Il Giornale dei Biologi - N.11/12 - Novembre/Dicembre 2021

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Giornale dei Biologi

Edizione mensile di AgONB, Agenzia di stampa dell’Ordine Nazionale dei Biologi. Registrazione n. 52/2016 al Tribunale di Roma. Direttore responsabile: Claudia Tancioni. ISSN 2704-9132

Novembre/Dicembre 2021 Anno IV - N. 11/12

COVID, I CONTAGI TORNANO A CORRERE

Preoccupa la variante Omicron, che ha già toccato l’Italia Il punto su Super Green Pass, terza dose di vaccino e immunizzazione dei bambini dai 5 agli 11 anni

www.onb.it



Sommario

Sommario EDITORIALE 3

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Diritti e doveri di Vincenzo D’Anna

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PRIMO PIANO

14

La recrudescenza dei contagi non risparmia l’Italia di Rino Dazzo

Alzheimer: chiave nella materia bianca cerebrale? di Domenico Esposito

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Il percorso formativo dell’embriologo clinico: una storia lunga vent’anni di Lucia De Santis et al

20

Tumore polmonare: con l’immunoterapia progressi nelle cure di Domenico Esposito

23

Nuovi farmaci oncoterapici dai g-quadruplex di Pasquale Santilio

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L’Idrogel per studiare i tessuti tumorali in vitro di Pasquale Santilio

25

Il legame tra obesità e memoria di Domenico Esposito

26

Hiv, la prep funziona, ma con il rovescio della medaglia di Domenico Esposito

28

Il privilegio immunologico del follicolo pilifero di Biancamaria Mancini

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Pelle e mascherine di Carla Cimmino

32

La medicina in età ellenistica di Barbara Ciardullo

20 INTERVISTE 8

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Scoperto nuovo processo molecolare coinvolto nello sviluppo dei tumori della pelle di Ester Trevisan I geni dei popoli nativi del Messico influenzano le loro risposte ai cambiamenti globali di Ester Trevisan

AMBIENTE 34

La dieta delle balene di Giacomo Talignani

36

Svelato il mistero della colorazione del panda gigante di Sara Bovio

38

Nanoplastiche sulle Alpi. Arrivano da Francoforte, Parigi e Londra di Sara Bovio

SALUTE 12

Identificato meccanismo della progressione dell’alzheimer nel cervello di Sara Bovio


Sommario

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Green economy. Le buone performance dell’Italia di Gianpaolo Palazzo

42

Cresce il settore del riciclo della carta da macero di Gianpaolo Palazzo

44

Mobilità in Italia, cresce l’elettrico di Giacomo Talignani

46 47

50

52

16

“Compromesso positivo” o intesa “deludente” di Giacomo Talignani

SPORT

L’utilizzo delle acque reflue in agricoltura di Pasquale Santilio

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Ciclismo, gli sprint d’oro di Elisa Balsamo di Antonino Palumbo

INNOVAZIONE

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La radiologia va “in fondo al mare” per alleviare lo stress nei bambini di Elisabetta Gramolini

Vasca corta, Palmares lungo del nuoto tricolore di Antonino Palumbo

66

Il futuro della medicina è l’intelligenza artificiale di Michelangelo Ottaviano

L’Italia della neve e del ghiaccio verso i giochi di Pechino di Antonino Palumbo

68

Nutrizione e sport: focus sulla pallacanestro

69

Dodicesimo nel calcio, numero 1 nella vita di Antonino Palumbo

70

BREVI

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Arriva la retina artificiale nr600 per la vista bionica di Michelangelo Ottaviano

54

La molla biocompatibile in 4D ispirata alle piante di Domenico Esposito

LAVORO 72

Concorsi pubblici per Biologi

SCIENZE

34 BENI CULTURALI 56

Il monastero di Torba tra i boschi del varesotto di Rino Dazzo

59

A Pompei trovata la stanza degli schiavi di Pietro Sapia

60

Nuove tecnologie per salvare l’arte di Gianpaolo Palazzo

76

Comprendere meglio i meccanismi patogeni di malattia di Cinzia Boschiero

80

Formaggi naturalmente senza lattosio? di Maria Sole Facioni

84

I percorsi storici sul sequenziamento del DNA (parte IV) di S. Barocci et al.

ECM 90

Impianti di trattamento reflui di Francesco Aliberti


Editoriale

Diritti e doveri di Vincenzo D’Anna Presidente dell’Ordine Nazionale dei Biologi

U

no dei motivi più ricorren- esigenti contro un Ente, il nostro, che ti di critica preconcetta non solo hanno disertato, ma del quale che viene rivolta all’Ordi- poco o nulla conoscono. Sia ben chiane Nazionale dei Biologi è ro: la critica è il sale della democrazia,

quello che esista una scarsa attenzione ma appunto per questo deve essere ben nei confronti degli iscritti e delle problematiche che assillano la categoria. In genere si tratta di “giudizi” pronunciati per sentito dire, di un modo di pensare indotto dai luoghi

articolata e soprattutto Molteplici sono le innovazioni introdotte per accorciare le distanze tra “palazzo” ed iscritti, per una partecipazione consapevole alla vita dell’Ordine

rispettosa ed educata con gli interlocutori, in particolar modo se si ha cognizione di causa e piena e diretta conoscenza delle questioni sollevate. Per

comuni che spesso invadono quell’arci- quanto semplice, va rimarcata, ancora pelago di siti internet che fanno capo - una volta, su queste stesse colonne, a vario titolo - a gruppi di biologi.

l’evidenza che se non si ascolta e non

Portali sovente aperti anche al con- ci si informa di nulla, disconoscendo i tributo dei non iscritti, i quali, non pa- tanti canali di comunicazione che pure ghi di esercitare abusivamente la pro- l’Onb ha attivato e reso disponibili in fessione, si atteggiano pure a critici tutti questi mesi, ogni cosa verrà resa GdB | Nov/dic 2021

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Editoriale

complicata dall’ignoranza di base degli iscritti ancora ignora che l’anno prossielementi critici e delle informazioni ne- mo si terranno le votazioni per eleggecessarie per poter disquisire dell’argo- re gli Ordini territoriali autonomi e poi mento trattato.

la Federazione nazionale degli Ordini

In sintesi: l’Ordine può darsi da fare Regionali. Una larga parte degli interquanto e come può per mettersi in con- vistati ancora ignora molte delle novità tatto con gli iscritti, ma tutto risulterà introdotte da questo Consiglio dell’Orvano se coloro ai quali viene fornito dine, a cominciare dall’Albero delle il mezzo per collegarsi all’ente oppu- Opportunità per i biologi: un prospetto re tenersi informati, lo ignorano e non lo usano. Non credo ci sia ancora in giro chi non abbia potuto toccare con mano le molteplici innovazioni introdotte da questa consi-

delle varie possibilità ofL’Albero delle Opportunità è un prospetto delle varie possibilità offerte alla nostra categoria. Una molteplicità di professioni e competenze

liatura per accorciare le

ferte alla nostra categoria, così da potersi avviare ad una molteplicità di professioni sfruttando le diverse specifiche competenze che la legge istitutiva ci assegna. Ebbene

distanze tra “palazzo” ed iscritti, ed i sì: c’è ancora chi guarda all’ONB come numerosi eventi formativi ed informa- una specie di “ufficio di collocamento” tivi organizzati per una partecipazione al quale rivolgersi solo in caso di persoconsapevole alla vita del nostro e vostro nale necessità e bisogno, comportandoOrdine professionale.

si come chi di nulla s’informa e di tutto

Eppure, i risultati, per quanto soddi- pretende di poter parlare. sfacenti, sono ancor ben lontani dall’a-

Insomma: sovente si ragiona e ci si

ver raggiunto tutta la platea dei biologi comporta facendo a meno di quello spiitaliani. In un recente sondaggio di opi- rito di categoria che pure dovrebbe essenione è emerso che oltre la metà degli re il legame tra gli oltre cinquantaquat4

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Editoriale

tromila biologi iscritti ed il loro Ordine dalla revisione dell’accesso all’albo alla professionale. Uno spirito che stenta a partizione di quest’ultimo; dalla laurea penetrare nelle coscienze di tanta, trop- abilitante allo sbarramento per l’iscripa gente. Vi è in giro la pretesa di avere zione ai titolari di lauree triennali non sempre ragione e di poter giustificare congruenti (ovvero non acquisite presogni atteggiamento difforme chieden- so facoltà di Scienze Biologiche). do in cambio - a prescindere - corte-

Ancora. È in corso la battaglia per la

sia, attenzione ed incoraggiamento. Sia stabilizzazione dei circa duemila biologi beninteso: l’Ordine non svolge funzioni assunti nel biennio Covid e la previsione di tutore per ogni singolo iscritto, non è un’agenzia interinale di servizi e consulenze che viene pagata con la quota d’iscrizione. Nossignori. Non è tutto questo. È invece un ente

della legge va esattamente L’Onb non svolge funzioni di tutore per il singolo biologo, ma tutela gli interessi generali della categoria, promuovendone sviluppo ed emancipazione

pubblico che deve tutela-

in questa direzione. E poi: è in arrivo la norma per poter far accedere ricercatori e dottori di ricerca, docenti

universitari

as-

sunti a tempo determinato ed a contratto, all’albo

re e salvaguardare gli interessi generali senza sostenere l’esame di Stato, tanto della categoria, promuoverne lo svilup- da colmare una lacuna storica tra Ordipo e l’emancipazione attraverso inter- ne e mondo della Università e della Riventi legislativi e normativi mirati.

cerca. Questo ed altro bolle in pentola,

Non credo sia sfuggito ai più che mai, ma sarà tutto vano se chi deve informarcome in questi ultimi tempi, i biologi si- si farà “orecchie da mercante”. Non ci ano balzati all’attenzione non solo delle sono diritti senza declinare doveri e non cronache, ma anche di buona parte dei si può dare emancipazione e libertà a coprovvedimenti legislativi fin qui varati, loro che non sono disposti ad ottenerle alla pari delle altre categorie sanitarie: con senso di responsabilità. GdB | Nov/dic 2021

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Primo piano

LA RECRUDESCENZA DEI CONTAGI NON RISPARMIA L’ITALIA Contagi quotidiani stabilmente sopra quota 12-13mila Preoccupa la variante Omicron, di cui l’Italia ha già il paziente zero

di Rino Dazzo

C’

è chi la chiama quarta ondata, chi invece preferisce fotografarla come semplice aumento dei contagi. Dopo aver colpito altri paesi europei, la recrudescenza del virus prova a far sentire i suoi effetti anche sull’Italia. Una tempesta, le cui conseguenze più devastanti sono state sin qui limitate dagli argini protettivi edificati dalle istituzioni sanitarie. Il numero di nuovi casi giornalieri ha avuto infatti un significativo incremento, passando dai 4-5mila di inizio mese ai 12-13mila di fine novembre. Il numero dei decessi e delle ospedalizzazioni è progressiva crescita. Superiore a 60 la media delle morti quotidiane nell’ultima settimana del mese a causa del Covid, quasi il doppio rispetto al dato di trenta giorni prima. Ma se si rapportano i dati all’anno precedente, ci si imbatte in numeri estremamente più pesanti. Il 27 novembre 2020, quando non c’erano ancora i vaccini, in Italia si viaggiava al ritmo di 28.342 nuovi contagi giornalieri e, soprattutto, di 827 decessi. In ospedale c’erano 33.684 ricoverati contro i circa 5mila di oggi, in terapia intensiva 3.782 contro 600. I positivi nel Paese? 787.893 un anno fa, 600mila in meno nel 2021.

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Se in Italia si continua a vivere in un modo vicino alla normalità (solo una regione, il Friuli-Venezia Giulia, è passata in zona gialla), il merito va ascritto all’efficacia della campagna vaccinale e all’alta adesione della popolazione. Che adesso è chiamata al «booster», la terza dose dei vaccini a mRna, necessaria a garantire protezione anche dopo il fisiologico calo degli anticorpi registrato dopo alcuni mesi. Centocinquanta giorni l’intervallo individuato dalle autorità sanitarie tra la seconda e la terza somministrazione: dal primo dicembre, possibilità di farla per tutti gli over 18. Scrive il Ministero della Salute nell’ultimo monitoraggio settimanale: «L’Rt calcolato sui soli casi ospedalizzati si mantiene oltre la soglia epidemica con conseguente aumento nei tassi di occupazione sia in area medica che in terapia intensiva». L’unico possibile rimedio, al momento, è insistere con le vaccinazioni, vista l’alta percentuale tra i ricoverati di pazienti non vaccinati: «Nell’attuale contesto di riapertura, una più elevata copertura vaccinale, il completamento dei cicli di vaccinazione ed il mantenimento di una elevata risposta immunitaria attraverso la dose di richiamo nelle categorie indicate dalle


Primo piano

disposizioni ministeriali vigenti, in particolare gli ultraottantenni, rappresentano gli strumenti principali per prevenire significativi aumenti di casi clinicamente gravi di Covid-19 e favorire un rallentamento della velocità di circolazione del virus Sars-CoV-2». Il nuovo spauracchio è rappresentato dalla variante Omicron (B.1.1.529), isolata per la prima volta in Botswana (con l’Italia che ha già conosciuto il suo paziente zero) e definita dall’Oms come «preoccupante» visto l’elevato numero di mutazioni, ben 32, della proteina spike. Studi accurati sono necessari per valutarne l’effettiva pericolosità e l’eventuale resistenza ai vaccini. Nel frattempo, in Italia col decreto che ha varato il Green Pass Rafforzato, o Super Green Pass, l’obbligo vaccinale è stato esteso a tutto il personale sanitario, scolastico, della Difesa, della sicurezza e del soccorso pubblico, oltre che di strutture sociosanitarie e Rsa. Dal 6 dicembre al 15 gennaio, ma con possibilità di proroghe, in zona bianca e gialla per accedere nei cinema, a teatro o ai concerti, oltre che in stadi e palazzetti, nei bar, nei ristoranti al chiuso, nelle discoteche e nelle cerimonie pubbliche, il tampone non basterà più: ci vorrà il certificato verde riservato a chi ha completato il ciclo vaccinale o è guarito dal Covid. Si spera, con queste nuove misure più stringenti, di ridurre ulteriormente il numero degli indecisi. Al momento più del 77% della popolazione ha completato il ciclo vaccinale primario, percentuale che supera l’87% se si considera soltanto la platea degli over 12 oggetto della campagna.

C’è da registrare il parere positivo dell’Ema, l’Agenzia europea dei medicinali, sull’uso di due pillole antivirali: Molnupiravir, sviluppata da Merck, e Paxlovid, della Pfizer.

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Mancano all’appello poco più di sei milioni di persone, che potrebbero essere indotte a vaccinarsi dagli ultimi provvedimenti. E mancano i bimbi da 5 a 11 anni, per i quali il via libera dell’Aifa al siero sviluppato da Pfizer è atteso a inizio dicembre. Molti dei nuovi casi si sono registrati proprio tra i più piccoli, col ritorno di parecchie classi alla didattica a distanza. Nel frattempo, c’è da registrare il parere positivo dell’Ema, l’Agenzia europea dei medicinali, sull’uso di due pillole antivirali: Molnupiravir, sviluppata da Merck, e Paxlovid, della Pfizer. Entrambe mirano a bloccare la replicazione del coronavirus, anche se attraverso metodi diversi. La pillola di Merck è, di fatto, un inibitore della polimerasi che introduce in modo mirato degli errori, delle mutazioni del virus in modo da impedire che possa replicarsi. La pillola di Pfizer, invece, è un inibitore della proteasi e agisce sull’enzima di cui il virus ha bisogno per replicarsi in combinazione con ritonavir, un altro antivirale. L’efficacia? Pfizer ha parlato dell’89% di riduzione del rischio di ricovero o morte nei pazienti a rischio di malattia grave in caso di somministrazione del farmaco entro tre giorni dall’inizio dei sintomi e dell’85% entro i cinque. Merck ha riferito di un’efficacia del 50%, limitata però al 30% dopo un approfondimento. La comunità scientifica è comunque concorde su un punto: l’avvento di farmaci e terapie efficaci contro il virus deve essere considerato come complementare e non come sostitutivo della vaccinazione. GdB | Nov/dic 2021

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Intervista

SCOPERTO NUOVO PROCESSO MOLECOLARE COINVOLTO NELLO SVILUPPO DEI TUMORI DELLA PELLE Lo studio è di un gruppo di ricerca del Cnr di Pavia che ha identificato alterazioni associate alla fotosensibilità. A illustrarlo, Donata Orioli, ricercatrice e coordinatrice del team di ricerca

di Ester Trevisan

U

n gruppo di ricerca del Cnr-Igm di Pavia ha fatto luce sui processi molecolari implicati nei tumori cutanei e ha identificato alterazioni associate alla fotosensibilità. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulle riviste PNAS e Nucleic Acids Research. Ne parliamo con Donata Orioli, ricercatrice del Cnr-Igm e coordinatrice della ricerca Dottoressa Orioli, i danni provocati da un’eccessiva esposizione ai raggi ultravioletti sono ormai risaputi. Ma qual è il contributo apportato da questa nuova ricerca allo studio dei tumori della pelle? Lo studio delle malattie rare è una fonte di grande valore in quanto fornisce informazioni e conoscenze preziose per la salute di tutta la popolazione. Le patologie associate ad alterazioni nella risposta cellulare alla luce ultravioletta (UV) rappresentano un utile strumento per comprendere problemi ampiamente diffusi come la fotosensibilità cutanea e la predisposizione al tumore della pelle. In particolare, lo xeroderma pigmentosum (XP) e la tricotiodistrofia (TTD) sono due entità cliniche molto diverse tra loro ma che possono originare da mutazioni nello stesso gene. A livello molecolare, entrambe le patologie sono caratterizzate da difetti nel meccanismo di riparazione delle lesioni del DNA causate dalla componente

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GdB | Nov/dic 2021

UV della luce solare. Sappiamo che l’accumulo di foto lesioni non riparate rappresenta il maggior fattore di rischio per l’insorgenza dei tumori cutanei. Per questo nei pazienti XP la probabilità di sviluppare melanomi è 2000 volte superiore rispetto a quella della popolazione generale mentre la probabilità di sviluppare carcinomi baso-cellulare e spino-cellulare è 10000 volte superiore. Curiosamente, i pazienti TTD non sviluppano tumori cutanei nonostante l’accumulo di foto lesioni non riparate nel loro genoma. Ci siamo quindi chiesti attraverso quali meccanismi i pazienti TTD possano contrastare l’insorgenza dei tumori cutanei. Per cercare una risposta, abbiamo sequenziato l’intero trascrittoma delle cellule isolate dalla cute dei pazienti TTD e identificato la mancata espressione del gene prostaglandina I2sintasi (PTGIS), un enzima che converte la prostaglandina H2 in prostaglandina I2 (o prostaciclina). L’assenza dell’enzima PTGIS accomuna tutti pazienti TTD che noi abbiamo al momento analizzato, indipendentemente dal tipo e/o combinazione di mutazioni, mentre non colpisce le cellule dei pazienti XP. La ridotta espressione di PTGIS rappresenta quindi un bio-marcatore specifico per questa patologia. A quali prospettive terapeutiche aprono i risultati di questo studio? La prostaglandina I2(PGI2) è un potente va-


Intervista

Il team

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onata Orioli, Primo Ricercatore CNR dell’Istituto di Genetica Molecolare “L.L. Cavalli-Sforza” di Pavia, coordina l’attività di un gruppo di ricerca che si occupa da Donata Orioli. molti anni delle patologie associate a difetti nei meccanismi di riparazione delle lesioni del DNA causati dalla luce ultravioletta. La loro attività di ricerca è sostenuta dalla Fondazione AIRC per la Ricerca sul Cancro e dall’Associazione Italiana Xeroderma Pigmentoso (AIXP).

sodilatatore che previene l’aggregazione piastrinica, svolge un ruolo nella risposta immunitaria e la sua espressione può ridurre la morte cellulare programmata (apoptosi) sostenendo la sopravvivenza delle cellule tumorali, come nel caso del tumore colon-retto. L’azione di PGI2 è mediata dal fattore di crescita endoteliale vascolare (VEGF) che a sua volta contribuisce alla formazione di nuovi vasi sanguigni (angiogenesi) e al sostentamento del tumore in formazione ed espansione. Studi farmacologici in modelli animali avevano precedentemente dimostrato che, bloccando a monte la sintesi biochimica delle prostaglandine, si poteva contrastare l’insorgenza del carcinoma spino-cellulare nella cute dei topolini. Il nostro studio rivela ora che i pazienti con tricotiodistrofia, che non sviluppano tumori cutanei nonostante l’accumulo di fotolesioni nel loro genoma, non sintetizzano PGI2. Tutto ciò suggerisce un ruolo importante di PGI2 nella sopravvivenza delle cellule tumorali e apre nuove prospettive terapeutiche che dovranno essere sviluppate ed ulteriormente investigate con modelli cellulari in vitro ed ex vivo. Quanto sono diffusi i tumori della pelle nella popolazione italiana? I tumori della pelle comprendono i melanomi e i non-melanomi (tra cui i carcinomi baso-cellulare e spino-cellulare) che costituiscono le forme tumorali più diffuse nella popolazione di etnia caucasica. La loro incidenza è in costante ascesa, con un aumento annuale delle diagnosi di mela-

“I tumori della pelle comprendono i melanomi e i non-melanomi (tra cui i carcinomi baso-cellulare e spino-cellulare) che costituiscono le forme tumorali più diffuse nella popolazione di etnia caucasica. La loro incidenza è in costante ascesa”.

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nomi maligni di circa lo 0,6% nelle persone con età superiore ai 50 anni. Certamente lo screening preventivo della popolazione che si effettua negli ultimi anni ha contribuito a rendere questo numero più elevato ma è anche altrettanto chiaro che la frequenza delle lesioni cutanee cancerose è in aumento. Tra i fattori che contribuiscono all’aumentata incidenza si distinguono l’invecchiamento della popolazione, che è associato ad un aumentato rischio dei tumori non-melanomi, e una maggiore abitudine ad esporsi ai raggi UV, che evidenzia un aumento lineare e costante dei tassi di incidenza del carcinoma baso-cellulare nella popolazione femminile di età inferiore ai 40 anni. Quali sono le forme più aggressive e i soggetti maggiormente a rischio? Tra i tumori della pelle, il melanoma rappresenta la forma più aggressiva e letale. Meno del 5% dei tumori cutanei è diagnosticato come melanoma ma questa forma è responsabile della maggior parte dei decessi causati dal cancro della pelle. Storicamente il melanoma era considerato un tumore raro ma negli ultimi 50 anni la sua incidenza è aumentata moltissimo, molto più di qualunque altra forma tumorale. Una diagnosi nella fase iniziale della malattia aumenta le probabilità di sopravvivenza del paziente. Negli ultimi anni i trattamenti immunoterapici, a volte combinati con radiazioni, hanno notevolmente migliorato le probabilità di sopravvivenza. Per questa ragione le analisi di screening preventivo fatte regolarmente sono importanti a qualunque età. GdB | Nov/dic 2021

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Intervista

I GENI DEI POPOLI NATIVI DEL MESSICO INFLUENZANO LE LORO RISPOSTE AI CAMBIAMENTI GLOBALI Studio internazionale coordinato dall’Università di Bologna sul genoma di 300 individui appartenenti a 15 gruppi etnici. Ne parliamo con il coordinatore dello studio, Marco Sazzini

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lcuni gruppi etnici indigeni del Messico sono particolarmente vulnerabili alle trasformazioni degli stili di vita e della dieta susseguitesi in epoca moderna. È la conclusione di uno studio internazionale coordinato da ricercatori dell’Università di Bologna sul genoma di circa trecento individui appartenen-ti a 15 gruppi etnici e pubblicato sulla rivista Molecular Biology and Evolution. Ne parliamo con Marco Sazzini, docente al Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali (BiGeA) dell’Università di Bologna e coordinatore dello studio. All’adattamento non sempre corrisponde un miglioramento delle condizioni di vita. Anzi, dal vostro studio sembrerebbe il contrario. Perché? I processi di adattamento biologico con base genetica a determinate condizioni ambientali, ecologi-che o culturali si realizzano nel corso di migliaia di anni. Tuttavia, l’evoluzione culturale, così come i cambiamenti globali, avvengono con tempistiche molto più rapide. Ecco perché le popolazioni attuali possono aver ereditato tratti biologici che per millenni hanno svolto un ruolo adattativo, ma che a se-guito delle rapide modificazioni dei contesti ambientali, degli stili di vita e della dieta, rappresentano oggigiorno

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veri e propri “disadattamenti” e conferiscono a queste popolazioni un’aumentata suscetti-bilità a determinate patologie. Quali sono le modificazioni genetiche più significative che avete rilevato? Nella popolazione Seri abbiamo osservato varianti genetiche che, modulando il metabolismo degli zuccheri, i processi fisiologici innescati dalla percezione del gusto dolce e la glicemia, hanno mediato l’adattamento metabolico di questo popolo ad una dieta che per millenni è stata basata sul consumo di frutta, semi e piante succulente, riducendo così i rischi associati ad un regime alimentare ricco di zuccheri. Nel popolo Rarámuri sono state identificate combinazioni di varianti in grado di ottimizzare il metabolismo energetico, il consumo di ossigeno e la temperatura corporea durante uno sforzo fisi-co intenso e duraturo. Questa popolazione mantiene tuttora uno stile di vita semi-nomadico che comporta lunghi spostamenti con carichi pesanti tra i diversi insediamenti stagionali e queste varianti risultano pertanto ancora vantaggiose. Inoltre, il mais ha da sempre rappresentato la fonte primaria di cibo dei Rarámuri venendo conservato per lungo tempo, condizione che facilita lo sviluppo di mi-cotossine al suo interno. Sono state identificate, infatti, anche modificazioni genetiche


Intervista

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che potenzia-no il funzionamento della barriera intestinale, che è il bersaglio delle micotossine del mais. Nei grup-pi etnici nativi del Messico meridionale gli adattamenti osservati sono stati mediati da varianti che migliorano le risposte immunitarie contro il tripanosoma responsabile della malattia di Chagas e il protozoo che causa la leishmaniosi cutanea, patogeni endemici di quest’area geografica. Adatta-menti genetici che risultano invece svantaggiosi nel contesto degli stili di vita contemporanei sono quelli osservati nelle popolazioni delle regioni centrali del Messico. L’abituale consumo, nell’ambito di pratiche religiose e della medicina tradizionale, di piante con effetto psicoattivo e di bevande fermen-tate ha infatti determinato nel corso dei millenni il mantenimento di varianti che hanno aumentato la tolleranza nei confronti degli effetti nocivi di queste sostanze, conferendo però un più elevato rischio di sviluppare dipendenze. Tale rischio è ulteriormente aumentato con il recente stravolgimento delle diete tradizionali che ha determinato un sempre maggiore consumo di alcool e cibi addizionati di zuccheri e grassi. Quali sono, in base alle evidenze riscontrate dalla ricerca, i fattori che determinano il succes-so di una mutazione del patrimonio genetico nel processo evolutivo di adattamento? Il successo di una variante genetica da un punto di vista adattativo dipende da quanto le condizioni in cui essa è vantaggiosa si mante gono costanti. Se tali condizioni permangono per un elevato nu-mero di generazioni, la selezione naturale determinerà un progressivo au-

Marco Sazzini. “I processi di adattamento biologico con base genetica a determinate condizioni ambientali, ecologi-che o culturali si realizzano nel corso di migliaia di anni. Tuttavia, l’evoluzione culturale, così come i cambiamenti globali, avvengono con tempistiche molto più rapide”.

mento del numero di indivi-dui portatori della variante all’interno della popolazione, favorendone così l’adattamento. Qual è il contributo che un approccio evoluzionistico allo studio delle malattie può dare alla ricerca biomedica? Identificando le condizioni ambientali, ecologiche e culturali in risposta alle quali alcuni caratteri bio-logici si sono evoluti, si possono prevedere i rischi per la salute connessi ai cambiamenti che queste condizioni hanno subìto e stanno subendo. Così è possibile individuare le popolazioni presumibil-mente più esposte a questi rischi e fornire indicazioni utili per interventi di prevenzione o trattamenti terapeutici mirati e “personalizzati”. Quali sono stati il ruolo e l’apporto dei biologi nello studio? L’ideazione, il coordinamento e la realizzazione dello studio sono stati svolti interamente da biologi. Io e gli altri membri del Centro di Biologia Genomica del Dipartimento BiGeA dell’Università di Bolo-gna siamo biologi evoluzionisti e, oltre ad aver ideato il progetto, ci siamo occupati delle analisi bioin-formatiche dei dati genomici su cui lo studio è basato e dell’interpretazione dei risultati ottenuti. Claudia Ojeda‐Granados, prima autrice del lavoro, è invece una biologa nutrizionista che si occupa di nutrigenetica. Le sue competenze hanno facilitato l’interpretazione dei risultati dello studio in rela-zione alla differente incidenza di patologie correlate alla dieta osservata nelle popolazioni messica-ne. (E. T.) GdB | Nov/dic 2021

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Salute

IDENTIFICATO MECCANISMO DELLA PROGRESSIONE DELL’ALZHEIMER NEL CERVELLO Secondo uno studio internazionale, guidato dall’Università di Cambridge, la malattia si svilupperebbe in maniera diversa da quanto si pensasse in precedenza

L

a malattia di Alzheimer, così come diverse altre patologie neurodegenerative, è caratterizzata da un progressivo declino della salute nel corso di diversi anni, con sintomi che spesso diventano evidenti solo anni dopo che hanno avuto inizio alcuni cambiamenti patologici nel cervello. I processi implicati nella progressione della malattia di Alzheimer sono sia la replicazione degli aggregati di determinate proteine sia la loro diffusione nel cervello. La velocità con cui avvengono questi processi è stata l’oggetto di un recente studio di un team internazionale di ricercatori guidato dall’Università di Cambridge, che ha portato alla scoperta che la malattia si sviluppa in modo molto diverso da quanto si pensava in precedenza. Per la prima volta sono stati usati dati umani per quantificare la velocità dei diversi processi che portano al morbo di Alzheimer e i ricercatori hanno scoperto che invece di partire da un singolo punto nel cervello e iniziare una reazione a catena che porta alla morte delle cellule cerebrali, la malattia di Alzheimer raggiunge presto diverse regioni del cervello. Quanto velocemente la malattia uccide le cellule in queste regioni, attraverso la produzione di ammassi di proteine tossiche, determina la velocità della progressione della malattia nel complesso. Gli scienziati hanno usato campioni di cervello post-mortem da pazienti malati di Alzheimer e scansioni PET da pazienti viventi, che

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andavano da quelli con lieve deterioramento cognitivo a quelli con malattia in fase avanzata, per tracciare l’aggregazione di tau, una delle due proteine chiave implicate nella sindrome. Nell’Alzheimer, la proteina tau insieme a un’altra proteina chiamata beta-amiloide si accumulano in grovigli e placche - conosciuti come aggregati - causando la morte delle cellule cerebrali e il restringimento del cervello. Questo si traduce in perdita di memoria, cambiamenti di personalità e difficoltà a svolgere le funzioni quotidiane. Combinando cinque diversi set di dati e applicandoli allo stesso modello matematico, i ricercatori hanno osservato che il meccanismo che controlla il tasso di progressione nella malattia di Alzheimer è la replica degli aggregati in singole regioni del cervello, e non la diffusione degli aggregati da una regione all’altra. I risultati, riportati sulla rivista Science Advances, aprono nuovi modi di comprendere il progresso dell’Alzheimer e di altre malattie neurodegenerative, e potrebbero avere importanti implicazioni per lo sviluppo di potenziali trattamenti futuri. Per molti anni, i processi che avvengono all’interno del cervello e portano alla malattia di Alzheimer sono stati descritti usando termini come “cascata” e “reazione a catena”. L’Alzheimer purtroppo è una malattia difficile da studiare, poiché si sviluppa nel corso di decenni, e una diagnosi definitiva può essere data solo dopo aver esaminato campioni di tessuto cerebrale


I processi implicati nella progressione della malattia di Alzheimer sono sia la replicazione degli aggregati di determinate proteine sia la loro diffusione nel cervello.

studiare questo processo a livello molecolare in pazienti reali, che è un passo importante per sviluppare trattamenti in futuro». I ricercatori hanno scoperto che la replicazione degli aggregati tau è sorprendentemente lenta potendo impiegare fino a cinque anni. «I neuroni sono molto bravi a fermare la formazione degli aggregati, ma dobbiamo trovare il modo di renderli ancora più efficienti se vogliamo sviluppare un trattamento efficace», ha detto David Klenerman, co-autore dello studio. «È affascinante pensare come la biologia si sia evoluta per fermare l’aggregazione delle proteine». Secondo i ricercatori, la loro metodologia potrebbe essere di supporto allo sviluppo di trattamenti per il morbo di Alzheimer, che colpisce circa 44 milioni di persone in tutto il mondo, prendendo di mira i processi più importanti che si verificano quando i pazienti sviluppano la malattia. Inoltre, la metodologia potrebbe essere applicata ad altre malattie neurodegenerative, come il morbo di Parkinson. Il team ha in progetto estendere gli studi ad altre patologie come la demenza temporale frontale, le lesioni cerebrali traumatiche e la paralisi sopranucleare progressiva dove, come nell’Alzheimer, durante la malattia si formano gli aggregati della proteina tau. (S. B.)

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dopo la morte. Per anni, i ricercatori si sono affidati in gran parte a modelli animali per studiare la malattia. I risultati sui topi avevano suggerito che l’Alzheimer si diffonde rapidamente poiché i gruppi di proteine tossiche colonizzano diverse parti del cervello. «Pensavamo - racconta Georg Meisl del Dipartimento di Chimica di Cambridge, primo autore del documento - che l’Alzheimer si sviluppasse in modo simile a molti tumori: gli aggregati si formano in una regione e poi si diffondono nel cervello. Invece, abbiamo scoperto che quando l’Alzheimer inizia ci sono già aggregati in più regioni del cervello, e quindi cercare di fermare la diffusione tra le regioni farà poco per rallentare la malattia». Lo studio è stato reso possibile sia grazie all’approccio di cinetica chimica sviluppato a Cambridge nell’ultimo decennio, sia con i progressi nella scansione PET e i miglioramenti nella sensibilità di altre misure del cervello. «Questa ricerca mostra il valore di lavorare con dati umani invece che con modelli animali imperfetti», ha sottolineato Tuomas Knowles, uno dei co-autori dello studio. «È emozionante – prosegue Knowles - vedere i progressi in questo campo: quindici anni fa, i meccanismi molecolari di base sono stati determinati per sistemi semplici in provetta; ma ora siamo in grado di

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Salute

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ALZHEIMER: CHIAVE NELLA MATERIA BIANCA CEREBRALE? Uno studio sui cambiamenti strutturali del cervello potrebbe aiutare ad identificare i pazienti ad aumentato rischio di sviluppare il morbo

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a chiave per comprendere meglio il morbo d’Alzheimer risiede nella materia bianca del cervello? Ne sono convinti Jeffrey Prescott, del MetroHealth System di Cleveland, e i suoi colleghi, autori di una ricerca - i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Radiology - che ha evidenziato come nei portatori asintomatici di mutazioni autosomiche-dominanti della malattia neurodegenerativa, la connettività strutturale della sostanza bianca risulti alterata rispetto ai non portatori. Non solo: dallo studio è emerso che, sempre nei portatori di muta-

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zioni, una connettività minore presenterebbe una correlazione anche con gli anni stimati di insorgenza dei sintomi della demenza. Lo studio ha preso in esame i dati di 30 portatori di mutazione e 38 non portatori inclusi nella Dominantly Inherited Alzheimer Network, tutti aventi capacità cognitive normali. Le analisi svolte hanno compreso risonanza magnetica pesata in T1, imaging del tensore di diffusione (DTI) e PET dell’amiloide, per i portatori di mutazioni. Gli scienziati hanno suddiviso le aree della corteccia cerebrale in tre reti e la loro connettività strutturale è stata calco-

lata utilizzando il DTI. Gli studiosi hanno poi impiegato modelli lineari generali per analizzare le differenze della connettività strutturale tra portatori e non portatori di mutazioni e la relazione tra connettività strutturale, carico di amiloide e anni stimati di comparsa dei sintomi (EYO), nei portatori di mutazioni. Così facendo il team di ricercatori è stato in grado di evidenziare che i portatori di mutazioni presentavano una connettività minore nella rete di controllo frontoparietale rispetto ai non portatori di mutazioni. Allo stesso tempo nei primi veniva stabilita una correlazione tra anni stimati di comparsa dei sintomi e connettività strutturale della sostanza bianca nella rete di controllo frontoparietale; non emergeva invece alcun legame rilevante tra il carico di amiloide globale a livello corticale e EYO. Il professor Prescott, analizzando quanto emerso dallo studio, ha osservato come «la caratterizzazione dei cambiamenti strutturali nel cervello che possono precedere i sintomi clinici di deterioramento cognitivo potrebbe aiutare nell’identificazione dei pazienti ad aumentato rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer e guidare ulteriori ricerche su possibili trattamenti». Il tutto, però, tenendo sempre ben presente che «i risultati devono essere validati su popolazioni più ampie di persone». A riassumere l’importanza della ricerca pubblicata su Radiology da Prescott e colleghi è stata Linda McEvoy, dell’Università della California di San Diego, secondo cui gli autori dello studio «hanno scoperto che una rete che collega le regioni frontale e parietale del cervello, e che è importante per l’esecuzione di compiti complessi, è maggiormente colpita da deterioramento. Le persone più vicine all’età in cui ci si aspettava la comparsa dei sintomi ha concluso - avevano più cambiamenti» in quest’area. (D. E.).


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IL PERCORSO FORMATIVO DELL’EMBRIOLOGO CLINICO: UNA STORIA LUNGA VENT’ANNI L’Embriologo Clinico è una figura chiave nei trattamenti di PMA sia per la riuscita delle cure sia per la corretta gestione di gameti e degli embrioni durante l’iter diagnostico e terapeutico della coppia di Lucia De Santis1,6, Valerio Pisaturo2,6, Paola Grammatico3, Liborio Stuppia4, Paola Mandich5 16 GdB | Nov/dic 2021


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andamento sempre crescente di trattamenti di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) ha comportato negli anni un aumento della richiesta di specialisti del settore. Tra questi l’Embriologo Clinico rappresenta da sempre una figura chiave per la riuscita delle cure alla quale vengono demandate competenze specifiche per la corretta gestione di gameti e di embrioni durante l’iter diagnostico e terapeutico della coppia. L’Embriologo Clinico oggi deve avere capacità e competenze che spaziano dalla conoscenza approfondita delle basi biologiche dei processi riproduttivi e delle evoluzioni scientifiche specifiche di questo campo della medicina, alla capacità di utilizzo delle nuove tecnologie che vengono introdotte nei laboratori passando per la conoscenza delle norme che ne regolamentano il settore, senza dimenticare la capacità di interazione con il team multidisciplinare e con i pazienti in trattamento. Per questi motivi la Società Italiana di Embriologia, Riproduzione e Ricerca (SIERR), fondata nel 1998, si impegna, da ormai due

decenni, da un lato nel riconoscimento della figura professionale dell’Embriologo Clinico e dall’altro nel garantire un costante aggiornamento e un mantenimento adeguato delle competenze e della formazione professionale. Il mancato riconoscimento di un iter professionalizzante ben definito per la figura del biologo Embriologo Clinico ha posto fin da subito un problema relativo alla qualificazione e prima ancora al riconoscimento della figura professionale stessa, con potenziali conseguenze sulla qualità delle cure offerte ai pazienti. Per questi motivi nel 2010, dopo diversi anni di interazione con i colleghi e raccogliendo le istanze degli stessi, la SIERR ha richiesto un parere al Consiglio Universitario Nazionale (CUN), nella figura del Prof Andrea Lenzi, affinché si esprimesse in merito ad una definizione chiara della figura professionale del Biologo che lavora nei laboratori di Procreazione Medicalmente Assistita. Da quel parere si definì l’Embriologo Clinico come il laureato magistrale in Biologia (LM6) e lauree equiparate che potesse dimostrare attraverso certificazioni adeguate un training di almeno 2 anni in un laboratorio di PMA. In merito al percorso formativo auspicava che nelle scuole di Specializzazione di Patologia Clinica potessero essere inseriti adeguati percorsi formativi teorico-pratici che consentissero direttamente l’accesso a tale professione o che venissero attivati dei Master con carattere professionalizzante ad hoc in accordo con il Ministero della Salute. In linea con l’auspicio del CUN nel 2018,

L’Embriologo Clinico oggi deve avere capacità e competenze che spaziano dalla conoscenza approfondita delle basi biologiche dei processi riproduttivi e delle evoluzioni scientifiche specifiche di questo campo della medicina, alla capacità di utilizzo delle nuove tecnologie che vengono introdotte nei laboratori passando per la conoscenza delle norme che ne regolamentano il settore, senza dimenticare la capacità di interazione con il team multidisciplinare e con i pazienti in trattamento.

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Salute

Centro Scienze Natalità, Dip. Ginecologia ed Ostetricia, H S. Raffaele, Università Vita-Salute San Raffaele, Milano 2 UOSD Procreazione Medicalmente Assistita Fondazione IRCCS Ca’Granda - Milano 3 UOC Laboratorio di Genetica Medica. Sapienza Università di Roma Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini 4 Genetica Medica, Università G. d’Annunzio di Chieti-Pescara 5 UOC Genetica Medica - IRCCS Ospedale Policlinico San Martino, DINOGMI - Università degli Studi di Genova, Genova 6 SIERR, Società Italiana di Embriologia Riproduzione e Ricerca 1

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Salute

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l’Ordine Nazionale dei Biologi in collaborazione con la SIERR, ha sottoscritto una convenzione con l’Università Roma Tre per la realizzazione del Master di II Livello, dal titolo “Embriologia Umana Applicata”. Questa tappa ha rappresentato il culmine di un rapporto di collaborazione che l’ONB ha sempre mantenuto nell’ultimo decennio con la società degli embriologi dimostrando, anche attraverso la costituzione di un’apposita commissione che ha operato nel periodo 2012/2015, una spiccata sensibilità per la materia e per gli sviluppi che avrebbe rappresentato per tutti i biologi che, ai tempi non ancora riconosciuti professione sanitaria si ritrovavano, tuttavia a svolgere un’attività prevalentemente clinica. Negli anni il riconoscimento della professione di Biologo tra le professioni sanitarie ha garantito un ulteriore passo in avanti verso una corretta identificazione della figura professionale. Restavano però da identificare le modalità di riconoscimento della formazione anche alla luce delle evoluzioni della professione e una chiara definizione delle competenze. Per questo motivo la costante collaborazione 18 GdB | Nov/dic 2021

tra l’Ordine Nazionale dei Biologi e la SIERR ha portato alla pubblicazione di un documento volto a far chiarezza sui vari aspetti che caratterizzano la professione e le modalità attraverso le quali si può identificare un professionista formato nel settore dell’embriologia clinica (https:// www.onb.it/2018/07/11/ onb-il-presidente-dellordine-dei-biologi-approva-il-documento-sierr-sulla-figura-professionale-dellembriologo-clinico/). La corretta definizione dei ruoli e delle responsabilità ha gettato le basi per l’identificazione di una copertura assicurativa idonea, aspetto non di poco conto considerando le evoluzioni del quadro normativo sul tema della responsabilità professionale. Tramite la collaborazione con esperti nel settore giuridico e assicurativo, in linea con quanto portato alla luce nel documento, è stato possibile concretizzare un progetto già attivo da anni che cercava per gli iscritti alla SIERR una forma adeguata di copertura a fronte di un premio contenuto, oggi integrata nella quota associativa. All’interno dello stesso documento, inoltre, vengono portate alla luce le criticità ancora esistenti, in particolare legate all’inserimento nel mondo del lavoro nell’ambito della Sanità Pubblica. Al professionista che decide di intraprendere l’attività lavorativa nei centri di PMA del Servizio Sanitario Nazionale, infatti, è richiesto un titolo di specializzazione (DPR 483/97). Il tema delle Scuole di Specializzazione resta un aspetto molto delicato del percorso formativo e genera spesso una condizione di disparità tra chi è pienamente formato attraverso titoli alternativi ed esperienza professionale, e chi ha acquisito il titolo di specialista ma non ha esperienza nel settore. Per questo motivo è indiscutibile che il titolo di specializzazione non abbia rappresentato negli anni un valido elemento per definire un embriologo formato.


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L’auspicio mosso dal CUN di identificare nelle scuole di Specializzazione percorsi di formazione dedicati vede oggi la Genetica Medica come la disciplina più affine all’Embriologia clinica. I professionisti che operano nei centri di PMA, infatti, si trovano ad avere un continuo scambio culturale e professionale con i Laboratori di Genetica Medica in quanto, secondo le linee guida nazionali ed internazionali, molte delle coppie con problemi di infertilità vengono sottoposte ad accertamenti che prevedono, ai fini di un corretto inquadramento diagnostico, sia la consulenza genetica sia test genetici. All’ottenimento della gravidanza, il percorso vede spesso la necessità di effettuare la diagnosi prenatale mediante amniocentesi, villocentesi o tecniche di diagnosi prenatale non invasiva (NIPT) o, per coppie ad alto rischio, una diagnosi preimpianto integrata nel percorso di PMA. Per tali motivi è divenuto fondamentale che i genetisti acquisissero competenze in embriologia, come, reciprocamente, gli embriologi clinici avessero un’adeguata formazione nell’ambito della genetica medica. La Società Italiana di Genetica Umana (SIGU) e la SIERR, sotto il costante auspicio dell’ONB, considerando la complementarità delle discipline, hanno quindi proposto di modificare il piano formativo delle Scuole di Specializzazione in Genetica Medica inserendo nuove attività didattiche, sia frontali sia professionalizzanti, che garantissero l’acquisizione di tutte le esperienze necessarie ai biologi per svolgere con competenza l’attività di Embriologo Clinico. Nello sviluppo di questo progetto ci si è avvalsi dell’esperienza dell’Università degli Studi di Genova che già da diversi anni in autonomia aveva attivato la suddetta integrazione. Ad oggi la proposta è stata recepita dalla Scuola di Specializzazione dell’Università La Sapienza di Roma ed è in fase di attivazione presso gli altri Atenei Nazionali. Questo successo va intrepretato come un piccolo passo verso la risoluzione, nell’attesa che i numeri di accesso alle scuole aumentino e i professionisti che attualmente operano nel settore vedano riconosciuta la loro preparazione. Il tema dell’inserimento nel mondo del lavoro resta cruciale e la notizia che recentemente il Senato ha approvato il Ddl relativo al riassetto delle procedure di abilitazione alle professioni, tra cui quelle che danno accesso alla professione di biologo, comporterà dei vantaggi per i biologi in generale e quin-

di anche per gli embriologi clinici. L’impegno dell’Ordine Nazionale dei Biologi e delle diverse Società Scientifiche a tutela della professione ha portato sicuramente ad un importante riconoscimento della categoria ma la strada da percorrere è ancora tanta affinché i biologi che operano nel settore vedano pienamente riconosciuta la loro professionalità.

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TUMORE POLMONARE: CON L’IMMUNOTERAPIA PROGRESSI NELLE CURE

Lo studio real life di Pacific R conferma l’efficacia di durvalumab nei pazienti con carcinoma polmonare non a piccole cellule al terzo stadio non resecabile

di Domenico Esposito 20 GdB | Nov/dic 2021


Salute

Al Pacific R hanno infatti partecipato soggetti affetti da carcinoma polmonare localmente avanzato non resecabile, che in precedenza avevano svolto trattamento chemio-radioterapico concomitante (ciò è accaduto in circa il 75% dei casi) o sequenziale, a differenza di quelli coinvolti nello studio Pacific, il cui criterio di selezione prevedeva l’esecuzione di chemio-radioterapia soltanto in concomitanza. Inoltre, Pacific R stabiliva che la terapia con durvalumab avesse inizio entro 90 giorni dalla conclusione della radioterapia, a differenza di Pacific, che contemplava un intervallo massimo di 42 giorni.

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lteriori passi avanti nella ricerca contro il tumore polmonare. Sono quelli registrati per mezzo dell’immunoterapia con durvalumab, mostratasi efficace nel controllare questo tipo di cancro in pazienti non selezionati, ovvero nella pratica clinica quotidiana. Questo è quanto emerge dai risultati dello studio real life di Pacific R che ha arruolato allo scopo 1.400 pazienti affetti da carcinoma polmonare non a piccole cellule al terzo stadio non resecabile. A essere coinvolti nello studio sono stati 290 centri di 11 Paesi, tra cui anche l’Italia che ha contribuito con 116 pazienti. Il regime Pacific ha evidenziato una sopravvivenza libera da progressione con durvalumab di circa 22 mesi. Buona è risultata anche la tollerabilità della terapia: soltanto il 16% dei malati si è visto obbligato ad interrompere la cura a causa di un evento avverso e il 27% per la progressione della patologia. Il farmaco Durvalumab è già approvato in Italia dopo chemio-radioterapia definitiva per i pazienti con malattia allo stadio III non resecabile ed espressione di una determinata proteina (PD-L1) ≥1%. Ma cosa vuol dire avere una terapia efficace a disposizione? Per spiegarlo basta passare in rassegna alcuni numeri: soltanto nel 2020 in Italia sono stati stimati circa 41mila nuovi casi di carcinoma polmonare; l’85% riguarda la forma non a piccole cellule, chiaramente la più frequente. Un terzo di questi pazienti riceve la diagnosi di malattia quando è già al terzo stadio. Nello scorso mese di giugno, al Congresso della American Society of Clinical Oncology (ASCO), nell’aggiornamento dello studio registrativo Pacific, erano stati messi in luce i benefici di sopravvivenza ottenuti dal medicinale, con il 43% dei pazienti vivi a cinque anni. A settembre è poi arrivata una nuova importante evidenza, a conferma del potenziale di durvalumab, questa volta dal Congresso della European Society for Medical Oncology (ESMO). I vantaggi portati in dote dall’immunoterapia non sono infatti limitati alla sfera delle sperimentazioni cliniche controllate, ma hanno un impatto concreto anche nella vita reale, nella pratica clinica che quotidianamente vede i medici impegnati nel tentativo di combattere il tumore. A questo riguardo il dottor Diego Signorelli, oncologo presso l’ospedale Niguar-

da di Milano, ha sottolineato come i risultati dello studio real life di Pacific R rappresentino dei «dati significativi, che evidenziano le importanti implicazioni dell’immunoterapia a vantaggio di una categoria particolare di pazienti che, sebbene candidata alla guarigione, per lungo tempo non ha beneficiato di nuove opportunità terapeutiche». Lo specialista ha continuato illustrando la rilevanza di queste nuove evidenze scientifiche: «Pacific R ha permesso di confermare il ruolo di durvalumab come gold standard anche nella pratica clinica quotidiana, quindi in una popolazione di pazienti non selezionati con criteri rigidi come quelli adottati nello studio registrativo». Signorelli ha poi rimarcato l’importanza dell’aderenza terapeutica rispetto ai criteri stabiliti in fase di studio: «Sebbene il lavoro in real life confermi l’attività di durvalumab anche in una popolazione diversificata e non completamente sovrapponibile a quella arruolata nello studio registrativo – ha osservato –, è importante che in ambito clinico si rispettino, quando possibile, i criteri previsti dallo studio e, quindi, si prediliga un trattamento chemio-radioterapico concomitante rispetto a uno sequenziale e si somministri durvalumab entro 42 giorni dalla fine della radioterapia. Nello studio registrativo, inoltre, l’efficacia del farmaco è risultata ancora maggiore per i pazienti che avevano potuto iniziare l’immunoterapia entro 14 giorni dal termine del trattamento radiante». Lo specialista si è poi soffermato su un altro aspetto sul quale lo studio Pacific invita a riflettere, ovvero la «necessità che i pazienti con carcinoma polmonare localmente avanzato siano valutati sin dalla diagnosi nell’ambito di un’equipe multidisciplinare». Proprio l’approccio all’insegna della multidisciplinarietà ha dimostrato di poter migliorare il trattamento dei pazienti affetti da tumore al polmone, e, in particolare per quel che riguarda la malattia in fase localmente avanzata, si è rivelato «indispensabile per garantire il miglior percorso di cura». Il professor Signorelli ha chiosato sottolineando infine come una possibilità sia anche quella di «fare tesoro degli importanti strumenti di cui ci si è avvalsi durante la pandemia, ricorrendo alla telemedicina laddove nel singolo centro non siano presenti tutte le figure specialistiche coinvolte». GdB | Nov/dic 2021

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DATE: Ottobre 2021 Novembre 2021 Novembre 2021 Novembre 2021 Novembre 2021 Novembre 2021 Novembre 2021 Dicembre 2021

Webinar IL CONSULENTE TECNICO AUSILIARIO DEL GIUDICE E IL CONSULENTE TECNICO DELLE PARTI DELEGAZIONE REGIONALE TOSCANA E UMBRIA

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Salute

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ricercatori delle Università dell’Insubria, di MilanoBicocca e di Padova, con il coinvolgimento dell’Istituto di fotonica e nanotecnologie del Cnr hanno osservato da vicino il comportamento dei G-quadruplex, strutture secondarie del Dna, per contribuire alla messa a punto di farmaci oncoterapici di nuova generazione. Quando pensiamo al Dna, la struttura che la nostra mente raffigura è quella della doppia elica. Tuttavia, da anni è ormai noto come il Dna possa assumere localmente strutture non canoniche. Un aspetto rilevante è che questi sistemi rappresentano degli interessanti punti di intervento terapeutico per trattare patologie tra cui tumori, malattie neurodegenerative, infezioni e altre. Considerata la loro particolare importanza funzionale, le strutture secondarie non canoniche denominate G-quartets (G4s) occupano un posto di rilievo in questo contesto. Finora la ricerca di nuovi farmaci indirizzati verso questi bersagli non ha prodotto i risultati sperati. Gli studiosi hanno analizzato le proprietà conformazionali e nanomeccaniche dei G4s presenti nel promotore di un particolare protoncogene responsabile di diverse forme tumorali, abbinando tecniche di esemble a misure di singola molecola per capire come queste strutture evolvono nel tempo, come la loro evoluzione è influenzata dalla matrice di Dna a doppia elica che le circonda e come interagiscono quando si formano una vicina all’altra. È stato anche osservato come la presenza di sequenze in grado di formare G4s in un tratto di Dna favorisca la denaturazione nanomeccanica della doppia elica in questo tratto, quindi l’inizio dell’espressione genica. Poiché le proteine deputate alla trascrizione del Dna funzionano esercitando forze e torsioni sui promotori per indurne la denaturazione locale, le informazioni raccolte rappresentano una “fotogra-

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NUOVI FARMACI ONCOTERAPICI DAI G-QUADRUPLEX Analizzata l’evoluzione delle strutture secondarie del DNA di alcuni promotori di protoncogeni. Gli studi pubblicati su Nucleic Acids Research

fia” ad alta risoluzione del bersaglio di elezione. Queste informazioni risulteranno utili per la progettazione di farmaci di nuova generazione in grado di controllare la produzione di oncoproteine in pazienti neoplastici. Luca Nardo del Dipartimento di scienza e alta tecnologia dell’Università dell’Insubria, ha dichiarato: «Si tratta di una collaborazione tra soggetti lontani geograficamente, ma coinvolti in una sorta di laboratorio delocalizzato, in grado di realizzare strumentazioni innovative non commerciali e di applicarle alla caratterizzazione di campioni biologici progettati ad hoc».

«La ricerca, ha affermato Francesco Mantegazza del Dipartimento di medicina e chirurgia dell’Università di Milano-Bicocca, è stata condotta in modo interdisciplinare. Solo attraverso una stretta collaborazione tra ricercatori appartenenti a comunità scientifiche che, tradizionalmente interagiscono solo marginalmente, è possibile dare risposte a domande che apparentemente sembrano insolubili. È stato necessario realizzare misure di singola molecola su filamenti di Dna studiati uno per uno, per caratterizzare aspetti che vengono nascosti da misure di insieme». (P. S.). GdB | Nov/dic 2021

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L’IDROGEL PER STUDIARE I TESSUTI TUMORALI IN VITRO I risultati della ricerca, condotta da studiosi del Cnr in collaborazione con l’Università di Maastricht, sono stati pubblicati su Carbohydrate Polymers

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na equipe costituita da studiosi dell’Istituto di nanotecnologia del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Nanotec) di Lecce, in collaborazione con i ricercatori dell’Università di Maastricht, ha condotto una ricerca che si è tradotta nello sviluppo di un gel ad elevato contenuto di acqua, quindi altamente biomimetico, in grado di mutare il suo stato fisico in virtù dell’aumento della temperatura dell’ambiente in cui si trova e che consente di studiare la crescita e lo sviluppo di tessuti tumorali in vitro con possibili applicazioni nell’ambi24 GdB | Nov/dic 2021

to della sperimentazione dei farmaci e della medicina personalizzata. La ricerca è stata pubblicata su Carbohydrate Polymers. Nella fattispecie, i ricercatori sono stati in grado di dimostrare come ottenere, attraverso la combinazione di due polimeri di origine naturale, vale a dire il chitosano e la pectina, un gel che si presenta in forma di soluzione a temperatura ambiente e che passa allo stato di gel aumentando con l’aumentare della temperatura al valore fisiologico di 37 gradi. Ricordiamo che il chitosano è un carboidrato, un polisaccaride otte-

nuto dall’esoscheletro (cioè lo scheletro esterno) dei crostacei, in particolare del granchio, dei gamberetti e dell’astice. La pectina è anch’essa un carboidrato appartenente alla categoria degli eteropolisaccaridi. Questi ultimi sono formati dall’unione di più monosaccaridi differenti. In natura la pectina costituisce un componente legante presente nelle pareti cellulari di piante e frutti. La quantità di questo agente collante dipende dal tipo di frutta. Francesca Gervaso, ricercatrice del Consiglio nazionale delle ricerche Nanotec e autrice dello studio, ha dichiarato: «Avere a disposizione materiali in grado di supportare la crescita di cellule tumorali per lungo tempo in strutture tridimensionali che ben mimano la matrice extracellulare dei tessuti biologici, è fondamentale per consentire di studiare i meccanismi che stanno alla base dello sviluppo di un tumore e arrivare a individuare terapie personalizzate sul paziente». Giuseppe Gigli, direttore del Consiglio nazionale delle ricerche Nanotec e coordinatore del Tecnopolo per la medicina di precisione, ha aggiunto: «Lo sviluppo di materiali altamente innovativi in grado di mimare le strutture biologiche sane e patologiche è uno dei nostri obiettivi primari. Grazie a tali modelli è possibile ricostruire in vitro microtessuti fisio-patologici che consentono di studiare i fenomeni che stanno alla base della genesi e della progressione di numerose patologie, compresi i tumori. In un prossimo futuro, riteniamo ragionevole ipotizzare che i modelli in vitro di tumore realizzati a partire da strutture tridimensionali biomimetiche, in combinazione con cellule provenienti dal paziente, possono costituire modelli fisiologicamente rilevanti per il test di farmaci prima della loro somministrazione sul paziente. Si tratta di un passo sicuramente importante nella direzione di una medicina sempre più personalizzata». (P. S.).


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l cervello dei mammiferi genera neuroni per tutta la vita, ad iniziare dalle cellule staminali neurali, in due aree specifiche chiamate nicchie neurogene: il giro dentato dell’ippocampo e l’area subventricolare. La produzione di neuroni influenza la memoria episodica, cioè la capacità di ricordare eventi personali e, di conseguenza, di pianificare azioni individuali future. La memoria episodica è immagazzinata nell’ippocampo, dove sono presenti circuiti molto conservati nella scala evolutiva. Un team di ricerca dell’Istituto di chimica biomolecolare del Consiglio nazionale delle ricerche di Pozzuoli, guidato da Luigia Cristino nell’ambito delle attività della Unità mista internazionale di ricerca con l’Università Laval (Quebec), diretta da Vincenzo Di Marzo, ha dimostrato nel modello murino che giovani adulti obesi vanno incontro ad alterazioni, nella struttura e nella funzione, dei circuiti dell’ippocampo e della capacità di assolvere determinati compiti cognitivi in modo ottimale. Lo studio, pubblicato su Nature Communications, rivela che una neurogenesi aberrante nel giro dentato è la causa della disfunzione della memoria episodica. Luigia Cristino ha spiegato: «Diversi fattori sono in grado di regolare la neurogenesi nella vita adulta. Il nostro studio ha identificato in particolare due molecole, il neuropeptide e l’endocannabinoide 2-arachidonoilglicerolo, come responsabili dell’alterazione della neurogenesi e del normale funzionamento del circuito della memoria episodica. E fornisce le basi anatomo-funzionali per i cambiamenti delle attività dell’ippocampo riscontrate con tecniche di neuroimagining in soggetti giovani adulti con elevato BMI (Body Mass Index) e ridotta capacità di formare e/o recuperare memorie episodiche. L’effetto si aggiunge alla crescente evidenza che i disturbi cognitivi, che accompagnano

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IL LEGAME TRA OBESITÀ E MEMORIA Una relazione tra neurogenesi e obesità può influenzare processi decisionali legati alle scelte alimentari

l’obesità, possono essere presenti all’inizio della vita adulta». I dati Oms dicono che 1,4 miliardi di adulti, cioè il 35% della popolazione mondiale, ha problemi di eccesso di peso, mezzo miliardo di persone adulte è obeso e si prevede che l’obesità infantile aumenterà del 60% nel prossimo decennio. «Questo scenario - ha proseguito Luigia Cristino - si prospetta inquietante alla luce del fatto che la memoria episodica, che si dimostra alterata nei soggetti obesi del nostro studio su modello animale, influenza i processi decisionali dell’individuo, nell’ambito del comportamento ma anche del-

le scelte alimentari. I dati di questa ricerca confermano che nell’equilibrio tra fame e sazietà, in una certa misura governato da segnali chimici quali ormoni, endocannabinoidi, neuropeptidi, anche i fattori psicologici svolgono un ruolo cruciale: si tende, infatti, a mangiare di più davanti allo schermo di un televisore, quando si è distratti e la memoria episodica è meno coinvolta». In altre parole, è possibile che il sovrappeso renda più difficile memorizzare cosa e quanto si è mangiato, paradossalmente aumentando la probabilità di eccedere nel cibo. (P. S). GdB | Nov/dic 2021

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Dal luglio 2017 al Milano Check Point è attivo un programma PrEP. Il Congresso ICAR ha analizzato i dati emersi dall’apertura a luglio 2021 per indagare l’associazione tra l’inizio della PrEP e il cambiamento nei comportamenti sessuali. I risultati parlano chiaro: nel periodo di assunzione di PrEP, il numero di rapporti non protetti è quasi raddoppiato, per poi stabilizzarsi nel medio-lungo termine ad un livello intermedio. Non risulta variato in modo significativo il numero di partner occasionali nel tempo. Per quanto riguarda le infezioni, sono state riscontrate sifilide, clamidia (asintomatica) e gonorrea (asintomatica).

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revenire l’HIV si può. Partiamo da questo assunto per dire che la scienza ha consentito negli ultimi anni grandi passi avanti contro il virus che determina l’AIDS. Sebbene non esistano infatti dei vaccini, la cosiddetta PrEP, ovvero la profilassi pre-esposizione, consente di evitare il contagio delle popolazioni più a rischio di contrarre la malattia. Si tratta, secondo i dati epidemiologici, soprattutto di Maschi che fanno Sesso con Maschi (MSM), donne ad elevato rischio, transgender e sex worker. La profilassi pre-esposizione può essere assunta in due modi: o in modalità continuativa, assumendo una pillola al giorno, oppure - soltanto per gli uomini e soltanto in Europa - on demand, al bisogno, cioè in presenza di un possibile episodio a rischio di acquisizione di HIV per via sessuale. Di questi temi si è discusso nel corso della 13esima edizione del Congresso ICAR - Italian Conference on AIDS and Antiviral Research, organizzato a Riccione sotto l’egida della Simit, Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali. Silvia Nozza, infettivologa presso l’ospedale San Raffaele di Milano, si è detta certa che un impiego massiccio della PrEP “farebbe scendere drasticamente i contagi da Hiv”, pur rimarcando la “difficoltà nell’accesso e nell’aderenza alla terapia”. A questa consapevolezza, però, si associa il rovescio della medaglia: la PrEP non mette al riparo da altre Infezioni Sessualmente Trasmesse (IST). Non è un caso, dunque, che eliminando altre protezioni si riscontri un aumento delle infezioni pari al 25% nei soggetti che fanno uso di PrEP, per quanto questo dato sia alimentato anche da un elemento fittizio, ovvero il fatto che coloro che hanno accesso alla profilassi svolgono con regolarità, ogni tre-quattro mesi, test a cui la popolazione generalmente non si sottopone. Barbara Suligoi, direttore del Centro Operativo dell’Istituto Superiore di Sanità, ha sottolineato come “spesso queste infezioni sono asintomatiche o paucisintomatiche, il che ne facilita la trasmissione inconsapevole, perpetuando la catena epidemica e facilitandone la diffusione”. Secondo i dati in possesso dell’Iss, in Italia il numero di casi acuti di IST è quasi duplicato negli ultimi 15 anni. “Le patologie più segnalate - ha proseguito la dottoressa Suligoi - sono i condilomi ano-genitali, la sifilide, l’herpes genitale e le infezioni da clamidia. La fascia di età più colpita è quella tra 25 e 44 anni. Secondo questi dati, nel 2019 solo la metà

delle persone a cui è stata diagnosticata una IST acuta è stato testato per HIV, e quasi l’11% di queste è risultato positivo (una prevalenza 40 volte più alta di quella osservata nella popolazione generale). Le percentuali più elevate sono state osservate in persone più di 45 anni (18%), in MSM (30%), in persone con sifilide primaria o secondaria (33%), gonorrea (16%) e uretrite da mycoplasma genitalium (14%)”. La dottoressa Nozza ha rimarcato l’importanza della prevenzione, sottolineando come evitare l’aumento dei contagi nelle popolazioni più a rischio rappresenti un caposaldo della strategia di contenimento dell’epidemia indipendentemente dai passi avanti registrati nelle terapie per l’HIV che investono farmaci antiretrovirali e anticorpi monoclonali. D’altronde i numeri sono chiari: la PrEP, secondo il CDC di Atlanta, impatta sul rischio assicurando una riduzione del 99% per quanto riguarda la trasmissione sessuale e dell’80% per la trasmissione endovenosa fra gli utilizzatori di sostanze stupefacenti. Se essa venisse impiegata a macchia d’olio, come dimostrano i casi di città come San Francisco, Londra e Sidney, i contagi da HIV subirebbero un calo drastico: un elemento decisivo visto che il 67% della popolazione che ne è affetta ha accesso alle cure, mentre il 33% non riesce a procurarsi i farmaci. Insieme alla dottoressa Nozza, anche Elena Bruzzesi, medico in formazione specialistica all’Università Vita e Salute San Raffaele, ha sottolineato come al netto delle sue potenzialità la PrEP fatichi ancora a riportare una diffusa implementazione sul territorio italiano. “Il problema principale nell’efficacia della PrEP hanno detto le studiose - è legato all’aderenza alla terapia. Si possono stimare attorno al 25% coloro che dopo aver intrapreso il percorso lo hanno abbandonato: alcuni casi sono dovuti alla fine del rischio di esposizione (ad esempio diventano monogami); in molti casi emerge anche un problema economico, visto che in Italia è a carico dei soggetti stessi senza alcun supporto statale, a differenza della maggior parte dei Paesi d’Europa dove c’è una piena rimborsabilità o un prezzo politico che la rende accessibile anche alle fasce più vulnerabili. Considerando che l’infezione da HIV in Italia ha maggiore incidenza tra i 25 e i 29 anni o anche nelle fasce più giovanili, si può comprendere la maggiore difficoltà ad accedere a un farmaco che ha un costo di circa 60 euro al mese”. (D. E.).


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HIV, LA PREP FUNZIONA MA CON IL ROVESCIO DELLA MEDAGLIA

Per chi utilizza la profilassi pre-esposizione senza ulteriori protezioni aumenta del 25% il rischio di contrarre altre malattie sessualmente trasmissibili

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IL PRIVILEGIO IMMUNOLOGICO DEL FOLLICOLO PILIFERO Esistono siti del corpo immunologicamente privilegiati dal resto del sistema immunitario Questo spiega il perché della mancata risposta all’introduzione di antigeni esterni di Biancamaria Mancini

I Bibliografia - Bertolini M et. Al. “Hair follicle immune privilege and its collapse in alopecia areata.” Exp Dermatol. 2020 Aug;29(8):703725. - Harries MJ et al. “The Pathogenesis of Primary Cicatricial Alopecias” The American Journal of Pathology Volume 177, Issue 5, November 2010, Pages 2152-2162

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l concetto di privilegio immunologico è nato più di un secolo fa in medicina quando, nel tentativo di effettuare allotrapianti, si osservò che il rigetto del tessuto trapiantato non avveniva se questo veniva posizionato in particolari siti anatomici. Se ne dedusse che esistono siti che presentano privilegi immunitari, ovvero sono in grado di tollerare l’introduzione di antigeni non self senza suscitare una risposta immunitaria infiammatoria. Le zone che non comportano rigetto da allotrapianto sono gli occhi, i testicoli, il sistema nervoso centrale e i follicoli piliferi in anagen. Evidentemente vi sono zone del corpo così preziose che non possono essere perse, e la natura ha selezionato un meccanismo per proteggerle dalla risposta immunitaria stessa. Sicuramente l’esempio più evidente di privilegio immunitario si verifica già nella relazione madre-feto. Ma come fanno queste regioni privilegiate a non subire la risposta immunitaria e a non determinare il fenomeno del rigetto? È stato scoperto che i loro antigeni interagiscono diversamente con le cellule T, nello specifico viene indotta attivamente una tolleranza, costituita in primo luogo da un mancato apporto linfatico locale che così limita l’infiltrazione locale del sistema immuni-

tario. Inoltre, in tali siti avviene la down regolazione dell’espressione del complesso maggiore di istocompatibilità, in particolare di MHC Ia con la conseguente diminuzione, o addirittura assenza, della presentazione degli antigeni (allo e auto-antigeni) ai linfociti T. Si osserva in concomitanza, la maggiore espressione di MHC Ib che inibisce l’attività dei linfociti Natural Killer, l’up regolazione delle molecole di superficie che inibiscono l’attivazione del complemento. Infine, si osserva la produzione in situ di potenti immunnosoppressori naturali, come il TGF-β. Tutto questo meccanismo porta chiaramente all’isolamento dei siti immunologicamente privilegiati dal resto del sistema immunitario e spiega il perché della mancata risposta all’introduzione di antigeni esterni. Capiamo bene dunque, come l’alterazione di questi meccanismi porta alla perdita del privilegio immunologico. Per quanto riguarda i capelli, il bulge del follicolo pilifero è stato di recente aggiunto alla lista crescente di aree circoscritte di tessuti umani che mostrano una complessa combinazione di meccanismi immunosoppressori. Dal momento che le cellule staminali epiteliali del follicolo risiedono proprio nella regione del bulge e sono il motore per avviare il nuovo anagen, è plausibile che il


meccanismo del privilegio immunitario protegga proprio questo distretto dai danni delle attività immunitarie nel momento delicatissimo del nuovo innesco di anagen, assicurando così la continua crescita e la ciclica rigenerazione del capello nel suo follicolo. La perdita del privilegio immunitario nel bulge del follicolo ha quindi un ruolo chiave nella patogenesi di alcune forme di alopecia, come l’alopecia areata/totale/universale e l’alopecia cicatriziale, patologie in cui il bersaglio immunitario diventa proprio il follicolo pilifero. Una crescente evidenza suggerisce che la distruzione delle cellule staminali del follicolo pilifero sia un fattore chiave nella perdita permanente dei follicoli e quindi delle nuove crescite come si assiste in queste condizioni patologiche dove la pelle diventa completamente priva di peli e capelli. In uno studio condotto dal ricercatore Harries presso l’università di Manchester, si sono analizzati tre casi clinicamente distinti di alopecia cicatriziale acquisita primitiva e si sono messe a confronto le analisi immunoistochimiche di biopsie di zone dello scalpo colpite rispetto a quelle di zone non colpite. In tale confronto sono stati utilizzati dei noti marcatori del privilegio immunitario. I risultati delle analisi hanno mostrato che tutti i casi presentavano un aumento dell’espressione dei principali complessi immunoistochimici di classe I e II e di beta2-microglobulina nelle regioni del bulge dei follicoli danneggiati rispetto a quelli non danneggiati. Lo studio ha portato quindi alla conclusione che alla base di tali patologie vi era stata proprio la perdita del privilegio immunitario del bulge e che questo aveva avuto un effettivo ruolo nella patogenesi dell’alopecia cicatriziale acquisita primitiva. La conoscenza dei meccanismi del privilegio Immunologico a livello del follicolo pilifero ci permette oggi di comprende quali sono realmente i meccanismi patogenetici di patologie autoimmuni come l’alopecia areata e l’alopecia cicatriziale primaria, prima considerate unicamente patologie causate da stress e/o psicosi. Lo studio e la comprensione di tali meccanismi aprono finalmente nuove prospettive terapeutiche in un campo dove ancora non c’è soluzione. Mi auguro inoltre, che questi studi possano essere a supporto per chi, oltre ad aver perso il privilegio immunitario follicolare e con esso la propria identità estetica, non perda anche il diritto di vedere riconosciuto il proprio stato come una vera e propria patologia invalidante da supportare e sostenere concretamente.

Esistono siti che presentano privilegi immunitari, ovvero sono in grado di tollerare l’introduzione di antigeni non self senza suscitare una risposta immunitaria infiammatoria. Le zone che non comportano rigetto da allotrapianto sono gli occhi, i testicoli, il sistema nervoso centrale e i follicoli piliferi in anagen. Evidentemente vi sono zone del corpo così preziose che non possono essere perse, e la natura ha selezionato un meccanismo per proteggerle dalla risposta immunitaria stessa.

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PELLE E MASCHERINE Come i dispositivi di protezione dal Covid-19 possono alterare le caratteristiche dell’epidermide di Carla Cimmino

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a pelle svolge molte funzioni per mantenere condizioni costanti in risposta a fattori esterni variabili come temperatura e umidità. Molti studi hanno riportato che gli sbalzi di umidità possono causare anomalie tali da aumentare la ruvidità della pelle, è stato infatti dimostrato che la temperatura della pelle aumenta a causa di un’elevata temperatura ambientale, aumentando così la perdita di acqua

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trans-epidermica (TEWL). Negli ultimi mesi, a causa della pandemia di COVID-19 e del suo alto rischio di infezione, l’uso di mascherine personali da parte del grande pubblico, spesso su base giornaliera, è aumentato in modo significativo. Sebbene le persone che indossano frequentemente mascherine spesso soffrano di problemi e disagi della pelle, mancano ricerche sugli effetti dell’uso a lungo termine delle mascherine personali sulle caratteristiche della pelle. In questo studio si è cercato di far luce sugli effetti dell’uso della mascherina e di come ha influenzato le caratteristiche della pelle durante la pandemia. Per lo studio sono stati selezionati 20 volontari coreani sani (11 maschi e 9 femmine); i soggetti non hanno utilizzato alcun farmaco sulla pelle del viso e il loro uso cosmetico è rimasto invariato. Lo studio è stato condotto in conformità con gli standard etici della Dichiarazione di Helsinki ed è stato approvato dall’Institutional Review Board. Le misurazioni della pelle sono state eseguite sull’area del viso in cui si indossa la mascherina all’inizio e dopo 6 ore di utilizzo. Le valutazioni di follow-up sono state eseguite a 1 e 2 settimane dopo l’utilizzo utilizzo della mascherina per 6 ore al giorno. Sono stati misurati utilizzando dispositivi con metodi non invasivi, otto parametri biofisici della pelle: temperatura,


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arrossamento, volume dei pori, consistenza, elasticità, TEWL, contenuto di sebo e pH. La temperatura della pelle è stata registrata utilizzando un termometro laser a infrarossi (Fluke® Corp., Washington, USA). È stato analizzato il volume complessivo dei pori e la media della rugosità della pelle (Ra) utilizzando rispettivamente un filtro medio e un filtro piccolo. L’elasticità della pelle è stata indicata come R2, R5 e R7 (elasticità cutanea lorda, netta e biologica, rispettivamente) ed è stata misurata utilizzando un Cutometer® MPA 580 (C + K electronic GmbH, Colonia, Germania). Il contenuto di sebo è stato misurato utilizzando un Sebumeter® SM815 (C + K electronic GmbH) per analizzare il livello di sebo assorbito su uno speciale nastro opaco utilizzando il principio della trasmissione della luce. I confronti statistici tra i risultati prima e dopo 6 ore di utilizzo della mascherina sono stati eseguiti utilizzando un test t appaiato o il test dei ranghi con segno di Wilcoxon. L’ANOVA a misure ripetute (confronto post hoc: correzione di Bonferroni) o il test di Friedman (confronto post hoc: test dei ranghi con segno di Wilcoxon con correzione di Bonferroni) è stato utilizzato per confrontare statisticamente i risultati tra 0, 1 e 2 settimane di utilizzo della mascherina. I valori di p < .05 sono stati

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Dopo una settimana di utilizzo della mascherina, si è evidenziata una differenza significativa nell’elasticità della pelle, ma non differenze significative nella temperatura della pelle, arrossamento, rugosità, TEWL, contenuto di sebo e pH.

considerati statisticamente significativi, mentre il livello di significatività statistica dell’analisi post hoc per confronti multipli dopo il test di Friedman è stato fissato a un valore di p < .017 (confronti 0,05/3). Dai risultati sono emerse: differenze significative nella temperatura della pelle, arrossamento, TEWL, contenuto di sebo e pH prima e dopo l’uso della mascherina. Dopo una settimana di utilizzo della mascherina, si è evidenziata una differenza significativa nell’elasticità della pelle, ma non differenze significative nella temperatura della pelle, arrossamento, rugosità, TEWL, contenuto di sebo e pH. Sono state osservate diverse differenze basate sul sesso nei tassi di cambiamento dei parametri biofisici della pelle dopo l’uso della mascherina. Il tasso di variazione della rugosità della pelle negli uomini e nelle donne dopo 2 settimane di utilizzo della mascherina è stato rispettivamente del 6,32% e del -2,39%, mostrando una differenza significativa (P <0,05). Non ci sono state differenze basate sul sesso nei tassi di cambiamento di tutti i parametri biofisici della pelle dopo un uso della mascherina di 1 settimana e nei tassi di cambiamento della temperatura della pelle, pori, elasticità, TEWL, sebo e pH dopo 2 settimane utilizzo della mascherina.In conclusione, l’uso di mascherine per un breve periodo ha portato ad un aumento della temperatura cutanea, arrossamento e TEWL e ha aumentato marginalmente il contenuto di sebo. L’uso di mascherine per 6 ore al giorno per un lungo periodo di tempo riduce l’elasticità della pelle e aumenta il volume dei pori e il numero di lesioni dell’acne. Inoltre, per quanto riguarda i cambiamenti della pelle causati dall’uso della mascherina, si sono evidenziate differenze basate sul sesso nell’elasticità della pelle, nel rossore e nella ruvidità. Pertanto, l’uso prolungato della mascherina, specialmente in circostanze come l’epidemia di COVID-19, può influire negativamente sulla pelle. Tratto da “Influence of quarantine mask use on skin characteristics: One of the changes in our life caused by the COVID-19 pandemic” di Jongwook Kim, Suji Yoo, Oh Sun Kwon, Eui Taek Jeong, Jun Man Lim, Sun Gyoo Park. GdB | Nov/dic 2021

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LA MEDICINA IN ETÀ ELLENISTICA Lo studio e il lavoro in ambito medico in epoca passata

di Barbara Ciardullo

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l merito dello studioso tedesco Gustav Droysen è stato quello di avere riscoperto nella prima metà dell’Ottocento il valore storico-socioculturale e scientifico del periodo, compreso tra la morte di Alessandro Magno (323 a.C.) e la conquista romana, dopo la battaglia di Azio (31 a.C.), dell’Egitto tolemaico. L’Impero di Alessandro Magno era immenso e toccava lontani territori situati nel Medio Oriente, in India e in Africa lungo le coste del Mar Mediterraneo: il termine ellenismo significa diffusione della lingua e della cultura greca in tutti i paesi conquistati. Due fasi contraddistinguono l’ellenismo: alto, che va dal 323 a.C. alla prima metà del II secolo a.C., e basso dalla seconda metà del secondo II secolo a.C. al 31 a.C., che designa il predominio e l’ingerenza di Roma. Il 323 a.C. è una data molto importante, perché alla morte di Alessandro Magno l’impero viene suddiviso, anche se non sempre pacificamente, tra i suoi generali diadochi in tre grandi regni ellenistici: Macedonia, che include la Grecia, l’Egitto, a Siria e, in ultimo, Pergamo. Presso le corti dei regni ellenistici la cultura diviene un importante strumento di controllo e di propaganda. Nascono, infatti, grandi centri di studio, musei e grandi biblioteche, dove assidua è la frequenza di tanti uomini di pensiero che, attraverso la ricerca filosofica, catalogano e studiano la produzione culturale del passato. Le più importanti biblioteche saranno quella di Alessandria d’Egitto, meta di incontri e dibattiti culturali tra uomini eruditi provenienti dai paesi più disparati, e quella di Pergamo. La cultura portata avanti presso le corti è sicuramente elitaria, ma è anche cosmopolita e, soprattutto, si affida

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alla scrittura: diventa quindi una cultura specialistica e sperimentale nei diversi campi del sapere, tendente all’enciclopedismo. Dopo l’annessione dei regni ellenistici a Roma, gli storici annotano che, nonostante la supremazia politica, economica e militare appartenga a Roma, quella culturale apparteneva ai Greci, essendo la lingua greca la più diffusa nel Mediterraneo ed è la lingua delle relazioni internazionali e dei contatti diplomatici. Per questo motivo molti intellettuali greci vengono portati a Roma come ostaggi da impegnare nella costituzione di un valido sistema pedagogico ma anche di un robusto sistema burocratico per dare forma ad una struttura capace di supportare e guidare la vita dello stato romano, oramai proteso nella sua politica imperialistica. E così la lingua greca diventa strumento di acculturazione per il mondo intellettuale romano che, col passare dei tempi, si appropria progressivamente della medesima tradizione greca. La biblioteca di Alessandria era come un polo universitario, dove operavano scienziati di ogni parte del mondo che, seguendo le norme aristoteliche, praticavano le dissezioni sugli animali e sugli uomini. Come ci tramanda la storia, l’Egitto fu una terra dove da millenni si svolgevano le pratiche funerarie durante le quali veniva fatta la dissezione del defunto per procedere alla sua mummificazione. Tale operazione significava che l’esame del cadavere non era inteso solo come dissezione ma anche momento fondamentale dell’attività del medico. Tante furono in seguito le scuole, tra cui quella empirica, secondo cui il medico doveva basare la sua ispezione visiva attraverso l’anamnesi, l’autopsia e la diagnosi. Non ebbe risultati brillanti, perché non era possibile fare una diagnosi così


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Acqua e igiene ai tempi della Roma imperiale

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accurata, data anche la scarsa conoscenza delle malattie. Il maggiore scienziato e medico di questo periodo, vissuto ad Alessandria d’Egitto (304 a.C-250 a.C.) è Erasistrato, il quale ha il merito di avere riconosciuto che le arterie sono dei vasi che trasportano sangue e non pneuma, come, invece, aveva teorizzato Aristotele. Inoltre, dà rilievo al concetto di temperatura del corpo e allo studio del polso, come contributi per evidenziare lo stato di salute dell’ammalato. Ad Alessandria nel campo della medicina ebbe importanza la scuola metodica, secondo cui il medico deve valutare le cose così come sono nella realtà ed osservare con attenzione lo stato fisico del malato. Grande importanza viene data allo studio dei pori: a seconda dell’apertura o chiusura dei pori, il medico era in grado di esprimere la presenza di una condizione di rilassatezza o di tensione. Perché i pori rimanessero aperti normalmente, l’ammalato doveva prestare attenzione all’uso del lavaggio, dell’igiene e della temperatura dell’acqua. Era di moda l’idea, arrivata fino al Medioevo, che l’acqua fosse una delle cause della chiusura dei pori, per cui l’igiene era abbastanza trascurata. Vedremo in seguito come a Roma l’acqua fosse considerata importante per l’igiene, ma essa doveva essere “guidata” attraverso la costruzione di acquedotti e terme onde evitare sprechi inopportuni.

La biblioteca di Alessandria era come un polo universitario, dove operavano scienziati di ogni parte del mondo che, seguendo le norme aristoteliche, praticavano le dissezioni sugli animali e sugli uomini. Come ci tramanda la storia, l’Egitto fu una terra dove da millenni si svolgevano le pratiche funerarie durante le quali veniva fatta la dissezione del defunto per procedere alla sua mummificazione. Tale operazione significava che l’esame del cadavere era anche momento fondamentale dell’attività del medico.

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ella Roma imperiale non solo esisteva un apparato fognario abbastanza valido ma altrettanto era anche il sistema idrico. In tutte le case, quelle dei ricchi e le case popolari, le cosiddette insulae, vi era l’acqua corrente che proveniva degli acquedotti, funzionanti ancora oggi, pieno ventunesimo secolo, come quello denominato Appio, simbolo di una Roma avanzata nella costruzione di strutture utili al vivere comune. Gli acquedotti erano dotati di tubi di piombo, materiale alquanto corrosivo e malleabile; a questo proposito, ci sono tramandate notizie che non sia stato il vino ma l’acqua insieme ai sali di piombo a causare una terribile malattia epidemica, chiamata saturnismo e a provocare il crollo dell’impero romano. Le indagini scientifiche esperenziali hanno definito tali notizie fandonie, dal momento che non era stata l’acqua inquinata ad originare il saturnismo, una malattia che aveva mietuto numerose vittime, ma il vino. Anzi l’acqua, che scendeva giù dai monti, e quindi, ricca di sali di calcio, combinandosi con i sali di piombo creava nei tubi un rivestimento abbastanza resistente e poco solubile. Il vino, invece, a causa della sua acidità, conteneva numerosi sali di piombo (acetato di piombo o zucchero di Saturno, che venivano utilizzati per controllare la fermentazione del mosto, alla stessa stregua del bisolvito, che viene usato oggi da tanti produttori. Nella Roma imperiale, inoltre, era assai importante ricorso alle erbe per la cura di eventuali malattie, ma il loro uso era praticato in modo empirico senza linee-guida; prima dell’età imperiale la medicina aveva come suo compito d’azione solo l’ambito familiare, in quanto il medico di famiglia era il pater familias che, esercitando potere assoluto sulla famiglia, portava avanti le sue conoscenze in modo empirico, anche se guidato da una sufficiente dose di razionalità. Il pater familias predicava, grazie alla presenza dell’acqua corrente, in modo continuo il ricorso al l’igiene per tenere lontano il proprio corpo da ogni tipo di inquinamento o contagio epidemico. E perché il problema dell’igiene fosse compreso definitivamente, il pater familias cominciò proprio allora a razionalizzare e praticare l’eliminazione dei rifiuti, dopo averli inzuppati con abbondante acqua, in buche scavate fuori dai centri abitati. Insieme agli acquedotti, i Romani durante l’età imperiale costruirono anche le Terme, stabilimenti annessi ad una sorgente termale di acqua calda, dotati di impianti adatti ad utilizzarla per scopi terapeutici e che ancora oggi sono tanti coloro i quali le frequentano per curare le proprie deficienze respiratorie.

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LA DIETA DELLE BALENE Mangiano più del previsto ed è un bene per salute dei nostri oceani di Giacomo Talignani

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olto più di quanto finora ci siamo immaginati. Comprendere la salute degli ecosistemi degli oceani passa anche da questa domanda: “Quanto mangiano le balene?”. Tre volte tanto quanto pensavamo finora, è la risposta. Una informazione che apre ad altri quesiti e nuove ricerche, per esempio sulla salute degli ecosistemi e la presenza di krill. Ma andiamo con ordine: una nuova analisi - realizzata da un team internazionale di scienziati guidati dall’Università di Stanford - è stata recentemente pubblicata su Nature e tenta di fare chia-

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rezza sui segreti dei giganti del mare. I ricercatori hanno infatti scoperto che i cetacei di grandi dimensioni, come balenottere e megattere, mangiano il triplo di quanto stimato finora. Una cattiva notizia per gli organismi marini? Niente affatto, il contrario: grazie al loro appetito le balene arricchiscono - tramite i loro escrementi -l’ecosistema marino. I cetacei studiati consumano prede per il 5 e il 30% della loro massa corporea. Per esempio, una balenot-


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tera del Pacifico settentrionale mangia in media 16 tonnellate di krill al giorno, una balena franca nordatlantica ingerisce 5 tonnellate di zooplancton. Si tratta di stime tre volte superiori a quelle precedenti. Queste enormi quantità di cibo ingerite, soprattutto krill, fanno sì che le balene siano paragonabili secondo gli esperti a delle sorta di Boeing737 che attraversa il mare rilasciando tramite escrementi miliardi di nutrienti e fertilizzanti, tra cui il ferro l’azoto e altre componenti decisive per il fitoplancton che, a sua volta, tramite fotosintesi contribuisce ad assorbire CO2. Matthew Savoca, l’autore principale dello studio dell’Hopkins Marine Station di Stanford, sostiene che «il calo più netto della biomassa di krill è stato osservato nelle aree in cui è stata uccisa la maggior parte delle balene». «Probabilmente le balene contribuivano alla produttività globale e alla rimozione del carbonio al pari delle foreste di interi continenti - ha aggiunto per esempio Nicholas Pyenson, curatore del Museo di Storia Naturale dello Smithsonian -. Ecco perché aiutare

Lo studio è stato condotto grazie a un notevole sforzo di mezzi, dati e competenze, dai droni per le misurazioni su circa 300 esemplari a tag e tecnologie Gps e ultrasuoni utilizzati per migliorare le ricerche. Il punto fondamentale dell’analisi riguarda la scoperta che i giganti dell’oceano hanno un ruolo decisamente determinante nel ciclo del carbonio: mettono in circolo nutrienti grazie alle feci supportando la presenza di fitoplancton e krill, innescando un circolo che contribuisce all’assorbimento della CO2 mitigando così gli effetti della crisi climatica. © Apple Pho /shutterstock.com

il ripopolamento delle balene può essere dunque una soluzione naturale per il problema climatico». «Questo studio mostra che i misticeti svolgono un ruolo molto più importante nel nostro ecosistema di quanto pensassimo - ha spiegato Sian Henley, scienziato marino dell’Università di Edimburgo -. Le informazioni raccolte ci dicono anche che dobbiamo migliorare la protezione e la gestione degli oceani su scala più ampia possibile, specialmente nell’Oceano Antartico». Proprio le acque dell’Antartide oggi ospitano diverse specie di balene, ma sono estremamente vulnerabili per via dell’impatto antropico che potrebbe danneggiare il krill di cui si nutrono i misticeti. L’Antartide è stato però uno dei territori più battuti nella caccia alle balene. Gli oceani al largo non sono infatti così pieni di krill come in altre zone: qui le balene furono quasi sradicate nel 1900 anche a causa dell’industria da olio di balena, impoverendo la presenza di nutrienti. Senza balene, senza feci con ferro e azoto, il processo che porta ad arricchire gli oceani di vita viene quindi fortemente danneggiato. Per fortuna, oggi le popolazioni di balenottere antartiche, le balenottere australi e balenottere minori, sono in aumento secondo alcune ricerche così come di megattere nell’Atlantico meridionale. Secondo Emma Cavan però, biogeochimica marina dell’Imperial College di Londra, soffermarsi sul fatto che «il numero di krill è diminuito solo perché il numero di balene è diminuito è una soluzione troppo semplice» che non rimarca i danni che cambiamento climatico e sovrapesca stanno facendo. La paura è che, finita la caccia nella maggior parte degli oceani del mondo, il surriscaldamento globale possa contribuire a ridurre le popolazioni di fitoplancton e mettere così in difficoltà il futuro delle balene.

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SVELATO IL MISTERO DELLA COLORAZIONE DEL PANDA GIGANTE Animale simbolo del WWF, è inconfondibile e rappresenta un’eccezione rispetto al marrone o al grigio della maggior parte dei mammiferi

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l panda gigante (Ailuropoda melanoleuca) è una delle specie animali più amate e conosciute. È un mammifero urside originario della Cina centrale e nel 1986 fu scelto dal pittore naturalista Sir Peter Scott come simbolo del World Wildlife Found (WWF) per diversi motivi: perché è un animale che ispira tenerezza, simpatia, dolcezza, perché è a rischio di estinzione ma anche perché si stampa facilmente in bianco e nero! La sua particolare colorazione a macchie bianche e nere lo rende inconfondibile e in natura rappresenta un’eccezione rispetto al marrone o al grigio pallido della maggior parte dei mammiferi. Nonostante la sua popolarità, la funzione e il significato evolutivo dei colori del panda gigante è sempre stata un mistero dal punto di vista biologico. Dell’enigma si sono occupati i ricercatori dell’Università di Bristol, dell’Accademia Cinese delle Scienze e dell’Università finlandese di Jyväskylä, che attraverso innovative tecniche di analisi delle immagini hanno dimostrato che la colorazione bicolore dei panda li rende inaspettatamente mimetici con l’ambiente in cui vivono e meno riconoscibili ai predatori soprattutto da lontano. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Scientific Reports. Il team internazionale ha analizzato rare

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fotografie dei panda giganti, scattate nel loro ambiente naturale, e ha scoperto che le loro macchie nere si fondono con le tonalità scure dei tronchi degli alberi, mentre quelle bianche si mimetizzano con le rocce e la neve, quando presenti. Inoltre, le piccole aree del mantello di colore marrone chiaro, spesso presenti tra il bianco della pelliccia, si abbinano al colore del terreno, fornendo una tonalità intermedia che colma il divario tra gli elementi molto scuri e molto chiari presenti nell’habitat naturale. Utilizzando sia modelli visivi umani, sia quelli di


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canidi e felidi, più simili ai potenziali predatori naturali dei panda, gli scienziati hanno dimostrato che il panda gigante è in realtà piuttosto ben mimetizzato. In seguito, i ricercatori hanno esaminato una seconda forma di mimetismo chiamata colorazione dirompente che funziona “rompendo” con colori contrastanti i contorni di un animale. Nel caso del panda gigante, i confini tra le grandi macchie bianche e quelle nere della pelliccia “rompono” i contorni del corpo dell’animale rendendolo meno riconoscibile soprattutto da lunghe distanze di osservazione. Infine, i ricercatori hanno utilizzato una nuova tecnica di mappatura dei colori per confrontarli con quelli di altri animali già noti per la loro capacità di camuffarsi con lo sfondo su cui si trovano. Questa analisi comparativa ha confermato che i colori criptici del panda gigante sono del tutto paragonabili a quelli di altre specie che sono abitualmente considerate come ben mimetizzate. Il Prof Nick Scott-Samuel della Scuola di Scienze Psicologiche di Bristol spiega: “Sembra che i panda giganti ci appaiano vistosi se guardati da vicino e/o su uno sfondo artificiale: quando li vediamo, sia nelle fotografie che allo zoo, essi sono quasi sempre vicini, e spesso su uno sfondo che non corrisponde al loro habitat naturale. A distanze intermedie, invece, il panda gigante è ben camuffato nel suo ambiente naturale, così come lo è da più lontano, grazie alla sua colorazione dirompente che lo nasconde ai predatori e gioca un ruolo cruciale per la sua sopravvivenza in natura”. (S. B.) GdB | Nov/dic 2021

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NANOPLASTICHE SULLE ALPI ARRIVANO DA FRANCOFORTE PARIGI E LONDRA Studio dell’Università di Utrecht. I ricercatori erano alla ricerca di particelle organiche nei campioni di neve, ma si sono imbattuti in materiali artificiali

di Sara Bovio

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ei pressi dell’area apparentemente incontaminata in cui sorge l’Osservatorio meteorologico di Sonnblick, a 3106 m di quota sulle Alpi austriache, un team di ricercatori olandesi ha trovato per la prima volta diversi tipi di nanoplastiche, piccoli frammenti di plastica che possono essere traportati per via aerea. Gli scienziati stavano cercando particelle organiche in campioni di neve e ghiaccio ma durante la loro analisi è emersa, a sorpresa, altro. Lo studio dell’Università di Utrecht prevedeva che i campioni fossero fatti evaporare tramite combustione per rilevare e analizzare i vapori generati da eventuali sostanze presenti. «Il nostro metodo di rilevamento è un po’ come un naso meccanico che, inaspettatamente, ha sentito nei campioni di neve l’odore di plastica bruciata», spiega Dušan Materić il ricercatore a capo del team. Il rilevatore ha segnalato la presenza di diversi tipi di materie plastiche, soprattutto polipropilene (PP) e polietilene tereftalato (PET) e grazie a questa identificazione il team ha scoperto un nuovo metodo in grado di rilevare la presenza di nanoplastiche. Le particelle di plastica individuate sono risultate di dimensioni inferiori a 200 nm, circa un

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centesimo della larghezza di un capello umano e significativamente più piccole delle particelle di plastica rilevate in studi precedenti. «Con questo metodo di rilevamento, siamo il primo gruppo a quantificare le nanoplastiche nell’ambiente», dice Materić. “Dal momento che la zona delle Alpi - prosegue il ricercatore - in cui sono stati prelevati i campioni è sicuramente una zona molto remota e incontaminata, siamo stati abbastanza scioccati e sorpresi di trovare in questi luoghi una così alta concentrazione di nanoplastiche”. Secondo gli autori dello studio, pubblicato su Environmetal pollution, è altamente improbabile che le nanoplastiche abbiano avuto origine nelle aree alpine incontaminate locali, e quindi, da dove arrivano? Per rispondere a questo quesito e approfondire ulteriormente i loro studi, gli scienziati hanno completamente stravolto il progetto iniziale di ricerca. I dati del Sonnblick sono regolarmente utilizzati nella ricerca e nel monitoraggio della qualità dell’aria su scala regionale e continentale. Utilizzando i dati meteorologici e le traiettorie a ritroso del movimento dell’aria, gli scienziati sono stati in grado di dedurre le regioni di origine e le vie di trasporto verso questa zona remota. I risultati


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del lavoro mostrano una correlazione sorprendente tra alte concentrazioni di nanoplastiche e i venti provenienti dalle principali città europee, in particolare Francoforte e la zona industriale della Ruhr (Germania), ma anche i Paesi Bassi, Parigi e persino Londra. «La modellazione avanzata supporta l’idea che le nanoplastiche siano effettivamente trasportate per via aerea da questi luoghi urbani», continua Materić. Ciò risulta potenzialmente allarmante, perché significa che potrebbero esserci hotspot di nanoplastiche finora sconosciuti nelle città in cui viviamo e nell’aria che respiriamo. Attualmente i ricercatori stanno studiando questo fenomeno in modo più dettagliato e Materić ha già ricevuto un ulteriore finanziamento dal Consiglio nazionale di ricerca dei Paesi Bassi (NWO) per studiare la distribuzione dimensionale delle nanoplastiche nell’aria interna, urbana e rurale. Secondo gli scienziati la maggior parte degli studi attuali si concentra sugli effetti negativi che le nanoplastiche causano negli organismi modello dopo aver ingerito una certa quantità di polimero. Tuttavia, c’è una crescente evidenza che una parte significativa dell’esposizione a micro e nanoplastiche potrebbe entrare nel corpo attraverso l’inalazione dell’aria. Mentre più dati stanno diventando disponibili sull’inquinamento urbano e remoto delle microplastiche, la concentrazione di nanoplastiche trasportate dall’aria non è stata ancora misurata nell’ambiente naturale, principalmente a causa delle sfide analitiche. Anche la dimensione degli aerosol gioca un ruolo importante per la loro tossicità. Piccole

Le particelle di plastica individuate sono risultate di dimensioni inferiori a 200 nm, circa un centesimo della larghezza di un capello umano e significativamente più piccole delle particelle di plastica rilevate in studi precedenti.

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particelle di dimensioni <1 μm possono penetrare in profondità nei polmoni, ma le particelle più grandi >10 μm sono probabilmente filtrate dal sistema respiratorio superiore. Quindi, le nanoplastiche possono penetrare in profondità nei polmoni (alveoli) e dato il loro piccolo diametro possono persino passare la barriera della membrana cellulare ed entrare nel flusso sanguigno. È assodato che l’inquinamento da aerosol influisce significativamente sulla salute umana, diminuendo l’aspettativa di vita fino a cinque anni nelle aree urbane. Il ritrovamento dei ricercatori olandesi di nanoplastiche sulle Alpi remote insieme alle misurazioni precedentemente pubblicate relative alla presenza di microplastiche in aree remote dimostrano che purtroppo esiste un inquinamento atmosferico su scala globale con questo tipo di contaminanti emergenti. Sulle Alpi italiane, infatti, non va meglio. Le microplastiche sono state ritrovate ad alta quota dai ricercatori dell’Università degli Studi di Milano Bicocca sul ghiacciaio dei Forni all’interno del settore lombardo del Parco nazionale dello Stelvio. Da altri recenti studi è emerso anche che ogni anno sulla sola Valle d’Aosta cadono assieme alla neve 80 milioni di particelle microplastiche, circa 25 chili di plastica. Insomma, con concentrazioni diverse a seconda delle altitudini, delle correnti, delle condizioni metereologiche e del tasso di urbanizzazione delle zone prossime ai rilievi, possiamo affermare che nevicano micro e nanoplastiche su tutto l’arco Alpino. GdB | Nov/dic 2021

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GREEN ECONOMY LE BUONE PERFORMANCE DELL’ITALIA Secondo la Relazione sullo stato della green economy, ha una buona produttività delle risorse (misurata in euro di Pil per kg di risorse consumate)

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unte di eccellenza unite a qualche ritardo. Promossi, ad esempio, in economia circolare, però sulle rinnovabili dobbiamo ancora crescere, migliora il mercato della mobilità elettrica, ma le emissioni risalgono dopo la discesa del 2020. A descrivere l’economia verde nel nostro Paese è l’annuale “Relazione sullo stato della green economy” a cura di Edo Ronchi, scritta con il supporto tecnico della “Fondazione per lo sviluppo sostenibile” che presiede. Nel 2020 l’Italia ha conquistato il primo posto fra i cinque principali Paesi europei per produttività (valutata in euro di Prodotto interno lordo per kg di risorse consumate), con 3,7 €/kg, davanti a Francia Germania, Spagna e Polonia. Due anni fa il nostro Paese ha riciclato quattordici milioni di tonnellate provenienti dai rifiuti urbani, il 51% dei rifiuti generati, seconda in Europa dopo la Germania. Stessa posizione, stavolta dopo

la Francia, per il tasso di utilizzo circolare dei materiali, il quale misura il grado d’impiego riguardo a ciò che ricicliamo all’interno dell’economia in relazione all’uso complessivo di materie prime. Il consumo da fonti rinnovabili è stato di 21,5 Mtep (megatep, cioè oltre ventuno milioni di tonnellate equivalenti di petrolio), 0,4 Mtep in meno del 2019; le rinnovabili termiche hanno sfiorato i 10,1 Mtep, meno del 2008; quelle nei trasporti sono state 1,3 Mtep, stesso valore del 2019 e più basso del 2012. Le elettriche sono cresciute solo di un TWh (+1% terawattora) e sono stati installati 800 MW (megawattora) di nuovi impianti. Per annullare il distacco con l’obiettivo europeo, rimarca la relazione, dovremmo avere perlomeno seimila MW annui per i prossimi dieci anni. I consumi primari energetici si sarebbero ridotti del 9,2% rispetto all’anno precedente: un abbassamento che segue quello del Pil (-8,9%), confermando che la

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diminuzione dei consumi di energia sia da ricercare nella crisi legata alla pandemia. Le emissioni di gas serra sono diminuite di circa il 9,8%, grazie alle restrizioni legate al Covid-19, ma nel 2021 tornano a prendere quota, si stima del 6%, non onorando in tal modo il valore del Green Deal nel quale la ripresa deve avvenire senza crescita di emissioni. Se l’Italia rispettasse la riduzione voluta in ambito europeo del 55% al 2030, dovrebbe diminuire le proprie entro il prossimo decennio del 26,2, riducendole del 2,6% all’anno. Il prezzo di un mancato occhio di riguardo verso l’ambiente lo paghiamo con gli eventi estremi connessi ai cambiamenti climatici: sono stati quasi 1.300, nel 2011 non raggiungevano i 400. Insieme agli altri Paesi del bacino mediterraneo, continuiamo ad essere uno dei più esposti al “meteo impazzito”. Ci manteniamo, inoltre, su una crescita della temperatura media più che doppia in relazione all’andamento globale: quasi 1,7°C rispetto all’inizio degli anni ‘80, del secolo scorso, contro una media globale di +0,7°C. La vendita di nuove auto è calata del 28% rispetto al 2019, anche se la riduzione sembra poter rientrare nell’anno che sta per concludersi. Ininterrotto il declino nelle vendite delle auto diesel (dal 53% del 2017 al 33% del 2020) e a benzina (dal 44% del totale immatricolato del 2019 al 38% dell’ultimo anno). Procedono con un passo diverso le alimentazioni alternative (Gpl/metano, ibrido, elettrico sia full electric sia plug-in) che rap-

Le superfici coltivate con metodo biologico a fine 2019 interessano 1.993.236 ettari, con un incremento di circa il 2% rispetto all’anno precedente e del 78,9% rispetto al 2010. La Sicilia è ancora la regione con la maggiore estensione in valore assoluto (370.622 ettari, ma nel 2018 erano 385.356), seguita da Puglia (266.674), Calabria (208.292) ed Emilia Romagna (168.525). Le quattro regioni raggiungono insieme quasi il 51% della superficie biologica complessiva. Le coltivazioni sono particolarmente diffuse nelle regioni del Centro (con una media del 21%) e del Sud (20,4%). © Fotokostic /shutterstock.com

presentano quasi il 30% del nuovo parco veicoli immatricolato. L’ascesa delle alimentazioni alternative è dovuta alla preferenza degli italiani per le ibride, che sorpassano Gpl e metano. Le auto elettriche sono triplicate in un anno, dalle 17 mila unità del 2019 alle 60 mila del 2020, dallo 0,9% al 4,3% del mercato. Siamo, però, ancora lontani dall’avere sei milioni di auto elettriche nel 2030. Brutte notizie dal consumo del suolo. Il territorio nazionale si trasforma rapidamente, poiché le nuove coperture artificiali hanno riguardato altri 56,7 kmq in media. Siamo il Paese europeo, oltre a ciò, che preleva la maggiore quantità d’acqua dolce ad uso potabile da corpi idrici superficiali o sotterranei e al secondo posto per valori di prelievo pro-capite. A consolarci ci pensa l’agricoltura: nonostante una leggera contrazione, ha confermato il proprio primato europeo. Continua a crescere il settore biologico, a inizio 2020 interessava pressoché due milioni di ettari, circa il 15% della Sau (Superficie agricola utilizzata), + 78,9 % rispetto al 2010. Secondo la strategia Farm to fork nel 2030 il biologico deve interessare almeno il 25% della superficie agricola Ue. L’Italia è leader in Europa anche per il numero di prodotti DOP (Denominazione d’origine protetta), IGP (Indicazione geografica protetta), STG (Specialità tradizionale garantita). Nell’ultimo decennio la distribuzione di fertilizzanti è diminuita leggermente (-1,3%), quella di prodotti fitosanitari si è ridotta in maniera più considerevole (- 6,5%), ma le emissioni di gas serra del settore agricolo non sono state ridimensionate. (G. P.).

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petta all’Italia, dopo tanti trionfi sportivi e non solo, anche il primato europeo nel riciclo della carta da macero. Abbiamo superato con quindici anni d’anticipo e per la prima volta l’obiettivo europeo dell’85% fissato per il 2035, fermandoci all’87,3% nel 2020. In un settore che ha risentito, inevitabilmente, della crisi pandemica, i seicento impianti di riciclo presenti sul territorio nazionale hanno prodotto 6,8 milioni di tonnellate di carta, aumentando del +3,2%, la produzione di materia prima rispetto all’anno precedente. Dalla lettura dell’ultimo rapporto di Unirima, l’Unione nazionale imprese recupero e riciclo maceri, veniamo a sapere che la produzione di carta è effettuata per il 58% mediante fibre ottenute dal riciclo, con l’impiego di circa 4.960.000 tonnellate su un totale di 8.535.409. Le nostre cartiere hanno anche importato pressappoco 247.000 tonnellate di materiale per un totale complessivo di 5,2 milioni impiegate nella produzione di nuove bobine. La produzione cartaria è calata del 4,1%, passando da 8,9 milioni di tonnellate nel 2019 a 8,53. Il 56% dei quantitativi prodotti è composto dagli imballaggi, mentre il 44% da altre tipologie, ad esempio, carte grafiche oppure per usi igienico-sanitari. Riguardo ai primi, la doman-

da è stata potenziata dal dilagare degli acquisti on-line e delle consegne a domicilio. La raccolta differenziata comunale è stata di quasi 3.495.000 tonnellate, in calo dello 0,5% rispetto al 2019, con 57,2 chilogrammi per abitante. Il 51% della raccolta proviene dal Nord Italia, il 23% dalle regioni del Centro e il restante 26% da Sud e Isole. Il Mezzogiorno si segnala per le cifre in crescita negli ultimi anni e grazie a

CRESCE IL SETTORE DEL RICICLO DELLA CARTA DA MACERO Il tasso di riciclo degli imballaggi di carta in Italia ha superato con 15 anni di anticipo e per la prima volta l’obiettivo europeo dell’85% fissato per il 2035, attestandosi nel 2020 all’87,3% 42 GdB | Nov/dic 2021


Ambiente © Cienpies Design/shutterstock.com

340.000 tonnellate raccolte, compensa la flessione delle regioni settentrionali. «La crisi climatica e ambientale impone al nostro sistema-Paese di considerare la transizione ecologica come una priorità non più rinviabile. Il Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza ndr) pone le condizioni strutturali per fare del settore del recupero e riciclo dei materiali il fulcro di una nuova stagione industriale circolare. Il raggiungimento, con 15 anni di anticipo, degli obiettivi europei in terminidi riciclo di carta, da parte delle imprese del comparto - il Presidente di Unirima, Giuliano Tarallo - rappresenta in questo contesto un’eccellenza italiana che detta la rotta all’intero settore dell’economia circolare. Per liberare le enormi potenzialità dell’economia green il nostro Paese si troverà a breve di fronte alle sfide di garantire la competitività di mercato e la rapida implementazione dei progetti di investimento, in particolare per l’ammodernamento degli impianti esistenti». Su 6,77 milioni di tonnellate di carta raccolte, 1,8 milioni sono state esportate nei mercati esteri, di cui più o meno la metà verso il mercato europeo. Tuttavia, tra 2019 e 2020, sia import che export hanno avuto una contrazione, rispettivamente pari al 20,6% e allo 0,2% per l’export. Le cause, in entrambi i casi, sono da addebitare al rallentamento dell’economia e

Gli impianti che ricevono rifiuti di carta e cartone da raccolta comunale sono 369 e la distanza media dai bacini è approssimativamente sedici chilometri. Per quanto riguarda le 55 cartiere italiane che lavorano con la carta da macero, la loro localizzazione non è omogenea, perché a farla da padrone sono il Nord Italia, dove è situato quasi il 56% del totale (inclusa una cartiera nella Repubblica di San Marino) e il Centro, con il 31%. Nel Sud e isole c’è una evidente carenza, con solo 7 strutture, di cui: 2 in Abruzzo, 2 in Campania, 1 in Sicilia e 2 in Sardegna. Nessuna, dunque, in Calabria, Puglia, Basilicata e Molise. In quest’anno che sta per concludersi, infine, è stato stimato un incremento di circa il 3% per la carta che potrà essere recuperata. © Siwakorn1933 /shutterstock.com

alle diverse chiusure legate all’emergenza sanitaria a livello mondiale. L’India, per esempio, dopo aver registrato una crescita dell’import del 100% tra 2017 e 2019, passando da 3,3 milioni a 6,6 milioni di tonnellate, ha avuto un calo del 9% tra 2019 e 2020. La decisione d’introdurre un limite di contaminazione dell’1% a partire da gennaio 2020 sui maceri importati ha portato alla restituzione ai Paesi d’origine di diversi carichi non conformi. Sono fortemente ridotte le importazioni di maceri della Cina. I quantitativi, infatti, si sono caratterizzati per il segno meno da 28,5 milioni di tonnellate nel 2016 a 6,9 milioni di tonnellate nel 2020 (-76% nel periodo). La discesa è destinata ad intensificarsi ulteriormente dopo decisione del governo di bloccare completamente l’import di rifiuti dal primo gennaio 2021. L’obiettivo dei cinesi è potenziare la propria raccolta differenziata insieme con il settore del recupero. Gli Stati Uniti si attestano come i primi esportatori a livello globale, a dispetto di una riduzione dei volumi. La Francia ha segnato un calo del 6,4% delle esportazioni, passate da 2,43 milioni di tonnellate nel 2019 a 2,3 milioni di tonnellate nel 2020. I tedeschi, differentemente da Francia e Regno Unito, sono importatori netti di maceri, poiché hanno accresciuto negli anni la loro capacità di trattamento. Tra 2019 e 2020, il mercato germanico ha subito un calo del 7,5% nelle importazioni, che hanno raggiunto 4,25 milioni di tonnellate e del 15,6% nelle esportazioni, ferme intorno a 1,99 milioni di tonnellate. Le già ricordate importazioni italiane sono state superate dalle esportazioni arrivate a 1,81 milioni di tonnellate. Più della metà di esse sono avvenute con il mercato asiatico. In particolare, l’Indonesia è stata la destinazione principale. Nel Paese, infatti, è andato il 32% dell’export italiano, 573.192 tonnellate. Al secondo posto troviamo l’India, con 259.360 tonnellate seguita da Turchia e Germania (ciascuna con una quota del 9%), Austria (6%) e Thailandia (4%). La Cina, a partire dal 2017, ha visto un forte ridimensionamento dei quantitativi importati dal mercato italiano, fino ad avere, nel 2020, una quota irrisoria. Nei primi sei mesi del 2021 la musica non cambia: troviamo prima l’Indonesia (280.441 t), seguita da Germania (82.869 t) e India (71.699 t). (G. P.). GdB | Nov/dic 2021

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MOBILITÀ IN ITALIA CRESCE L’ELETTRICO

Oltre il 30% delle nuove immatricolazioni è green. Le ibride sorpassano quelle a Gpl-metano e le elettriche sono triplicate in un solo anno, dalle 17mila unità del 2019 alle 60mila nel 2020

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l motore del cambiamento, che passa per un futuro verde e la lotta alle emissioni contro il surriscaldamento, è sempre più elettrico. In Italia, come in altri stati europei, sta infatti crescendo l’acquisto delle auto elettriche, a basse emissioni, che entro i prossimi 10-20 anni dovranno gradualmente sostituire gli attuali mezzi a benzina o diesel. Secondo alcune ricerche presentate durante la fiera di Ecomondo a Rimini, come quella del Consiglio nazionale della green economy, le alimentazioni alternative (Gpl, metano, ibrido, elettrico) nel 2020 hanno infatti rappresentato quasi il 30% dei nuovi veicoli immatricolati in Italia. Le auto ibride sorpassano addirittura quelle a Gpl-metano e le elettriche sono triplicate in un solo anno, dalle 17 mila unità del 2019 alle 60 mila circa immatricolate nel 2020, con stime di altri report che parlano nel 2021 di un totale di 200mila auto elettriche che circolano nello Stivale. Nonostante i segnali incoraggianti e gli sforzi fatti, anche in termini di colonnine di ricarica e infrastrutture, siamo però ancora lontani dai target europei e dagli obiettivi del Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (Pniec) di 6 milioni di auto elettriche nel 2030. Se in generale nel 2020 la vendita di auto nuove è calata del 28% rispetto all’anno precedente, la contrazione più importante riguarda i veicoli diesel e benzina, ormai considerati il “passato”: si parla di cali di vendite negli ultimi due anni intorno al 30-40% per quelle alimentate con combustibili fossili. Secondo stime dello Smart Mobility Report 2021 oggi in Italia circolerebbero circa 200mila

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veicoli elettrici, il doppio rispetto al 2020 (in cui ne sono state immatricolate circa 60mila). Un boom registrato soprattutto tra gennaio e settembre 2021 con una crescita impressionante, anche se gli sforzi per una mobilità a emissioni zero al 2050 appaiono ancora lontani dall’ arrivare a un punto di svolta. «I numeri hanno subìto un’impennata, potremmo immaginare di trovarci ad un punto di svolta, ma ancora non basta, poiché uno sviluppo di mercato inerziale, in linea con l’attuale trend di crescita, ci porterebbe al 2030 a disporre di circa 4 milioni di veicoli elettrici, ben al di sotto degli obiettivi del Pniec» ha raccontato ai media Simone Franzò, direttore dell’Osservatorio Smart Mobility dell’Energy & Strategy Group della School of Management del Politecnico di Milano. «Un’azione di policy più decisa, coerente con gli obiettivi di decarbonizzazione comunitari e supportata dalle iniziative degli operatori di mercato ci permetterebbe invece di arrivare fino a 8 milioni di auto elettriche sulle strade, con un volume d’affari associato di 245 miliardi di euro. Senza contare un calo di emissioni di CO2 del 42% secondo le nostre simulazioni, che ipotizzano il rispetto delle soglie emissive stabilite dalla UE e la parziale dismissione dei mezzi più inquinanti» ha precisato. In termini di acquisto dell’elettrico, che cresce così come l’ibrido, a trainare il cambiamento nelle vendite sembra oggi il Nord (67%), seguito dal Centro (26%) e dal Sud (7%), percentuali che rispecchiano oggi anche la diffusione e presenza delle infrastrutture di ricarica, più presenti al nord


che al sud. A luglio 2021 si contavano circa 21.500 punti di ricarica (+34% rispetto a un anno prima) soprattutto in Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Toscana, Trentino Alto Adige, Lazio e Veneto. Come numeri di colonnine e sistemi di ricarica, siamo al quinto posto in Europa. Secondo gli analisti, il trend dell’elettrico cresce oggi grazie all’attenzione a più fattori, dalla generale sensibilità verso le politiche green al potenziamento degli incentivi all’acquisto e i vari Ecobonus. Fra i problemi che frenano l’espansione ci sono però, oltre a un sistema di infrastrutture ancora non così potenziato, i prezzi: molti consumatori (il 70% secondo sondaggi di mercato) sono spaventati da spese iniziali troppo alte per procedere all’acquisto dell’elettrico. In attesa di prezzi più abbordabili, piani flat per la ricarica e mentre si sviluppano i primi motori elettrici con batterie da materiale riciclato, esaminando i trend attuali l’Osservatorio Smart Mobility ha intanto tracciato tre possibili scenari sul futuro della mobilità italiana: nel primo al 2030 non si supererebbero i 4 milioni di veicoli elettrici circolanti e aumenterebbero del 32% le auto ad alimentazione alternativa (metano e Gpl); nel secondo i mezzi elettrici sarebbero 6 milioni (oltre il 16% del parco circolante e il 55% delle nuove immatricolazioni), come chiede il Pniec; mentre nel terzo già nel 2025 i mezzi elettrici sarebbero oltre 2 milioni per arrivare nel 2030 addirittura a 8 milioni (il 20% di tutte le auto su strada). Il giro d’affari legato all’elettrico viene stimato

Secondo ricerche presentate alla fiera di Ecomondo a Rimini, le alimentazioni alternative (Gpl, metano, ibrido, elettrico) nel 2020 hanno infatti rappresentato quasi il 30% dei nuovi veicoli immatricolati in Italia

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fra i 35 miliardi di euro al 2025 sino a 64 milioni al 2035. A frenare gli entusiasmi però, recentemente, l’organizzazione no profit Transport & Environment (T&E) ha ricordato che gli obiettivi europei di decarbonizzazione per il settore automotive sono ancora troppo poco ambiziosi e potrebbero portare a una frenata negli acquisti dell’elettrico se non implementati. Serve dunque una maggior “ambizione” e spinta da parte dell’Europa per tentare di modificare gli attuali trasporti che, per esempio in Italia, sono responsabili di 104 milioni di tonnellate di CO2 equivalente all’anno. (G. T.).

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ome ogni cosa, dipende dal punto di vista. Se la si guarda da quello per la salute del Pianeta e il futuro dell’umanità, potrebbe sembrare decisamente un accordo al ribasso, una intesa per molti aspetti deludente, priva di soluzioni drastiche per il bene della Terra. Se invece la si osserva dal punto di vista della diplomazia e la politica, quella che ha visto partecipare oltre 200 Paesi ognuno con i suoi singoli interessi e necessità, può apparire come un primo compromesso in attesa di una azione più importante. Il punto è proprio questo però: l’attesa non esiste, perché non c’è più tempo. Bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, la Cop26 di Glasgow, la Conferenza sul Clima delle Nazioni Unite, dopo due settimane di negoziati si è conclusa in Scozia lasciando sia l’amaro in bocca per scelte che potevano essere prese ma non sono giunte a conclusioni, sia la speranza per quello che è il maggior risultato raggiunto: un’intesa per mantenere la Terra sotto il grado e mezzo di riscaldamento. Le decisioni principali prese nel summit britannico riguardano appunto l’impegno a mantenere la temperatura sotto i +1,5° e per farlo viene fissato un obiettivo minimo di decarbonizzazione

entro il 2030: un taglio del 45% delle emissioni di CO2 rispetto ai livelli del 2010. Altra soglia è la metà del secolo, quando bisognerà arrivare a zero emissioni nette. Fra gli altri risultati importanti, l’intesa prevede che ogni paese aggiorni nel 2022 i propri piani per la decarbonizzazione, chiamati Nationally Determined Contributions (NDC), un passo in avanti rispetto a prima quando dovevano essere rivisti ogni cinque anni, mentre da ora in poi invece la revisione avverrà ogni anno. Fondamentale, tra gli impegni annunciati, anche l’intesa tra Usa e Cina, potenze economiche fra i principali inquinatori al mondo, che promettono collaborazione in termini di tagli alle emissioni e perdita di ecosistemi. Vittoria, al summit, anche per la questione metano: per la prima volta è stata dichiarata una specifica attenzione su questo gas serra più nocivo della CO2 e diversi paesi si sono impegnati nella riduzione. Inoltre, pro-

“COMPROMESSO POSITIVO” O INTESA “DELUDENTE” Cosa si è deciso alla conferenza sul clima della Nazioni Unite, la Cop26

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mossa una accelerazione sull’installazione e l’uso di fonti di energia rinnovabile proprio per contrastare l’uso di quelle fossili. Altre conquiste sono poi la spinta per il mercato globale delle emissioni di carbonio e l’impegno di 134 paesi (fra cui Brasile, Russia e Cina) a fermare la deforestazione entro il 2030. Se questi sono i lati “positivi” dell’intesa di Glasgow, che hanno comunque un peso importante nel disegnare il futuro, per associazioni ambientaliste, giovani, leader dei paesi più poveri e vulnerabili e centinaia di politici e analisti, a preoccupare sono però gli aspetti negativi dell’accordo raggiunto. Quello che manca è soprattutto un impegno drastico, netto e programmato per l’addio ai combustibili fossili. Ci si aspettava, dal vertice, un impegno condiviso per la decarbonizzazione, più ambizioso dei precedenti, ma sul cammino per tagliare le emissioni si è abbattuta la questione carbo-

Un segnale - negativo - sulla strada della decarbonizzazione. Altro aspetto molto criticato è quello dei finanziamenti: ci si aspettava ad esempio cifre e date precise per i finanziamenti del fondo che dovrebbe garantire 100 miliardi di dollari l’anno in aiuti per la transizione ecologica, l’adattamento e la mitigazione, dai paesi più ricchi ai paesi più vulnerabili: invece sono arrivati solo dei rinvii al 2024. Infine, uno dei punti più deludenti, è stata una mancata e specifica presa di posizione sul fondo “Loss and damage”, quello su perdite e danni legati alla crisi climatica, destinato soprattutto ai paesi più poveri. © nexusby /shutterstock.com

ne. Con la Cina che ha fissato molto in là i suoi impegni a decarbonizzare (2060), l’India - paese con una economia attuale improntata sulle fossili - ha annunciato l’addio a questi combustibili non prima del 2070 e nelle ultime ore dei negoziati si è messa di traverso proprio sul tema carbone. Inizialmente nel testo dell’accordo doveva essere inserito il passaggio sull’”eliminare gradualmente l’uso del carbone” ma l’India ha spinto e ottenuto che nell’accordo finale si parlasse soltanto di un generale impegno di “riduzione” del carbone ma non appunto la parola “eliminazione” come avrebbero voluto molti Paesi. “Purtroppo è finita come mi aspettavo - ha raccontato Greta Thunberg, commentando i risultati della Cop26 con amarezza, sentimento che accomuna il mondo dell’attivismo e delle associazioni ambientaliste -. Ci sono tanti piccoli passi in avanti ma il documento può essere interpretato in tanti modi. E’ molto, molto vago. Non c’è garanzia che raggiungeremo l’accordo di Parigi. Anche se possiamo aver fatto qualche piccolo progresso, dobbiamo ricordare che la crisi climatica è questione di tempo, è una crisi accumulativa, e finché facciamo piccoli passi perdiamo”. Parole che seguono quelle di un primo “è stato solo bla bla bla”, come reazione netta al mancato taglio drastico alle fonti fossili. Greenpeace parla di “delusione” mentre il Wwf, nonostante riconosca i progressi fatti, sostiene che c’è ancora molto da fare per aiutare davvero il futuro della Terra. Critico in parte sull’accordo anche il segretario delle Nazioni Unite Antonio Guterres che lo ha definito “un compromesso” che non dimostra “abbastanza determinazione politica per superare alcune delle sue contraddizioni più profonde”, mentre per Alok Sharma, presidente della Cop26, c’è soddisfazione per la maggior parte degli impegni ma anche insoddisfazione per ciò che non si è ottenuto. “La storia è stata fatta qui a Glasgow - ha detto - capisco la delusione, ma ora è vitale proteggere questo pacchetto”. Il prossimo appuntamento è per la Cop27, in Egitto, fra un anno: dodici mesi che sembrano pochi, ma sono tantissimi per tentare fin da subito di invertire la lotta al surriscaldamento. (G. T.).

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Ambiente

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l riuso delle acque reflue in agricoltura rappresenta un aspetto rilevante di economia circolare, soprattutto nel nostro Paese che, secondo i dati ARERA, si colloca in Europa subito dopo la Norvegia per i prelievi pro-capite di acqua dolce per i servizi pubblici, di cui il 50% per uso agricolo», ha così commentato Roberto Morabito, direttore del dipartimento Enea di Sostenibilità dei sistemi produttivi e territoriali, a margine della Fiera internazionale di Ecomondo/Key Energy svoltasi a Rimini a fine ottobre. Nell’occasione, Enea ha presentato una piattaforma per il riuso in agricoltura delle acque reflue depurate e un incubatore tecnologico per lo sviluppo di una filiera nazionale dell’idrogeno. Il prototipo hi-tech per il riuso delle acque reflue è stato sviluppato da Enea e Università di Bologna, in collaborazione con Gruppo Hera e Irritec nell’ambito del progetto Value Ce-In, una iniziativa di ricerca industriale coordinata dal Laboratorio Enea per l’Ambiente e finanziata dalla Regione Emilia-Romagna per valorizzare l’intera filiera di trattamento delle acque reflue da abitazioni e industrie e dei fanghi di depurazione, in ottica di economia circolare e di simbiosi industriale. La piattaforma sperimentale, in funzione presso il depuratore Hera a Cesena, acquisisce le informazioni sulla qualità delle acque trattate e sulle esigenze idriche e di fertilizzazione di un terreno sperimentale coltivato ad arbusti e ortaggi, su cui vengono fatte affluire, con sistemi irrigui di precisione, le acque depurate nell’impianto Hera. Sempre nell’ambito della Fiera di Rimini, Enea ha presentato il progetto Hydrogen Demo Valley, un incubatore tecnologico nazionale finanziato dal Ministero della Transizione Ecologica, che sta nascendo nel Centro Ricerche Enea Casaccia,

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L’UTILIZZO DELLE ACQUE REFLUE IN AGRICOLTURA Presentati da Enea, alla Fiera Key Energy, il prototipo hi-tech per il riuso delle acque reflue e il progetto Hydrogen Demo Valley

di Pasquale Santilio vicino Roma. La ricerca riguarderà l’intera filiera dell’idrogeno, quindi, dalla produzione alla distribuzione, dall’accumulo agli usi finali, in collaborazione con aziende, associazioni di categoria, enti di ricerca e università. Ora, l’idrogeno verde può essere ottenuto da diverse fonti di energia rinnovabile come eolico e fotovoltaico; la piattaforma di ricerca Enea consentirà la sperimentazione di nuove tecnologie legate, ad esempio, allo smaltimento dei rifiuti (biomasse residuali), al recupero di sottoprodotti industriali e al calore rinnovabile ad alta temperatura ottenuto in impianti solari a concentra-

zione. All’interno dell’incubatore potrà essere utilizzato idrogeno puro e in miscela per la produzione di energia elettrica, saranno messe a punto miscele idrogeno-metano da immettere in una pipeline interna dedicata di distribuzione del gas e realizzato un “idrogenodotto” locale per il trasporto di idrogeno puro in pressione da utilizzare a seconda della domanda delle utenze. Tra le possibili applicazioni c’è anche il “Power to Gas” per lo stoccaggio e la distribuzione dell’idrogeno prodotto dall’energia elettrica generata da fonti rinnovabili, che agisce come raccordo tra produzione e utilizzo. GdB | Nov/dic 2021

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Innovazione

LA RADIOLOGIA VA “IN FONDO AL MARE” PER ALLEVIARE LO STRESS NEI BAMBINI Al Policlinico di Milano, grazie alla Fondazione De Marchi, una nuova Tac e ambienti 3D per l’umanizzazione delle cure anche per i più piccoli

di Elisabetta Gramolini

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arantire un’assistenza all’avanguardia in un ambiente a misura di bambino e ridurre al minimo i disagi e le paure dei piccoli pazienti. Ecco alcuni degli obiettivi del nuovo percorso dedicato ai trattamenti di radiologia, all’interno della Clinica Pediatrica De Marchi del Policlinico di Milano. La struttura è dotata di macchinari all’avanguardia, come una Tac di ultima generazione dedicata prevalentemente all’ambito pediatrico che andrà a potenziare le attività della radiologia trasversali a tutto l’ospedale, sia nell’emergenza sia per i ricoveri e per le visite ambulatoriali. Il macchinario è capace di compiere biopsie guidate, diagnostica per i percorsi delle malattie rare (di cui il Policlinico è il maggiore Centro di riferimento italiano) e approfondimenti relativi alle malattie oncologiche. Ma cosa che piacerà di più ai piccoli è il nuovo assetto degli ambienti. Tutti gli spazi sono stati progettati con la finalità di renderli più accoglienti, per mettere in primo piano, oltre all’attenzione e alla cura, l’aspetto del benessere psicologico e per ridurre al minimo i momenti di stress e la paura nei piccoli pazienti. E visto che a molti bambini piace il mare, l’area è stata strutturata in maniera tale da offrire al bambino

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la possibilità di “entrare” nei fondali sottomarini, grazie ad ambienti immersivi realizzati con proiezioni 3D e dipinti. L’esperienza aiuta molto i piccoli pazienti, distogliendoli dalle paure, e trasformando una circostanza difficile da affrontare in un momento ludico e distensivo. Il percorso inizia già dalla sala di attesa che, oltre ad essere personalizzata dagli interventi pittorici dell’artista Gregorio Mancino, attraverso i visori 3D Oculus Go, accompagna il bambino in un mondo virtuale sottomarino fino alla sala della Tac, allestita con proiettori per una visione a 360°, in continuità con il viaggio tematico già intrapreso in sala d’attesa. Inoltre, grazie all’uso della musicoterapia sono diffusi nell’ambiente suoni e musiche per un coinvolgimento non solo visivo ma multisensoriale. L’iniziativa è stata fortemente voluta dalla Fondazione De Marchi, nell’ambito del “Progetto Pedrito” che rientra nel quadro complessivo delle attività del progetto “Un ospedale MICA MALE” per il contenimento del dolore e dello stress in tutti i bambini in cura alla clinica De Marchi. Obiettivo del progetto è quello di formare personale medico competente e volontari specificatamente dedicati. Il 3D utilizzato nell’ambientazione della tomografia compute-


Innovazione

rizzata (TC) pediatrica della clinica De Marchi non è a scopo diagnostico, «Ma – come spiega professor Gianpaolo Carrafiello, direttore Unità Operativa Complessa Radiologia Policlinico di Milano - è solo una riqualificazione del contesto ambientale atta a creare un ambiente favorevole al piccolo paziente che si sottopone all’indagine e a far sì che il paziente abbia una maggiore compliance nei confronti della TC e del personale medico, infermieristico e dei tecnici sanitari di radiologia medica. Sicuramente l’ambiente della TC, come il contesto più in generale dell’Ospedale, possono rivelarsi poco graditi al piccolo paziente e pertanto l’ambientazione ricreata mediante i proiettori 3d migliora certamente l’agio e lo stato emotivo riducendone l’ansia». La maggiore criticità è sicuramente l’esposizione ai raggi x, «pertanto – continua Carrafiello - la richiesta di tale indagine deve essere assolutamente appropriata, inoltre l’apparecchiatura donata dalla Fondazione De Marchi ha particolari sistemi di modulazione della dose e protocolli pediatrici dedicati che riducono notevolmente la dose al paziente». Il progetto trae origine da evidenze scientifiche sull’uso di queste tecnologie per ridurre lo stress nei bambini. «Esistono lavori scientifici – ricorda il direttore - che hanno dimostrato efficacia dell’utilizzo della realtà virtuale immersiva durante procedure mediche, che modificano in meglio la percezione del paziente». In particolare, esistono delle misure ad hoc per i piccoli: «Tutte le diagnostiche radiologiche pediatriche sono ottimizzate sia riguardo ai protocolli che alle emissioni di dose ed inoltre gli operatori del settore conoscono l’utilizzo dei sistemi di protezione dedicati in età pediatrica».

A misura di bambino

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Tutti gli spazi sono stati progettati con la finalità di renderli più accoglienti, per mettere in primo piano, oltre all’attenzione e alla cura, l’aspetto del benessere psicologico e per ridurre al minimo i momenti di stress e la paura nei piccoli pazienti.

a clinica De Marchi è centro di eccellenza e punto di riferimento della pediatria a livello nazionale e internazionale, può ora contare su un’assistenza ancora più all’avanguardia, che permetterà di ottenere risultati efficaci nel trattamento mininvasivo percutaneo o endovascolare, facendo sì che i bambini possano avere trattamenti mini invasivi ad hoc per la loro patologia in tempi più rapidi e in maniera più appropriata. «Il nostro obiettivo è quello di fornire ai bambini affetti da gravi malattie e alle loro famiglie un tipo di assistenza che vada oltre la semplice cura medica, cioè un supporto assistenziale e psicologico “umano e a misura di bambino” con l’obiettivo finale della guarigione e di una buona qualità della vita», dichiara il professor Carlo Agostoni, presidente della Fondazione De Marchi. «Per questo motivo, la Fondazione da molti anni si impegna a migliorare le condizioni di vita dei bambini malati e delle persone che li circondano attraverso l’istituzione di borse di studio, il miglioramento delle strutture sanitarie, l’acquisto di apparecchiature, l’impiego di equipe di psicologi, assistenti sociali, animatrici e personale infermieristico, l’organizzazione e il finanziamento di vacanze terapeutiche assistite».

Gregorio Mancino.

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IL FUTURO DELLA MEDICINA È L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE Potrebbe consentire ai medici di individuare precocemente eventi di una certa gravità o integrare le cartelle cliniche dei pazienti durante lo studio di una cura

di MIchelangelo Ottaviano

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intelligenza artificiale è una branca della scienza che si occupa di creare macchine intelligenti, ed ha trovato nelle possibilità offerte dall’informatica la più rapida via di applicazione. Lo scopo è quello di realizzare software, definiti intelligenze artificiali, in grado di lavorare ed operare come il cervello umano per raggiungere obiettivi e risolvere problemi. Nonostante se ne parli spesso attribuendole connotazioni fantascientifiche o distopiche, l’intelligenza artificiale è già utilizzata in molte discipline

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della medicina come strumento di supporto: non è quindi fantascienza pensare che in futuro l’intelligenza artificiale potrà avere un impatto ancora più consistente. Proprio negli ultimi anni si è fatto più vivo il dibattito tra medici e ricercatori di tutto il mondo attorno al potenziale di questa risorsa: si discute su come sfruttare al meglio una tecnologica così potente, valutandone anche i relativi limiti, i possibili effetti distorsivi e gli errori, che anche in ambito sanitario dipendono da come viene strutturata questa tecnologia e di quanti e quali dati si serve. I principali settori

di applicazione sono la diagnostica, lo sviluppo di nuovi farmaci e vaccini, la riabilitazione e la telemedicina. È utile nell’analizzare le immagini per diagnosi radiologiche in oncologia, soprattutto per colonscopie, mammografie, TAC cerebrali; viene usata anche per esami non radiologici, in dermatologia e in oculistica, e aiuta ad accorciare i tempi di del sequenziamento dell’RNA e del DNA. I possibili sviluppi sono dunque molti: potrebbe consentire ai medici di individuare precocemente eventi di una certa gravità e anche in caso di malattia conclamata, l’intelligenza artificiale potrebbe essere utilizzata per integrare le cartelle cliniche dei pazienti durante lo studio di una cura o avere informazioni più dettagliate prima di prendere decisioni terapeutiche delicate. La tecnologia può anche migliorare la comunicazione tra le strutture sanitarie, i medici di famiglia e i pazienti, e attraverso controlli costanti aiutare le persone malate ad avere più consapevolezza e controllo delle proprie condizioni di salute, di come e quando assumere farmaci, di quanto sia importante avere un’alimentazione sana e fare regolare attività fisica. Lo sviluppo dell’intelligenza artificiale in medicina è legato all’aumento significativo dei dati: in ogni momento della giornata tutte le persone ne producono una notevole quantità, e sempre più dettagliati. I dati alimentano diversi sistemi di analisi che si basano su algoritmi e sono essenziali per far sì che l’intelligenza artificiale sia davvero intelligente. Uno dei sistemi di analisi più utilizzati è il machine learning che consiste nello studio e nella costruzione di algoritmi che permettono ai computer di imparare a eseguire un compito preciso come riconoscere un’immagine o fare previsioni attendibili, a partire da un insieme di dati forniti dagli sviluppatori. In conclusione, non ci sono dubbi sul fatto che affinare e ottimizzare l’applicazione di questa potente tecnologia sarà una sfida fondamentale per la medicina del futuro.


Innovazione

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a nuova retina artificiale (NR600) è stata messa a punto dalla start up Nano Retina (nei pressi di Tel Aviv) e quello effettuato ad Ottobre dal professor Stanislao Rizzo, direttore della UOC Oculistica della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS e Ordinario di Clinica Oculistica all’Università Cattolica campus di Roma, è il primo impianto in Italia (sesto in totale) nell’uomo del nuovo device. Il soggetto dell’operazione, un settantenne non vedente, si è risvegliato dopo un intervento di appena due ore ed era in grado di percepire la luce. Il professor Rizzo è da sempre un pioniere negli impianti di retina artificiale: nel 2011 fu proprio lui ad impiegare l’Argus, la prima protesi retinica applicata ad un paziente non vedente. La retina artificiale è ad ora indicata solo per pazienti affetti da retinite pigmentosa negli stadi più avanzati di malattia, dove i soggetti perdono completamente la vista da entrambi gli occhi (circa 1.000-1.500 italiani interessati), per cui i criteri di selezione sono ad ora severi e restrittivi. L’impianto, grande come la punta di una matita (5 mm di diametro x 1 mm di spessore), viene posizionato sopra la superficie della retina, e gli elettrodi tridimensionali dei quali è composto penetrano tra le cellule retiniche andando a prendere il posto dei fotorecettori, attivando così le cellule ganglionari, che trasmettono l’informazione al cervello facendola viaggiare lungo le vie ottiche. Per attivare i micro-elettrodi 3D, il paziente deve indossare degli speciali occhiali che inviano al device un raggio infrarosso, che provvede ad alimentarlo, attraverso un minuscolo impianto fotovoltaico di cui è dotato. Il software e l’hardware contenuti negli occhiali inoltre controllano e modulano, come attraverso un alfabeto Morse, gli stimoli luminosi che arrivano agli elettrodi, traducendoli in impulsi elettrici che poi veicoleranno

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ARRIVA LA RETINA ARTIFICIALE NR600 PER LA VISTA BIONICA Il primo impianto in Italia (sesto in totale) su un settantenne non vedente, che al risveglio dall’intervento era in grado di percepire la luce

attraveso le vie ottiche l’informazione al cervello. Nell’ultima fase della retinite pigmentosa i fotorecettori sono completamente distrutti, ma alcune cellule come le ganglionari sopravvivono. Queste sono importanti perché trasmettono le informazioni dai fotorecettori al cervello. Gli elettrodi 3D sostituiscono i fotorecettori (cellule specializzate che costituiscono la prima parte delle vie ottiche) e trasmettono l’informazione alle cellule ganglionari. L’impianto di questo device ripristina una parta della funzionalità retinica, ma non restituisce la vista: il paziente può tornare a “vedere”

la luce immediatamente dopo l’impianto, ma in genere il programma di riabilitazione viene avviato dopo un paio di settimane dall’intervento. Esso prevede una serie di esercizi da somministrare al paziente che reimpara a vedere attraverso questa sorta di occhio bionico. Al termine del percorso il paziente riuscirà a distinguere la forma degli oggetti, riconoscere il movimento, ad interpretare queste nuove immagini (che vede in bianco e nero e pixelate) e, infine, grazie alla plasticità neuronale, il cervello imparerà pian piano a distinguere e a riconoscere tali oggetti. (M. O.). GdB | Nov/dic 2021

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LA MOLLA BIOCOMPATIBILE IN 4D ISPIRATA ALLE PIANTE Simile ai viticci delle piante, potrebbe avere applicazioni nell’ambito della medicina rigenerativa o come dispositivo per la chirurgia intestinale

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na nuova molla biocompatibile, stampata in 4D, in grado di torcersi e contrarsi a seconda della temperatura e del livello di umidità, che in futuro potrebbe avere applicazioni anche nel campo biomedicale, trovando impiego come supporto intelligente nell’ambito della medicina rigenerativa o come dispositivo per la chirurgia intestinale. Ad idearla un gruppo di ricerca tutto italiano, composto da studiosi delle Università di Pisa, Perugia, Firenze e Bologna. Per le loro strutture biocompatibili, presentate sulla rivista Advanced

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Funcional Materials, i ricercatori si sono lasciati ispirare direttamente dal mondo vegetale, in particolare dai viticci di alcune piante, come quella del cetriolo. Davide Morselli, facente parte del gruppo di ricerca coordinato dalla professoressa Paola Fabbri al Dipartimento di Ingegneria Civile, Chimica, Ambientale e dei Materiali presso l’Università di Bologna, tra gli autori dello studio, ha spiegato: «Per realizzare queste molle a struttura elicoidale, simili ai viticci vegetali, è stato necessario ideare un dispositivo in grado di auto-trasformarsi al variare di una serie di stimoli esterni, come la temperatura e l’umidità. Per farlo ab-

biamo utilizzato un sistema di stampa in 4D, che utilizza la tecnologia della manifattura adattiva per accoppiare in una struttura coassiale due materiali che hanno opposti coefficienti di dilatazione termica». Per stampa 4D si intende un’innovativa tecnica di manifattura adattiva che alle caratteristiche degli oggetti stampati in 3D consente di aggiungere la quarta dimensione, quella del tempo, cioè la capacità di modificare autonomamente la loro forma grazie all’utilizzo di materiali avanzati che rispondono a stimoli esterni come la luce, l’umidità o il calore. Nello specifico la nuova molla ideata dagli studiosi italiani è stata realizzata accoppiando materiali polimerici ottenuti da fonti rinnovabili: da una parte seta rigenerata modificata con grafene, dall’altra un promettente biopoliestere che ha come sua caratteristica principale un’elevata biodegradabilità. I materiali in questione presentano coefficienti di dilatazione termica agli antipodi, e ciò consente alla molla di trasformare l’energia termica in una torsione meccanica. Di più: se il calore permette alla molla di contrarsi, l’aumento dell’umidità ha come conseguenza un suo rilassamento. Per il momento gli studiosi hanno testato il dispositivo con successo su un intestino artificiale, registrando la capacità della molla di stimolare la proliferazione e differenziazione cellulare nelle cellule epiteliali intestinali. «Ricerche di questo tipo - ha detto ancora Morselli - sono in grado di coniugare l’utilizzo di tecnologie avanzate, come la stampa 4D, con le caratteristiche di sostenibilità e funzionalità offerte dalle moderne bioplastiche. È un approccio importante per connettere avanzamento scientifico e responsabilità nello sviluppo di nuovi materiali: in questo senso, per portare avanti ricerche così complesse, la collaborazione fra centri e gruppi di ricerca che offrono diverse competenze è fondamentale». (D. E.).


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Beni culturali

IL MONASTERO DI TORBA TRA I BOSCHI DEL VARESOTTO Un viaggio affascinante tra affreschi, decorazioni, misteri e leggende nell’antico avamposto romano trasformato in fortezza dello spirito di Rino Dazzo

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a quiete dei boschi, il lento scorrere del fiume Olona, la pace e la serenità di un paesaggio che sembra aver fermato il tempo. È qui, nel cuore del Varesotto, che sorge il Monastero di Torba, fortezza contro i barbari che col passare dei secoli si è trasformata in una fortezza dello spirito e che è stata riportata agli antichi splendori dal Fai, a cui Giulia Maria Crespi lo ha donato nel 1977. Quella del Monastero di Torba, dal 2011 Patrimonio dell’Umanità Unesco, è una storia che nasce nel V secolo, quando le invasioni barbariche iniziano a minacciare la stessa Italia settentrionale. Sono i Romani a costruire, nei pressi del borgo di Sibrium (oggi Castelseprio), un vero e proprio avamposto militare dotato di torrione e alte mura, utilizzato successivamente da Goti, Bizantini e Longobardi. È proprio nel periodo di dominazione longobarda che il castrum muta la sua funzione da militare a religiosa. Siamo nel VII e nell’VIII secolo e la regola di San Benedetto si diffonde tra gli uomini, ma anche tra le donne. È un gruppetto di monache benedettine, infatti, a insediarsi nella fortezza, in cui dimoreranno per diversi secoli segnandola e trasformandola con la loro opera. Testimonianza più significativa di questo lungo periodo sono gli affreschi nella torre, immagini e raffigurazioni dall’aspetto ieratico e misterioso in cui sono immortalate le stesse monache del monastero. È il coinvolgente racconto di Marco Magnifico, vicepresidente del Fai, a condurci con la mente e con il cuore tra

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le antiche mura del complesso: «Oltre a essere rudi e forti, le monache del Monastero di Torba sono donne molto colte. Una di loro si chiamava Aliberga, come indicato accanto alla sua immagine tra le pareti della torre. Un affresco raffigura otto monache, che potrebbero rappresentare gli otto vizi capitali. Altri mostrano


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Beni culturali


Beni culturali

invece le suore in preghiera, con misteriosi gesti delle mani». Una prima fase di affreschi è databile tra il IX e il X secolo ed è quella di cui sono rimaste poche e frammentarie testimonianze. Meglio conservati sono invece gli affreschi realizzati tra l’XI e il XII secolo, uno dei quali dedicato a Gioacchino, padre della Madonna. Grazie al lavoro delle monache benedettine il complesso si ingrandisce sempre di più, con la realizzazione delle celle, del refettorio e di una sala di preghiera. Il racconto di Magnifico prosegue: «La piccola cappella del monastero non basta più, allora viene costruita un’altra chiesa, poi un’altra ancora e, nel XII secolo, una chiesa romanica nella cui cripta sono stati ritrovati resti di altri affreschi». È la chiesa di Santa Maria, al centro di una leggenda riportata da Pier Luigi Sironi nel suo libro «I racconti di Torba» secondo cui una ragazza, per liberare il territorio di Torba da un pericoloso brigante che si era insediato nel monastero e terrorizzava la popolazione, escogitò uno stratagemma: si fece trovare a fare il bagno tra le acque dell’Olona. Una volta nel covo del brigante, la giovane lo accecò con del sale e lo percosse con un randello, ma il malfattore riuscì ad afferrarla e si gettò con lei dalla torre del monastero. Fu l’intervento dell’arcangelo Raffaele, secondo la leggenda, a salvare la ragazza da morte certa; la chiesa, dunque, potrebbe essere in realtà una cappella in onore dell’arcangelo. Un anno significativo per il Monastero di Torba è il 1426: «Le monache chiedono di andare in un altro monastero più bello, arioso, vicino Varese. Trent’anni dopo però scrivono al papa e gli chiedono di tornare a Torba perché - prosegue Magnifico - le monache dell’altro monastero conducono vita scandalosa, immorale e disonesta. Meglio stare tra i lupi, scrivono le suore, che tra le loro consorelle». Nel 1799,

Una prima fase di affreschi è databile tra il IX e il X secolo ed è quella di cui sono rimaste poche e frammentarie testimonianze. Meglio conservati sono invece gli affreschi realizzati tra l’XI e il XII secolo, uno dei quali dedicato a Gioacchino, padre della Madonna.

con la soppressione degli ordini voluta da Napoleone, il monastero perde definitivamente la sua funzione religiosa e sprofonda in un periodo di lento e inesorabile declino, interrotto nel 1977 con l’avvento del Fondo Ambiente Italiano. I lavori di restauro si concludono nel 1985 e riportano alla luce altre decorazioni, cripte e ambienti nascosti nei sotterranei del complesso. Che oggi è tornato a essere un feudo di pace, meditazione e tranquillità, proprio come ai primi tempi della sua storia millenaria. Sono tante le opportunità riservate ai visitatori del Monastero di Torba, a cominciare dalla possibilità di ammirare dal vivo i dettagli relativi agli affreschi e all’architettura che rimandano all’età tardoromana e soprattutto al periodo longobardo. Insieme all’antico borgo di Castelseprio, il monastero fa parte del sito seriale Unesco “Longobardi in Italia - luoghi del potere 568-774 d.C.” ed è una delle tappe della Via Francisca del Lucomagno, cammino di oltre 100 chilometri che tocca numerosi luoghi di interesse e di eccezionale valore storico. I tour negli scavi, inoltre, sono guidati dagli stessi archeologi che raccontano il proprio lavoro, le scoperte e i retroscena della loro campagna. Suggestiva, infine, è la possibilità di pranzare nel ristorante situato proprio nel salone che ospitava l’antico refettorio. Niente paura: i pasti non sono parchi e frugali come nel Medioevo, ma ricchi di delizie e specialità del territorio. Raggiungere il Monastero di Torba è semplicissimo: è a pochi chilometri dall’uscita A8 di Solbiate Arno. Il complesso è visitabile dal mercoledì alla domenica, dalle 10 alle 17, ma non in inverno (ultima visita il 12 dicembre). Un biglietto costa 7 euro, ridotto (6-18 anni e studenti fino a 25) 3,50 euro, gratuito per bimbi e iscritti Fai. Promozioni per famiglie e gruppi.

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Beni culturali

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ompei è la prova che quando l’Italia crede in se stessa e lavora come una squadra, raggiunge traguardi straordinari ammirati in tutto il mondo. Questa nuova scoperta dimostra che oggi il sito archeologico è diventato non soltanto una meta tra le più ambite al mondo, ma anche un luogo dove si fa ricerca e si sperimentano nuove tecnologie. Pompei è un modello di studio unico al mondo». Con queste parole Dario Franceschini, Ministro della Cultura, ha commentato la scoperta annunciata dal Parco Archeologico di Pompei. Dagli scavi della villa di Civita Giuliana, a nord del sito storico, è stata infatti scoperta la stanza degli schiavi. L’ambiente, in ottimo stato di conservazione, apre nuovi studi sulla storia del mondo antico. Gli oggetti rinvenuti, tra cui letti e materiali deperibili, consentiranno di capire quali fossero le condizioni abitative e di vita degli schiavi che vivevano a Pompei e nel mondo romano. Nella stessa area, già agli inizi del 2021, era stato ritrovato un carro cerimoniale e una stalla con i resti di tre cavalli. I nuovi rinvenimenti hanno portato alla luce degli alloggi e una cassa lignea con oggetti in metallo e in tessuto. I letti erano formati da assi in legno assemblate e le reti erano in corde. Sotto le brande erano posizionati pochi oggetti personali, come anfore e brocche in ceramica. «Si tratta di una finestra nella realtà precaria di persone che appaiono raramente nelle fonti storiche, scritte quasi esclusivamente da uomini appartenenti all’élite, e che per questo rischiano di rimanere invisibili nei grandi racconti storici - dichiara il Direttore Generale, Gabriel Zuchtriegel -. È un caso in cui l’archeologia ci aiuta a scoprire una parte del mondo antico che conosciamo poco, ma che è estremamente importante. Quello che colpisce è l’angustia e la precarietà di Consigliere tesoriere dell’Onb, delegato nazionale per le regioni Emilia Romagna-Marche e Piemonte-Liguria-Valle D’Aosta.

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A POMPEI TROVATA LA STANZA DEGLI SCHIAVI Franceschini: «Una nuova eccezionale scoperta italiana. Sarà un modello di studio unico nel mondo e farà luce sulla vita quotidiana dei romani»

di Pietro Sapia

cui parla questo ambiente, una via di mezzo tra dormitorio e ripostiglio di appena 16 mq, che possiamo ora ricostruire grazie alle condizioni eccezionali di conservazione create dall’eruzione del 79 d.C. È sicuramente una delle scoperte più emozionanti nella mia vita da archeologo». Massimo Osanna, Direttore Generale dei Musei ha spiegato come, ancora una volta, la necessità di tutelare e proteggere il nostro patrimonio storico, artistico e culturale ci abbia permesso di aggiungere un ulteriore tassello alla conoscenza del mondo antico. Lo scavo rientra tra le attività che il Parco Archeologico di Pompei sta por-

tando avanti con la Procura di Torre Annunziata, capitanata da Nunzio Fragliasso. Le due realtà hanno infatti siglato un protocollo d’intesa finalizzato al contrasto delle attività di scavo clandestino nell’area pompeiana. «Il ritrovamento negli scavi di Civita Giuliana - dichiara Fragliasso - è l’ennesima conferma della sinergia tra la Direzione del Parco Archeologico di Pompei e la Procura della Repubblica di Torre Annunziata e della efficacia del protocollo d’intesa stipulato tra le suddette Istituzioni, che, con il prezioso apporto dell’Arma dei Carabinieri, ha portato al rinvenimento di beni archeologici di eccezionale rilevanza». GdB | Nov/dic 2021

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Beni culturali

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e murature e i manufatti antichi subiscono un deterioramento anche a causa di agenti fisici che ne modificano struttura e proprietà. Sarebbe utile, quindi, avere a disposizione uno strumento per una diagnostica non distruttiva e invasiva sui danni strutturali dovuti alle infiltrazioni d’acqua. Un’arma in più per arginare il passare del tempo e, soprattutto, delle stagioni arriva con lo

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studio del campo di pressione sonora o ultrasonora indotta da uno stimolo, capace di restituirci informazioni accurate su muri e arredi storici. Il progetto di ricerca “ReMEDIA” sfrutta la tecnologia del suono ed è stato presentato da Enea e Cnr nell’ambito dell’Avviso pubblico “Progetti di Gruppi di Ricerca 2020” del POR FESR 2014-2020 della regione Lazio per l’area di specializzazione della Smart Specialisation Strategy Regionale (S3) “Beni culturali e tecnologie della cultura”. Gli enti coinvolti vogliono portare ad una avanzata maturità tecnologica il dispositivo denominato ACoustic Energy Absorption Diagnostic Device (ACEADD), trasformando il prototipo di laboratorio in un prodotto commerciale, anche con il coinvolgimento delle imprese che operano nel settore dei beni culturali. «I vantaggi di questa tecnologia - spiega il responsabile del progetto Francesco Colao, ricercatore Enea del laboratorio diagnostica e metrologia del Centro ricerche di Frascati - vanno dalla non invasività rispetto all’opera d’arte alle prestazioni elevate, che consentono di ottenere informazioni accurate sull’estensione e la distribuzione dei danni provocati dall’umidità su murature e manufatti antichi, una problematica sempre più diffusa, in grado di modificare struttura e proprietà elastiche delle opere, in particolare di siti archeologici posti al di sotto del piano stradale, come catacombe o manufatti sepolcrali e quelli costruiti su fondamenta romane». Le tecniche finora usate per valutare l’umidità sul luogo, sia nella fase di monitoraggio sia in quella di progettazione dei restauri hanno molti svantaggi pratici, dovuti all’invasività e alla lunghezza dei tempi necessari al fine di acquisire e analizzare i dati. «Per ovviare a queste limitazioni, - sottolinea Paola Calicchia, responsabile del laboratorio Larch - Laboratory of acoustics research applications for cultural heritage del Cnr - appare molto promettente l’uso dell’imaging acustico, su cui si basa la nostra tecnologia che garantisce invece una diagnostica non distruttiva e non invasiva. In modo molto semplice, sollecitando la struttura da analizzare con un campo di pressione sonora o ultrasonora e rilevando la risposta acustica allo


Beni culturali

NUOVE TECNOLOGIE PER SALVARE L’ARTE Rilevare i danni legati alla presenza di umidità per mettere a riparo il patrimonio artistico e culturale italiano

stimolo». La misura dell’assorbimento di sonorità da parte di strutture edilizie e prodotti realizzati da abili artigiani in passato è alla base del funzionamento dell’apparecchiatura sperimentata da Enea e Cnr. Il sistema utilizza una sorgente in banda audio (100 hertz - 20 chilohertz). Il riscontro di un materiale alla sollecitazione prodotta da un campo di pressione esterno dipende dalle sue proprietà elastiche e così si realizza una diagnostica degli elementi d’interesse artistico. L’approfondimento del metodo di misura e analisi multifrequenza ha dato prova, negli ultimi anni, di poter essere applicabile pure sulle particolari indagini del danno strutturale di superfici murarie, superfici affrescate, ceramiche smaltate, stucchi e, perfino, dipinti su tavola. Fornendo immagini sonore risolte in frequenza, si possono rivelare distacchi, delaminazioni, fessurazioni, cavità sub-superficiali di diversa natura, come pure indebolimento o indurimento di strutture e materiali compositi. Lo scorso anno, solo per citare un esempio, una squadra internazionale guidata dal Consiglio nazionale delle ricerche aveva rivelato che la causa principale di deperimento del capolavoro “L’urlo” di Edvard Munch (Løten,

La catacomba di Priscilla a Roma ha il proprio ingresso presso il convento delle Suore Benedettine di Priscilla. Scavata tra il secondo e il quinto secolo, sfrutta ambienti ipogei preesistenti tra cui ci sono un arenario, un criptoportico e l’ipogeo con le tombe degli Acili Glabrioni. A questa famiglia appartiene la nobildonna donatrice del terreno Priscilla, benefattrice della comunità cristiana della Capitale.

© Ahdy Fahmy/shutterstock.com

di Gianpaolo Palazzo

12 dicembre 1863 - Oslo, 23 gennaio 1944) era l’umidità. «L’artista - spiegava Letizia Monico ricercatrice presso l’Istituto di scienze e tecnologie chimiche “Giulio Natta” del Cnr di Perugia - ha miscelato diversi leganti, quali tempera, olio e pastello con pigmenti sintetici dalle tonalità vibranti e brillanti per creare colori di forte impatto. Sfortunatamente, l’ampio utilizzo di questi nuovi materiali rappresenta una sfida per la conservazione a lungo termine delle opere d’arte del pittore norvegese. La versione del 1910 mostra evidenti segni di degrado in diverse aree dipinte con gialli di cadmio, una famiglia di pigmenti costituiti da solfuro di cadmio. L’originale colore giallo brillante di alcune nuvole del cielo e del collo del soggetto centrale, appare oggi sbiadito. Nella zona del lago, le dense ed opache pennellate di giallo di cadmio mostrano, invece, tendenza a sfaldarsi». Il primo impiego della tecnica “sonora” è previsto per il prossimo anno in alcuni siti storici a Roma, tra cui la catacomba di Priscilla. «Questi test - conclude Colao - non serviranno solo a mettere a punto la nostra tecnologia, ma forniranno un’opportunità di incontro e di collaborazione con le aziende e i professionisti del restauro e dei beni culturali». GdB | Nov/dic 2021

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Sport

CICLISMO, GLI SPRINT D’ORO DI ELISA BALSAMO La 23enne cuneese si è laureata campionessa del mondo in linea Elite a cinque anni dal successo fra le Juniores e dodici mesi dopo aver vinto il titolo europeo, sempre su strada. Quest’anno anche due medaglie iridate su pista

di Antonino Palumbo

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dettagli fanno la differenza, la squadra pure. Se poi al momento giusto vien fuori il tuo talento, ti ritrovi a vincere un titolo mondiale su strada battendo un’autentica divinità come Marianne Vos e poi a salire due volte sul podio iridato della pista. L’impresa è riuscita ad Elisa Balsamo, 23 anni, ciclista cuneese che sta bissando da Elite i successi ottenuti nelle categorie giovanili. E che ci racconta i suoi segreti per andare più forte di tutte, dall’allenamento all’alimentazione, passando per l’attenzione ai tempi di recupero. Campionessa d’Europa U23 nel 2020, iridata nel 2021: era fra i suoi obiettivi o questa doppietta si trovava solo nella sfera dei sogni? Indubbiamente vincere il Mondiale è stato la realizzazione di un sogno. Era grande obiettivo ma avevo immaginato di poter lottare al massimo per una medaglia. Battere Marianne Vos in volata: come ha fatto? La squadra è stata determinante, poi davve-

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Sport

ro ho cercato solo di seguire l’istinto. L’arrivo era in leggera salita e ho aspettato u attimo a partire, per non rischiare che mi mancassero le energie. L’istinto mi ha indicato il momento giusto per lanciare lo sprint. Nel 2016 è stata campionessa del mondo Juniores nella prova in linea, facendo presagire un luminoso futuro. Non sempre però è facile ripetere gli stessi successi da Elite: lei come è riuscita a bissare l’impresa? Ho sempre cercato di migliorare un passo per volta, penso di poter ancora crescere nei prossimi anni. Non mi sento arrivata, ho fatto qualcosa di grandioso ma ci sono altri traguardi da inseguire. Le aspettative possono spesso condizionare i risultati di un’atleta. Lei come le gestisce? Non è semplice, indubbiamente. Io cerco sempre di isolarmi, di concentrarmi appieno sui miei obiettivi. Mi fido ciecamente del mio

staff, dal preparatore alla nutrizionista, so che fanno di tutto per mettermi nelle migliori condizioni. Spesso bisogna ascoltare solo le persone di cui ci si fida e non farsi schiacciare dalla pressione, che fa parte della vita di uno sportivo. Quando è sbocciata la sua passione per il ciclismo e quando le è apparso chiaro che aveva una marcia in più e che poteva raggiungere grandi traguardi? I miei genitori sono sempre stati appassionati di ciclismo, ma da piccola ho praticato tanti altri sport, soprattutto lo sci, essendo nata e cresciuta a Cuneo. A 13 anni ho scelto di dedicarmi alla bici perché intanto

il ciclismo era diventato il mio sport preferito. Nel 2017, quando sono entrata nelle Fiamme Oro, il gruppo sportivo della Polizia di Stato, ho capito che la passione poteva diventare un lavoro. Quali sono i sacrifici più grandi che ha fatto per il ciclismo? Sono tanti. Non è semplice, da quando si è più piccoli, accettare che gli amici escono e tu devi andare a dormire presto, per essere sul luogo della gara già dal sabato. E non facile neppure adesso, perché devi

Vincere il Mondiale è stato la realizzazione di un sogno. Era grande obiettivo ma avevo immaginato di poter lottare al massimo per una medaglia. La squadra è stata determinante, poi davvero ho cercato solo di seguire l’istinto. L’arrivo era in leggera salita e ho aspettato u attimo a partire, per non rischiare che mi mancassero le energie. L’istinto mi ha indicato il momento giusto per lanciare lo sprint.

curare ogni minimo dettaglio, dall’alimentazione al recupero. Eccoci: dietro ai suoi successi c’è un attento studio dei dettagli, a partire da allenamenti e dieta. Partiamo dalla preparazione: a maggio e giugno si è dedicata solo agli allenamenti, fra palestra e velodromo e salite. Ce li racconta? Il programma di allenamenti è stato studiato sentendo il mio feedback e le mie sensazioni. Ci sono periodi in cui si lavora più sulla palestra o sul fondo, altri periodi in cui si va più in pista. Tempi di recupero, aspetto cruciale: come gestire impegni e relax? L’aspetto più importante per me è riposare durante la notte. Amo dormire e cerco di andare a dormire abbastanza presto, è fondamentale nel recupero. Non è sempre facile, perché a volte ci si alza presto per prendere l’aereo e ci sono altri impegni oltre ad allenamenti e gare. A proposito di dieta, lei spiegava che è importante scegliere il giusto alimento in base alle differenti tipologie di allenamento. Ci fa qualche esempio? La mia dietista mi indica gli alimenti migliori. Ad esempio, prima di una gara o di un allenamento lungo, è importante assumere una buona quantità di carboidrati. Ed è importante che tutti i pasti siano equilibrati fra carboidrati, proteine, fibre e frutta. C’è qualche caposaldo irrinunciabile, al netto delle variazioni? GdB | Nov/dic 2021

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Sport

Adoro la pasta e in particolare gli spaghetti: per fortuna gli atleti possono tranquillamente mangiarli. Alle Olimpiadi ha ottenuto un sesto posto nell’inseguimento a squadre, con record italiano, un ottavo posto nell’americano con Letizia Paternoster e un 14° nell’Omnium: è l’unico rimpianto del 2021? Il sesto posto con il record italiano è stato soddisfacente, ma sono tornata a casa abbastanza delusa dalla mia Olimpiade in generale. E per questo ai Mondiali sono stata ancor più determinata. A soli 23 anni, il suo palmares fra strada e pista suscita invidia e ammirazione: cosa ama della strada e cosa della pista? Della pista mi piace il fatto che bisogna decidere tutto in un arco di tempo molto breve. Su strada, il fatto che ogni volta il percorso è diverso, ci sono tante gare e cambiano anche le avversarie.

Premiazione di Elisa Balsamo.

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Per me la squadra è fondamentale, ho sempre detto che il ciclismo è uno sport di squadra anche se viene premiata una persona sola. Oggi senza squadra non vai da nessuna parte.

Ma fra strada e pista quale preferisce? Impossibile rispondere... Un suo pensiero sull’importanza del talento individuale e l’importanza del lavoro di squadra, nel ciclismo di oggi. Per me la squadra è fondamentale, ho sempre detto che il ciclismo è uno sport di squadra anche se viene premiata una persona sola. Oggi senza squadra non vai da nessuna parte. Ha riferimenti o “idoli” sportivi? Alex Zanardi, da sempre: la sua determinazione è stata esemplare. Se non fosse diventata una ciclista? Sono iscritta all’Università, Lettere Moderne a Torino, mi sarei dedicata nello specifico allo studio. Cosa c’è nel suo futuro, oltre alla rincorsa ad altri successi, quello olimpico in primis? Ciclismo, ciclismo e ancora ciclismo, almeno nei prossimi anni. Al futuro anteriore, ci penserò poi.


Sport

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l terzo posto nel medagliere non la racconta tutta. Per niente. Perché, pur vincendo meno ori rispetto a Russia e Paesi Bassi e pochi (7 su 35) rispetto al totale dei podi, l’Italia del nuoto è stata autentica protagonista ai Campionati europei in vasca corta di Kazan. Una spedizione che ha confermato la profondità e l’ampiezza del gruppo azzurro, nel quale nuotano le une accanto alle altre, conferme e sorprese, in attesa di rivedere nelle prime posizioni grandi protagonisti del recente passato. Tra tanti nomi e tante imprese, è difficile persino scegliere da dove iniziare. Lo facciamo dalla rana, specialità che ha portato all’Italia tre ori, un argento e due bronzi in sei finali complessive. Memorabile la doppietta nei 50m rana femminili, in un’ultima giornata di gare che ha visto gli azzurri salire sul podio in 11 occasioni (su 35 totali degli Europei). È stata la varesina Arianna Castiglioni a spuntarla in 29”66, anticipando al tocco di appena nove centesimi la compagna e primatista europea Benedetta Pilato, 16enne tarantina. Successo in rimonta di Martina Carraro nei 100m rana (primo oro per l’Italia a Kazan) e bronzo per Francesca Fangio nei 200m. Tra gli uomini, nella stessa specialità, ci siamo affidati a Nicolò Martinenghi, incredulo campione d’Europa nei 100m rana, col nuovo record italiano (55”63), davanti al primatista del mondo Ilya Shymanovich e al campione europeo Arno Kamminga. Martinenghi ha poi stabilito il nuovo record europeo e italiano nei 50m rana in 25”37, prima di accodarsi in finale allo stesso Shymanovich e a Emre Sakci. E ha dato un prezioso contributo sia per l’oro con record del mondo (1’30”14) per l’Italia nella staffetta 4x50m misti, assieme a Michele Lamberti, Marco Orsi e Lorenzo Zazzeri, sia per l’argento nella 4x50m misti mista con Lamberti, Elena Di Liddo e Silvia Di Pietro. Pedina-chiave delle due staffette miste, il figlio d’arte Michele Lamberti si è confermato una meravigliosa promessa della disciplina a Kazan.

Martina Carraro.

VASCA CORTA, PALMARES LUNGO DEL NUOTO TRICOLORE Terza assoluta nel medagliere, la nazionale italiana ha chiuso gli Europei in vasca corta con 35 medaglie, facendo meglio di tutte le altre rappresentative ai blocchi di partenza

Il 21enne bresciano ha impreziosito il proprio palmares con le medaglie d’argento nei 50m dorso e nei 100m farfalla e con il bronzo nei 200m dorso (dietro Lorenzo Mora). A proposito di dorso, splendido l’argento di Margherita Panziera nei 200m dietro all’imprendibile olandese Kira Touissaint. Alberto Razzetti ha invece dato un saggio di gestione della fatica in più gare ad alto livello e di abilità in vari stili, vincendo l’oro nei 200m farfalla, l’argento nei 400m misti e il bronzo nei 200m misti. Superba la gara del bolognese Marco Orsi, che si è preso il titolo europeo dei 100m misti a quattro anni dal trionfo di Copenaghen, con il

nuovo primato italiano (50”95). Bravi anche Thomas Ceccon e Sara Franceschi, secondi classificati rispettivamente nei 200m e nei 400m misti. Al festival di medaglie (e ori) dell’Italia nell’Aquatic Center di Kazan non poteva mancare Gregorio Paltrinieri. Il 27enne modenese ha debuttato aggiudicandosi l’argento nei 1500m stile libero. Poi il capolavoro, nei “suoi” 800 metri, gara disputata per la prima volta agli Europei in vasca corta. Greg l’ha chiusa in 7’27”94, battendo allo sprint per cinque centesimi Florian Wellbrock e migliorando dopo nove anni lo storico primato mondiale del francese Yannick Agnel. (A. P.) GdB | Nov/dic 2021

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Sport

L’ITALIA DELLA NEVE E DEL GHIACCIO VERSO I GIOCHI DI PECHINO Speranze e possibili sorprese della squadra italiana per l’edizione numero 24 delle Olimpiadi invernali, in programma dal 4 al 20 febbraio prossimi

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er chi ama gli sport invernali, novembre è il mese più atteso. Perché ripartono i calendari e si torna a tifare oltre che, chi può, a sciare. Ci sono però stagioni più benvenute di altre, che mettono in palio le medaglie che ogni atleta sogna: quelle olimpiche. Dal 4 al 20 febbraio prossimo, Pechino ospiterà l’edizione numero 24 dei Giochi olimpici invernali. E gli appassionati italiani sperano di festeggiare qualche gioia in più rispetto alle dieci medaglie totali (con tre ori, tutti al femminile) di Pyeongchang 2018. Più di una freccia all’arco dello sci alpino azzurro. Sono tre i nomi più attesi fra gli uomini, altrettanti nella squadra femminile. La più attesa è la portabandiera italiana della cerimonia d’apertura, Sofia Goggia, due volte sul podio ai mondiali e campionessa olimpica nella discesa libera a Pyeongchang 2018. Vincitrice della Coppa del Mondo di discesa libera (per due volte), la bergamasca gareggerà anche nel super G. Prima italiana ad aggiudicarsi la Coppa del Mondo, due anni fa, Federica Brignone punterà a tornare sul podio dello slalom gigante come nell’ultima edizione. Fra le sue “rivali” anche Marta Bassino, vincitrice della Coppa del Mondo di specialità nella passata stagione. Tra i big della velocità, Dominik Paris giocherà le proprie carte in super G e nella discesa libera. Nel super G, il 32enne ha vinto l’oro ad Åre due anni e mezzo fa, oltre alla Coppa del mondo di specialità. Nella passata stagione, in-

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vece, ha chiuso terzo nella classifica di discesa libera e vinto sulla Kandahar di Garmisch-Partenkirchen il 5 febbraio. Non dimentichiamo, naturalmente, l’evergreen Cristoph Innerhofer, classe 1984, campione di mondo di super G dieci anni fa e due volte sul podio olimpico a Soči. Nelle discipline tecniche, invece, toccherà ad Alex Vinatzer nello slalom e a Luca De Aliprandini, argento ai mondiali di Cortina 2021, nel gigante. A proposito di sci, ma nel fondo, Federico Pellegrino riparte dall’argento nella gara sprint a Pyeongchang nel format in alternato. Stavolta invece si gareggia a skating, la sua tecnica preferita, che gli ha fruttato 15 vittorie in Coppa del Mondo, un oro e un argento mondiale. Nella 15 km classica, ci fa sperare Francesco De Fabiani. Possibile carta da medaglia è anche la squadra azzurra del Team Sprint. Da seguire con trepidazione anche le gare di biathlon. Da seguire con trepidazione anche le gare di biathlon. L’atleta da copertina è Dorothea Wierer, plurimedagliata ai Mondiali (3 ori, 4 argenti e 3 bronzi), due volte vincitrice della Coppa del Mondo di biathlon e quattro volte campionessa stagionale di specialità: individuale nel 2016 e 2021, inseguimento nel 2019, partenza in linea nel 2020. Con la Wierer ci sarà anche Lisa Vittozzi: assieme hanno conquistato il bronzo nella staffetta mista a Pyeongchang nell’ultima edizione dei Giochi olimpici invernali. Per Dorothea si è trattato di un bis dopo il terzo posto di Soči 2014. Ri-


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sultati, questi, condivisi con Lukas Hofer che rappresenta una speranza di medaglia per l’Italia anche nell’imminente appuntamento di Pechino: fra i suoi risultati più importanti, del resto, ci sono anche due argenti e due bronzi iridati. Possibile outsider è Dominik Windisch, che può vantare in carriera tre bronzi olimpici, due dei quali nello sprint e nella staffetta mista nel 2018. La stella dello snowboard è Michela Moioli, campionessa olimpica in carica di snowboard cross, sei volte sul podio ai Mondiali e 17 volte a segno in Coppa del Mondo. A Pechino 2022 sarà portabandiera dell’Italia nella cerimonia di chiusura. Nello snowboard cross si giocano i sogni anche Omar Visintin e Lorenzo Sommariva, entrambi con un argento iridato nel palmares. Nelle gare di slalom gigante parallelo, occhio all’altoatesino Roland Fischnaller, classe 1980, 19 vittorie e 42 podi in coppa del mondo e sei medaglie iridate, fra cui l’oro nello slalom parallelo a Kreischberg 2015. Al top, potrebbe far bene anche Aaron March.

Da Bressanone provengono anche Dominik Fischnaller, uomo di punta dello slittino azzurro, che può vantare tre bronzi mondiali fra Igls 2017 (singolo e singolo sprint) e Soči 2020 (singolo sprint), e suo cugino Kevin. L’Italia spera anche nel Team Relay. Otto volte sul podio olimpico, oro di Pyeongchang incluso, Arianna Fontana sarà ancora una volta tra le maggiori speranze del ghiaccio ai Giochi invernali, alimentate dall’ottimo debutto in Coppa del Mondo di short track con quattro podi nelle prime due tappe. Da seguire 500, 1000 e 1500 metri, occhio anche a Martina Valcepina (nei 500) e alla staffetta mista azzurra. Promette bene anche Francesca Lollobrigida, nello speed skating. La 30enne romana ha inaugurato la stagione con due podi in Coppa del Mondo, rispettivamente nei 3000 metri e nella mass start, la disciplina dove può esprimersi al meglio. Assieme a lei nel pattinaggio velocità sperano Andrea Giovannini (mass start) e Davide Giotto, sia nei 10.000 sia nei 5.000 metri. (A. P.) GdB | Nov/dic 2021

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Sport

Federica Sanges, biologa nutrizionista.

NUTRIZIONE E SPORT: FOCUS SULLA PALLACANESTRO La biologa nutrizionista Federica Sanges, ex giocatrice di pallacanestro di serie A, è l’ideatrice del progetto Food4Basket

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na passione trentennale per una tra le più appassionanti discipline sportive di squadra si intreccia con l’esperienza, altrettanto datata, nella biologia della nutrizione umana della Dott.ssa Federica Sanges. Dopo tanti anni dedicati allo sport e l’interesse da sempre manifestato per la scienza dell’alimentazione il passo verso la nutrizione sportiva è stato quasi un automatismo. Nel 2014, durante un corso di formazione in nutrizione nelle varie discipline sportive Federica si rende conto di come la pallacanestro sia poco rappresentata in termini di proposte nutrizionali, per cui decide di approfondire l’argomento.

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La conoscenza radicata della fisiologia della pallacanestro dovuta alle tre decadi di gioco vissute sui campi di tutta Italia, le conferisce una capacità e un’attenzione peculiari nei confronti delle esigenze nutrizionali dei cestisti. Decide quindi, a marzo del 2015, di aprire un blog con articoli, video, interviste, testimonianze legati all’alimentazione nel basket. Nel 2016 inizia a scrivere un libro dedicato al medesimo argomento, ma i ritmi lavorativi (il lavoro della Dott. ssa Sanges si svolge anche a livello clinico con la libera professione) e l’aumento degli atleti che richiedono una consulenza nutrizionale, non rendono semplice la conclusione dell’opera. Sarà l’ormai noto

primo lockdown nel marzo 2020 a dare il via alla conclusione e pubblicazione del libro, dal titolo sempre Food4Basket (per volere del pubblico seguace dei social del progetto), nel giugno del 2020. La pubblicazione del libro ha avuto una risonanza piuttosto consistente nel mondo dei cestisti e degli addetti ai lavori nel mondo della palla a spicchi, tanto che le richieste di consulenza nutrizionale sono aumentate in modo deciso. Più ampia è l’esperienza maturata da Federica e sempre maggiore è la consapevolezza che esistono alcuni aspetti spesso trascurati dall’atleta che possono davvero fare la differenza, come ad esempio il timing nutrizionale di assunzione degli alimenti. Nel seguire tanti atleti che sono in età scolare risulta immediata la percezione della difficoltà delle mamme nel somministrare la giusta qualità e quantità di alimenti quando i loro figli magari escono da scuola alle 14 e hanno allenamento alle 15. Il supporto del Biologo Nutrizionista Sportivo risulta fondamentale in questo caso. Così come, per gli atleti professionisti (Serie A1 e Serie A2) o semiprofessionisti (dalla Serie B in giù) risulta fondamentale avere uno schema alimentare personalizzato Sun piano di integrazione e supplementazione mirato, come degli abiti cucito su misura, ai quali far riferimento senza dover usare energie cerebrali a dover pensa cosa, quando e come cucinare. Le energie mentali, per la dinamica della pallacanestro come disciplina sportiva, è indispensabile che siano disponibili durante le partite e gli allenamenti. La pubblicazione del libro è soltanto uno step del progetto Food4Basket. È già in fase di revisione la traduzione in inglese dell’opera: è ben noto quanto negli Stati Uniti il Basket sia sport popolare e l’intenzione è quella di intersecare l’equilibrio e la salubrità della proposta nutrizionale italo-mediterranea con lo sport più in auge in diversi paesi esteri. È anche in fase embrionale un manuale di ricette mirate alle varie fasi del campionato (off-season, pre-season, regular-season, play-off, play-out, tornei).


Sport

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i può essere numeri uno dopo una vita da “dodicesimo”? Sì, se misuriamo le virtù di uomo, al di là delle doti di un’atleta. E se le virtù del bravo portiere Astutillo Malgioglio le aveva tutte, sono stati la sua sensibilità e il suo impegno sociale ad averlo reso un autentico esempio, spesso incompreso dal mondo del calcio. Poche settimane fa “Tito” è stato insignito del titolo di Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana “per il suo costante e coraggioso impegno a favore dell’assistenza e dell’integrazione dei bambini affetti da distrofia”. È stato il presidente della Repubblica in persona, Sergio Mattarella, a rendere ufficialmente merito a quanto fatto da Malgioglio per i bambini meno fortunati, un impegno che spesso gli ha provocato incomprensioni con allenatori e tifosi delle squadre in cui ha militato, dal Brescia alla Lazio. «Sono imbarazzato, penso di non meritarmi questa onorificenza. Il lavoro che faccio con i bambini già mi gratifica, ringrazio il Signore per questo», ha raccontato il 63enne ex portiere l’ex portiere. Tutto cominciò nel 1977, quando Malgioglio aveva 19 anni. Visitando un centro per disabili nel Bresciano, il giovanissimo portiere proveniente dal Bologna avvertì l’esigenza di doversi impegnare nel sociale, pervaso dalla grande sensibilità e dai forti valori spirituali ereditati dai suoi genitori. «Mi impressionò la loro emarginazione, l’abbandono. Fu un’emozione fortissima, un pugno nello stomaco», il ricordo dell’ex atleta emiliano. Assieme alla moglie Raffaella fondò nella sua Piacenza l’associazione ERA 77, dedicata ai bambini distrofici, e l’anno successivo con i soldi messi da parte con l’attività di calciatore aprì una palestra «per farla diventare un punto d’incontro e aiutare coloro che sono affetti da problemi psicomotori». ERA, acronimo di Elena (la figlia, nata proprio nel ‘77), Raffaella, Astutillo. Non solo empatia, non solo solidarietà ma anche competenze: Malgioglio si è laureato in Medicina ed è inoltre diventato assistente all’infanzia, mentre la

Figurine Panini dell’Inter, anno 1988/89. Astutillo Malgioglio è il quarto della terza fila.

DODICESIMO NEL CALCIO NUMERO 1 NELLA VITA Astutillo Malgioglio, ex portiere di Serie A, insignito del titolo di Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, per l’impegno a favore dei bambini affetti da distrofia

moglie è insegnante di educazione fisica. «Quando ero calciatore non è stato semplice - ha raccontato l’ex dodicesimo di Walter Zenga all’Inter - tra partite, ritiri e allenamenti non avevo molto tempo, cambiavo spesso città e ogni volta ricominciavamo. Appena potevo però scappavo dai bambini». Non tutti però hanno capito la dedizione di Astutillo verso i suoi giovanissimi amici: dall’allenatore che gli contestava uno scarso impegno (lui che non ha mai saltato una seduta) ai suoi stessi tifosi con i quali, ai tempi della Lazio, giunse in rotta di collisione dopo una serie di offese gratuite. Dopo la chiusura della palestra, nel 1995, l’attività è diventata “itinerante”:

Astutillo e la compagna hanno elaborato progetti di sporterapia, continuando a battersi per l’integrazione nello sport fra disabili e normodotati: «Facciamo tutto con i nostri mezzi e grazie al passaparola andiamo nelle case di chi ha bisogno». Quest’anno, a riconoscimento della sua lunga esperienza solidale, Malgioglio è stato premiato con l’inatteso titolo di Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana: «Non so se sono degno di ricevere questa onorificenza - ha confidato in un’intervista - e voglio condividerla con le famiglie di quegli angeli che mi hanno dato la possibilità di fare la cosa più bella del mondo: aiutare il prossimo». (A. P.) GdB | Nov/dic 2021

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LA BIOLOGIA IN BREVE Novità e anticipazioni dal mondo scientifico

a cura di Rino Dazzo

RICERCA Tumori al seno, speranze dalle nuove molecole

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alle simulazioni numeriche arrivano nuovi strumenti nella lotta ai tumori al seno. Una ricerca del Cnr-Iom di Trieste, in collaborazione con INT di Milano e Università di Bologna, ha consentito di identificare un gruppo di molecole a bersaglio multiplo, capaci cioè di legare tra loro l’enzima aromatasi e il recettore ER bloccando l’attività di entrambi. L’aromatasi è l’enzima che sintetizza gli ormoni sessuali femminili che contribuiscono alla crescita cellulare, gli estrogeni, mentre l’ER è il recettore estrogenico alfa, attivato dall’aromatasi, che stimola la proliferazione cellulare, favorendo lo sviluppo dei tumori. Le nuove molecole sintetizzate in laboratorio, in via sperimentale si sono mostrate valide contro la proliferazione delle cellule tumorali, rispettando quelle sane.

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INNOVAZIONE Test incoraggianti per il vaccino contro l’Alzheimer

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n anticorpo e un vaccino contro l’Alzheimer, basato su un’innovativa combinazione di anticorpi e proteine, sono stati testati con successo da un gruppo di ricercatori anglo-tedeschi delle università di Leicester e Gottingen. Sia l’anticorpo (TAP01_04) che il vaccino (TAPAS) si sono dimostrati in grado, nel corso degli esperimenti sui topi, di neutralizzare le forme troncate di beta amiloide, la proteina che in alte concentrazioni è associata a un rischio maggiore di sviluppare la malattia. Anticorpi e proteina si sono legati in una forma stabile, ripristinando negli animali la corretta funzione dei neuroni, aumentando i livelli di glucosio nel cervello e riattivando i circuiti della memoria. L’esito delle successive sperimentazioni potrebbe portare allo sviluppo su larga scala di una terapia e di un vaccino contro l’Alzheimer.


Brevi

NEUROLOGIA Il legame tra linguaggio e capacità di usare strumenti

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’è una relazione tra capacità di manipolare strumenti e abilità linguistiche che offre possibilità di sviluppare nuovi trattamenti dei disturbi del linguaggio: lo dice uno studio condotto da Karolinska Institutet di Stoccolma, CNRS e Université Lumière di Lione. I ricercatori hanno accertato come l’allenamento motorio sia in grado di migliorare la capacità di comprensione di frasi complesse e la pratica nella sintassi aiuti a migliorare l’abilità nel maneggiare oggetti.

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MICROBIOLOGIA Scoperti i microbi che trasformano il carbone in metano

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© Vova Shevchuk/www.shutterstock.com

lla base della formazione del carbone e del metano non ci sono temperatura, acidi o catalizzatori, ma dei microbi. Lo suggerisce uno studio della Penn State e della Arizona University, pubblicato su Science, in cui si è accertato come l’azione dei microbi sia in grado di trasformare il materiale organico in metano. La scoperta promette di avere conseguenze importanti per l’ambiente. La maggior parte del carbone utilizzato oggi, infatti, è ancora in uno stato organico, con significative emissioni di gas a effetto serra. Comprendere a fondo come i microbi aerobici favoriscano la trasformazione del carbone in metano potrebbe facilitare la produzione di questo gas e, soprattutto, aiutare a mitigare, attraverso azioni mirate, gli effetti dei gas serra sull’atmosfera terrestre.

GENETICA La risposta immunitaria peggiora il decorso della sclerosi

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a risposta immunitaria peggiora il decorso della malattia nei pazienti affetti da sclerosi multipla. Lo dimostra uno studio internazionale della Sapienza di Roma che ha coinvolto altri centri di ricerca italiani come l’Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano, la Federico II e l’Istituto per l’endocrinologia e l’oncologia del Cnr di Napoli, l’Irccs Santa Lucia e l’Istituto Pasteur Italia-Fondazione Cenci Bolognetti di Roma. Lo studio ha preso in esame il ruolo dei linfociti T, cellule del sistema immunitario che nella sclerosi multipla si attivano in maniera anomala danneggiando i tessuti del sistema nervoso centrale, e quello di altri antigeni definiti “criptici”, che entrano in gioco in caso di stress tissutale e che peggiorano il decorso della malattia, determinando un aumento delle cellule T.

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Lavoro

CONCORSI PUBBLICI PER BIOLOGI UNIVERSITÀ “LA SAPIENZA” DI ROMA Scadenza, 9 dicembre 2021 Procedura di selezione per la chiamata di un professore di seconda fascia, settore concorsuale 07/F1, per il Dipartimento di biologia ambientale. Gazzetta Ufficiale n. 89 del 09-112021. AZIENDA OSPEDALIERO-UNIVERSITARIA DI CAGLIARI Scadenza, 16 dicembre 2021 Concorso pubblico unificato, per titoli ed esami, per la copertura di nove posti di dirigente biologo, disciplina di patologia clinica, a tempo pieno ed indeterminato, per varie aziende del Servizio sanitario regionale della Regione Sardegna. Gazzetta Ufficiale n. 91 del 16-11-2021. ISTITUTO NAZIONALE PER LE MALATTIE INFETTIVE “LAZZARO SPALLANZANI” DI ROMA Scadenza, 16 dicembre 2021 Conferimento, per titoli ed esami, dell’incarico quinquennale rinnovabile di direttore della UOC Virologia e laboratori di biosicurezza. Gazzetta Ufficiale n. 91 del 16-11-2021. ISTITUTO NAZIONALE PER LE MALATTIE INFETTIVE “LAZZARO SPALLANZANI” DI ROMA Scadenza, 16 dicembre 2021 Conferimento, per titoli ed esami, dell’incarico quinquennale rinnovabile di direttore della UOC Microbiologia e banca biologica. Gazzetta Ufficiale n. 91 del 16-11-2021. AZIENDA SANITARIA LOCALE 72 GdB | Nov/dic 2021

ROMA 1 DI ROMA Scadenza, 19 dicembre 2021 Concorso pubblico, per titoli e colloquio, per la formulazione di una graduatoria per la copertura di posti di dirigente biologo a tempo determinato, disciplina di patologia clinica, per la UOC SIMT e Centro di produzione emocomponenti. Gazzetta Ufficiale n. 92 del 19-11-2021. AZIENDA SANITARIA LOCALE ROMA 1 DI ROMA Scadenza, 19 dicembre 2021 Concorso pubblico, per titoli e colloquio, per la formulazione di una graduatoria per la copertura di posti di dirigente biologo a tempo determinato, disciplina di patologia clinica, per la UOC Anatomia patologica. Gazzetta Ufficiale n. 92 del 19-11-2021. AZIENDA SANITARIA LOCALE ROMA 1 DI ROMA Scadenza, 19 dicembre 2021 Concorso pubblico, per titoli e colloquio, per la formulazione di una graduatoria per la copertura di posti di dirigente biologo a tempo determinato, disciplina di patologia clinica, per la UOC Patologia clinica. Gazzetta Ufficiale n. 92 del 19-11-2021. AZIENDA SANITARIA LOCALE ROMA 1 DI ROMA Scadenza, 19 dicembre 2021 Concorso pubblico, per titoli e colloquio, per la formulazione di una graduatoria per la copertura di posti di dirigente biologo a tempo determinato, disciplina di genetica medica, per la UOSD Genetica medica. Gazzetta Ufficiale n. 92 del 19-11-2021.

AZIENDA SANITARIA LOCALE ROMA 1 DI ROMA Scadenza, 19 dicembre 2021 Concorso pubblico, per titoli e colloquio, per la formulazione di una graduatoria per la copertura di posti di dirigente biologo a tempo determinato, disciplina di microbiologia/ virologia, per la UOC Microbiologia/ virologia. Gazzetta Ufficiale n. 92 del 19-11-2021. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI BIOMEMBRANE, BIOENERGETICA E BIOTECNOLOGIE MOLECOLARI DI BARI Scadenza, 2 dicembre 2021 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di N. 1 assegno Tipologia A) “Assegni Professionalizzanti” per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti l’Area Scientifica “Scienze Biomediche” conferito dall’Istituto di Biomembrane, Bioenergetica e Biotecnologie Molecolari CNR di Bari, nell’ambito del Progetto ELIXIR IIB previsto nella Roadmap Esfri, , per la seguente tematica: “Produzione e analisi integrata di dati di -omici in sistemi di espressione eterologa di proteine umane e virali”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI STRUTTURA DELLA MATERIA DI ROMA Scadenza, 3 dicembre 2021 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferi-


Lavoro

mento di n. 1 Assegno Professionalizzante per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti l’Area Scientifica “Scienze Chimiche” da svolgersi presso la sede Secondaria di Montelibretti dell’Istituto di Struttura della Materia del CNR nell’ambito del PROGETTO “BIOMARKERS DISCOVERY CON ELECTROSPRAY-MASS SPECTROMETRY “-Avviso “Gruppi di ricerca 2020” di cui alla Det. n. G04052 del 04/04/2019 – POR FESR LAZIO 2014 – 2020 per la tematica: “Studio computazionale con tecniche di MD classica e ML della struttura dei miRNA isolati e in interazione per formare complessi”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI BIOLOGIA E BIOTECNOLOGIA AGRARIA DI MILANO Scadenza, 3 dicembre 2021 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di un assegno di tipologia professionalizzante per lo svolgimento di attività di ricerca inerente all’Area Scientifica AGR/07 “Genetica Agraria”, presso la sede di Milano dell’Istituto di Biologia e Biotecnologia Agraria del CNR che effettua ricerche nell’ambito del Programma di ricerca “SURF - Selezione e sviluppo di materiali genetici per la resistenza alle virosi del frumento”, Bando 2018 Regione Lombardia per il finanziamento di progetti di ricerca in campo agricolo e forestale, D.D.S. n. 4403 del 28/03/201, per la seguente tematica: “Sviluppo di linee mutate di frumento mediante tecnologia CRISPR/CAS”. Per informazioni, www. cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO NANOSCIENZE DI PISA Scadenza, 4 dicembre 2021 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1 Assegno Post Dottorale (Tipologia: B) per lo svolgimento di

attività di ricerca inerenti l’Area Scientifica “Scienze fisiche” da svolgersi presso la Sede Primaria di PISA dell’Istituto NANO del CNR sulla seguente tematica: “Realizzazione e studio delle proprietà di sistemi per light-harvesting” nell’ambito del Progetto PRIN “Learning from natural pigment-protein complexes how to design articial lightharvesting systems (HARVEST)”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”.

+ (Invitalia) e al progetto finanziato ID BRE0000830 dal titolo: “Attività Antitumorale Di Curcumina E Polidatina Su Glioblastoma Umano: Uno Studio Propedeutico Per Lo Sviluppo Di Composizioni Comprendenti Resveratrolosidi E Curcumine”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”.

CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI NEUROSCIENZE DI MILANO Scadenza, 5 dicembre 2021 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1 Assegno di Tipologia “C” – “ASSEGNO SENIOR” per attività di ricerca inerente l’Area Scientifica “Medicina e Biologia” presso l’Istituto di Neuroscienze del CNR, Sede di Milano, Via Raoul Follereau 3, 20854 Vedano al Lambro (MB) e da svolgersi presso l’Ospedale San Raffaele, Via Olgettina 58, 20132 Milano (MI) nell’ambito del progetto autofinanziato “Sviluppo di modelli in vitro con cellule staminali e di nuove terapie cellulari e geniche per malattie neurologiche” sulla seguente tematica: “Generation of iPSC-derived GABAergic neurons from patients with neuropsichiatric disoders”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”.

CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI BIOLOGIA E BIOTECNOLOGIA AGRARIA DI MILANO Scadenza, 6 dicembre 2021 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di un assegno di tipologia professionalizzante per lo svolgimento di attività di ricerca inerente all’Area Scientifica AGR/07 “Genetica Agraria”, presso la sede di Milano dell’Istituto di Biologia e Biotecnologia Agraria del CNR che effettua ricerche nell’ambito del Programma di ricerca “CASTADIVA - Biodiversità e multifunzionalità del castagno. Valorizzazione delle risorse genetiche per lo sviluppo di aree submontane lombarde”, Programma di sviluppo rurale 2014/2020 della Lombardia attuativo del Reg. UE n. 1305/2013, per la seguente tematica: “Approcci biochimici, genomici e modellistici per la valorizzazione delle risorse genetiche di castanili lombardi”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”.

CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI FARMACOLOGIA TRASLAZIONALE DI ROMA Scadenza, 6 dicembre 2021 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1 “Assegni Professionalizzanti Tipologia A assegni per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti l’Area Scientifica “Scienze Biomediche” da svolgersi presso l’Istituto di Farmacologia Traslazionale del CNR Roma nell’ambito del programma di ricerca del Bando MISE Brevetti

CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO PER LA SINTESI ORGANICA E LA FOTOREATTIVITÀ DI BOLOGNA Scadenza, 7 dicembre 2021 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1 Assegno di tipologia b) “Assegno Post-dottorale” per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti l’Area Scientifica “Biotecnologie/Biologia” da svolgersi presso l’Istituto per la Sintesi Organica e la Fotoreattività del CNR che effettua ricerca nell’ambito del programma di ricerca dei Progetti GdB | Nov/dic 2021

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“ARO-ASTRO-GOLD” e “AFOSRASTROLIGHT”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI RICERCA SUGLI ECOSISTEMI TERRESTRI DI PORANO (TERNI) Scadenza, 7 dicembre 2021 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1 Assegno “Post dottorale” per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti l’Area Scientifica “Scienze del Sistema Terra e Tecnologie per l’Ambiente” da svolgersi presso l’Istituto di Ricerca sugli Ecosistemi Terrestri del CNR che effettua ricerca sui servizi ecosistemici e gli obbiettivi di sviluppo sostenibile nei sistemi socioecologici, nell’ambito del programma di ricerca: “Leverage points for organic and sustainable food systems - FOODLEVERS”, per la seguente tematica: “Analisi semiotica di sistemi socio-ecologici e strategie di sviluppo sostenibile – Indagine sui nuovi paradigmi ambientali tra neoruralismo e postagricolo per la proposizione e la interpretazione di filiere agroalimentari innovative, all’interno di sistemi agricoli biologici”. Per informazioni, www.cnr. it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO PER LA PROTEZIONE SOSTENIBILE DELLE PIANTE DI TORINO Scadenza, 8 dicembre 2021 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1 assegno professionalizzante (tipologia A) per lo svolgimento di attività di ricerca inerente l’Area Scientifica “Scienze Agrarie e Veterinarie” da svolgersi presso l’Istituto per la Protezione Sostenibile delle Piante del CNR - Sede istituzionale di Torino, fondamentale nell’ambito del programma di ricerca OPTIMal USage of natural product and biological PRIMing agents to improve rEsilience of agrosystems to climate change (OPTI74 GdB | Nov/dic 2021

MUS PRIME) per la seguente tematica: “Applicazione di agenti di priming chimico e biologico (microrganismi del suolo) e valutazione del loro ruolo nella tolleranza a stress ambientali, compresa trascrittomica da radici e foglie”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI GENETICA MOLECOLARE DI PAVIA Scadenza, 9 dicembre 2021 È indetta una pubblica selezione per titoli, eventualmente integrata da colloquio, per il conferimento di n. 1 borsa di studio per laureati, per ricerche inerenti l’Area scientifica “Medicina e Biologia” da usufruirsi presso l’Istituto di Genetica Molecolare Luigi Luca Cavalli-Sforza del CNR di Pavia, nell’ambito dei Progetti: DSB. AD004.294 INTERSLA - P0000410 Progetto INTERSLA “Innovazione, nuovi modelli tecnologici e reti per curare la SLA”. Per informazioni, www. cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI BIOCHIMICA E BIOLOGIA CELLULARE SEZ. MONTEROTONDO (ROMA) Scadenza, 13 dicembre 2021 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1 Assegno di Ricerca “Professionalizzante” per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti l’Area Scientifica di Scienze Biomediche da svolgersi presso l’Istituto di Biochimica e Biologia Cellulare del CNR, nella sede di Monterotondo (RM), che effettua ricerca in “Scienze Biologiche, Biochimiche e Farmacologiche” nell’ambito del Progetto “LIMONE-Nanoparticelle lipidiche per raggiungere il motoneurone” (Lazioinnova A0375-2020-36730) - con scadenza il 13/04/2023 - CUP B55F20001990002 - per la seguente tematica: “Nanoparticelle lipidiche per raggiungere il motoneurone”. Per informazioni, www.cnr.

it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI BIOSCIENZE E BIORISORSE DI PALERMO Scadenza, 15 dicembre 2021 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1 Assegno di Ricerca Professionalizzante per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti l’Area Scientifica “Area 05 - Scienze biologiche - BIO/04 – Fisiologia Vegetale” da svolgersi presso l’Istituto di Bioscienze e BioRisorse di Palermo del CNR, che effettua uno studio sulla “Valutazione degli effetti di inquinanti antropici su posidonia oceanica”, nell’ambito del progetto di ricerca “Marine Hazard: Sviluppo di tecnologie innovative per l’identificazione, monitoraggio, remediaton di sorgenti di contaminazione naturale e antropica” a valere su progetti PON Ricerca e Competitività 2007-2013, per la seguente tematica: “Analisi bioinformatiche di dati NGS (RNASequencing) finalizzate all’isolamento di geni e pathways attivate in Posidonia oceanica da inquinanti antropici”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO PER LE RISORSE BIOLOGICHE E LE BIOTECNOLOGIE MARINE DI ANCONA Scadenza, 16 dicembre 2021 È indetta una pubblica selezione per titoli, eventualmente integrata da colloquio, per il conferimento di n. 1 borsa di studio per laureati, per ricerche inerenti l’Area scientifica Scienze del Sistema Terra e Tecnologie per l’Ambiente da usufruirsi presso l’Istituto per le Risorse Biologiche e le Biotecnologie Marine del CNR – sede di Ancona nell’ambito del programma di ricerca: “Gestione sostenibile delle risorse marine e crescita blu”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”.


Gabriella Durante Biologa Nutrizionista Presidente Scienzintasca GDS Nutrizione ONB

Fabio La Grua Claudio Pecorella Biologo Nutrizionista Sportivo Esperto in analisi della composizione corporea Autore della Cyclicity Diet

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IN FASE DI ACCREDITAMENTO

Biologo Manager di reti Presidente CORSA FederLab Puglia GDS Patologia clinica ONB

Edoardo Fornagiari Basil Rababa Marketing Coach Fondatori di: E.F. Consulting Training-Online Marketing Nutrizionale Protocollo Benessere 4.0 Eterna Consulting

DA PROFESSIONISTA AD IMPRENDITORE

OVVERO COME TRASFORMARE UN'ATTIVITA' PROFESSIONALE IN UNA PICCOLA AZIENDA

18 DICEMBRE 2021 10.00-13.00

DIRETTORE SCIENTIFICO: GdB | Nov/dic 2021 75 DOTT.SSA MARIA TERESA VENNERI


Scienze

Comprendere meglio i meccanismi patogeni di malattia La rilevanza della fluttuazione delle varianti del DNA mitocondriale durante la riprogrammazione e differenziazione neuronale delle iPSC umane

È

stata pubblicata di recente su Stem Cell Reports una ricerca che tratta aspetti più di base che riguardano il controllo qualità delle iPSc che sono diventate un modello di studio rilevante, non solo per comprendere i meccanismi patogenetici di malattia, ma anche per testare approcci farmacologici e di terapia genica, nonché per essere usate come terapia cellulare per malattie neurodegenerative.

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“La generazione di cellule staminali pluripotenti inducibili (iPSC) è una tecnica rivoluzionaria che consente la produzione di cellule staminali pluripotenti derivate dal paziente”, ci spiega la dott.ssa Valeria Tiranti, ricercatrice. “linee cellulari specifiche utilizzate come modello per studiare la malattia, lo screening dei farmaci e la terapia cellulare. L’integrità del DNA nucleare (nDNA) è obbligatoria per consentire l’utilizzo delle


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cellule iPSC, mentre il controllo di qualità del DNA mitocondriale (mtDNA) è raramente incluso nel processo di validazione delle iPSC. In questo studio si è eseguito il sequenziamento profondo del mtDNA durante la transizione dai fibroblasti parentali a iPSC riprogrammati e a progenitori neuroni (NPC) ottenute da controlli e pazienti affetti da diversi disordini mitocondriali. Ad ogni passaggio, varianti del mtDNA, tra cui quelli potenzialmente patogene, possono fluttuare emergendo o scomparendo e alcune possono determinare alterazioni della funzionalità mitocondriale. Ecco perché il messaggio che diamo è di includere sempre l’analisi del mtDNA come test inevitabile per ottenere iPSC e NPC utilizzabili e completamente certificati”. Dal team di ricercatori autori della pubblicazione recente è stata effettuata una approfondita analisi delle iPSC, generate da fibroblasti e cellule mononucleate del sangue periferico (PBMC) e, per la prima volta, in cellule NPC. “Abbiamo eseguito il sequenziamento profondo del mtDNA in fibroblasti/iPSC/NPC ottenuti da controlli e due classi di pazienti: un gruppo definito mitocondriale, portatore di mutazioni note omoplasmatiche o eteroplasmiche del mtDNA, e un gruppo definito nucleare, portatore di mutazioni in geni nucleari che

codificano per proteine mitocondriali” spiega la dott.ssa Valeria Tiranti”. L’elevata copertura ottenuta, soprattutto nei fibroblasti, ha permesso di identificare con sicurezza varianti con un carico eteroplasmico molto basso, non rilevate dalle tecnologie di sequenziamento standard, dimostrando l’esistenza di eteroplasmia universale del mtDNA (Payne et al. al., 2013; Wei et al., 2019)”. Lo studio ha osservato che la generazione di iPSC è costantemente influenzata da eventi di espansione/riduzione o generazione de novo di varianti eteroplasmiche nel mtDNA, potenzialmente deleterie, che in definitiva influenzano la salute globale delle iPSC. Ciò ha profonde implicazioni per il differenziamento ulteriore in neuroni o altri tipi cellulari, nonché in organoidi (Lancaster e Knoblich, 2014) utilizzati come modello di malattia, ma in particolare per l’uso terapeutico in vivo di iPSC nell’uomo, come avviene ad esempio per i pazienti affetti da Parkinson (Fan et al., 2020; Stoddard-Bennett e Pera, 2020). Inoltre, è stato recentemente dimostrato che mutazioni del mtDNA non sinonime nelle iPSC possono portare a neoantigeni che provocano una risposta immunitaria, indicando che le iPSC autologhe potrebbero non essere immunologicamente inerti. “Il profilo della sequenza del mtDNA delle iPSC è un passaggio inevitabile per garanGdB | Nov/dic 2021

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Scienze

iPSC di qualità”. Dal team dei ricercatori non è stato osservata la presenza di varianti ricorrenti del mtDNA, né evidenti hot spot mutazionali o geni più inclini di altri alla variazione genetica, ad eccezione della variante m.1693C>A nell’MT-RNR2, rilevata in tre iPSC non correlate. Questa nuova variante era assente nel repository Mitomap e non era stata riconosciuta da studi precedenti sul mitogenoma delle iPSC (Kang et al., 2016; Perales-Clemente et al., 2016). La maggior parte delle varianti segnalate colpiva i geni che codificano per proteine e circa la metà di esse era potenzialmente dannosa. La maggior parte delle varianti riportate ha aumentato il livello di eteroplasmia dal fibroblasto alle iPSC. Una volta fissate nei cloni iPSC, queste varianti erano, nella maggior parte dei casi, presenti e mantenute a un livello eteroplasmico simile negli NPC, suggerendo che, durante questa transizione, non si dovrebbero verificare importanti modulazioni della quantità di mtDNA, sebbene possano sorgere ulteriori varianti di mtDNA. Lo studio ha avuto il sostegno finanziario di Mitocon Italia e il contributo del Ministero della Salute per il progetto REORION, coordinato dal Prof. Carelli e a cui partecipa il Dr. Broccoli, inoltre l’Associazione Luigi Comini Onlus (http://www. luigicominionlus.org/) ha supportato una borsa di studio della Dottoressa Camille Peron. Il lavoro è stato frutto di una collaborazione non solo italiana, ma anche internazionale con diversi contributi da agenzie di finanziamento Finlandesi; dall’associazione americana UMDF, e dall’Università di Dusseldorf, Germania. (C. B.).

Bibliografia

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tire che queste cellule siano un buon modello di studio per le malattie e per testare trattamenti terapeutici sperimentali” dice la dott.ssa Valeria Tiranti,”Uno studio sistematico dei cambiamenti dinamici nell’insorgenza e nella segregazione delle varianti del mtDNA fornisce anche una grande opportunità per comprendere meglio tutte le questioni relative all’eteroplasmia universale. In definitiva, il controllo della stabilità genetica delle iPSC e la valutazione dei genomi nucleari e mitocondriali è di fondamentale importanza per studi clinici basati su 78 GdB | Nov/dic 2021

- Volpato, V., and Webber, C. (2020). Addressing variability in iPSC-derived models of human disease: guidelines to promote reproduc-ibility. Dis. Model. Mech. 13, dmm042317. -Stoddard-Bennett, T., and Pera, R.R. (2020). Stem cell therapy for Parkinson’s disease: safety and modeling. Neural Regen. Res. 15, 36–40. - La Morgia, C., Maresca, A., Caporali, L., Valentino, M.L., and Carelli, V. (2020). Mitochondrial diseases in adultsno, J. Intern. Med. 287, 592-608 -Doi, D., Magotani, H., Kikuchi, T., Ikeda, M., Hiramatsu, S., Yosh-ida, K., Amano, N., Nomura, M., Umekage, M., Morizane, A., et al. (2020). Pre-clinical study of induced pluripotent stem cell-derived dopaminergic progenitor cells for Parkinson’s disease. Nat. Commun. 11, 3369.


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Scienze

Formaggi naturalmente senza lattosio? Sì, solo se DOP e certificati con il Marchio Lfree® Il mondo del lactose-free porta a casa una grande scoperta, una rivoluzione per l’alimentazione dei soggetti intolleranti al lattosio

di Maria Sole Facioni*

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l fenomeno delle intolleranze e delle allergie ormai abbandonati. Lo conferma il progetto di ricerca alimentari è oggi sempre più attuale, basta una pubblicato lo scorso settembre sulla rivista scientifica semplice ricerca su Google o un giro t r a internazionale Foods. Il lavoro indaga l’effettiva quangli scaffali dei supermercati per tità di lattosio presente in 25 formaggi Dop per chiarire confermarlo. se sia possibile definirli naturalmente privi di questo “Celiaci, intolleranti al glutine o al zucchero, grazie al processo produttivo prelattosio o semplicemente interessavisto dal disciplinare. Lo studio è stato ti a ridurne l’introduzione nella condotto sotto l’egida della Prof.ssa dieta quotidiana hanno potuto Angela Zinnai, docente del Dicontare nel 2020 su 10.171 partimento di Scienze Agrarie, prodotti alimentari forAlimentari e Agro-ambientali mulati per rispondere dell’Università di Pisa. a queste precise esiQuesta ricerca si rende genze nutrizionali”, oggi più che mai necessalo riporta l’ultimo reria, visto che si stima che port dell’Osservatorio sia intollerante al lattosio Immagino del 2021. il 50% della popolazione Nonostante il trend posiitaliana. Una percentuale tivo, a causa della mancanza che aumenta ulteriormente di una normativa comunitaa livello mondiale, raggiunria che regolamenti l’utilizzo gendo una media intorno del claim ‘senza lattosio’, si al 70% (The Lancet, 2017). moltiplicano le diciture “fuorLa maggiore consapevolezza vianti” che evidenziano l’assenza di questa condizione si rifletdi lattosio nei prodotti, contrite nella crescita vertiginosa del buendo a generare confusione nel mercato dei prodotti ‘senza lattoconsumatore latto-intollerante. sio’, che solamente nel 2020 hanno reUna volta scoperta l’intolleranza al lat- © TMvectorart/shutterstock.com gistrato un incremento del 6,7% rispetto tosio, l’errore più comune è eliminare draall’anno precedente (Fonte: Osservatorio sticamente tutti i latticini, pensando che il Immagino). lattosio si trovi esclusivamente in latte e derivati. È inProprio in questo scenario si inserisce il progetto di vece possibile evitare inutili restrizioni e riscoprire gusti ricerca che ha l’obiettivo di far chiarezza sulla tematica e di fornire univoche informazioni sul quantitativo di lattosio presente nei principali formaggi Dop caratte* Biologa Molecolare, Presidente AILI (Associazione Italiana rizzati da stagionature diverse. In particolare, lo studio Latto-Intolleranti Aps). si propone di incrementare e diversificare l’offerta dei prodotti caseari adatti all’alimentazione delle persone

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latto-intolleranti. In questo modo è possibile evitare inutili restrizioni dietetiche e riscoprire gusti ormai abbandonati. Per realizzare questo lavoro, è stato necessario in primis condurre una revisione della letteratura scientifica finora disponibile. L’ultima pubblicazione sul tema risale al 2007, ben 14 anni fa, in cui sono state utilizzate tecniche analitiche oggi sorpassate. Le carenze di dati scientificamente attendibili si ripercuotono sulle etichette dei formaggi disponibili a scaffale, dove è facile riscontrare l’assenza o l’incongruenza tra le varie diciture anche presenti all’interno della stessa tipologia di Dop, creando inevitabilmente difficoltà nell’acquisto. A conferma di ciò, si riporta che il 36,4% dei consumatori intolleranti al lattosio acquista solo Grana Padano e Parmigiano Reggiano oltre 30-36 mesi, mentre ben il 43% dei nutrizionisti consiglia solo lunghe stagionature oltre 30 mesi. Questi sono i risultati emersi dai due questionari realizzati ad hoc e somministrati ai principali attori di questo scenario: i professionisti della nutrizione e i consumatori latto-intolleranti. In entrambi i gruppi di intervistati, il 97% dichiara di ritenere necessaria una tabella con l’elenco dei formaggi da includere nella dieta senza lattosio. Sulla base delle informazioni raccolte, sono stati quindi selezionati 25 formaggi Dop, di cui 21 italiani e 4 stranieri, i più presenti sulle tavole degli italiani, per

determinare il contenuto di lattosio. “Proprio per dare un eccellente supporto tecnico-scientifico, sono state ricercate ed impiegate le tecniche analitiche più sensibili e specifiche (circa 140 analisi in 2 laboratori accreditati), che riescono a rilevare un contenuto residuo di lattosio inferiore a 0,001%” - dichiara Angela Zinnai. Questo contenuto, corrispondente al limite più basso rilevabile dalle analisi, è a dire il vero inferiore a quello previsto dalla nota emanata nel 2015 dal Ministero della Salute Italiano per dichiarare un prodotto privo di lattosio (<0,1%), ma si tratta di una soglia molto più ‘sicura’ per gli intolleranti. Quali formaggi Dop hanno superato i test? Tra i formaggi che hanno superato tutte le prove analitiche si ritrovano Grana Padano e Parmigiano Reggiano, già dalla loro prima stagionatura e Pecorino Romano, confermando quanto già pubblicato dai rispettivi Consorzi. Asiago, Emmentaler, Taleggio, Caciocavallo e Fontina, sul cui residuo di lattosio si interrogano in molti da tempo, grazie a questo studio risultano avere un residuo di lattosio inferiore allo 0.001% e decretabili come “naturalmente privi di lattosio”. In ultimo, ma non per meno importanza, emergono Brie, Piave e, infine, il Pecorino Toscano ma solo a lunga stagionatura (almeno 4 mesi). Ma come avviene la perdita del lattosio in questi formaggi? Anche qui occorre sfatare un mito. GdB | Nov/dic 2021

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Al primo posto tra i responsabili della perdita di lattosio, nella maggior parte dei formaggi DOP selezionati, sono i fermenti lattici che operano la trasformazione del quantitativo maggiore di questo zucchero in acido lattico. La stagionatura, fino ad oggi ritenuta la principale causa della riduzione del lattosio, passa quindi in secondo piano ridefinendo il suo ruolo nella perdita di questo zucchero, soprattutto nei formaggi a pasta morbida. In conclusione, questo lavoro di ricerca ha contribuito ad identificare nuovi possibili formaggi DOP, eccellenze casearie Made in Italy, come naturalmente privi di lattosio così da essere inclusi nella dieta dei soggetti latto-intolleranti. Non è però da tralasciare la notevole variabilità che si presenta anche all’interno di uno stesso formaggio Dop, con ripercussioni sulla loro composizione. “Ad oggi, l’unica certificazione in grado di garantire queste condizioni è il Marchio internazionale Lfree®” – dichiara Eleonora Zeni, co-founder della startup ELLEFREE proprietaria e ideatrice dell’unico marchio di certificazione che identifica e differenzia i prodotti senza lattosio o senza latte sullo scaffale. Con l’apposizione del Marchio sull’etichetta del prodotto, si otterrebbe l’identificazione chiara e univoca dei 82 GdB | Nov/dic 2021

formaggi naturalmente senza lattosio e il miglioramento dell’esperienza di acquisto del consumatore latto- intollerante. Il Marchio Lfree, oggi già presente su più di 300 prodotti, rappresenta quindi uno strumento chiave per l’etichettatura ‘senza lattosio’. Come riportato in una recente review, condotta in collaborazione con le ricercatrici della Fondazione Veronesi (Journal of Translational Medicine, 2020), il miglioramento dell’etichettatura dei prodotti senza lattosio è oggi necessario per gestire al meglio questa intolleranza, evitare carenze nutrizionali e di soddisfare le esigenze di un segmento di consumatori in continua crescita, non solo in Italia, ma anche all’estero.

Bibliografia Facioni M.S., Dominici S., Marescotti F., Covucci R., Taglieri I., Venturi F., Zinnai A. (2021) Lactose Residual Content in PDO Cheeses: Novel Inclusions for Consumers with Lactose Intolerance. Foods. 10, 2236.


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I percorsi storici sul sequenziamento del DNA: le tecnologie NGS di 3a generazione (parte IV) Il sequenziamento del Dna e la nascita della Next Generation Sequencing o NGS Come si è arrivati alla genomica moderna

di S. Barocci*, I. Paolucci**, P. D. Antonelli***, A. F. Cristallo****

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e tecnologie di 3° generazione, dette anche “a singola molecola di DNA”, rappresentano un vero e proprio salto di qualità e potenzialità; possiedono la caratteristica principale di non aver la necessità di una amplificazione, tramite PCR, del segmento da sequenziare. Questo produce una serie di vantaggi che si possono riassumere in: - riduzione dei tempi di risposta; - possibilità di elaborare “reads” più lunghe che migliorano l’accuratezza; - maggiore efficienza nella costruzione delle sequenze per eliminazione di possibili errori durante la fase di amplificazione; - utilizzo di piccole quantità di materiale di partenza (400 – 1000 attomoli) (una attomole corrisponde a 10-8 moli) con risparmio di reagenti. Le piattaforme attualmente messe in commercio per il sequenziamento di 3a generazione sono rappresentate dalla Helicos Biosciences true Single Molecule Sequencing (tSMS), dalla Pacific Biosciences Single Molecule Real-Time (SMRT), dalla Oxford Nanopore Sequencing e dalla Stratos Genomics. La piattaforma Helicos Biosciences true Single Molecule Sequencing (tSMS) ha molte delle caratteristiche del sequenziamento NGS di 2a generazione ma si distingue da quelle di 3a generazione per la capacità di sequenziare direttamente l’RNA anche senza essere retrotrascritto a cDNA. Università di Genova per la terza età, UNITE e UNITRE. Servizio di Immunoematologia e Trasfusione, Ospedale Castelli di Verbania. *** ADMO Regione Toscana. **** Servizio di Immunoematologia e Trasfusione, Ospedale Santa Chiara di Trento. *

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La piattaforma Pacific Biosciences Single Molecule Real-Time (SMRT) riesce a sequenziare grandi molecole di DNA e a permettere la rivelazione real – time della sequenza; ha, però, alti costi ed elevati tassi di errori in percentuale (>5%). La piattaforma Oxford Nanopore rappresenta, invece, una nuova tecnologia basata su dei nanopori in grado di leggere una sequenza di DNA attraverso la rilevazione dei cambiamenti di flusso di corrente che attraversa dei pori di pochi nanometri (nm), caratteristici dello specifico nucleotide che viene addizionato alla catena. Infine, nel 2016, la Stratos Genomics sviluppa la “SBX” detta “sequencing by expansion” che utilizza nanopori per la lettura delle sequenze in maniera rapida ed economica. Helicos Biosciences La piattaforma Helicos Single Molecules Sequencing viene presentata nel 2007, per la prima volta, dalla Società Helicos Biosciences ma solo nel 2009 immette sul mercato il dispositivo Heliscope sequencer; una tecnologia di sequenziamento che analizza molecole di DNA prese singolarmente (1). È la prima tecnologia di sequenziamento che elimina l’amplificazione clonale dei frammenti di DNA, basata sulla frammentazione del DNA stampo, seguita da una poliadenilazione all’estremità 3’, in cui l’adenosina terminale è marcata con un fluoroforo (2). I filamenti poliadenilati sono poi denaturati e ibridati con code di poli dT immobilizzate su celle di flusso, che ne permettono l’ancoraggio. Le posizioni dei singoli filamenti sono rilevate da una camera CCD (Charge-Coupled Device) o dispositivo ad accoppiamento di carica; cioè un circuito integrato formato da una riga o da una griglia di elementi semiconduttori in grado di accumulare una carica elettrica proporzionale all’intensità della radiazione elettromagnetica che


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li colpisce. Questi elementi sono accoppiati in modo che ognuno di essi, sollecitato da un impulso elettrico, possa trasferire la propria carica ad un altro elemento adiacente, mentre il fluoroforo è rimosso. Da questo momento, inizia il sequenziamento con l’aggiunta nella cella a flusso (flowcell) di una soluzione contenente DNA polimerasi e uno dei 4 dNTP marcati con un altro fluoroforo, il Cy5. Se l’incorporazione avviene, viene rilevata la fluorescenza; dopodiché si effettua un lavaggio e il filamento di DNA è testato con una soluzione di un altro nucleotide. Ogni ciclo di test con i 4 nucleotidi viene definito “quad o quadriciclo”. Generalmente, una seduta di sequenziamento prevede lo svolgimento di 25 - 30 quad per ottenere delle reads di 40 - 50 bp. I vantaggi principali di questa tecnologia sono legati all’assenza di amplificazione clonale che riduce i tempi di indagine e alla possibilità di incorporare errori (3). La piattaforma Helicos è stata utilizzata nel sequenziamento del genoma del batteriofago M13 di 6407 bp. Questa ha dimostrato la sua efficacia ma anche le sue limitazioni legate alla ridotta lunghezza delle reads e al tasso di errore. L’accuratezza della reazione è stata migliorata introducendo un doppio sequenziamento di ogni molecola stampo. Nonostante ciò, rimaneva una persistente minore accuratezza nei tratti ripetuti (zone ricche in CG) dovuta al fatto che la DNA polimerasi aggiunge, ad ogni ciclo, un numero addizionale di basi dello stesso tipo rispetto a quelle contenute in quelle regioni. La Helicos, ha brevettato dei dNTP marcati e definiti “terminatori virtuali” in grado di ridurre la processività della DNA polimerasi per migliorare l’accuratezza del sequenziamento dei tratti omopolimerici. PacBio RS La piattaforma PacBioscense Single Molecule Real-Time (SMRT), nasce in alternativa a Ion Torrent, Roche e Illumina in quanto è in grado di produrre delle reads di lunghezza media da 4200 – 8500 bp sino ad un massimo

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di 30.000 bp. Si tratta di un sistema adatto particolarmente ai sequenziamenti “de novo” (cioè l’assemblaggio del genoma senza far uso di un genoma di riferimento) con un tasso di accuratezza elevato di circa il 99,99% e con capacità di identificare varianti alleliche con frequenze molto basse dell’ordine dello 0,1%. Il fatto di poter disporre di reads lunghe facilita l’operazione di allineamento. Infatti, più lunga è una read, più la sequenza è specifica e più preciso l’allineamento. Al contrario, più è corta una rea, più aumentano le probabilità che la sua sequenza possa essere allineata aspecificamente in diversi punti del genoma. Tale piattaforma viene commercializzata per la prima volta nel 2011, mentre le versioni successive Sequel System e PacBio RS II, nel 2013. La tecnologia di sequenziamento nella piattaforma SMRT prevede che il DNA da sequenziare sia ancorato insieme ad una DNA polimerasi sul fondo di una cella definita zero-mode waveguide o ZMW; una nanostruttura fotonica che consiste in un minuscolo tubo all’interno del quale è possibile rilevare cambiamenti infinitesimali di luce colorata (4, 5). Questo complesso DNA – DNA polimerasi ancorato sul fondo della ZMW viene cimentato con soluzioni contenenti i quattro nucleotidi (A,C,G,T) marcati con fluorocromi differenti; a differenza degli altri sistemi di rileGdB | Nov/dic 2021

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vazione con fluoroforo (es. Sanger), il marcatore è posto sul fosfato e non sulla base azotata. Man mano che la DNA polimerasi incorpora il nucleotide, la reazione porta alla liberazione del pirofosfato (PPi) che provoca un’emissione luminosa. Il sistema di rilevazione registra l’emissione luminosa ed elabora la sequenza (6). Il sistema Sequel rappresenta l’ideale per progetti di generazione rapida ed economica di assemblaggi de novo di interi genomi di alta qualità. Una versione più originale è rappresentata dal sistema Pac Bio RS II per “whole genome sequencing” e “targeted sequenging”, ma anche per rilevare diversi fenomeni epigenetici (ad es. la metilazione delle citosine, delle N-6 metiladenine e N-4 metilcitosine), oltreché i danni da ossidazione del DNA. L’innovazione del sistema PacBio RS II è legato al fatto che non sono richiesti steps di amplificazione successivi alla preparazione della sequencing library; riduce al minimo eventuali errori e permette il sequenziamento di “reads” che oscillano dalle 4000 - 8000 bp. I tempi del sequenziamento completo sono molto ridotti e oscillano tra le 8 e le 10 ore. Oxford Nanopore Technologies La Oxford Nanopore Technologies è stata fondata nel 2005 da Hagan Bayley e, dal 2012, ha incominciato a sviluppare sequenziatori a tecnologia nanopori con fori centrali dell’ordine di qualche namometro (nm) per l’analisi elettronica diretta di singole molecole di DNA o RNA senza ricorrere al sequencing by synthesis in real time. In realtà, questa tecnologia venne esposta, per la prima volta, nel 1995 da G. Church, David Deamer e Daniel Branton. Essi osservarono che ogni base azotata era in grado di creare una differente alterazione nella corrente ionica mentre attraversava il nanoporo rilevando queste specifiche alterazioni veniva riconosciuta ogni singola base. La tecnologia a nanopori presenta notevoli vantaggi rispetto ad altre tecnologie in quanto offre la possibilità di sequenziare delle reads molto lunghe, di circa 10.000 bp (10 Kb) (7), con piccole quantità di materiale di partenza; non richiede, inoltre, amplificazione dei frammenti e neppure marcature delle reads stesse. Il DNA campione viene fatto passare attraverso dei nanopori ovvero dei fori in una membrana isolante, detta proteina motrice, dal diametro leggermente maggiore della dimensione del filamento (1,8 – 2 nm), immersi in una soluzione elettrolitica che costringono a scomporre, cioè a sregolare la lunga catena di basi azotate che costituiscono l’informazione genetica. Al sistema viene applicato un potenziale elettrico: il passaggio di ciascuna base del DNA nel nano poro, comporta un valore differente del segnale elettrico rilevato 86 GdB | Nov/dic 2021

attraverso un sistema di registrazione dove le varie sequenze sono messe nel giusto ordine al fine di ricostruire l’intero DNA (8,9,10,11,12). I principali problemi si riscontrano nella velocità di passaggio della molecola e nella larghezza dei nanopori. Nel tentativo di ottimizzare i risultati sono stati progettati vari tipi di nanopori in base alla loro natura: nanopori sintetici e nanopori biologici. I nanopori sintetici offrono alcuni vantaggi rispetto ai pori biologici. Possono gestire più liberamente determinate condizioni di lavoro del poro (concentrazione salina, temperatura, tensione, viscosità) ed ottenere il massimo rendimento del sequenziamento. Si possono, infatti, creare con buona precisione, pori di dimensioni ottimali; incorporarvi ulteriori strumenti di misura come, ad esempio, elettrodi che misurino la corrente trasversa durante il passaggio del poli-nucleotide. Esistono due tecniche di costruzione per questo tipo di pori. La prima prevede la creazione di un poro di diametro di 60 nm in una membrana allo stato solido di nitruro di silicio (Si3N4), ottenuta bombardando la membrana con un raggio focalizzato di ioni Argon (Ar+) a bassa energia, che, pur non rimuovendo atomi dalla membrana, allarga ulteriormente il poro innescando un processo di diffusio-


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ne che lo porta a restringersi. Un difetto di questa tecnica è che una volta ristretto il poro, non si conosce la concentrazione di silicio ed azoto sulla sua superficie interna; questo può portare alla presenza di zone elettricamente cariche che influenzano la traslocazione dei polinucleotidi. La seconda, concettualmente simile alla prima, si basa sull’idea di restringere il diametro del poro sottoponendolo ad irradiazione. In questo caso, la membrana è costituita da diossido di silicio (SiO2), in cui il poro di partenza, più largo, può essere ristretto. Questo viene fatto utilizzando un raggio elettronico ad alta energia, che può essere usato anche come microscopio elettronico a trasmissione (TEM). Sfruttando la capacità di restituire immagine del TEM, si può osservare il poro restringersi. Siccome la velocità di restringimento è bassa (0.3 nm al minuto) si possono usare le immagini per monitorare il processo ed arrestarlo una volta raggiunto il diametro voluto. Il limite sulla precisione raggiungibile è dato dalla risoluzione del microscopio (0.2 nm). Tuttavia, a causa dell’irregolarità della superficie, il diametro può essere controllato solamente fino a 1 nm. Le strutture biologiche a nanopori principalmente sperimentate sono rappresentate dall’α- emolisina (α- HL) e dal Mycobacterium smegmatis porin A (MspA). α- HL è una proteina costituita da sette sottounità

identiche fra loro. Ha un canale centrale di diametro variabile (14 - 26 Å), rispetto al quale ha simmetria assiale. È suddivisibile in due sezioni, separate da un restringimento (14 Å), entrambe lunghe circa 50 Å, la prima sezione, più larga, costituisce il vestibolo nel quale entra il filamento; la seconda, più stretta, costituisce l’ambiente dove avviene la discriminazione dei nucleotidi. MspA è una proteina formata da otto sottounità identiche fra loro. Ha un canale centrale di diametro variabile, rispetto al quale ha simmetria assiale. Il diametro diminuisce (da quello che si considera l’ingresso del canale) quasi uniformemente fino a raggiungere 12 Å nella parte terminale, lunga 6 Å. In questa zona sono presenti cariche negative che impediscono il passaggio filamento. Per superare questo inconveniente viene impiegata una mutazione del MspA naturale, chiamata M1 - MspA che è priva di cariche superficiali. L’utilizzo di queste strutture è dovuto principalmente al fatto che con esse è possibile creare strutture di diametro ridotto di dimensioni (circa 3,6 nm). Recenti studi hanno dimostrato come l’α - emolisina è perfettamente adatta a distinguere i frammenti di DNA a singolo filamento (DNAss) dai frammenti a RNA; questo la rende uno strumento molto efficiente per il sequenziamento, anche se, a differenza dei nanopori di MspA presenta varie zone di interazione che influenzano il riconoscimento del singolo nucleotide. Il limite principale dell’utilizzo di nanopori biologici è la velocità con cui il DNA gli attraversa; alcuni studi hanno, infatti, evidenziato che un nucleotide attraversa il nanoporo ogni microsecondo. Questo fa si che solo un piccolo numero di ioni (circa 100) possano essere presenti nel nanoporo per poter rilevare le variazioni di correnti del loro passaggio. Le piccole variazioni di corrente che si generano vengono coperte da normali variazioni termodinamiche che impediscono la valutazione e la rilevazione del passaggio della base azotata. Gli approcci per risolvere questa problematica sono stati di tipo attivo o passivo; dal punto di vista dell’approccio attivo, un modo per rallentare il flusso di basi di DNA attraverso il nanopore è stato l’utilizzo di un complesso enzimatico che, pur permettendo il movimento elettroforetico attraverso il nanoporo, è in grado di rallentare e controllare il movimento della molecola. L’approccio passivo, più semplicemente, richiede la marcatura del filamento che sfrutta la carica del nanoporo per ancorarsi sulla sua superficie. Sono, tuttavia, metodiche che devono essere ancora indagate e perfezionate. La struttura della flowcell è costituita da un circuito integrale e 512 canali individuali che sono in grado di sequenziare più di 60 bp al secondo. Il primo dispositivo di sequenziamento messo in commercio, nel 2012, dalla Oxford Nanopore Technologies GdB | Nov/dic 2021

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è il MinION. Questo sequenziatore, alimentato tramite una porta USB, contiene migliaia di pozzetti, contenenti ciascuno dei nanopori, capaci di far passare un solo filamento di DNA (13). La rivoluzione tecnologica di questo primo sequenziatore non sta solo nelle sue dimensioni ridotte; esso è, infatti, in grado di sequenziare, in una sola lettura, senza interruzioni e nel giro di pochi secondi, piccoli genomi di virus e batteri senza doverli prima amplificare. Non solo, i dati di sequenziamento possono essere trasmessi in tempo reale ad un computer semplicemente collegando il dispositivo come fosse una ordinaria chiave USB. Il cuore di MinION è una tecnologia di sequenziamento innovativa almeno nella pratica perché l’idea circolava già dagli anni ’90. Di recente, è stato progettato un sequenziatore più piccolo del MiniON, chiamato “SmidgION”, che può essere collegato ad uno smartphone o ad altri dispositivi mobili a bassa potenza. Serve per soddisfare un’ampia gamma di analisi sul campo; le potenziali applicazioni possono includere il monitoraggio a distanza di agenti patogeni, l’analisi in loco di campioni ambientali, di alimenti, legname, fauna selvatica o campioni sconosciuti così come analisi sul campo di ambienti agricoli. Per il sequenziamento di genomi di più grosse dimensioni, la Oxford Nanopore Technologies ha, invece, sviluppato altri due sequenziatori: il GridION, disponibile 88 GdB | Nov/dic 2021

commercialmente dal 2017; possiede la stessa tecnologia di MinION ed è in grado di sequenziare tutto il genoma umano nel giro di alcune ore. Il PromethION, costituito da molti singoli MinION, è in grado di effettuare misure multiple su tante membrane di nanopori. (14) La tecnologia dei nanopori esiste da circa un decennio e promette di realizzare un intero sequenziamento del DNA umano per meno di 100 $. Tuttavia, i ricercatori non sono ancora riusciti a ridurre il numero di errori dalle tecnologie esistenti principalmente perché i materiali utilizzati per creare i nanopori sono di 15 nm di spessore, mentre lo spazio tra due basi di DNA è di 0,335 nm. Questa differenza porta gli strumenti a leggere più di una base alla volta e, quindi, ad un aumento dei tassi di errore. “La Oxford Nanopore Technologies sta sperimentando “nanopori in grafene” che dovrebbero colmare questo limite perché i transistor con nanofilamenti di questo materiale, con uno spessore di 0,335 nm, forniscono una dimensione ideale per leggere le singole basi. Nelle prime fasi della sperimentazione, i ricercatori sono stati in grado di passare 50.000 basi di DNA in 5 millisecondi attraverso i pori, nonostante il segnale di output ricevuto non fosse abbastanza chiaro da poter evidenziare le singole basi. È comunque un successo, un passo avanti significativo per il sequenziamento attraverso questa tecnologia.


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Stratos Genomics La Stratos Genomics, una società di Roche ha sviluppato una nuova chimica molto promettente che utilizza nanopori attraverso un processo detto “SBX” (Sequencing by Expansion) per migliorare significativamente l’accuratezza e la produttività del sequenziamento dei nanopori. Questa chimica traduce la sequenza del DNA in una molecola surrogata semplice da misurare, chiamata Xpandomer. Proprio come con la reazione a catena della polimerasi (PCR), la sintesi di Xpandomer si basa sulla funzione naturale della replicazione del DNA in cui i nucleosidi trifosfati espandibili (X-NTP) agiscono come substrati per la replicazione basata su polimerasi dipendente da template. La sintesi di Xpandomer si basa su quattro X-NTP facilmente differenziabili (chiamati anche High Signal-to-Noise Reporters), uno per ogni base di DNA. Le polimerasi ingegnerizzate incorporano questi nucleotidi modificati in Xpandomers, copiando esattamente il modello di acido nucleico bersaglio dalla libreria. Mentre la molecola di Xpandomer transita attraverso il nanopore, il segnale elettrico, distinto di ogni reporter di base, è facilmente identificabile per consentire il sequenziamento dell’acido nucleico a base di nanopori ad alta precisione, alta produttività e a costi ridotti. Conclusioni Grazie all’avvento di queste tecnologie si è notevolmente accelerata la crescita di vari settori in particolare della metagenomica (studio delle diversità microbiche nel loro ambiente naturale attraverso l’utilizzo di tecniche genomiche moderne), della farmacogenomica e farmacogenetica (studio della variabilità individuale alla terapia farmacologica attraverso lo studio del genoma e dei suoi prodotti), della trascrittomica (studio dell’intero profilo degli RNA messaggeri nella cellula) dell’epigenetica (studio di quelle variazioni nell’espressione dei nostri geni, che non sono provocate da vere e proprie mutazioni genetiche, ma che possono essere trasmissibili) e del sequenziamento de novo e risequenziamento. L’applicazione delle tecnologie NGS, con la loro necessità di analizzare e gestire enormi quantità di dati, ha aperto nuove frontiere nel campo della bioinformatica.

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Ecm Questo articolo dà la possibilità agli iscritti all’Ordine di acquisire 9 crediti ECM FAD attraverso l’area riservata del sito internet www.onb.it.

Impianti di trattamento reflui: l’SBI (Sludge Biotic Index)- l’IBF (Indice Biotico del fango) Di seguito pubblichiamo un breve abstract di sintesi del corso Fad “Impianti di trattamento reflui: l’SBI (Sludge Biotic Index)- l’IBF (Indice Biotico del fango)”. Il corso è disponibile all’interno dell’area riservata “MyOnb”

di Francesco Aliberti

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l percorso didattico del modulo in epigrafe ha come primaria finalità evidenziare la professionalità del biologo in un settore, quello della depurazione, ricco di opportunità, ma spesso trascurato e poco conosciuto, anche nel percorso formativo del biologo medesimo. È utile puntualizzare che la soluzione di problemi in ambito biologico e la gestione di realtà, e tecnologie relative alle scienze della vita, sono alla base della professione di Biologo; quindi, agli aspetti puramente analitici, pur importanti, devono seguire “giudizi e soluzioni”. Perciò l’azione didattica del modulo parte da una rapida disquisizione della tecnica per l’analisi dell’Indice Biotico del Fango (IBF) cercando di far comprendere che il risultato analitico, di pe se, è sterile se non inserito nella piena conoscenza e competenza della problematica dei reflui, delle tecnologie della depurazione e della conseguente importanza della biologia nei processi depurativi. La prima parte comprende, quindi, una rapida disamina della filiera dei liquami e del loro destino nei corpi recettori evidenziando l’importanza della “autodepurazione naturale” per la mitigazione degli impatti ed il ripristino delle condizioni naturali. Segue, poi, un esame delle diverse soluzioni tecnologiche per la depurazione. Gli impianti di trattamento biologico dei reflui, concettualmente, imitano, limitando tempi e spazi, quanto accade con

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l’autodepurazione naturale: catene trofiche costituite da una moltitudine di microrganismi più o meno complessi che, particolarmente adattati a metabolizzare, trasformare, detossificare e flocculare le componenti del refluo in trattamento, permettono il processo depurativo. Gli anelli della catena trofica propria degli impianti di trattamento (decompositori, produttori primari e secondari) sono semplificati in decompositori e consumatori; entrambi con una diversificata moltitudine di specie fungine, batteriche, algali, protozoarie e matazoarie. Tutte contribuiscono al mirabile processo biologico che si sviluppa negli impianti. La valutazione del rendimento di questi ultimi © Daniel Jedzura/shutterstock.com

si basa principalmente su parametri chimici (composti dell’azoto e fosforo in particolare) e consumo di ossigeno, chimico e biologico, per la verifica dei processi di trasformazione. A questi si uniscono i parametri microbiologici quali l’abbattimento delle cariche microbiche. Tali parametri sono essenzialmente “statici”; rappresentano una “istantanea” dello stato di un impianto che, per sua natura, è dinamico per la continua evoluzione degli equilibri ecosistemici (in funzione delle caratteristiche del refluo in ingresso e delle condizioni di trattamento) propri della biomassa depuratrice, cuore del sistema. Perciò, fin dai primi anni ’80 fu messa a punto la tecnica dell’SBI per caratterizzare la biomassa depuratrice. Essa comprende l’esame della diversità di specie, e di individui per specie, della biomassa; è un parametro “dinamico” che permette di definire stati di alterazioni che pregiudicano o ottimizzano le rese depuratrici; rendimenti che verranno evidenziati dagli altri parametri solo in tempi diversi. All’S.B.I, oggi, si affiancano altre utili indagini biologiche quali la caratterizzazione di specie e numerosità di batteri filamentosi, noti protagonisti di fenomeni distrofici nella biomassa. Perciò l’unità didattica prosegue con l’esame della diversità e numerosità della microflora/microfauna protozoaria, anello “debole” dalla catena trofica degli impianti e quindi utile elemento alla base dell’indagine. Vengono illustrate le caratteristiche tassonomiche delle specie principali implicate nell’analisi. Viene poi dettagliata in ogni sua parte la tecnica con esempi applicativi finali; evidenziando come il valore SBI, correlato agli altri parametri, deve indurre il biologo professionista ad un giudizio integrato del processo depurativo al fine di elaborare le migliori tecniche per i migliori rendimenti. Non poteva mancare, infine, un modulo terminale con brevi filmati, reperibili in rete e ottenuti dall’autore, per i dettagli tassonomici di alcune specie protozoarie e metazoarie comunemente riscontrate nella biomassa depuratrice. L’unità didattica, si spera, possa dare ai discenti quella visione unitaria e integrata, quindi professionale, della gestione degli impianti di trattamento e dell’SBI quale tecnica preziosa, ma non unica per la migliore e dinamica conoscenza dei processi depurativi. GdB | Nov/dic 2021

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Anno IV - N. 11/12 Novembre/dicembre 2021 Edizione mensile di AgONB (Agenzia di stampa dell’Ordine Nazionale dei Biologi) Testata registrata al n. 52/2016 del Tribunale di Roma Diffusione: www.onb.it

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Giornale dei Biologi

Edizione mensile di AgONB, Agenzia di stampa dell’Ordine Nazionale dei Biologi. Registrazione n. 52/2016 al Tribunale di Roma. Direttore responsabile: Claudia Tancioni. ISSN 2704-9132

Novembre/Dicembre 2021 Anno IV - N. 11/12

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COVID, I CONTAGI TORNANO A CORRERE

Preoccupa la variante Omicron, che ha già toccato l’Italia Il punto su Super Green Pass, terza dose di vaccino e immunizzazione dei bambini dai 5 agli 11 anni

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Progetto grafico e impaginazione: Ufficio stampa dell’ONB. Questo magazine digitale è scaricabile on-line dal sito internet www.onb.it edito dall’Ordine Nazionale dei Biologi. Questo numero de “Il Giornale dei Biologi” è stato chiuso in redazione domenica 28 novembre 2021.

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CONSIGLIO DELL’ORDINE NAZIONALE DEI BIOLOGI Vincenzo D’Anna – Presidente E-mail: presidenza@peconb.it

In applicazione delle disposizioni in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 è possibile recarsi presso le sedi dell’Ordine Nazionale dei Biologi previo appuntamento e soltanto qualora non sia possibile ricevere assistenza telematica. L’appuntamento va concordato con l’ufficio interessato tramite mail o telefono.

Duilio Lamberti – Consigliere Segretario E-mail: d.lamberti@onb.it

Pietro Miraglia – Vicepresidente E-mail: analisidelta@gmail.com Pietro Sapia – Consigliere Tesoriere E-mail: p.sapia@onb.it

Gennaro Breglia E-mail: g.breglia@onb.it Claudia Dello Iacovo E-mail: c.delloiacovo@onb.it Stefania Papa E-mail: s.papa@onb.it

UFFICIO TELEFONO Centralino 06 57090 200 Anagrafe e area riservata 06 57090 237 - 06 57090 241 Ufficio ragioneria 06 57090 220 - 06 57090 222 Iscrizioni e passaggi 06 57090 210 - 06 57090 223 Ufficio competenze 06 57090 202 ed assistenza 06 57090 214 Quote e cancellazioni 06 57090 216 - 06 57090 217 06 57090224 Ufficio formazione 06 57090 207 - 06 57090 218 06 57090 239 Ufficio stampa 06 57090 205 - 06 57090 225 Ufficio abusivismo 06 57090 288 Ufficio legale protocollo@peconb.it Consulenza fiscale consulenzafiscale@onb.it Consulenza privacy consulenzaprivacy@onb.it Consulenza lavoro consulenzalavoro@onb.it Ufficio CED 06 57090 230 - 06 57090 231 Presidenza e Segreteria 06 57090 227 Organi collegiali 06 57090 229

Franco Scicchitano E-mail: f.scicchitano@onb.it Alberto Spanò E-mail: a.spano@onb.it CONSIGLIO NAZIONALE DEI BIOLOGI Maurizio Durini – Presidente Andrea Iuliano – Vicepresidente Luigi Grillo – Consigliere Tesoriere Stefania Inguscio – Consigliere Segretario Raffaele Aiello Sara Botti Laurie Lynn Carelli Vincenzo Cosimato Giuseppe Crescente Paolo Francesco Davassi Immacolata Di Biase Federico Li Causi Andrea Morello Marco Rufolo Erminio Torresani GdB | Nov/dic 2021

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