Il Giornale dei Biologi - N.3 - Marzo 2022

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Edizione mensile di AgONB, Agenzia di stampa dell’Ordine Nazionale dei Biologi. Registrazione n. 52/2016 al Tribunale di Roma. Direttore responsabile: Claudia Tancioni. ISSN 2704-9132

Giornale dei Biologi Marzo 2022 Anno V - N. 3

OLTRE LO STATO D’EMERGENZA

L’Italia riapre, seppure con cautela Ospedali più vuoti, ma il virus circola

www.onb.it



Sommario

Sommario EDITORIALE 3

Biologi, strumenti per il futuro di Vincenzo D’Anna

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PRIMO PIANO 6

Da aprile nuova fase del contenimento della pandemia di Rino Dazzo

46 INTERVISTE 8

Sla, nuove frontiere per la correzione di alterazioni metaboliche di Chiara Di Martino

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Tumori delle vie biliari, nuovo biomarcatore apre la strada alla diagnosi precoce di Ester Trevisan

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Nuove scoperte sull’organizzazione interna della cellula di Sara Bovio

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Curare il diabete per evitare l’ictus di Elisabetta Gramolini

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Melanoma uveale: ok nuovo farmaco dall’Ema di Domenico Esposito

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La qualità del sonno negli anziani peggiora? di Domenico Esposito

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La menopausa precoce aumenta il rischio di demenza di Domenico Esposito

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L’allenamento HIIT di Gian Mario Migliaccio, Federica Pesce e Alberto Bazzu

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Glicemia e capelli di Biancamaria Mancini

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Come il silicio trasforma la pelle di Carla Cimmino

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Smaltimento rifiuti e igiene personale nell’antica Grecia di Barbara Ciardullo

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La ricerca della bellezza dalla preistoria all’antico Egitto di Barbara Ciardullo

SALUTE 14

Screening neonatale: l’arma in più di Elisabetta Gramolini

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Sommario

AMBIENTE 30

Suoni dagli abissi con la underwater biological sounds di Sara Bovio

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Leggeri e sostenibili di Gianpaolo Palazzo

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Nuova stima delle varietà arboree esistenti di Sara Bovio

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Aumentano le foreste sostenibili in Italia di Gianpaolo Palazzo

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SPORT 54

Dominio sloveno e speranze italiane: il ciclismo verso le grandi classiche di Antonino Palumbo

La qualità dell’aria nei parchi di Gianpaolo Palazzo

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La lezione del rugby “azzurro” a Cardiff di Antonino Palumbo

INNOVAZIONE

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Lo sci e i suoi campioni. Quanto contano gambe e testa di Antonino Palumbo

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Ritirarsi è dura: Brady e quelli che non smettono di Antonino Palumbo

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BREVI

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Emiplegia: l’IA in aiuto dei bambini di Domenico Esposito

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Biosensori ecosostenibili con performance green di Pasquale Santilio

45

Materiali all-in-one per l’ottimizzazione energetica di Pasquale Santilio

46

Tessuti smart & green da carbonio riciclato di Pasquale Santilio

47

Ricerca e sviluppo motori della ripresa di Pasquale Santilio

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La tecnologia HUGO nelle operazioni ginecologiche di Michelangelo Ottaviano

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54

Trasformare l’umidità in acqua di Michelangelo Ottaviano

LAVORO 64

SCIENZE 66

Storia naturale dell’autoimmunità dei serpenti di Giuliano Russini

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Leucemia linfatica cronica: risultati significativi e duraturi con terapia combinata di Cinzia Boschiero

74

Distrofie muscolari dei cingoli: risultati positivi di una piccola molecola terapeutica di Cinzia Boschiero

BENI CULTURALI 50

Il giardino della Kolymbethra amato da Luigi Pirandello di Rino Dazzo

53

Piano Nazionale Borghi: la cultura delle realtà locali di Pietro Sapia

Concorsi pubblici per Biologi

ECM 78

Il trattamento delle acque reflue e la decentralizzazione: una spinta verso il riutilizzo di Giovanni Libralato


Editoriale

Biologi, strumenti per il futuro di Vincenzo D’Anna Presidente dell’Ordine Nazionale dei Biologi

I

l

mandato

del

Consiglio il sito istituzionale nella sezione eventi per

dell’Ordine Nazionale dei Bio- valutare quanto bolle in pentola e come le logi si avvia a concludersi. Cre- attenzioni verso le esigenze dei colleghi non do che tutti sappiano che al 31 soffrano di battute di arresto anche nell’an-

dicembre dell’anno in corso l’Ordine Na- no di amministrazione suppletiva previsto zionale dei Biologi cesserà di esistere per dare spazio alla Federazione Nazionale degli Ordini dei Biologi Regionali, che saranno eletti nel prossimo mese di novembre, con la celebra-

dalla legge. Il 31 dicembre dell’anno in corso l’Ordine Nazionale dei Biologi cesserà di esistere per dare spazio alla Federazione Nazionale degli Ordini dei Biologi

Il Consiglio dell’Ordine avrebbe potuto assumere in questo periodo suppletivo la decisione di interessarsi solo degli affari correnti, essendo la proroga ammini-

zione delle elezioni indette e controllate strativa volta alla organizzazione delle sedi dai Commissari Straordinari nominati dal degli ordini regionali e allo svolgimento Ministero della Salute.

della fase elettorale. La decisione di non

Tuttavia, l’attività in favore degli iscrit- interrompere l’attività svolta nelle annualiti non cessa e una cospicua serie di eventi tà precedenti sta a significare che occorre scientifici e formativi è in corso di attua- sfruttare positivamente l’ulteriore periodo zione e programmazione. Basta consultare concesso per preparare le cose future, ovGdB | Marzo 2022

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Editoriale

vero gli strumenti per agire in favore dei

Un ulteriore strumento di cui dotare i

Biologi sotto la forma di Federazione Na- biologi è quello della Piattaforma Informazionale. Ne consegue che ogni sforzo va tica che nel prossimo mese sarà presentata fatto per perseguire altri scopi, realizzando da ONB ed Enpab, frutto della collaboragli strumenti per poterli raggiungere.

zione tecnica e finanziaria dei due Enti di

In quest’ottica segnaliamo la revivi- Categoria, messa a disposizione dei Bioloscenza della Fondazione Italiana dei Bio- gi Nutrizionisti. Uno strumento sofisticato logi, rilevando la medesima dallo stato di che consentirà ad ogni professionista di riliquidazione ove era stata posta dai suoi spettare la corretta codifica e il rispetto di dirigenti seppur col suo carico debitorio verso terzi. Un ulteriore sacrificio economico volto a sanare i pregressi debiti onde poter recuperare la Fondazione e rilanciare i suoi scopi. Certo con un nuovo e più

tutti gli adempimenti di legI biologi nutrizionisti avranno una Piattaforma Informatica progettata da ONB ed Enpab, che consentirà il rispetto di tutti gli adempimenti di legge

ge, nonché l’uso di procedure scientificamente validate nell’esercizio professionale. Un altro passo in avanti per mettere ordine in un comparto, quello dei nutrizionisti, ove per decenni si sono

democratico statuto rispetto al passato, affratellati metodi “fai da te” di esercizio con partners di prestigio quali Ministe- della professione. Nel campo della nutriro, Università pubbliche e private, altre zione sono sorti come funghi siti ed assofondazioni ed Enti in grado di conferire ciazioni, spesso autoreferenziali, che sono prestigio ed autorevolezza alla rinnova- stati intesi da moltissimi collegi come orta attività della Fondazione. Un intreccio ganismi sostitutivi di ONB, certo essi sono virtuoso intorno al quale sviluppare ini- stati necessitati dalla poca attenzione che ziative culturali e scientifiche, avviare a fi- in passato ONB ha dedicato alla comunicananziamenti pubblici progetti di ricerca e zione ed al contatto con gli iscritti, finendo start-up che coinvolgano i Biologi Italiani. col creare una profonda divaricazione ed 4

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Editoriale

una diffusa sfiducia. Tuttavia, il solipsismo Un’intesa di massima c’è già con la Preautarchico continua ad esserci, anche se ri- sidente Stallone per un prestito da dover dotto, procurando lavoro all’Ufficio antia- restituire a specializzazione avvenuta senbusivismo e al Consiglio di Disciplina che ha za more ed interessi. La terza e la più ostipiù che triplicato il lavoro di anno in anno. ca delle battaglie, quella di ottenere altri La piattaforma conferita al comparto con- provvedimenti legislativi che introducano i sentirà uniformità di procedure e ad ONB biologi in vari ambiti di competenza: i Bioil necessario controllo sulla correttezza dei logi Nutrizionisti nel SSN a pieno titolo, i colleghi. Terza freccia nella faretra di ONB, Biologi ambientali (Biologi di Comunità) per fare bene in futuro, sarà quella che scaturirà da iniziative già in atto. La prima quella dei decreti attuativi della legge sulle lauree abilitanti per i biologi, ovvero dalla possibilità di riorganiz-

negli enti locali per la rete Si lavorerà per aumentare il numero dei posti per i biologi nei corsi di specializzazione anche attraverso intese suppletive con le Università

zare l’albo in tre comparti e

di prevenzione ambientale, i biologi generali nelle case della salute previste dal PNRR agganciando i laboratori alla organizzazione prevista per queste attività sociosanitarie. Allargare la

di poter incrementare anche alcune compe- base delle opportunità di inserimento protenze specifiche per le attività professionali fessionale della Categoria come presuppocollocate nei tre diversi ambiti dell’Albo.

sto per il futuro. La Federazione Nazionale

La seconda è quella di riuscire ad au- degli Orsini Regionali ha questo da portamentare il numero dei posti per i biologi re a compimento, proseguendo su questa nei corsi di specializzazione anche attraver- strada larga ed innovativa. Non mancherà so intese suppletive con le Università sedi in questo contesto l’attività della società di scuole di specializzazione, in questi casi scientifica SIBA e del CNBA due organioccorre iscrivere i colleghi come paganti smi creati con la visione del futuro. Il futufornendo loro i mezzi sussidiari per farlo. ro non si aspetta si prepara. GdB | Marzo 2022

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Primo piano

DA APRILE NUOVA FASE DEL CONTENIMENTO DELLA PANDEMIA Dal 31 marzo termina la missione del Cts e Figliuolo non sarà più commissario straordinario per l’emergenza. Allentamenti progressivi, ma si raccomanda prudenza di Rino Dazzo

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a pandemia continua, lo stato d’emergenza no. Comincia una fase nuova nella gestione del coronavirus in Italia. Il 31 marzo è terminata la missione del Cts, il Comitato tecnico scientifico che ha orientato le scelte del Governo nel contenimento della malattia. Saluta anche il commissario straordinario per l’emergenza, il generale Figliuolo, che dal Covid passa alla guida del Covi, il Comando operativo di vertice interforze, organismo che dirige e coordina le operazioni dei militari italiani all’estero. E riduce di gran lunga la sua sfera d’utilizzo il Green Pass, che continuerà a essere impiegato in un numero limitato di ambiti. La situazione, del resto, è sempre meno preoccupante, con tutto il Paese tornato in zona bianca. La variante dominante in Italia è la Omicron 2, che si manifesta con attacchi all’apparato respiratorio e gastrointestinale ma non è più letale delle precedenti, compresa la Omicron a cui assomiglia moltissimo. Il picco è atteso per i primi giorni di aprile, per fine mese è previsto anche un aumento – comunque gestibile – dell’occupazione dei posti letto in terapia intensiva e negli altri reparti.

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Scrive il Ministero della Salute nel suo ultimo report settimanale: «Aumentano la trasmissibilità, l’incidenza e il tasso di occupazione dei posti letto in area medica, mentre si continua a osservare una diminuzione del numero di persone ricoverate in terapia intensiva. Si ribadisce la necessità di rispettare le misure comportamentali individuali e collettive raccomandate, e in particolare distanziamento interpersonale, uso della mascherina, aereazione dei locali, igiene delle mani, riducendo le occasioni di contatto e ponendo particolare attenzione alle situazioni di assembramento. L’elevata copertura vaccinale, in tutte le fasce di età, anche quella 5-11 anni, il completamento dei cicli di vaccinazione e il mantenimento di una elevata risposta immunitaria attraverso la dose di richiamo, con particolare riguardo alle categorie indicate dalle disposizioni ministeriali, rappresentano strumenti necessari per mitigare l’impatto soprattutto clinico dell’epidemia». I numeri dalla campagna vaccinale, d’altro canto, sono rassicuranti. Il ciclo primario è stato completato da più di 49,7 milioni di persone, quasi l’84% della popolazione. Più di 38,6 milioni, invece, hanno ricevuto la terza dose


Primo piano

Roberto Speranza, Ministro della Salute.

I numeri dalla campagna vaccinale: il ciclo primario è stato completato da più di 49,7 milioni di persone, quasi l’84% della popolazione. Più di 38,6 milioni, invece, hanno ricevuto la terza dose (oltre il 65% del totale).

© BaLL LunLa/shutterstock.com

(oltre il 65% del totale). All’appello mancano poco meno di quattro milioni e mezzo di persone completamente scoperte dal vaccino, in buona parte – però – già contagiate una o più volte dal virus. Il livello di protezione, insomma, è alto e lo confermano i numeri. Su più di un milione e duecentocinquantamila positivi (dato di fine marzo), i ricoverati in ospedale sono circa diecimila: lo 0,8% dei contagiati. Tra questi, meno di 500 sono in terapia intensiva. L’infezione, dunque, è ormai pericolosa o letale solo in una percentuale estremamente bassa di casi e questo spiega il marcato allentamento delle misure di protezione. Ma cosa cambia da aprile? Anzitutto, la gestione delle vaccinazioni e delle altre misure di contenimento passa all’Unità per il completamento della campagna vaccinale, operativa fino al 31 dicembre. Dal primo gennaio, invece, è previsto un ulteriore passaggio di consegne col ministero della Salute. Dal primo aprile diventa possibile per tutti, compresi gli over 50, accedere ai luoghi di lavoro col Green Pass base; dal primo maggio, poi, l’obbligo sarà eliminato. L’obbligo di vaccinazione rimane fino al 31 dicembre solo per gli esercenti le professioni sanitarie e i lavoratori negli ospedali e nelle RSA. Cambia la gestione dei casi di positività nelle scuole: con almeno quattro casi per classe scatta l’obbligo di indossare mascherine FFP2 per dieci giorni dall’ultimo contatto con un contagiato, senza necessità di quarantena o isolamento per i bimbi e i ragazzi a contatto con i positivi. Via al Green Pass rafforzato, sempre dal primo aprile, per i servizi di ristorazione all’aperto

© M. Cantile/shutterstock.com

e per i mezzi del trasporto pubblico, locale o regionale. Resta in piedi, ma fino al 30 aprile, l’obbligo di indossare mascherine FFP2 negli stessi mezzi di trasporto pubblico, per gli spettacoli in teatri, cinema, locali di intrattenimento e per le competizioni sportive, mentre nei luoghi di lavoro diventa sufficiente indossare mascherine chirurgiche. Dal primo aprile, inoltre, deve rimanere isolato solo chi ha contratto il virus: sette giorni se ha fatto terza dose o seconda da meno di 120 giorni, dieci per gli altri. Per i contatti stretti rimane attiva l’autosorveglianza per dieci giorni: mascherina FFP2 e test alla comparsa di eventuali sintomi, da ripetere il quinto giorno successivo alla data dell’ultimo contatto. Dal primo maggio, poi, è previsto un ulteriore allentamento, con la fine dell’obbligo del Green Pass quasi ovunque e dell’obbligo delle mascherine al chiuso. Dal 15 giugno, infine, decade l’obbligo vaccinale a eccezione dei professionisti in campo sanitario, mentre dal 30 terminano le modalità semplificate di smart working in ambito privato. Il Green Pass rafforzato, di fatto, rimarrà in vigore fino al 31 dicembre solo per consentire visite di familiari e affini alle persone ricoverate in ospedali e RSA. Il progressivo ritorno alla vita normale, dunque, è previsto dalle leggi. Ma tutto è nelle mani degli italiani. Servono comportamenti responsabili per non rischiare di ripiombare nel baratro. Le notizie che arrivano dall’Estremo Oriente (lockdown a Hong Kong, semi lockdown a Shanghai) invitano alla prudenza. GdB | Marzo 2022

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Intervista

SLA, NUOVE FRONTIERE PER LA CORREZIONE DI ALTERAZIONI METABOLICHE Uno studio internazionale, che ha coinvolto anche la Statale di Milano, aggiunge un tassello alla comprensione della sclerosi laterale amiotrofica: ne parla la professoressa Antonia Ratti

di Chiara Di Martino

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na malattia a esordio tardivo, molto aggressiva e difficile da diagnosticare – almeno in tempi rapidi – e ancor più difficile da curare, perché al momento non esiste un trattamento in grado di rallentarne la progressione. La Sclerosi laterale amiotrofica (SLA) è una patologia infida, ma la ricerca sta facendo passi da gigante – soprattutto da una quindicina di anni – anche nella conoscenza dei suoi meccanismi e, quindi, in prospettiva, nella speranza di velocizzare la diagnosi e arrivare a una cura. Uno di questi passi arriva da uno studio internazionale pubblicato da Science Translational Medicine, rivista del gruppo Science, che ha visto anche l’importante contributo dell’IRCCS Istituto Auxologico Italiano, il Centro Dino Ferrari e l’Università Statale degli Studi di Milano, con i professori Vincenzo Silani e Nicola Ticozzi (Dipartimento di Fisiopatologia Medico-Chirurgica e dei Trapianti) e Antonia Ratti (Dipartimento di Biotecnologie Mediche e Medicina Traslazionale). In sintesi, è stata analizzata la componente epigenetica nella SLA identificando una variata metilazione del DNA in 42 geni grazie all’analisi di 6.763 pazienti, aprendo inattese

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prospettive di intervento legate alla correzione di alterazioni metaboliche, del colesterolo, dell’infiammazione e immunità. Ma, visto che la SLA è una malattia la cui definizione è in continua evoluzione grazie ai progressi della scienza, è meglio partire dall’inizio e per farlo ci viene in aiuto la prof.ssa Ratti, che da 17 anni dedica il proprio impegno a questa patologia. Ci dà una definizione di SLA? Si tratta di una patologia neurodegenerativa che vede il suo esordio per lo più in età adulta ed è determinata dalla perdita dei motoneuroni superiori e/o inferiori, che conduce alla paralisi dei muscoli volontari fino a coinvolgere anche quelli respiratori. Apparentemente si manifesta senza causa nel 90% dei casi (forma “sporadica”), ma nel 10% dei pazienti è presente una familiarità. Tuttavia, alla luce delle nuove conoscenze genetiche, la SLA sporadica è ora definibile come multifattoriale, con fattori di rischio sia genetici sia ambientali. Detto questo, è una malattia la cui definizione evolve continuamente. Per esempio, una delle ultime evidenze è la sua forte correlazione con la demenza frontotemporale, presente nel 10% dei pazienti affetti da SLA, mentre il 40-50% ha manifestazioni


Intervista

Il progetto MonE

L

a ricerca pubblicata su Science Translational Medicine rientra in un progetto più ampio, l’ambizioso Project MinE, nato dall’iniziativa di due imprenditori olandesi affetti da SLA e oggi comprendente ricercatori provenienti da 14 Paesi, che ha come scopo quello di mappare l’intero genoma di almeno 15.000 pazienti e di 7.500 soggetti di controllo per definire la complessa architettura genetica della SLA.

subcliniche di alcuni deficit cognitivi. A che punto è la ricerca? Va veloce, anche se siamo ancora lontani dal punto a cui vorremmo arrivare, e cioè quello di una cura. Grazie a diversi Consorzi internazionali che riuniscono molti laboratori si riescono a raccogliere numeri elevatissimi di campioni che – trattandosi comunque di una malattia rara – sono il vero valore aggiunto. Anche le tecnologie a nostro sostegno fanno passi avanti, come per esempio il Next Generation Sequencing che ha consentito il passaggio di ‘livello’ dallo studio degli esomi a quello dell’intero genoma, per individuare sia possibili fattori di rischio sia nuovi geni causativi. Tanto per dare qualche numero, uno degli ultimi lavori ha analizzato 29.600 campioni di DNA di pazienti affetti da SLA e di 122.000 controlli: cifre enormi per questa patologia. Quale novità apporta la ricerca appena pubblicata? È in assoluto la prima a prendere in considerazione i fattori ambientali – stili di vita come il fumo, il consumo di alcol, la dieta e l’esercizio fisico - che si possono misurare attraverso l’epigenetica, cioè quei cambiamenti che possono modificare l’espressione dei

“La ricerca va veloce, anche se siamo ancora lontani dal punto a cui vorremmo arrivare, e cioè quello di una cura”.

© arrowsmith2/shutterstock.com

Antonia Ratti.

nostri geni. In particolare, parliamo di metilazione del DNA, oggi misurabile su larga scala tramite tecniche miniaturizzate su chip. I fattori ambientali hanno come effetto biologico quello di modificare (anche) gli stati di metilazione del DNA e, quindi, modulare l’espressione genica. Quello di cui parliamo è finora il più ampio studio di analisi epigenetica (EWAS), condotto su una casistica di quasi 10mila persone, di cui 6763 sono pazienti affetti da SLA. In concreto su cosa hanno lavorato i ricercatori? Si è analizzata la metilazione specifica del DNA da sangue, poiché purtroppo non sono disponibili grosse biobanche di tessuti cerebrali come invece per l’Alzheimer. Abbiamo ritenuto che le modificazioni epigenetiche del sangue potessero comunque essere marcatori periferici, potenzialmente indicativi di ciò che succede altrove, nel sistema nervoso. Questo studio è anche il primo ad accendere i riflettori sul ruolo del colesterolo. Sì, sul tema non c’era una grande letteratura. Noi abbiamo dimostrato alterazioni della metilazione in 45 posizioni in rapporto a 42 geni in stretta relazione al metabolismo del colesterolo HDL ed, indipendentemente, anche all’immunità, al basso Body Mass Index che caratterizza i pazienti che tendono a perdere peso e all’assunzione di alcol. Prossimo step? Allargare la coorte di pazienti per cercare una la correlazione più stretta tra epigenetica e genetica. L’obiettivo finale è sempre quello di trovare target farmacologici per rallentare il decorso della malattia e accelerare i tempi di diagnosi. GdB | Marzo 2022

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Intervista

TUMORI DELLE VIE BILIARI, NUOVO BIOMARCATORE APRE LA STRADA ALLA DIAGNOSI PRECOCE Studio di un team di ricercatori dell’università di Cagliari pubblicato sulla rivista British Journal of Cancer. Intervista alla professoressa Patrizia Zavattari, coordinatrice della ricerca

di Ester Trevisan

I

tumori delle vie biliari sono tra i più difficili da trattare e nella maggior parte dei casi la diagnosi è tardiva. Una probabilità di invertire la rotta arriva dallo studio realizzato da un team di ricercatori dell’università di Cagliari, coordinato da Patrizia Zavattari, docente di Biologia applicata e responsabile del laboratorio di Biologia molecolare, genomica ed epigenomica-dipartimento Scienze biomediche, che ha scoperto un nuovo possibile biomarcatore. Gli esiti della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista British Journal of Cancer. Professoressa Zavattari, come si è articolata la ricerca? Da oltre dieci anni studio le alterazioni che caratterizzano il DNA tumorale: genetiche, che comportano modifiche della sequenza del DNA, quindi spesso di proteine, ed epigenetiche, che cambiano la struttura dei cromosomi influenzando la produzione di proteine. Collaborando con gli oncologi, ho accolto la proposta di Mario Scartozzi, professore di Oncologia Medica all’Università di Cagliari, di inserire fra i tumori in studio anche quelli delle vie biliari, particolarmente aggressivi e spesso diagnosti-

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cati in stadi già metastatici. Così, grazie ai finanziamenti di Fondazione di Sardegna e Regione Sardegna, abbiamo studiato la metilazione del DNA genomico tissutale di oltre 50 pazienti seguiti dall’équipe del professor Scartozzi e collaboratori coordinati dal dottor Andrea Casadei Gardini dell’Università Vita Salute San Raffaele di Milano. Insieme alla mia collaboratrice storica, la dottoressa Loredana Moi, abbiamo svolto tutta la parte sperimentale. L’analisi dei giga-dati ha rappresentato uno degli strumenti per formare una dottoranda appena arrivata nel mio laboratorio, la dottoressa Eleonora Loi, che sotto la mia diretta supervisione e del collega Sergio Alonso del Germans Trias i Pujol Research Institute di Badalona, ha generato una lista di circa 30 alterazioni, confermate in oltre 200 campioni. Il disegno di un apposito algoritmo, TASTOPAL, ideato dai dottori Cesare Zavattari e Alessandro Tommasi, esperti di intelligenza artificiale, ha permesso di prioritizzare e selezionare le alterazioni più informative. Grazie alla collaborazione con il professor Matias Avila dell’Università di Navarra, le abbiamo validate in altri campioni di tessuto e bile e definito fra loro un biomarcatore capace di rivelare con efficacia


Intervista

Patrizia Zavattari.

“Questo tipo di tumori è molto aggressivo e spesso la diagnosi è difficile e tardiva. Inoltre i pazienti possono avere un quadro prognostico molto differente. Noi ci auguriamo, e riteniamo, che questo marcatore possa rappresentare un ottimo strumento per la diagnosi precoce e la tracciabilità di eventuali metastatizzazioni o malattia residua minima”.

© marina_ua/shutterstock.com

del 100% la presenza di tumore. Ho disegnato personalmente con la dottoranda il saggio per il biomarcatore, oggi depositato per un brevetto e disponibile per la commercializzazione e l’applicazione clinica su matrici biologiche non invasive, testandone l’efficacia anche grazie alla disponibilità tecnica e strumentale del gruppo della professoressa Elisabetta Ferretti dell’Università La Sapienza di Roma. Ci spiega in parole semplici cosa è un biomarcatore e come funziona quello per i tumori delle vie biliari che avete individuato? Si tratta di una molecola presente nel nostro corpo che funge da bandierina, segnalando una condizione, per esempio patologica, e rendendone riconoscibile la presenza. In particolare, il DNA che abbiamo isolato come alterato nei tumori delle vie biliari presenta un’anomalia nella metilazione di una regione associata al gene HOXD8. La rilevazione di questa alterazione segnala la presenza nel soggetto di un tumore alle vie biliari. In cosa consiste il “saggio” per il quale avete depositato la richiesta di brevetto e come siete arrivati alla sua realizzazione? Esistono vari metodi per analizzare la metilazione del DNA. Uno si basa sulla tecnica nota come PCR (Polymerase Chain Reaction) quantitativa metilazione specifica (MS-qPCR), metodo che rivela e quantifica le citosine metilate nel DNA, dopo appositi trattamenti. Il saggio da noi disegnato è specifico per questa regione del DNA associata al gene HOXD8 ed è utilizzabile su qualunque piattaforma per MS-qPCR, dalle più classiche (RT-PCR) alle più moderne (digital PCR), come da noi verificato. Disegnare un simile saggio significa progettare la produzione di piccoli frammenti di DNA artificiale che riconoscano e “interroghino” specifiche sequenze di DNA genomico, in questo caso alterate, quindi richiede una perfetta pianificazione in silico per un ottimale utilizzo in wet. Quali sono i risvolti sul fronte diagnostico e terapeutico? Questo tipo di tumori è molto aggressivo e spesso la diagnosi è difficile e tardiva. Inoltre i pazienti possono avere un quadro prognostico molto differente. Noi ci auguriamo, e riteniamo, che questo marcatore possa rappresentare un ottimo strumento per la diagnosi precoce e la tracciabilità di eventuali

metastatizzazioni o malattia residua minima. Quali sono i prossimi step? Testare l’efficacia del marcatore mediante indagini totalmente non invasive per il paziente, come un semplice prelievo di sangue. I colleghi clinici stanno già raccogliendo i campioni ematici. Inoltre, da biologa non posso non essere soprattutto interessata a comprendere il ruolo di queste alterazioni epigenetiche nella trasformazione da cellule sane a cellule tumorali, sia per elucidare meccanismi che sottendono la formazione del cancro che per suggerire nuove molecole e strategie terapeutiche, quale ad esempio una rimodulazione epigenetica. Da quali figure professionali è composto il gruppo di ricerca da lei coordinato? L’intero gruppo di ricerca si compone di biologicon competenze di biologia molecolare e bioinformatica, tecnici di laboratorio biomedico, oncologi, patologi ed esperti di intelligenza artificiale. Quanto hanno giocato nel successo di questa ricerca il suo carattere multidisciplinare e internazionale e la collaborazione tra ricercatori e clinici? Il gioco di squadra è stato fondamentale e ogni competenza ha avuto il proprio ruolo verso il raggiungimento dell’obiettivo finale: rispondere alla forte esigenza di migliorare le condizioni dei pazienti oncologici e, in maniera più ambiziosa, evitare che le persone lo diventino. GdB | Marzo 2022

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Salute

NUOVE SCOPERTE SULL’ORGANIZZAZIONE INTERNA DELLA CELLULA I ricercatori dell’Università di Copenaghen hanno sviluppato un nuovo modello informatico che aiuta a comprendere questo meccanismo, per prevenire raggruppamenti “inappropriati”

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e cellule sono le più piccole unità di materia vivente di tutti gli organismi. In una gigantesca collaborazione, trilioni di esse assicurano che tutti i processi biologici nel corpo umano si svolgano come previsto. Affinché ogni cellula funzioni correttamente, le sue varie funzioni sono distribuite in piccoli compartimenti molecolari. Poiché molti di questi compartimenti cambiano continuamente forma, l’osservazione della cellula al microscopio permette di catturare solo rappresentazioni istantanee della vita che si svolge al suo interno. La nostra comprensione di ciò che avviene dentro la cellula è dunque parziale e limitata al momento in cui la osserviamo al microscopio. Questo, di conseguenza, rende complicato determinare se una particolare cellula svilupperà per esempio difetti che possono portare a gravi malattie come il cancro, l’Alzheimer o il Parkinson. Per ovviare a ciò, un gruppo di ricercatori dell’Università di Copenaghen ha sviluppato un nuovo modello informatico che aiuta a comprendere meglio e a prevedere come si or-

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Salute

© eranicle/shutterstock.com

ganizzano le cellule al loro interno. Il modello informatico è stato sviluppato dai ricercatori del Linderstrøm-Lang Centre for Protein Science presso il Dipartimento di Biologia dell’Università di Copenaghen ed è in grado di simulare come le proteine all’interno delle cellule collaborano tra loro per svolgere compiti vitali. «Per più di cento anni, abbiamo saputo che le cellule umane sono altamente organizzate e che diverse funzioni biologiche si svolgono in vari compartimenti cellulari. Negli ultimi 10 anni, abbiamo imparato a conoscere un nuovo tipo di organizzazione nelle cellule che è completamente distinto dalle strutture che ci erano familiari prima. Tuttavia, poiché queste strutture appena scoperte sono piuttosto dinamiche e cambiano costantemente la loro forma e composizione, è difficile capire come sono collegate e cosa governa la loro formazione. Pertanto, abbiamo sviluppato un algoritmo che può prevedere le loro proprietà», spiega il professor Kresten Lindorff-Larsen, uno degli autori dello studio. Lo strumento è un modello informatico avanzato basato su una forma di intelligenza artificiale in cui una macchina impara le regole di come le molecole interagiscono utilizzando esperimenti biofisici da proteine note. Secondo il professor Kresten Lindorff-Larsen il nuovo modello sviluppato può essere paragonato a quello utilizzato dalle comuni app meteo che forniscono le previsioni del tempo a lungo termine: «Facendo un paragone con le app meteo, i metodi utilizzati fino a oggi potevano essere considerati in grado di prevedere il tempo solamente qualche minuto prima della ricerca. Al contrario, invece di fare previsioni molto dettagliate, abbiamo costruito un modello che ci può fornire un quadro generale e fa previsioni più ampie». La ricerca è stata pubblicata sulla rivista scientifica PNAS e gli autori hanno dimostrato che il modello può prevedere accuratamente la tendenza da parte di diverse proteine conosciute a riunirsi in piccole gocce. In particolare, gli scienziati hanno studiato un processo nelle cellule in cui diversi tipi di molecole, come proteine e RNA, si uniscono spontaneamente per portare a termine un compito specifico. «La cellula - spiega Giulio Tesei, autore principale dello studio - non è solo un contenitore in cui i processi avvengoGdB | Marzo 2022

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Salute

La ricerca è stata pubblicata sulla rivista scientifica PNAS e gli autori hanno dimostrato che il modello può prevedere accuratamente la tendenza da parte di diverse proteine conosciute a riunirsi in piccole gocce.

Parkinson, si vedono proteine anormali che si raggruppano sotto forma di fibrille allungate. Questo è un processo che molti medici e ricercatori hanno osservato e studiato in precedenza, ma che secondo gli autori dello studio ora sarà più facile da capire e forse alla fine da trattare. «Uno degli obiettivi del modello - spiega Kresten Lindorff-Larsen - è quello di essere in grado, per esempio, di identificare le molecole e i processi nella cellula che sono fondamentali per la formazione di questi aggregati proteici prima che si formino. Così facendo, si può indirizzare meglio il trattamento prima che essi comincino a raggrupparsi in modo inappropriato». Il modello potrebbe giocare un ruolo in futuro nella comprensione anche di altre patologie come l’Alzheimer e il cancro. (S. B.) © tilialucida/shutterstock.com

no in modo casuale. È estremamente organizzata e molto affollata. Molte delle molecole della cellula che collaborano per svolgere una determinata funzione si raccolgono al suo interno in piccole goccioline e, una volta terminato il processo, spesso si separano di nuovo. Il processo prosegue così, a condizione che non compaia un difetto o un’anomalia nella cellula che non permette più di eseguire correttamente il compito. Il nostro nuovo modello informatico può descrivere uno dei processi alla base di questa organizzazione con un dettaglio senza precedenti». In una vasta gamma di malattie, tra cui il cancro e le malattie neurodegenerative come l’Alzheimer e il Parkinson si manifestano difetti di funzionamento delle cellule. Zoomando sulla cellula cerebrale di un malato di

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CURARE IL DIABETE PER EVITARE L’ICTUS La malattia metabolica espone a un rischio maggiore. In Italia il popolo dei diabetici conta 4 milioni di persone. La maggior parte soffre del tipo 2, legato a obesità e stili di vita scorretti di Elisabetta Gramolini

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ambiare abitudini è difficile, anche quando si sa che in questo modo si possono evitare pericoli concreti. È il caso dell’ictus cerebrale che solo in Italia colpisce circa 150mila persone ogni anno. Fra i principali indiziati, insieme a ipertensione arteriosa, ipercolesterolemia, fibrillazione atriale, il fumo e la sedentarietà, c’è il diabete. Guardare ai numeri che riguardano la patologia è come osservare il bollettino di una guerra continua e subdola: secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), sono circa 346 milioni le persone affette da diabete in tutto il mondo. Solo 52 milioni nel vecchio continente. In Italia sono 4 milioni i pazienti ma fra di loro va fatta una distinzione: circa 500mila sono infatti quelli con il diabete di tipo 1 (detto anche insulino-dipendente) mentre sono oltre 3 milioni e mezzo quelli con il diabete di tipo 2, legato all’obesità e ad uno stile di vita scorretto. La malattia è in continuo aumento, dato che la popolazione interessata è passata dal 7 per cento del 2009 all’8 per cento del 2018, con una percentuale più alta nei maschi (8,6 per cento) rispetto alle donne (7 per cento), secondo i dati del Rapporto 2020 di Health Search dell’Istituto di Ricerca Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie (Simg). L’incremento è dovuto a diversi fattori: la popolazione invecchia, le diagnosi avvengono sempre più in una fase precoce e anche se malati si sopravvive di più. Per evitare che da

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rischio, il diabete diventi fattore di eventi acuti come l’ictus bisognerebbe mettere mano allo stile di vita. In particolare occorre ricordare le quattro regole d’oro: seguire una dieta equilibrata (ricca di frutta e verdura, povera di grassi e alcol), eliminare il tabacco, avere una costante e frequente attività fisica, mantenere un peso adeguato alla propria corporatura. «L’eccedenza di zuccheri nel sangue può indurire i vasi sanguigni, rendendo più difficile la circolazione e, di conseguenza, provocare l’accumulo di placche sulle pareti delle arterie. Questo accumulo, progressivamente, genera ispessimenti, chiamati placche aterosclerotiche, all’interno del vaso. L’aterosclerosi è una patologia vascolare cronica e completamente asintomatica. In presenza di diabete, il processo di aterosclerosi avviene più rapidamente e il rischio di ictus cerebrale raddoppia, con conseguenti esiti anche molto gravi come invalidità e possibile decesso, soprattutto se l’età supera i 65 anni», dichiara il professor Danilo Toni, direttore dell’Unità di Trattamento Neurovascolare del Policlinico Umberto I di Roma e presidente del Comitato tecnico-scientifico della Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale (Alice Italia Odv). Alla riabilitazione post ictus, gli specialisti puntano oggi l’attenzione visto che si tratta di una fase molto delicata. Secondo il professor Toni, «è fondamentale fare una mappatura dei centri di riabilitazione in tutta Italia, progetto che sarà portato avanti da Alice in partnership


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Il mese della prevenzione

“L’eccedenza di zuccheri nel sangue può indurire i vasi sanguigni, rendendo più difficile la circolazione e, di conseguenza, provocare l’accumulo di placche sulle pareti delle arterie. Questo accumulo, progressivamente, genera ispessimenti, chiamati placche aterosclerotiche, all’interno del vaso”.

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a prevenzione, specie di una malattia metabolica come il diabete, andrebbe fatta tutto l’anno. Nel mese di aprile, l’associazione Alice Italia Odv concentra la sua campagna di sensibilizzazione della popolazione per spingere verso una modifica del proprio stile di vita e la diagnosi precoce ed in particolare fare gli esami del sangue una volta all’anno per controllare i valori della glicemia e del colesterolo può evitare l’insorgenza improvvisa di patologie gravi come appunto l’ictus e gli infarti (per seguire le iniziative https://www.aliceitalia.org/).

momento non abbiamo la percezione che ci sia stato un incremento significativo di ictus». Difficile dire se i pazienti abbiano abbandonato la dieta durante il lockdown: «da marzo a giugno 2020 – aggiunge lo specialista - l’attività ambulatoriale è stata sospesa e non è stata sostituita da controllo da remoto tramite strumenti di telemedicina. È possibile che questo abbia avuto un impatto sul rispetto da parte dei pazienti delle terapie di prevenzione secondaria prescritte e anche di buone norme di vita quotidiana, ma non è disponibile un dato che quantifichi gli esiti di questi possibili effetti negativi».

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con Italian Stroke Association - Associazione Italiana Ictus. Questo per capire quanto la richiesta di riabilitazione riesca ad essere soddisfatta in tutto il Paese. Poi c’è il ritorno a casa, che rappresenta un momento molto delicato: la collaborazione fra il medico di medicina generale, il centro che ha ricoverato il paziente nella fase acuta ed il centro di riabilitazione è fondamentale per intercettare i bisogni assistenziali ed eventualmente riabilitativi che si possono manifestare in questa fase tipicamente cronica. Al momento non c’è una interazione ottimale fra questi, ma una sinergia va sviluppata per non lasciare il paziente e la famiglia soli di fronte agli esiti della malattia». La diffusione del Covid-19 ha avuto effetti anche nel trattamento dei pazienti a rischio ictus: «Nel periodo di maggiore intensità della pandemia – ricorda il professor Toni -, fra marzo e maggio 2020, c’è stata una riduzione dei ricoveri di almeno il 20% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, con una lieve riduzione dei trattamenti di rivascolarizzazione farmacologica (trombolisi) e con numero stabile di trattamenti di rivascolarizzazione meccanica (sono arrivati pazienti più gravi e più in ritardo rispetto al solito e la finestre terapeutica per i trattamenti meccanici è più ampia rispetto a quella per la trombolisi). Successivamente, però, i numeri sono tornati quelli soliti e al

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Nella nota in cui l’European Medicines Agency dà conto della svolta, si spiega che Tebentafusp, il principio attivo di Kimmtrak, funziona aiutando le cellule immunitarie ad avvicinarsi abbastanza alle cellule tumorali per attaccarle. Il trattamento può essere utilizzato in pazienti adulti che sono positivi all’antigene leucocitario umano (HLA)-A*02:01 e hanno melanoma uveale non resecabile (che dunque non può essere rimosso chirurgicamente) o metastatico. L’eventuale messa a disposizione di un medicinale efficace contro il melanoma uveale rappresenterebbe un’opzione importantissima per i pazienti affetti dal tumore primitivo intraoculare più frequente.

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Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) ha dato il via libera all’autorizzazione all’immissione in commercio nell’Unione Europea per “Kimmtrak”, una monoterapia per il trattamento di pazienti adulti affetti da melanoma uveale, un raro tipo di cancro agli occhi. A esaminare la domanda di autorizzazione all’immissione in commercio con un calendario accelerato, per permettere un più rapido accesso dei pazienti al medicinale tenendo conto dell’elevata necessità medica insoddisfatta, è stato il Comitato per i medicinali per uso umano (CHMP). Gli esperti hanno basato la loro raccomandazione sui dati di uno studio cardine randomizzato di Fase 3 e di uno studio di supporto. Quello principale ha incluso 378 pazienti con melanoma uveale avanzato non trattati in precedenza: 252 selezionati in modo casuale hanno ricevuto tebentafusp, agli altri 126 nel gruppo di controllo è stata somministrata invece una delle tre terapie già stabilite per la condizione (dacarbazina, ipilimumab o pembrolizumab). Tebentafusp è stato somministrato ai pazienti tramite infusione endovenosa. L’efficacia del farmaco è stata dimostrata dal prolungamento della vita nei pazienti che l’hanno ricevuto rispetto a quelli facenti parte del gruppo di controllo. La sopravvivenza globale mediana è stata infatti di 21,7 mesi per i pazienti trattati con tebentafusp, e di 16 mesi per i pazienti del gruppo di controllo. Durante lo svolgimento degli studi, i pazienti non sono stati esenti da effetti collaterali. I più comuni osservati sono stati eruzioni cutanee, febbre e prurito. L’iter che porterà Kimmtrak ad essere a disposizione dei pazienti affetti da melanoma uveale non può dirsi però ancora concluso. Il parere adottato dagli esperti del Comitato per i medicinali per uso umano dell’EMA rappresenta infatti una tappa intermedia. Il prossimo step si tradurrà nell’inviare il parere alla Commissione Europea, affinché questa adotti una decisione su un’autorizzazione all’immissione in commercio a livello dell’Unione Europea. Una volta concesso questo via libera, le decisioni riguardanti il prezzo e il rimborso avranno luogo a livello di ciascuno Stato membro, tenendo conto del potenziale ruolo/uso di questo medicinale nel contesto del sistema sanitario nazionale di quel paese. Questa forma di cancro ha un’incidenza in Italia di 400-500 nuovi casi per anno. Secon-

do le stime, riferisce l’Ema, il melanoma uveale colpisce tra i cinque e gli undici pazienti ogni milione di abitanti. Esso costituisce il 10% circa di tutti i melanomi e nel 90% dei casi si localizza nella coroide e nel corpo ciliare, ma non mancano casi di insorgenza anche sull’iride o sul nervo ottico. Come spiegato dall’EMA nella sua nota, il melanoma uveale è una malattia rara e aggressiva in cui le cellule tumorali si formano nei tessuti dell’occhio. I segni del melanoma uveale includono visione offuscata o una macchia scura sull’iride. La sintomatologia è in genere aspecifica: il tumore può essere infatti del tutto asintomatico o invece manifestarsi attraverso la comparsa di fosfeni (bagliori) e parziale riduzione del campo visivo. Spesso infatti il melanoma si manifesta soltanto quando viene interessata la parte centrale dell’occhio e il paziente si accorge di una diminuzione della vista. Ecco perché l’unica prevenzione in grado di escludere brutte sorprese è quella che prevede visite oculistiche periodiche. La diagnosi avviene mediante esame oculistico: lo specialista può individuare il melanoma attraverso alcune caratteristiche visibili, come il suo grado di pigmentazione, la sua forma e la sua posizione. A conferma della diagnosi dell’oculista intervengono poi ulteriori esami diagnostici. Sebbene il melanoma oculare possa anche rimanere stabile nel tempo, nella maggior parte dei casi si assiste ad una crescita del tumore che finisce per compromettere la visione, senza contare che questo tipo di cancro tende a diffondersi in altre parti del corpo e, se non trattato in maniera tempestiva, può risultare fatale. Proprio la tendenza a sviluppare metastasi fa sì che i pazienti con melanoma uveale o oculare vadano spesso incontro ad una prognosi sfavorevole. La malattia può infatti essere resistente ai trattamenti, mentre si diffonde con rapidità attraverso il corpo. In questo senso è il fegato il sito più frequente di metastasi. Una volta che la malattia si è diffusa, molti pazienti sopravvivono meno di un anno. Attualmente le opzioni di trattamento più impiegate per la malattia non metastatica sono la chirurgia, la radioterapia, la termoterapia con il laser ad infrarossi e l’enucleazione (una procedura tramite la quale viene rimosso l’intero occhio). Tebentafusp promette di cambiare il paradigma delle cure, offrendo ai pazienti un’opzione di cura efficace. (D. E.).


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MELANOMA UVEALE: OK A NUOVO FARMACO DALL’EMA Il medicinale Kimmtrak, basato sul principio attivo Tebentafusp, aumenta la sopravvivenza globale mediana

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LA QUALITÀ DEL SONNO NEGLI ANZIANI PEGGIORA? La causa potrebbe essere la degradazione di alcuni circuiti cerebrali: il ruolo chiave delle ipocretine

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no studio condotto dai ricercatori della Stanford University ha portato alla luce un processo biologico che potrebbe spiegare perché, con l’avanzare dell’età, la qualità del sonno peggiora. Gli studiosi a stelle e strisce hanno esaminato dei topi, osservando una degradazione dei circuiti cerebrali coinvolti nella regolazione del sonno e della veglia che potrebbero spiegare perché il riposo negli anziani fa registrare una marcata riduzione sotto il profilo qualitativo. Una percezione, questa, che secondo il professor Luis de Lecea, fra gli autori della ricerca, 20 GdB | Marzo 2022

accomuna la maggiora parte delle persone in età, se è vero che oltre la metà dei soggetti dai 65 anni in su si lamenta della qualità del proprio sonno. Basta questo dato per comprendere la portata di uno studio come quello condotto dagli scienziati della Stanford University, i cui risultati sono stati pubblicati sulle pagine della rivista “Science”, che potrebbe spalancare la strada allo sviluppo di nuovi trattamenti capaci di favorire un buon riposo, e di conseguenza di migliorare la qualità della vita a milioni di persone. Lo studio ha visto gli esperti osservare da vicino la concentrazione

nei roditori delle ipocretine, sostanze chimiche chiave generate soltanto da un piccolo gruppo di neuroni nell’ipotalamo del cervello, e il loro ruolo nel regolare la qualità del riposo. Per farlo, i ricercatori hanno impiegato la luce trasportata dalle fibre per stimolare neuroni specifici su un campione composto da topi giovani, di età compresa tra tre e cinque mesi, e anziani, da 18 a 22 mesi. I risultati della stimolazione sono stati registrati mediante tecniche di imaging. L’analisi ha consentito di osservare come i topi anziani avessero perso circa il 38% di ipocretine rispetto a quelli giovani. Inoltre, queste sostanze chimiche nei roditori anziani sembrano essere attivabili in maniera più semplice, rendendo così i topi maggiormente inclini al risveglio. L’ipotesi degli scienziati è che questa caratteristica delle ipocretine nei topi anziani potrebbe essere legata al deterioramento nel tempo dei cosiddetti canali del potassio, interruttori biologici di accensione e spegnimento fondamentali per le funzioni di diversi tipi di cellule. I fattori che influenzano negativamente la qualità del sonno sono molteplici e di diversa natura. L’abitudine a schiacciare pisolini durante il giorno, ansia, depressione, si uniscono a dolore cronico dovuto a patologie tipiche della terze età quali artrite, malattie reumatiche e artrosi; a questo si aggiunga l’impiego di farmaci: spesso infatti si è soliti sottovalutare l’impatto dei loro effetti collaterali sulla qualità del sonno. Vi sono poi patologie di natura internistica quali diabete, cardiopatie, pneumopatie, ipotiroidismo, reflusso gastroesofageo, che influenzano la qualità del sonno poiché causano dolore e discontinuità nel riposo. Il quadro si completa con la sindrome delle gambe senza riposo, le apnee notturne e la classica urgenza minzionale che spinge alcuni anziani a dovere svuotare la vescica anche fino a quattro volte a notte. (D. E.).


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a menopausa precoce può favorire l’aumento del rischio di sviluppare demenza. A sostenerlo è un nuovo studio i cui risultati sono stati presentati nel corso dell’Epidemiology, Prevention, Lifestyle & Cardiometabolic Health Conference 2022 dell’American Heart Association svoltosi di recente a Chicago. Gli esperti hanno messo sotto la lente d’ingrandimento il possibile collegamento tra l’età di inizio della menopausa e la diagnosi di demenza (di qualunque tipo, compreso il morbo d’Alzheimer, la demenza vascolare e altre). Sono stati passati al vaglio i dati di 153.291 donne nel Regno Unito con un’età media di 60 anni tra il 2006 e il 2010. Gli scienziati hanno dunque calcolato il rischio di insorgenza della demenza in termini di età in cui le donne hanno riferito di essere entrate in menopausa e hanno confrontato il dato con quello delle donne entrate in menopausa nell’età media secondo le statistiche, ovvero 50-51 anni. Le donne in menopausa precoce avevano il 35% di probabilità in più di sviluppare qualche tipo di demenza. L’analisi dei risultati ha portato gli scienziati a osservare come le donne entrate in menopausa prima dei 45 anni correvano un rischio 1,3 volte più alto delle altre donne di sviluppare demenza prima dei 65 anni d’età. Il processo, però, non era valido al contrario: le donne entrate in menopausa più tardi, ovvero dai 52 anni in poi, hanno infatti mostrato un rischio di demenza simile alle donne che hanno fatto il loro ingresso in menopausa in età media. Se è noto che con l’avvento della menopausa aumentano drasticamente le possibilità di andare incontro a ictus e sviluppare demenza vascolare, dallo studio non è emersa però una chiara prevalenza di questo tipo di demenza. Lo ha spiegato Wenting Hao, dottoranda della Shandong University a Jinan, in Cina, prima

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LA MENOPAUSA PRECOCE UMENTA IL RISCHIO DEMENZA Chi entra in menopausa prima dei 45 anni ha un rischio 1,3 volte più alto di sviluppare demenza prima dei 65 anni

autrice dello studio, secondo cui «la dimensione del campione di donne con demenza vascolare era troppo piccola», e, dunque, non significativa rispetto a questo aspetto. La scienziata cinese ha anche spiegato perché la mancanza di estrogeni tipica della menopausa finisca per accelerare l’invecchiamento del cervello e il deterioramento cognitivo, osservando come l’estradiolo (ormone sessuale di produzione ovarica tipico della donna in età fertile), giochi un ruolo importante per diverse funzioni neurologiche nel cervello. Ne deriva che la diminuzione degli estrogeni endogeni caratteristica della menopausa

possa aggravare i mutamenti nel cervello legati alle malattie neurdegenerative e velocizzare la progressione della demenza. Dall’esercizio quotidiano allo stop di cattive abitudini quali fumo e alcol; dalla partecipazione ad attività educative e ricreative fino all’assunzione di integratori di calcio: i modi in cui le donne in menopausa precoce possono ridurre il rischio di sviluppare demenza non mancano. La stessa menopausa può essere ritardata, e non mancano studi, anche in relazione al rischio demenza, legati alla funzione protettiva della terapia ormonale sostitutiva. (D. E.). GdB | Marzo 2022

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Gli autori Gian Mario Migliaccio è Dottore di ricerca e Biologo. Opera a livello nazionale e internazionale con atleti di livello olimpico nella bioenergetica della performance. E’ un divulgatore scientifico con oltre 200 mila followers. Federica Pesce è Biologa. Opera a Latina come nutrizionista con un approccio evidence-based verso le tipologie di popolazione sane ed in terapia medica. Alberto Bazzu è Biologo e Chinesiologo. Opera a Sassari soprattutto con atleti agonisti ed amatori. Ha seguito squadre olimpiche internazionali fino alle Olimpiadi di RIO 2016.

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HIIT è un allenamento intervallato ad alta intensità, particolarmente utilizzato da atleti agonisti ed amatori che ricercano nuove prestazioni. Nel numero del Giornale dei Biologi gennaio/febbraio 2022 abbiamo presentato l’allenamento in modo che un biologo nutrizionista potesse avere le basi di riferimento. In questo numero diamo alcuni elementi utili a capire come l’HIIT sia fortemente legato ad un apporto nutrizionale ben disegnato. Il ruolo dei carboidrati nell’HIIT Il glicogeno nell’HIIT assume un ruolo decisamente rilevante; è un grande polisaccaride ramificato di glucosio ed è la molecola di stoccaggio del glucosio all’interno del corpo e può essere scomposta per produrre glucosio quando è richiesta energia. Il glicogeno è conservato all’interno dei muscoli e del fegato nel corpo. (Murray & Rosenbloom, 2018) La glicolisi è la via metabolica principale durante l’HIIT nella formazione di ATP che avviene nel citosol al di fuori dei mitocondri, utilizzando il glucosio come fonte di energia mentre il prodotto finale è piruvato. A seconda delle intensità e delle durate dell’esercizio il piruvato può assumere una importanza fondamentale a seconda che l’atleta permanga in ambiente anaerobico o aerobi-

di Gian Mario Migliaccio, Federica Pesce e Alberto Bazzu

co rendendo fondamentale il lavoro della cellula dopo la glicolisi. (Judge & Dodd, 2020) In una gara o in allenamenti che superano i 45”, alla massima intensità, l’atleta ha un utilizzo progressivo di tutti i metabolismi energetici ma la fase tra l’anaerobico lattacido e l’aerobico lipolitico è condizionata dall’utilizzo (o meno) del piruvato nel metabolismo ossidativo. La nutrizione ha un suo ruolo ma il biologo deve valutare con attenzione, insieme allo staff, quasi siano i punti di debolezza dell’atleta per rispondere in maniera efficace sul piano nutrizionale con un adeguato apporto di carboidrati. E’ bene considerare che in attività vicine al VO2max per oltre 45min la deplezione del glicogeno muscolare (circa 400g) è tra i fattori limitanti la prestazione. Il ruolo dei lipidi nell’HIIT L’utilizzazione a scopo energetico dei lipidi viene promossa da diverse condizioni: oltre il digiuno e l’ipotermia, vi è l’esercizio fisico. È stato osservato che in intervalli di tempo ristretti di esercizi con intensità da lieve a moderata, l’energia che si utilizza è fornita approssimativamente ed in egual misura dal metaboli-

L’ALLENAMENTO HIIT La nutrizione come energia 22 GdB | Marzo 2022


smo dei carboidrati e dei lipidi. (Egan & Zierath, 2013). Se invece lo sforzo è intenso e protratto per un’ora o più, a causa dell’esaurirsi dei glucidi, vi è un progressivo incremento della quota di lipidi utilizzata a scopo energetico. Nell’esercizio di ultra-endurance (ma anche di HIIT ciclico e prolungato), ad esempio, i lipidi soprattutto gli acidi grassi liberi possono arrivare a fornire oltre l’80% dell’energia richiesta. Tale fenomeno ha origine da una probabile e modesta deplezione di glicogeno e conseguente decremento di glucosio circolante nel sangue, ed al conseguente aumento del glucagone rilasciato dal pancreas. Queste modificazioni ormonali non fanno altro che stimolare la mobilizzazione dei lipidi ed il loro successivo utilizzo come carburante per l’esercizio fisico. (Nikolaidis et al., 2018).

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Il ruolo degli amminoacidi nell’HIIT Come detto i principali combustibili delle reazioni energetiche sono carboidrati e lipidi, ma l’organismo è in grado di usare anche gli amminoacidi per produrre energia, soprattutto nello sport. La funzione primaria degli aminoacidi, tuttavia, resta quella di partecipare alla sintesi proteica, un processo biologico che porta alla formazione delle proteine necessarie a sostenere diverse funzioni dell’organismo. Il metabolismo degli amminoacidi avviene prevalentemente all’interno del fegato, tuttavia, i tessuti renali, muscolari e adiposi e svolgono anche il metabolismo degli amminoacidi. Nell’HIIT gli amminoacidi non dovrebbero partecipare alla contribuzione energetica, tuttavia diete carenti di carboidrati potrebbero sfruttare questa via metabolica. Conclusione In questo articolo abbiamo parlato del ruolo fondamentale della nutrizione in funzione dell’HIIT. La presenza sempre più attiva e determinante del nutrizionista può portare ad una grande crescita professionale dello staff e delle performance degli atleti. In successivi numeri di questa rivista esamineremo gli adattamenti metabolici indotti dall’esercizio ad alta intensità (HIIT) che influenzano l’utilizzazione dei substrati energetici e le diete di riferimento.

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Bibliografia Diabete mellito e malattie cutanee autoimmuni, Gualtieri B, Chiricozzi A, Romanelli M, Clinica Dermatologica, Università di Pisa, Pisa, 2016. http://hdl.handle. net/11568/838052.

oi siamo quello che mangiamo” sosteneva già a metà del 1800 il filosofo tedesco Feuerbache e, in effetti, diversi studi hanno dimostrato come una corretta alimentazione favorisca proprio un maggior benessere psico-fisico. Al contrario un’alimentazione squilibrata e gli alti livelli di zucchero nel sangue, sembrano essere legati a diverse disfunzioni, tra cui anche quelle legate alla calvizie e ai problemi di cuoio capelluto. Per comprendere meglio tale relazione, ho intervistato la dottoressa Debora Martinelli, biologa esperta di tricologia, che ha da poco condotto un webinar informativo proprio dedicato al ruolo dell’iperglicemia nelle problematiche tricologiche. Il glucosio, evidenziato nelle analisi ematochimiche come glicemia nel sangue (mg/dl), è una molecola a volte demonizzata, ma che è invece essenziale per svolgere quasi tutte le attività quotidiane dalle più semplice alle più complesse. Come in tutte le cose ci vuole equilibrio, così anche la concentrazione di glucosio nel sangue non deve uscire dal range di riferimento. I soggetti sani hanno valori compresi tra i 70 e i 99 mg/dl, un valore compreso tra 100 e 125 mg/dl è indicativo di alterata glicemia a digiuno, un valore pari o superiore a 126 mg/dl nella maggior parte dei casi è segno di diabete. Il capello, per crescere e svilupparsi, ha bisogno di un adeguato apporto di nutrienti e ossigeno che arriva tramite la papilla dermica, un groviglio di sottilissimi vasi sanguigni che costituisce il microcircolo periferico follicolare. Elevati livelli di glucosio nel sangue, soprattutto se cronici, possono

avere delle conseguenze negative a livello organico generale e quindi anche a livello più periferico follicolare. Infatti, essendo il glucosio molto reattivo, tende a legarsi subito alle diverse molecole circostanti, tra cui lipidi e proteine, con lo scopo di divenire più stabile. Questo tipo di reazione prende il nome di glicosilazione, o gli-

di Biancamaria Mancini

GLICEMIA E CAPELLI I livelli di zucchero nel sangue e il loro legame con le disfunzioni quali calvizie e problemi di cuoio capelluto 24 GdB | Marzo 2022


L’ossidazione delle molecole glicate si chiama glicossidazione e produce molecole ancora più reattive, che aumentano lo stress ossidativo cellulare, contribuendo all’invecchiamento precoce, che nei follicoli si traduce in un aumentato del rischio di caduta, di miniaturizzazione e calvizie.

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cazione. Una certa quantità di glicazione avviene sempre nel nostro organismo, ma non deve superare determinati limiti. Se la glicazione avviene in modo incontrollato su alti livelli di glucosio nel sangue, le molecole coinvolte cambiano conformazione, modificano la loro capacità funzionale e tendono ad irrigidirsi. Un esempio di tale processo è la glicazione del collagene che, glicosilato, forma dei legami cross-link per cui l’irrigidimento della struttura porta ad una minor elasticità cutanea. Oppure, se ad essere attaccate dal glucosio sono le proteine dell’endotelio dei vasi sanguigni, queste si irrigidiscono perdendo l’elasticità necessaria con la conseguenza di un’innalzamento della pressione e di un’alterata irrorazione locale. Un’altra conseguenza delle proteine glicate è quella di essere maggiormente soggette a fenomeni di ossidazione da parte delle specie reattive dell’ossigeno (ROS). L’ossidazione delle molecole glicate si chiama glicossidazione e produce molecole ancora più reattive, che aumentano lo stress ossidativo cellulare, contribuendo all’invecchiamento precoce, che nei follicoli si traduce in un aumentato del rischio di caduta, di miniaturizzazione e calvizie. In aggiunta, i soggetti diabetici presentano spesso l’indebolimento del sistema immunitario che ha un ruolo fondamentale nel mantenere in equilibrio la salute del cuoio capelluto. Uno studio svolto nel 2016 presso l’Università di Pisa dal gruppo del dott. Gualtieri ha evidenziato una correlazione tra soggetti con diabete e alcune affezioni del cuoio capelluto: sembra infatti che chi è affetto da diabete di tipo 1 sia più soggetto a soffrire di vitiligine, alopecia areata e dermatite erpetiforme; chi ha il diabete di tipo 2 può soffrire più frequentemente di psoriasi. Gli studi attualmente disponibili non mostrano una correlazione diretta tra il diabete e i problemi di capelli e cuoio capelluto, ma certamente si evince che rappresenta un fattore di rischio aggiuntivo importante per chi ha già una predisposizione di base. Le conoscenze fin qui raggiunte ci spingono quindi a considerare l’iperglicemia come un fattore di rischio da segnalare, per attuare da subito un programma di prevenzione e instaurare un corretto stile di vita, come una dieta equilibrata, il regolare controllo della glicemia e l’esercizio fisico. GdB | Marzo 2022

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l silicio è il secondo elemento più abbondante presente sulla crosta terrestre, si scopre la sua presenza nella prima metà dell’800 nelle ceneri di animali, mentre agli inizi del 900 nei tendini e nel tessuto oculare. Prima di queste scoperte, era considerato un elemento tossico, ritenuto indispensabile solo per il suo ruolo di sostegno e strutturale (es. membrane delle diatomee, scheletro radilolari). Successivamente invece è stato classificato un elemento indispensabile nella calcificazione delle ossa di pulcini e ratti, mettendo in evidenza i contenuti di silicio nell’alimentazione con biosintesi del collagene e mineralizzazione delle ossa. Alcune ricerche mettono in risalto l’azione catalitica di questo elemento, e quanto sia indispensabile per garantire un normale contenuto di glicosaminoglicani nel collagene e la formazione della matrice nel tessuto connettivo dell’osso e della cartilagine grazie all’attività della prolil-idrossilasi ossea. Heppleston (1967) scopre che il silicio al livello degli alveoli polmonari, provoca la formazione di un fattore macrofagico, che stimola la crescita dei fibroblasti così come la sintesi del collagene; Schwartz (1973) dimostra che è indispensabile per la formazione di glicosaminoglicani; Carlisle (1974) mette in evidenza che la diminuzione della concentrazione di silicio nei tessuti di coniglio ne induce l’invecchiamento, e di come questo sia indispensabile per la sintesi

delle cartilagini e del tessuto connettivo. Il silicio è contenuto nelle graminacee che non sono andate incontro al processo di raffinazione e che hanno un elevato contenuto di fibre (riso, orzo, frumento, segale, avena); vegetali e legumi che crescono su terreni ricchi di silicato (aglio, cavolfiori, cipolle, fagioli, patate e piselli); buccia della frutta (soprattutto mele e fragole); birra. Si presume che per l’uomo il fabbisogno giornaliero di silicio si aggiri tra 26 e 56 mg/1000 Kcal, il cui assorbimento è ostacolato dalla presenza di molibdeno, manganese, ferro, alluminio, fluoro e magnesio presenti a livello della parete intestinale, e può avvenire solo se viene trasformato in forma solubile, dopodiché viene escreto con le urine, ma ovviamente la sua concentrazione dipende dai cibi e dalle bevande che si introducono nell’organismo. La più alta concentrazione tissutale di questo elemento oltre che nell’ aorta, nelle arterie, si riscontra nella cute di individui giovani grazie all’elevato contenuto di glucosaminoglicani presenti nell’intima e nell’epidermide. Questa concentrazione diminuisce col passare del tempo a causa di variazioni strutturali che avvengono nella sostanza fondamentale e nel connettivo, alla formazione di strie lipidiche e delle placche ateromasiche, mentre in altri tessuti (miocardio, muscolo scheletrico) le variazioni sono ridotte. Il silicio, ha un ruolo essenziale sui processi di formazione della matrice del tessuto connetti-

COME IL SILICIO TRASFORMA LA PELLE Il suo ruolo nella produzione di acido ialuronico sintasi 2 (HAS2) e nel rallentamento dell’invecchiamento delle cellule staminali adulte di Carla Cimmino 26 GdB | Marzo 2022


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vo, conferendone la compattezza, resistenza ed elasticità; ed essendo componente dell’elastina, collagene e molti mucopolisaccaridi contribuisce alla formazione di ponti, legami tra le singole catene polisaccaridiche e complessi proteine-glicosaminoglicani della matrice extracellulare. Per mantenersi in salute gli organi hanno bisogno di concentrazioni sufficienti di silicio nell’organismo, il quale con l’invecchiamento si riduce e non è possibile ripristinare la sua concentrazione. Essendo un componente vitale è presente in tutte le cellule del corpo ma prevale nei tessuti connettivi, infatti nel collagene fa da collante per le fibre che sono avvolte a spirale, ma conferisce anche fluidità ed elasticità regolando gli scambi acquosi con la matrice extracellulare. Nella pelle, circa 500 atomi di silicio sono impiegati per una molecola di acido ialuronico e tre atomi per ogni fibra collagene, questo fa dedurre quindi che questo elemento è vitale per la presenza di acido ialuronico e collagene, quindi indispensabile per la struttura rigida ed elastica del derma, perché ripristina spessore, elasticità e levigatezza. Alcuni studi clinici hanno dimostrato che il silicio: stimola la produzione di acido ialuronico sintasi 2 (HAS2), enzima responsabile dell’aumento in vitro fino a 26 volte della produzione di acido ialuronico, agendo come citochina nella ma-

trice extracellulare; rallenta la senescenza delle cellule staminali adulte, regola il metabolismo e la divisione cellulare, così come la proliferazione di cheratinociti e fibroblasti. Quando si ha carenza di silicio si notano: 1) atrofia e atonia dermoepidermica degli annessi cutanei (unghie, capelli fragili e sottili), smagliature, invecchiamento precoce e lassità cutanea; 2) ritardi di cicatrizzazione (fistole, ragadi, afte); 3) miopia e cataratta; 4) parassitosi intestinale; 5) lesioni ateromatose e coronariche. Il silicio, può essere inoculato attraverso delle microiniezioni sottocutanee per il ringiovanimento di alcune zone del viso, del collo e decolté, utilizzato anche per il ringiovanimento di zone critiche del corpo donando compattezza al derma ed un aspetto liscio e tonico ai tessuti. In medicina estetica con questo elemento si possono trattare l’invecchiamento cutaneo, il rilassamento del collo e delle mani, le smagliature (striae distensae), la psoriasi, la pefs (cellulite), l’obesità. In campo dermatologico il silicone è impiegato come gel nel trattamento delle cicatrici e olio silicone al 30% come unguento o pomata per proteggere e curare molte dermatiti, mentre l’acido salicilico colloidale è utilizzato come veicolo per molte preparazioni cosmetiche.

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SMALTIMENTO RIFIUTI E IGIENE PERSONALE NELL’ANTICA GRECIA L’attenzione, con interventi orali e scritti, al benessere di ogni individuo era legata sicuramente all’attività fisica ma, soprattutto, all’igiene personale

di Barbara Ciardullo

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econdo la tradizione storica i Greci sono stati sicuramente il primo popolo a provvedere all’organizzazione del servizio pubblico dei rifiuti urbani. Aristotele nella “Costituzione degli Ateniesi” riferiva con chiarezza e puntualità come dieci funzionari pubblici fossero invitati a sorvegliare non solo che la polis seguisse quotidianamente le regole del buon vivere civile, ma anche a controllare con continuità il lavoro degli spazzini o spazzatori, che a quei tempi erano chiamati coprologi, in quando dovevano smaltire i rifiuti gettati lungo le vie, procedendo al loro interramento. Costoro erano sicuramente degli schiavi, i quali dovevano, secondo

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quando stabilito dalle autorità, deporre i rifiuti oltre 2 km dalle mura della città, portando a risoluzione un problema che si perpetuava da secoli, perché era usanza poco salutare per le vie respiratorie accumulare i rifiuti sulle strade della città. Aristotele, che era un uomo di pensiero ma anche uomo di grande animo e non fazioso, amava dire ai propri concittadini che nella vita di una polis vi fossero lavori nobili, ma che vi fossero pure lavori necessari, utili per dare decoro alla stessa polis. Con questo suo dire Aristotele cercava di restituire dignità ad un lavoro pieno di difficoltà e sudiciume, che a quei tempi era screditato e denigrato da gran parte dell’opinione pubblica. Nella Grecia antica, intanto, molti ar-

tisti ed intellettuali rivolsero la propria attenzione, con interventi orali e scritti, al benessere di ogni individuo, che è legato sicuramente all’attività fisica ma, soprattutto, all’igiene personale. Tra questi pensatori vi furono alcuni che esercitarono nella propria vita la professione medica e, supportati da questa attività esperienziale, scrissero trattati, la cui pubblicazione valse loro il raggiungimento della fama e della notorietà, arrivata fino ai tempi nostri. Il primo fu Erodico, vissuto nel V secolo a.C., il quale era, nello stesso tempo, un celebre medico e atleta: è stato colui che con i suoi scritti promosse la diffusione di tutte quelle pratiche terapeutiche ed igieniche, riservate prima ad atleti e guerrieri. E questo insieme di conoscenze, sperimentate sul campo, contribuì alla nascita del Gymnasium, una palestra laboratoriale dove i giovani e adulti non solo si addestravano dal punto di vista fisico, ma badavano anche all’igiene, alla salute e al benessere. I romani, quando colonizzarono la Grecia, furono affascinati dalla cultura dei Greci e con l’ausilio di medici e paramedici di origine greca trasferirono a Roma tutte quelle pratiche che interessavano l’igiene e il benessere del corpo, come i bagni, i massaggi con gli oli, la ginnastica. Il secondo intellettuale, che si interessò della problematica igienica è stato sicuramente Ippocrate, definito dal mondo della scienza il padre della medicina; infatti, fu autore di 87 trattati, di cui molti riguardavano l’igiene del corpo, esaltando la pratica dei bagni e dei massaggi. Terzo cultore dell’igiene è stato Galeno, nato cinque secoli più tardi a Pergamo, una ricca città dell’Asia Minore, famosa per la Biblioteca e l’Accademia di medicina. Era un medico specializzato proprio nel campo dell’igiene: in un trattato egli indicò con un linguaggio autorevole le regole necessarie alla buona salute: la cura dell’igiene del corpo, dormire e mangiare in maniera adeguata, respirare aria fresca, non sottoporsi allo stress e alla continua emotività o ansia.


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ttraverso i reperti fossili portati alla luce da archeologi europei con scavi mirati ed i graffiti parietali ritrovati con disegni vari da speleologi in grotte e anfratti di data remota, siamo venuti a conoscenza come gli antichi, a partire dalla preistoria fino all’Egitto faraonico, badassero all’utilizzo dei colori, talora appariscenti, e alla cura assai evidente del proprio corpo. Oggi, la tecnologia e la scienza sono riusciti addirittura a fare una distinzione delle tribù, a cui appartenevano gli individui che avevano disegnato sulle pareti le parti del corpo umano e, nel contempo, con uno studio analitico ed approfondito hanno stabilito che la cura del corpo e del suo abbellimento non era una caratteristica peculiare delle donne, ma di tutta la comunità. Anzi, questa caratteristica era diventata pure un lasciapassare identificativo, che spesso era necessario non solo per mimetizzarsi, ma anche per permettere la partecipazione ai riti religiosi. Donne e uomini delle tribù amavano disegnare dei simboli sul corpo, che oggi corrispondono ai tatuaggi, colorandoli con polveri di minerali e con la fuliggine, una miscela che si depositava come residuo della combustione ed era ricercata sia nel campo dei coloranti sia come prodotto curativo. Già antichi popoli, come i Sumeri, gli Assiri, i Babilonesi, gli Ittiti ritenevano la bellezza un percorso di avvicinamento alla divinità, per cui nei cerimoniali religiosi non esitavano a dare spazio all’abbellimento del corpo, utilizzando resine e legname, che venivano importati dalla Cina e dall’India, a dimostrazione che sin da allora la cosmetica farmacologica era considerata assai fruttuosa sul piano economico. Due grandi storici greci, Erodoto, che era stato definito dall’intellettuale latino Cicerone, padre della Storia, e Senofonte, autore dell’Economico, scrivevano che la popolazione dei Sumeri utilizzava il piombo per colorare la pelle e che proprio a quei tempi i Fenici avevano originato il sapone, mentre gli Arabi una parvenza di profumo derivato dall’acqua di rose. Ma sono stati gli Egizi a dare uno sviluppo evolutivo nel campo della cosmesi, in-

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LA RICERCA DELLA BELLEZZA DALLA PREISTORIA ALL’ANTICO EGITTO I reperti fossili portati alla luce da archeologi europei e speleologi spiegano come egiziani bassaero all’utilizzo dei colori e alla cura del corpoW

ventando innanzitutto il trucco, che rese celebre la regina Cleopatra, considerata la prima fra tutte le donne per la sua portentosa bellezza. Infatti, gli Egizi miravano a rendere e conservare il proprio corpo bello, giovane e sano il più a lungo possibile, identificando tanto maniacalmente cura e pulizia del corpo con la purezza dello spirito che sono stati i primi a costruire i bagni nelle proprie case. Donne e uomini preferivano farsi il bagno con una miscela di acqua e bicarbonato di calcio, strofinavano sulla pelle argilla dei fanghi del Nilo e, fatto il bagno, per renderla morbida spalmavano su di essa oli vegetali ed erbe aromatiche. Nel 3000 a.C. il trucco era riservato solo alla classe dei sacerdoti durante le sacre cerimonie, ma in seguito ebbe larga diffusione tra i ceti agiati e non: fino al 2200 a.C. il trucco non variava secondo il sesso, ma più tardi il suo colore era distinto per uomini e donne. Durante questi anni, molte erano le sostanze che abbellivano il corpo ed anche il volto: sulla pelle veniva spalmato il fondotinta giallo ocra, sugli zigomi, per dare risalto, fondotinta rosso, gli occhi sottolineati con polvere di piombo,

le palpebre con ombretti e le tempie venivano colorate di azzurro, le unghie ed il seno di cipria dorata. Talora coloro che appartenevano alle classi aristocratiche, per nascondere la sottigliezza dei propri capelli, mettevano sulla testa vistose parrucche. Tutti gli Egizi, uomini e donne, facevano questi preparativi prima dei cerimoniali religiosi e delle feste patriottiche, ricorrendo anche a degli specchi che erano superfici di metallo molto levigate, che ebbero larga diffusione alla fine del secondo millennio a.C. Quindi, nell’antico Egitto la bellezza come la cura e l’igiene del corpo erano considerati momenti di grande intensità spirituale e religiosa, dato che gli Egizi credevano nell’aldilà, dove, a loro giudizio, per essere messi bisognava farsi trovare curati nel corpo: la testimonianza, infatti, era l’ubicazione dei bagni nelle abitazioni; come gossip di quel tempo, ci è stato tramandato che a corte veniva nominato un funzionario assai fedele, a cui veniva dato il compito di controllare che il servizio igienico per il Faraone fosse gestito in maniera attenta, puntuale e scrupolosa. (B. C.). GdB | Marzo 2022

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SUONI DAGLI ABISSI CON LA UNDERWATER BIOLOGICAL SOUNDS La libreria includerà sia i rumori degli animali subacquei sia quelli prodotti dall’uomo e anche registrazioni di vortici di ghiaccio e venti geofisici di Sara Bovio

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Secondo gli scienziati, delle circa 250.000 specie marine conosciute, tutte le 126 specie di mammiferi emettono suoni cui se ne aggiungono almeno 100 di invertebrati e 1.000 delle 34.000 specie di pesci.

di mammiferi emettono suoni cui se ne aggiungono almeno 100 di invertebrati e 1.000 delle 34.000 specie di pesci, ma gli esperti ritengono che molti altri suoni siano in attesa di essere riconosciuti. Miles Parsons, primo autore dello studio e biologo marino presso l’Australian Institute of Marine Science, spiega perché gli scienziati stanno ascoltando l’oceano e da cosa nasce l’esigenza della creazione della libreria: «Con la biodiversità in declino in tutto il mondo e gli esseri umani che alterano inesorabilmente i paesaggi sonori sottomarini, abbiamo bisogno di documentare, quantificare e comprendere le fonti dei suoni degli animali sottomarini prima che essi possano potenzialmente scomparire». Il progetto soprannominato “GLUBS” Global Library of Underwater Biological Sounds consisterebbe nello sviluppo di una piattaforma web ad accesso aperto e includerebbe una biblioteca di riferimento di fonti sonore biologiche conosciu-

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nche se l’oceano ci appare come un luogo tranquillo e avvolto dalla calma, ogni anno gli scienziati documentano sempre più suoni nei nostri oceani ma anche nei fiumi e nei laghi. È arrivato dunque il momento di mettere ordine, tanto che, come riporta uno studio pubblicato sulla rivista Frontiers in Ecology and Evolution, un team di 17 esperti di nove paesi ha pensato di riunire e catalogare tutti i suoni provenienti dal mondo sommerso e realizzare un progetto ambizioso: creare una libreria di riferimento sui rumori subacquei per monitorare e tutelare la salute degli ecosistemi marini in evoluzione. Il progetto è nato dal Working Group on Acoustic Measurement of Ocean Biodiversity Hotspots dell’International Quiet Ocean Experiment (IQOE), un programma internazionale di ricerca istituito per caratterizzare e comprendere meglio i campi sonori oceanici e gli effetti del suono sulla vita marina. Secondo gli scienziati, delle circa 250.000 specie marine conosciute, tutte le 126 specie

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Ecco allora che gli scienziati hanno pensato di creare un’applicazione di citizen science che permetta agli utenti di caricare i suoni raccolti attraverso app per telefoni o economiche GoPro subacquee e identificarli in autonomia.

Per registrare i suoni sott’acqua i ricercatori utilizzano il monitoraggio acustico passivo, una tecnologia sempre più accessibile e non invasiva che impiega idrofoni per ascoltare e monitorare il mondo sottomarino. Jesse Ausubel, ricercatore alla Rockefeller University spiega: «Con questa tecnologia puoi sentire la pioggia che cade, le onde che si infrangono, i vulcani sul fondo del mare o i terremoti, il rumore delle navi o dei pescherecci che trascinano le reti sul fondo del mare. E naturalmente si sentono gli animali stessi. Il suono è davvero potente nell’acqua. Viaggia bene mentre la luce no. Quindi, il suono è una parte davvero importante per molte forme di vita marina». Secondo gli autori, la libreria sarà inoltre fondamentale per guidare gli studi futuri in aree che sono raramente indagate, come le zone crepuscolari e di mezzanotte dell’oceano, dove una descrizione dei suoni sconosciuti può darci intuizioni sulla biodiversità presente nelle profondità oceaniche. © Craig Lambert Photography/shutterstock.com

te e sconosciute integrando ed espandendo le biblioteche esistenti in tutto il mondo. Comprenderebbe anche un portale per i ricercatori per caricare le proprie registrazioni di singoli suoni o di paesaggi sonori, cioè dell’intero ambiente audio di una località. Ci sarebbero mappe che tracciano la distribuzione delle specie basate sulle registrazioni sonore, e poi un database di allenamento per gli algoritmi di intelligenza artificiale per il rilevamento e la classificazione delle fonti di suoni sconosciuti. Ma per farlo, sono necessarie diverse migliaia di campioni di ogni suono. Come trovarle? Ecco allora che gli scienziati hanno pensato di creare un’applicazione di citizen science che permetta agli utenti di caricare i suoni raccolti attraverso app per telefoni o economiche GoPro subacquee e identificarli in autonomia. Gli autori puntano a ottenere un’app in grado di riconoscere il suono riprodotto fornendo la probabile specie animale da cui proviene e il suo comportamento.

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n materiale di scarto, destinato ad esser triturato o bruciato, può trasformarsi da brutto anatroccolo in materia prima? Oggi la voglia di avere un’economia sempre più circolare ha mutato il ciclo di vita per numerosi “rifiuti”. Grazie al progetto di ricerca industriale Tex-style con la partecipazione, tra gli altri, di Enea e del Centro ricerche Fiat (CRF) come coordinatore, l’elettronica è integrata nell’auto utilizzando tessuti high-tech realizzati con scarti di fibra di carbonio. I filati sviluppati nei laboratori del Centro ricerche brindisino dell’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, in collaborazione con l’Università degli studi di Bergamo, diventano utili per creare un sistema di riscaldamento inserito all’interno di sedili e braccioli oppure cablaggi in dialogo con l’elettronica esterna per accendere le luci del veicolo. «Abbiamo messo a punto - spiega Flavio Caretto, ricercatore del laboratorio Enea di materiali funzionali e tecnologie per applicazioni sostenibili e responsabile del progetto - un innovativo processo che permette di produrre un filato elettricamente conduttivo a base di scarti di fibre di carbonio, in grado di essere integrato in tessuti e circuiti elettronici per sfruttarne le capacità di conduzione elettrica». I ricercatori hanno dovuto trasformare uno dei tradizionali processi di filatura fino

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a renderlo compatibile con la fibra di carbonio da scarto, proveniente maggiormente dai settori industriale e aeronautico (oltre 50% di un aereo Boeing 878 è, difatti, in fibra di carbonio). «Per le sue straordinarie proprietà di resistenza e leggerezza, - sottolinea Caretto - la richiesta di questa fibra è cresciuta a ritmi esponenziali in tutto il mondo. Recenti studi mostrano che la domanda globale di materiali compositi a base di fibra di carbonio è triplicata dal 2010 al 2020 e si prevede di superare le 190 mila tonnellate entro il 2050. Ma un utilizzo di questa portata ha determinato e continuerà a farlo una produzione di enormi quantità di rifiuti. Questa situazione ha incoraggiato noi ricercatori e la stessa industria a sviluppare nuove tecnologie per il riciclo delle fibre di carbonio, come dimostra il progetto Tex-style». La ricerca e gli esperimenti nel processo di produzione si sono spinti fino ai test riguardanti i filati con differenti percentuali nella miscelazione di fibre di carbonio e poliestere. Lo scopo è aumentare conducibilità elettrica e lavorabilità: «un’elevata presenza di fibra di carbonio nel filato garantisce proprietà elettriche superiori, ma ne rende più difficile la lavorazione. Pertanto abbiamo dovuto trovare un compresso tra la percentuale di mix di fibre e la qualità dei semilavorati. Le prove che abbiamo condotto in laboratorio ci hanno suggerito


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LEGGERI E SOSTENIBILI che la percentuale di miscelazione che garantisce al filato le migliori proprietà sono il 40% di fibra di carbonio e il 60% di poliestere. Il prossimo passo da compiere - conclude Caretto sarà quello di trasferire la nostra innovazione dal laboratorio all’industria». Se i vantaggi nel settore automobilistico sono un traguardo raggiunto, merito del lavoro e di un finanziamento complessivo di circa dieci milioni di euro, (nell’ambito del Programma operativo nazionale ricerca e innovazione 2014 - 2020 Ministero dell’Università e della Ricerca) gli altri partner del progetto stanno studiando nuovi tessuti intelligenti e multifunzionali. Sfruttando fibre naturali, bioderivate e riciclate, si potranno avere stoffe tecniche, utili per essere indossate o per arredare case e uffici. Prendendo il via dall’accostamento di materiali sostenibili e intelligenti si vuole arrivare ad avere prodotti di alta qualità, ma basso impatto ambientale. La nuova filiera industriale

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Elettronica integrata nei rivestimenti delle auto con tessuti da scarti di fibra di carbonio

Il partenariato del progetto prevede la partecipazione di enti di ricerca, piccole, medie e grandi imprese; ciascuna delle fasi ha un proprio “custode” e vanno dai materiali (Irplast, Technova) al design (Dreamlux, Let’s - Webearable Solutions srl e Centro Stile FCA) con le prime due, insieme ad Apollo, protagoniste pure nella produzione di tessuti smart.

per il riutilizzo della fibra di carbonio recuperata (rCF) ha già permesso di ridurre i rifiuti destinati alla discarica e servirà per alleggerire i mezzi di trasporto, limitando costi, consumo di carburante e, conseguentemente, emissioni di CO2. L’innovazione del prodotto ha l’ambizione di presentare agli investitori sia le nuove tipologie di materie prime e semilavorati, sia quanto finora è stato possibile concretizzare nei materiali compositi. Quest’ultimi si avvalgono di nastri e filati ritorti con adeguate proprietà chimico-fisiche, di tessuti secchi, preimpregnati e/o di compound termoplastici (una classe di materiali nei quali la resina di base è costituita da catene polimeriche che interagiscono “dando alla luce” una struttura tridimensionale più o meno aggrovigliata), leggeri, tenaci o flessibili caricati con fibre, utili per un successivo impiego industriale. (G. P.).

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NUOVA STIMA DELLE VARIETÀ ARBOREE ESISTENTI +13% DI QUELLE FINORA NOTE Sulla Terra sono circa 73.000 le specie di alberi, delle quali 9.000 ancora sconosciute “Conoscere la diversità è fondamentale per preservare la stabilità degli ecosistemi”

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ono stati pubblicati di recente i dati della prima stima mai realizzata a livello globale delle specie arboree esistenti sulla Terra: sarebbero circa 73.000, il 13% in più rispetto a quelle note. Ma il risultato che ha maggiormente richiamato l’attenzione dei ricercatori è che, secondo lo studio, sul nostro Pianeta potrebbero esserci ancora da scoprire circa 9.000 specie di alberi delle quali un terzo sarebbero rare, con una diffusione limitata e circoscritta ad aree molto piccole. I risultati dello studio sottolineano la grande ricchezza degli ecosistemi terrestri e al tempo stesso l’estrema vulnerabilità delle foreste ai cambiamenti generati dall’azione dell’uomo (dall’utilizzo del suolo alla crisi climatica) che minacciano in particolare le specie più rare. Il progetto è durato tre anni e ha coinvolto 150 ricercatori di tutto il mondo. Il lavoro, pubblicato sulla rivista dell’Accademia delle Scienze degli Stati Uniti (PNAS), è stato guidato dall’italiano Roberto Cazzolla Gatti professore dell’Università di Bologna. «Conoscere la diversità e la ricchezza in specie degli alberi - spiega Cazzolla Gatti - è fondamentale per preservare la stabilità e la funzionalità degli ecosistemi. Fino ad oggi però, per ampie aree del pianeta avevamo dati limitati, basati su osservazioni sul campo e liste di specie con coperture del territorio tra loro differenti: tutte limitazioni che impedivano di arrivare ad avere una prospettiva globale».

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Ma come sono riusciti i ricercatori a calcolare quante specie di alberi esistono al mondo? «Gli alberi sono uno dei gruppi viventi più conosciuti, sono fermi e ben visibili, eppure non ne conosciamo tutte le specie», ha affermato Cazzolla Gatti. Proprio per tentare di ridurre il più possibile questa mancanza e mettere ordine nella catalogazione delle diverse tassonomie, Cazzolla Gatti, insieme ai colleghi delle università americane Purdue e del Minnesota, ha lanciato un appello a tutti gli esperiti di biodiversità, chiedendo loro di condividere i loro archivi. Circa 150 scienziati da tutto il mondo hanno risposto all’appello. I dati arrivati sono stati accorpati in un unico grande archivio e da questa prima mappatura è emerso un totale di circa 40 milioni di alberi appartenenti a 64.000 specie. Di queste più del 30% rare o rarissime, costituite da pochissimi esemplari, come ad esempio il pino loricato che vive unicamente in un nucleo sul Pollino e del quale si contano poche centinaia di esemplari. In seguito, sono state realizzate complesse analisi statistiche utilizzando tecniche di intelligenza artificiale e supercomputer. Al termine delle indagini, gli studiosi sono arrivati a stimare l’esistenza sul pianeta di circa 73.300 specie di alberi, un numero che è circa il 13% superiore al numero delle specie attualmente conosciute. Sarebbero circa 9.200 le specie “mancanti”, non ancora scoperte principalmente perché si tratta di specie di alberi esistenti in pochi esemplari e presenti in luoghi remoti. La


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preoccupazione degli scienziati è che molte di queste specie potrebbero scomparire ancora prima di essere scoperte. Delle specie ancora sconosciute, il 40% si troverebbe in Sud America, in particolare nei due biomi di “praterie, savane e macchie” e di “foreste tropicali e subtropicali” dell’Amazzonia e delle Ande. Come spiega Cazzolla Gatti, per arrivare a una stima attendibile della biodiversità, incluse le specie ancora da scoprire, è necessario prestare attenzione al numero di specie rare attualmente note: quelle cioè che durante il campionamento sul campo sono state trovate solo una o due o tre volte. Se, infatti, la maggior parte delle specie è comune e abbondante, poche saranno quelle che incontriamo raramente e quindi pochissime quelle sconosciute; se però ci sono molte specie incontrate solo poche volte, probabilmente saranno molte quelle specie così rare che non sono state ancora documentate. I risultati dello studio evidenziano la vulnerabilità della biodiversità forestale globale ai cambiamenti antropogenici nell’uso del suolo e nel clima che minacciano in modo particolare le specie rare e quindi la ricchezza globale degli alberi. «Può bastare un incendio in Borneo o

Roberto Cazzolla Gatti. Il progetto è durato tre anni e ha coinvolto 150 ricercatori di tutto il mondo. Il lavoro, pubblicato sulla rivista dell’Accademia delle Scienze degli Stati Uniti (PNAS), è stato guidato dall’italiano Roberto Cazzolla Gatti professore dell’Università di Bologna.

una nuova piantagione in Amazzonia - puntualizza il Prof. Cazzolla Gatti - per fare scomparire una parte rilevante della biodiversità non ancora nota. Non va mai dimenticato che la diversità degli alberi è fondamentale per la stabilità e i servizi degli ecosistemi forestali». Secondo gli autori, stimare il numero di specie di alberi è essenziale per informare e dare priorità agli sforzi di conservazione delle foreste in tutto il mondo. Conoscere inoltre la ricchezza della diversità delle piante può essere utile per molte ragioni. In primo luogo, per dedurre i meccanismi evolutivi che hanno generato questa diversità, in modo da poter prevedere come questi stessi meccanismi possano agire in futuro. In secondo luogo, può aiutare a valutare quali sistemi possono essere più resistenti al cambiamento globale. In terzo luogo, è essenziale per contribuire a conservare la biodiversità. Infine, con una comprensione dei pool di specie totali, è possibile quantificare gli impatti degli sforzi di conservazione regionali, migliorando anche la capacità di prevedere le estinzioni, gestire gli hotspot di diversità o raccogliere il germoplasma, il materiale genetico che contribuisce in maniera indiretta all’incremento della biodiversità. (S. B.) GdB | Marzo 2022

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AUMENTANO LE FORESTE SOSTENIBILI IN ITALIA Sono saliti nel 2021 gli ettari di boschi e piantagioni sostenibili

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pesso crediamo che le foreste siano immutabili, che esistano lì, salde, da sempre. Non è così, perché vivono e cambiano con un ritmo più lento del nostro. In Italia nel 2021 si è ampliata la loro superficie retta in maniera sostenibile: sono 892.609,63 gli ettari certificati con un aumento di circa 3.600 rispetto al 2020. Dalla lettura del Rapporto Annuale di PEFC Italia (Programme for Endorsement of Forest Certification schemes), l’ente che si occupa di certificare la buona gestione di quel patrimonio arboreo, sappiamo che si sono aggiunte due nuove regioni, Liguria e Calabria, portando così a quattordici il numero complessivo. Il Trentino - Alto Adige si conferma vincitore, perché ha le aree più estese con 556.147,9 ettari, considerando quelle curate dal Bauernbund, Unione Agricoltori di Bolzano e le altre gestite dal Consorzio dei Comuni Trentini e

dalla Magnifica Comunità di Fiemme nella provincia di Trento. Secondo posto per il Friuli Venezia Giulia, con 95.163,78 ettari, di cui la maggior parte diretti da Uncem Fvg, medaglia di bronzo per il Veneto con 74.410,95. Dietro abbiamo Lombardia, Piemonte, Toscana, Lazio, Basilicata, Emilia Romagna, Umbria e Marche. Il balzo in avanti del Lazio è dovuto alla certificazione degli oltre seimila ettari della tenuta presidenziale di Castelporziano, una delle tre residenze istituzionali del Presidente della Repubblica italiana. La maggior parte dell’estensione è occupata dal bosco planiziale igrofilo (bosco di pianura legato ad ambienti umidi), con querce sempreverdi e caducifoglie, oltre a specie più prettamente igrofile, vicino alle zone umide. Considerevole pure la varietà floristica (circa mille specie) e faunistica (oltre tremila).

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Altre esperienze positive arrivano pure dal gruppo “Monti Cimini ed Altri Comprensori Forestali del Lazio”, promossa da Findus, e dal Comune di Rocca di Papa (RM), con il supporto di Carte d’Or (Algida). I due progetti danno risalto all’impegno dell’industria nella tutela del patrimonio forestale. Buone notizia anche dal fronte delle aziende di trasformazione che prediligono il legno proveniente da una filiera controllata: la crescita è dell’8,4% con 134 nuove imprese che hanno visto riconosciuta la propria catena di custodia PEFC, fino a raggiungere 1.278. La maggior parte di esse si trova al Nord (1051). Il Veneto sbaraglia la concorrenza, con 287, seguito dalla Lombardia (211), dal Trentino - Alto Adige (192) e dal Friuli Venezia Giulia (151). Al Centro ce ne sono 175 e si concentrano in Toscana (64) e Lazio (44). Al Sud 55, di cui la maggior parte in Campania (36); in Puglia sono 9, mentre in Sicilia 5. I settori capaci di vantare uno sviluppo maggiore si trovano nella prima parte della filiera: le ditte boschive, la produzione di legna da ardere e altri combustibili (pellet, cippato ecc.), l’edilizia. Quest’ultima ha fatto sviluppare alcune produzioni come quelle di legno lamellare, pannelli, pavimenti, infissi e altro ancora. Ulteriori settori in salita sono gli imballaggi in carta e i componenti per mobili. «Il 2021 è stato un anno importante - spiega Francesco Dellagiacoma, Presidente PEFC Italia - segnando una ripresa di fiducia e di attività importanti per tutto il settore del legno, anche nella prospettiva degli obiettivi importanti e sfidanti che l’Unione Europea si è data per il contenimento della crisi climatica e nonostante i forti aumenti di prezzo e difficoltà di fornitura: sono stati messi a punto

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Ambiente

Il PEFC Italia è un’associazione senza fini di lucro che sostiene il controllo delle foreste sostenibili tramite la certificazione. Dalla propria nascita nel 2001 in questi ventuno anni sono stati creati gli standard specifici per l’Italia sulla base di criteri internazionali. Le sfide per il futuro riguardano la “conquista” di sempre più nuovi alberi, anche al Sud, le certificazioni del carbonio proveniente dal settore agroforestale e zootecnico, quelle del turismo, la promozione nel settore degli arredi per interni, degli imballaggi e in quello del tessile su base cellulosica per sostituire le plastiche con prodotti derivanti dal legno. L’obiettivo è far crescere la coscienza collettiva e imprenditoriale sull’importanza sempre maggiore della risorsa naturale.

i programmi e progetti del PNRR e si è percepito, anche fuori dagli ambienti professionali, che foreste e legno giocheranno un ruolo centrale in questa partita». Inoltre, è stato lanciato il nuovo standard PEFC, il primo rilasciato a livello mondiale, per i servizi ecosistemici. Questi ultimi possono essere descritti come i benefici molteplici offerti dagli ecosistemi. Si va dalla capacità di assorbire CO2, contrastando il cambiamento climatico e il rischio idrogeologico, alla tutela della biodiversità e alla capacità per il territorio di avere funzioni turistico-ricreative. La prima area ad aver valorizzato il proprio “capitale”, aderendo al recente modello, è la Foresta demaniale regionale del Cansiglio, gestita da Veneto Agricoltura, che rientra nel gruppo di certificazione forestale PEFC “ForestaAmica”, guidato da Coldiretti Belluno. «In questi mesi - continua Dellagiacoma - abbiamo compiuto passi importanti per la revisione degli standard di certificazione forestale, con la strategica aggiunta del Verde Urbano e la pubblicazione della prima versione dei Servizi Ecosistemici delle foreste PEFC: nell’elaborazione di questi documenti c’è stata una grande partecipazione da parte di accademici, ricercatori, tecnici e professionisti impegnati in varie istituzioni, che racconta la rilevanza che siamo riusciti a costruire nel settore forestale. Anche per questo continueremo con il nostro lavoro a 360 gradi, che prevede la sensibilizzazione su più fronti grazie a numerosi progetti di divulgazione, tra cui #TheTalkingForest, un ciclo di webinar che ci permette di raccontare al grande pubblico e ai consumatori esempi positivi e reali che hanno saputo coniugare impresa e rispetto dell’ambiente, anche grazie alla scelta di materiali certificati PEFC». (G. P.).

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Ambiente

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l Comando unità forestali, ambientali e agroalimentari (CUFA) dell’Arma dei Carabinieri e il Laboratorio Enea d’inquinamento atmosferico si sono messi insieme per leggere e osservare la Natura. Con il progetto “Visibility” misureranno, difatti, la contaminazione dell’aria e la visibilità dei paesaggi nei parchi naturali italiani. Per la prima volta in Italia sarà adottata la procedura “Improve” (Interagency Monitoring of PROtected Visual Environment) dall’EPA, l’Agenzia statunitense per la protezione dell’ambiente. Come area campione italiana la scelta è caduta sul Parco nazionale del Circeo (Latina), mentre gli strumenti sono stati installati vicino al Lago dei Monaci, nel comune di Sabaudia. «Attualmente - sottolinea il Tenente Colonnello Giancarlo Papitto, Capo ufficio progetti, convenzioni, educazione ambientale del CUFA e project leader del progetto - questo è l’unico sito di monitoraggio della visibilità così intesa in Europa, ma presto il progetto si doterà di una seconda stazione di misura posizionata in montagna». I Carabinieri forestali coordine-

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ranno l’iniziativa, occupandosi, inoltre, dei rapporti con gli enti statunitensi, della raccolta dati meteo, di controllare la telecamera fotografica e dell’invio ad Enea dei filtri campionati. Non meno importante è la sorveglianza del sito, classificato come “obiettivo sensibile” a causa degli effetti sulla salute umana provocati dall’inquinamento atmosferico, che potrebbe essere causato da attività antropiche presenti nell’area, come agricoltura e allevamento. «La visibilità diventa, dunque, un parametro fisico utile alla valutazione della qualità dell’aria in aree naturali con una significativa vocazione turistica, come i parchi nazionali italiani. In questi luoghi, - sottolinea Ettore Petralia, ricercatore del Laboratorio d’inquinamento atmosferico e responsabile per Enea del progetto - la possibilità di godere di un nitido panorama, immersi in un paesaggio naturale, rappresenta un prezioso valore ricreativo, ma anche un vero e proprio servizio ecosistemico, nonché un bene tutelato dalla Costituzione e dalle leggi italiane a protezione delle bellezze paesaggistiche». I ricercatori dovranno svolgere in laboratorio le analisi chimico-fi-


siche sui campioni raccolti e svilupperanno proprio l’indice di visibilità atmosferica. Nelle foto le variazioni della visuale connessa all’orizzonte saranno studiate correlandole ai dati di composizione degli inquinanti atmosferici, come prescrive il metodo “Improve”. «La campagna di misura - continua Petralia - durerà due anni e ci permetterà di testare nei parchi italiani il protocollo americano; in questo modo riusciremo a quantificare la visibilità del paesaggio naturalistico, associando eventuali riduzioni di questo parametro all’inquinamento da particolato atmosferico di origine sia antropica sia naturale». La metodologia yankee si fonda sulla determinazione di un coefficiente che segnala l’estinzione della luce in funzione di molti parametri chimico-fisici collegati a molecole e particelle disperse nell’aria. I campionamenti durano 24 ore per un intero anno solare (con una frequenza di uno ogni tre giorni), rilevando la concentrazione del particolato (PM2.5 e PM10) e del biossido di azoto (NO2). A monitorare il grado di trasparenza sarà, invece, una telecamera panoramica, posta all’esterno della cabina, che punta in direzione di un landmark, il Monte Circeo, luogo di riferimento per la definizione della visuale a lunga distanza. È stata programmata per funzionare autonomamente ogni tre giorni simultaneamente all’accertamento del particolato individuato dagli altri strumenti. Vi

“Life modern (NEC)” si propone la crescita dei siti previsti per l’osservazione costante degli impatti sugli ecosistemi terrestri e acquatici, al fine di stabilire i tetti emissivi nazionali degli inquinanti. Di particolare valore sono le azioni legate al monitoraggio di quelli atmosferici e dei parametri climatici, alla valutazione circa i loro effetti su ecosistemi forestali e acquicoli e alla validazione di nuovi indici per la valutazione della qualità dell’aria.

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Ambiente

sarà uno scatto ogni cinque minuti nel corso del giorno (durante le ore di luce, in relazione all’altezza del sole sull’orizzonte). Lo spegnimento automatico è assicurato dal pirometro della centralina meteo quando rileva il raggiungimento di una soglia minima di radiazione solare e pertanto di luce naturale. Verrà riaccesa all’alba, il mattino successivo, sfruttando nuovamente il segnale inviato dal sensore della radiazione solare. La stazione ha, oltre al resto, una centralina con anemometro (misurazione della velocità e direzione del vento), pirometro (radiazione solare), termoigrometro (temperatura e umidità dell’aria), pluviometro (quantità di pioggia) e barometro (pressione atmosferica). I dati meteorologici sono raccolti costantemente ogni cinque secondi e aggregati in medie orarie e minimi - massimi giornalieri. «La compromissione della visibilità - conclude Petralia è, probabilmente, l’effetto più facilmente riconoscibile dell’inquinamento nell’atmosfera. Attraverso “Visibility” daremo il nostro contributo per tutelare e preservare questa risorsa anche per le generazioni future». Tutte le attività rientrano nel progetto “Life modern (NEC)”, coordinato dal Cufa in collaborazione con Legambiente, a cui partecipano Enea, Cnr, Crea, Università di Firenze, Camerino e TerraData environmetrics srl.

LA QUALITÀ DELL’ARIA NEI PARCHI

La visibilità dei paesaggi verrà studiata da Enea e Carabinieri per capire l’indice di inquinamento di Gianpaolo Palazzo GdB | Marzo 2022

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Innovazione

EMIPLEGIA: L’IA IN AIUTO DEI BAMBINI Le proprietà mediche di un alimento che nutre il corpo e mantiene la pelle liscia Un patrimonio bioculturale nelle comunità di Dali Bai situate nel nord-ovest dello Yunnan, in Cina di Domenico Esposito

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Innovazione

La straordinarietà del progetto vedrà inserita alta tecnologia all’interno di semplici oggetti. Lo ha chiarito Matteo Cianchetti, ricercatore dell’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna: «All’interno del progetto svilupperemo dei dispositivi ad alto contenuto tecnologico che porteranno alla realizzazione di una piattaforma sensorizzata in tutte le sue parti. Sfruttando la nostra esperienza nell’ambito delle tecnologie meccatroniche e dalla robotica soft, trasformeremo dei semplici giocattoli e oggetti di uso comune nei bambini, in sistemi non invasivi per il monitoraggio dei movimenti degli arti superiori».

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alidare, dal punto di vista clinico, nuovi algoritmi legati all’intelligenza artificiale per la diagnosi funzionale e la tele-riabilitazione personalizzata dei bambini affetti da emiplegia, condizione, questa, in cui uno dei due lati del corpo risulta paralizzato a causa di un danno al cervello generato prima della nascita (emiplegia congenita), durante il parto o dopo la nascita. Sono questi gli obiettivi principali di una ricerca che l’Unione Europea ha finanziato con quasi sei milioni di euro (5.999.942 euro per l’esattezza) nell’ambito del programma quadro “Eu Horizon” e che coinvolgerà studiosi italiani dell’Università di Pisa, dell’Irccs Fondazione Stella Marisi di Calambrone, della Scuola Superiore Sant’Anna, dell’Università del Salento e della Fondazione “Fight the Stroke”. Lo studio vedrà anche un’importante partecipazione internazionale: saranno infatti coinvolti gli esperti dell’Universidad De Castiglia - La Mancha, in Spagna, e della Katholieke Univesiteit Leuver, in Belgio, impegnati nella parte clinica dello studio, prevedendo la partecipazione di almeno 200 bambini, oltre che dell’University of Queensland, in Australia. Un comunicato apparso sul portale dell’Università di Pisa spiega che questo importante progetto di ricerca presenta tra i suoi obiettivi quello di «aprire nuove prospettive di valutazione clinica, di cura e di trattamento riabilitativo nei bambini con paralisi cerebale infantile». Lo studio, fra i più importanti in Europa, dovrebbe dunque validare algoritmi di intelligenza artificiale, al fine di «sviluppare strumenti clinici di supporto alle decisioni basati sull’evidenza, per la diagnosi funzionale dei bambini con emiplegia, costruendo sistemi di tele-riabilitazione a domicilio». Questi sistemi, come hanno potuto notare gli studiosi, permetteranno non soltanto di svolgere la valutazione personalizzata del profilo clinico motorio dei bambini, ma anche - si spiega ancora sul portale dell’ateneo toscano - di «impostare il trattamento riabilitativo personalizzato di ‘action obstervation’, un nuovo modello di riabilitazione basato sul funzionamento dei neuroni specchio». La dottoressa Giuseppina Sgandurra, ricercatrice dell’Università di Pisa e Responsabile del Laboratorio Innovate della Fondazione Stella Maris, ha parlato di un progetto «molto ampio e complesso» che rappresenterà «un esempio si-

gnificativo di approccio transdisciplinare grazie ad un consorzio in cui lavoreranno clinici, data scientist, fisici, ingegneri, economisti, esperti di etica, piccole e medie imprese, bambini e associazioni di genitori, tutti insieme in modo sinergico per la co-creazione di approcci diagnostici e riabilitativi, altamente innovativi, clinicamente validati e in grado di essere sostenibili e adeguati alla realtà dei sistemi sanitari europei». Delle possibili ricadute su bambini e famiglie ha parlato invece il professor Giovanni Cioni, direttore scientifico di IRCCS Fondazione Stella Maris: «Si tratta di un progetto di grande rilevanza che apre prospettive nuove di diagnosi e terapia per il più grave e frequente disturbo motorio dei bambini, la paralisi cerebrale. I partner del progetto sono di molti Paesi, ma il nucleo essenziale è frutto della sinergia tra tre istituzioni di Pisa, oltre all’Università, la Scuola Superiore Sant’Anna e l’IRCCS Stella Maris che da sempre segue questi piccoli pazienti. La coordinatrice, Giuseppina Sgandurra, è stata allieva di tutte e tre queste Istituzioni ed ha saputo mettere a frutto quanto ha appreso per competere con successo e prevalere sui moltissimi progetti presentati. Soprattutto potremo sempre più personalizzare il nostro intervento e fornire ad ogni bambino ed alla sua famiglia il tipo di cure con maggior garanzia di poter sviluppare le sue funzioni adattive». Il progetto mira ad essere di immediata applicabilità nei sistemi sanitari, come ha spiegato Giuseppe Turchetti, professore ordinario dell’Istituto di Management della Scuola Superiore Sant’Anna: «Il nostro contributo sarà rivolto, da un lato, a valutare, in una prospettiva di HTA, le implicazioni economiche relative alle tecnologie che verranno sviluppate all’interno del progetto e, dall’altro, a disegnare nuovi modelli organizzativi per la gestione dei pazienti che favoriscano la rapida introduzione nella pratica clinica delle innovazioni in un quadro di sostenibilità del nostro Servizio Sanitario Nazionale e di quelli europei». L’emiplegia può essere considerata una forma più grave di emiparesi. Le patologie che si possono associare a questa patologia sono l’aterosclerosi, il diabete, l’epilessia, la leucodistrofia, la paralisi cerebrale e l’ictus. Gli approcci terapeutici - tra cui fisioterapia, logopedia, stimolazione elettrica neuromuscolare, iniezioni di tossina botulinica e la terapia occupazionale - sono finalizzati a gestire la patologia e a migliorare la qualità della vita di chi ne è colpito. GdB | Marzo 2022

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BIOSENSORI ECOSOSTENIBILI CON PERFORMANCE GREEN Un gruppo di ricerca dell’Istituto di struttura della materia del Cnr, con la metodologia di deposizione elettrospray, ha prodotto un biosensore a base di laccasi

di Pasquale Santilio

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n settore in continua espansione è quello della fabbricazione di biosensori enzimatici, che ha calamitato l’attenzione a livello industriale in virtù della possibilità di sfruttare le proprietà intrinseche dei biorecettori enzimatici che li rendono altamente selettivi e sensibili. L’interesse verso i biosensori a base dell’enzima laccasi è generato dalla loro capacità di rilevare molecole altamente tossiche nell’ambiente divenendo così strumenti fondamentali nell’ambito delle tecnologie di produzione industriale

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con un basso impatto ambientale come la biotecnologia bianca e la chimica verde che utilizzano, rispettivamente, organismi viventi e sostanze chimiche non inquinanti con l’obiettivo di creare processi industriali con meno sottoprodotti dannosi. Un gruppo di ricerca dell’Istituto di struttura della materia del Consiglio nazionale delle ricerche, attraverso l’applicazione della metodologia di deposizione elettrospray (ESD) come tecnica di immobilizzazione enzimatica efficiente, al fine di evitare il distacco dell’enzima dal sensore durante l’u-

tilizzo, è stato in grado di determinare la produzione di un nuovo biosensore a base di laccasi, esente da metalli, con capacità di riutilizzo e conservazione senza precedenti. Lo studio è stato condotto in collaborazione con il Dipartimento di chimica dell’Università della Sapienza di Roma, l’Università degli studi di Foggia e alcuni ricercatori degli Istituti del Cnr, per lo studio dei materiali nanostrutturati, di geologia ambientale e geoingegneria e di metodologie per l’analisi ambientale. Mattea Carmen Castrovilli, giovane ricercatrice del Cnr-Ism e primo autore dello studio pubblicato sulla rivista Sustanable Chemistry and Engineering, dell’American Chemical Society, ha spiegato: «La ionizzazione elettrospray (ESI) è stata utilizzata per la deposizione, a pressione e temperatura ambiente, dell’enzima laccasi su un substrato di carbonio impiegando una chimica sostenibile. Questo lavoro mostra come la tecnica ESD possa essere sfruttata con successo per la fabbricazione di un nuovo promettente biosensore elettrochimico amperometrico a base di laccasi ecocompatibile, con capacità di conservazione e riutilizzo che non ha eguali. Il risultato più rilevante, infatti, riguarda le grandi prestazioni in termini di riutilizzo e stoccaggio. Quest’ultimo può arrivare fino a due mesi senza particolari cure, lasciando il biosensore a pressione e temperatura ambiente ed esposto alla luce solare. Inoltre, la possibilità di riutilizzare un sensore appena realizzato per 63 volte consecutive e un sensore vecchio di un anno sottoposto a rideposizione per 20 volte consecutive, sottolinea il buon ancoraggio dell’enzima grazie alla tecnica di immobilizzazione ESD». L’assenza di sostanze chimiche aggiuntive in fase di immobilizzazione e le peculiari prestazioni che riguardano il riuso, la stabilità nel tempo e il ricondizionamento del sensore, rendono sia il processo che il prodotto finale ecologico ed anche sostenibile.


Innovazione

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n team di ricercatori dell’Istituto officina dei materiali del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Iom) di Trieste ha identificato in un materiale conosciuto come EuSn2P2 le caratteristiche di multifunzionalità tipiche dei materiali quantistici. Lo studio, pubblicato su PNAS, è stato condotto in collaborazione con Princeton University, Rutgers University e Louisiana State University negli Stati Uniti, Diamond Light Source in Uk e Center for Quantum Frontiers a Taiwan. Giancarlo Panaccione del Consiglio nazionale delle ricerche-Iom ha illustrato le risultanze dello studio: «Abbiamo dimostrato che il EuSn2P2 possiede caratteristiche straordinarie: per esempio, le sue proprietà quantistiche sono interconnesse a quelle elettriche, inoltre queste proprietà cambiano via via che cambia la profondità del materiale. A ogni strato di questo materiale è presente un diverso elemento e, a seconda di quale sia l’elemento esposto, le proprietà elettroniche di superficie cambiano assieme alle proprietà magnetiche. La caratteristica fondamentale dei materiali quantistici è proprio questa loro conformazione che viene chiamata “2 in 1” o, addirittura, “3 in 1”, che sottolinea la loro capacità di incorporare caratteristiche diverse». Questi materiali mostrano di possedere sia proprietà elettriche che proprietà magnetiche in grado di influenzarsi reciprocamente. Il ricercatore del Cnr-Iom ha aggiunto: «Lo studio delle interazioni tra proprietà elettrica e magnetica ha portato alla scoperta di nuove entità: le quasi-particelle, che rappresentano nella scienza dei materiali l’analogo delle particelle elementari per la fisica delle alte energie. Si tratta di un campo che ha aperto nuove porte alla ricerca e ha confermato vecchie teorie. Per esempio, lo studio degli isolanti topologici, famiglia di materiali elettricamente isolanti, ma in grado di trasportare

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MATERIALI ALL-IN-ONE PER L’OTTIMIZZAZIONE ENERGETICA Lo studio, pubblicato sulla rivista Pnas, è un passo in avanti nel campo dei materiali quantistici

corrente sulla loro superficie esterna, ha costituito la verifica dell’esistenza dei “fermioni di Majorana”, particelle postulate nel 1937 dal fisico Ettore Majorana». In fisica i fermioni, così chiamati in onore di Enrico Fermi, sono le particelle che seguono la statistica di Fermi-Dirac e di conseguenza, secondo il teorema spin-statistica, hanno spin semintero. Il campo dei materiali quantistici è in costante crescita oltre ad essere di enorme interesse per la gestione ottimizzata dell’energia e per altre applicazioni. Giancarlo Panaccione

ha così concluso: «I risultati della ricerca non sono ancora applicabili direttamente ai dispositivi in uso, tuttavia confermano che lo studio dei materiali quantistici apre la strada verso un vasto numero di applicazioni. Questi risultati costituiscono il passaggio dalla nozione per cui a un materiale corrisponde una funzionalità a quella del “all-in-one”, cioè l’idea di un materiale capace di realizzare funzioni anche molto diverse. Le prime possibili applicazioni riguarderanno l’efficientamento energetico e la miniaturizzazione dei dispositivi elettronici del futuro». (P. S.). GdB | Marzo 2022

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TESSUTI SMART & GREEN DA CARBONIO RICICLATO Messo a punto un processo per produrre un filato elettricamente conduttivo Il progetto di ricerca industriale si chiama Tex-Style e vede la partecipazione dell’Enea

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l progetto di ricerca industriale denominato Tex-Style, che annovera la partecipazione, tra gli altri, di Enea e del Centro Ricerche Fiat in qualità di coordinatore, ha come obiettivo l’utilizzo di elettronica integrata nei rivestimenti interni delle automobili grazie all’impiego di tessuti hi-tech realizzati con scarti di fibra di carbonio. Flavio Caretto, ricercatore del laboratorio Enea di Materiali funzionali e tecnologie per applicazioni sostenibili e responsabile del progetto per l’Agenzia, ha spiegato: «Abbiamo

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messo a punto un innovativo processo che permette di produrre un filato elettricamente conduttivo a base di scarti di fibre di carbonio, in grado di essere integrato in tessuti e circuiti elettronici per sfruttarne le capacità di conduzione elettrica». Grazie al filato hi-tech, realizzato nei laboratori del Centro Ricerche Enea di Brindisi in collaborazione con l’Università di Bergamo, sarà possibile disporre, ad esempio, di un sistema di riscaldamento integrato nei rivestimenti interni di sedili e braccioli oppure cablaggi integrati

con l’elettronica esterna per eseguire alcune funzioni, come l’accensione delle luci all’interno dell’autovettura. Per la produzione di questo tipo di filato, il team di ricercatori ha dovuto riadattare uno dei tradizionali processi di filatura ed adeguarlo alla fibra di carbonio da scarto, proveniente principalmente dai settori industriale ed aeronautico (oltre 50% di un aereo Boeing 878 è in fibra di carbonio). Ha sottolineato Flavio Caretto: «Per le sue straordinarie proprietà di resistenza e leggerezza, la richiesta di questa fibra è cresciuta a ritmi esponenziali in tutto il mondo. Recenti studi mostrano che la domanda globale di materiali compositi a base di fibra di carbonio è triplicata dal 2010 al 2020 e si prevede di superare le 190 mila tonnellate entro il 2050. Ma, un utilizzo di questa portata ha determinato, e continuerà a farlo, una produzione di enormi quantità di rifiuti. Questa situazione ha incoraggiato noi ricercatori e la stessa industria a sviluppare nuove tecnologie per il riciclo delle fibre di carbonio, come dimostra il progetto Tex-Style. Con un duplice vantaggio a livello economico e di impatto ambientale, perché si evita l’incenerimento o lo smaltimento in discarica di questo prezioso materiale». I ricercatori di Enea, oltre all’innovativo processo di filatura, hanno testato filati con diverse percentuali di miscelazione di fibre di carbonio e poliestere per ottimizzare la conducibilità elettrica e la lavorabilità. «Un’elevata presenza di fibra di carbonio nel filato garantisce proprietà elettriche superiori ma ne rende più difficile la lavorazione. Pertanto, abbiamo dovuto trovare un compromesso tra la percentuale di mix di fibre e la qualità dei semilavorati. Le prove che abbiamo condotto in laboratorio ci hanno suggerito che la percentuale di miscelazione che garantisce al filato le migliori proprietà sono il 40% di fibra di carbonio e il 60% di poliestere», ha concluso Caretto. (P. S.).


Innovazione

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pera di un gruppo di lavoro di diversi Istituti del Consiglio nazionale delle ricerche, la terza edizione della “Relazione sulla ricerca e l’innovazione in ItaliaAnalisi e dati di politica della scienza e della tecnologia”, ha visto la luce dopo due anni di pandemia ed emergenza sanitaria. Le istituzioni di ricerca del nostro Paese sono state impegnate sia nel trovare soluzioni adeguate al problema che nel comunicare le attività e le ricerche disponibili. In questa edizione è stata avviata anche una riflessione sul ruolo attribuito alla ricerca ed allo sviluppo sulla base delle misure straordinarie di sostegno alle economie degli Stati membri, promosse in Europa dai governi e dalla Commissione Europea in risposta alla crisi pandemica. Complessivamente, le risorse destinate alla ricerca ed allo sviluppo previste nel PNRR ammontano a circa 17 miliardi di euro, cioè quasi il 7,5 % complessivo delle risorse totali. La maggior parte riguardano ricerca applicata e sviluppo sperimentale (circa 10 miliardi), ricerca di base (4 miliardi), azioni trasversali e di supporto (1,88 miliardi) e trasferimento tecnologico (380 milioni). Per quanto concerne i Programmi Quadro europei, il nostro Paese contribuisce al bilancio per la ricerca comunitaria con il 12,5%, ma i finanziamenti che ritornano sono pari a solo l’8,7%. Questo dipende anche dal fatto che i ricercatori in Italia sono meno che nei nostri partner (6 su mille unità di forza lavoro, contro oltre 10 in Francia e Germania). Maria Chiara Carrozza, Presidente del Cnr, ha precisato: «Il PNRR costituisca un’unica e probabilmente irripetibile occasione: per instaurare il circolo virtuoso tra ricerca e innovazione e sviluppo economico e sociale del Paese; per avviare numerosi progetti di sviluppo scientifico e tecnologico e nuove collaborazioni tra mondo accademico, amministrazio-

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RICERCA E SVILUPPO MOTORI DELLA RIPRESA Presentata la terza edizione della “Relazione sulla ricerca e l’innovazione in Italia” realizzata da un gruppo di lavoro di diversi Istituti del Consiglio nazionale delle ricerche

ne pubblica, enti locali e industria; per una collaborazione tra settore pubblico e privato diretta verso la soluzione delle grandi sfide della società. Tali condizioni devono essere mantenute assicurando adeguate risorse ordinarie anche quando le risorse straordinarie del PNRR avranno esaurito il proprio compito». Il PNRR inserisce la politica della ricerca all’interno di una più vasta trasformazione del sistema economico italiano. A tal proposito, i coordinatori della “Relazione”, Daniele Archibugi, Emanuela Reale e Fabrizio Tuzi, hanno dichiarato: «La ricerca

pubblica intende ricoprire il ruolo di moltiplicatore in grado di attivare investimenti in ricerca privata e innovazione, finalizzati alla creazione di ecosistemi dove le idee si possano trasformare in nuovi prodotti, processi e servizi, al fine di creare posti di lavoro ad elevato valore aggiunto, agganciando i settori produttivi più dinamici nei mercati internazionali. Gli attori pubblici della ricerca devono quindi assumere un ruolo centrale nel disegno definito nel PNRR in quanto operando sulla frontiera della scienza sono in grado di aprire nuove traiettorie tecnologiche». (P. S.). GdB | Marzo 2022

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LA TECNOLOGIA HUGO NELLE OPERAZIONI GINECOLOGICHE Al Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS di Roma è stato effettuato un intervento di chirurgia ginecologica robot-assistita

di Michelangelo Ottaviano

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11 Marzo presso il Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS di Roma è stato effettuato un intervento di chirurgia ginecologica grazie al sistema Hugo RAS (chirurgia robot-assistita), una tecnologia sviluppata da Metdronic, l’azienda leader di HealthCare Technology. L’operazione è stata condotta dal professor Giovanni Scambia, Direttore del Dipartimento Universitario Scienze della Vita e di Sanità Pubblica dell’Università Cattolica e Direttore Scientifico della struttura

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ospedaliera della capitale. L’intervento di Scambia, durato appena un’ora, è il primo realizzato in Europa attraverso la tecnologia Hugo, ed è consistito in un’istero-annessiectomia profilattica su una paziente di 62 anni con mutazione del gene BRCA (il “gene di Angelina Jolie”), la quale espone il soggetto ad un rischio aumentato di neoplasie ginecologiche. Tra le novità sensazionali del sistema sviluppato da Metdronic ci sono due aspetti particolarmente in risalto: il primo riguarda la competitività dei costi di questa tecnologia rispetto ai sistemi robotici

della generazione precedente. Il sistema di chirurgia robot-assistita Hugo è stato realizzato per rendere disponibili i benefici della chirurgia robotica a più pazienti in tutto il mondo, sia in ambito ginecologico che in ambito urologico (che sono circa la metà degli interventi con tecnologia robotica eseguiti oggi). Ciò è possibile grazie a una sua particolare flessibilità essendo un sistema a “moduli”, che ben si adatta a tutte le tipologie di intervento e di sala operatoria. Il secondo aspetto importante è quello di avere una curva di apprendimento formativo rapida. Medtronic si occupa infatti anche della formazione, che consiste in un corso teorico-pratico in ambienti specializzati, come la Orsi Academy di Gent (Belgio). Dopo il corso teorico-pratico, chirurghi esperti nell’uso del sistema di chirurgia robot-assistita Hugo (proctors) affiancano come supervisori in sala operatoria i chirurghi “tirocinanti” nell’esecuzione dei primi interventi. Sono due elementi fondamentali per lo sviluppo futuro di questa branca della chirurgia, che nonostante sia nata vent’anni fa è ancora poco utilizzata (appena il 3% di tutti gli interventi chirurgici effettuati ogni anno nel mondo). Quello raggiunto dalla Fondazione Policlinico Gemelli è quindi un traguardo importantissimo, che si affianca a quello ottenuto dal professor Rizzo nello scorso autunno con l’installazione della retina artificiale NR600. Tutto questo certifica lo spessore internazionale della struttura romana, inscritta ormai da tempo a quel gruppo di istituti pionieristici che stanno compiendo passi da gigante nel settore della ricerca medica. Da tempo il Policlinico continua ad investire in soluzioni tecnologiche innovative grazie alle quali gli specialisti possono migliorare i processi di cura ed effettuare interventi sempre meno invasivi. Il legame tra evoluzione tecnologica ed eccellenza clinica è sempre più forte, è il faro che guiderà la medicina verso il futuro.


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urante l’Expo del 2015 la Sociètè de l’eau aèrienne suisse (Seas) presentò un dispositivo in grado di condensare l’umidità e trasformarla in acqua. A quel tempo la società svizzera stava sperimentando i suoi nuovi strumenti in un albergo, nella sede di una società petrolifera in Messico, e in una fabbrica di formaggio in Perù. In questo mese di marzo, l’accordo raggiunto tra la Troos seas engineering (società consociata alla Seas) e il Consiglio economico di Tawazun (società dell’industria della difesa e della sicurezza operante negli Emirati Arabi Uniti) dà il via all’installazione e lo sviluppo sul territorio di Abu Dhabi a tremila di questi dispositivi. Ma come funzionano esattamente? Il sistema sviluppato dalla società svizzera cattura l’umidità dell’ambiente e la condensa fino ad ottenere dell’acqua che viene filtrata, sottoposta a trattamenti antibatterici e infine mineralizzata. L’acqua che si ottiene è di alta qualità, e tutto il sistema permette di declinare il prodotto finale a seconda delle applicazioni. Inoltre, questo sistema favorisce la produzione di energia termica riutilizzabile per la climatizzazione e per il riscaldamento dell’acqua sanitaria, e a differenza delle tecnologie ad osmosi inversa (come la desalinizzazione o la depurazione) ha un impatto ambientale molto basso. Un servizio che sembra rispecchiare pienamente la frase che si legge sulla homepage della Seas: “we create water, you save energy”. I tremila dispositivi installati, ognuno dalla potenzialità produttiva quotidiana di 30 litri, saranno in grado di produrre circa 100mila litri di acqua in un solo giorno, gli stessi litri che secondo l’Istat sono persi in Italia in un solo secondo a causa dello stato delle condutture. Per dare una dimensione del problema della dispersione idrica, secondo UN-Water 2,3 miliardi di persone vivono in paesi con stress idrico, e 733 milio-

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TRASFORMARE L’UMIDITÀ IN ACQUA La Seas (Sociètè de l’eau aèrienne suisse ) installa ad Abu Dhabi tremila dispositivi in grado di attuare questo processo

ni in paesi con un tasso di stress a livello altissimo, critico. Metà della popolazione mondiale vive in zone potenzialmente a rischio di approvvigionamento idrico, e già tra meno di dieci anni 700 milioni di esseri umani potrebbero dover migrare a causa della scarsità d’acqua nei loro luoghi d’origine. Per vedere qual è lo stato dei corsi d’acqua nel mondo, la Fao ha realizzato una mappa interattiva chiamata Aquastat. Uno studio pubblicato nell’ottobre scorso mostra come nel 2050 ben 87 paesi su 180 avranno risorse idriche rinnovabili annuali pro

capite non sufficienti, e 25 nazioni in più rispetto al 2015 si troveranno in una grave situazione pro capite in termini di approvvigionamento idrico. La conservazione delle risorse, l’ottimizzazione del loro utilizzo e quindi la gestione responsabile dei consumi, sono presupposti sui quali ogni nuova tecnologia si basa per poter essere applicata in maniera efficacia. Al contrario di quello che si pensa, un piccolo gesto nel quotidiano può risultare fondamentale: senza sforzi da parte della collettività nessuna tecnologia cambierà il futuro e nessuna rotta sarà mai reversibile. (M. O.). GdB | Marzo 2022

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Beni culturali

IL GIARDINO DELLA KOLYMBETHRA AMATO DA LUIGI PIRANDELLO Il parco è tornato agli antichi splendori grazie all’opera del FAI Un angolo di paradiso a due passi da Agrigento tra piante, profumi e strette gallerie

di Rino Dazzo

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ell’Ottocento era una delle mete irrinunciabili del Grand Tour, il viaggio che giovani poeti e scrittori dell’aristocrazia europea si concedevano per conoscere le bellezze d’Italia. Oggi il giardino della Kolymbethra è uno dei paesaggi più significativi e caratteristici che si possono ammirare percorrendo la Strada degli Scrittori, la statale 640 che, incuneandosi nella Valle dei Templi, unisce Caltanissetta a Porto Empedocle, passando per i luoghi descritti da autori come Luigi Pirandello, Leonardo Sciascia, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, fino ad Andrea Camilleri e a tanti altri. Lo stesso Pirandello era nato a Girgenti, a due passi dal giardino, e così ha tratteggiato ne “I vecchi e i giovani” questo posto a lui tanto caro: «L’antica famosa Colimbètra akragantina era veramente molto più giù, nel punto più basso del pianoro, dove tre vallette si uniscono e le rocce si dividono e la linea dell’aspro ciglione, su cui sor-

gono i Templi, è interrotta da una larga apertura. In quel luogo, ora detto dell’Abbadia bassa, gli Akragantini, cento anni dopo la fondazione della loro città, avevano formato la pescheria, gran bacino d’acqua che si estendeva fino all’Hypsas e la cui diga concorreva col fiume alla fortificazione della città».

Di queste antiche e ardite opere architettoniche, necessarie ad approvigionare d’acqua la città di Akragas, rimangono appunto la Kolymbehtra, enorme vasca che Diodoro Siculo assicurava essere «del perimetro di sette stadui», e gli Acquedotti Feaci, quel che resta della fitta rete di gallerie attraverso cui l’acqua raggiungeva la sua meta finale. Quello specchio d’acqua in cui proliferavano pesci, cigni e altri volatili si è tra-

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Beni culturali


Beni culturali

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multisensoriale visto che il cammino è accompagnato, nelle varie tappe, dagli inconfondibili profumi delle zagare, delle mandorle, degli ulivi, per non parlare del sentore d’agrumi inframezzato dal lieve rumore di sottofondo dell’acqua che scorre incessantemente. Ma questo è davvero un luogo magico, come racconta il neo presidente del FAI Marco Magnifico: «Nel 500 avanti Cristo schiere di prigionieri africani hanno scavato questi buchi, queste gallerie che, drenando poche gocce di questa cavità arida e secca, creano dei vasti rivoli. Era chiamato il giardino degli Dei, il serbatoio d’acqua di una delle città più potenti della Sicilia, una delle aree classiche più grandi del Mediterraneo. Oggi il giardino è dedicato a Francesco, figlio dell’architetto Piero Castellini, e a Stefano, fratello di Giuseppe Lo Pilato: due persone che hanno contribuito a salvare la Kolymbethra dalla rovina. Ma un pensiero va anche a Graziella Fiorentini, soprintendente di Agrigento negli anni ‘80 che vincolò tutta l’area e per questo finì anche agli arresti domiciliari. Oggi proprio nel territorio del giardino sono state ritrovate tracce di quello che potrebbe essere il grande teatro di Agrigento, cercato per secoli e mai trovato prima». E in effetti il giardino della Kolymbethra rappresenta l’autentico completamento del vicino parco archeologico, con i suoi templi meravigliosi. E i nuovi percorsi di visita degli ipogei, in cui ci si può addentrare muniti di caschetti di sicurezza con lampada frontale, consentono di tuffarsi letteralmente nelle atmosfere di un tempo, quando il tiranno Terone, sfruttando il lavoro degli schiavi, trasformò questo spicchio di campagna in un angolo di paradiso. © tilialucida/shutterstock.com

sformato col tempo in un’oasi incantata, dove le piante mediterranee hanno avuto ragione dell’arido territorio circostante. Un vero e proprio luogo di delizia, un angolo ombroso di paradiso in cui olivi secolari convivono con alberi di agrumi, mandorli, palme e capperi, frutto della storia particolare di questo posto che sembra sospeso in una dimensione senza tempo, proprio come in un racconto di un grande scrittore. Già nel V secolo prima di Cristo, come narra Diodoro Siculo, il giardino ai margini della grande vasca era luogo di villeggiatura per i tiranni cittadini e per gli stessi abitanti. Un secolo dopo la vasca fu interrata e trasformata in orto, diventando così una ricca area coltivabile. Nei secoli successivi, intorno al 1100, il giardino venne trasformato in canneto e poi, passato alla Chiesa, diventò un horti abatiae. L’avvento degli agrumi è storia relativamente recente, del XVIII-XIX secolo, così come la caduta in rovina del giardino, che negli ultimi anni del Novecento, a causa della scomparsa dei vecchi contadini, era finito in uno stato di abbandono. L’avvento del Fondo Ambiente Italiano, a cui nel 1999 la Regione Sicilia ha affidato il giardino in concessione gratuita per 25 anni, ha riportato la Kolymbethra agli antichi splendori, tanto che nel 2007 e nel 2009 il parco amato da Pirandello è entrato nella top ten dei parchi più belli d’Italia. Oggi il terreno della Kolymbethra comprende cinque zone: l’agrumeto, il mandorleto-oliveto, la zona della macchia mediterranea, quella con vegetazione ripariale e quella con vegetazione rupestre. Tutte si possono ammirare percorrendo il suggestivo percorso botanico, una sorta di viaggio


Beni culturali

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na serie di progetti pilota per il rilancio di 250 borghi italiani, ai quali il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) destinerà centinaia di milioni di euro per favorire la crescita sostenibile delle piccole realtà culturali del Belpaese. Questo il piano illustrato dal Ministro della Cultura, Dario Franceschini, insieme al Presidente dell’ANCI, Antonio Decaro, al Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, Massimiliano Fedriga, alla Coordinatrice della Commissione Cultura alla Conferenza delle Regioni, Ilaria Cavo, e al Professor Giuseppe Roma, componente del Comitato Nazionale Borghi del MiC. «Diversi borghi straordinari torneranno a vivere – spiega Franceschini -. Le regioni hanno individuato progetti ambiziosi che daranno nuove vocazioni a luoghi meravigliosi. L’obiettivo del piano Borghi è quello di creare una crescita sostenibile e di qualità e di distribuirla su tutto il territorio nazionale». Le linee sulle quali si assegneranno i finanziamenti sono due. La prima, alla quale sono stati destinati 420 milioni di euro, punta al rilancio economico e sociale di borghi disabitati o abbandonati. Ogni Regione o Provincia Autonoma ha esaminato le candidature arrivate dal proprio territorio e ha individuato il progetto pilota con relativo borgo - a cui indirizzare l’investimento di 20 milioni di euro, per un totale di 21 interventi su tutta l’Italia. Il finanziamento servirà alla realizzazione di infrastrutture e servizi nel campo della cultura, del turismo, del sociale o della ricerca utili a ripopolare l’area interessata. *

Consigliere tesoriere dell’Onb

Rocca Calascio (L’Aquila).

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PIANO NAZIONALE BORGHI: LA CULTURA DELLE REALTÀ LOCALI Presentati i progetti per il rilancio di 250 borghi italiani previsto dal PNRR Due linee di azione con un investimento totale di centinaia di milioni di euro

di Pietro Sapia* La seconda linea, invece, vuole la realizzazione di progetti di rilancio del patrimonio culturale di almeno 229 borghi storici che possano favorire la rinascita sociale ed economica dell’area, rilanciando altresì l’occupazione locale e contrastando lo spopolamento. Qui sono state circa 1.800 le candidature presentate dai Comuni, in forma singola o aggregata. I Comitati tecnici istituiti dal Ministero della Cultura valuteranno la coerenza delle proposte progettuali con i processi e le tempistiche del PNRR. Le procedure si concluderanno entro maggio prossi-

mo, quando i finanziamenti saranno assegnati ai vincitori di ogni singola proposta. «Credo molto in questo piano – ha continuato Franceschini - perché chi ha responsabilità amministrative, politiche e di governo deve capire la direzione da prendere e iniziare processi di cambiamento. Le potenzialità della rete e della banda larga renderanno questi borghi luoghi di possibile lavoro. È una grande sfida e credo che sia solo l’inizio: se questo meccanismo funzionerà e questi luoghi rifioriranno e si ripopoleranno, credo che non ci si fermerà più». GdB | Marzo 2022

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Sport

DOMINIO SLOVENO E SPERANZE ITALIANE: IL CICLISMO VERSO LE GRANDI CLASSICHE La stagione è iniziata nel segno di Pogacar, Roglic e Mohoric,mentre in Catalogna si sono vissuti momenti di grande paura per l’azzurro Colbrelli, colto da arresto cardiorespiratorio. Dai “vecchi capitani” alle giovani promesse, ecco chi tenere d’occhio nel 2022

di Antonino Palumbo

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iniziata con la grande paura per Sonny Colbrelli, con tre sloveni pigliatutto invece di due, con qualche “vecchio leone” che ruggisce ancora e con altri che studiano il modo miglior per lasciare il segno nell’ultima stagione da professionisti. L’avvio di stagione del grande ciclismo non è stato certo avaro di emozioni, alcune decisamente inattese e non richieste. Parliamo, naturalmente, del malore che ha colto l’italiano Sonny Colbrelli, vincitore della Parigi-Roubaix 2021, subito dopo l’arrivo della seconda tappa del Giro di Catalogna. Secondo il comunicato dell’organizzazione, subito dopo il traguardo il 31enne della Bahrain Victorious ha perso conoscenza e avuto convulsioni che hanno portato a un arresto cardiorespiratorio. Il massaggio cardiaco effettuato dai paramedici e il defibrillatore hanno scongiurato il peggio: Colbrelli si è stabilizzato ed è stato portato in ambulanza in ospedale. Gli ulteriori esami chiariranno meglio le cause dell’accaduto e le implicazioni sulla carriera dell’atleta bresciano.

Colbrelli è uno dei nomi di punta del ciclismo azzurro, uno di quelli su cui riporre grandi speranze per il 2022. Con lui c’è Filippo Ganna, già a segno qua e là a cronometro in questo principio di stagione, ma chiamato a scoprire fino in fondo il suo potenziale anche nelle gare in linea. Ci manca qualcosa nelle corse a tappe, o meglio qualcuno che possa rinverdire i fasti di Vincenzo Nibali, l’ultimo a far sognare gli italiani che si trattasse di Giro d’Italia, Tour de France o Vuelta a Espana. Intanto lo Squalo, alias Nibali, ha iniziato con qualche ostacolo quella che potrebbe essere (o forse no?) l’ultima stagione da professionista, debuttando alla Vuelta a la Comunitat Valenciana ma tornando poi in sella solo dopo sei GdB | Marzo 2022

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Sport


settimane, alla Milano-Torino. Compromessi gli obiettivi d’inizio primavera, lo Squalo guarda ora al Giro d’Italia: nel mirino c’è un successo nella sua Sicilia. Chi ha rischiato di smettere, a causa dell’addio della Qhubeka, è Domenico Pozzovivo, 40 anni il prossimo 30 novembre, che ha firmato un contratto con l’Intermarché-Wanty-Gobert Matériaux nel giorno di San Valentino, dando così il “La” alla sua diciottesima stagione da professionista. Che si sia allenamento intensamente per tutto l’inverno, confidando che lo stop fosse temporaneo, il “Pozzo” lo ha dimostrato in sella. Per lui un ottavo posto di tappa alla Vuelta a Andalucia e le Top 10 sfiorate al Trofeo Laigueglia e alla Tirreno-Adriatico. Non si è ancora visto, invece, il più navigato di tutti, quel Davide Rebellin che a 50 primavere ha strappato un anno di contratto con la Work Service–Vitalcare–Dynatek, per quella che sarà la stagione numero 30 fra i pro’. Il futuro, però, appartiene ai giovani. Fra i nomi più interessanti ci sono quelli di Andrea Bagioli, Lorenzo Rota e Alessandro Covi, ma anche quello di Filippo Baroncini, campione del mondo Under 23. Alle loro spalle, scalpitano new entries come Antonio Tiberi, Giovanni Aleotti, Andrea Piccolo e il neopro’ Alessandro Verre. Aspettando un loro boom, l’Italia si affida agli sprint di Viviani e Nizzolo e a qualche exploit di Trentin, Ulissi e De Marchi, corridori più completi in grado di raccogliere a loro volta successi prestigiosi in carriera. Intanto il ciclismo parla sempre più sloveno, con Tadej Pogacar e Primoz Roglic che hanno già avuto modo di far man bassa di successi, affiancati dal connazionale Matej Mohoric, padrone della classicissima Milano-Sanremo grazie a una folle fuga in discesa. Un’impresa annunciata, se è vero che Mohoric si è raccomandato il connazionale Pogacar di non seguirlo quando avrebbe attaccato. E così il numero uno del ranking mondiale si è dovuto accontentare della quinta posizione, dopo aver dominato le altre corse cui aveva preso parte nel 2022: l’UAE Tour (con vittorie di tappa a Jebel Jais e Jebel Hafeet), la Strade Bianche e la Tirreno-Adriatico (trionfando a Bellante e Carpegna). Dal canto suo, Primoz Roglic ha replicato imponendosi nella settima tappa e nella classifica generale della Parigi-Nizza. Fra le fotografie belle di quest’inizio di calendario c’è il sorriso di Mark Cavendish, clas56 GdB | Marzo 2022

Chi ha rischiato di smettere, a causa dell’addio della Qhubeka, è Domenico Pozzovivo, 40 anni il prossimo 30 novembre, che ha firmato un contratto con l’Intermarché-Wanty-Gobert Matériaux nel giorno di San Valentino.

Sonny Colbrelli.

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Sport

se 1985, che nell’edizione numero 103 della Milano-Torino ha festeggiato il 159simo successo da professionista. Ma c’è anche lo scatto - stavolta da fermo, sui rulli - di un Egan Bernal sorridente a sette settimane dal tremendo schianto del 24 gennaio, a 65 all’ora contro un bus fermo, con seri rischi per la sua mobilità e per la sua stessa vita. Servirà tempo per tornare a gareggiare, ma è stato già tanto rivederlo così. Tornando alla strada, aprile sarà un mese di grandi classiche, dal Giro delle Fiandre (3 aprile) alla Liegi-Bastogne-Liegi (24 aprile), passando per la Parigi-Roubaix del 17. Dal 6 al 29 maggio torna il Giro d’Italia, mentre il Tour de France andrà in scena dal primo al 24 luglio e la Vuelta a Espana dal 19 agosto all’11 settembre. Se ci è sembrato di aver già visto tanto sinora, il meglio in realtà deve ancora venire. E da come sono partiti i big, ci sarà divertirsi, sperando che fra tante gioie ce ne sia qualcuna tricolore.

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confitti che si sfilano la medaglia dal collo, autorità che disertano la premiazione degli ospiti vincitori, successi figli sempre di meriti propri e sconfitte per le quali c’è sempre qualcuno da incolpare e mai da applaudire. Non nel rugby, per fortuna. Anche nella palla ovale si gioca per vincere ma l’insuccesso non è un dramma e gli involontari responsabili non vanno incontro alla gogna dei social. A dare il buon esempio sono gli stessi protagonisti dell’evento sportivo e l’ennesima dimostrazione è arrivata dopo la partita del “6 Nazioni” fra Galles e Italia, che ha visto gli azzurri tornare al successo nel prestigioso torneo dopo ben sette anni. La partita si era appena conclusa in maniera epica, almeno per l’Italia, con un’azione travolgente di Ange Capuozzo fra le maglie della difesa del Galles, conclusa dal servizio per Padovani, dalla meta decisiva di quest’ultimo e dalla trasformazione di Garbisi per il clamoroso 21-22. Alla sua prima partita da titolare, dopo il debutto in campo con la Scozia condito da due mete, Capuozzo ha regalato all’Italia il primo storico successo in terra gallese. Perdere all’ultimo secondo non è mai bello, soprattutto se di fronte hai un’avversaria che le buscava da 36 partite consecutive. I Red Dragons, però, non hanno fatto una piega. Capuozzo, avvolto da una bandiera italiana e portato sulle spalle da un compagno, ha visto avvicinarsi Josh Adams, premiato poco prima come miglior giocatore della partita. Il numero 11 gallese ha consegnato la medaglia appena ricevuta fra le mani dell’incredulo giocatore azzurro, accompagnando l’informale “cerimonia” da una carezza sul volto. Sorpreso e onorato da questo gesto di rara sportività, Capuozzo ha risposto come meglio non avrebbe potuto: ha ringraziato l’avversario, restituendogli il premio. Poi i due si sono abbracciati lasciando negli occhi e nella memoria di chi ha assistito alla scena una sincera, memorabile ed esemplare lezione di sport.

Age Capuozzo e Josh Adams.

LA LEZIONE DEL RUGBY “AZZURRO” A CARDIFF L’Italia torna a vincere dopo 7 anni nel Sei Nazioni e a fine partita il gallese Adams offre il suo premio di miglior giocatore all’azzurro Capuozzo

L’Italrugby era arrivata al match del Principality Stadium di Cardiff, esaurito in ogni ordine di posti, con la poco invidiabile striscia negativa aperta di 36 sconfitte consecutive: l’ultimo “evviva” degli azzurri era datato 2015, 22-19 sul campo della Scozia con meta tecnica nel finale. La Scozia è stata peraltro la nazionale contro la quale l’Italia ha celebrato il suo debutto assoluto nel “Sei Nazioni” nel 2000, cogliendo un’eclatante vittoria per 34-20 contro i campioni in carica. Sembra passata una vita, anche perché gli ultimi anni sono stati davvero avari di soddisfazioni – in termini di risultati – per gli amanti della palla ovale. Almeno fino al match col Galles.

L’Italia è scesa in campo determinata, gestendo bene la pressione avversaria. E ha provato ad allungare nel primo quarto di gara con due calci piazzati, rispettivamente di Garbisi e Padovani, volando sullo 0-6. Alla prima occasione, però, il Galles ha sfruttato lo spiraglio vincente, trovando la meta e la successiva trasformazione del 7-6. Ma dopo aver retto agli incessanti assalti gallesi, l’Italia ha trovato l’impresa grazie alla fuga di Capuozzo, alla meta di Padovani e alla trasformazione di Garbisi. Poi il meraviglioso siparietto fra Adams e Capuozzo, un inno allo sport e alla bellezza del rugby. (A. P.) GdB | Marzo 2022

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Sport

LO SCI E I SUOI CAMPIONI QUANTO CONTANO GAMBE E TESTA La rivalità trasformata in successi da Goggia e Brignone, la reazione di Shiffrin, il ritorno ai vertici di Kilde dopo l’infortunio: ne parliamo con Giulia Momoli e Daniela Marrocco

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a rivalità che diventa sprone, la capacità di reagire agli insuccessi, l’importanza della “testa” nel recupero dai gravi infortuni. Tre concetti che accomunano i grandi campioni e che nella recente finale della Coppa del Mondo di sci hanno messo in evidenza le doti delle azzurre Sofia Goggia e Federica Brignone, della statunitense Mikaela Shiffrin e del norvegese Aleksander Aamodt Kilde. Ne abbiamo parlato con Giulia Momoli, mental coach specializzata in ambito sportivo oltre che ex stella del beach volley, e Daniela Marrocco, coach specializzata in ambito sportivo e non solo. Sofia Goggia e Federica Brignone sono compagne di squadra e rivali. Una condizione che entrambe hanno imparato a vivere al meglio e trasformare in successi. Sofia si è aggiudicata la Coppa del Mondo di discesa libera grazie a cinque successi parziali, ha vinto un Super G e un argento olimpico in discesa a Pechino, malgrado l’infortunio che ha rischiato di estrometterla dai Giochi invernali 2022. Federica ha firmato tre vittorie parziali e la coppa di specialità in Super G, un successo in slalom gigante nell’ultima gara stagionale, a Courchevel, e due medaglie alle Olimpiadi: argento in gigante, bronzo in combinata. Qual è il “clic” che deve scattare e come lavora un tecnico o uno specialista in questi casi? Secondo Giulia Momoli, la competizione è sin dall’infanzia un processo che porta alla crescita dell’individuo e del team. L’atleta con cui quotidianamente ci si confronta «diventa un alleato, colui che soddisfa l’esigenza di misurarsi con gli altri e che spinge a dare di più. Il confronto è ricchezza – spiega la mental coa-

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ch - e permette di misurare le abilità acquisite. Il tecnico ha il ruolo di far comprendere alle atlete che ognuno ha un proprio percorso da seguire costellato di obiettivi e sfide personali. Che il confronto è stimolante, ma va adeguatamente contenuto altrimenti il rischio è quello di spostare l’attenzione troppo sull’esterno (gli altri) anziché averla all’interno (sé stessi). Il mental coach, a supporto del lavoro del tecnico – aggiunge Momoli - accompagnerà l’atleta verso i suoi obiettivi lavorando su quello che è in suo controllo e che dipende da lui». Per Daniela Marrocco «un atleta può motivarsi per agonismo e sfida o per gratificazione finale. Nel caso di queste due atlete l’agonismo è stata una leva motivazionale importante al di là della gratificazione dell’obiettivo. Dice molto sul loro mindset». A proposito di Olimpiadi, quelle della stella statunitense Mikaela Shiffrin sono state disastrose in ogni singola disciplina. La 27enne di Vail, però, non ha fatto una piega e al ritorno in Coppa del Mondo è tornata a sciare come sa, aggiudicandosi il trofeo generale. «Il punto è evitare di identificarsi con i risultati – spiega Daniela Marrocco -. Un conto è aver fallito un obiettivo, diverso è sentirsi falliti. Ecco, il mindset di un atleta usa la delusione sapendo che lui è altro dal risultato. Certo il sistema parla di essere vincente o perdente. Ma un vero atleta conosce la differenza tra essere e ottenere una vittoria. Penso che questa sia la giusta chiave per rielaborare una delusione e tornare a vincere». E come sottolinea Giulia Momoli fra le qualità che caratterizzano un campione c’è la capacità di rialzarsi dalle grosse delusioni e la velocità con cui ci riesce. «Mikaela ha disputa-


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to un’olimpiade ‘nera’, ma nonostante questo in Coppa Del Mondo è tornata a sciare ad altissimo livello. Sicuramente ha una testa allenata a focalizzarsi su “ciò che viene dopo”. Questo atteggiamento lo osserviamo sia nella vittoria che nella sconfitta». Dopo Pechino, Mikaela «si è ‘semplicemente’ ricordata dell’atleta che è, delle sue abilità, dei talenti, delle qualità che possiede e che la rendono una vincente» aggiunge Momoli. Sono tre i focus per uscire dal circolo vizioso che causa un netto calo del rendimento: elaborare (e rispettare) il fallimento, focalizzarsi su un nuovo stimolante obiettivo, ricordare i propri punti di forza. Fra i big della Coppa del Mondo, vinta due anni fa, c’è Aleksander Aamodt Kilde passato in 14 mesi dalla rottura del crociato del ginocchio destro (alla vigilia dei Mondiali) al doppio trionfo nelle classifiche generali di Super G e discesa libera, davanti rispettivamente a Marco Odermatt (vincitore assoluto della Coppa)

Nella foto in basso, Giulia Mamoli. Nella foto in alto, Daniela Marrocco.

e Beat Feuz. «Per l’atleta l’infortunio non è un imprevisto, ma una minaccia. È una situazione quasi sempre fuori dal suo controllo – spiega Giulia Momoli, mental coach ed ex stella del beach volley - che va tenuta in considerazione e che è parte della sua professione. Per affrontare un infortunio ci vuole notevole tenuta mentale, perché spesso l’atleta si concentra su tutto quello che perde o perderà a causa di quello stop forzato e non desiderato». Nei fatti, il periodo di stop può diventare l’opportunità di perfezionare alcuni dettagli sui quali durante la stagione non ha modo di lavorare: «L’ostacolo attiva delle risorse interne quali la resilienza, l’antifragilità, la determinazione. Ed è molto frequente che l’atleta che ha subito un infortunio, dopo un’adeguata riabilitazione, sappia tornare in pista più forte di prima. Farsi affiancare da un mental coach o da uno psicologo dello sport – conclude Momoli - aiuta l’atleta ad affrontare con il giusto mindset il periodo di convalescenza e ad acquisire degli strumenti che possano facilitarne il recupero e/o che gli permettano di sperimentare delle tecniche in grado di tenerlo in contatto con la sua disciplina sportiva». Sul ruolo della “testa” nei casi di gravi infortuni come quello di Kilde concorda Daniela Marrocco: «La cosa più importante è recuperare la fiducia e la confidenza del gesto atletico, per avere la serenità di potersi muovere e ottenere le performance che ci si attende. La testa ha un ruolo importante nel proiettare l’atleta nell’immagine di sé che vuole ottenere. I risultati vanno pianificati in modo corretto senza eccessi e forzature. E qui anche il coach ha un ruolo chiave». (A. P.) GdB | Marzo 2022

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Tom Brady.

RITIRARSI È DURA: BRADY E QUELLI CHE NON SMETTONO Dopo l’annuncio dell’addio alle scene, la leggenda del football americano Tom Brady ha fatto marcia indietro. Come lui in passato altri grandi come Jordan e Schumacher

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metto, anzi no. Anche le leggende sono umane e nello sport “soffrono” di una debolezza parecchio umana: la difficoltà ad appendere le scarpe al chiodo. Ma anche il casco, la cuffia, le ginocchiere. L’ultimo iscritto al club del “Vorrei (smettere) ma non posso” è Tom Brady, classe 1977, asso del football americano, vincitore di sette Super Bowl, che a sei settimane dall’addio ha annunciato il ritorno nella NFL. Giocherà con la stessa squadra che aveva salutato ad inizio febbraio, i Buccaneers di Tampa Bay. «Negli ultimi due mesi ho capito che il mio posto è ancora in campo, non sugli spalti. Arri-

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verà quel momento. Ma non è ora - ha scritto Brady, 44 anni, su Twitter - Amo i miei compagni di squadra e amo la mia famiglia. Senza di loro, nulla di tutto ciò è possibile. Tornerò per la mia 23a stagione, a Tampa Bay. Abbiamo un lavoro da finire». Sulla decisione del quarterback più grande di sempre potrebbe aver influito quella sensazione di irrisolto, lasciata dall’eliminazione ai playoff per mano dei Los Angeles Rams, vincitori del Super Bowl di febbraio. Anche se, in effetti, parlare di “irrisolto” non è proprio calzante per uno che l’anno prima aveva firmato il suo settimo titolo in Florida, dopo sei ai New England Patriots (in

nove finali), e che è stato cinque volte “MVP” del Super Bowl e tre volte della stagione regolare. Tornare a vincere non sarà facile. Dopo il ritiro, ci sono riusciti in pochissimi. Fra gli altri, un altro fuoriclasse statunitense, il mito del basket Michael Jordan che, dopo una prima tripletta con i Chicago Bulls (1991-1993), smise per un anno e mezzo, provò col baseball e tornò a 32 anni sotto canestro per vincere altri tre titoli consecutivi fino al 1998. Quanto sia difficile brillare dopo il ritiro lo ha provato anche il tedesco Michael Schumacher, sette volte campione del mondo di Formula 1. Salutata la Ferrari nel 2006, il tedesco si è accasato alla Mercedes quattro anni dopo per tre stagioni, senza mai vincere un gran premio di F1 e salendo sul podio una sola volta, nel 2012, nel Gp d’Europa al Nurburgring, il circuito di casa che ha una curva a lui dedicata, la “S Schumacher”. Anche in Italia più di un campione dello sport ha dovuto combattere non poco con la difficoltà a smettere. Dopo le Olimpiadi 2016, impreziosite da una medaglia d’oro e una d’argento, l’azzurra Tania Cagnotto aveva manifestato l’intenzione di lasciare il mondo dei tuffi. Si è però ricreduta, almeno fino alla seconda gravidanza, facendo in tempo a conquistare il tredicesimo titolo italiano nel trampolino da un metro e partecipare ai campionati nazionali nel sincro. Il due volte iridato del nuoto Filippo Magnini è invece tornato in vasca per una competizione ufficiale nel 2020 dopo tre anni di stop, per inseguire una corsia ai Giochi di Tokyo. Sempre nel nuoto, Federica Pellegrini non è mai rimangiata un ritiro annunciato ufficialmente, ma più volte prima dell’addio alle scene del 2021 si è interrogata (anche pubblicamente) sulla possibilità di mollare. La stella del volley Francesca Piccinini aveva deciso di ritirarsi nel settembre 2019, dopo aver vinto la settima Champions League a quarant’anni. Poi l’addio definitivo. Senza mai smettere, però, di sentirsi la ragazzina che sognava con Mila e Shiro. (A. P.)


Eventi tecnico-divulgativi

RETE NATURA 2000 SISTEMI AGRO-ZOOTECNICI E BIODIVERSITÀ Gennaio-aprile 2022

Per registrarsi e visionare il calendario completo e i dettagli dei singoli eventi accedere a: https://eventplatform.poloaa.it/home

www.onb.it GdB | Marzo 2022

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LA BIOLOGIA IN BREVE Novità e anticipazioni dal mondo scientifico

a cura di Rino Dazzo

NEUROLOGIA Dormire troppo di giorno, occhio al segnale

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ormire troppo nelle ore pomeridiane può essere associato a un rischio più elevato di sviluppare disturbi di natura neurodegenerativa. Lo sostengono i ricercatori di tre università statunitensi. Per gli autori della ricerca, la classica pennichella non è un modo per compensare il mancato riposo notturno, da cui è indipendente. Speciali dispositivi hanno monitorato fino a 14 anni le sessioni di sonno di 1.401 anziani: all’inizio dello studio il 75,7% dei soggetti era sano a livello cognitivo, il 19,5% mostrava lieve deterioramento, il 4,1% aveva l’Alzheimer. A distanza di anni le persone rimaste in salute avevano aumentato la durata dei loro sonnellini di 11 minuti, quelli con lieve deterioramento di 24 minuti, quelli con Alzheimer di 68 minuti.

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AMBIENTE Ghiacciai antartici dimezzati in nove anni

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eno di due milioni di chilometri quadrati. Tanto rimane oggi del ghiaccio marino antartico, che fino al 2013 misurava quasi il doppio. Lo certificano i dati dell’ultimo rapporto del Nsidc, il National Snow and Ice Data Center degli Stati Uniti. Si tratta di un record negativo, visto che dal 1979, quando hanno avuto inizio le misurazioni, i ghiacci antartici avevano sempre avuto estensioni più ampie. Secondo gli esperti, la contrazione è dovuta in parte ai forti venti che hanno spinto i ghiacci dal freddo Mare di Ross ad aree più calde, a nord, dove si sono sciolti. Da valutare, invece, l’impatto del riscaldamento globale. Fino a pochi anni fa l’Antartide aveva retto meglio dell’Artide ai cambiamenti climatici, anche a causa del suo isolamento. Ora, però, anche al Polo Sud si intravedono gli stessi segnali preoccupanti.


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SALUTE La mammografia è utile anche per il cuore

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ottoporsi a mammografie in menopausa può essere fondamentale anche per prevenire malattie cardiovascolari. Lo indica uno studio su oltre cinquemila donne di età compresa tra 60 e 79 anni. I risultati hanno evidenziato come coloro che presentavano calcificazioni arteriose mammarie avessero il 51% in più di probabilità di sviluppare malattie cardiache o ictus e il 23% in più di andare incontro a un qualsiasi tipo di patologia cardiaca rispetto a quelle sane.

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RICERCA Un chip ricostruisce l’inizio della gravidanza

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o hanno sviluppato i ricercatori della Pennsylvania University con lo scopo di aiutare a comprendere meglio i meccanismi che determinano il successo o l’insuccesso dell’impianto di un embrione nell’utero materno. Si tratta di un chip capace di ricostruire i processi biochimici di inizio gravidanza e l’interfaccia tra il feto e i tessuti della madre, aiutando a prevenire possibili complicazioni. In particolare, il sistema costruito in laboratorio dell’equipe guidata da Ju Young Park è costituito da una piattaforma a due camere, una rappresentante il feto e l’altra i tessuti materni. Osservare e capire i movimenti delle cellule da una parte all’altra, il ruolo del tessuto connettivo e delle cellule immunitarie della madre e gli stessi cambiamenti nei tessuti che si preparano a ospirare il feto può rivelarsi di fondamentale importanza.

INNOVAZIONE Robot come tessuti biologici grazie a nuova tecnologia

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otranno cambiare la propria forma e funzioneranno più o meno come i tessuti biologici. Sono i robot del futuro, quelli che saranno sviluppati con l’innovativa tecnologia messa a punto dai ricercatori dell’Università di Bath, nel Regno Unito. L’idea di fondo è che a gestire la macchina sia uno strato costituito da varie unità attive incorporate, i nanorobot, cooperanti per determinare movimenti e funzione del robot stesso, proprio come vale per alcuni tessuti biologici come le fibre del muscolo cardiaco. Il robot, realizzato con materiali soffici, potrà assumere forse diverse e le sue modalità di applicazione potrebbero essere innumerevoli: dalla raccolta e manipolazione di oggetti delicati alla realizzazione di speciali rivestimenti reattivi capaci di favorire l’interazione tra le capsule di un farmaco e le cellule del corpo umano.

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Lavoro

CONCORSI PUBBLICI PER BIOLOGI UNIVERSITÀ DI CATANZARO “MAGNA GRÆCIA” Scadenza, 3 aprile 2022 Procedura di selezione per la copertura di un posto di ricercatore a tempo determinato, settore concorsuale 05/E2 - Biologia molecolare. Gazzetta Ufficiale n. 18 del 0403-2022. AZIENDA OSPEDALIERO-UNIVERSITARIA DI PARMA Scadenza, 3 aprile 2022 Concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura di un posto di dirigente biologo, disciplina di biochimica clinica. Gazzetta Ufficiale n. 18 del 04-03-2022. FONDAZIONE I.R.C.C.S. ISTITUTO NAZIONALE DEI TUMORI MILANO Scadenza, 3 aprile 2022 Conferimento, per titoli e colloquio, dell’incarico quinquennale di dirigente biologo - direttore della struttura complessa genomica tumorale, disciplina di laboratorio di genetica medica. Gazzetta Ufficiale n. 18 del 04-03-2022. UNIVERSITÀ DI BOLOGNA “ALMA MATER STUDIORUM” Scadenza, 12 aprile 2022 Procedura di selezione per la copertura di un posto di ricercatore a tempo determinato della durata di trentasei mesi e pieno, settore concorsuale 05/B2 - Anatomia comparata e citologia, per il Dipartimento di scienze biologiche, geologiche e ambientali. Gazzetta Ufficiale n. 19 del 08-03-2022. UNIVERSITÀ DI PAVIA Scadenza, 14 aprile 2022 Procedura di selezione per la chiamata di un professore di prima fascia, settore

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concorsuale 05/I1 - Genetica, per il Dipartimento di biologia e biotecnologie L. Spallanzani. Gazzetta Ufficiale n. 21 del 15-032022. UNIVERSITÀ DI BOLOGNA “ALMA MATER STUDIORUM” Scadenza, 22 aprile 2022 Procedura di selezione per la copertura di un posto di ricercatore a tempo determinato della durata di trentasei mesi e pieno, settore concorsuale 05/D1 - Fisiologia, per il Dipartimento di scienze biomediche e neuromotorie. Gazzetta Ufficiale n. 22 del 18-03-2022. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI STRUTTURA DELLA MATERIA DI MONTELIBRETTI (ROMA) Scadenza, 2 aprile 2022 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1 Assegno Professionalizzante per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti l’Area Scientifica “Scienze Chimiche” da svolgersi presso la sede Secondaria di Montelibretti dell’Istituto di Struttura della Materia del CNR nell’ambito del PROGETTO “BIOMARKERS DISCOVERY CON ELECTROSPRAY-MASS SPECTROMETRY “-Avviso “Gruppi di ricerca 2020” di cui alla Det. n. G04052 del 04/04/2019 – POR FESR LAZIO 2014 – 2020 per la tematica: “Studio computazionale con tecniche di MD classica e ML della struttura dei miRNA isolati e in interazione per formare complessi”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI RICERCA SULLE ACQUE DI BARI

Scadenza, 2 aprile 2022 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1 Assegno di Ricerca Professionalizzante per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti l’Area Scientifica “Scienze della terra e dell’ambiente” da svolgersi presso l’Istituto di Ricerca Sulle Acque del CNR – Sede Secondaria di Bari che effettua ricerca nell’ambito dei progetti di ricerca: “PON – Energie per l’ambiente TARANTO” ed “ECOTEC”, per la seguente tematica: “Processi di trattamento delle acque reflue nell’ottica dell’economia circolare”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO PER LA PROTEZIONE SOSTENIBILE DELLE PIANTE DI TORINO Scadenza, 4 aprile 2022 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1) Tipologia A) assegno professionalizzante per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti l’Area Scientifica “Scienze Agrarie e Veterinarie” da svolgersi presso l’Istituto per la Protezione Sostenibile delle Piante del CNR - Sede Istituzionale di Torino, che effettua ricerca fondamentale nell’ambito del programma di ricerca Climate Smart WATer Management and Sustainable DEVelopment for food and agriculture in North-East Africa (WATDEV) per la seguente tematica: “Analizzare e implementare le migliori pratiche/innovazioni disponibili nelle aree di studio, integrando conoscenze già disponibili, ma anche banche dati, modellizzazioni, tecnologie e quadri operativi, per una comprensione approfondita delle dinamiche della gestione delle risorse idriche e agricole nell’Africa orientale. Si prevede un’attività correlata


Lavoro

oltre che ad una ricerca bibliografica e di interazione con altri Enti coinvolti nel progetto o in altri programmi di cooperazione EU (incluso il GIZ) al fine di ottenere le informazioni già disponibili sulla gestione delle risorse idriche e agricole nell’area di studio, anche alla preparazione e somministrazione di questionari alle realtà locali; validazione delle pratiche/innovazioni selezionate”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI BIOLOGIA E PATOLOGIA MOLECOLARI DI ROMA Scadenza, 8 aprile 2022 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n.1 assegno “professionalizzante” per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti all’Area Scientifica “BIOMEDICINA” da svolgersi presso l’IBPM - Istituto di Biologia e Patologia Molecolari del CNR, che effettua ricerca biomedica nella seguente tematica: “Ottimizzazione di sferoidi 3D in matrici biomimetiche e sviluppo di modelli organotipici di carcinoma ovarico sieroso, con tecniche di cell imaging e saggi di biologia cellulare in modelli 3D” nell’ambito del programma di ricerca dal titolo “Sviluppo di modelli organotipici e organon-chip di tumore ovarico per testare farmaci antitumorali”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI RICERCA SUGLI ECOSISTEMI TERRESTRI DI PORANO (TERNI) Scadenza, 8 aprile 2022 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1 assegno di ricerca categoria: A) Assegni Professionalizzanti per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti l’Area Scientifica “Ambiente” da svolgersi presso l’Istituto di Ricerca sugli Ecosistemi Terrestri (IRET) sede di Porano (TR), Via G. Marconi n. 2 sulla seguente tematica di ricerca: ”Implementazione della piattaforma IT sia dal punto di vista hardware che software”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”.

CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI BIOSTRUTTURE E BIOIMMAGINI DI TORINO Scadenza, 13 aprile 2022 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1 assegno (Tipologia B: “Assegni Post Dottorali”) - per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti l’Area Scientifica “Scienze Biomediche” da svolgersi presso la Sede Secondaria di Torino dell’Istituto di Biostrutture e Bioimmagini del CNR, nell’ambito programma di ricerca “Euro-BioImaging Med-Hub” per la seguente tematica: “Scientific project management nell’ambito di imaging preclinico/medico in open access presso le Infrastrutture di ricerca Europee per lo studio delle malattie infettive e del cancro”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI NANOSCIENZE DI PISA Scadenza, 14 aprile 2022 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1 “Assegno di ricerca Grant” (Tipol. D) per lo svolgimento di attività di ricerca per il progetto dal titolo: “Isolamento e caratterizzazione molecolare di esosomi neurali in modelli di disturbi del neurosviluppo / Isolation and molecular characterization of neuronal exosomes in models of neurodevelopmental disorders ” (acronimo END), CUP B53D21007990008 nell’ambito di “GIOVANISÌ” (www.giovanisi.it), il progetto della Regione Toscana per l’autonomia dei giovani, inerenti all’Area Scientifica “Scienze Biologiche”, da svolgersi presso l’Istituto Nanoscienze del CNR, sede di Pisa in collaborazione con la Fondazione Pisana per la Scienza, per la seguente tematica: “Isolamento e caratterizzazione molecolare di Esosomi Neurali in modelli di Disturbi del neurosviluppo; Proteomica degli esosomi neurali”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI GENETI-

CA E BIOFISICA “ADRIANO BUZZATI TRAVERSO” DI NAPOLI Scadenza, 14 aprile 2022 È indetta una pubblica selezione per titoli, eventualmente integrata da colloquio, per il conferimento di n. 1 borsa di studio per laureati, per ricerche inerenti l’Area scientifica “Scienze biomediche” da usufruirsi presso l’Istituto di Genetica e Biofisica “A. Buzzati Traverso del CNR di Napoli. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI BIOFISICA DI PISA Scadenza, 20 aprile 2022 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1 “Assegno di ricerca Grant” per lo svolgimento di attività di ricerca per il progetto dal titolo: “sviluppo di COatiNgs superficiali in rame sue leghe per appliCaziOni antiviRali e antibatteriche in ospeDalI e strutture sAnitarie” (CONCORDIA), CUP B53D21007970008, inerenti all’Area Scientifica “Biofisica e Nanobiotecnologie” da svolgersi presso l’Istituto di Biofisica (IBF) del CNR, sede di Pisa per la seguente tematica: “Sviluppo di nanoparticelle in rame per applicazioni antibatteriche e antivirali”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO PER LA BIOECONOMIA DI FIRENZE Scadenza, 26 aprile 2022 È indetta una selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n. 1 “Assegno di ricerca Grant” per lo svolgimento di attività di ricerca per il progetto dal titolo: “LEGGI di SCIENZA - Contenuti scientifici e nuove tecnologie per la promozione della lettura” (LeDiS), CUP B53D21008110008 da svolgersi presso l’Istituto per la BioEconomia del CNR, sede di Sesto Fiorentino (FI) per la seguente tematica: “Comunicazione della scienza e opportunità connesse alle nuove tecnologie per la promozione della lettura”. Per informazioni, www.cnr.it, sezione “concorsi”. GdB | Marzo 2022

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Scienze

Storia Naturale dell’autoimmunità dei serpenti La natura biochimica del veleno degli ofidi e la loro resistenza alla sua tossicità

di Giuliano Russini

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ebbene la mia formazione sia quella di botanico applicato e fitopatologo, l’essere un biologo naturalista, o ambientale come oggi si dice, mi ha permesso di coltivare con buon livello di approfondimento negli anni, le discipline zoologiche, che come quelle ecologiche ed etnoantropologiche, sono un bagaglio fondamentale e interconnesso con quelle botaniche. La fortuna di essere biologi naturalisti, o da campo (oltre che passare molto tempo all’aperto, con le mani nella terra e i piedi nell’acqua e godere delle bellezze di Madre Terra), consiste nel poter osservare la “Natura” nel suo insieme e comprendere le intime interconnessioni olistiche tra gli organismi viventi che popolano i vari regni in cui vengono suddivisi e, le interazioni con l’ambiente abiotico “biotopi” in cui vivono. Nel contempo gli ofidi (serpenti), sono sempre stati di estremo fascino per me, sin dai tempi i cui ero studente in Scienze Biologiche, come gli psittaciformi (pappagalli) per gli uccelli. Per tale ragione, una discreta conoscenza che ho di questi animali, mi ha portato a scrivere questo articolo molto pratico, che può dare anche qualche nozione utile se ci si trova in campagna, in un bosco, o altra zona naturale e sfortunatamente si viene morsi da una vipera. L’articolo (come si capisce in parte dal titolo), nasce da una domanda che molti anni fa mi fece un bambino riguardo questi affascinanti animali striscianti “perché se una vipera morde un’altra vipera, quella morsa non muore?”, bhe, malgrado i colleghi biochimici possono spiegare i meccanismi sottesi molto meglio di me, che sono solo un umile biologo da campo, vedremo però che la zoologia offre dettagli che forse neanche loro immaginano e che possono avere notevole importanza pratica. Prima di avventurarci in questo affascinante mondo, mi scuso con i colleghi erpetologi (biologi che studiano i serpenti e gli anfibi, anche se questi ultimi sarebbe più corretto chiamarli batracologi), per l’approssimazione con cui mi sono avvicinato alla loro complessa disciplina. Oggi, dopo più di centocinquanta anni di studi dove i biologi hanno camminato nei più diversi biomi, ecosistemi ed

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ambienti, alla ricerca e scoperta dei più diversi ofidi, in tutte le regioni del pianeta, si è giunti a una risposta su questo argomento (l’autoimmunità dei serpenti al loro velento), più o meno soddisfacente. È ben noto, che se una vipera (viperide) ad esempio la Vipera palestinae, morde un conspecifico cioè un’altra Vipera palestinae, sia maschio che femmina, non si hanno decessi dell’animale, né danni collaterali; molte altre specie di elapidi, crotalidi, viperidi, colubridi e così via, quando avvengono aggressioni tra conspecifici, non verificandosi decessi, dimostrano di possedere questa immunità naturale al proprio veleno, che è opera di fattori antitossici, i quali sono presenti nel sangue del medesimo animale che produce il veleno, rendendolo autoimmune. Bisogna considerare, che l’”immunità naturale” di un serpente al proprio veleno è in realtà acquisita nel tempo, ed è corrispondente alla maturazione delle ghiandole velenifere e dal veleno da esse prodotto e in esse conservato. Cioè, una vipera sia essa Vipera palestinae, o un cobra come il Nahja haje egiziano e, questo vale per altre specie di ofidi sia viperidi, come anche per gli elapidi e i colubridi, etc. e sia che essi siano a riproduzione vivipara (nascita di piccoli completi, gestiti in utero durante la gravidanza), o a riproduzione ovovivipara (produzione di uova, che o si schiudono all’interno di un ovidotto, con nascita di piccoli completi che si accresceranno nel tempo, oppure con schiusa delle uova immediatamente dopo la deposizione di esse) o, che siano a riproduzione ovipara come gli uccelli (cioè nascita di piccoli, da uova deposte, dopo la schiusa successivamente a un periodo più o meno lungo di incubazione in terreno, in un incavo d’albero, o sotto la sabbia -ricordando però che contrariamente agli uccelli, in genere i rettili e, nello specifico gli ofidi, o serpenti, non covano le proprie uova, sia i maschi che le femmine- solo in alcune specie di pitoni (Python morulos; Python regius) i biologi hanno osservato tale fenomeno), abbiamo che la prole neonata, è soggetta a un periodo detto di “suscettibilità velenifera” o “immunodeficenza velenifera transitoria”, onde per cui, se un conspecifico adulto, per reazione li mordesse, soccomberebbero.


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Bisogna anche sottolineare che, come dimostrato nel 1978, dall’erpetologo americano Stephen P. Mackessy della Northern Colorado University (dati pubblicati in un eccellente libro “The Biology of Rattlesnakes”-Loma Linda university Press, Loma Linda-California, 1988), esistono comunque delle differenze razziali, nella composizione e dosaggio del veleno espresso e inoculabile tra adulti di una medesima specie, per cui anche se l’immunità naturale, si è ormai conclamata, possono portarli, dopo essersi somministrati un morso, alla morte. Natrice dal collare (Natrix natrix). © Giuliano Russini. Ovviamente, tra conspecifici velenosi, accade spesso che (come per alcune specie di ofidi dell’emisfero boA tale scopo, vorrei precisare chiaramente e da subito, che, reale, nel Nord degli USA e Canada, dove a causa delle basse solo un biologo erpetologo, che abbia una eccellente esperientemperature invernali, avviene il fenomeno dell’ibernazione), in za su campo, è in grado di determinare se o meno è avvenuta primavera, una femmina uscita al risveglio dalla tana, sia pronta l’inoculazione del veleno e nel caso, di che specie di serpente ad accoppiarsi e gli stimoli indotti dai feromoni che secerne, velenoso si tratta, dalla morfologia del morso; sapere se o meno come anche l’inturgidimento con assunta colorazione rossa, è avvenuto il morso è indispensabile, poiché somministrare un della regione vagino-cloacale, fungendo da attrattori sessuali, siero antiofidico (ad esempio antiviperino, o più in generale un inducendo quindi l’interesse (fregola) di molti maschi compe- antiviperide), senza che il morso e quindi l’inoculazione del titori, che ingaggiano lotte, spesso associate a morsi, se non vi veleno siano avvenuti, risulterebbe pericoloso tanto quanto il fosse questa “immunità naturale” al veleno di specie, ecologica- morso stesso, perché il siero è in grado di generare reazioni almente parlando, si avrebbe una decimazione della popolazio- lergiche così violente, in assenza del veleno da contrastare, tali ne e ne verrebbe danneggiata la riproduzione. La maturazione anche da poter uccidere chi lo riceve. L’erpetologo è, sopratdelle ghiandole velenifere, con l’acquisita capacità di produzio- tutto se l’evento si ha in ambiente isolato, o lontano da città, ne del veleno, induce quindi, a livello metabolico, la produzio- in grado di dare le prime cure necessarie al soggetto morso e ne di fattori antiveleno del serpente al proprio tossico. Invece, dire quale siero si deve usare, ma in termini terapeutici invece, quello che non si verifica sempre, è una immunità incrociata, gli unici che possono somministrare adeguate cure (che spesso cioè specie differenti di serpenti, possono reciprocamente esse- in presenza di veleni emotossici, possono causare necrosi tesre velenose e letali tra adulti, inoltre esiste anche una specificità sutale, con necessità di intervento chirurgico) sono i medici e regionale, cioè una determinata specie ad esempio il Viperide il pronto soccorso per gli esseri umani e i veterinari per un ani(Bitis arietans), o la Vipera comune (Vipera berus), possono male, i non addetti ai lavori, anche se appassionati di serpenti, avere delle differenze regionali, dette di “zonazione geografica” si devono (parliamo di cose estremamente pericolose) limitare a nel volume e nell’efficacia del veleno secreto, in termini quindi portare il soggetto avvelenato subito al più vicino ospedale, evidi tossicità e uccidersi reciprocamente se si mordono. tando di perdere tempo in procedure per cui non hanno la preDaremo ora, una breve descrizione dell’apparato veleni- parazione tecnica, cercare di descrivere al meglio il luogo dove fero dei diversi serpenti, che viene utilizzato anche come ele- è avvenuto l’evento e il colore e le dimensioni del serpente (a mento tassonomico di classificazione; il grande biologo-tasso- loro volta, medici e veterinari, contatteranno un erpetologo per nomo Alfred Sherwood Romer, negli anni ‘ 50 del secolo XX, sicurezza); quello che comunque si può fare subito, è che indiha basato la sua classificazione degli ofidi su questo organo, pendentemente dalla specie di serpente che ha morso, bisogna ancora oggi utilizzata anche dalla International Code of Zo- evitare di somministrare bevande alcoliche, o usare composti ological Nomenclature (ICZN), per passare poi a descrivere a natura ammoniacale sulla ferita, invece, sarebbe utile fornire la non facile natura biochimica del veleno di serpente, da cui acqua, o del tè (se disponibile) zuccherati e caldi. Descriveremo si capirà anche perché i serpenti sono immuni al proprio tos- di seguito meglio le tecniche più essenziali e forniremo inforsico, agli effetti sull’essere umano dopo un morso, o nel caso mazioni su alcuni centri antiveleno. dei cobra sputatori, se il veleno penetra da una mucosa esterna, come ad esempio quella dell’occhio e le eventuali tecniche Apparato velenifero dei serpenti, morfo-fisiologia di primo intervento in tali situazioni. La struttura osservata nelle specie come la Natrice dal GdB | Marzo 2022

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Cobra reale (Hamadryas hannah), Zoo di Monte Carlo. © Giuliano Russini.

collare (Natrix natrix, il genere Natrix è presente in tutto il mondo tranne che in Sud America e gran parte dell’Oceania), in cui nessuno dei denti è specializzato alla conduzione del veleno è detta “aglifa”. Essa, si riscontra in molti colubridi e, in tutti i membri delle famiglie primitive appartenenti agli infraordini degli enofidi e degli scolecofidi; nella maggior parte degli aglifi, la misura dei denti mascellari è poco variabile. In molti colubri, però, le parti posteriori della ghiandola labiale superiore, possono essere circondate da una capsula propria. Quando la distinzione diviene così marcata, si attribuisce a tale regione il nome di “ghiandola parotide” (nulla a che fare con le parotidi dei mammiferi), tale struttura è nota ai biologi col nome di ghiandola del Duvernoy, dal nome del biologo che nel 1832 la individuò. In alcuni colubri, il secreto di tale ghiandola è tossico e questa ghiandola è associata spesso, ma non sempre, a uno o due dente/i di dimensioni maggiori, rispetto gli altri. In realtà, la maggior parte dei colubridi aglifi non sono velenosi; quando lo sono è nei confronti di altri serpenti, rettili, roditori e uccelli, di cui si nutrono, ma non dell’essere umano. Quando la ghiandola del Duvernoy è associata a denti posti in posizione posteriore in ciascun mascellare, i serpenti sono detti “opistoglifi”, i denti presentano un solco, o doccia scanalata, che li percorre, connesso a questa ghiandola. Gli opistoglifi veleniferi, rappresentano circa un terzo della famiglia dei colubridi, tra questi troviamo il serpente acquatico (Homalopsis buccata), il serpente volante delle regioni orientali (Chrysopela ornata) e il boomslang (Dispholidus typus), un colubride africano, che causa incidenti mortali per l’uomo. Ad eccezione del boomslang, però, i serpenti velenosi opistoglifi, non secernono un veleno né così tossico, né la loro meccanica di morso è così efficiente, da portare alla morte un essere umano, ma solo varie specie di rettili, anfibi, piccoli mammiferi, uccelli. Comunque, causano un dolore non indifferente, quando mordono un uomo. Negli elapidi, come i cobra i bungari e, i loro parenti idrofidi (serpenti marini), la situazione è diversa; la ghiandola velenifera è completamente separata dalle ghiandole labiali superiori e, si 68 GdB | Marzo 2022

trova dietro l’occhio; è solitamente molto grande e, in alcune specie, come nel serpente corallo (Maticora) che vive nell’Asia meridionale-orientale, si estende diffusamente per il tronco, per circa un quarto della sua lunghezza. Un muscolo “adductor mandibulae superficialis”, attaccato alla capsula ghiandolare, contraendosi, all’atto del morso, aiuta a spremere e inoculare il veleno; negli elapidi e negli idrofori, questi denti veleniferi, sono situati in posizione anteriore nel mascellare e sono definiti “proteroglifi”, nei cobra i margini dei solchi, di tali denti di conduzione del veleno, si fondono a formare un canale vero e proprio, che facilità l’emissione del tossico; efficienza non solo quindi del veleno, ma anche del morso velenifero. In ultimo, i viperidi (le vipere) hanno una struttura simile a quella degli elapidi; però in questa famiglia, i denti sono sempre completamente canalizzati, come l’ago ipodermico di una siringa, inoltre c’è un’aggiuntiva ghiandola accessoria, probabilmente a natura velenifera, o potenziante; tali serpenti, che sono quelli che presentano l’apparato velenifero più efficiente nel mondo degli ofidi, vengono classificati come “solenoglifi”. I serpenti sputatori, raccolgono come gruppo, alcuni cobra come l’Hemachatus haemachatus africano e, il Cobra dal collare nero (Naja nigricollis), questi serpenti ed altri di questo gruppo, hanno sviluppato adattamenti ecofisiologici per cui, possono spruzzare gocce di veleno a breve distanza, le quali, penetrando all’interno dell’occhio, ad esempio di un piccolo mammifero, possono renderlo cieco, approfittando per mangiarlo, ingoiandolo (i rettili non masticano); ben lo sanno i biologi che allevano tali animali all’interno di terrari nel contesto di giardini zoologici e parchi acquatici, poiché se disturbati, possono spruzzare il veleno sui vetri del terrario, veleno che renderebbe cieco anche l’uomo se entrasse in contatto con i suoi occhi. Natura del veleno degli ofidi Il veleno dei serpenti (ofidi), ha una struttura molto complessa dal punto di vista biochimico, contiene molti enzimi, come la proteasi, la colinesterasi, la ribonucleasi e la ialuronidasi, oltre a sostanze proteiche non enzimatiche. Agendo da sole, o in combinazione, queste sostanze ottengono effetti devastatori quando sono introdotte nei tessuti di altri animali e trasportate dall’apparato circolatorio e dal sistema linfatico; alcune proteine non enzimatiche come la “crotamina”, ricavata dal veleno dei crotali tropicali, sono probabilmente tra le sostanze responsabili dei danni più gravi, tra cui la morte. L’immunità al proprio veleno (che è la questione iniziale), nasce proprio dal saper esprimere, da parte del serpente, sostanze (sia a natura immunitaria: anticorpi, che antagonista) che sono antidotiche, di quelle tossiche componenti il proprio veleno, neutralizzandolo. Ogni genere o specie di serpente, mordendo, in ragione della natura biochimica del veleno che esprime, induce nell’animale e nell’umano morsi, effetti di natura diversa, questi ultimi possono essere così elencati: - Effetti neurotossici: sul cervello, sul midollo spinale, sulle ter-


Scienze Disegno dell’autore.

minazioni nervose, ecc., veleno neurotossico. - Effetti sul cuore e polmoni (infarto, blocco respiratorio), veleno cardio-pneumotossico. - Alterazione dei vasi sanguigni determinante emorragie, veleno vasotossico. - Coagulazione del sangue (questo e il precedente effetto vasotossico, antagonisti, possono essere presenti anche nel veleno del medesimo serpente, complicando il quadro clinico), veleno emotossico. - Emolisi (distruzione dei globuli rossi), veleno emotossico. - Alterazione generale dei tessuti (necrosi e gangrena), veleno citotossico. Probabilmente, nell’ultimo caso, la citotossicità è opera di un agente la “ialuronidasi” un enzima, che induce distruzione intercellulare dei tessuti animali. A complicare il quadro (avvantaggiandone la tossicità) di avvelenamento, ci sono sostanze che l’animale e l’umano, morsi, rilasciano come la “bradichinina e l’istamina”, le quali contribuiscono alla perdita degli equilibri fisiologici dell’organismo. Trattamento dal morso di serpente Stabilito prima chi deve (per conoscenze scientifiche e tecniche), intervenire per salvare un essere umano o anche un animale, dal morso di un serpente, possiamo sottolineare però che ad oggi le conoscenze e le tecniche d’intervento, non sono poi così evolute dagli anni ‘ 60 del secolo XX. Questo per un generale disinteresse da parte dei medici e dei veterinari, degli studi fatti dai biologi naturalisti (zoologi, erpetologi ecc.). Diciamo però che molti sieri antiofidici (antiviperidi, antielapidi: cobra e bungari, ecc) sono disponibili in centri appositi. Istituti come il Butantan di San Paolo-Brasile o, l’Istituto Haffkine a Bombay-India, come altri in USA e Australia, producono e hanno disponibili sieri antiveleno per numerose specie, alcuni sono sieri monovalenti (cioè specifici

per il veleno di una singola specie di serpente), altri polivalenti (cioè, sono cocktail antidotici per numerose specie velenose di serpenti). In Italia centri antiveleno si trovano a Bologna (Ospedale Maggiore), Catania (Ospedale Garibaldi), Cesena (Ospedale Maurizio Bufalini), Roma (Policlinico Agostino Gemelli), Milano (Ospedale Niguarda) e in molte altre città. Sebbene ci sono ancora opinioni discordanti, teoricamente la prima prestazione (in base al F.E Russel “Cyclopedia of Medicine, Surgery and Specialties” del 1962 e H.A Reid “Snakebite in Tropics”, British Medical Journal del 1968), dovrebbe mirare all’estrazione della maggior quantità di veleno, prima che vada in circolo nell’organismo; questo lo si può fare, legando dapprima con un laccio emostatico ( o se ci si trova in campagna, anche con un fascio d’erba, o con una cinta) a monte della ferita e poi, praticando un taglietto che unisce i due forellini d’ingresso dei denti, facendo attenzione che non sia troppo profondo per evitare di lesionare un tendine, suggere quindi il sangue, sputandolo subito; ingoiare veleno di Vipera comune (Vipera berus), o di Cobra reale (Hamadryas hannah), in realtà non avvelena chi lo fa, perché hanno effetto solo se in circolo, ma se chi presta soccorso, succhiando il sangue dalla ferita, ha a sua volta ferite nel cavo orale (anche per un dente estratto in precedenza, in cui è in corso il rimarginarsi della ferita), o taglietti sulle labbra, tali da immettere in circolo il veleno succhiato, verrà a sua volta avvelenato. Si deve applicare poi, un’asticella di legno, o fascia elastica, per ridurre al minimo il movimento della regione del morso, onde contribuire a ridurre ancora di più la messa in circolo del veleno. Questo per morsi ricevuti agli arti, in altre parti del corpo, ad esempio il collo, il discorso si complica notevolmente. Evitare in tutti i modi di utilizzare composti a base ammoniacale sulle ferite. In ultimo, la somministrazione del siero antiofidico, deve essere fatta in una struttura ospedaliera (per questo si deve portare il soggetto subito in ospedale), per monitorare anche le reazioni allergiche che possono intercorrere, le quali sono altrettanto pericolose.

Bibliografia -The life of Amphibians and Reptiles, H.W. Parker and Angus Bellairs, Ed.: Weidenfeld and Nicolson, London, 1973 -La Grande Enciclopedia della Natura, R. Carrington volume 7, Garzanti, 1973 -The Biology of Rattlesnakes”-Loma Linda university Press, Loma Linda-California, 2007 -F.E. Russel, “Cyclopedia of Medicine, Surgery and Specialties”, 1962 -”Snakebite in Tropics”, British Medical Journal, 1968 GdB | Marzo 2022

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Leucemia linfatica cronica: risultati significativi e duraturi con terapia combinata L’efficacia e la sicurezza della terapia combinata ibrutinib più venetoclax (I+V) come potenziale trattamento a durata fissa per adulti con LLC non precedentemente trattata

di Cinzia Boschiero

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ono stati presentati durante il congresso annuale dell’American Society of Hematology (ASH) 2021, i nuovi dati degli studi GLOW e CAPTIVATE che valutano l’efficacia e la sicurezza della terapia combinata ibrutinib più venetoclax (I+V) come potenziale trattamento a durata fissa per adulti con leucemia linfatica cronica (LLC) non precedentemente trattata. Ibrutinib è stato il primo antitumorale della classe degli inibitori della Bruton tirosin-chinasi (BTK) somministrato per via orale. Ibrutinib è stato approvato dalla Commissione Europea (EC) nel 2014, è approvato in più di 100 Stati e, ad oggi, è stato utilizzato per trattare più di 250.000 pazienti in tutto il mondo.7 Sono più di 50 gli studi clinici che valutano l’efficacia e la sicurezza di ibrutinib, di cui 18 studi di fase 3, che da più di 11 anni ne valutano i benefici.4,8 La leucemia linfatica cronica (LLC) è un tumore del sangue a crescita lenta dei globuli bianchi.9 L’incidenza complessiva in Europa è di circa 4,92 casi per 100.000 persone all’anno ed è circa 1,5 volte più comune negli uomini che nelle donne.10 È prevalentemente una malattia che colpisce gli anziani, con un’età media di 72 anni alla diagnosi.11 Mentre i risultati clinici dei pazienti sono migliorati notevolmente negli ultimi decenni, la malattia è ancora caratterizzata da episodi successivi di progressione della malattia e dalla necessità di una terapia.12 Ai pazienti vengono spesso prescritte più linee di terapia quando presentano recidive o diventano resistenti ai trattamenti. I nuovi dati dello studio GLOW di fase 3 (NCT03462719), relativi all’endpoint secondario, hanno mostrato che la malattia minima residua non rilevabile (uMRD) era più prolungata nei pazienti che avevano ricevuto il trattamento a durata fissa con I+V rispetto ai pazienti che avevano ricevuto clorambucil più obinutuzumab (Clb+O). Un’ulteriore analisi ha mostrato che anche nell’anno dopo la fine del trattamento la uMRD era mantenuta.1 I risultati aggiornati dello studio CAPTIVATE di fase 2 (NCT02910583), che attualmente

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è arrivato ad un follow-up mediano di 38 mesi, invece hanno evidenziato uMRD e sopravvivenza libera da malattia (DFS) prolungate.2 Inoltre, non si sono verificate nuove recidive da malattia minima residua (MRD), progressioni cliniche o decessi dopo 24 mesi di follow-up nei pazienti con uMDR confermata dopo 12 cicli di terapia combinata I+V, che sono stati successivamente randomizzati al trattamento con placebo o alla prosecuzione con ibrutinib in monoterapia.2 “I dati presentati all’ASH sostengono le potenzialità del trattamento a durata fissa di ibrutinib più venetoclax nel determinare risposte durature come trattamento in prima linea, con un regime giornaliero tutto orale e senza chemioterapia”, ha detto Edmond Chan MBChB M.D. (Res), EMEA Therapeutic Area Lead Haematology, Janssen-Cilag Limited. “Questi dati sono incoraggianti, soprattutto per i pazienti ad alto rischio”. Il tutto è in linea con il fattp che si cerca di poter fornire ai medici nuove opzioni terapeutiche che possano soddisfare le necessità e le preferenze dei pazienti. “Gli studi GLOW e CAPTIVATE fanno parte di un ampio programma di sviluppo o per valutare il potenziale della terapia a base di ibrutinib in pazienti affetti da LLC precedentemente non trattati, con varie esigenze e fattori di rischio, compresi quelli con malattia ad alto rischio”, ha detto Craig Tendler, M.D., Global Head of Late Development, Diagnostics & Medical Affairs, Hematology & Oncology, Janssen Research & Development, LLC. “I dati di questi studi dimostrano che i pazienti possono ottenere risposte profonde con questa combinazione di ibrutinib e venetoclax. Crediamo che questo regime orale, a durata fissa, possa offrire ai pazienti il potenziale per remissioni libere da trattamento e ai medici la flessibilità di usare ibrutinib in monoterapia o in combinazione considerando gli obiettivi di trattamento e i bisogni dei pazienti”. Studio GLOW Lo studio GLOW di fase 3 è uno studio randomizzato, in aperto, che ha valutato l’efficacia e la sicurezza del trat-


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© SciePro/shutterstock.com

tamento in prima linea a durata fissa di I+V rispetto a Clb+O, in pazienti con LLC anziani (età superiore a 65 anni) o di età compresa tra 18 e 64 anni con un punteggio CIRS (Cumulative Illness Rating Scale) superiore a 6 o valori di clearance della creatinina inferiori a 70 mL/min, senza delezioni p17 o mutazioni TP53 note.1 I pazienti nello studio sono stati randomizzati per ricevere I+V (n=106) o Clb+O (n=105).1 I dati precedentemente presentati al congresso del European Hematology Association (EHA) 2021 hanno mostrato che lo studio aveva raggiunto il suo endpoint primario di sopravvivenza libera da progressione (PFS), sulla base della valutazione del comitato di revisione indipendente (IRC).3 “Lo studio GLOW combina due trattamenti altamente efficaci contro i tumori ematologici, che agiscono con meccanismi complementari e permettono una maggior sopravvivenza libera da progressione rispetto al trattamento di prima linea con clorambucil più obinutuzumab”, ha detto Arnon Kater†, M.D., Ph.D., Deputy Head of Haematology, Amsterdam University Medical Centres, University of Amsterdam, Chairman of the HOVON CLL Working Group, e sperimentatore principale dello studio. “Insieme a quelli dello studio CAPTIVATE, questi risultati mostrano che è possibile ottenere delle remissioni libere da trattamento attraverso una profonda clearance della malattia nel tessuto linfoide, nel sangue e nel midollo osseo, e un mantenimento di tali risposte dopo l’interruzione del trattamento”. Studio CAPTIVATE Lo studio CAPTIVATE di fase 2 è stato condotto su pazienti adulti con meno di 70 anni, inclusi pazienti con malattia ad alto rischio, divisi in due coorti: una coorte definita dalla MRD, in cui la durata del trattamento era determinata dallo stato della MRD del paziente dopo 12 cicli di terapia

combinata I+V, e una coorte con terapia a durata fissa in cui tutti i pazienti hanno interrotto la terapia dopo 12 cicli, indipendentemente dallo stato della MRD.2 Gli endpoint primari dello studio includevano il tasso di risposta negativa per la MRD, la DFS e il tasso di risposta completa.2 I dati dell’analisi primaria di entrambe le coorti a durata fissa e guidata dall’MRD sono già stati riportati precedentemente.4,5 I pazienti ad alto rischio includevano soggetticon IGHV non mutate (60 per cento), con delezione p17 o mutazioni TP53 (20 per cento), con cariotipo complesso (19 per cento) e con delezione 11q senza delezione p17 (17 per cento).2 I pazienti della coorte definita dalla MRD (n=164; età mediana 58 anni) che hanno raggiunto la uMRD [definita come una uMRD (valore <10-4 determinato con citometria a flusso a 8 colori) valutata in sequenza per almeno tre cicli e una uMRD sia nel PB che nel BM con la terapia combinata I + V], sono stati randomizzati in doppio cieco per continuare il trattamento con ibrutinib in monoterapia o a placebo fino alla progressione della malattia.2 I pazienti della coorte definita dalla MRD che non hanno raggiunto la uMRD dopo 12 cicli di terapia combinata I+V sono stati randomizzati per continuare la monoterapia con ibrutinib o la combinazione I+V.2 La DFS è stata definita come assenza di ricadute della MRD (≥10-2 confermate in due occasioni separate) e senza malattia in progressione (PD) o morte, a partire dalla randomizzazione dopo 15 cicli di trattamento.2 I tassi di DFS a due anni dopo la randomizzazione con trattamento limitato nel tempo (randomizzato a placebo) sono stati mantenuti al 95 per cento con un anno aggiuntivo di follow-up dello studio.2 Non si sono verificate nuove ricadute di MRD, progressioni di malattia o decessi nei pazienti con uMRD confermata trattati con placebo o con ibrutinib.2 I primi GdB | Marzo 2022

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dati suggeriscono, quindi, che i pazienti che progrediscono dopo il trattamento limitato nel tempo con I+V hanno il potenziale per essere trattati con successo con ibrutinib in monoterapia.2 Inoltre, i tassi stimati di PFS a 36 mesi sono stati del 95,3 per cento con placebo e del 100 per cento con ibrutinib (IC al 95 per cento, differenza del 4,7 per cento, -1,6-10,9, log-rank complessivo p=0,1573; placebo 82,7- 98,8, ibrutinib 100-100).2 Tra i 12 pazienti che hanno sperimentato progressione della malattia dopo il trattamento a durata fissa, nove pazienti hanno mostrato risposta parziale a ibrutinib in monoterapia ad un follow-up limitato; le ri- © Giovanni Cancemi/shutterstock.com sposte degli altri tre pazienti non sono attualmente disponibili.2 A un follow-up mediano di 38 mesi, il profilo di sicurezza del regime I+V era in linea con i profili di sicurezza noti di ibrutinib e venetoclax.2 Gli eventi avversi (EA) più comuni di qualsiasi grado, nei 13-24 mesi dopo la randomizzazione, sono stati dolore alle articolazioni (29 per cento con I+V; 22 per cento con ibrutinib in monoterapia) e infezione del tratto respiratorio superiore (20 per cento con I+V; 15 per cento con ibrutinib in monoterapia).2 Gli EA di grado superiore a 3 sono stati poco frequenti nei bracci di randomizzazione, ad eccezione della neutropenia (36 per cento).2

Bibliografia 1. Munir T. et al. First Prospective Data on Minimal Residual Disease (MRD) Outcomes after Fixed-Duration Ibrutinib Plus Venetoclax (Ibr+Ven) Versus Chlorambucil Plus Obinutuzumab (Clb+O) for First-Line Treatment of CLL in Elderly or Unfit Patients: The Glow Study. 2021 American Society of Hematology Annual Meeting. December 2021. 2. Ghia P. et al. First-Line Treatment with Ibrutinib (Ibr) Plus Venetoclax (Ven) for Chronic Lymphocytic Leukemia (CLL): 2-Year Post-Randomization Disease-Free Survival (DFS) Results from the Minimal Residual Disease (MRD) Cohort of the Phase 2 Captivate Study). 2021 American Society of Hematology Annual Meeting. December 2021. 3. Kater P, et al. Fixed-Duration Ibrutinib Plus Venetoclax (I+V) Versus Chlorambucil Plus Obinutuzumab (Clb+O) for First-Line Treatment of Chronic Lymphocytic Leukemia (CLL): Primary Analysis of the Phase 3 GLOW Study. 2021 European Hematology Association 2021 Virtual

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Congress. June 9-17, 2021. 4. Imbruvica Summary of Product Characteristics, August 2021. Available at: https://www.ema.europa. eu/en/documents/product-information/imbruvica-epar-product-information_en.pdf. Last accessed: December 2021. 5. Turetsky A, et al. Single cell imaging of Bruton’s tyrosine kinase using an irreversible inhibitor. Sci Rep. 2014 Apr 24;4:4782. 6. de Rooij MF, et al. The clinically active BTK inhibitor PCI-32765 targets B-cell receptor- and chemokine-controlled adhesion and migration in chronic lymphocytic leukemia. Blood. 2012;119(11):2590-2594. 7. Janssen Data on File (RF-152098). Global number of cumulative patients treated with Ibrutinib since launch. October 2021. 8. Pharmacyclics LLC. Safety of PCI-32765 in Chronic Lymphocytic Leukemia. ClinicalTrials.gov Identifier: NCT01105247. Available at: Safety of PCI-32765 in Chronic Lymphocytic Leukemia - Full Text View - ClinicalTrials.gov. Last accessed: December 2021. 9. American Cancer Society. What is chronic lymphocytic leukemia? Available at: https://www.cancer. org/cancer/chronic-lymphocytic-leukemia/about/whatis-cll.html. Last accessed: December 2021. 10. Sant M, et al. Incidence of hematologic malignancies in Europe by morphologic subtype: results of the HAEMACARE project. Blood. 2010; 116:3724–34. 11. Eichhorst B, et al. Chronic lymphocytic leukaemia: ESMO Clinical Practice Guidelines for diagnosis, treatment and follow-up. Ann Oncol. 2015 Sep;26 Suppl 5:v78-84. 12. Moreno C. Standard treatment approaches for relapsed/refractory chronic lymphocytic leukemia after frontline chemoimmunotherapy. Hematology Am Soc Hematol Educ Program. 2020;2020:33-40.


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Distrofie muscolari dei cingoli: risultati positivi di una piccola molecola terapeutica La LGMD è causata dalle mutazioni presenti in oltre 25 geni che codificano diversi componenti delle miofibrille, dell’apparato contrattile, della lamina nucleare, del sarcolemma o del citoplasma. Ne esistono almeno 30 forme genetiche diverse

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e distrofie muscolari comprendono un ampio gruppo di malattie muscolari caratterizzate da debolezza muscolare, che interessa più frequentemente i muscoli del cingolo pelvico e del cingolo scapolare. Le persone colpite mostrano difficoltà ad alzare le braccia, sollevare pesi, fare le scale, alzarsi da terra, correre. Il decorso clinico è estremamente variabile, con forme gravi a insorgenza precoce e rapida progressione, e altre più lievi che non compromettono significativamente l’aspettativa di vita e l’autonomia motoria degli individui affetti. In genere, le forme infantili hanno una progressione più rapida. I sintomi sono comuni nei diversi sottotipi: a differenziare le varie malattie è la causa genetica. Tra le distrofie muscolari si ricordano ad esempio distrofia muscolare di Duchenne e Becker, distrofia muscolare di Emery Dreifuss, distrofie muscolari dei Cingoli, distrofia muscolare facio-scapolo-omerale, distrofie muscolari distali. In particolare la distrofia muscolare dei cingoli (LGMD) comprende un gruppo eterogeneo di distrofie muscolari caratterizzate da debolezza prossimale dei cingoli pelvici e delle spalle. In alcune forme di LGMD può essere compromessa la funzione cardiaca e respiratoria. La LGMD è causata dalle mutazioni presenti in oltre 25 geni che codificano diversi componenti delle miofibrille, dell’apparato contrattile, della lamina nucleare, del sarcolemma o del citoplasma. Esistono almeno 30 forme genetiche diverse di LGMD, tra le quali le forme di tipo 1 (LGMD1) hanno una trasmissione autosomica dominante, mentre le forme di tipo 2 (LGMD2) hanno una trasmissione autosomica recessiva. Il team di ricerca della professoressa Dorianna Sandonà del Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università di Padova, ha proposto di recente su «Human Molecular Genetics» un

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nuovo modello murino per lo studio della distrofia muscolare dei cingoli, più vicino alla realtà rispetto alle cellule in coltura. “Il primo obiettivo di questo lavoro era la generazione di un nuovo modello murino di LGMDR3 che rispecchiasse la condizione umana causata da una mutazione missenso nel gene SGCA” dicono i ricercatori,” Scopo del lavoro è stata la validazione in vivo del correttore C17 come potenziale composto terapeutico per LGMDR3, che è una grave distrofia muscolare appartenente alla grande famiglia delle malattie rare ancora senza cura. La nostra strategia si è basata sulla conoscenza che il meccanismo molecolare alla base della maggior parte dei casi LGMDR3 e CF è simile”. I risultati emersi utilizzando questo nuovo modello indicano che il correttore CFTR C17 consente un recupero completo della forza degli animali trattati, senza effetti tossici. Il modello è costituito da topi privi del gene corrispondente a quello che, nell’essere umano, codifica la proteina coinvolta nelle distrofie LGMDR3. In questi animali viene introdotto alla nascita il gene umano, con la mutazione responsabile della malattia. Una volta cresciuti, i topi mostrano effetti analoghi a quelli della distrofia nell’essere umano, come per esempio l’assenza dalla localizzazione sulla membrana delle cellule muscolari di una particolare proteina chiamata sarcoglicano, fondamentale per il corretto funzionamento dei muscoli e, a livello di sintomi, un’evidente riduzione della forza muscolare. «In molti casi di LGMDR3, la proteina mutata viene prodotta, ma con una forma diversa da quella fisiologica. Per questo motivo, anche se potrebbe comunque svolgere la sua funzione, viene riconosciuta come difettosa dai sistemi di controllo di qualità della cellula ed eliminata prima ancora che possa raggiungere la sua collocazione”, ha detto


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la prof.ssa Dorianna Sandonà,”Qualcosa di analogo succede nella fibrosi cistica, dove il correttore CFTR C17 si è mostrato in grado di recuperare le proteine dalla forma ‘sbagliata’, permettendo loro di arrivare al sito di destinazione e ripristinando una situazione simile a quella fisiologica. Da qui l’idea di valutare l’effetto anche nel caso delle sarcoglicanopatie. Il dato più promettente di questo nostro studio è che il trattamento con il correttore dei topi modello di malattia che abbiamo sviluppato permette il recupero completo della forza muscolare, che torna ad essere uguale a quella degli animali sani». Grazie alla preziosa collaborazione di altri ricercatori dell’Università di Padova, è stata misurata accuratamente la forza muscolare degli animali testati e, parallelamente, non sono stati rilevati effetti tossici causati della sostanza somministrata. Quindi dallo studio emerge che una piccola molecola, individuata per il trattamento della fibrosi cistica, potrebbe essere utile anche per le sarcoglicanopatie, malattie genetiche rare appartenenti al gruppo delle distrofie muscolari dei cingoli per le quali non è al momento disponibile alcuna terapia

specifica. «Una delle grosse difficoltà nello studio delle sarcoglicanopatie è la mancanza di modelli animali adatti, che tuttavia sono fondamentali per valutare l’effetto di potenziali nuovi farmaci,” ha spiegato la prof.ssa Dorianna Sandonà,”Una parte fondamentale di questo lavoro è stata proprio quella di sviluppare un nuovo modello di una di queste malattie, la distrofia dei cingoli indicata come LGMD3, più vicino alla realtà rispetto alle tradizionali colture di cellule. Grazie a questo nuovo modello animale – un topo geneticamente modificato – abbiamo potuto testare per la prima volta in un organismo vivente una piccola molecola già sperimentata con successo nel caso della fibrosi cistica: il correttore CFTR C17». I risultati ottenuti sono decisamente promettenti: i ricercatori hanno infatti osservato il recupero completo della forza muscolare negli animali malati trattati con il correttore. «Questi dati”, ha sottolineato la prof.ssa Dorianna Sandonà,”rafforzano l’idea che i correttori CFTR C17 possano rappresentare una valida opzione terapeutica per diverse malattie genetiche, muovendo così un altro importante passo verso la sperimenGdB | Marzo 2022

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tazione clinica». Il lavoro di questo intraprendente gruppo di ricerca, formato da cinque persone coordinate dalla prof.ssa Dorianna Sandonà, che da anni si occupa di malattie genetiche rare, in particolare delle sarcoglicanopatie, è stato reso possibile grazie al supporto di AFM (Association Française contre les Myopathies), MDA (Muscular Dystrophy Association) e Fondazione Telethon. “I nostri dati dimostrano che l’attività di un correttore CFTR non © iLoveCoffeeDesign/shutterstock.com

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è limitata alla FC ma può essere estesa alle sarcoglicanopatie e, in teoria, ad altre malattie caratterizzate dalla presenza di un mutante difettoso nel ripiegamento, ma potenzialmente funzionale. Anche se il percorso per l’approvazione del farmaco è lungo e costellato di difficoltà, questo proof of concept in vivo può essere di speranza per molti pazienti che, come in LGMDR3, sono affetti da una malattia orfana” evidenziano i ricercatori. Con un nuovo finanziamento della Fondazione Telethon, la Professoressa Sandonà guida dal primo ottobre 2021 un nuovo progetto per lo sviluppo di piattaforme in cui creare muscoli artificiali utilizzando direttamente le cellule dei pazienti per il quale si stanno raccogliendo i fondi. Gli autori della ricerca desiderano ringraziare la Dott.ssa Chiara Fecchio per il prezioso aiuto nella progettazione di vettori AAV e il Sig. Mauro Ghidotti per il prezioso aiuto e consigli nella gestione degli animali e la Cystic Fibrosis Foundation per aver fornito il primo stock di correttori CFTR. Le distrofie dei cingoli sono moltissime (più di 30 attualmente, caratterizzate da alcuni segni clinici e sintomi simili (per questo


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sono raggruppate in una grande famiglia) pur nella generale eterogeneità. Infatti abbiamo forme molto gravi, altre lievi, ad esordio precoce o tardivo. Con interessamento cardiaco oppure no. Il meccanismo patogenetico è diverso. Tutte però sono caratterizzate da un progressivo indebolimento dei muscoli prossimali degli arti superiori e inferiori e per questo sono definite distrofie dei cingoli (limb girdle muscular dystrophies, LGMD) Sono state classificate in due gruppi in base alla trasmissione genetica dominante (tipo 1) o recessiva (tipo 2). Questi numeri erano seguiti da una lettera dell’alfabeto man mano che i geni responsabili della malattia venivano identificati. e mappati. Alcuni anni fa siamo arrivati alla fine dell’alfabeto (con la LGMD2Z). Per questo motivo nel 2017 è stato organizzato un convegno nel quale si è pensato di cambiare il modo di classificazione, indicando quindi le LGMD con trasmissione dominante con la lettera D e quelle recessive con la lettera R seguite da un numero ad indicare il gene. L’aumento del numero delle di LGMD è strettamente legato ai grandi passi avanti che sono stati fatti proprio nel sequenziamento del genoma umano che consentirà anche nel futuro di identificare nuovi sottotipi. “Noi ci occupiamo di 4 forme LGMDR3-6 altrimenti dette sarcoglicanopatie dal nome dei geni colpiti dalle mutazioni,” dice la prof. ssa. Sandonà,”La diagnosi spesso è ancora difficile, in particolare per l’identificazione del gene mutato. La diagnosi si basa sulla visita neurologica obiettiva, si osservano alcuni segni tipici (difficoltà a camminare sulle punte o sui talloni, difficoltà a salire le scale, ad alzarsi da terra alcuni casi sono caratterizzati da ipertrofia dei polpacci, scapole alate) nei bambini vengono eseguiti dei veri e propri test che consentono di stabilire anche il grado di inabilità, si misura alcuni parametri ematologici come il contenuto di creatin kinasi (CK) che di solito, specialmente all’esordio è elevata rispetto al controllo sano. Si definisce così un quadro clinico. Per confermare la diagnosi sospetta in base al quadro clinico, vengono ricercate le proteine interessate in una biopsia muscolare, e sempre più ci si basa sull’analisi molecolare dei geni sospetti con pannelli genetici disegnati ad hoc. Purtroppo ancora oggi, nonostante il grande avanzamento nelle tecniche di sequenziamento, ci sono dei casi nei quali la diagnosi presuntiva non è confermata molecolarmente, non vengono identificate mutazioni note”. La percentuale dei pazienti con LGMD di cui non è nota la diagnosi molecolare si aggira attorno al 30%. Numerosi progetti finanziati anche dalla Commissione europea mirano pro-

prio a trovare la causa molecolare di numerose malattie genetiche ancora senza diagnosi (ovviamente non solo LGMD). “E’ fondamentale distinguere tra prevalenza (numero di individui di una popolazione che, in un dato momento presentano la malattia) ed incidenza (numero di nuovi casi osservati in un periodo di tempo) più difficile da calcolare, specialmente per una malattia rara,” dicono i ricercatori,”La prevalenza stimata per tutte le forme di LGMD varia tra 1/44.000 e 1/123.000 mentre quella delle sarcoglicanopatie nel loro insieme è di circa 1/178 000 e prese singolarmente è :per alfa-sarcoglicanopatia 3,4/100 000; beta-sarcoglicanopatia 0,8/100 000; gamma-sarcoglicanopatia 0,1/100 000; e delta-sarcoglicanopatia 0,07/100 000”. Al momento non esiste nessuna terapia che curi/ risolva la malattia, ci sono solo degli interventi terapeutici mirati a mitigare i sintomi per esempio con anti infiammatori e a rallentare la progressione della malattia nei quali si considerano anche la fisioterapia, il blando esercizio fisico evitando qualsiasi danno muscolare, la sorveglianza cardiologica e respiratoria che può infine esitare nel supporto alla respirazione, specialmente notturna. “Naturalmente” sottolinea la prof.ssa Dorianna Sandonà,” il massimo sforzo si sta facendo per trovare e sviluppare nuovi approcci terapeutici che vanno dalla terapia genica e cellulare alle terapie farmacologiche come la nostra. Tutte ancora in fase preclinica o di trial clinico precoce, per la terapia genica della LGMDR4/beta-sarcoglicanopatia per esempio”. (C. B.).

Bibliografia - Lopes-Pacheco, M.(2020) CFTR modulators: the changing face of cystic fibrosis in the era of precision medicine. Front. Pharmacol., 10, 1662– 1690. - Carotti, M., Marsolier, J., Soardi, M., Bianchini, E., Gomiero, C., Fecchio, C., Henriques, S.F., Betto, R., Sacchetto, R., Richard, I. et al. (2018) Repairing folding-defective alpha-sarcoglycan mutants by CFTR correctors, a potential therapy for limb-girdle muscular dystrophy 2D. Hum. Mol. Genet., 27, 969–984. - Allamand, V., Donahue, K.M., Straub, V., Davisson, R.L., Davidson, B.L.and Campbell, K.P.(2000) Early adenovirus-mediated gene transfer effectively prevents muscular dystrophy in alpha-sarcoglycan-deficient mice. Gene Ther., 7, 1385–1391. -Careccia G., Saclier M., Tirone M., Ruggieri, E.,Principi,E.,Raffaghello,L.,Torchio, S., Recchia, D., Canepari, M., Gorzanelli, A. et al. (2021) Rebalancing expression of HMGB1 redox isoforms to counteract muscular dystrophy. Sci. Transl. Med.,13, eaay8416.

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Ecm Questo articolo dà la possibilità agli iscritti all’Ordine di acquisire 3 crediti ECM FAD attraverso l’area riservata del sito internet www.onb.it.

Il trattamento delle acque reflue e la decentralizzazione: una spinta verso il riutilizzo L’articolo assegna i crediti Ecm in modalità Fad se scaricato dall’area riservata MyOnb

di Giovanni Libralato

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l corso si sviluppa rispetto a due argomenti principali ed interconnessi riguardo al trattamento e riutilizzo delle acque reflue: i) Parte 1 Il trattamento delle acque reflue e la decentralizzazione: una spinta verso il riutilizzo; ii) Parte 2 -Il riutilizzo delle acque reflue trattate: dall’agricoltura al potabile. È proposta una panoramica complessiva del ruolo della decentralizzazione nei processi di trattamento delle acque di scarico attraverso l’analisi della letteratura scientifica a livello internazionale. Sono messe in luce l’importanza e l’attualità della tematica in questione evidenziando possibili ricadute economiche, sociali, tecnologiche ed ambientali non trascurabili, anche nell’ambito del riutilizzo dei reflui trattati. Infatti, la scelta tra centralizzazione e decentralizzazione e tutte le relative possibili declinazioni intermedie non è affatto scontata, 78 GdB | Marzo 2022

soprattutto nelle aree soggette a nuova urbanizzazione o a profonda ristrutturazione. In generale, è stata evidenziata la necessità di procedere caso per caso ponderando il tipo di approccio più adatto alla situazione contingente in funzione anche delle potenzialità legate al riutilizzo delle acque reflue depurate per scopi specifici così come al recupero di eventuali materie prime seconde generabili. © Nuk2013/shutterstock.com


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Anno V - N. 3 Marzo 2022 Edizione mensile di AgONB (Agenzia di stampa dell’Ordine Nazionale dei Biologi) Testata registrata al n. 52/2016 del Tribunale di Roma Diffusione: www.onb.it

Direttore responsabile: Claudia Tancioni Redazione: Ufficio stampa dell’Onb

Giornale dei Biologi

Edizione mensile di AgONB, Agenzia di stampa dell’Ordine Nazionale dei Biologi. Registrazione n. 52/2016 al Tribunale di Roma. Direttore responsabile: Claudia Tancioni. ISSN 2704-9132

Marzo 2022 Anno V - N. 3

OLTRE LO STATO D’EMERGENZA L’Italia riapre, seppure con cautela Ospedali più vuoti, ma il virus circola

Contatti: +39 0657090205, +39 0657090225, ufficiostampa@onb.it. Per la pubblicità, scrivere all’indirizzo protocollo@peconb.it. Gli articoli e le note firmate esprimono solo l’opinione dell’autore e non impegnano l’Ordine né la redazione. Immagine di copertina: © Syda Productions/www.shutterstock. com www.onb.it

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Progetto grafico e impaginazione: Ufficio stampa dell’ONB. Questo magazine digitale è scaricabile on-line dal sito internet www.onb.it edito dall’Ordine Nazionale dei Biologi. Questo numero de “Il Giornale dei Biologi” è stato chiuso in redazione martedì 29 marzo 2022.


Contatti

Informazioni per gli iscritti Si informano gli iscritti che gli uffici dell’Ordine Nazionale dei Biologi forniranno informazioni telefoniche di carattere generale dal lunedì al venerdì dalle ore 9:00 alle ore 13:30 e dalle ore 15:00 alle ore 17:00. Tutte le comunicazioni dovranno pervenire tramite posta (presso Ordine Nazionale dei Biologi, via Icilio 7, 00153 Roma) o all’indirizzo protocollo@peconb.it, indicando nell’oggetto l’ufficio a cui la comunicazione è destinata.

CONSIGLIO DELL’ORDINE NAZIONALE DEI BIOLOGI Vincenzo D’Anna – Presidente E-mail: presidenza@peconb.it

In applicazione delle disposizioni in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 è possibile recarsi presso le sedi dell’Ordine Nazionale dei Biologi previo appuntamento e soltanto qualora non sia possibile ricevere assistenza telematica. L’appuntamento va concordato con l’ufficio interessato tramite mail o telefono.

Duilio Lamberti – Consigliere Segretario E-mail: d.lamberti@onb.it

Pietro Miraglia – Vicepresidente E-mail: analisidelta@gmail.com Pietro Sapia – Consigliere Tesoriere E-mail: p.sapia@onb.it

Gennaro Breglia E-mail: g.breglia@onb.it Claudia Dello Iacovo E-mail: c.delloiacovo@onb.it Stefania Papa E-mail: s.papa@onb.it

UFFICIO TELEFONO Centralino 06 57090 200 Anagrafe e area riservata 06 57090 241 Ufficio ragioneria 06 57090 222 Iscrizioni e passaggi 06 57090 210 - 06 57090 223 Ufficio Pec, assicurazione 06 57090 202 certificati, timbro e logo 06 57090 214 Quote e cancellazioni 06 57090 216 - 06 57090 217 06 57090224 - 06 57090 237 Ufficio formazione 06 57090 207 - 06 57090 218 06 57090 239 Ufficio stampa 06 57090 205 - 06 57090 225 Ufficio abusivismo 06 57090 288 Ufficio legale protocollo@peconb.it Consulenza fiscale consulenzafiscale@onb.it Consulenza privacy consulenzaprivacy@onb.it Consulenza lavoro consulenzalavoro@onb.it Ufficio CED 06 57090 230 - 06 57090 231 Presidenza e Segreteria 06 57090 229 Organi collegiali

Franco Scicchitano E-mail: f.scicchitano@onb.it Alberto Spanò E-mail: a.spano@onb.it CONSIGLIO NAZIONALE DEI BIOLOGI Maurizio Durini – Presidente Andrea Iuliano – Vicepresidente Luigi Grillo – Consigliere Tesoriere Stefania Inguscio – Consigliere Segretario Raffaele Aiello Sara Botti Laurie Lynn Carelli Vincenzo Cosimato Giuseppe Crescente Paolo Francesco Davassi Immacolata Di Biase Federico Li Causi Andrea Morello Marco Rufolo Erminio Torresani GdB | Marzo 2022

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