonica rispetto all’estrazione di metalli vergini”. Anche per questo, dall’idea di cavi caricabatterie “universali” e adatti a tutti i telefoni, sino all’uso di nuovi materiali per la componentistica, si sta cercando di trovare una soluzione al problema rifiuti, dai cir-

In 1 milione di telefoni cellulari, ad esempio, ci sono 24 kg di oro, 16.000 kg di rame, 350 kg di argento e 14 kg di palladio, risorse che potrebbero essere recuperate e restituite al ciclo produttivo. E se non riusciamo a riciclare questi materiali, è necessario estrarre nuove forniture, danneggiando l’ambiente © Lesterman /shutterstock.com

cuiti sino alle pellicole. La produzione globale di quelli elettronici oggi cresce di due megatonnellate l’anno a causa dei tassi di consumo sempre più elevati (+3% annuo), ma anche per via dei cicli di vita più brevi dei prodotti e delle limitate opzioni di riparazione. “Molti fattori giocano un ruolo nel rendere i settori elettrico ed elettronico efficiente e circolare in termini di risorse - ha detto Pascal Leroy, direttore generale del Forum Weee (Waste electrical and electronic equipment) -. Le nostre organizzazioni per la responsabilità dei produttori membri hanno raccolto e assicurato il riciclaggio responsabile di 2,8 megatonnellate di rifiuti elettronici nel 2020. Ma finché i cittadini non restituiscono i loro attrezzi usati, dovremo continuare a estrarre materiali completamente nuovi causando gravi danni ambientali”. Ogni tonnellata di Raee riciclata evita infatti l’emissione di circa due tonnellate di CO2 e “se tutti facessimo la cosa giusta aiuteremmo la Terra” chiosa Leroy. Oltre ai telefonini, se si guarda al peso dei prodotti, gli esperti ricordano anche che “i grandi elettrodomestici scartati come stufe e frigoriferi costituiscono la maggior componente dei rifiuti elettronici. Questi grandi elettrodomestici contengono acciaio, rame e alluminio che li rendono attraenti per i ladri. Nonostante gli sforzi concertati dei governi a molti livelli, questo problema persiste”. Senza i comportamenti virtuosi dei cittadini e senza il freno alla costante produzione di nuovi rifiuti elettronici, innescare un cambiamento appare oggi complesso. Per Margaret Charytanowicz dal Forum Weee sarà quindi fondamentale in futuro coinvolgere sempre più i consumatori attraverso “campagne e attività di sensibilizzazione come raccolte di rifiuti elettronici, lezioni scolastiche e sensibilizzazione sui social. Anche la più piccola azione che promuove la raccolta, la riparazione, il riutilizzo o il riciclo dei rifiuti elettronici è benvenuta”. Oltre ad importanti investimenti nel settore del riciclo, che dovrebbero riguardare però anche i paesi in via di sviluppo che oggi fungono da discariche prive di sicurezza e con alti rischi di inquinamento, per dare un futuro agli scarti servirà mutare quella che oggi è l’idea generale dell’opinione pubblica. Attraverso sondaggi, le persone intervistate credono infatti che quasi la metà dei rifiuti elettronici nel mondo venga riciclata: in realtà, nel 2019, soltanto il 17,4% di questi rifiuti è stato realmente trattato e recuperato. (G. T.). GdB | Ottobre 2021

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RICICLO FINO ALL’ULTIMA GOCCIA Nel 2020 raccolte circa 171mila tonnellate di olio minerale usato

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accogliere e rigenerare l’olio lubrificante. La missione a favore dell’economia circolare che si è data il Consorzio degli Oli Minerali Usati (Conou), primo ente ambientale nazionale dedicato alla differenziazione di un rifiuto pericoloso, è stata portata avanti con buoni risultati, anche nel 2020. Nato nel 1982 e divenuto operativo due anni dopo, è un soggetto giuridico di diritto privato senza fini di lucro e coordina l’attività di sessantatré aziende di raccolta e due imprese (con tre impianti) di rigenerazione in Italia. I dati dell’ultimo rapporto di sostenibilità, pur nell’anno della pandemia, ci dicono che con circa 171mila tonnellate, oltre il 46% circa dell’olio immesso al consumo è stato portato in salvo e recuperato, mentre il 98% di quanto scampato ad usi illegali è stato avviato a rigenerazione fruttando 109mila tonnellate di nuove basi lubrificanti e 33mila tonnellate di gasolio e bitume. Le 167mila tonnellate rigenerate hanno portato un risparmio di circa 47 milioni di euro sulla bilancia commerciale italiana per importazioni di greggio evitato. Se il mercato ha conosciuto complessivamente un calo, le imprese attive nel riciclo non si sono mai fermate e insieme a quelle della rigenerazione hanno saputo far fronte alle difficoltà del settore grazie pure al ruolo, svolto dal Consorzio, di equilibrare la filiera. Il 62% dei prodotti conferiti viene dal Nord e, in particolare, da quelle regioni con una maggiore densità di popolazione e d’in-

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sediamenti industriali, ad esempio la Lombardia con il 23% e il Veneto con quasi il 16%. Dalle regioni Centrali è stato prelevato il 20%, solo dal Lazio si segnala il 6,5%; percentuale poco inferiore per la Campania, pari al 5,8%, la quale contribuisce così ad un totale del 18% per il Mezzogiorno. L’andamento mensile della raccolta è stato in linea con la stagionalità dei cicli economici di produzione industriale e manutenzione dei veicoli. In media c’è una minore richiesta di prelievi nei mesi invernali e in agosto, mese durante il quale molti scelgono le ferie, ma ci sono anche fermate e chiusure annuali. Delle tonnellate avviate nei centri autorizzati, oltre 60.000 (il 35%) sono derivate dalla cosiddetta micro-raccolta, vale a dire da quei prelievi di piccoli quantitativi per i quali il Conou ha deciso un meccanismo d’incentivi alle imprese a compensazione degli extra-costi del servizio, estesi anche ai casi di ritiri effettuati nelle zone più difficili da raggiungere. Circa 149mila tonnellate sono classificate come “oli scuri” (pari all’88% del conferito), derivanti sia dal settore dell’autotrazione, sia da quello industriale, le 3.300 tonnellate di “oli chiari” riguardano i lubrificanti utilizzati nei sistemi idraulici industriali e gli oli dielettrici “ex trasformatori” rappresen-


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tano il 2%. Il 10%, circa 16.500 tonnellate, vede protagonisti gli oli usati “rigenerabili in deroga”. Proprio questi ultimi si erano inizialmente impennati, passando da circa 9.800 tonnellate del 2013 a oltre 22.000 tonnellate del 2017, con una flessione nel 2019-2020, segnale di un riequilibrio del sistema riguardo al controllo delle miscelazioni improprie e di gestione interna della qualità. I contributi economici complessivi del Consorzio ammontano a 67,9 milioni di euro, dati dalla somma degli impatti diretti, indiretti e indotti. Nello specifico sono 42.624 le persone impiegate presso i concessionari e i rigeneratori, circa 22 i milioni di euro che aiutano il Prodotto Interno Lordo (Pil). Distribuendo 27,6 milioni di euro nella filiera, grazie alla propria attività, il Conou ha generato posti di lavoro per un totale di 1.185 persone occupate. Passando ai benefici ambientali l’indicatore delle emissioni di gas serra del sistema consortile ha stimato per lo scorso anno un bilancio netto di emissioni evitate pari a quasi 78.465 tonnellate di CO2eq rispetto al sistema produttivo alternativo che prevede la generazione di basi lubrificanti vergini. Il sistema Conou ha un impatto in termini di CO2eq inferiore del 49%. L’indicatore di Land use ha calcolato un beneficio ambientale in

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Le 167mila tonnellate rigenerate hanno portato un risparmio di circa 47 milioni di euro sulla bilancia commerciale italiana per importazioni di greggio evitato. Se il mercato ha conosciuto complessivamente un calo, le imprese attive nel riciclo non si sono mai fermate e insieme a quelle della rigenerazione hanno saputo far fronte alle difficoltà del settore grazie pure al ruolo, svolto dal Consorzio, di equilibrare la filiera.

termini di deficit di carbonio pari a poco più di un milione di tonnellate ogni anno se si guarda al sistema usuale, che prevede la generazione di basi lubrificanti vergini. L’impatto in questa categoria è inferiore del 96%. Il beneficio ambientale legato all’occupazione di suolo è collegato al vantaggio di tutelare il terreno da nuove installazioni estrattive, coperture con capannoni industriali, piazzali di movimentazione mezzi, strade di collegamento, pipeline, porti e tutte le infrastrutture imprescindibili per una produzione di oli lubrificanti da materia prima. Nel futuro il Rapporto prevede la sfida del PNRR (Piano Nazionale Ripresa e Resilienza) che: «impone comunque di ripartire e rilanciare la posta. Vedremo quindi ridursi i volumi di lubrificanti trazione e, come già sta accadendo, vedremo la nostra industria aumentare i propri utilizzi di olio minerale; vedremo l’esordio dei bio-lubrificanti e dell’etichetta ambientale anche sulle basi rigenerate; vedremo complessivamente peggiorare la qualità dell’olio usato, proprio mentre i Rigeneratori si accingono a migliorare, seguendo il mercato, quella delle basi da loro prodotte. La scommessa è saper ben controllare questo passaggio e tali esigenze contrapposte, saper cioè segregare, selezionare, classificare sempre meglio. La Circolarità nasce da questo primo, ineludibile, momento di genesi del rifiuto». (G. P.).

I dati in Italia

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el 2020 la rete dei concessionari Conou ha avuto 63 aziende che hanno soddisfatto circa 271mila richieste di prelievo (per l’87% oli usati e quasi il 13% emulsioni) da parte di circa 105mila detentori (91% oli usati, 9% emulsioni) in tutta Italia. Le richieste sono così ripartite: dal settore dell’autotrazione arriva il 69% dei prelievi dell’olio usato (molto più frammentati), il settore industriale contribuisce per il 28% (con una presa media molto elevata da 1,8 tonnellate), con il 3% l’agricoltura. Delle tonnellate raccolte, 167.103 sono state rese disponibili alle due imprese di rigenerazione del consorzio, dotate in tutto di tre impianti, dislocati al Nord in Lombardia, al Centro nel Lazio e al Sud in Campania, per una capacità installata complessiva di 249.000 tonnellate.

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ITALIANI, CAMPIONI DI MOBILITÀ A totalizzare il maggior numero di spostamenti sostenibili casa-scuola e casa-lavoro in sella alla bicicletta o a bordo di mezzi alternativi di micromobilità elettrica è Padova

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a bici è un mezzo che consente di arrivare prima, oltre ad essere anche divertente e salutare. Per l’undicesima edizione del “Giretto d’Italia - bike to work 2021”, il campionato nazionale della ciclabilità urbana, coordinato da “Legambiente” con il sostegno di “CNH Industrial”, “Euromobility” e “VeloLove” in collaborazione con 26 amministrazioni comunali, i padovani hanno trionfato. Sono stati capaci di realizzare il maggior numero di spostamenti sostenibili

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casa-scuola e casa-lavoro in sella alla bicicletta o a bordo di mezzi di micromobilità elettrica, seguiti dagli abitanti di Reggio Emilia e Pesaro, al secondo e terzo gradino del podio. I calcoli sugli spostamenti, a causa del maltempo in alcune delle città in gara, sono stati portati avanti in diverse date tra il 16 e il 21 settembre (entro le due ore scelte da ciascun Comune nella fascia 6.00 - 10.00) grazie ad alcuni posti di controllo predisposti nei pressi di aziende pubbliche, private, scuole e


università. In totale sono transitati dai varchi 38.572 lavoratori o studenti, 35.037 i passaggi di biciclette conteggiati, 3.204 quelli con altri veicoli elettrici. Nella vincitrice Padova sono stati 6.856 i mezzi di trasporto contati (biciclette, bici a pedalata assistita e monopattini), a Reggio Emilia 3.658, a Pesaro 3.407. Seguono Bolzano (3.247), Piacenza (3.183), Trento (2.456), Palermo (2.392), Milano (2.240), Fano (2.203), Torino (1.616), Ravenna (1.494), Modena (802), Pavia (790), Ferrara (689), Bologna (678), Carpi (487), Udine (454), Chiavari (295), Napoli (282), Jesi (244), Genova (215), Carmagnola (131), San Mauro Torinese (122), Roma (112), Misano Adriatico (57), Lecce (54). Guardando nello specifico alla circolazione dei mezzi sostenibili a mobilità elettrica, è stato fotografato un lieve, ma significativo aumento, per alcuni casi, nel loro utilizzo. Esaminando, invece, il passaggio delle biciclette, Padova è sempre al comando con 6.345 bici, seguita da Reggio Emilia (3.414), Bolzano (3.169), Pesaro (3.106), Piacenza (3.084), Trento (2.387), Milano (2.240), Fano (2.067), Ravenna (1.453), Palermo (1.381), Torino (1.369), Pavia (776), Modena (735), Ferrara (689), Bologna (590), Carpi (460), Udine (445), Chiavari (288), Jesi (227), Genova (131), Carmagnola (120), San Mauro Torinese (119), Napoli (115), Roma (55), Misano Adriatico (53) e Lecce (31). Come per l’edizione 2020, segnata dall’emergenza pandemica dovuta al Covid-19, anche “Giretto d’Italia - bike to work 2021” ha previsto la possibilità di aderire alla competizione tramite “check-point virtuale”, rispondendo cioè a un sondaggio on-line sul tema dello spostamento casa-lavoro: il 70% di chi ha compilato le risposte lavora ancora in modalità smart working (di questi il 73% in full time), un risultato che evidenzia come il lavoro agile nelle aziende italiane sia continuando a salire nelle preferenze dei lavoratori. Altro aspetto da considerare, confrontandosi con il 2020, riguarda il ricorso all’auto privata che ha avuto un aumento notevole, nonostante nei primi mesi dell’emergenza Covid-19 si fosse registrato un maggiore orientamento sostenibile negli spostamenti casa-lavoro e casa-scuola. «Anche quest’anno il Giretto d’Italia - dichiara Giorgio Zampet-

Tra le città dove sono stati “avvistati” più monopattini oltre a e-bike, biciclette elettriche a pedalata assistita, troviamo Palermo, con 1.011 passaggi, Pesaro (301) e Torino (247), seguite da Reggio Emilia (244), Padova (197), Napoli (167), Fano (136), Piacenza (99), Bologna (88), Genova (84), Bolzano (78), Trento (69), Modena (67), Roma (57), Ravenna (41), Carpi (27), Lecce (23), Pavia (14), Carmagnola (11), Udine (9), Chiavari (7), Misano Adriatico (4) e San Mauro Torinese (3). Il calcolo sui mezzi sostenibili circolanti in proporzione ai residenti vede prima tra le città più virtuose Fano con 3,67 veicoli per abitante, poi Pesaro (3,55), Padova (3,30), Piacenza (3,08), Bolzano (3,01), Reggio Emilia (2,16) e Trento (2,03).

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ti, direttore generale di Legambiente - ha visto la partecipazione di un numero significativo di lavoratori e studenti che hanno scelto mezzi di mobilità sostenibile per spostarsi in città: tra loro crescono, in particolare, quanti vanno a scuola, in azienda o all’università a bordo di e-bike e monopattini elettrici. Al contempo, nonostante l’incremento nell’uso di mezzi di trasporto sostenibili osservato in piena emergenza pandemica, il ricorso all’auto privata è purtroppo tornato sostanzialmente ai livelli pre-Covid-19. Sono tendenze di cui senz’altro tenere conto. Per rendere la mobilità sostenibile una sicura ed efficace alternativa all’auto nel quotidiano, serve in primo luogo investire maggiori risorse in favore della mobilità leggera, per ripensare gli spazi urbani e garantire più percorsi dedicati: in tal senso, riteniamo insufficienti a tenere il passo con le altre città europee i 200 milioni di euro destinati dal Pnrr alle ciclabili urbane. In secondo luogo, è fondamentale mettere a norma il bike to work e incentivare la cultura e le politiche aziendali sugli spostamenti sostenibili casa-lavoro e casa-scuola». L’iniziativa ambientalista è stata sostenuta da “CNH Industrial”, che progetta, produce e commercializza macchine per l’agricoltura e movimento terra, camion, veicoli commerciali, autobus e veicoli speciali. Il gruppo ha partecipato con i propri stabilimenti di Brescia (61 passaggi), Bolzano (149), Foggia (215), Torino (202), Suzzara (113), Modena (96), Lecce (21), San Matteo (19), Jesi (17), Piacenza (6), San Mauro Torinese. «Il Giretto d’Italia è ormai per noi in “CNH Industrial” una tradizione che si tramanda dal 2015. Tutti i nostri stabilimenti italiani - dichiara Daniela Ropolo, Head of Sustainable Development Initiatives - aderiscono all’iniziativa e anno dopo anno vediamo crescere il numero di colleghi che si appassionano a questa competizione sostenibile su due ruote. Il Giretto rappresenta un momento di sensibilizzazione e condivisione delle buone pratiche. Infatti, spostarsi in modo sostenibile consente di migliorare notevolmente la qualità della vita, soprattutto nelle aree urbane. La nostra strategia trova coerenza nelle nostre azioni e il Giretto d’Italia è un esempio perfetto di Smart Mobility: la mobilità a misura di cittadino e a basso impatto ambientale». (G. P.). GdB | Ottobre 2021

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Ambiente

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CRISI ENERGETICA E RINCARI ECONOMICI Aumento dei prezzi delle materie prime, come gas e combustibili derivanti dal petrolio, e dei costi per le aziende che producono energia

di MIchelangelo Ottaviano

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na delle questioni che l’Europa si trova ad affrontare in questo momento storico è il consistente aumento del costo dell’energia elettrica. Il problema, per l’appunto, non è esclusivo del panorama italiano, ed è sostanzialmente dovuto a due fattori principali: l’aumento dei prezzi delle materie prime, come gas e combustibili derivanti dal petrolio, e l’aumento dei costi per le aziende che producono energia. Parlando di numeri, dal secondo trimestre del 2020 allo scorso agosto, il

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prezzo dell’energia elettrica per i consumatori italiani è passato da 16,08 a 22,89 centesimi di euro per kilowattora. Si può iniziare dicendo che, dopo un periodo di sensibile rallentamento dovuto alla pandemia da coronavirus, le attività produttive hanno ripreso determinando un rapido aumento della domanda per le materie prime, difficili da reperire a causa di problemi di disponibilità e di trasporto. Questi problemi hanno interessato anche le materie prime con cui viene prodotta la maggior parte dell’energia in Europa: il prezzo del petrolio è au-

mentato del 200% dalla primavera del 2020, e quello del gas naturale del 30% solo nel secondo trimestre del 2021. In Italia il gas naturale è impiegato per produrre circa il 40% dell’energia elettrica, di conseguenza un marcato aumento del suo prezzo si riflette sul costo dell’elettricità. L’Europa è fortemente dipendente dalle forniture della Russia, che in questo periodo ha ridotto i flussi in favore dei paesi asiatici, e alcuni problemi nei giacimenti del Mare del Nord hanno inoltre reso disponibili meno quantità di gas prodotto direttamente in Europa. Per finire, vi è la questione dei permessi europei per l’emissione di anidride carbonica, il cui prezzo sta sensibilmente lievitando. Tali permessi attraverso l’Emission trading system europeo vengono scambiati tra le aziende, con quelle meno inquinanti che possono vendere i propri alle industrie che producono più emissioni. Il sistema esiste da oltre 15 anni e ha l’obiettivo di ridurre la produzione di gas inquinanti, tra le principali cause del riscaldamento globale. Periodicamente la quantità di permessi viene ridotta proprio per incentivare il passaggio a produzioni più sostenibili, ed è il motivo per cui il loro prezzo aumenta. Tutto questo ha avuto ripercussioni sulle società che producono energia da combustibili fossili, che a loro volta scaricano poi parte dei costi nella bolletta. Per quanto concerne la situazione italiana il ministro Cingolani ha fatto riferimento alla necessità di intervenire, ma non sono per nulla chiare le intenzioni del governo per contenere gli aumenti delle bollette. È possibile che si intervenga sugli “oneri generali di sistema”, una delle voci che incidono di più sul prezzo finale della bolletta. Quest’operazione rimane comunque un provvedimento temporaneo, una mezza misura che non risolve il problema che sta alla base: è necessario ed urgente il passaggio a fonti di energia sostenibili e meno inquinanti. La stessa Commissione Europea ha invitato gli stati membri a non prendere scorciatoie.


Ambiente

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n natura, la scelta di un particolare tipo di simmetria, che deve intendersi come la disposizione regolare di elementi intorno ad un asse, rappresenta certamente un vantaggio non trascurabile. La simmetria bilaterale dell’apertura alare di un uccello si rivela essenziale ed imprescindibile per volare, quanto quella radiale di alcuni fiori è necessaria ed indispensabile per offrire agli insetti impollinatori un agevole oltre che immediato accesso al nettare. Sulla base di una attenta e propedeutica osservazione della natura un recente studio, che è stato condotto presso l’Istituto di biologia e patologia molecolari del Consiglio nazionale delle ricerche di Roma in collaborazione con il John Innes Center e il Centro di ricerca genomica e bioinformatica di Roma e pubblicato sulla rivista Nature Communications, ha messo in evidenza le basi molecolari della distribuzione ormonale e della coordinazione degli assi nelle ultime fasi della formazione di simmetria nello stilo del fiore della Arabidopsis. Monica Carabelli, ricercatrice del Consiglio nazionale delle ricercheIbpm nonché una delle principali autrici dello studio, ha così argomentato:”Il gineceo, l’organo riproduttivo femminile della pianta Arabidopsis, è finora l’unico esempio noto, studiato a livello molecolare, di una struttura in via di sviluppo che si riprogramma nel tempo per ottenere una transizione di simmetria da bilaterale a radiale. La formazione della simmetria nello stilo apicale dell’Arabidopsis è sostenuta dalla distribuzione dinamica dell’ormone auxina. Durante la formazione della parte apicale del gineceo, l’auxina passa da una distribuzione a due foci (simmetria bilaterale), ad una a quattro foci (simmetria biradiale) ed infine ad un anello completo (simmetria radiale)”. “Il processo di distribuzione dell’auxina nello stilo della pianta è inizialmente controllato dalle proteine bHLH Spatula (STP) e Hecate 1,2,3

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LA SIMMETRIA SPIEGA LE BASI MOLECOLARI NELLE PIANTE Uno studio pubblicato su Nature Communications ha rivelato le basi molecolari delle transizioni di simmetria

(HEC) che agiscono come fattori di trascrizione controllando l’espressione dei geni di identità adassiale, Homeobox Arabidopsis Thaliana 3 (HAT3) e Arabidopsis Thaliana Homeobox 4 (ATHB4)”, ha dichiarato Giorgio Morelli del Centro di ricerca genomica e bioinformatica di Roma-Gb. “I nostri risultati mostrano che la coppia HAT3/ATHB4, target del fattore SPT, modula la sensibilità alla citochina e, importantissimo, è la diretta responsabile della distribuzione dell’ormone auxina nello stilo, agendo anche attraverso un meccanismo a feedback negativo sull’espres-

sione di SPT. In definitiva, HAT3 e ATHB4 perfezionano la forma e la funzione degli organi della pianta”, ha aggiunto il ricercatore. “La pubblicazione dello studio è frutto della collaborazione con i coautori Layla Moubayidin afferente al John Innes Center e Ida Ruberti del Cnr- Ibpm che, purtroppo, è venuta a mancare durante la fase finale del lavoro, ma che è stata fondamentale nella concettualizzazione del progetto e nella approfondita discussione dei risultati”, ha concluso Monica Carabelli del Consiglio nazionale delle ricerche -Ibpm. (P. S.). GdB | Ottobre 2021

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Ambiente

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e diverse funzioni svolte dagli ecosistemi terrestri rivestono una importanza rilevante per le dinamiche naturali e forniscono servizi vitali per il benessere e lo sviluppo economico e sociale, come la fotosintesi, vale a dire l’assorbimento di anidride carbonica e il rilascio di ossigeno, la produzione di biomassa e di cibo e la regolazione del ciclo dell’acqua e del clima. Tali funzioni ecosistemiche sono continuamente minacciate dai cambiamenti climatici e ambientali e dall’azione dell’uomo. Per comprendere come gli ecosistemi terrestri stanno rispondendo e risponderanno in futuro a queste minacce è fondamentale individuare le funzioni principali che regolano il loro complesso comportamento in modo da studiarne e monitorarne lo stato di salute, l’efficienza e poterne prevedere l’evoluzione nel tempo. Un gruppo di ricercatori internazionali, guidato dal Dr. Mirco Migliavacca del Max Planck Institute for Biogeochemistry, Jena (Germania) e comprendente studiosi provenienti dagli istituti italiani di Arpa Valle d’Aosta, Istituto per la BioEconomia del Cnr, Libera Università e Ripartizione Foreste di Bolzano, Università degli Studi di Milano-Bicocca e Università della Tuscia di Viterbo, ha cercato di rispondere a questa domanda, utilizzando dati ecologici ed ambientali ricavati da reti globali di stazioni di misura, combinate con osservazioni satellitari, modelli matematici, metodi statistici e di inferenza causale. Il Dr. Migliavacca, primo autore della pubblicazione su Nature, ha dichiarato: ”Siamo stati in grado di identificare tre fattori chiave che riassumono il comportamento degli ecosistemi: la massima capacità di assimilare CO2 dall’atmosfera attraverso la fotosintesi, l’efficienza d’uso dell’acqua e l’efficienza d’uso del carbonio per produrre biomassa. Usando solo questi tre fattori possiamo spiegare

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I TRE FATTORI PRINCIPALI DEGLI ECOSISTEMI TERRESTRI Le tre funzioni legate all’efficienza nell’utilizzo di carbonio e acqua sono legate a struttura, stato nutrizionale e vigore della vegetazione

di Pasquale Santilio più del 70% della variabilità delle funzioni ecosistemiche”. I ricercatori hanno analizzato lo scambio di anidride carbonica, vapore acqueo ed energia in 203 siti di monitoraggio distribuiti globalmente e che coprono una grande varietà di zone climatiche e tipi di vegetazione. Per ogni sito sono state misurate ed elaborate proprietà ecologiche dell’ecosistema, variabili climatiche e del ciclo dell’acqua, così come caratteristiche della vegetazione e dati di biomassa derivati da satellite. L’analisi dei dati ed i modelli utilizzati hanno determinato che le tre funzioni chiave iden-

tificate sono a loro volta legate ad una serie di caratteristiche quali la struttura (altezza e biomassa), allo stato nutrizionale (azoto fogliare) ed il vigore della vegetazione, che sono proprietà che possono essere influenzate dai disturbi e regolate da una corretta gestione delle foreste. Nel contempo, l’efficienza nell’uso dell’acqua e del carbonio dipende in modo critico anche dal clima e, soprattutto, dalla lunghezza e frequenza dei periodi di siccità. Questo conferma la rilevanza del cambiamento climatico in atto per il funzionamento degli ecosistemi nei prossimi anni. GdB | Ottobre 2021

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Innovazione

ORGANOIDI PER SVILUPPARE TRATTAMENTI PER IL CANCRO AL PANCREAS Modelli in miniatura realizzati dagli ingegneri del MIT di Boston La ricerca è stata pubblicata su Nature Materials

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n gruppo di ingegneri del Massachusetts Institute of Technology (MIT) di Boston in collaborazione con gli scienziati del Cancer Research UK Manchester Institute, hanno sviluppato un kit per far crescere piccole repliche (dette organoidi) del pancreas, utilizzando cellule umane pancreatiche sane o cancerose. I loro nuovi modelli in miniatura potrebbero aiutare i ricercatori a sviluppare e testare potenziali farmaci contro il cancro al pancreas, attualmente uno dei tipi di cancro più difficili da trattare. Usando un gel specifico che imita l’ambiente extracellulare che circonda il pancreas, i ricercatori sono stati in grado di far crescere “organoidi” pancreatici - versioni miniaturizzate e semplificate del pancreas – che hanno permesso loro di studiare le importanti interazioni tra i tumori pancreatici e il loro ambiente. I risultati sono stati pubblicati su Nature Materials. Far crescere organoidi non è un’impresa facile. Si tratta solitamente di tessuti cellulari che sono fatti crescere nelle tre dimensioni su delle “impalcature” biocompatibili. Poiché si tratta di un processo complesso che non sempre va a buon fine, i ricercatori hanno messo a punto una sorta di kit per produrre organoidi standard del pancreas a partire indifferentemente da cellule sane o da cellule malate. Il segreto del kit è in particolare nel nuovo gel di coltura, ossia la matrice che deve sostenere la crescita delle cellule. I gel normalmente

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utilizzati sono di solito una miscela complessa di proteine di varia natura e fattori di crescita cellullare derivati da cellule tumorali le cui caratteristiche però possono variare da lotto a lotto e presentare addirittura componenti indesiderate. A differenza di alcuni dei gel di coltura fino ad oggi utilizzati, il nuovo gel del MIT è interamente sintetico e privo di fattori non controllabili, e rappresenta dunque uno strumento “standard”, economico, facilmente riproducibile e che consente il controllo del microambiente. Gli scienziati hanno anche dimostrato che il loro nuovo gel può essere utilizzato per far crescere altri tipi di tessuto, tra cui il tessuto intestinale ed endometriale. Una caratteristica chiave del gel è la presenza di molecole chiamate ligandi peptidici, che interagiscono con le proteine della superficie cellulare chiamate integrine. Il legame tra i ligandi e le integrine permette alle cellule di aderire al gel e formare gli organoidi. I ricercatori hanno anche scoperto che incorporare piccoli peptidi sintetici derivati dalla fibronectina e dal collagene nel gel ha permesso di far crescere una varietà di tessuti epiteliali, compreso il tessuto intestinale. Gli scienziati hanno anche dimostrato che in questo ambiente le cellule di supporto chiamate cellule stromali, insieme alle cellule immunitarie, possono prosperare. Il gel contiene inoltre il polietilenglicole (PEG), un polimero in grado di aiutare le cellule a crescere in esso e che è spesso usato per appli-


Innovazione

cazioni mediche perché non interagisce con le cellule viventi. In laboratorio fino a ora è stato difficile far crescere il tessuto pancreatico in modo da replicare sia le cellule cancerose che l’ambiente extracellulare, perché una volta che le cellule tumorali pancreatiche vengono rimosse dal corpo, perdono i loro tratti distintivi cancerosi. In prima battuta il gel è stato utilizzato per far crescere organoidi pancreatici, usando cellule pancreatiche sane o cancerose derivate da topi. Altri approcci utilizzati in precedenza dallo stesso gruppo di ricercatori erano risultati troppo complicati o non rappresentavano il microambiente visto nei tessuti viventi. Usando il nuovo gel, i ricercatori hanno potuto confrontare gli organoidi pancreatici con i tessuti che hanno studiato nei topi vivi, e hanno scoperto che gli organoidi tumorali esprimono molte delle integrine viste nei tumori pancreatici. Inoltre, anche altri tipi di cellule che normalmente circondano i tumori, tra cui macrofagi e fibroblasti, erano in grado di crescere nel microambiente. In seguito i ricercatori hanno dimostrato che il gel può essere utilizzato per far crescere organoidi da cellule umane derivanti da pazienti malati di cancro al pancreas e hanno affermato che lo stesso gel potrebbe essere sfruttato per studiare i tumori del polmone, del colon-retto

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Il segreto del kit è in particolare nel nuovo gel di coltura, ossia la matrice che deve sostenere la crescita delle cellule.

e altri tipi di tumori. Tali sistemi potrebbero essere utilizzati per analizzare come potenziali farmaci antitumorali influenzano i tumori e il loro microambiente. «Il campo del cancro – ha affermato Hilary Critchley, professoressa di medicina riproduttiva e co-direttore del Centro MRC per la salute riproduttiva dell’Università di Edimburgo, che non è stata coinvolta nello studio - si è a lungo affidato ad altri approcci (modelli murini o studi su cellule isolate), e il contributo dell’approccio organoide, e in particolare la struttura del gel in cui crescono questi mini gruppi di cellule, sarà fondamentale per il progresso della ricerca». Gli autori dello studio prevedono anche di utilizzare il gel per far crescere e studiare il tessuto di pazienti con endometriosi, una condizione che causa la crescita del tessuto che riveste l’utero al di fuori dell’organo e che può causare dolore e talvolta infertilità. Il principale vantaggio del nuovo gel deriva dal fatto che è completamente sintetico, e può essere prodotto facilmente in un laboratorio mescolando insieme precursori specifici, tra cui PEG e alcuni polipeptidi. I ricercatori hanno depositato un brevetto sulla tecnologia e probabilmente il gel sarà prodotto a livello industriale. (S. B.) GdB | Ottobre 2021

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Beni culturali

VILLA DEI VESCOVI NEL CUORE DEI COLLI EUGANEI Tra le campagne amate da Tito Livio, una raffinata dimora cinquecentesca anticipa l’estetica del Palladio: oggi il Fai l’ha rimessa a nuovo

di Rino Dazzo

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La concezione della Villa come luogo di ispirazione, di discussione e di confronto è evidente nella successione di spazi interni e aree verdi.

una vera e propria antesignana dell’estetica palladiana. Qui l’amore per la classicità traspare in ogni dettaglio, anche se a commissionare l’opera fu un cardinale, Francesco Pisani, nobile veneziano cresciuto nella Città Eterna dove rimase affascinato dallo stile maestoso dei suoi monumenti. Tutto nasce nei primi anni del Cinquecento, quando la collina dove sorgerà Villa dei Vescovi è di proprietà della curia padovana. Pisani intende realizzare, nel cuore di questo locus amoenus capace di ispirare e favorire i pensieri più profondi e le riflessioni più elevate, una casa di villeggiatura e allo stesso tempo un circolo intellettuale, luogo di incontro e di scambio tra letterati e uomini di cultura. La direzione dei lavori è affi-

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© FEDELE FERRARA/shutterstock.com

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n grande storico romano originario della vicina Padova, Tito Livio, aveva scelto quei luoghi per edificare una sua residenza di campagna. Quindici secoli dopo, come se la cultura e le atmosfere di epoca classica fossero diventate parti integranti dei vigneti secolari e dei poggi dall’aspetto grazioso che caratterizzano quel meraviglioso angolo della campagna veneta, proprio lì è stata concepita e realizzata Villa dei Vescovi, raffinata dimora rinascimentale ispirata alla romanità e capace di integrarsi al meglio con lo splendido ambiente circostante. Per le sue caratteristiche architettoniche, per lo stile particolare con cui è stata edificata e per la stessa impalcatura concettuale che ha animato la sua costruzione, Villa dei Vescovi può essere considerata

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Beni culturali


data al nobile Alvise Cornaro, il progetto all’architetto veronese Giovanni Maria Falconetto a cui subentra dopo la morte, avvenuta nel 1535, l’allievo Andrea Da Valle. Fondamentale il contributo di Giulio Romano, architetto dei Gonzaga conosciuto da Pisani durante il soggiorno romano. L’edificio, nato a pianta quadrata con logge esterne su tre lati e apertura centrale sul modello delle antiche ville romane, è infatti sottoposto ad alcune modifiche che ne addolciscono le forme e lo rimodellano in armonia col paesaggio. L’ingresso è spostato a ovest, in direzione del borgo, mentre il cortile esterno è cinto da un muro in cui si aprono tre archi. In questa fase, sotto la direzione di Giulio Romano, è realizzata anche la doppia scalinata che porta al piano nobile. Nel frattempo, Villa dei Vescovi è abbellita e impreziosita anche all’interno dagli affreschi del pittore olandese Lambert Sustris, in quegli anni attivo e apprezzato a Venezia. Le splendide logge e gli eleganti saloni, tra cui spiccano la Sala delle Figure all’antica, la Stanza del Putto e la Sala da Pranzo, sono decorati con maestria da Sustris con trionfi, trofei e paesaggi bucolici che rimandano all’ambiente esterno, in un gioco di colori, luci e atmosfere dall’aspetto coinvolgente. Ammirando gli straordinari affreschi come il Ratto di Proserpina e Arianna abbandonata a Nasso nella Sala delle Figure all’antica, Dafne che si trasforma in alloro nella Stanza del Putto e due scene dei miti di Orfeo e Apollo nella Sala da pranzo, sembra quasi di fondersi col paesaggio reale dei Colli Euganei, anche oggi che molte delle realizzazioni originali non ci sono più, spazzate via dal restyling voluto dal vescovo Giustiniani nel XVIII secolo. Già dopo il Concilio di Trento, peraltro, molti dei corpi raffigurati dal maestro olandese avevano subito delle modifiche, con l’aggiunta di panni e drappi a coprire le nudità. La concezione della Villa come luogo di ispirazione, di discussione e di confronto è evidente anche nella successione di spazi interni e aree verdi. Oggi come allora, sono cornici ideali per vivere occasioni di ozio creativo. Le logge panoramiche con i loro divani, i tranquilli filari della vigna, il delizioso frutteto e le verdeggianti geometrie del brolo, l’imponente orto che circonda la costruzione, sono perfetti per la riflessione e la contemplazione, ma anche per l’elevazione della mente e dello spirito, concetti questi che hanno ispirato l’edificazio58 GdB | Ottobre 2021

Dichiarata monumento nazionale nel 1939, Villa dei Vescovi durante il secondo conflitto mondiale è requisita dai tedeschi e nel dopoguerra diventa meta di ritiri spirituali per i giovani. Nel 2005, Maria Teresa Valoti Olcese dona la villa al Fai.

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Beni culturali

ne del complesso. Che poi, nel corso dei secoli, ha dovuto gioco forza cambiare aspetto e funzioni. Dichiarata monumento nazionale nel 1939, Villa dei Vescovi durante il secondo conflitto mondiale è requisita dai tedeschi e nel dopoguerra diventa meta di ritiri spirituali per i giovani. Nel 1962 è acquistata da Vittorio e Giuliana Olcese, che realizzano i primi lavori di restauro durante i quali tornano alla luce alcuni affreschi cinquecenteschi coperti da vari strati di intonaco. Nel 2005, infine, Maria Teresa Valoti Olcese dona la villa al Fai, che per quattro anni porta avanti nuovi e risolutivi lavori di restauro propedeutici all’apertura della villa al pubblico, avvenuta il 23 giugno del 2011. Oggi Villa dei Vescovi è accessibile ai disabili intellettivi grazie al progetto “Bene FAI per tutti”. È inoltre un posto ideale per i bambini in ogni momento dell’anno, con eventi come “Magico Autunno”, “Natale dei piccoli” e “Villa dei fantasmi” incentrati su attività all’aria aperta, cacce al tesoro, letture animate e altre fantastiche avventure. Per chi intende vivere le meravigliose suggestioni della villa, utilizzandola anche come base di partenza per visite culturali, passeggiate e itinerari enogastronomici, sono a disposizione due mansarde: del Frutteto e del Vigneto. Raggiungere Villa dei Vescovi è semplicissimo: è a Luvigliano di Torreglia, a una ventina di minuti dal centro di Padova. Il biglietto per una visita costa 11 euro, 6 euro per gli studenti da 18 a 25 anni, 5 euro per i ragazzi da 6 a 18 anni, gratis per bimbi e iscritti al Fai.

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Beni culturali

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n comunicato del Ministero della Cultura riporta come “i recenti studi della Soprintendenza nazionale per il patrimonio culturale subacqueo sul relitto individuato nel 2019 a 780 metri di profondità nel canale di Otranto, gettano nuova luce sugli albori della Magna Grecia”. Già, perché all’interno del relitto sono state rinvenute ceramiche fini e contenitori da trasporto provenienti dalla zona di Corinto che risalirebbero alla prima metà del VII secolo a.C. Gli oggetti riportati alla luce sono ora conservati nei laboratori di restauro della soprintendenza istituita da Dario Franceschini, ministro della Cultura. «L’archeologia subacquea - ha dichiarato Franceschini - è uno dei settori di ricerca più importanti del nostro Paese su cui è necessario tornare a investire. Siamo un paese circondato dal mare e abbiamo un ricco patrimonio culturale sommerso che va ancora studiato, salvaguardato e valorizzato. Le recenti indagini nel canale di Otranto confermano che si tratta di un patrimonio ricchissimo in grado di restituirci non solo i tesori nascosti nei nostri mari, ma anche la nostra storia». Barbara Davidde, Soprintendente Nazionale per il patrimonio culturale subacqueo, ha spiegato come «le tecnologie solitamente utilizzate nell’ambito dei lavori della pratica subacquea industriale del comparto “oil & gas”, utilizzate sotto il controllo attento degli archeologi della Soprintendenza, hanno permesso di portare in superficie parte del carico del primo relitto databile all’inizio del VII secolo a.C. ritrovato nel mar Adriatico. Si tratta di un evento di eccezionale importanza, anche per le tecnologie utilizzate per il recupero, realizzato nei mari italiani a quasi 800 metri di profondità». Data l’importanza del ritrovamento, nei prossimi mesi il Ministero della Cultura procederà al recupero dei restanti Consigliere tesoriere dell’Onb, delegato nazionale per le regioni Emilia Romagna-Marche e Piemonte-Liguria-Valle D’Aosta.

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LA CULTURA INVESTA SULL’ARCHEOLOGIA SUBACQUEA Il Ministro Dario Franceschini: «Gli studi sul relitto di Otranto raccontano gli albori della Magna Grecia»

di Pietro Sapia duecento reperti che ancora si trovano nel relitto e sul fondale marino. L’auspicio è che dal loro restauro e delle analisi archeometriche e archeobotaniche dei residui organici e vegetali che potrebbero ancora trovarsi sugli oggetti, possano venire alla luce nuove importanti informazioni sulla storia della civiltà antica. Le indagini hanno portato al ritrovamento di tre anfore della tipologia corinzia A, dieci skyphoi e quattro hydriai di produzione corinzia, tre oinochoai trilobate in ceramica comune e una brocca di impasto grossolano. Particolarmente interessante, secondo la Davidde, è un pithos recuperato con tutto il suo contenuto, costituito da skyphoi impilati al suo interno in pile orizzontali ordinate. Se ne

contano almeno 25 integri, oltre a diversi frammenti appartenenti ad altre coppe. «La scoperta ci restituisce un dato storico che racconta le fasi più antiche del commercio mediterraneo agli albori della Magna Grecia, meno documentate da rinvenimenti subacquei, e dei flussi di mobilità nel bacino del mediterraneo - ha spiegato il Direttore generale dei Musei del Mibact, Massimo Osanna -. È un carico intatto che getta luce sulla prima fase della colonizzazione greca in Italia meridionale, grazie anche allo stato di conservazione significativo che ci permette di capire quello che trasportavano: non solo cibi come olive, ma anche coppe da vino considerate beni di prestigio e molto apprezzate anche dalle genti italiche». GdB | Ottobre 2021

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Sport

GANNA, BALSAMO & CO. ITALIA “PADRONA” DEL CICLISMO Anno magico per gli atleti italiani che hanno vinto titoli mondiali, olimpici ed europei e tornando a trionfare nella Regina delle Classiche, la Parigi-Roubaix

di Antonino Palumbo

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Sport

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ampioni del mondo su strada fra le donne dopo dieci anni. Primi nel medagliere iridato. Vincitori della Parigi-Roubaix dopo 22 anni e dell’inseguimento a squadre ai Mondiali dopo quasi cinque lustri, grazie al quartetto olimpionico di Tokyo. Aggiungiamo il primo titolo iridato di Letizia Paternoster nell’eliminazione su pista e il quadro del magico 2021 azzurro (anche) nel ciclismo è esaustivo. Potessimo, lo estenderemmo ben oltre dicembre questo anno scintillante di ori, ma magari è solo l’inizio di un nuovo periodo aureo per il pedale italiano. Fra le gioie più significative del ciclismo azzurro, quest’anno, ci sono i recenti tronfi ai Mondiali su pista nell’inseguimento a squadre maschile e nell’eliminazione femminile. Il perché è presto detto. Intanto si correva sul velodromo di Roubaix, località storica del ciclismo, a poche settimane da un’altra impresa italiana, che vi racconteremo fra poco. E poi si è trattato di successi storici. Per dire: era dal 1997 che l’Italia non vinceva il Mondiale dell’inseguimento a squadre. Il digiuno è stato rotto a Roubaix dal quartetto campione olimpico di Tokyo, formato da Filippo Ganna, Jonathan Milan, Simone Consonni e Liam Bertazzo. Battuta in finale la Francia in 3’47”192, mentre il bronzo è andato alla Gran Bretagna. Una conferma ad altissimi livelli per gli azzurri, che tre mesi fa a Tokyo avevano già riportato l’Italia sul gradino più alto del podio della specialità, alle Olimpiadi, dopo ben 61 anni (con Francesco Lamon invece di Liam Bertazzo in finale). Per Letizia Paternoster, talentuosa 22enne trentina reduce da due stagioni tremende (incidente in allenamento, problemi a un ginocchio, coronavirus), la vittoria nell’eliminazione femminile ha invece significato il primo oro iridato da élite, dopo 5 Mondiali e 8 titoli europei da juniores. Letizia ha dato il suo contributo anche al quartetto femminile, che poi ha vinto la medaglia d’argento nell’inseguimento con Elisa Balsamo, Chiara Consonni, Martina Fidanza e Martina Alzini: è il miglior piazzamento di sempre per una squadra italiana femminile, dopo il bronzo di tre anni fa ad Apeldoorn. Fidanza che, ricordiamo, aveva aperto in bellezza i Mondiali su pista 2021 vincendo l’oro nella gara di Scratch: la 21enne figlia d’arte ha attaccato a quattro giri dalla fine sbaragliando la concorrenza. GdB | Ottobre 2021

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Sport

Al 1999 risaliva invece l’ultimo “hurrà” di un ciclista del nostro Paese alla Parigi-Roubaix, prima di un’edizione 2021 rinviata dall’11 aprile al 3 ottobre causa Covid. Pioggia battente e stradine piene di fango, per la Regina delle classiche che quest’anno è stata più che mai - per citare un altro soprannome - l’Inferno del Nord. Non per Sonny Colbrelli, che al termine di una corsa piena di colpi di scena ha battuto in uno sprint a tre i fortissimi Van Der Poel (terzo) e Vermeersch (secondo), a coronamento di un periodo da “Re Mida” inaugurato con l’oro al Campionato italiano di Imola e proseguito con il successo nell’Europeo a Trento, entrambi a settembre. Il 31enne bresciano era al debutto nella Parigi-Roubaix. Alla gioia di Colbrelli ha fatto da contraltare la delusione di un bravissimo Gianni Moscon di un successo, 27enne trentino della Val di Non che, dopo aver accumulato un ampio vantaggio sui più immediati inseguitori a 25 km dall’arrivo, ha prima bucato e poi è caduto. Ma torniamo su Elisa Balsamo perché, prima di brillare su pista in Francia, la 23enne cuneese già iridata Junior ha conquistato il titolo mondiale su strada a Leuven, in Belgio. Premiando una perfetta prova di squadra lungo i 158 km del tracciato, Balsamo ha tagliato a braccia alzate il traguardo battendo in volata una campionessa assoluta quale l’olandese Marianne Vos. Bronzo per la polacca Katarzyna Niewiadoma.

Elisa Balsamo alla prima edizione della Parigi-Roubaix women.

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Filippo Ganna. Era dal 1997 che l’Italia non vinceva il Mondiale dell’inseguimento a squadre. Il digiuno è stato rotto a Roubaix dal quartetto campione olimpico di Tokyo, formato da Filippo Ganna, Jonathan Milan, Simone Consonni e Liam Bertazzo.

Uno sprint prepotente, quello dell’ex iridata Junior e campionessa d’Europa U23 in carica, che ha completato il grande lavoro fatto dal trenino italiano con Elisa Longo Borghini (bronzo a Tokyo 2020) a pilotare la compagna. La vittoria di Elisa Balsamo è arrivata a dieci anni dall’ultimo oro azzurro ai Mondiali femminili, firmato a Copenaghen da Giorgia Bronzini. Rimane stregata, invece, la corsa in linea maschile dei Campionati del mondo: l’ultimo dei “nostri” a spuntarla fu Alessandro Ballan, nel 2008 a Varese, in un’edizione che vide l’Italia completare una splendida doppietta con Damiano Cunego. Troppa grazia in una sola volta, forse, ma non è certo per la legge dei grandi numeri che negli ultimi 13 Mondiali siamo finiti sul podio solo con Matteo Trentin, argento due anni fa nello Yorkshire. Al netto della sfortuna degli italiani e della bravura altrui (Julian Alaphilippe su tutti: per lui bis iridato dopo il 2020) nella gara maschile Elite, il Campionato del mondo di ciclismo su strada è stato chiuso dalla Nazionale al primo posto con tre medaglie d’oro e un bronzo. Come Elisa Balsamo, Filippo Baroncini si è aggiudicato la gara in linea della sua categoria, Under 23, precedendo l’eritreo Biniyam Ghirmay e l’olandese Olav Kooij grazie a un colpo da finisseur. Quarto posto per un altro italiano, Michele Gazzoli.

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Sport

POLO E CRICKET, LE ULTIME “FAVOLE” DELLA SAGA ITALIA-INGHILTERRA In un anno record per i successi sportivi italiani, arrivano altri due successi raccolti battendo gli inglesi in discipline storicamente meno favorevoli per i nostri colori

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era una volta: tutte le favole, da bambini, iniziano così. Il “c’era una volta” dello sport italiano è stato e continua a essere il 2021, costellato di successi in ogni disciplina, alcuni dei quali dopo lunghi digiuni. Tutto è iniziato a fine febbraio, con la vittoria di Luna Rossa nella Prada Cup di vela, a vent’anni dall’ultima volta, nella cui scia si è inserita la doppietta di Marta Bassino e Sofia Goggia, l’una in slalom gigante e l’altra in discesa libera, nella Coppa del Mondo di sci. Poi è successo di tutto, tanto che, inebriati dalla vendemmia di trionfi in ogni settore - calcio agli Europei, record di medaglie alle Olimpiadi e Paralimpiadi, tennis, ciclismo, pallavolo - molti hanno inserito pure l’inusuale trionfo italiano dei Maneskin all’Eurovision e qualcuno pure il Nobel per la Fisica, conferito a Giorgio Parisi. Perché alla fine abbiamo tanti difetti ma anche un fortissimo orgoglio nazionale, soprattutto quando c’è di mezzo lo sport. Gli “sgarbi” ricevuti nella finale degli Europei di calcio dall’Inghilterra, dai fischi all’inno nazionale (salvo poi riservare lo stesso all’inno spagnolo, in Nations League a Milano) ai reali britannici che disertano la premiazione, hanno anche ammantato di goliardia qualsiasi successo ottenuto contro gli amici d’oltre Manica. E regalato maggiore visibilità anche a discipline sportive che comunque l’hanno meritata a prescindere, sul campo. Due esempi su tutti, il polo e il cricket. Nel

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polo l’antipasto è stato il successo della Nazionale maschile agli Europei a Sotogrande, in Spagna, grazie al 6-5 sull’Austria che ha confermato campioni continentali gli azzurri Stefano Giansanti, Therence Cusmano, Miguel Lagos Marmol e Francisco Guillermo MacLoughlin, guidati dal capo equipe Alessandro Giachetti e diretti dal tecnico Franco Piazza. Una settimana più tardi, la finale femminile con l’Italia opposta all’Inghilterra sul campo del circolo La Mimosa di Pogliano Milanese. Che non è Wembley, ma ha comunque vissuto una giornata carica di grandi emozioni: il match è stato infatti avvincente, su un campo che ha retto benissimo malgrado la copiosa pioggia. L’Italia è scesa in campo senza Costanza Marchiorello, che nella precedente sfida con l’Inghilterra (persa 6 a 5,5) ha rimediato la frattura del malleolo sinistro e ha seguito il match per l’oro dalla clinica dove si trovava ricoverata. Le azzurre hanno iniziato il match sulla difensiva, contro una squadra britannica chiamata ad attaccare per recuperare il mezzo gol di handicap iniziale. Al vantaggio siglato da Heloise Wilson Smith, l’Italia ha rimediato grazie a una punizione dalle 40 yard chiudendo il primo tempo (chukker) sul parziale di 1-1. Nella ripresa le “nostre” hanno rischiato di veder fuggire via le avversarie, a segno prima con Emma Tomlinson Wood, su punizione, e poi con Millie Hughes, che a fil di porta ha messo dentro un colpo in back della


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Battitore di cricket.

Wilson Smith. Una strepitosa Camilla Rossi ha regalato prima il pari all’Italia e poi, dopo il nuovo breve allungo delle inglesi, in collaborazione con Maitana Marré ha firmato l’allungo italiano sul 6-4 a conclusione del quinto chukker. Wilson Smith e Hughes hanno poi rimesso in gioco l’Inghilterra, il cui assalto finale non ha però prodotto effetti, con l’Italia che alla fine ha prevalso grazie all’handicap. «È stata una settimana difficile, per l’infortunio occorso a Costanza Marchiorello nella prima partita contro l’Inghilterra. Le ragazze sono state però tutte bravissime, da Camila Rossi ad Alice Coria e Maitana Marré, e la vittoria finale ci ripaga di tutti i problemi che abbiamo dovuto affrontare. Ovviamente il nostro trionfo è dedicato a Costanza» ha raccontato la veterana Ginevra Visconti, già protagonista dell’oro europeo a Chantilly 2017 e dell’argento 2018 a Villa a Sesta. Non solo polo. A fine settembre, è arrivata un’epica affermazione italiana a danno degli inglesi anche nel cricket. È successo al Cartama Oval di Malaga (Spagna) dove l’Italia, in oc-

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casione dell’European Championship T10: la vittoria contro i maestri britannici della disciplina ha interrotto una serie iniziale di quattro sconfitte consecutive per la nostra nazionale. L’unico precedente vittorioso per gli azzurri contro l’Inghilterra, culla della disciplina da più di trecento anni, era datato 1998. La partita si è chiusa quattro lanci prima della fine, con il four di Singh: per lui 43 punti not out con 6 boundaries, che gli sono valsi il premio di “man of the match”. A questa vittoria, sono seguite quelle con Finlandia, Germania e due volte Repubblica Ceca. Gli inglesi, però, ci hanno battuto nei due incroci successivi, così come hanno prevalso il Belgio e i Paesi Bassi. Ultimo atto azzurro agli Europei è stato il match della fase Eliminator, che ha visto sorridere i padroni di casa della Spagna. I Maestri, invece, sono arrivati fino in fondo, così come doveva essere. Che i campioni, alla fine, potessero confermarsi loro era ampiamente prevedibile. Però batterli dopo 23 anni, per una volta, ha aggiunto un’altra pagina memorabile al meraviglioso 2021 dello sport italiano. (A. P.) GdB | Ottobre 2021

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Fonte: www.redbull.com

Sport

Elisa Cosetti con Alessandro De Rose.

TUFFI, COSETTI PRIMA ITALIANA NELL’HIGH DIVING A Polignano a Mare, la 19enne triestina ha fatto il suo debutto nella Coppa del Mondo di tuffi dalle grandi altezze. E ora guarda agli Europei di Roma 2022

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l terzo tuffo ha incassato il pieno di “9” da parte dei giudici. E a fine gara ha ricevuto i complimenti di Rhiannan Iffland, la migliore specialista di tutti i tempi. Nulla di così epocale, dirà qualcuno, non fosse che parliamo di tuffi da un’altezza di 22 metri e che la protagonista della nostra storia, Elisa Cosetti, è la prima italiana ad aver debuttato nella Coppa del Mondo della specialità. È successo lo scorso settembre, a Polignano a Mare, nella finalissima della Red Bull Cliff Diving World Series cui ha avuto accesso come wildcard. «Elisa fa parte della nuova generazione dell’high diving. Vedo una

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tuffatrice dalle grandi altezze con un gran potenziale» l’ha descritta Alessandro De Rose, mentore della Cosetti, che da wildcard firmò nella cittadina sull’Adriatico una storica impresa nel 2017. Nello spettacolare scenario di Lama Monachile, la 19enne tuffatrice triestina ha concluso decima con 256 punti. Al di là del risultato, tuttavia, sarà impossibile dimenticare un esordio così, con i tifosi italiani ad acclamarla e il cuore iconico di Polignano a Mare a far da cornice alle sue evoluzioni. Elisa ha scoperto i tuffi all’età di otto anni, da spettatrice alla gara di una sua amica. Il colpo di fulmine è stato immediato. Poco tempo dopo era già in acqua.

E con il tempo è passata progressivamente dai classici trampolini alle piattaforme fino alle grandi altezze, con l’high diving che acquisisce sempre più importanza al livello nazionale e internazionale. L’obiettivo, suo e della Federazione Italiana Nuoto, sono gli Europei di Roma 2022, ma il primo passo – o meglio, il primo balzo – è stato fatto a Polignano a Mare, sotto i riflettori della Red Bull Cliff Diving World Series. Non proprio “robetta”: tuffarsi dai 21 metri non è arte che s’impara con uno schiocco di dita, né con un colpo di bacchetta magica. Non è solo un fatto di coraggio, quanto di preparazione, studio, allenamento. “Tanti dicono che siamo incoscienti. Invece non è così, perché dobbiamo avere l’esatta consapevolezza di ciò che facciamo e il controllo del nostro corpo. Durante il tuffo non si pensa ad altro che a quello” ha raccontato Elisa. Lungi dall’essere supereroi sportivi o acrobati svalvolati, i protagonisti del cliff diving sono ragazzi come tanti, con paure e ansie. E proprio la gestione della paura gioca un ruolo chiave nelle performance di questi atleti: «È un amico/ nemico: non ti limita, ma ti fa rispettare ciò che stai facendo, ma al con tempo è nemica quando ti ferma, ti blocca» racconta Alessandro De Rose, seguito come Elisa dalla moglie e tecnico federale Nicole Belsasso. Alessandro e Nicole hanno scoperto Elisa Cosetti in quel di Trieste lo scorso inverno e ne hanno curato la preparazione fino al debutto tra le scogliere di Polignano a Mare. La curiosità di Elisa per questa specialità, però, è precedente: «Seguivo le gare di high diving anche prima di iniziare a tuffarmi dalle grandi altezze e questo circuito mi è sempre piaciuto. Poter esordire proprio in occasione della finale mondiale del Red Bull Cliff Diving a Polignano, insieme a tante campionesse internazionali, è un sogno che si realizza» ha spiegato Cosetti, ringraziando gli organizzatori dell’evento di Polignano e la Federazione Italiana Nuoto, che le ha fornito condizioni e strumenti idonei per allenarsi nel centro federale di Roma. (A. P.)


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a una parte i riflettori del calcio professionistico, ancora accesi sulle sue doti da campione. Dall’altro, un’idea di calcio sostenibile e popolare, portata avanti da una società dilettantistica di Firenze fondata e sostenuta dai tifosi particolarmente sensibili ai temi del sociale. A 36 anni Borja Valero Iglesias, ex campione di Spagna con il Real Madrid e d’Eurupa U19 con la nazionale iberica, nonché miglior giocatore spagnolo della stagione 2009-2010 (Premio Don Balón), ha fatto una scelta di testa e di cuore. Salutando un mondo che gli ha dato e tolto tanto, per abbracciare una dimensione più vicina alle sue idee e ai suoi valori, come ha confessato in una delle numerose interviste rilasciate all’indomani della firma per il Centro Storico Lebowski. L’inizio della stagione si è rivelato in salita. Borja Valero ha debuttato con una sconfitta in coppa (con tanto di traversa su punizione) contro i “vicini di casa” del Galluzzo. Inoltre, il CS Lebowski è ancora alla ricerca del primo successo nel girone B della Promozione toscana, anche se il pari casalingo con la capolista Audax Rufina ha fatto registrare la prima rete in campionato. Al di là delle fortune sportive, che comunque non sono mancate negli anni al club nato in piazza D’Azeglio a Firenze e ispirato a un involontario “maestro di vita” del grande schermo, il Centro Storico Lebowski si è distinto negli anni per la sua filosofia e le sue iniziative extracalcistiche. Apparsa per la prima volta in campo nel 2004, diventata ciò che è oggi sei anni più tardi, la società grigionera si presenta come il più grande azionariato popolare d’Italia e sostiene un modello radicalmente alternativo al calcio dei grandi palcoscenici. Un modello in cui tutti decidono, ma in cui allo stesso tempo tutti hanno responsabilità e devono dare qualcosa, sia in termini economici sia di impegno. Oltre a giocare a calcio all’Ascanio Nesi di Tavarnuzzi, il CS Lebowski organizza collettivi, iniziative benefiche, raccolte fondi (come quella per la città di Colonia alluvionata), sostegno

Borja Valero con la maglia della Fiorentina.

DOPO IL BERNABEU, IL CALCIO SOLIDALE DI BORJA VALERO L’ex giocatore di Real Madrid, Fiorentina e Inter ha scelto di giocare in Promozione nel Centro Storico Lebowski, che ha realizzato il più grande azionariato popolare d’Italia

ai lavoratori licenziati (come per la Gkn), aderisce al progetto di scuola calcio gratuita Inclusive Zone, sostiene il Giardino Nidiaci nell’Oltrarno Fiorentino. Lo stesso Borja Valero ha raccontato che la sua è stata una scelta di cuore, per «dare visibilità a questa bellissima storia» scritta da un gruppo di ragazzi che «portano avanti iniziative affini al mio stile di vita» oltre che di testa. Quella testa che, tuttavia, gli permetterà di impegnarsi con professionalità per dare il massimo contributo possibile anche in campo. La realtà del CS Lebowski è riassunta dal video realizzato per l’arrivo di Borja Valero al campo sportivo di Tavarnuzze, ispirato a uno spot Nike del

2008 “Take it to next level”. Qui, però, la gloria non è il palcoscenico dorato della Champions League ma una realtà dove, prima di scendere in campo (rischiando la ramanzina del mister per il ritardo) bisogna rimboccarsi le maniche per cucinare, cambiare il fusto della birra e magari lavare lo spogliatoio sporco. E una volta subiti i venti passaggi del torello, sorbirsi pure il “nonno” dei compagni più giovani, mentre paghi pegno con le flessioni di rito. Un concetto di calcio distante anni luce da quello degli sceicchi, delle azioni in borsa e dei procuratori. E forse, anzi senza forse, molto più bello. Per conferma, citofonare Borja Valero. (A. P.) GdB | Ottobre 2021

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LA BIOLOGIA IN BREVE Novità e anticipazioni dal mondo scientifico

a cura di Rino Dazzo

BIOLOGIA MARINA La Anton Dohrn di Napoli tra le top 10 al mondo

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ompirà 150 anni nel 2022 e la Stazione Zoologica Anton Dohrn è stata inclusa da Expertscape tra le dieci migliori istituzioni al mondo nell’ambito della biologia marina. La piattaforma che registra l’impatto scientifico e la reputazione di scienziati ed enti di ricerca internazionali ha incluso la Stazione Zoologica di Napoli, unico ente italiano, in una lista ristretta che comprende altre prestigiose istituzioni del pianeta quali la University of Queensland (Australia) e il Centre National de la Recherche Scientifique (Francia). Per Roberto Danovaro, presidente della stazione partenopea, la prossima sfida è «fare una carta tematica delle potenzialità di sviluppo dei mari italiani, un impegno che il nostro Paese, con oltre 8700 km di coste, non può rimandare».

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RICERCA In arrivo il farmaco contro toxoplasmosi e malaria

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rende le mosse dalla chemioterapia e promette di essere efficace contro toxoplasmosi e malaria. Un nuovo composto chimico a base di parabulina identificato dai ricercatori del Paul Scherrer Institute, in Svizzera, si è dimostrato attivo contro i parassiti unicellulari che provocano la toxoplasmosi. Il meccanismo è lo stesso della ricerca sui tumori e si basa sul blocco della tubulina, proteina che attiva la divisione e la moltiplicazione delle cellule tumorali. Sin qui nessuno aveva provato ad applicare lo stesso principio nella parassitologia. I ricercatori svizzeri, con l’ausilio di partner statunitensi, hanno testato con successo il composto su Toxoplasma gondii nelle cellule umane e hanno depositato un brevetto per lo sviluppo di un farmaco efficace contro altri apicomplexa, gruppo di parassiti eucarioti unicellulari di cui fa parte il patogeno della malaria.


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NEUROLOGIA Le emozioni dolorose attivano circuiti cerebrali

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l dolore non è soltanto una sensazione fisica, c’è una componente psicologica che attiva dei veri e propri circuiti cerebrali e che è alla base della manifestazione della depressione. Lo sostengono i ricercatori della Washington University of St. Louis, che hanno pubblicato lo studio sulla rivista Nature Neuroscience. Nei roditori la sensazione di dolore ha attivato le cellule in una regione del cervello chiamata RMTg che produce acido gamma-amminobutirrico.

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SALUTE Le proteine dei virus favoriscono le neurodegenerazioni

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e glicoproteine sulla superficie dei virus possono favorire lo sviluppo di malattie neurodegenerative quali Parkinson o Alzheimer, dal momento che facilitano la diffusione di aggregati proteici associati a tali patologie. Lo hanno scoperto i ricercatori del Dzne, il Centro tedesco per lo studio delle neurodegenerazioni. Il gruppo guidato da Ina Vorberg, nello specifico, ha indagato i meccanismi attraverso cui, nei mammiferi, i virus possono entrare a contatto con delle cellule. Utilizzando la glicoproteina del virus della stomatite vescicolare e la proteina spike del Sars-Cov-2, gli studiosi tedeschi hanno verificato come entrambe abbiano migliorato la trasmissione degli agenti patogeni. Fondamentale, in particolare, il ruolo dei semi proteopatici, aggregati proteici patogeni trasmessi nelle prime fasi dell’infezione virale.

RICERCA Nel cammino il cervello non sceglie la via più breve

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el loro cammino i pedoni scelgono determinati percorsi, i cammini direzionali, che puntano direttamente verso la destinazione anche se possono risultare più lunghi del cammino minimo. È quanto emerge da uno studio che ha utilizzato i dati della mobilità a piedi di 14mila persone realizzato dal Cnr-Iit di Pisa insieme al MIT e al Politecnico di Torino. La ricerca ha preso in esame i dati di oltre 550mila spostamenti a piedi tra Boston e San Francisco, che indicano come i pedoni privilegino una strategia nota come navigazione vettoriale, comune ad altri animali come i primati o gli insetti. La navigazione vettoriale richiede meno risorse cerebrali rispetto al calcolo del cammino minimo, risparmio di energie che consente al cervello di dedicare più risorse ad altre attività utili. Un concetto che potrebbe consentire di pianificare meglio le città del futuro.

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Lavoro

CONCORSI PUBBLICI PER BIOLOGI AZIENDA OSPEDALIERO-UNIVERSITARIA OSPEDALI RIUNITI DI FOGGIA Scadenza, 31 ottobre 2021 Concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura di due posti di dirigente biologo. Gazzetta Ufficiale n. 78 del 01-10-2021. ENTE OSPEDALIERO “OSPEDALI GALLIERA” DI GENOVA Scadenza, 7 novembre 2021 Conferimento dell’incarico quinquennale di direttore medico ovvero direttore del ruolo sanitario - biologo ovvero chimico, disciplina di patologia clinica - laboratorio di analisi chimico-cliniche e microbiologia, per la struttura complessa laboratorio di analisi per il Dipartimento area dei laboratori e dei servizi. . Gazzetta Ufficiale n. 80 del 08-10-2021. UNIVERSITÀ DI FIRENZE Scadenza, 11 novembre 2021 Procedura di selezione per la copertura di un posto di ricercatore a tempo determinato, settore concorsuale 06/D2 - Endocrinologia, nefrologia e scienze della alimentazione e del benessere, per il Dipartimento di scienze biomediche, sperimentali e cliniche Mario Serio. Gazzetta Ufficiale n. 81 del 1210-2021. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI FISIOLOGIA CLINICA DI PISA Scadenza, 10 novembre 2021 È indetta una pubblica selezione per titoli, eventualmente integrata da colloquio, per il conferimento di n.1 (una) borsa di studio per laureati, per 70 GdB | Ottobre 2021

ricerche inerenti l’Area scientifica di diagnostica per immagini da svolgersi presso l’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR che effettua ricerca di imaging cardiovascolare e polmonare nell’ambito del programma di ricerca: “LUNCH - Lung Ultrasound for early detection of silent and apparent aspiratioN in infants and young CHildren with cerebral palsy and other developmental disabilities: a new, fast, safe, cost-effective infant-friendly imaging tool to easily monitor feeding, improve outcomes and reduce morbidities” e “ CHOOSING WISELY Pulmonary Arterial Hypertension: redefining current screening, follow-up and prognostic procedures in patients with Pulmonary Arterial Hypertension”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. AZIENDA SANITARIA LOCALE DI CASERTA Scadenza, 11 novembre 2021 Concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura di un posto di dirigente biologo di patologia clinica, a tempo indeterminato, per la U.O.S.D. Fisiopatologia della riproduzione. Gazzetta Ufficiale n. 81 del 12-10-2021. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI SCIENZE DELLE PRODUZIONI ALIMENTARI DI BARI Scadenza, 11 novembre 2021 È indetta una pubblica selezione per titoli, eventualmente integrata da colloquio, per il conferimento di n 1 (una) borsa di studio per laureati, per ricerche inerenti l’Area scientifica “Scienze Agrarie, Agroalimentari e Veterinarie”

da usufruirsi presso l’Istituto di Scienze delle Produzioni Alimentari del CNR di Bari, nell’ambito dell’Accordo di ricerca commissionata tra Roboqbo e CNR-ISPA. Tematica “Studio della qualità e conservabilità dei prodotti trasformati vegetali mediante analisi chimiche, microbiologiche e di biologia molecolare”. Per informazioni, www. cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI SCIENZE APPLICATE E SISTEMI INTELLIGENTI “EDUARDO CAIANIELLO” DI NAPOLI Scadenza, 11 novembre 2021 È indetta una pubblica selezione per titoli, eventualmente integrata da colloquio, per il conferimento di n 1 borsa di studio per laureati, per ricerche inerenti l’Area scientifica “MICRO E NANO ELETTRONICA, SENSORISTICA, MICRO E NANO SISTEMI” da usufruirsi presso l’Istituto di Scienze Applicate e Sistemi Intelligenti “Eduardo Caianiello” – SEDE SECONDARIA DI NAPOLI, nell’ambito del PROGETTO WHISKIES: “Wound Healing In Space: Key challenges towards Intelligent and Enabling Sensing platforms”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI GENETICA E BIOFISICA “ADRIANO BUZZATI TRAVERSO” DI NAPOLI Scadenza, 11 novembre 2021 È indetta una pubblica selezione per titoli, eventualmente integrata da colloquio, per il conferimento di n. 1 borsa di studio per laureati, per ricer-


Lavoro

che inerenti l’Area scientifica “Scienze biomediche” da usufruirsi presso l’Istituto di Genetica e Biofisica “A. Buzzati Traverso” del CNR di Napoli. Tematica: “Caratterizzazione metabolica delle cellule tumorali staminali del pancreas”. Per informazioni, www.cnr. it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO PER LE RISORSE BIOLOGICHE E LE BIOTECNOLOGIE MARINE DI ANCONA Scadenza, 11 novembre 2021 È indetta una pubblica selezione per titoli, eventualmente integrata da colloquio, per il conferimento di n. 1 borsa di studio per laureati, per ricerche inerenti l’Area scientifica Scienze del Sistema Terra e Tecnologie per l’Ambiente da usufruirsi presso l’Istituto per le Risorse Biologiche e le Biotecnologie Marine del CNR – sede di Ancona nell’ambito del programma di ricerca: “Progetto DTA.AD005.314 “Capitale naturale e risorse per il futuro dell’’Italia (FOE 2020)”. Tematica: “Studio del microbioma marino attraverso l’utilizzo di metodiche tradizionali e approcci molecolari”. Per informazioni, www. cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO PER LA BIOECONOMIA DI FIRENZE Scadenza, 15 novembre 2021 È indetta una pubblica selezione per titoli, eventualmente integrata da colloquio, per il conferimento di n. 1 borsa di studio per laureati, per ricerche inerenti l’Area scientifica “Scienze biologiche” da usufruirsi presso l’Istituto per la BioEconomia (IBE) del CNR di Sesto Fiorentino (FI), nell’ambito del Programma “AMICO - “Natural-Blu” - POC MISE - Proof of Concept - Ministero dello Sviluppo Economico” e “Dendromass4Europe”. Tematica: Selezione e coltura di ceppi di Spirulina ed di altri cianobatteri isolati da ambienti naturali finalizzata alla produzione ddel pigmento blu ficocianina su

larga scala. Per informazioni, www.cnr. it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO PER LA PROTEZIONE SOSTENIBILE DELLE PIANTE DI PORTICI (NA) Scadenza, 15 novembre 2021 È indetta una pubblica selezione per titoli, eventualmente integrata da colloquio, per il conferimento di n. 1 borsa di studio per laureati, per ricerche inerenti l’Area scientifica “chimica/ nutrizionale” da usufruirsi presso l’Istituto di Scienze dell’Alimentazione del CNR (ISA-CNR) di Avellino, sito in Via Roma, 64 - 83100 Avellino (AV), nell’ambito del progetto “Migliorcast” Miglioramento della competitività delle aziende castanicole mediante applicazione di tecniche innovative di gestione del prodotto in pre e post raccolta”. Tematica: “Analisi chimiche, microbiologiche e nutrizionali su campioni di castagne fresche e processate mediante tecniche innovative”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO PER LA RICERCA E L’INNOVAZIONE BIOMEDICA DI PALERMO Scadenza, 22 novembre 2021 È indetta una pubblica selezione per titoli, eventualmente integrata da colloquio, per il conferimento di n 1 borsa/e di studio per laureati, per ricerche inerenti l’Area scientifica “Scienze Biomediche” da usufruirsi presso l’Istituto per la Ricerca e l’Innovazione Biomedica (IRIB) del CNR Sede di Palermo, nell’ambito del progetto“Allergia ad Anisakis come malattia professionale: approfondimenti diagnostici nel settore della trasformazione dei prodotti della pesca. Tematica: “Sicurezza Alimentare”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI RICERCA SULLE ACQUE DI VERBANIA Scadenza, 25 novembre 2021

È indetta una pubblica selezione per titoli, eventualmente integrata da colloquio, per il conferimento di n. 1 borsa di studio per laureati, per ricerche inerenti l’Area scientifica “Scienze della Terra” da usufruirsi presso l’Istituto di Ricerca Sulle Acque del CNR, sede secondaria di Verbania, nell’ambito del Progetto AQST (Salvaguardia e risanamento del Lago di Varese) finanziato dalla Regione Lombardia e dei programmi “Indagini Limnologiche del Lago Maggiore” e “Indagini sulle sostanze pericolose nell’ecosistema del Lago Maggiore”. Tematica: Attività di monitoraggio e studio della vegetazione a macrofite e dei popolamenti algali, con particolare attenzione a quelli delle Cianoficee nel Lago di Varese, con l’impiego di analisi cromatografiche e di immagini satellitari. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO PER LO STUDIO DEGLI IMPATTI ANTROPICI E SOSTENIBILITÀ IN AMBIENTE MARINO DI CAPO GRANITOLA (TRAPANI) Scadenza, 25 novembre 2021 È indetta una pubblica selezione per titoli, eventualmente integrata da colloquio, per il conferimento di n.1 borsa di studio per laureati, per ricerche inerenti l’Area scientifica “RISCHI NATURALI E IMPATTI ANTROPICI E TECNOLOGIE PER L’AMBIENTE” da usufruirsi presso l’Istituto per lo Studio degli Impatti Antropici e Sostenibilità in ambiente marino – Sede Secondaria di Capo Granitola (TP) del CNR, nell’ambito del Progetto di Ricerca “Cod.: PON03PE_00203_1 “Marine Hazard – Sviluppo di tecnologie innovative per l’identificazione, monitoraggio e mitigazione di fenomeni di contaminazione naturale e antropica”. Tematica: “Studio e monitoraggio di impatti di origine antropica su specie di mammiferi marini, con particolare riferimento ad attività offshore e rumore sottomarino”. Per informazioni, www. cnr.it, sezione “concorsi”. GdB | Ottobre 2021

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Scienze

Nuovi studi sulla Neuropatia Ottica Ereditaria di Leber Dopo più di 30 anni dalla scoperta della prima mutazione omoplasmica del DNA mitocondriale quale causa della neuropatia ottica ereditaria di Leber (LHON), ancora si lotta per ottenere terapie efficaci

di Cinzia Boschiero

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a LHON è caratterizzata dalla degenerazione selettiva delle cellule gangliari retiniche (RGC) ed è la malattia mitocondriale più frequente, che porta i giovani, in particolare i maschi, alla cecità. Nonostante le mutazioni causative siano presenti in tutti i tessuti, solo uno specifico tipo di cellula è interessato. “La nostra profonda comprensione dei meccanismi patogenetici nella LHON”, spiega la dott.ssa Valeria Tiranti, ricercatrice della Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta,”è ostacolata dalla mancanza di modelli appropriati poiché le indagini sono state tradizionalmente eseguite su cellule non neuronali. Stanno emergendo efficaci modelli in vitro di LHON, che promettono di accelerare la nostra comprensione della fisiopatologia e di testare strategie terapeutiche che possano essere rapidamente testate in clinica”. Su Frontiers in Neurology, è stata recentemente pubblicata una review dal titolo “Utilizzo di hiPSC nella Neuropatia ottica ereditaria di Leber (LHON): risultati presenti e future prospettive” Exploiting hiPSCs in Leber’s Hereditary Optic Neuropathy (LHON): Present Achievements and Future Perspectives” che esplora l’utilizzo di cellule indotte pluripotenti (cellule iPSc) ed organoidi per lo studio delle malattie mitocondriali, in particolare della Neuropatia Ottica Ereditaria di Leber (LHON). Questo studio è stato condotto nel Centro per lo Studio delle Malattie Mitocondriali Pediatriche (http:// www.mitopedia.org) finanziato dalla Fondazione Mariani, in collaborazione con il gruppo del Prof. Valerio Carelli dell’Università di Bologna e del Dr. Vania Broccoli del CNR di Milano. La dott.ssa Valeria Tiranti fa parte della Rete di riferimento europea per le malattie neuromuscolari rare (ERN EURO-NMD). Il recente studio evidenzia come l’utilizzo di organoidi retinici per lo studio della LHON consentirebbe progressi sostanziali nella comprensione dei meccanismi patogenetici e

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nell’identificazione di bersagli specifici per lo sviluppo della terapia. A tal fine, testare approcci farmacologici e di terapia genica con appropriati vettori virali adeno-associati (AAV), in organoidi occhio/cervello derivati di© Lakabimo/shutterstock.com


Scienze

rettamente dai pazienti, potrebbe favorire un processo più rapido dell’iter di approvazione per gli studi clinici sull’uomo di agenzie di regolamentazione come la Food and Drug Administration (FDA) e l’Agenzia europea per i medicinali (EMA). “La creazione di modello in vitro di LHON attraverso colture cellulari 2D, hiPSC e neuroni derivati dal paziente,” dice la dott.ssa Valeria Tiranti, che fa parte del team di ricercatori, autori dello studio, “ha consentito importanti passi avanti nella comprensione del meccanismo patogeno di questa malattia complessa e affascinante. Sono presentate prove che le cellule hiPSC derivate da pazienti LHON, sono più difficili da ottenere rispetto ad altre linee derivate da pazienti con malattie mitocondriali apparentemente più gravi, ma questa ridotta efficienza potrebbe essere migliorata eseguendo l’esperimento di riprogrammazione in condizioni ipossiche. “Abbiamo notato che i fibroblasti LHON o PMBC sono refrattari alla riprogrammazione in hiPSC,” sottolinea la dott.ssa Valeria Tiranti, “Nello specifico, ab-

biamo tentato di riprogrammare diverse linee cellulari LHON: due pazienti con mutazione m.3460G>A, quattro pazienti con mutazione m.11778G>A e due portatori m.11778G>A non affetti. Il numero di cloni ottenuti è stato in generale molto basso, nonostante siano stati effettuati numerosi tentativi anche in laboratori diversi. Al contrario, utilizzando fibroblasti derivati da controlli sani o da pazienti affetti da malattie mitocondriali diverse, tra cui l’atrofia ottica dominante (mutazione OPA1), Pearson (40) e MPAN (41), abbiamo ottenuto in media da 10 a 20 cloni di hiPSC (Tabella 1 e Figura 1B) per esperimento di riprogrammazione. Per superare questo problema, abbiamo testato l’efficienza di riprogrammazione delle cellule LHON in condizioni di laboratorio di ipossia (5% pO2, più simile alla tensione fisiologica dell’ossigeno in vivo), una condizione precedentemente utilizzata per migliorare la generazione di hiPSC (42) e recentemente dimostrato essere particolarmente utile in diversi difetti della fosforilazione ossidativa, migliorando il fenotipo di alcuni modelli murini e cellulari di malattie mitocondriali”. Questa osservazione sarà oggetto di ulteriori indagini poiché l’ottenimento di un gran numero di cloni di hiPSCs è strumentale per sviluppare ulteriormente colture cellulari 2D differenziate. Sebbene le colture cellulari 2D mostrino diversi vantaggi quali la facile manipolazione e l’analisi (buona accessibilità di nutrienti e/o farmaci, eccellente visualizzazione e tracciamento delle cellule al microscopio mediante imaging di cellule vive), esse non consentono di riprodurre la complessa architettura 3D dei tessuti in vivo (1). Ciò è particolarmente importante per LHON, in cui le RGC sono le uniche cellule colpite nella retina. L’applicazione delle tecnologie di trascrittomica su organoidi 3D derivati da hiPSC può fornire informazioni utili sulla specificità cellulare della malattia LHON. Un recente studio ha già aperto la strada a questo approccio, eseguendo trascrittomica su singole cellule in organoidi retinici umani generati in vitro e retine umane adulte ex-vivo, consentendo la mappatura di geni associati alla malattia a particolari tipi di cellule (2). Questo lavoro mette in evidenza l’importanza di indagare i meccanismi di malattia nelle RGC poiché potrebbero essere diversamente regolati nei modelli cellulari tradizionali finora utilizzati. Molti dei risultati finora ottenuti nella LHON dovrebbero essere riverificati nei modelli RGC per garantire l’identificazione del corretto meccanismo patogeno al fine di stabilire la terapia più adeguata. La generazione di modelli in vivo per le malattie mitocondriali causate da mutazioni del mtDNA è ancora difficile a causa delle difficoltà nella manipolazione del genoma mitocondriale, sebbene sia stato recentemente descritto un nuovo metodo molto promettente Mok et GdB | Ottobre 2021

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l’uomo con la caratteristica evoluzione catastrofica della neurodegenerazione RGC (6). Pertanto, sarà fondamentale studiare il meccanismo patogeno della malattia LHON in modelli cellulari derivati da hiPSCs e gli organoidi retinici potrebbero essere strumentali per valutare l’efficacia/tossicità nelle fasi precliniche. La questione del mantenimento degli organoidi in un bioreattore rotante in condizioni ipossiche, con l’intento di riprodurre il programma di sviluppo endogeno del cervello, potrebbe essere cruciale, specialmente per la LHON alla luce della nostra osservazione, ma anche in generale per altre malattie. Ad oggi, sono stati riportati solo pochi modelli di organoidi cerebrali di malattie mitocondriali, in particolare per la sindrome MELAS, l’encefalomiopatia neurogastrointestinale mitocondriale, l’atassia di Friedrich e la sindrome di Leigh.

Bibliografia

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al. (5). Nel 2012, il gruppo di Doug Wallace, un pioniere nel campo della medicina mitocondriale, ha generato con successo un modello murino portatore di una mutazione nel gene MT-ND6, che ha sviluppato una patologia molto simile alla LHON all’età di 2 anni, sebbene la mutazione sia associata nell’uomo alla sindrome di Leigh con atrofia ottica. Questo modello è stato determinante per riprodurre alcune delle caratteristiche tipiche osservate nella retina LHON umana post-mortem; tuttavia, i topi, poiché privi della regione maculare, alla fine non riescono a riprodurre la storia naturale che caratterizza clinicamente 74 GdB | Ottobre 2021

1. Fligor CM, Langer KB, Sridhar A, Ren Y, Shields PK, Edler MC, et al. Three-Dimensional retinal organoids facilitate the investigation of retinal ganglion cell development, organization and neurite outgrowth from human pluripotent stem cells. Sci Rep. (2018) 8:14520. doi: 10.1038/s41598-018-32871-8 2. Cowan CS, Renner M, De Gennaro M, GrossScherf B, Goldblum D, Hou Y, et al. Cell types of the human retina and its organoids at single-cell resolution. Cell. (2020) 182:1623–40. e34. doi: 10.1016/j.cell.2020.08.013 3. Tyynismaa H, Suomalainen A. Mouse models of mitochondrial DNA defects and their relevance for human disease. EMBO Rep. (2009) 10:137–43. doi: 10.1038/embor.2008.242 4. Menacho C, Prigione A. Tackling mitochondrial diversity in brain function: from animal models to human brain organoids. Int J Biochem Cell Biol. (2020) 123:105760. doi: 10.1016/j. biocel.2020. 105760 5.Mok BY, de Moraes MH, Zeng J, Bosch DE, Kotrys AV, Raguram A, et al. A bacterial cytidine deaminase toxin enables CRISPR-free mitochondrial base editing. Nature. (2020) 583:631–7. 6.Chun Shi Lin , Mark S Sharpley, Weiwei Fan, Katrina G Waymire, Alfredo A Sadun, Valerio Carelli, Fred N Ross-Cisneros, Peter Baciu, Eric Sung, Meagan J McManus, Billy X Pan, Daniel W Gil, Grant R Macgregor, Douglas C Wallace. Mouse mtDNA mutant model of Leber hereditary optic neuropathy. Proc Natl Acad Sci U S A 2012 Dec 4;109(49):20065-70.


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La conservazione di stagni e zone umide minori per contrastare il cambiamento ambientale globale Opportunità per contrastare in modo sostenibile il degrado degli habitat, l’estinzione delle specie, il cambiamento climatico e la desertificazione

di Valentina Della Bella*

C’

è un crescente interesse in tutto il mondo per i piccoli corpi d’acqua, in particolare gli stagni. Sono abbondanti, spesso la parte più ricca di biodiversità degli ecosistemi di acqua dolce e forniscono molti servizi ecosistemici. Ma a differenza di fiumi e laghi, sono ancora ampiamente trascurati e fraintesi. Questo è il risultato di molti anni di pregiudizi sistematici contro questi piccoli ma critici habitat. Grazie a ricercatori europei, in particolare nell’European Pond Conservation Network, il divario di informazioni ha iniziato a ridursi man mano che diventa più chiaro quanto siano realmente importanti gli stagni, offrendo molte opportunità che possono essere impiegate per indirizzare in modo sostenibile alcune delle più importanti questioni ambientali del nostro tempo. Il valore degli stagni e delle zone umide minori per la biodiversità Nel loro insieme, gli stagni e le zone umide minori rappresentano una risorsa d’acqua dolce straordinaria. Milioni di piccoli corpi d’acqua con una superficie inferiore a dieci ettari rappresentano, in tutto il mondo, il 30% della superficie globale delle acque ferme. In Europa, e in Italia, tali ecosistemi comprendono una ampia gamma di ambienti acquatici altamente diversificati e diffusi, malgrado la forte riduzione nella loro estensione e fino al 90% nel loro numero, come è avvenuto in alcuni Paesi europei, inclusi alcuni settori dell’Italia (EPCN, 2008). Le zone umide, comprese quelle di piccole dimensioni, rappresentano un habitat idoneo per un elevato numero di specie di piante acquatiche e animali, sia vertebrati (specialmente Anfibi, Rettili e Uccelli) che invertebrati (soprattutto Insetti, Crostacei e Molluschi), ospitando spesso specie tipiche ed esclusive e/o minacciate d’estinzione Comitato Tecnico-Scientifico del CNBA “Ambiente Terrestre ed Acque Interne”, Ordine Nazionale dei Biologi *

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(Della Bella et al., 2005). Numerosi studi sono ormai concordi nell’affermare come le piccole raccolte d’acqua rivestano un elevato valore dal punto di vista della conservazione, presentando solitamente un’alta diversità biologica in relazione alla loro ridotta estensione ed ospitando gruppi esclusivi di questi ambienti (Della Bella, 2011). In particolare, alcune analisi comparative svolte in Inghilterra (si veda ad es. Williams et al., 2004) suggeriscono che questi piccoli biotopi acquatici contribuiscono in modo più significativo alla biodiversità su scala regionale rispetto ad altre tipologie di corpi d’acqua dolce, come fiumi, laghi, canali, e ruscelli. L’interesse scientifico verso questi ambienti acquatici, sebbene di piccole dimensioni, sta crescendo sensibilmente a livello nazionale ed internazionale, come testimoniato da numerosi convegni tenutisi in varie parti d’Europa dal 2004 ad oggi, come gli “European Pond Workshops” in Svizzera, Spagna, Portogallo, Germania, e il primo meeting “Ponds, Puddles and Pools” a Trieste, in cui le acque lentiche di piccole dimensioni hanno rappresentato materia specifica di studio e di dibattito scientifico, fino al recentissimo Workshop “Gestione, ripristino e conservazione delle aree umide quale chiave di lotta alla desertificazione” organizzato dal Coordinamento Nazionale dei Biologi Ambientali (CNBA) dell’Ordine Nazionale dei Biologi (ONB) a Cagliari (11-12 settembre 2021), che ha visto la partecipazione di numerosi esperti italiani del settore nonché del Direttore del “Water and Land Department” della Food and Agricolture Organization (FAO), con cui ONB ha recentemente siglato una stretta collaborazione. Una sempre maggiore attenzione è rivolta a questi biotopi per il fatto che le loro dimensioni ridotte e la scarsa profondità li rendono estremamente fragili e particolarmente vulnerabili ai danni provocati dalle attività umane, come lo sfruttamento delle falde acquifere, le pratiche agricole, l’urbanizzazione, che ne stanno causando la scomparsa in numerose parti del mondo e il degrado a causa dell’inquinamento delle acque, la perdita di connettività e l’introduzione di specie alloctone. Nel mondo, gli stagni si trovano in tutti i biomi terrestri: dal-


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“Stagno delle Pulci” (Riserva Statale del Litorale Romano).

poche settimane dopo periodi di intense precipitazioni. Gli stagni possono avere un’origine artificiale o naturale. Un’ampia gamma di processi naturali hanno creato stagni a seguito dei più diversi eventi geologici, come le glaciazioni, o di processi più recenti, come i ristagni di acqua nelle golene, la caduta di alberi o le attività di scavo da parte di alcuni animali, ad esempio i cinghiali. Sfortunatamente, gli stagni di origine naturale non sono così diffusi nei paesaggi europei come lo erano tempo fa. Nelle ultime poche migliaia di anni l’uomo ha anche artificialmente creato stagni per scopi industriali, agricoli e ludico-estetici. Recentemente si stanno creando, attraverso interventi di ripristino ambientale, zone umide di ridotta estensione finalizzate allo svolgimento di importanti servizi ecosistemici (EPCN,2008).

“Stagno Fattoria Didattica” (Riserva Naturale Decima-Malafede, vicino Roma).

“Stagno P17 (129) - Quarticciolo” (Tenuta Presidenziale di Castelporziano) e “Stagno P8 (53) – Piscina Chiara” (Tenuta Presidenziale di Castelporziano).

le pozze nel deserto a quelle nella tundra nel Circolo Artico. Esse si possono distribuire spazialmente in gruppi, formando network (reti), frammenti paesistici caratterizzati da sistemi di piccole aree umide. Tali network sono particolarmente comuni nelle pianure alluvionali, anche se essi possono essere presenti in elevate densità anche in altri tipi di paesaggio, come in alcune zone di alta quota nelle Alpi. Le definizioni del termine “stagno” (pond in inglese) varia e non c’è un accordo universale su di essa. Gli stagni possono variare in superficie da un’area di un metro quadrato fino a pochi ettari (EPCN, 2008). Il limite di dimensione superiore che differenzia gli stagni dai laghi è variabile, è considerato di due ettari nel Regno Unito e un ettaro in Germania. La definizione nella Convenzione di Ramsar per le pozze temporanee include invece corpi d’acqua fino a 10 ettari. Gli stagni possono variare molto persino in profondità da pochi centimetri a molti metri. Le pozze temporanee mediterranee, per esempio sono generalmente poco profonde, a volte solo qualche centimetro! Altri tipi di stagni possono essere invece molto profondi. Alcuni mantengono l’acqua per tutto l’anno, ma molti passano attraverso cicli di riempimento e di prosciugamento. Alcune pozze altamente effimere possono contenere acqua solo per

I servizi ecosistemici e il valore economico degli stagni e delle zone umide minori Le aree umide minori possono rivestire un ruolo economico fondamentale nello svolgimento e assolvimento di numerosi servizi ecosistemici. Tali ambienti offrono una soluzione sostenibile ad alcune questioni chiave relative al cambiamento climatico e alla gestione delle acque. Ad esempio collettivamente, grazie al loro ampio numero e unitamente alla loro elevata produttività, gli stagni in ambiente agricolo possono complessivamente sequestrare elevate quantità di carbonio (EPCN, 2008). La creazione di nuove aree umide di piccole dimensioni può quindi aiutare a migliorare gli effetti del cambiamento climatico, enfatizzando il ruolo di questi ambienti come una risorsa nel loro insieme piuttosto che come singoli siti. Network (reti) di stagni, strategicamente distribuiti, possono anche essere utilizzati per mitigare gli effetti delle piene e degli eventi alluvionali in generale, oltre che quelli derivanti dall’inquinamento diffuso causato dall’urbanizzazione e dall’agricoltura intensiva. Network di piccole zone umide, opportunamente distribuiti nello spazio, hanno il potenziale di trattenere le acque alla sorgente, di ricaricare gli acquiferi e di ridurre i volumi di acqua generati da eventi meteorici estremi, prima che diventino un problema. Alcuni studi effettuati a livello europeo hanno dimostrato come questi stagni ricreino effettivamente ciò che si può osservare nei sistemi naturali, dove in alcuni sistemi vallivi le acque non defluiscono ma formano una serie di stagni temporanei terrazzati. Inoltre, gli stagni artificiali di piana alluvionale vengono attualmente considerati come elementi essenziali nelle strategie di mitigazione dalle piene, come accade nella piana alluvionale del bacino idrografico del Fiume Mosa, e nelle casse d’espansione lungo il Fiume Po. Essi sono spesso integrati a far parte di progetti di risanamento fluviale. Stagni o serie di piccole pozze possono contribuire alla mitigazione dell’inquinamento diffuso, rimuovendo efficacemente inquinanti diffusi, quali composti di azoto e fosforo, dalle acque superficiali, inclusi i sedimenti. Per esempio, è stato dimostrato come network di piccoli stagni nel Regno Unito GdB | Ottobre 2021

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pevolezza sul ruolo ecologico, culturale, estetico, ricreativo e sociale degli stagni e delle zone umide minori in gene“Piscina del Precoriale” (Parco Regionale della Maremma) e Stagno “Femminelle” (Parco Regionale della Maremma). rale. Sebbene l’interesse del network sia incentrato sugli possono ridurre le concentrazioni di fosforo nelle acque del stagni europei, è aperto an50%. In modo simile, nei paesaggi ad agricoltura intensiva che all’adesione da parte di ricercatori e professionisti di altre della Germania settentrionale, le aree umide minori che sono aree del mondo, e vuole avere un’ampia visione globale sulla strategicamente collocate in posizione tale da intercettare gestione sostenibile di questi habitat. Una delle aspirazione l’acqua del sistema di drenaggio possono ridurre significati- dell‘EPCN è infatti quella di promuovere la condivisione vamente il carico di nitrati delle acque attraverso processi di delle conoscenze tra istituzioni a livello internazionale. Con denitrificazione, sedimentazione e assorbimento da parte del- questo scopo l‘EPCN ha redatto il primo Manifesto per la le piante acquatiche (EPCN, 2008). conoscenza e conservazione gli stagni e le zone umide minori Il ripristino e la gestione degli stagni aperti sui terreni agri- il “Pond Manifesto” (EPCN, 2008). coli può persino aiutare a salvare gli insetti impollinatori in declino. Essi possono migliorare la complessità delle reti di The Pond Manifesto: un manifesto per la conoscenza e la relazioni tra piante e impollinatori. Insetti impollinatori come conservazione degli stagni e zone umide minori api, farfalle, sirfidi e vespe, interagiscono meglio con le piante Il Pond Manifesto (EPCN, 2008), disponibile on-liin stagni di terreni agricoli ben gestiti rispetto a quelli che sono ne (al sito www.europeanponds.org), tradotto in sei lingue, notevolmente ricoperti da alberi, secondo un nuovo studio è un manifesto che rende noti i principi per i quali è necescondotto dai ricercatori dell’UCL Pond Restoration Group, sario conservare le piccole zone umide in Europa e in Nord University College of London (Walton, 2021), e recentemente Africa e, per la prima volta, delinea una strategia per la loro presentato durante il seminario mensile della serie organiz- conservazione. E‘ pertanto indirizzato a tutti gli attori sociali zata dall’EPCN ogni primo mercoledì di ogni mese. Questi legislatori, ricercatori, insegnanti, studenti, appassionati, che seminari mensili dureranno fino a dicembre 2021 e mirano a vogliono acquisire informazioni su questi ambienti, sulla loro fornire uno spazio per avvicinare ancora di più la comunità vulnerabilità e sulle azioni possibili per tutelarli. Una prima europea agli stagni e al loro valore. versione del documento è stata redatta congiuntamente dai membri dell‘EPCN durante il 1° European Pond Workshop La Rete Europea per la Conservazione degli stagni e delle a Ginevra, ed è stato poi aggiornato durante il 2° European piccole aree umide (EPCN, European Pond Conservation Pond Workshop a Tolosa nel 2006 (EPCN, 2007). Il docuNetwork) mento raccoglie le conoscenze e l‘esperienza dei ricercatori A livello europeo, esiste la European Pond Conservation e dei professionisti che lavorano in tutta Europa su tutti gli Network (EPCN), la Rete Europea per la Conservazione aspetti inerenti la conservazione degli stagni e delle piccole delle piccole zone umide e degli stagni, lanciata a Ginevra zone umide. L‘obiettivo principale del documento è di dissenell‘ottobre 2004 nell‘ambito del 1° European Pond Work- minare le informazioni ormai consolidate sulle piccole zone shop “Conservation and Monitoring of pond biodiversity”. umide e di contribuire alla realizzazione di una loro approSuccessivamente, numerosi workshop biennali hanno contri- priata protezione attraverso specifiche strategie politiche e lebuito allo sviluppo della Rete. La Mission dell‘EPCN consiste gislative a livello europeo. In particolare, l’obiettivo specifico nel promuovere la consapevolezza, la conoscenza e la conser- è quello di facilitare la tutela delle zone umide e i paesaggi nei vazione degli stagni e delle zone umide minori in un paesaggio quali esse sono inserite, impedendo che vengano ulteriormeneuropeo sottoposto a continue trasformazioni. te ridotte in numero, estensione o sottoposte a degrado (Della L‘EPCN si propone cinque obiettivi: 1) Scambiare infor- Bella, 2011). Il documento vuole aumentare la consapevolezmazioni sull‘ecologia e la conservazione degli stagni e delle za tra gli operatori del settore e i professionisti su come gestire piccole zone umide tra ricercatori, operatori e professionisti queste aree, incrementandone il loro valore ecologico, cultudel settore; 2) Promuovere la conoscenza dell‘ecologia degli rale, estetico e ricreativo, in modo tale che pratiche idonee stagni e delle zone umide minori incoraggiando lo sviluppo e di ripristino ambientale, come la creazione di nuovi biotopi, il coordinamento della ricerca di base e applicata; 3) Eleva- siano attivamente intraprese per fornire benefici futuri per gli re il profilo ecologico degli stagni e delle zone umide minori ecosistemi e la società in generale. Nel documento sono precosì da indirizzare le politiche nazionali e soprannazionali alla sentate alcune delle azioni di conservazione concrete promosloro tutela; 4) Promuovere un‘efficace e concreta conserva- se dall‘EPCN tra le quali vi è l‘identificazione delle Important zione degli stagni e delle zone umide minori; 5) Diffondere Areas for Ponds (Aree Importanti per la Conservazione degli tra l‘opinione pubblica l‘informazione e promuovere la consa- Stagni e le piccole zone umide). 78 GdB | Ottobre 2021


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Le Important Areas for Ponds (IAPs): le Aree Importanti per la Conservazione degli Stagni e delle piccole zone umide Come parte del più ampio programma ProPond, finanziato da MAVA Foundation, l‘EPCN ha avviato una prima identificazione delle Important Areas for Ponds o IAPs nell‘Arco Alpino e nel Bacino del Mediterraneo. Il concetto è simile a quello delle Important Bird Areas (IBA) di Birdlife International, ed è quello di identificare le più importanti aree per la biodiversità degli stagni e delle zone umide minori. L‘identificazione delle IAPs rappresenta soltanto un primo passo per assicurare che queste aree importanti per la diversità degli stagni e delle piccole zone umide siano adeguatamente protette e dove possibile, monitorate e valorizzate. Il concetto di Important Areas for Ponds (IAPs) è stato sviluppato non solo al fine di individuare le aree che supportano stagni o reti di piccole zone umide di importanza per la biodiversità a livello nazionale o internazionale, ma vuole anche essere di aiuto nell‘indirizzare strategie per il monitoraggio, la protezione, la gestione adeguata e la creazione delle piccole zone umide. Una IAP è definita come un‘area geografica che supporta un singolo sito o una rete di piccole zone umide di elevate importanza biologica, sociale o economica. La definizione di stagno che l‘EPCN ha scelto e adottato per il progetto è una definizione molto ampia che include sia stagni naturali sia stagni artificiali ed è un corpo d‘acqua lentico temporaneo o permanente tra 1 m2 e 5 ettari di superficie. Le IAP sono state proposte sulla base del giudizio esperto da parte di ricercatori e operatori del settore che si occupano della gestione dei siti, o sono state individuate usando tecniche GIS e dati biologici raccolti. Per essere qualificata come una IAP, un‘area deve supportare un singolo stagno o un cluster di piccole zone umide che soddisfino uno di cinque criteri principalmente basati sul suo valore come habitat importante a livello europeo (Allegato I della Direttiva Habitat; CEC, 1992), il suo valore per le specie di importanza per la conservazione, per l‘elevata densità di stagni o il suo valore socio-economico. Questo lavoro vuole essere di aiuto nell’accrescere la consapevolezza dell‘importanza delle piccole zone umide come risorsa in generale, e dei siti IAP in particolare, per incoraggiare migliori misure di protezione per gli stagni e le piccole zone umide a livello regionale, nazionale e internazionale, e la loro inclusione nelle strategie di protezione della biodiversità e delle risorse acquatiche, come ad es. i piani di gestione dei bacini idrografici, previsti dalla Water Framework Directive 2000/60 e D.lgs 152/2006 e s.m.i. (CEC, 2000). Un rapporto preliminare per le regioni dell‘Arco Alpino e del Mediterraneo pubblicato dall‘EPCN (Ewald et al., 2010) mostra che in totale sono state finora proposte 140 pIAPs: 30 nell‘Arco Alpino e 110 nella regione Mediterranea. In Italia sono state identificate 19 pIAP, variamente distribuite nel territorio continentale e nelle isole, a diverse altitudini, dal livello del mare (Isola

Grande e Pantano di San Teodoro) fino a 1096 m s.l.m. (Monte Carcaci), e di conseguenza molto variabili in relazione anche al substrato roccioso sottostante, e alla estensione del sito, da soli 3 ha (Stagni della Mercareccia) a 125 000 ha (area umida del Monte Minerva). Le IAPs selezionate riflettono quindi l‘eterogeneità delle aree umide, molto diversificate dal punto di vista geografico, geologico e idrologico, e vanno da siti con singoli stagni fino a reti di piccole zone umide e stagni noti per ospitare più di 60 specie acquatiche importanti per la conservazione a livello europeo. Tutti i siti sono stati comunque qualificati come IAPs per la presenza di specie protette e /o per la presenza di habitat protetti dalle normative europee, e quindi quasi tutti sono all‘interno di aree protette a livello europeo. In generale, ciò che appare da questa prima valutazione è che in Italia le piccole zone umide, e quindi le risorse ad esse legate, sono sottoposte a una immensa pressione da parte dell‘urbanizzazione, dalla conversione dell‘uso del suolo, dal cambiamento delle pratiche agricole e dal turismo. Un riconoscimento della loro importanza nella pianificazione locale è essenziale. Tra le IAPs proposte meritano una segnalazione particolare, il Gargano e le Isole Tremiti e la Riserva Presidenziale di Castelporziano, per l‘elevato numero di specie protette ospitate, rappresentando aree umide di elevata qualità. Altri siti sono stati selezionati anche per il loro valore storico, come per esempio i maceri della zona di Ferrara. Le aree individuate finora sono però soltanto una piccolissima porzione del numero totale di siti che ospitano stagni di alta qualità in queste regioni, soprattutto a causa della scarsa disponibilità di dati biologici e geografici sulle piccole zone umide in molte aree (Della Bella, 2011). Stagno “S. Mamiliano 2” (Parco Regionale della Maremma).

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Il progetto europeo Ponderful PONDERFUL (POND Ecosystems for Resilient FUture Landscapes in a changing climate) è un progetto Horizon 2020 “Research and Innovation Programme” finanziato dal Unione Europea all’interno della Call: Inter-relations between climate change, biodiversity and ecosystem services. PONDERFU I, iniziato nel dicembre 2020 della durata di quattro anni, si pone l’obiettivo di colmare alcune delle lacune informative chiave sugli stagni, la loro biodiversità e i servizi ecosistemici che forniscono. Al progetto PONDERFUL aderiscono 18 partner in 11 paesi in Europa e Sud America con la partecipazione di biologi di ecosistemi d’acqua dolce e scienziati sociali che valutano come fare un uso migliore degli stagni per la mitigazione e l’adattamento agli impatti del cambiamento climatico. (Leggi gli obiettivi chiave del progetto visitando il sito PONDERFUL: https://ponderful.eu/). E’ necessario condividere sempre più le informazioni chiave sugli stagni, facendo circolare ai colleghi alcuni degli importanti documenti pubblicati sugli stagni, o informando professionisti e responsabili delle politiche riguardo gli studi che confermano come gli stagni siano in realtà habitat di acqua dolce davvero importanti in molte parti d’Europa e in molte altre parti del mondo. Un’ulteriore collaborazione tra i biologi italiani di ecosistemi acquatici e il team del progetto PONDERFUL / EPCN può essere rafforzata. Ci sono diverse cose che possiamo fare per contribuire ad acccrescere la consapevolezza del ruolo degli stagni, come condividere le immagini degli stagni in Italia per l’uso sui social media PONDERFULs., fornire una “revisione nazionale” come parte della newsletter PONDERFUL che raccoglie alcuni fatti chiave sugli stagni italiani, e per un impegno più profondo, condividere set di dati che potrebbero essere incorporati nel database paneuropeo PONDERFUL sui dati esistenti sulla diversità degli stagni (Della Bella & Biggs, 2021). Misure di conservazione e normative Gran parte degli ecosistemi umidi di piccole dimensioni, per la ridotta superficie e stagionalità, spesso sfugge a misure di conservazione e pianificazione, pur rappresentando un elemento strategico per la conservazione della biodiversità e per fondamentali processi ecologici e biogeochimici. Non è sufficiente conservare tali processi e la biodiversità nelle aree di maggiori dimensioni ma occorre considerare strategie che includano e proteggano le reti di ecosistemi umidi di ridotta superficie, che spesso ospitano comunità animali e vegetali tipiche ed esclusive. Ciò nonostante, essi sono ancora troppo spesso ignorati nei programmi nazionali di monitoraggio e protezione. La Direttiva Habitat (CEC, 1992) riporta obblighi internazionali per gli Stati Membri per una serie di specie che vivono nelle piccole zone umide e, nell’Allegato I, nella lista degli habitat importanti per la conservazione riporta alcuni habitat che includono piccole zone umide. Inoltre, nell’Articolo 10 gli 80 GdB | Ottobre 2021

stagni sono riconosciuti come habitat cosidetti “stepping-stone” (“pietre di guado”, cioè frammenti di habitat naturali) circondati da una matrice paesistica antropizzata, che fungendo da rifugio per diverse specie garantiscono un’adeguata connettività ecologica tra aree naturalii quali devono essere tenuti in considerazione nelle politiche di pianificazione nell’ambito della Rete Natura 2000, per la loro funzione indispensabile di collegamento per la migrazione, distribuzione geografica e scambio genetico delle specie selvatiche. Inoltre, tra gli habitat prioritari elencati dalla Direttiva troviamo anche gli “Stagni temporanei Mediterranei”, i quali però, sebbene protetti dalla Direttiva, includono solo una piccola porzione delle risorse di tutti i tipi di stagni e pozze temporanee esistenti, e in particolare solo quelle con acque oligotrofe e che supportano una particolare comunità di piante acquatiche. Le altre tipologie di stagni temporanei mediterranei ancora non ricevono protezione dalla normativa nazionale e internazionale, e sono spesso trascurati a favore di corpi d’acqua con una maggiore estensione (Della Bella, 2011). Purtroppo, allo stato attuale le piccole raccolte d’acqua temporanee, o “astatiche”, il cui invaso è alimentato soltanto da acqua piovana, non connesse a corpi idrici significativi, sono tutelate solo parzialmente dalla Direttiva Habitat, che con la sua definizione piuttosto restrittiva lascia molte piccole zone umide prive di tutela sebbene di notevole valore per la conservazione. Le strategie di tutela dei corpi idrici devono oggi necessariamente confrontarsi e allinearsi con la normativa europea in materia di acque, la Direttiva Europea Quadro sulle Acque 2000/60/CE (CEC, 2000). Tale Direttiva Quadro sottolinea come le risorse idriche non vanno valutate in funzione di un loro valore commerciale ma come un patrimonio da conservare e preservare per le generazioni attuali e future. La Direttiva fissava come obiettivo da raggiungere entro il 2016 il conseguimento di un buono stato ecologico di tutti i corpi d’acqua. Le zone umide rappresentano un elemento ecologicamente e funzionalmente significativo dell’ambiente acquatico e ad esse è riconosciuta un’importanza prioritaria nel raggiungimento degli obiettivi fissati nella Direttiva (Articolo 1). La ricostituzione ed il recupero delle zone umide è un intervento incluso inoltre nell’elenco non tassativo delle eventuali misure supplementari previste dalla Direttiva con l’intento di realizzare gli obiettivi della Direttiva stessa (Articolo 11.4 e Allegato VI, Parte B). La Direttiva così come attuata apportava una scarsa protezione alle raccolte d’acqua di piccole dimensioni. Per questo motivo, nell’ambito della Common Implementation Strategy (CIS, Strategia Comune di Implementazione) della Direttiva Quadro sulle Acque, è stato sviluppato un documento guida non solo per definire le zone umide (Wetland Horizontal Guidance Document N°12; CEC, 2005), comprendenti anche le piccole raccolte d’acqua non contemplate dalla Direttiva, ma anche il loro ruolo nell’ambito della Direttiva stessa. In questo contesto appare evidente quindi come le zone umide, anche di piccole dimen-


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sioni, rappresentino importanti strumenti di gestione per il raggiungimento del buono stato ecologico nei corpi idrici funzionalmente connessi (Della Bella, 2011). Da tali considerazioni emerge la fondamentale importanza della tutela di questi biotopi e del recupero di quelli alterati. La conservazione degli stagni e delle zone umide minori una grande opportunità nell’ambito della strategia nazionale per la transizione ecologica La conservazione degli stagni e delle zone umide minori, in generale, offre grandi opportunità che possono essere usate per contrastare in modo sostenibile il degrado degli habitat, l’estinzione delle specie, il cambiamento climatico e la desertificazione. L’estensione ridotta di queste piccole raccolte d’acqua, motivo per il quale possono essere frequentemente sottovalutate, trascurate e distrutte, può invece rappresentare anche la loro principale prerogativa vantaggiosa. Infatti, grazie alla dimensione ristretta, esse possono essere anche più facilmente gestite e ripristinate. In confronto a molti altri ambienti d’acqua dolce, queste aree sono generalmente più economiche e semplici da preservare, ripristinare e creare a livello locale e, se realizzate in numero elevato a scale più ampie (regionali, nazionali), come reti di piccole aree umide e stagni (i cosiddetti pondscapes in inglese), esse possono potenzialmente comportare importanti benefici alla biodiversità e all’uomo, rivestendo un ruolo fondamentale nell’assolvere un grande numero di servizi ecosistemici, a supporto della gestione delle risorse idriche e della mitigazione dei cambiamenti climatici, dell’inquinamento diffuso, degli effetti di eventi meteorici e della lotta alla desertificazione. In questo contesto, il ruolo del biologo ambientale diventa sempre più rilevante e fondamentale, con le competenze che può mettere in campo, come componente di team multidisciplinari per la mappatura delle unità ambientali, il loro telerilevamento, la progettazione, gestione, rispristino e conservazione delle aree umide, con l’obiettivo principale di consolidare una base dati di supporto per la gestione del sistema di aree umide a livello regionale e nazionale, e promuovere metodologie innovative per il loro monitoraggio, anche attraverso progetti pilota nell’ambito della strategia per la transizione ecologica.

Bibliografia CEC, 1992. Council of European Communities Directive 92/43/EEC on the conservation of natural habitats and of wild fauna and flora. Official Journal of European Communities, L206. CEC, 2000. Council of European Communities Directive 2000/60/EEC of 23 October 2000 establishing a framework for community action in the field of water policy. Official Journal of European Communities, L327/1.

CEC, 2005. Common Implementation Strategy for the Water Framework Directive (2000/60/EC). Guidance Document N12. The Role of Wetlands in the Water Framework Directive, 17th December 2003. Official Journal of European Communities, Luxembourg. Della Bella V., 2011a. Le specie legate alle zone umide minori. In: In: D’Antoni S., Battisti C., Cenni M. e Rossi G.L. (a cura di), 2011. Contributi per la tutela della biodiversità delle zone umide. Rapporto ISPRA 153/11. Della Bella V., 2011b. Misure per la conservazione e gestione delle piccole zone umide. In: D’Antoni S., Battisti C., Cenni M. e Rossi G.L. (a cura di), 2011. Contributi per la tutela della biodiversità delle zone umide. Rapporto ISPRA 153/11. Della Bella V., 2011c. Cenni sulla normativa per la tutela delle piccole zone umide. In: D’Antoni S., Battisti C., Cenni M. e Rossi G.L. (a cura di), 2011. Contributi per la tutela della biodiversità delle zone umide. Rapporto ISPRA 153/11. Della Bella V. & Biggs J., 2021. PONDERFUL: A short introduction to the project. Workshop ONB “Gestione, ripristino e conservazione delle aree umide quale chiave di lotta alla desertificazione”, Cagliari (IT), 11 -12 settembre 2021. Della Bella V, Bazzanti M, Chiarotti F., 2005 - Macroinvertebrate diversity and conservation status of Mediterranean ponds in Italy: water permanence and mesohabitat influence. Aquatic Conservation: Marine and Freshwater Ecosystems, 15: 583-600. Della Bella V. & Mancini L. 2009 - Freshwater diatom and macroinvetebrate diversity of coastal permanent ponds along a gradient of human impact in a Mediterranean ecoregion. Hydrobiologia, 634:25–41. E.P.C.N. (European Pond Conservation Network), 2007. Developing the Pond Manifesto. Ann. Limnol. - Int. J. Lim. 43 (4), 221-232. Disponibile al link: https://www.europeanponds.org/wp-content/uploads/2014/12/Developing_ Pond_Manifesto.pdf E.P.C.N., 2008. The Pond Manifesto. Stagni e zone umide minori: un manifesto per la loro conoscenza e conservazione. Provincia di Roma, Assessorato alle Politiche dell‘Agricoltura. Gangemi editore, Roma. Disponibile al link: https://www.europeanponds.org/wp-content/uploads/2014/12/EPCN-manifesto_italian.pdf Ewald N, Nicolet P, Oertli B, Della Bella V, Rhazi L, Reymond A‐S, Minssieux E, Saber E, Rhazi M, Biggs J, Bressi N, Cereghino R, Grillas P, Kalettka T, Hull A, Scher O and Serrano L., 2010 - A preliminary assessment of Important Areas for Ponds (IAPs) in the Mediterranean and Alpine Arc. EPCN. Walton R.E., Sayer C.D., Bennion H., Axmacher J.C, 2021. Improving the pollinator pantry: Restoration and management of open farmland ponds enhances the complexity of plant-pollinator networks. August 2021. Agriculture Ecosystems & Environment 320:107611. DOI: 10.1016/j. agee.2021.107611. Projects: Norfolk Ponds Williams P., Whitfield M., Jeremy B., Bray S., Fox G., Nicolet P. & Sear D., 2004 - Comparative biodiversity of rivers, streams, ditches and ponds in an agricultural landscape in Southern England. Biological Conservation, 115: 329341.

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I percorsi storici sul sequenziamento del DNA: le tecnologie NGS di 2a generazione (parte III) Il sequenziamento del Dna e la nascita della Next Generation Sequencing o NGS Come si è arrivati alla genomica moderna

di S. Barocci*, I. Paolucci**, P. D. Antonelli***, A. F. Cristallo****

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partire dalla fine degli anni ‘90 del secolo scorso e nei primi dieci anni di quello attuale, dopo i primi sequenziamenti su gel di poliacrilamide a cui fece seguito quello mediante elettroforesi capillare con fluorocromi (sequenziamento di 1a generazione), molti laboratori si dedicarono a migliorare le metodologie di sequenziamento di nuova generazione (NGS) ad alta resa ”high – throughput”, caratterizzate da una più alta produttività e da costi molto più contenuti rispetto al sequenziamento di Sanger. NGS: metodologie di 2a generazione Nei primi anni del 2000, diverse piattaforme tecnologiche basate sul sistema di sequenziamento high – throughput incominciarono ad essere sviluppate e continuamente perfezionate. Queste piattaforme hanno permesso di abbattere notevolmente i tempi di lavoro e i costi di processazione dei campioni, fattori essenziali per favorirne la diffusione. Diversi metodi di sequenziamento di 2a generazione sono stati sviluppati da diverse Compagnie e, più tardi, da grandi Gruppi Industriali; si differenziano per il tipo di processo biochimico e per i metodi di acquisizione e di elaborazione dei dati ma tutti accomunati da un workflow operativo che prevede tre fasi principali: - preparazione della sequencing library - reazione di amplificazione - reazione di sequenziamento.

Università di Genova per la terza età, UNITE e UNITRE. Servizio di Immunoematologia e Trasfusione, Ospedale Castelli di Verbania. *** ADMO Regione Toscana. **** Servizio di Immunoematologia e Trasfusione, Ospedale Santa Chiara di Trento. *

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Preparazione della sequencing library Il campione viene suddiviso in numerosi frammenti di lunghezza contenuta, che a seconda del metodo utilizzato, possono essere successivamente amplificati con tecniche differenti. Il campione di DNA passa attraverso un processo di frammentazione casuale e ai frammenti ottenuti vengono aggiunte delle sequenze predefinite denominate adattatori o adaptors, necessari per ancorare e immobilizzare i frammenti al supporto sul quale avrà luogo la reazione di sequenziamento. I frammenti di DNA, dopo l’aggiunta degli adattatori, costituiscono la cosiddetta libreria di sequenziamento o sequencing library. Esistono almeno tre diversi tipi di adattatori e quindi tre diverse modalità di preparazione della sequencing library: adattatori lineari, adattatori circolari e adattatori a bolla ma anche tipi di supporto di ancoraggio diversi, ad es. frammenti che vengono ancorati ad una lastra di vetro. Amplificazione La fase di amplificazione può essere realizzata con metodi differenti a seconda del sistema utilizzato: si può avere una reazione di PCR in emulsione (sistema Roche e sistema SOLiD) oppure un’amplificazione detta a ponte”bridge PCR”(sistema Illumina/Solexa). Nell’amplificazione realizzata in emulsione (sistema GS-FLX della Roche), un singolo frammento di DNA della sequencing library viene incorporato in una microbolla di acqua insieme ad una piccola sfera (enrichment bead) a cui si legano gli adattatori. La reazione di amplificazione PCR si svolge contemporaneamente in ognuna delle migliaia di microbolle presenti nell’emulsione, generando milioni di copie clonali di ogni singolo frammento di DNA. Le copie clonali del frammento si legano all’enrichment bead ricoprendone la superficie. Le erichment beads così ottenute vengono poi depositate in una Picotiter plate o piastra Picotiter.


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Nella reazione di amplificazione detta a ponte “bridge amplification”, i singoli frammenti, ottenuti dalla denaturazione della sequencing library, vengono posti in una cella a flusso (flowcell) dove ha luogo la reazione che porta alla formazione di gruppi (clusters) di frammenti clonali di DNA. Sequenziamento Il sequenziamento vero e proprio avviene attraverso complessi meccanismi che regolano il flusso dei reagenti che vanno a cimentarsi col DNA immobilizzato. Ogni ciclo di sequenziamento espone il DNA immobilizzato ad una soluzione contenente un nucleotide seguito da un successivo lavaggio. Nel caso in cui il nucleotide testato sia complementare alla sequenza viene incorporato producendo un evento molecolare, come ad esempio, un segnale luminoso come nelle metodiche che si basano sul pirosequenziamento. La registrazione dell’evento avviene, nella maggior parte delle tecniche, attraverso un sistema per immagini o imaging. Nel sistema GS FLX – Roche, la reazione di incorporazione del nucleotide avviene in concomitanza dell’emissione di un lampo di luce; da ciò il nome di pirosenquenziamento o pyrosequencing. Fanno eccezione al sistema di registrazione per immagini, le macchine basate su un sistema di rilevazione con semiconduttore (Ion Torrent – Life Technologies), che riconosce l’emissione di ioni idrogeno

(H+) che vengono rilasciati durante la reazione di polimerizzazione del DNA. Le NGS hanno, pertanto, consentito negli anni diverse applicazioni diverse a seconda del tipo di informazione che si vuole ottenere: - Whole - Genome Sequencing (WGS). Sequenziando l’intero genoma, si possono identificare delle varianti (nuove mutazioni o discovery, SNPs, eventi di mutazione/ ricombinazione, variazioni del numero di copie) presenti sia nelle regioni codificanti che in quelle non codificanti, all’interno dell’intero patrimonio genetico dell’individuo. - Whole - Exome Sequencing (WES). Consente il sequenziamento della sola porzione codificante del genoma ed è utilizzata negli studi di discovery ed in eventuali screening successivi. - RNA Sequencing (RNASeq). Permette il sequenziamento del trascrittoma, ossia quella porzione di genoma che viene trascritto in mRNA. Questa tecnica è particolarmente indicata negli studi di discovery nell’ambito di patologie organo o tessuto specifiche in quanto il trascrittoma è tessuto specifico a differenza del genoma e dell’esoma che sono uguali in ogni cellula. - Amplicon sequencing. A differenza dei metodi precedenti, viene utilizzato negli studi che prevedono lo screening mutazionale in determinati geni o porzioni di geni selezionati per la loro correlazione con una determinata malattia o per la presenza di mutazioni patogenetiche GdB | Ottobre 2021

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identificate mediante studi di discovery. - ChiP Seq. Si tratta di una metodologia utilizzata per localizzare i punti di legame o binding tra DNA e proteine. Avendo questo legame, nel nucleo della cellula, una funzione di regolazione dell’espressione genica, lo studio di questa interazione può far scoprire alcuni passaggi fondamentali della patogenesi di alcune malattie genetiche. Il ChiP Seq sfrutta la tecnologia NGS per la mappatura delle proteine leganti il DNA e per l’analisi della cromatina. Questa tecnica, dove il DNA dell’immunopre© Konstantin Kolosov/shutterstock.com cipitato ricuperato, viene convertito in una libreria analizzata mediante NGS, ha sostituito la precedente metodologia, chiamata”ChiP on chip”, che combinava l’immunoprecipitazione della cromatina (“ChIP”) con la tecnologia dei microarray (“chip). - Metagenomica. Le tecnologie NGS hanno avuto un notevole impatto sulla metagenomica; scienza che studia l’insieme dei diversi materiali genetici (metagenoma) derivanti da tutte le specie viventi in un determinato ambiente (microbioma, oceani e suolo). L’era della NGS approda per la prima volta sul mercato nel 2005 con la piattaforma GS - 20 System per merito della 454 Life Science (in seguito 454/Roche) (1). Nel 2006, la Illumina/ Solexa introduce sul mercato la piattaforma Genome Analyzer e nell’anno successivo (2) è la volta del sistema SOLiD (Life Technologies e ora Thermo Fisher Scientific) dell’Applied Biosystems (3). Nel 2009, la Società Helicos immette la piattaforma Helicos Genetic Analyzer System, un innovativo metodo di sequenziamento,”single molecule”, basato su un sistema ideato nel 2003 da Ido Braslavsky (4,5). Nel 2011 la Pacific Biosciences presenta la piattaforma Pac BIO RS System e, nello stesso periodo la Ion Torrent propone le piattaforme Ion PGM e Ion Proton. Nel 2012 la Oxford Nanopore Technologies (6,7), sviluppa un dispositivo portatile a nanopori MinION utilizzabile per il sequenziamento diretto DNA”relativamente”brevi come quelli di virus e batteri, a cui segue il dispositivo GridION che permette il sequenziamento dell’intero genoma umano, con una piattaforma di supporto in grado di 84 GdB | Ottobre 2021

effettuare misure multiple su tante membrane di nanopori (PromethION). Una recente novità di questa Società è costituita dalla progettazione di un sequenziatore di dimensioni ulteriormente ridotte”SmidgION”. Nell’ottobre del 2016, la ditta Stratos Genomics ha sviluppato una tecnologia di sequenziamento del DNA di ultima generazione che utilizza nanopori per la lettura rapida ed economica delle sequenze, chiamata”SBX”(sequencing by expansion)(8). Altri metodi addizionali, sviluppati in precedenza, comprendono: a) Polonator sequencing. Si tratta di una tecnica di sequenziamento multiplex estremamente accurata utilizzata per leggere milioni di sequenze di DNA immobilizzate in parallelo (9). b) DNA nanoball sequening. E’una originale tecnologia sviluppata dalla Complete Genomics, perfezionata nel 2013 dalla Beijing Genomics Institute (BGI), di sequenziamento ad alto rendimento utilizzata per determinare l’intera sequenza genomica di un organismo. Consiste in un processo di replicazione unidirezionale”rolling circle”(processo di replicazione unidirezionale dell’acido nucleico in grado di sintetizzare rapidamente copie multiple di molecole circolari di DNA o RNA, come plasmidi, genomi di batteriofagi e genoma circolare di RNA) per amplificare piccoli frammenti di DNA genomico in nanoballs di DNA(10). I nucleotidi fluorescenti vengono incorporati da una ligasi ai nucleotidi complementari e, quindi polimerizzati per ancorare sequenze legate a quelle note sul model-


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lo di DNA. L’ordine delle basi è determinato mediante la fluorescenza dei nucleotidi legati. La limitazione di questa tecnologia sta nel fatto di generare sequenze troppo brevi di DNA; di utilizzare più cicli di PCR che possono provocare delle distorsioni dovute all’amplificazione di contaminanti nella fase di costruzione del templato. Tutte le piattaforme NGS offrono la possibilità di sequenziamento partendo da entrambe le estremità di ogni frammento della libreria e proseguendo in direzioni opposte (paired-end read). In generale, queste reads paired-end offrono vantaggi che dipendono dalla complessità del genoma e dall’applicazione e dal tipo di esperimento. Durante questi ultimi anni, queste tecnologie si sono notevolmente evolute con l’obiettivo di abbassare i costi, di ridurre i tempi di lavoro e gli steps di processazione, cosi da minimizzare la possibilità di introdurre errori. Le tecnologie NGS hanno consentito la possibilità di eseguire un sequenziamento parallelo e massivo (sino ad un 1 G), a differenza del sistema di Sanger che consentiva

il sequenziamento di un solo campione di DNA. Nonostante gli enormi vantaggi nell’utilizzo di queste tecnologie (non sub-clonazione, non utilizzo di cellule batteriche di E. coli, sequenze provenienti da una molecola di DNA unica, eccezionale risoluzione per molti tipi di esperimenti come es. analisi di espressione, sequenziamento di DNA immunoprecipitato, di RNA piccoli, analisi di medie/grandi inserzioni-delezioni nei genomi, meno robotica nelle fasi precedenti al caricamento sul sequenziatore), le ridotte lunghezze delle reads, hanno reso più complicato il processo di allineamento e assemblaggio, generando, errori di sequenza ed una enorme mole di dati che hanno creato perplessità da parte di molti laboratori. La rapida evoluzione delle tecnologie NGS, ha reso necessaria una loro classificazione differenziandole in tecnologie di 1a, di 2a e di 3a generazione. Si tratta di una classificazione non stringente che raggruppa tecnologie di sequenziamento sulla base di caratteristiche peculiari della metodica adottata e sull’ordine

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cronologico di elaborazione. Brevemente, rispetto alla metodologia, i sequenziatori di 1a generazione si basano sul metodo di Sanger o dei teminatori di catena. Quelli di 2a generazione, si basano principalmente sul pirosequenziamento (Roche/454) ; sul sequenziamento per sintesi (Illumina/Solexa) con terminatori reversibili fluorescenti; sul sequenziamento per ligazione (Solid/Applied Biosystems) e infine sul rilevamento di ioni idrogeno o H+ (Ion Proton) rilasciati durante il sequenziamento ion semiconductor che, per questa sua peculiarità, è considerata anche di 3a generazione insieme ai sistemi a nanopori e a quelli che sono in grado di sequenziare direttamente singole molecole di acidi nucleici. La 3a generazione è caratterizzata da una maggiore lunghezza delle reads e da una migliore accuratezza delle sequenze. Inoltre, questi sequenziatori hanno fatto compiere un salto di qualità nell’analisi degli acidi nucleici grazie al superamento di alcuni passaggi, quale la manipolazione del campione (sample handling), la quantità di materiale di partenza, la preparazione della library e/o l’amplificazione mediante PCR, che costituivano potenziali fonti di errori. Guardiamo brevemente la cronologia e le metodologie adottate dalle maggiori aziende operanti sul mercato. La tecnologia Roche/ 454 Life Sciences La tecnologia 454 nasce dalla convergenza di due metodiche: il”pirosequenziamento”descritto da P. Nyren (11) e successivamente perfezionato da M. Ronaghi (basato sulla rilevazione della chemiluminescenza derivante dal rilascio del pirofosfato a seguito dell’incorporazione di dNTP (deossinucleotidi trifosfato) ad opera di una DNA polimerasi) (12) e la”PCR in emulsione” progettata da D. Tawfik e A. Griffiths nel 1998 (13) (amplificazione di singole molecole di DNA in micro-compartimenti rappresentati da emulsioni olio e acqua). Nel 2000, Jonathan Rothberg, ingegnere chimico statunitense, fonda la Società 454 Life Sciences: questa sviluppa la prima piattaforma NGS disponibile, la GS 20 System, commercializzata nel 2005. Nel 2007 la Società viene acquistata da Roche Applied Science che mette in commercio, nel 2008, una successiva piattaforma, la GS FLX operante sulla nuova versione dello strumento 454 (GS FLX Titanium). La metodica per queste due piattaforme è simile. La prima fase prevede la frammentazione del DNA stampo mediante sonicazione o nebulizzazione (14,15); questa frammentazione porta alla formazione di frammenti di DNA a doppio filamento lunghi alcune centinaia di basi a cui vengono legati oligonucleotidi adattatori. Di seguito, le singole molecole di DNA sono denaturate e ibridate a singole biglie rivestite da sequenze complementari a quelle degli adattatori. Le biglie, ricoperte di frammenti di DNA, sono catturate in goccioline di emulsione 86 GdB | Ottobre 2021

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acqua-olio in cui avviene la reazione di amplificazione clonale (emulsion PCR); dopodiché sono depositate in singoli pozzetti di una piastra “Picotiter”(costituita da circa un milione di micropozzetti) e combinate con i componenti necessari per la reazione di sequenziamento (16). La fase di sequenziamento prevede l’utilizzo di un primer di innesco e la reazione dei frammenti con soluzioni contenenti singoli dNTP. Se viene incorporato un nucleotide, si ha il rilascio di un pirofosfato che viene convertito in ATP dall’ATP solforilasi. L’ATP così formato agisce da carburante per convertire la luciferina in ossiluciferina che è in grado di generare una luce visibile che è proporzionale all’ATP presente e quindi, di conseguenza al numero di basi incorporate. L’enzima apirasi degrada i nucleotidi non incorporati e l’ATP prodotta dalla solforilasi, in modo da permettere di testare i nucleotidi successivi. Il segnale luminoso, derivante da ciascun pozzetto, viene acquisito, analizzato per ridurre i rumori di fondo ed elaborato per produrre una sequenza lineare. Il punto di forza di questa tecnologia era rappresentato dal fatto che, in una singola seduta analitica, era possibile sequenziare circa 500 milioni di bp, Nonostante l’abbattimento dei costi, rispetto al sequenziamento di Sanger, questa metodica è rimasta la più costosa fra quelle presenti in commercio mantenendo anche dopo il perfezionamento un margine di errore (intorno all’1,07%), con maggiore frequenza in particolari posizioni genomiche. Questa metodica si rileva problematica quando si ha la presenza di omopolimeri; quando avviene l’incorporazione di più nucleotidi identici consecutivi, il segnale che dovrebbe essere proporzionale alla quantità di nucleotidi aggiunti (1 nucleotidi=1 segnale, 6 nucleotidi = 6x1 segnale)


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AAA, TTT, GGG o CCC, la quantità di luce liberata è proporzionale al numero di nucleotidi incorporati, in questo caso tre); - l’enzima apirasi degrada il dNTP che non è stato incorporato e l’ATP prodotto dalla solforilasi. Solo quando la degradazione è terminata si aggiunge un secondo dNTP per far progredire la reazione di polimerizzazione (ritornando al punto 1). - Si aggiungono ciclicamente tutti e 4 i nucleotidi fino alla risoluzione completa della sequenza.

in realtà rileva una variazione che però non viene sempre percepita nelle quantità esatte. Il pirosequenziamento o pyrosequencing Il pirosequenziamento è una tecnica di sequenziamento ad elevato parallelismo, basata sul principio del”sequencing by synthesis”che utilizza una serie di enzimi che producono luce in presenza di ATP quando un nucleotide viene incorporato nel filamento ad opera della DNA polimerasi (14). Tale tecnologia consta di 5 passaggi principali: - la sequenza da analizzare, dopo amplificazione con la PCR, viene incubata come singola elica insieme ai seguenti enzimi: DNA polimerasi, ATP solforilasi, luciferasi e apirasi e ai substrati adenosinsolfofosfato (ASP) e luciferina; - alla reazione viene aggiunto uno dei quattro dNTP. La DNA polimerasi catalizza l’aggiunta di tale base solo se essa è complementare con il residuo del templato e, in questo caso, si ha la concomitante liberazione di pirofosfato inorganico PPi; - il PPi così prodotto viene trasformato in ATP, ad opera della solforilasi e usando l’ASP come substrato. L’ATP ottenuto consente la conversione della luciferina ad ossiluciferina ad opera della luciferasi con produzione di un segnale luminoso che viene rilevato da un’apposita camera fotosensibile con sensore (Charge-Coupled Device o CCD). - L’incorporazione nel filamento dei nucleotidi genera una quantità di luce che è proporzionale al numero di basi incorporate in un’unica aggiunta di nucleotidi (ad esempio, nel caso di una sequenza omopolimerica tipo

La tecnologia Illumina Nel 1997, S. Balasubramanian e D. Klenerman dell’Università di Cambridge creano un approccio per il sequenziamento di singole molecole di DNA legate a microsfere. L’anno successivo fondano Solexa, ma l’obiettivo di sequenziare singole molecole di DNA non viene subito raggiunto. Essi sviluppano. Invece, una metodica basata sull’amplificazione clonale del DNA. Nel 2006 viene introdotta sul mercato la piattaforma Solexa Genome Analyzer, successivamente acquisita da Illumina, che produce anche le piattaforme MiSeq, MiniSeq, NextSeq, HiSeq e HiSeq X. Questo strumento utilizza una cella a flusso consistente in una “slide” otticamente trasparente e costituita sulla superficie da 8 comparti sulla quale sono legati degli oligonucleotidi di ancoraggio. La preparazione del campione da analizzare consiste nell’aggiungere specifiche sequenze, come adattatori, alle estremità dei frammenti di DNA. La produzione delle library inizia con la frammentazione del DNA in segmenti lunghi almeno un centinaio di basi e processato al fine di ottenere estremità tronche fosforilate al 5’, mentre ’attività enzimatica del frammento di Klenow (frammento che consiste di un’attività polimerasica 5’→ 3’e di un’attività esonucleasica 3’→ 5’per la rimozione dei nucleotidi già incorporati e per analisi di controllo mentre non possiede alcuna attività esonucleasica 5’→ 3’), aggiunge una singola base di adenina al 3’del DNA stampo fosforilato. Questa aggiunta, ha il compito di facilitare l’attacco degli oligonucleotidi adattatori che presentano al 3’una sporgenza di una singola base di timina. Essi sono a loro volta complementari con gli oligonucleotidi ancorati alla base della cella a flusso. Gli adattatori servono a legare i frammenti ad una superficie solida dove avviene l’amplificazione e il sequenziamento e fungono da primer per la reazione di amplificazione prima e del sequenziamento poi. L’amplificazione clonale dei frammenti avviene, a differenza della PCR in emulsione, secondo un procedimento di amplificazione a ponte, “bridge PCR”, che si basa sulla cattura dei filamenti di DNA ripiegati ad arco che si ibridizzano ad un oligonucleotide adiacente (15). Cicli multipli di amplificazione convertono la singola molecola GdB | Ottobre 2021

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stampo in un cluster di circa 1000 ampliconi clonali. In una singola cella di flusso possono essere generati circa 50 x106 cluster separati. Per il sequenziamento, ogni singolo amplicone viene denaturato e successivamente i filamenti antisenso (reverse) vengono rimossi con un lavaggio, mentre la sequenza sul filamento forward (senso), avviene attraverso l’ibridazione di un primer complementare alla sequenza dell’oligonucleotide adattatore a cui viene aggiunta una miscela di nucleotidi marcati con fluorocromi differenti. Ogni ciclo di sequenza prevede che gli ampliconi siano testati con una miscela di DNA polimerasi e di dNTP alla quale è aggiunto un fluoroforo e un terminatore reversibile. Il terminatore ha la caratteristica di impedire l’aggiunta di un nucleotide successivo; la sua reversibilità fa sì che possa essere rimosso mediante l’uso di tris- (2-carbossiletil) -fosfina per permettere l’aggiunta di un nucleotide nel ciclo di sequenziamento successivo (17). Dopo ogni incorporazione di dNTP, il laser eccitando il fluoroforo permette di identificare la base incorporata; dopodiché, un lavaggio rimuove fluoroforo e il terminatore consentendo l’aggiunta di una base successiva. La piattaforma Genome Analyzer è oggi fuori commercio; ha ceduto il passo allo sviluppo di nuove e più potenti macchine che hanno subito alcune modificazioni nella chimica del sequenziamento del DNA, negli algoritmi per l’analisi e per l’interpretazione dei dati, attenuando il fenomeno del phasing noise. I sistemi Illumina attualmente in produzione riguardano: MiSeq, MiniSeq, NextSeq, HiSeq e HiSeq X. Il MiSeq è il sequenziatore Illumina più piccolo e rappresenta l’ideale per il sequenziamento di un singolo gene o di piccoli pannelli di geni, per studi di metagenomica, per il sequenziamento di piccoli genomi, per lo studio di espressione di geni selezionati, per l’amplicon sequencing e per la tipizzazione HLA. Il sistema MiniSeq è anche studiato, come tutti gli altri, sia per l’analisi del DNA che dell’RNA. Risulta particolarmente adatto anche nell’analisi di mutazioni germinali e nella profilazione genetica di tumori solidi ed ematici. Fanno parte della linea MiSeq anche piattaforme specificatamente studiate per la diagnostica di routine. Si tratta rispettivamente della piattaforma MiSeqDx, approvata dall’FDA, certificata per la fibrosi cistica e per altre patologie e MiSeq FGx (Forensic Genomics System), studiata appositamente per la genomica forense. Il sistema NextSeq risulta utile per il sequenzimento, anche in singola corsa, di esomi, trascrittomi e/o pannelli di geni. È disponibile in due versioni: NextSeq 500, che consente il sequenziamento ad alta resa next generation sequencing, e NextSeq 550, che, oltre al sequenziamento, offre la possibilità di effettuare anche l’analisi di microarray (microarray scanning). 88 GdB | Ottobre 2021

Per quanto riguarda, invece, il sistema HiSeq, le versioni attualmente disponibili di questa potente piattaforma sono: HiSeq 2500 (definito come sequenziatore ultra-high-throughput in grado di sequenziare l’intero genoma umano in una giornata) e HiSeq 3000 e HiSeq 4000. Questi due ultimi sequenziatori, basati su un ulteriore potenziamento della tecnologia HiSeq 2500 e sullo sfruttamento della tecnologia flow cell, sono stati studiati per offrire il massimo della resa al minor costo possibile per campione e processare diversi tipi di campione in parallelo. Infine, la piattaforma HiSeq X, originariamente prodotta nella versione X Ten (dieci macchine HiSeq X insieme) è ora anche disponibile nella versione X Five (5 macchine). Questo sistema ha una resa di sequenziamento in assoluto più elevata ed è stato ideato appositamente per studi di popolazione su vasta scala. Tecnologia Applied Biosystems: SOLiD La tecnologia SOLiD (Supported Oligonucleotide Ligation and Detection) è nata, nel 2005, da un sistema descritto da Jay Shendure (3) nel laboratorio di George Church ad Harvard, con una tecnologia denominata”Polony sequencing”ed ha rappresentato uno dei primi sistemi di sequenziamento “high throughput”utilizzato per sequenziare l’intero genoma di Escherichia coli. Tale tecnologia combinava una libreria in vitro a tag appaiati con emulsione PCR, un microscopio automatizzato e una chimica di sequenziamento basata su reazioni di ligazione (ligasi). In seguito, questa tecnologia è stata opportunamente migliorata da G. Church, e messa in commercio nel 2007 da Applied Biosystems, poi dalla Life Technologies e, nel 2014, dalla Thermo Fisher Scientific La metodologia consisteva nella denaturazione del DNA e nell’aggiunta di adattatori universali P1 e P2. I frammenti venivano ibridati con primer oligonucleotidici complementari presenti su delle sfere, come nella tecnologia 454 Roche ma, a differenza di questa, le sfere erano di diametro più piccole (0.75 μm invece di 28 μm), che consentivano una maggiore densità di sfere sequenziabili per corsa. Le sfere venivano messe in emulsione insieme ai reagenti e ai primers della PCR per ottenere l’amplificazione clonale dei filamenti (PCR in emulsione), in maniera del tutto simile alla piattaforma 454 Roche. Inoltre, la piastra di sequenziamento SOLiD non disponeva, come quella della Roche, di pozzetti. Le sfere erano “legate” alla superficie, chimicamente trattata della piastra di sequenziamento attraverso un legame covalente all’estremità dei filamenti amplificati. Un ul-


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teriore miglioramento di questa tecnologia, consisteva nel fatto che, mentre nel sistema Roche il numero dei pozzetti era predefinito e quindi di sfere sequenziabili, nel sequenziatore SOLiD il numero di sfere depositate sulla superficie dipendeva solamente dal loro diametro (< a 1 μm). Inoltre, la reazione di sequenziamento non avveniva tramite una DNA polimerasi ma ad opera di una DNA ligasi, enzima in grado di legare covalentemente due frammenti di DNA. Ogni ciclo di sequenziamento coinvolgeva: la sfera, un primer di sequenziamento, la ligasi e quattro sonde di dNTP. Le sonde erano composte da 8 basi più un marcatore fluorescente e presentavano un sito di rottura fra i nucleotidi 5 e 6. Le prime due basi della sonda erano complementari a due nucleotidi da sequenziare; le basi da 3 a 5 erano degeneri, cioè incapaci di appaiarsi a qualsiasi base della sequenza stampo; le basi 6, 7 e 8 erano anch’esse degeneri e potevano essere rimosse, assieme al marcatore fluorescente, tramite la rottura del legame con la base in posizione 5 (18). Una volta che la sonda si appaiava alla sequenza stampo, avveniva l’eccitazione del marcatore legato alla sonda e la conseguente emissione di fluorescenza. In contemporanea, veniva rotto il legame tra le posizioni 5 e 6, lasciando libera l’estremità 5’della quinta base della sonda e permettendo il legame con quella successiva. L’emissione luminosa veniva rilevata dalla strumentazione che identificava il colore associato alla coppia delle prime due basi. Ogni marcatore produceva una specifica emissione luminosa che identificava 4 di 16 possibili coppie di nucleotidi. Quindi, a ciascuna coppia di basi, era associato un colore, ma non si trattava di una marcatura univoca in quanto i colori erano 4 e le coppie di due basi possibili 16. Questo sistema, anche se apparentemente appare meno preciso della corrispondenza 1 - 1, in realtà permette di discriminare adeguatamente se si trattava di un errore di sequenziamento oppure se era presente uno SNP, o ancora una

delezione o inserzione. Definita n la posizione della base del primer (appaiato all’adattatore che lega la sequenza stampo alla sfera) le basi n+1 e n+2 saranno quindi complementari alla sequenza stampo, così come le successive basi n+6 e n+7 e così via. Per ciascuna di queste coppie di basi, lo strumento rilevava un segnale che corrispondeva a una delle sedici combinazioni possibili. Le basi n+3, n+4 e n+5 erano anch’esse appaiate (in quanto degeneri) ma indeterminate. La loro identificazione era resa possibile in un successivo ciclo di sequenziamento, spostando il primer in una posizione definita della sequenza stampo. Dopo l’appaiamento della prima sonda, il processo si ripeteva con il legame di nuove sonde, l’identificazione e la separazione del marcatore e degli ultimi tre nucleotidi. Il numero delle iterazioni (in genere 7) determinava la lunghezza di lettura. Terminato il processo, il filamento ottenuto era rimosso e un nuovo primer veniva appaiato al filamento stampo in posizione n - 1. Nel nuovo ciclo saranno univocamente appaiate le basi n+2 e n+3, nel ciclo successivo le basi n+3 e n+4 e così via (18). Nel complesso erano eseguiti cinque cicli di sequenziamento, ciascuno con il primer spostato in una posizione di volta in volta arretrata. I cinque cicli permettevano di interrogare ogni base della sequenza per due volte in due indipendenti reazioni con diverse posizioni dei primer. Questa doppia interrogazione migliorava la bontà del sequenziamento. Il colore dell’emissione, da parte del fluoroforo, identificava la coppia delle prime basi ma non era sufficiente per distinguere un nucleotide dall’altro. Oltre alla specifica emissione per ogni coppia, era infatti necessario che una delle basi della sequenza fosse nota. La base nota era incorporata nell’ultimo (il quinto) ciclo di sequenziamento e corrispondeva all’ultimo nucleotide del primer.Quindi, dato che ciascun colore rappresentava 4 possibili coppie di nNTP e poiché per ognuna di esse GdB | Ottobre 2021

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il secondo nucleotide coincideva con la prima base della coppia successiva, conoscere una base della sequenza permetteva di interpretarla integralmente. Le fonti possibili di errore del sequenziatore SOLiD erano diverse: errore di background nella fase di amplificazione, letture di bassa qualità a causa di presenze di sequenze diverse su una stessa sfera, artefatti introdotti nel processo ciclico di ligasi e rimozione del marcatore. La tecnologia SOLiD sequenziava oltre 300 milioni di sfere in parallelo. Il sistema SOLiD ha rappresentato la tecnologia più all’avanguardia, dopo Illumina, in termini di prestazioni in termini di throughput (20 Gb/giorno), tassi di errore molto più bassi rispetto agli altri sistemi e un’accuratezza del 99.94% (19) dal momento che ogni base veniva letta due volte. Gli svantaggi erano relativi ai costi superiori rispetto alle altre piattaforme, all’uso di reads più corte (75 bp) (20) e ai tempi più lunghi per ogni corsa. Questo sistema è risultato, nel corso degli anni, meno adatto per l’assemblaggio di genomi ex novo e quindi meno utilizzato rispetto al sistema Illumina. Ion Torrent (Thermofisher Scientific) La Ion Torent Technology può essere considerata una tecnologia intermedia tra la 2° e la 3° generazione. Questa piattaforma è in grado di tradurre direttamente, su un semiconduttore, le informazioni codificate chimicamente (A,T,G,C) in informazioni digitali (0,1). Si tratta di una metodologia di sequenziamento più semplice, più veloce e più conveniente adatta a qualunque laboratorio sia di ricerca che clinico. I sequenziatori Ion Torrent, inizialmente prodotti nel 2011, ed in seguito acquisiti dalla Thermo Fisher Scientific sono attualmente in commercio con due diverse piattaforme, la”Ion PGM”e la”Ion Proton”che sfruttano entrambe la tecnologia del sequenziamento tramite semiconduttori. Questi sequenziatori nascono come”personal genome machines”, cioè sequenziatori NGS di ridotte dimensioni per essere utilizzati anche in piccoli laboratori come soluzioni”benchtop”(piccole apparecchiature da sistemare sui banconi da laboratorio) per analisi di un singolo gene o di pannelli di geni correlati a neoplasie o a malattie mendeliane con elevata eterogeneità genetica (targeted sequencing), per analisi di piccoli genomi (microbial sequencing) e per il ChiP Seq (Chromatin Immunoprecipitation Sequencing). La chimica dei sequenziatori Ion Torrent si basa sulla rilevazione di ioni di idrogeno (H+) che vengono rilasciati durante la sintesi del DNA. Il flusso di lavoro di questa piattaforma è simile alle altre viste in precedenza. Il protocollo Ion Torrent prevede l’amplificazione clonale del campione attraverso emulsion PCR o em-PCR (21); tuttavia il processo di sequenziamento presenta due aspetti essenziali che lo caratterizzano rispetto alle altre tecnologie: 90 GdB | Ottobre 2021

- Utilizzo dei semiconduttori (metallo – ossido - semiconduttore, CMOS) come elemento strutturale dei supporti in cui viene dispensato il campione per il sequenziamento (Ion Chips) (22). - Impiego di un sistema di rilevamento non basato su reazioni luminescenti ma su variazioni di potenziale (ΔV). Nucleo centrale dell’intero sistema di sequenziamento è l’Ion Chip. Esso è costituito da uno strato superficiale superiore sul quale sono ricavati dei pozzetti appositamente strutturati per poter accogliere le biglie e i reagenti per il sequenziamento. Ciascun pozzetto ha un diametro di pochi micron (um), tale che in esso possa trovare spazio una sola biglia. Questo primo strato superficiale poggia su un secondo, costituito da semiconduttori, che permette la trasmissione dei segnali allo strato ancora sottostante. Quest’ultimo è strutturato come una piastra di sensori, ognuno corrispondente a ciascun pozzetto, con la capacità di registrare le piccolissime variazioni di pH che avvengono all’interno del pozzetto durante il sequenziamento, trasformandole in differenze di potenziale, ovvero, in dati digitali (23,24). Il processo di sequenziamento è simile a quelli precedentemente descritti, caratterizzato da un susseguirsi ciclico, sulla superficie del chip, di lavaggi e flussi (flows) di soluzioni contenenti ciascuno dei quattro diversi nucleotidi. In questo modo, quando viene dispensato il nucleotide complementare alla prima base libera sul frammento stampo, esso è incorporato alla sequenza nascente. Poiché la biglia, su cui è avvenuta l’amplificazione clonale, presenta sulla propria superficie frammenti tutti uguali, il legame della nuova base avviene contemporaneamente su migliaia di frammenti. Il nuovo legame fosfodiesterico determina l’idrolisi del gruppo trifosfato del nucleotide entrante, con la liberazione netta di un protone (H+). Il rilascio dei protoni causa l’abbassamento del pH della soluzione presente all’interno del pozzetto; questa variazione viene trasmessa e registrata dal sensore sottostante e digitalizzata. Durante ciascun flow, la variazione di pH registrata è direttamente proporzionale al numero delle basi incorporate nella sequenza nascente e, nel momento in cui la sequenza stampo presenta una zona omopolimerica, l’intensità della variazione di potenziale registrata è tanto superiore quante più sono le basi identiche consecutive. Questo dato viene rappresentato attraverso uno grafico definito “ionogramma”, in cui è visualizzato il numero delle basi incorporate rispetto ai flows eseguiti dalla macchina. Il vantaggio offerto da questo sistema consiste nella possibilità di introduzione multipla di basi nella sequenza nascente, contrariamente a quanto avviene nel sistema Illumina in cui l’incorporazione per ogni flow è di una singola base. Tuttavia, all’aumentare del numero delle basi identiche consecutive, il sistema Ion Torrent mostra una diminu-


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zione di accuratezza nella sequenza delle basi stesse. Il processo totale di generazione e di misura del segnale dura poco più di 4 secondi. Attraverso il fluire di una soluzione di lavaggio, che elimina dai pozzetti i reagenti già utilizzati, il Chip viene preparato per un successivo flow che produce l’incorporazione del nuovo nucleotide. Questo processo viene ripetuto ciclicamente per 500 volte consentendo la lettura di reads lunghe circa 200 bp. A differenza delle tecnologie che sfruttano i segnali di fluorescenza, il sistema Ion Torrent non necessita di reazioni chimiche per la eliminazione dei gruppi fluorofori legati ai nucleotidi; questo favorisce la rapidità del processo di sequenziamento. Un altro vantaggio è la disponibilità di chip con capacità scalari consentendo di modulare il sistema in base alle necessità sperimentali. Nel più piccolo dei chip attualmente disponibili per il sequenziatore Ion PGM (Ion 314™ Chip v2) si contano circa 1.2 x 106 pozzetti, ciascuno del diametro di 3.5µm, per una totale capacità di sequenziamento che oscilla tra le 30 e le 100 Mb, mentre i chip a più alta processività (12 x106 pozzetti) consentono il sequenziamento dalle 600 Mb alle 2 Gb (Ion 318™ Chip v2). Recentemente, oltre allo Ion PGM, la Life Technologies ha prodotto un sequenziatore più potente, lo”Ion Proton”capace di una maggior processività (10 Gb ), adatto ad analizzare esomi e genomi con le medesime tempistiche di quelle dello Ion PGM (single day workflow). Il sistema Ion Torrent impiega due ulteriori strumenti: - Ion OneTouch DL, che svolge il compito di effettuare automaticamente l’Emulsion PCR - Ion OneTouch ES, che viene utilizzato per l’arricchimento e la purificazione del campione successivamente alla reazione di amplificazione clonale.

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Ecm Questo articolo dà la possibilità agli iscritti all’Ordine di acquisire 4,5 crediti ECM FAD attraverso l’area riservata del sito internet www.onb.it.

Dieta Chetogena nel Paziente con Obesità e Comorbidità Obesità-Associate: Management nel Setting Ambulatoriale Di seguito pubblichiamo l’articolo di sintesi del coeso Fad “Dieta Chetogena nel Paziente con Obesità e Comorbidità Obesità-Associate”. Il corso sarà disponibile all’interno dell’area riservata “MyOnb” a partire dall’8 novembre 2021

di Luigi Barrea*

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l sovrappeso e l’obesità rappresentano i maggiori problemi di salute pubblica in tutto il mondo poiché, l’obesità in particolare, è associata a diverse comorbidità, tra cui il diabete mellito di tipo 2, malattie cardio-cerebrovascolari, ipertensione arteriosa e dislipidemia, che contribuiscono a ridurre sia la qualità che l’aspettativa di vita. Tuttavia, il raggiungimento di una perdita ponderale modesta del 5-10% è associata a significativi benefici clinici sulla maggior parte delle comorbilità legate all’obesità. Per conseguire questo obiettivo primario, sono disponibili diverse strategie, in particolare modifiche dello stile di vita mediante diversi approcci dietetici e programmi personalizzati di attività fisica, terapie farmacologiche e, infine, interventi di chirurgia bariatrica. Tuttavia, una percentuale di pazienti non risponde adeguatamente agli interventi sullo stile di vita basati sulla classica dieta ipocalorica, con o senza terapia farmacologica associata e non sono candidabili (o rifiutano) la chirurgia bariatrica. In questo contesto, le very low-calorie ketogenic diet (VLCKD) rappresentano un’arma terapeutica promettente. Secondo le linee guida del Panel on Nutrition, Novel Foods and Food Allergens della European Food Safety Authority, le VLCKD sono caratterizzate da un protocollo multifase, comprendente una fase attiva (chetogenica), una stabilizzazione metabolica (non chetogenica) e una fase di mantenimento. In primo luogo, i pazienti vengono avviati Professore Associato di Scienze e Tecniche Dietetiche Applicate (MED/49), Università Telematica Pegaso. Specialista in Scienza dell’Alimentazione UOC di Endocrinologia, AOU Federico II Napoli.

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alla fase attiva basata su una restrizione di calorie e carboidrati (<700-800 kcal/giorno, <30-50 g/giorno, 13-25% delle calorie totali), con una quantità di proteine equivalenti a 0.8-1.2 g/giorno per kg di peso corporeo ideale. Questo primo passaggio di solito dura fino a 12 settimane ed è associato ad un aumento della produzione di corpi chetonici da parte del fegato, fornendo energia derivata dai


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lipidi agli organi extraepatici (cuore, rene, muscolo scheletrico, sistema nervoso centrale) dove agiscono come una fonte di combustibile alternativa al glucosio. Inoltre, la chetogenesi sembra essere il meccanismo principale responsabile dell’effetto anoressigeno (dovuto alla rimodulazione ormonale attivata dalla stessa chetogenica) correlato ad un elevata compliance e stimolo motivazionale a questo trattamento da parte dei pazienti. Successivamente, viene eseguita una graduale reintroduzione degli alimenti proteici, ancora mantenendo le calorie complessive al di sotto di 700-800 kcal/giorno. Nella seconda e terza fase, calorie e carboidrati vengono gradualmente innalzati ad un regime ipocalorico e, succes© Timolina/shutterstock.com

sivamente, ad una dieta equilibrata low-carb, con un’assunzione giornaliera di 800-1500 e 1500-2250 kcal, rispettivamente, a seconda delle caratteristiche cliniche del paziente e alla sua composizione corporea. La temporanea e significativa restrizione di calorie e carboidrati di questa terapia dietetica, associati ad un adeguato apporto proteico, consentono una rapida e consistente perdita ponderale, in particolare di massa grassa, con risparmio di massa magra e inibizione del senso di fame. Al fine di poter soddisfare le stringenti prescrizioni alimentari, specie nella fase iniziale della terapia VLCKD, risulta molto utile l’utilizzo di pasti sostitutivi secondo lo schema riportato nell’immagine sottostante. In conclusione, lo scopo della FAD è quella di approfondire la modalità di prescrizione delle VLCKD mediante pasti sostitutivi e come le VLCKD rappresentino un’opzione “terapeutica” sicura e affidabile per ottenere una rapida e significativa perdita ponderale nei pazienti con sovrappeso e obesità e nel trattamento delle diverse comorbidità associate all’obesità tra cui ipertensione arteriosa, dislipidemia, diabete di tipo 2 e NAFLD, sindrome dell’ovaio policistico, epilessia farmaco-resistente, emicrania e nella gestione preoperatoria in chirurgia bariatrica. Le VLCKD dovrebbero quindi essere considerate come un intervento efficace e sicuro da proporre a pazienti opportunamente selezionati, come parte di una strategia multicomponente e sotto la stretta supervisione di un Biologo-Nutrizionista qualificato o uno Specialista in Scienza dell’Alimentazione. GdB | Ottobre 2021

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Anno IV - N. 10 Ottobre 2021 Edizione mensile di AgONB (Agenzia di stampa dell’Ordine Nazionale dei Biologi) Testata registrata al n. 52/2016 del Tribunale di Roma Diffusione: www.onb.it

Direttore responsabile: Claudia Tancioni Redazione: Ufficio stampa dell’Onb

Giornale dei Biologi

Edizione mensile di AgONB, Agenzia di stampa dell’Ordine Nazionale dei Biologi. Registrazione n. 52/2016 al Tribunale di Roma. Direttore responsabile: Claudia Tancioni. ISSN 2704-9132

Ottobre 2021 Anno IV - N. 10

BIOLOGI PROTAGONISTI DELLO SVILUPPO SOSTENIBILE L’Onb ha partecipato a Ecomondo l’Expo della Green Technology D’Anna: “La nostra categoria è fondamentale per la tutela ambientale”

www.onb.it

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Progetto grafico e impaginazione: Ufficio stampa dell’ONB. Questo magazine digitale è scaricabile on-line dal sito internet www.onb.it edito dall’Ordine Nazionale dei Biologi. Questo numero de “Il Giornale dei Biologi” è stato chiuso in redazione martedì 26 ottobre 2021. Contatti: +39 0657090205, +39 0657090225, ufficiostampa@onb.it. Per la pubblicità, scrivere all’indirizzo protocollo@peconb.it. Gli articoli e le note firmate esprimono solo l’opinione dell’autore e non impegnano l’Ordine né la redazione. Immagine di copertina: © Sergey Nivens/www.shutterstock.com


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GENETICA E CANCRO Gruppo di Studio di Genetica Umana

26 Novembre 2021 Moderatore Dr. Sebastiano Caruso Coordinatore GDS Genetica Umana

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PROGRAMMA 16.00 Saluti Istituzionali Sen. Dr. Vincenzo D’Anna - Presidente Ordine Nazionale Biologi Dr. Maurizio Durini - Presidente Consiglio Nazionale Biologi

16.10 Predisposizione genetica allo sviluppo delle neoplasie Dr. Domenico Dell’edera - U.O.S.D Lab. di Genetica Medica, P.O. Madonna delle Grazie MT 16.30 Modificazioni epigenetiche causative di trasformazione neoplastica Dr. Sebastiano Caruso - U.O.C. Lab. di Patologia Clinica e Microbiologia, P.O. “Vito Fazzi” LE 16.50 Il tumore della mammella e dell’ovaio Dr. Luigi Antonio Greco - UOC Patol. Clinica POC. Genetica Medica S.O. “S. Marco” Grottaglie TA 17.10 La genetica delle leucemie e dei linfomi Dr. Gianni Perla - U.O.C. Anatomia Patologica, IRCCS Istituto Tumori Giovanni Paolo II BA 17.30 Le basi genetiche del tumore del colon Dr. Orazio Palumbo - U.O.C. Genetica Med. IRCCS Casa Soll.vo della Sofferenza, S.G. Rotondo FG 18. 00 Discussione Chiusura dei lavori Dr.ssa Claudia Dello Iacovo, Delegato ONB Regione Puglia-Basilicata

SEGRETERIA ORGANIZZATIVA Ordine Nazionale dei Biologi Delegazione di Puglia e Basilicata f.barretta@onb.it Tel. 080.6926697

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