Nunziare magazine n.16/2025

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OLTRE IL MURO

> SPAZI CHE CURANO, LUOGHI CHE RIEDUCANO. VIAGGIO NELLE CARCERI ITALIANE PER CAPIRE

COME L’ARCHITETTURA PUÒ RISCRIVERE LA PENA DI DOMANI > LUMÉRA: IL PRIMO RISTORANTE DEL SUD IN CARCERE

DEL

STUDENTI DELL'UNIVERSITÀ LUIGI VANVITELLI > EDIT NAPOLI È SEMPRE PIÙ BELLA! IL NOSTRO DIARIO

> ICONA 2025. LA REGGIA DI CASERTA È IL POLO

www.ceceremanagement.it

è il risultato della nostra visione. Non solo un modo di fare impresa, ma un modo preciso di stare al mondo.

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Luméra un progetto inedito per portare alla luce ciò che spesso resta nell’ombra .

C’è un luogo, il più dimenticato di tutti, dove l’Italia continua a non progettare il futuro: il carcere

Mezzo secolo dopo la riforma dell’Ordinamento penitenziario, abbiamo aggiornato i codici ma non gli edifici. La pena resta pensata per isolare, con un’architettura ferma agli anni dell’emergenza terroristica, aggravata da decenni di scarsa manutenzione e degrado.

Così - come ha ricordato il Presidente Sergio Mattarella, ricevendo il 30 giugno al Quirinale il Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria -, «le carceri rischiano di diventare palestre per nuovi reati», anziché luoghi in grado di ricucire fratture sociali, tradendo lo spirito della riforma del 1975.

Eppure rieducare conviene, e chi continua a pensare il carcere come una trincea di guerra commette un gravissimo errore. Ce lo dicono i numeri: dove esistono percorsi di reinserimento, la recidiva crolla. Ce lo confermano le neuroscienze, che ci spiegano come lo spazio in cui viviamo possa influenzare corpo, energie, psiche e comportamenti. Per questo, proprio mentre il carcere raggiunge un nuovo picco di sovraffollamento, noi discutiamo sull’idea di cambiare linea, non solo per alleggerire le celle, ma per proteggere tutta

la società chiedendoci: cosa può fare l’architettura in questo scenario? Quale deve essere il suo ruolo?

Le conquiste della neuroarchitettura e alcuni Paesi del Nord Europa ci mostrano un quadro possibile delle soluzioni. Ma qualcosa si muove anche in Italia, proprio dalle nostre parti, dentro le nostre università.

A Caserta, nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, sta nascendo Luméra, il primo ristorante del Sud all’interno di un penitenziario e il secondo in Italia dopo InGalera del carcere di Bollate. Non un semplice locale, ma un progetto ideato dagli studenti dell’Università della Campania “Luigi Vanvitelli”, che utilizza la bellezza come linguaggio per abbattere i confini tra dentro e fuori, tra mondo carcerario e mondo libero.

Un’area di passaggio che si trasforma in un vero luogo di relazione, aperto alla città, incarnando la tesi di questo numero: la qualità e la cura del costruito non sono un lusso, ma strumenti capaci di trasformare le persone e generare sicurezza collettiva.

Un lavoro che abbiamo voluto raccontare in profondità, andando oltre le schede tecniche e incontrando i progettisti di persona, per dare spazio alle loro voci e al valore sociale di questa sperimentazione.

E siamo i primi a farlo. Nessun'altra testata ne aveva ancora parlato: portare questo progetto sulle nostre pagine in anteprima è un segnale forte. Significa credere che l’innovazione sociale e architettonica meriti attenzione e che raccontarla oggi sia il modo migliore per aprire un dibattito pubblico su come immaginiamo la detenzione di domani.

Ecco perché abbiamo deciso di mettere il carcere in copertina. Nel periodo dell’anno in cui la distanza pesa di più, abbiamo scelto di parlarne, di accendere una luce su ciò che, di solito, resta nell’ombra. È scomodo, è divisivo, ma necessario perché quello che accade dietro le sbarre riguarda anche chi resta fuori.

Questo numero chiude il 2025 con uno sguardo ampio: non parliamo solo di edilizia penitenziaria, ma anche di innovazioni per abitare meglio. Di materiali, design e novità da appuntare. Per la prima volta apriamo poi una pagina

dedicata ai commenti della nostra community Instagram: i post più discussi, le opinioni più sentite. Perché “Nunziare” non è un giornale per pochi addetti ai lavori, ma una piattaforma aperta, che vuole andare oltre i comunicati stampa e vivere di riflessioni, dialogo e confronto con chi ci legge e ci segue.

Buona lettura

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OLTRE IL MURO

> NUNZIARE MAGAZINE N.16

NOVEMBRE 2025

4. Editoriale

> di Yari Cecere

9. Econews

> Notizie e idee in primo piano

14. Poster

Reggia di Caserta

> Un’annata da re

26. Nunziare Luxury Projects

Un nuovo progetto nel cuore di Caserta

33. Inside

> Dal cartongesso al Breathaboard. Una startup rivoluziona l’edilizia

> Felsenburg. A Bienne un ex edificio rinasce su se stesso

50. Coverstory

Oltre il muro

> Il carcere come spazio dimenticato della società

> La via architettonica

> Luméra, il primo ristorante del Sud dentro un carcere

66. WOW

> Antonio di Maro reinterpreta il Mediterraneo per Magliocco Tappeti

> Vasame. Roberto Marone trasforma la terracotta in linguaggio emotivo

> Corn Reborn, le bucce di mais diventano pantofoline

69. Radar

Libri, tendenze e nuovi indirizzi

74. Nunziare Community

> Le voci che fanno notizia

76. Reportage

Edit 2025.

> Dentro la fiera che ha fatto di Napoli la voce del design indipendente

82. Nunziare Nova

> La nuova stella del sistema Nunziare

SOSTENIBILITÀ > IMPRESA > INNOVAZIONE

> Numero 16 - Anno III NOVEMBRE 2025 - GENNAIO 2026

Testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Napoli Nord n° 56 del 9/9/2022

EDITORE

> Yari Cecere - Cecere Development srl -

DIRETTORE RESPONSABILE E PROGETTO EDITORIALE

> Daniela Iavolato

PROGETTO GRAFICO E DIREZIONE CREATIVA

> Emanuela Esposito

REDAZIONE

> Via Paolo Riverso, 57 - Aversa

STAMPA

> Tuccillo Arti Grafiche Srl - Afragola (NA)

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> notizie e idee in primo piano

01.

Energia dal deserto del Nord

La sabbia potrebbe diventare la chiave per accumulare il calore del futuro

In Finlandia è entrata in funzione la più grande batteria di sabbia del mondo , un impianto capace di trasformare l’energia rinnovabile in calore e conservarla per mesi. Nel comune di Pornainen , un grande silo d’acciaio ospita 2.000 tonnellate di pietra frantumata che vengono riscaldate fino a 600 gradi grazie all’energia prodotta da sole e vento. Quando serve, il calore accumulato viene rilasciato lentamente per alimentare la rete di teleriscaldamento cittadina.

Il sistema ha già permesso di eliminare l’uso di olio combustibile e ridurre del 60% il consumo di biomassa , con un taglio delle emissioni di CO₂ del 70% . Ma non solo: sfruttando l’energia nei momenti di minor costo, la batteria consente di abbattere fino al 30% i costi di riscaldamento , rendendo la bolletta più leggera e stabile.

Sviluppata dalla startup finlandese Polar Night Energy, questa tecnologia semplice e circolare dimostra che anche un materiale antico come la sabbia può diventare protagonista della transizione energetica

in foto > Loviisan Lämpö Sand Battery, Pornainen (Finlandia)

> © Polar Night Energy

Abitare in bambù

Il sistema modulare che salva le persone

Nel marzo 2025, un terremoto di magnitudo 7.7 ha colpito il Myanmar centrale, riducendo la città di Mandalay in macerie. A soli quindici chilometri dall’epicentro, però, 26 abitazioni in bambù costruite da Housing NOW sono rimaste perfettamente intatte.

Il progetto, sviluppato dallo studio Blue Temple di Yangon, propone un nuovo paradigma per l’edilizia di emergenza: modulare, antisismica e basso costo, pensato per offrire alloggi rapidi.

Ogni unità si realizza in meno di una settimana al costo di uno smartphone. La struttura si basa su fasci di bambù di piccolo diametro , intrecciati in una geometria che distribuisce i carichi sismici e consente infinite variazioni di disposizione e facciata.

Le famiglie partecipano attivamente all’assemblaggio, guidate dal team tecnico di Housing NOW, trasformando il cantiere in un luogo di formazione e cooperazione comunitaria

Il terremoto ha confermato la solidità del modello: queste case leggere e flessibili offrono resilienza e dignità su larga scala , in un Paese dove costruire in modo sicuro è ancora un privilegio.

foto > © Aung Htay Hlaing

Aquellum, la città invisibile

Nel deserto saudita un esperimento per vivere nel futuro o per sopravvivere al futuro?

Lungo la costa del Golfo di Aqaba, in Arabia Saudita, è in costruzione Aquellum , una città nascosta all’interno di una montagna che si apre sul mare.

Fa parte di NEOM , il mega-progetto voluto dal principe ereditario Mohammed bin Salman per reinventare il modo di abitare nel deserto. Firmato dallo studio tedesco LAVA – Laboratory for Visionary Architecture , con le opere geotecniche realizzate da Limak , Aquellum spinge l’idea di sostenibilità ai suoi limiti più estremi.

La città si raggiunge solo dal mare, attraverso una marina galleggiante e un tunnel scavato nella roccia.

È un viaggio fisico e simbolico: ci si “immerge” letteralmente nella montagna per entrare in un mondo sotterraneo fatto di hotel, residenze, spazi culturali e centri di ricerca , interamente digitalizzati.

Secondo la narrazione ufficiale, costruire sotto anziché sopra significa preservare il paesaggio naturale e sfruttare la temperatura stabile del sottosuolo per ridurre i consumi energetici . Un esperimento di architettura invisibile che punta a un impatto visivo nullo e a un controllo climatico totale in un contesto desertico estremo.

Ma non tutti leggono Aquellum come un’utopia verde.

Secondo diversi analisti e think tank americani , la scelta di costruire città invisibili, parzialmente sotterranee e schermate da montagne lungo il Golfo di Aqaba non sarebbe casuale . Tre elementi alimentano questa interpretazione:

> la collocazione strategica , vicina a Israele, Egitto e Giordania, in una delle aree più sensibili del Medio Oriente; > le infrastrutture blindate e autosufficienti , pensate per isolarsi in caso di crisi e dotate di propri sistemi di aria, acqua ed energia;

> la tendenza crescente nei Paesi del Golfo verso una “safe architecture” , progettata non solo per resistere al clima estremo ma anche per garantire sopravvivenza e continuità operativa in caso di guerra o disastri naturali.

Aquellum si presenta così come un paradosso del nostro tempo: un’architettura che promette di proteggere la natura , ma che forse nasce - più profondamente - per proteggere l’uomo da se stesso. render

REGGIA DI CASERTA UN’ANNATA DA RE

C’è stato un tempo in cui la Reggia di Caserta era un monumento bellissimo, ma distante. Nel 2025 è arrivata la sua consacrazione: tra mostre, restauri e concerti è di nuovo il cuore pulsante della città.

ICONA 2025

entrare oggi alla Reggia di Caserta conferma i feedback di tanti visitatori che ne raccontano il miglioramento: non è più solo un polo monumentale, ma un luogo vivo come non mai. I viali del Parco Reale, restaurati negli ultimi anni, offrono un colpo d’occhio rinnovato; le fontane funzionano a pieno regime e le mostre ospitate nelle sale hanno riportato il complesso al centro dell’attenzione culturale.

MERITO DI UNA GESTIONE CHE FUNZIONA

Dal 2016 la Reggia di Caserta, patrimonio UNESCO e una delle residenze reali più imponenti al mondo, è un museo autonomo, con direzione e strategia proprie. Sotto la guida di Tiziana Maffei, il complesso ha puntato su aperture straordinarie per ampliare i pubblici, su una programmazione culturale di qualità che spazia dalla lirica alla danza, sull’apertura dei cantieri e sul restauro degli spazi storici per restituire

valore al patrimonio. A questo si è affiancata l’innovazione digitale, con nuovi percorsi e strumenti di visita che hanno reso l’esperienza più accessibile e coinvolgente.

Il risultato è un museo più vicino alle persone e una città che torna a identificarsi nel suo simbolo, con flussi turistici cresciuti a doppia cifra negli ultimi anni.

MOSTRE E CONCERTI CHE HANNO LASCIATO IL SEGNO

Se i numeri raccontano l’attrattività del complesso, il calendario culturale spiega perché.

Nel 2025 la Gran Galleria ha ospitato Metawork di Michelangelo Pistoletto, un’esposizione che ha portato un messaggio di sostenibilità e rinascita collettiva.

A seguire, nel Teatro di Corte, la mostra Abisso del norvegese Per Barclay ha trasformato lo spazio in

> Teatro di Corte
> Metawork di Michelangelo Pistoletto

un’installazione immersiva, mentre nel Vestibolo

Superiore ha trovato posto Perduranza di Apo

Yaghmourian, offrendo una riflessione sulla memoria e sul tempo.

E ora l’attesa è tutta per Regine: trame di cultura e diplomazia tra Napoli e l’Europa, la grande esposizione di dicembre che porterà oltre cento opere da musei italiani e internazionali per raccontare il

> Perduranza di Apo Yaghmourian

ruolo delle sovrane borboniche nella politica e nella cultura dell’epoca.

LA MUSICA NEL PALAZZO

La musica è stata protagonista con la IX edizione di Un’Estate da Re, che ha trasformato i cortili storici

della Reggia in palcoscenici sotto le stelle: Toni

Servillo ha aperto la rassegna, Daniel Oren ha diretto

La traviata, Nicoletta Manni ha incantato nel gala di danza ed Edoardo Bennato ha chiuso con un concerto sold-out.

Accanto ai grandi eventi di musica colta, il 2025 ha

visto la Reggia diventare scenario anche per la musica pop e rock: il concerto di Ligabue, ospitato in Piazza Carlo di Borbone, di fronte alla Reggia, ha radunato circa 36.000 persone, trasformando la piazza in una grande arena sotto le stelle. Nella stessa stagione sono arrivati sul palco anche Giorgia, Francesco De Gregori, Gianna Nannini e Tananai, portando in città un pubblico trasversale e consolidando Caserta come polo musicale di riferimento per il Centro-Sud, con il coinvolgimento dei comuni limitrofi per la buona riuscita degli eventi.

Parallelamente, la rassegna Reggia in Musica ha riportato i concerti nella Cappella Palatina, offrendo al pubblico serate dedicate al barocco e al repertorio cameristico napoletano.

> LA REGGIA IN NUMERI

Con le sue 1.200 stanze, 44.000 metri quadrati di superficie, 1.742 finestre, 34 scale e 1.026 camini, la Reggia di Caserta resta il più grande palazzo reale del mondo. Un’opera che continua a stupire oltre due secoli dopo la sua costruzione e che nel 2025 ha registrato oltre un milione di ingressi, confermandosi – subito dopo Pompei – il principale attrattore culturale della Campania e un potente motore per l’economia cittadina.

Fonte: Reggia di Caserta / MiC – Dati ufficiali 2025

> Il bagno di Venere al Giardino Inglese

CANTIERI, RESTAURI E NUOVE APERTURE

Il 2025 è stato l’anno dei cantieri diffusi e delle restituzioni. Gli interventi sulle facciate, sulle fontane e sugli spazi interni hanno riportato il complesso all’eleganza originaria.

Il momento più significativo è stato quello delle Giornate Europee del Patrimonio, che hanno aperto per la prima volta al pubblico i cantieri della Peschiera Grande e del Giardino Inglese, presentato gli atti del convegno Il Cantiere dei cantieri e svelato la Sala delle Guardie del Corpo dell’Appartamento della

Regina, riportata alla sua altezza originale dopo la demolizione di un solaio novecentesco di 336 mq. Nella stessa occasione è stata inaugurata anche la Sala della Gloria, terzo ambiente restaurato dell’Appartamento della Regina, completando un importante capitolo di recupero architettonico.

La stagione delle riaperture si era aperta già il primo giugno con l’inaugurazione dell’ex Casa di Guardia di Ercole, una piccola masseria all’inizio della

Via d’Acqua, trasformata in punto di accoglienza green grazie al progetto delle Serre di Graefer. Qui i visitatori possono acquistare piante storiche coltivate nel Giardino Inglese e gadget del Museo: un modello innovativo di partenariato pubblico-privato per la gestione del verde storico, il primo in Italia.

> Sala delle Guardie ph > © YAROSLAV ROMANENKO
> Dettaglio decorazioni Letto di Francesco II

> Via d'Acqua

PNRR: IL FUTURO DELLA VIA D’ACQUA

Il 2025 ha segnato la pubblicazione del quarto e ultimo bando PNRR per la Reggia di Caserta, dedicato al restauro, recupero e valorizzazione della Via d’Acqua del Parco Reale.

L’intervento comprende il restauro delle fontane di Venere e Adone, di Cerere, di Eolo e dei Delfini con le relative gallerie, il Torrione e i percorsi laterali, il riadeguamento dei meccanismi idraulici e il ripristino dell’illuminazione, per restituire ai visitatori un percorso sicuro e spettacolare fino alla cascata.

Questo appalto chiude un ciclo di investimenti da 25 milioni di euro, avviato per le sorgenti del Fizzo, l’Acquedotto Carolino, il nuovo sistema di irrigazione, il Bosco storico e la Reale Tenuta di San Silvestro: un piano strategico che doterà la Reggia di uno strumento di gestione programmata per il suo patrimonio vegetale, scultoreo e architettonico e che garantirà, nei prossimi anni, una fruizione più sicura e un sistema di conservazione a beneficio delle generazioni future.

VERSO IL NATALE

Come ogni anno, la Reggia di Caserta si prepara a celebrare il Natale con un cartellone di appuntamenti che trasformeranno il complesso in un luogo ancora più suggestivo. Tradizionalmente il programma prevede concerti in Cappella Palatina, aperture straordinarie serali degli Appartamenti Reali, mostre tematiche e percorsi guidati per famiglie, accompagnati da un’illuminazione scenografica che rende magico il Parco Reale. Il calendario dettagliato delle iniziative è disponibile sul sito ufficiale reggiadicaserta.cultura.gov.it.

> Nel 2025 la Reggia ha confermato la sua doppia natura: patrimonio artistico e motore di sviluppo. Attira visitatori, muove l’economia, favorisce la rinascita del centro storico e regala a Caserta un nuovo slancio di vitalità.

IL MOTORE DI CASERTA

Definire la Reggia di Caserta un “motore” non è retorica.

«La Reggia è un bene vivo, un cantiere permanente che restituisce spazi alla collettività e genera valore per l’intero territorio», ha ricordato più volte nel 2025 la direttrice Tiziana Maffei.

Questa visione ha trasformato la Reggia in un catalizzatore di energie: non solo museo, ma volano per il turismo, per il commercio locale e per la rigenerazione urbana.

> Le fonti di questo articolo : Reggia di Caserta / MiC – Comunicati stampa 2025, PNRR Cultura, Invitalia, SCABEC

La nuova stagione di Caserta non si ferma alle mura borboniche, passa anche da progetti pubblici e privati che investono nella qualità edilizia e nel recupero del tessuto urbano. In questo scenario si inserisce Nunziare Caserta, il nuovo intervento residenziale di Cecere Management che, accanto all’ingresso dei Giardini vanvitelliani e in asse con il Palazzo Reale e il Giardino Inglese, porta nel cuore della città un modello abitativo sostenibile e contemporaneo.

NUNZIARE UN NUOVO PROGETTO NEL CUORE DI CASERTA

> In via Tanucci 11, là dove il tessuto urbano incontra il Parco Reale, è stato avviato il primo cantiere firmato Nunziare Luxury Projects , la linea residenziale di Cecere Management dedicata a un abitare di qualità. L’iniziativa introduce un modello che unisce posizione strategica, qualità architettonica e sostenibilità ambientale , collocandosi in uno degli indirizzi più centrali e prestigiosi del capoluogo.

MEMORIA E INNOVAZIONE

Il tratto distintivo di Nunziare Caserta è il recupero della facciata storica. Un modello di rigenerazione rispettosa che non demolisce ma restaura, restituendo alla città la facciata d’epoca e mantenendo viva la memoria del luogo, in armonia con il tessuto architettonico di via Tanucci.

Dietro di essa nascerà il primo edificio in biomattone di canapa certificato Biosafe realizzato in città: un materiale naturale che garantisce isolamento termico, comfort e qualità dell’aria interna.

Completamente full electric, privo di allacciamento al gas e dotato di pompe di calore di ultima generazione, l’edificio è progettato come Nearly Zero Energy Building (nZEB), con consumi fino al 90% inferiori rispetto alle costruzioni tradizionali e in linea con le direttive europee sulla decarbonizzazione.

Il complesso comprende 10 residenze esclusive distribuite su quattro livelli, pensate per rispondere alle esigenze di famiglie e professionisti:

> Attici panoramici con solarium e possibilità di piscina privata.

> Appartamenti con logge e terrazze vivibili, per chi ama vivere lo spazio esterno.

SPAZI A MISURA DI PERSONE

> Soluzioni al piano terra con giardini privati, per chi desidera un contatto diretto con il verde.

Tutte le unità offrono metrature generose e la possibilità di personalizzare gli interni, scegliendo materiali e finiture per creare la propria casa su misura.

UN EDIFICIO TECNOLOGICO E CONNESSO

Nunziare Caserta integra un’autorimessa automatizzata con box privati e accesso tramite riconoscimento targhe, oltre a spazi a uso ufficio al piano terra che riportano funzioni attive nel centro città.

Un progetto che guarda al futuro, coniugando comfort, mobilità intelligente e innovazione.

VISIONE E FUTURO

Con questo intervento, Cecere Management - da oltre 35 anni nell’edilizia residenziale di alta gamma -, consolida la presenza del marchio Nunziare Luxury Projects anche a Caserta, confermando una visione chiara: non solo costruire abitazioni, ma contribuire alla valorizzazione e alla rigenerazione urbana.

> I RENDER RACCONTANO GIÀ LA VITA DI DOMANI

Le immagini di progetto, che pubblichiamo in anteprima, mostrano logge soleggiate e interni di charme : spazi pensati per chi immagina un futuro fatto di luce, benessere e relazioni. L’intervento restituisce valore a via Tanucci, ridisegnando un isolato che per anni era rimasto segnato da due edifici abbandonati.

Scopri di più su Nunziare Caserta Via Tanucci 11 - Caserta info@ceceremanagement.it www.ceceremanagement.it

> Dentro i migliori progetti, idee e iniziative… in giro per il mondo!

Dal cartongesso al Breathaboard

> Come una startup britannica sta trasformando uno dei materiali più inquinanti dell’edilizia

decarbonizzare l’edilizia non è più una scelta ma un imperativo. Per capire come farlo, ogni tanto, ci piace guardare anche alle soluzioni più ingegnose sperimentate nel resto del mondo. Una, in particolare, ci ha colpito: quella che punta a trasformare il cartongesso - materiale onnipresente ma ad alto impatto -, in un alleato della lotta al cambiamento climatico. Ma procediamo con ordine…

Nessuno ci pensa mai, eppure il cartongesso è il grande invisibile delle nostre case. È nelle pareti, nei controsoffitti, negli uffici, nelle scuole e negli ospedali. È economico, versatile e veloce da installare. Ma dietro il suo aspetto, apparentemente innocuo, si nasconde un problema ambientale enorme: nel solo Regno Unito l’uso di pannelli in cartongesso è responsabile di circa il 3,5% delle emissioni di gas serra

Il grosso dell’impatto del cartongesso avviene ancora prima che arrivi in cantiere: oltre due terzi delle sue emissioni si producono nella fase di lavorazione, quando il gesso viene estratto e cotto ad alte temperature. E l’impatto continua anche dopo l’utilizzo perché i pannelli sono difficili da riciclare Contaminati da vernici, colle e altri materiali, nella maggior parte dei casi, finiscono in discarica, dove possono persino rilasciare gas nocivi.

In un settore che produce oltre un terzo delle emissioni globali di CO2, il cartongesso è dunque un “nemico silenzioso”. Un materiale che ha avuto un successo planetario ma che, senza alternative sostenibili, rischia di compromettere ogni sforzo di decarbonizzazione.

CAMBIARE LE REGOLE DEL GIOCO

Trovare un’alternativa non è semplice: significa intervenire su una delle filiere più radicate dell’edilizia, garantendo prestazioni tecniche equivalenti, compatibilità con i sistemi di posa esistenti e costi competitivi.

Da questa sfida, nel cuore di Bristol, a pochi chilometri dal campus dell’Università di Bath, è nata Adaptavate, una delle realtà più visionarie dell’edilizia sostenibile europea, il cui obiettivo è tanto semplice quanto radicale: combattere il cambiamento climatico attraverso i materiali da costruzione.

Per riuscirci, Adaptavate ha scelto la via della ricerca condivisa, stringendo una collaborazione stabile con l’Università di Bath, centro di eccellenza britannico per l’innovazione nei materiali. È qui che si è affinata la tecnologia che ha portato alla nascita di “Breathaboard”, il cartongesso che cattura la CO2.

BREATHABOARD SEMBRA UNA LASTRA CONVENZIONALE, MA HA UN’ANIMA DIVERSA.

Realizzato con materiali naturali e scarti agricoli, è capace di immagazzinare più CO2 di quanta ne produca durante la sua vita.

I ricercatori dell’Università di Bath hanno analizzato la microstruttura del pannello, ottimizzandone la resistenza e le prestazioni igrotermiche, e lo hanno confrontato con le lastre tradizionali attraverso test standard di flessione, taglio e impatto.

Il risultato? Tamponamento dell’umidità fino a cinque volte superiore, conduttività termica più bassa e, di conseguenza, ambienti più confortevoli e minori consumi energetici per riscaldamento e raffrescamento.

> Breathaboard, il pannello che “respira”

Un nome che dice tutto: un materiale che lascia traspirare le pareti, regola l’umidità e contribuisce al comfort indoor. Un pannello che non si limita a dividere gli spazi, ma contribuisce al benessere di chi li abita.

PRONTO PER IL CANTIERE

Uno dei punti di forza di Breathaboard è la sua compatibilità con la filiera esistente: può essere installato con le stesse tecniche del cartongesso tradizionale. Questo elimina una delle principali barriere all’adozione di nuovi materiali e apre un nuovo capitolo.

OLTRE I PANNELLI

Adaptavate, infatti, non si limita a reinventare il cartongesso: il suo lavoro prosegue anche sulle finiture interne. Il primo prodotto sviluppato è stato Breathaplasta, un intonaco naturale ad alta traspirabilità che riduce muffe e condensa, migliorando la qualità dell’aria interna.

Oggi la startup lavora a una nuova frontiera: intonaci autoriparanti in grado di chiudere autonomamente microfessure e crepe. Non una novità assoluta nel settore, che da anni sperimenta calcestruzzi autorigeneranti, ma un passo in avanti importante perché porta questa tecnologia nelle finiture interne, integrandola con materiali carbon-negative.

Un primo test è stato realizzato a Londra, negli spazi di Sustainable Workspaces, un coworking interamente pensato per ospitare imprese green: qui gli intonaci di Adaptavate hanno mostrato la capacità di migliorare la qualità dell’aria e di autoripararsi nel tempo, riducendo i costi di manutenzione.

LA FORZA DELLA RICERCA

Uno dei segreti del successo di Adaptavate è il suo legame con il mondo accademico. Oltre ai progetti di ricerca applicata, l’azienda finanzia un PhD industriale con il Centre for Doctoral Training in Green Industrial Futures, che coinvolge anche Imperial College London e University of Sheffield. Questo approccio consente di trasformare in tempi rapidi i risultati di laboratorio in soluzioni pronte per il mercato, creando un ponte virtuoso tra scienza e industria.

SFIDA

Il caso Adaptavate dimostra che anche un materiale “banale” come il cartongesso può diventare terreno di innovazione radicale. Pannelli come Breathaboard non solo riducono le emissioni, ma migliorano la salubrità degli spazi e anticipano il futuro dell’edilizia: un futuro in cui ogni parete non è solo un divisorio, ma uno strumento per rigenerare l’ambiente.

> Una tecnologia che viaggia leggera

Adaptavate punta a portare Breathaboard su scala globale non spedendo pannelli in serie, ma condividendo il proprio know-how. Il modello è quello della licenza: ogni produttore locale può replicare il pannello utilizzando le materie prime disponibili sul proprio territorio, abbattendo così anche le emissioni legate al trasporto.

foto > Sustainable Workspace

tFelsenburg, una casa sopra un’altra casa

> A Bienne (Svizzera), un ex edificio industriale ci mostra come trasformare i limiti in risorse

ra i binari delle SBB che tagliano la città di Bienne resiste un edificio singolare, l’unico ammesso nella fascia di rispetto ferroviaria.

Nato nella seconda metà dell’Ottocento come deposito vinicolo, poi trasformato in officina industriale, ostello della gioventù e infine suddiviso in piccoli appartamenti, il volume ha vissuto molte vite e conosciuto continue metamorfosi.

Oggi si rigenera ancora una volta dimostrando come riuso, autocostruzione e reversibilità possano insegnarci a ripensare l’abitare urbano.

Questa nuova fase porta un nome: Casa Felsenburg, progetto radicale e intelligente di Sara Gelibter Architecte.

> Felsenburg è un edificio che porta dentro di sé tante vite (deposito vinicolo, officina, ostello, residenza). L’intervento non cancella questa stratificazione, ma la valorizza. È un tema centrale oggi: come far vivere edifici già esistenti senza demolirli.

UN EDIFICIO STRATIFICATO

Felsenburg non è un’architettura “pura”, ma un organismo vivo che ha attraversato epoche e funzioni. La sua collocazione, incastrata tra i binari della ferrovia, ne ha segnato il destino: marginale rispetto al centro storico ma impossibile da cancellare. Nel corso di oltre un secolo, l’edificio è stato deposito vinicolo, officina industriale, ostello per giovani e infine residenza, adattata più volte attraverso interventi parziali.

Ogni cambiamento ha lasciato un segno: linee, materiali, volumetrie che raccontano un passato stratificato. È da questa condizione “ibrida” che parte il progetto, scegliendo di non cancellare la memoria, ma di trasformarla in base per un nuovo ciclo di vita.

UN TETTO CHE DIVENTA OPPORTUNITÀ

L’intervento nasce da un’urgenza: rifare un tetto compromesso da gravi difetti strutturali. Ma ciò che poteva essere un semplice lavoro di manutenzione diventa occasione per ripensare l’intero edificio. Le norme urbanistiche consentivano un innalzamento della facciata e la realizzazione di un piano aggiuntivo. Così prende forma il concetto di “casa sopra la casa”: un nuovo attico che dialoga con le proporzioni esistenti senza negarle.

Un tetto compromesso diventa occasione di rigenerazione e riuso. Un manifesto di architettura circolare che insegna a ripensare l’abitare urbano.

All’esterno, il volume sopraelevato lascia intravedere le linee del vecchio tetto, che rimangono come traccia e memoria. Le finestre rivolte ai binari vengono chiuse, mentre grandi aperture verso sud incorniciano lo scenario delle Alpi, trasformando il paesaggio in parte integrante dell’abitare.

UN CANTIERE SOSPESO

Realizzare la sopraelevazione non è stato semplice. La vicinanza ai binari impediva l’uso di gru. La soluzione è arrivata dall’alto: la nuova struttura in legno, prefabbricata off-site, è stata montata in un solo giorno con l’ausilio di un elicottero. Un gesto tecnico che si carica anche di significato: il cantiere sospeso diventa metafora del progetto stesso, capace di sollevarsi dai vincoli e trasformarli in opportunità.

> All’interno lo spazio è arioso, quasi “scenico”, con la doppia altezza, la struttura in OSB a vista, la scala a chiocciola nera che disegna un gesto leggero e contemporaneo. L’ambiente è semplice, funzionale e insieme accogliente, con dettagli “caldi” come i piani in legno e le piante, che spezzano la rigida modularità.

ARCHITETTURA CIRCOLARE

Uno degli aspetti più interessanti di Felsenburg è il suo approccio alla circolarità. Invece di demolire e ricostruire, si preserva quanto possibile. Dove si demolisce, i materiali vengono recuperati e reinseriti nel ciclo costruttivo. Il legno della vecchia struttura è riutilizzato in nuove capriate; una scala proveniente da un teatro locale è integrata negli interni; materiali temporanei smontati vengono rimontati in loco. Non si tratta di dettagli, ma di un metodo: ridurre sprechi, massimizzare risorse, prolungare la vita dei materiali. Il rivestimento del nuovo volume è in fibrocemento ondulato, materiale semplice e durevole, scelto per la sua resistenza alla polvere abrasiva dei treni e per le prestazioni acustiche.

STRATEGIE PASSIVE E MATERIALI LOCALI

Il progetto non punta a certificazioni, ma si colloca in linea con gli standard Minergie-Eco e SIA. Dettagli ermetici, isolamento compatto, predisposizione della facciata sud a futuri pannelli fotovoltaici: piccoli accorgimenti che migliorano comfort e prestazioni.

I materiali sono scelti con logica di prossimità: legno svizzero, isolamento in fibra di legno, pannelli OSB a vista che eliminano le finiture multistrato. Una serie di scelte coerenti che riducono le emissioni incorporate e rafforzano l’idea di un edificio a basso impatto.

LA FORZA DELL’AUTOCOSTRUZIONE

Un elemento distintivo è stato il coinvolgimento diretto dei committenti, una coppia di artisti. Insieme ad amici e collaboratori, hanno partecipato allo smontaggio e al rimontaggio dei materiali. L’autocostruzione non è stata solo un modo per ridurre i costi, ma un gesto che ha rafforzato il legame con la casa, trasformando il cantiere in esperienza comunitaria.

In questo processo la casa si costruisce due volte: con legno e pannelli, ma anche con i gesti e l’energia di chi la abiterà. È un approccio raro nell’Occidente contemporaneo, ma che restituisce senso di appartenenza e memoria condivisa.

UN FUTURO APERTO

Felsenburg non è un’architettura chiusa, ma predisposta al cambiamento. Le strutture modulari in legno consentono configurazioni diverse, i tamponamenti leggeri sono sostituibili, la copertura smontabile e rimontabile. L’edificio diventa così un organismo flessibile, pronto ad adattarsi ancora nei decenni a venire.

PERCHÉ CI RIGUARDA TUTTI

Perché ci interessa un progetto simile? Perché non è un esercizio di stile, ma una lezione di tecnica e realismo. Perché parla di noi: non delle solite case-icona da copertina, ma degli edifici marginali che popolano le città. Perché mostra pratiche concrete per affrontare vincoli e trasformarli in risorsa, dando risposta ai grandi temi dell’abitare contemporaneo: sostenibilità, riuso, efficienza.

Il progetto ha evitato la demolizione, mantenendo circa il 70% della struttura in legno a palloncino e della muratura ottocentesca, e con essa il carbonio incorporato. Ha rimontato gli elementi lignei usati in cantiere in un nuovo sistema di capriate, un gesto che traduce in pratica i principi della costruzione circolare.

La nuova estensione utilizza materiali a basse emissioni - con il 40% del legno reperito localmente o riutilizzato - e adotta soluzioni “low tech” come l’uso di pannelli OSB a vista, che eliminano finiture secondarie ad alta intensità di carbonio.

Infine, l’intero volume si innesta sopra le fondazioni esistenti, senza nuove solette in cemento, tra le componenti più impattanti in termini di emissioni.

In questo senso Felsenburg insegna tre cose fondamentali:

> riusare è meglio che demolire, perché conserva energia grigia e memoria;

> la circolarità è possibile anche in un cantiere piccolo, attraverso scelte pratiche e non spettacolari;

> abitare è adattarsi, perché una casa capace di cambiare con i suoi abitanti è anche più durevole e resiliente.

In un momento in cui la “sostenibilità” rischia di restare una parola astratta, Casa Felsenburg dimostra che si può fare architettura capace di unire memoria, innovazione e adattabilità. Un modello accessibile, che non parla solo di una casa in Svizzera, ma di come potremmo ripensare le città del futuro.

> All’esterno la soprelevazione in legno con il grande fronte vetrato che incornicia la vita interna crea un contrasto fortissimo tra il paesaggio innevato e il calore domestico. Un’immagine che da sola racconta l’idea di rigenerazione e comfort in un contesto difficile.

> CASA FELSENBURG – SCHEDA PROGETTO luogo > Biel/Bienne, Svizzera

anno di completamento > 2024

architetto > Sara Gelibter Architecte www.saragelibter.ch/de

committenti > Privati (coppia di artisti)

fotografie > Cyril Käppeli

tipologia > Casa unifamiliareristrutturazione e ampliamento verticale

Il grado di civiltà di un Paese si misura osservando la condizione delle sue prigioni.

< VOLTAIRE >

Un aforisma che oggi suona più attuale che mai. Perché dietro le sbarre, nel silenzio generale, si gioca una partita fondamentale: quella del reinserimento.

In Italia, però, il carcere resta un luogo dove la speranza di ricostruire una vita si scontra con sovraffollamento, degrado e spazi che, contro ogni dovere costituzionale, sembrano fatti apposta per aggravare qualsiasi possibilità di recupero.

Eppure, rieducare conviene. Un detenuto che esce riabilitato ha molte meno probabilità di tornare a delinquere, smettendo di pesare sullo Stato, sulla sicurezza e sulla società intera.

E allora perché continuiamo a ignorare questa possibilità? Che cosa ci impedisce di investire in un carcere diverso, partendo da ciò che si può cambiare davvero?

Tra tutti gli strumenti a disposizione uno, in particolare, ha un potere enorme ma troppo spesso trascurato: l'architettura.

Perché? Che cosa può fare questa disciplina? Come può ripensare le carceri oggi? Quali modelli virtuosi osservare all’estero? E in Italia? Siamo pronti a concepire il carcere come spazio di relazione e non solo di reclusione?

Ne discutiamo in questo numero , partendo da ciò che si poteva fare e non è stato fatto.

< a cura di DANIELA IAVOLATO >

OLTRE IL MURO

CARCERE, NESSUNA RIVOLUZIONE NEMMENO CON IL PNRR

Quando il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è stato approvato, molti avevano intravisto la possibilità di una svolta anche per le carceri: più spazi, più condizioni dignitose, nuove opportunità di reinserimento. Nel 2021, a sostegno del PNRR, fu infatti affiancato il Piano Nazionale per gli investimenti Complementari (PNC), che ha destinato la somma di 132,9 milioni di euro agli “interventi di edilizia penitenziaria”, inseriti nel più ampio capitolo “Riforma della giustizia”, da utilizzare tra il 2022 e il 2026.

Tra le priorità, anche quella di rispondere alle sentenze che hanno condannato l’Italia per il sovraffollamento, imponendo indennizzi, sconti di pena e misure alternative in applicazione dell’articolo 35-ter dell’Ordinamento penitenziario, introdotto dopo la sentenza Torregiani.

Ma a meno di un anno dalla scadenza del PNRR che cosa è cambiato? Che cosa racconta la fotografia delle nostre celle? Come sono stati spesi quei soldi?

LO SCENARIO È A DIR POCO IMMUTATO.

I dati del rapporto di metà anno “L’emergenza è adesso”, redatto dagli osservatori di Antigone in seguito a un tour di 86 visite nelle carceri italiane negli ultimi dodici mesi, mostrano una situazione invariata, se non più drammatica per detenuti e operatori. Il sovraffollamento sfiora in media il 135%: il che vuol dire che per 100 posti disponibili ci sono almeno 135 persone recluse.

Al 30 giugno 2025 i detenuti erano 62.728, contro una capienza regolamentare di 51.276 posti (mille in più rispetto all’anno scorso).

In oltre un terzo dei casi, si tratta di persone collocate in celle dove non è nemmeno garantita la soglia minima dei 3 mq per persona, fissata dalla Corte di Strasburgo come limite sotto il quale la detenzione diventa “trattamento inumano”.

I fondi PNRR/PNC che avrebbero dovuto fornire una risposta a questa emergenza, secondo la relazione al primo semestre 2025 della Corte dei Conti, non sono (quasi) stati usati. La spesa pagata e certificata è molto bassa, pochi gli istituti coinvolti in lavori significativi, procedure lente e carenza di personale tecnico in un’annata che ha visto un record di suicidi.

IL SOVRAFFOLLAMENTO RESTA LA CIFRA DEL SISTEMA PENITENZIARIO ITALIANO

Il nostro Paese viene sistematicamente condannato, dai suoi stessi tribunali, per violazione dell’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Nel 2023 (ultimo dato disponibile) sono arrivate agli uffici di sorveglianza italiani 9.574 istanze per sconti di pena. Ne sono state decise 8.234 e di queste 4.731 (pari al 57,5%) sono state accolte.

L’eccedenza detentiva porta a condizioni di vita con mancanza di spazio vitale, igiene precaria e difficoltà di accesso ai servizi di base.

> Antigone è l’associazione che, dagli anni ’80, promuove il dibattito sul modello di legalità penale e processuale del nostro Paese divulgando informazioni sulla realtà carceraria nazionale.

UN PROBLEMA CHE DOVREBBE INTERESSARCI DI PIÙ.

Considerato che il carcere non è un elemento estraneo alla società, ma quasi sempre un ponte: un luogo di passaggio che, prima o poi, riconsegna le persone alla comunità.

Ciò che accade dentro quelle mura produce (sempre) delle conseguenze anche fuori. Ed è qui, laddove leggi e mentalità sono dure a cambiare, che entrano in gioco elementi facilmente “rivoluzionabili” come lo spazio, la localizzazione, il dimensionamento e il modo stesso in cui costruiamo e immaginiamo le prigioni.

Corridoi ciechi, celle sature, cortili spogli, spazi pensati esclusivamente come luoghi di contenimento e punizione passiva invalidano la funzione rieducativa propria del carcere, alimentando un senso di rabbia che poi si riverbera su tutta la società. La semplice limitazione dello spazio - che il più delle volte sconfina nell’impossibilità di soddisfare anche i

bisogni primari dell’essere umano -, non è sufficiente a una modifica del comportamento del condannato. Al contrario, spazi detentivi più dignitosi e meno oppressivi, uniti allo svolgimento di una vita improntata alla normalità e all’assunzione di determinate responsabilità - come decenni di studi in campo comportamentale e sociologico confermano -, possono produrre gradualmente un cambiamento nel comportamento, finalizzando il tempo della pena a un ritorno positivo alla libertà. Un vantaggio per chi sconta la pena ma anche per la sicurezza dell’intera collettività.

LA VIA ARCHITETTONICA

Non è un caso che negli ultimi decenni alcuni Paesi del Nord Europa, riconoscendo che l’architettura non è mai un dettaglio, ma un fattore condizionante, capace di alimentare o soffocare il percorso di rinascita, abbiano aperto la strada a un approccio diverso: la prigione come luogo di “cura”, formazione e ristrutturazione del comportamento asociale e deviato per scommettere sulla persona e sul suo rientro in società.

Gli esempi più noti sono Halden Prison e Bastøy Prison, in Norvegia, conosciuti per il loro approccio innovativo alla riabilitazione e al regime responsabilizzante per i detenuti.

La forbice tra Italia-Norvegia racconta in modo netto la distanza tra due modelli penitenziari.

Nel nostro Paese la recidiva ufficiale - secondo gli ultimi dati pubblicati dal CNEL (il Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro che promuove il progetto “Recidiva Zero”) -, sfiora il 70% , mentre in Norvegia si ferma intorno al 20% , grazie a carceri come Halden e ad altre strutture “aperte” considerate tra le più virtuose d’Europa. Qui l’equazione carcere più umano = meno recidiva trova piena conferma: qualità architettonica, normalizzazione della vita quotidiana, istruzione, lavoro, misure non detentive e un forte supporto post-rilascio rendono il ritorno al reato meno probabile.

Anche in Italia i dati cambiano quando esistono percorsi di reinserimento: tra chi lavora e mantiene relazioni positive durante la pena, il tasso di recidiva scende a circa il 30% . Ma questo presuppone spazi e strumenti adeguati all’interno degli istituti, che oggi restano largamente insufficienti.

in foto > HALDEN PRISON

Celle a carattere domestico - con bagno e luce naturale -, cucine e studi comuni, laboratori di falegnameria e musica, spazi verdi accessibili e lavoro all’aperto, riproducono le soluzioni architettoniche del mondo libero, facendo di queste carceri “le più umane del mondo”.

Il penitenziario di Halden - situato a 100 km da Oslo, è stato progettato dallo studio HLM arkitecture insieme a Erik Møller Arkitekter. L’obiettivo principale dei progettisti è stato quello di coniugare il più possibile gli aspetti legati alla restrizione e alla limitazione della libertà con quelli del mondo esterno, in modo tale da riproporre uno stile di vita improntato alla responsabilità e all’autodeterminazione. I detenuti ospitati sono impegnati durante tutta la giornata in attività lavorative o di studio e trascorrono la maggior parte del tempo fuori dalle camere di detenzione, una scelta che ribalta i vecchi principi di segregazione e sofferenza.

Non un “carcere a cinque stelle”, come è stato spesso etichettato da un certo giornalismo frettoloso, ma un penitenziario efficiente per tutta la società, con programmi trattamentali attivi e differenziati - a seconda delle esigenze di sicurezza e controllo dei soggetti più difficili e pericolosi -, mirati a contenere la recidiva.

Un’architettura che abbassa la conflittualità e incoraggia la volontà di lavorare su se stessi.

Un investimento che riduce il rischio che il reato si ripeta e che, come un boomerang, torni a colpire lo Stato e la sicurezza delle persone.

LUMÉRA

> Il primo ristorante del Sud nel carcere di Santa Maria Capua Vetere

Se c’è un progetto che prova a ribaltare l’attuale prospettiva portando l’Italia sul solco delle buone prassi nord-europee, questo è Luméra.

Il primo ristorante del Sud - e il secondo in assoluto dopo “InGalera” di Milano -, dentro le mura di un penitenziario. Un progetto in embrione, fortemente voluto da Donatella Rotundo, direttrice della Casa Circondariale di Santa Maria Capua Vetere, che nel carcere “Francesco Uccella”, punta a «creare» come spiegano nelle pagine successive Gianluca Cioffi e Michele Dovere «un luogo aperto al pubblico, capace di coniugare architettura, lavoro e reinserimento sociale».

IL CONCORSO E LA VITTORIA

La proposta nasce da un concorso nazionale di idee bandito a gennaio 2025 dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e rivolto agli studenti di architettura e ingegneria di tutte le università del Paese. L’obiettivo? Immaginare un ristorante aperto a un pubblico di cinquanta persone, capace di coinvolgere i detenuti in tutte le fasi operative.

Alla scadenza del 17 aprile sono arrivate quattro proposte, valutate da una commissione composta dalla direttrice della Casa circondariale Donatella Rotundo, dal garante dei detenuti campano Samuele Ciambriello

e dall’architetto Alessandro Ciambrone, organizzatore della competizione.

Il progetto vincitore, con il massimo punteggio per originalità, sostenibilità economica e capacità di dialogare con la riqualificazione culturale attiva all’interno del carcere è stato Luméra, elaborato dagli studenti dell’Università della Campania “Luigi Vanvitelli” sotto la guida del professor Gianluca Cioffi.

IL PROGETTO ARCHITETTONICO

Su circa 200 metri quadrati interni più un’area esterna, Luméra prevede una zona bar e accoglienza con bancone curvo in ottone e legno, una sala ristorante

modulabile fino a 50 coperti, una cucina a vista e spazi di servizio.

All’esterno, una passerella perimetrale con pavimentazione galleggiante effetto cemento - che azzera i dislivelli -, collega il corpo principale a una tensostruttura: un luogo di sosta e incontro, attrezzato con sedute coordinate e spazi verdi, pensato per essere fruibile in tutte le stagioni.

Qui il progetto ha scelto di valorizzare il grande murale di Alessandro Ciambrone - architetto, artista e curatore del concorso -, trasformandolo in sfondo visivo e parte del racconto architettonico. Il muro di cinta,

> I PROTAGONISTI DI LUMÉRA

tutor > Prof. Arch. Gianluca Cioffi

collaboratori > PhD-s Michele Dovere

PhD-s Leonardo Jr. Pagano

PhD-s Mariateresa Petino

PhD-s Noemi Scagliarini

PhD-s Marcella Zanchetta

Studenti progettisti

Emanuele Jr. Di Spirito

Vincenzo Cantone

Domenico Francesco D’Alessandro

Luigi Diana

Luigi Farinaro

Luigi Grimaldi

Michele Mangione

Impero Romano

anziché restare barriera, diventa così quinta scenica, simbolo di apertura e dialogo con la città.

IL CONCEPT PUNTA A UN’ESPERIENZA IMMERSIVA

Pavimento bicromo a motivi curvilinei, pareti e soffitto in blu profondo, lampade sospese dalle forme morbide e tendaggi retroilluminati creano una luce calda e teatrale.

PALETTE E IDENTITÀ VISIVA

La tavola di progetto rivela una vera e propria immagine coordinata: logo, pittogramma e lettering personalizzato, fino alle ipotesi di merchandising per il personale. La palette colori - blu petrolio, giallo dorato e grigio-azzurro - costruisce un ambiente elegante e contemporaneo, capace di rompere il grigiore carcerario e introdurre una dimensione di bellezza.

IL VALORE SOCIALE

Oltre la progettazione, il valore è soprattutto sociale: il ristorante sarà gestito dai detenuti, formati e coinvolti in ogni fase, dalla cucina alla sala fino alla comunicazione. Un modello che unisce formazione, lavoro e reinserimento, con l’ambizione di trasformare il carcere da luogo di separazione a spazio di dialogo con la città.

MA COME NASCE DAVVERO UN PROGETTO CHE PORTA LA CITTÀ DENTRO IL

CARCERE?

QUALI SFIDE ARCHITETTONICHE DEVE AFFRONTARE? E QUALE IMPATTO PUÒ

AVERE PER TUTTA L’UTENZA?

> Abbiamo rivolto cinque domande al professor Gianluca Cioffi , tutor del gruppo vincitore, e al ricercatore Michele Dovere . Un’intervista a due voci per farci raccontare il dietro le quinte di Luméra .

Da spazio di passaggio a luogo di relazione «Luméra nasce in uno spazio preesistente. Una zona grigia, di passaggio per i visitatori diretti ai colloqui. Servono anni per realizzare nuovi istituti, ma le persone non possono aspettare: per questo la soluzione più immediata non è costruire nuove carceri, ma ripensare quelle che abbiamo. Cambiare gli spazi per cambiare le persone è il principio guida della nuova impronta culturale e rieducativa che il carcere “Francesco Uccella” sta sperimentando».

Da che cosa siete partiti per la progettazione di Lumera?

«L’imprinting è arrivato dalla committenza. La direttrice non voleva la solita buvette per i parenti dei detenuti, ma un ristorante aperto alla città. Un luogo capace di raccontare una storia e di offrire un’esperienza diversa da qualsiasi altro locale, anche fuori dal carcere.

Abbiamo lavorato molto sulla soglia d’ingresso: volevamo che chi oltrepassa quel varco percepisse immediatamente un cambio netto di atmosfera. All’interno il tempo sembra rallentare, le voci si ovattano, lo spazio diventa quasi sospeso.

È un effetto che ricorda i film di David Lynch, ambienti in cui la realtà sembra rarefatta e, per un momento, ci si dimentica di ciò che accade fuori.

Dentro, la luce - da cui il nome Luméra - non abbaglia, ma accompagna e disvela gradualmente gli spazi, ammorbidisce i contrasti e guida lo sguardo. Questa immersione sensoriale è ciò che ha colpito la giuria: la trasformazione di un’area anonima in un’esperienza emotiva e rigenerativa».

Università e carcere: un dialogo che (finalmente) si apre?

«Gli studenti, con il loro sguardo fresco e libero da condizionamenti, sono stati fondamentali per rompere il grigiore dei progetti carcerari. Purtroppo, nelle

facoltà di architettura si parla ancora troppo poco di spazi detentivi.

Per anni le strutture penitenziarie non sono state nemmeno inserite nei piani delle opere pubbliche. I nostri istituti sono vecchi e obsoleti, non solo come infrastrutture, ma anche come idea di reclusione. Questo progetto è anche un segnale: le università possono contribuire davvero».

Sul serio l’architettura può fare la differenza tra punizione e rieducazione?

«Assolutamente sì. Non esiste ambizione rieducativa senza attenzione ai luoghi, senza un tempo detentivo organizzato e senza una prospettiva per il dopo. Chi vive in uno spazio bello e ben progettato può miglio-

rare se stesso. Al contrario, vivere in luoghi angusti, trascurati e disfunzionali, alimenta la frustrazione. Ma per cambiare davvero questi posti servono direttori illuminati, capaci di capire che l’architettura non è una cornice, ma una leva di trasformazione: definisce la quotidianità, organizza le relazioni, orienta la percezione e può persino avere un impatto sull’identità. Vale per le città, vale per le scuole, vale anche per le carceri, senza questa consapevolezza il carcere resta solo un contenitore di corpi, non uno spazio di rieducazione».

Luméra ha portato la progettistica carceraria a un livello “up” inserendo nella sua dimensione anche il linguaggio dell’arte. Qual è il suo ruolo in un progetto come questo?

«È un merito della committenza. Il carcere di Santa Maria Capua Vetere è già aperto a questo linguaggio, con laboratori che coinvolgono regolarmente detenuti e detenute. Qui l’arte non è semplice decorazione, ma parte di un processo che rende lo spazio vivo, stimola emozioni e diventa essa stessa strumento di rieducazione e speranza».

Che cosa ha significato a livello personale progettare un ristorante “dietro le sbarre”?

«Per noi è stata un’esperienza formativa e potente. Vedere lo spazio dei colloqui, grigio e spoglio, trasformarsi in un luogo di bellezza e incontro è stato un esercizio di responsabilità civile oltre che di architettura. È la dimostrazione che si può costruire un’altra idea di carcere: più aperta, più umana, capace di restituire alla società persone pronte a ripartire».

WOW

Il Mio Mediterraneo, Antonio Di Maro x Magliocco Tappeti. Un mare che unisce, più che dividere. Con la collezione Il Mio Mediterraneo , l’architetto Antonio Di Maro - originario di Aversa -, traduce la sua personale geografia emotiva in tre tappeti dedicati a Capri, Sidi Bou Said e Santorini . Tre luoghi simbolici del Mediterraneo diventano trame, colori e superfici: le curve dei faraglioni, le architetture bianche e blu, la luce zenitale dell’Egeo. Realizzati per Magliocco Tappeti , questi manufatti evocano un Mediterraneo vivo e intrecciato, dove memoria e contemporaneità dialogano attraverso la materia. Ogni tappeto è un frammento di viaggio, un intreccio tra il sapere artigiano napoletano e la tradizione nepalese della tessitura. (Visti a Edit Napoli) www.tappetimagliocco.it

Vasame ( mucho ) by Roberto Marone. Vasame, baciami. Ma anche: incontrami, riconoscimi, raccontami.

In un mondo saturo di oggetti,  Vasame  restituisce al design la sua parte più umana, passionale e giocosa. Dietro ogni vaso c’è un volto, una storia, un carattere. Alcuni ricordano pescatori, altri donne danzanti o anziani dal profilo antico. Tutti nascono dalla stessa materia primordiale: la  terracotta crud a, nuda, mai smaltata.

Il progetto di  Roberto Marone  trasforma la terra in linguaggio e la forma in emozione: un gesto d’amore verso la manualità, un ritorno alla semplicità originaria da cui veniamo -  terra, cielo e piante (Visti a Edit Napoli)  www.vasame.life

PH > © DARIO TUCCI

Corn Reborn. Dagli scarti delle pannocchie nasce una collezione che unisce gesto agricolo e design. Le  Corn Dolly Slippers  di  Darya Malesic  reimmaginano la buccia di mais - un sottoprodotto naturale - in raffinate  pantofole intrecciate a mano, realizzate con le stesse tecniche tradizionali dei cesti rurali. (Viste a Edit Napoli) www.darjamalesic.net

> Indirizzi da segnare in agenda. Persone e luoghi, angoli di lusso, sguardi stretti su dettagli che fanno tendenza, libri e designer, fiere e mostre, case con dosi “hot” di ispirazione, architetture straordinarie, interior e materiali ma anche… retail design, hotel ed eco-rifugi, spazi di gusto, di svago e di benessere, giardini fioriti e frivolezze per planare leggeri sulla vita. Radar è un rilevatore di bellezza, la nostra personale selezione di tutto quello che fa bene agli occhi e per questo merita, qualche volta, uno strappo alla regola.

> segnalalo a: redazione@nunziare.it

R A D A R R A D A R R A D A R R A D A R R A D A R R A D A R R A D A R

GIARDINO MEDITERRANEO DI GIORNO, BAR TEATRALE DI NOTTE

UN EX DEPOSITO FERROVIARIO DIVENTA

GOURMET DI MILANO

C’è un nuovo indirizzo da segnare in agenda. A Milano, tra i binari dismessi dello Scalo Farini, ha aperto Casa Giardino: un ristorante italiano che trasforma un ex deposito ferroviario in un’oasi verde e conviviale. Il progetto, firmato dall’architetto Claudio Larcher, conserva l’anima industriale dell’edificio e la arricchisce con una terrazza en plein air e un giardino interno di 400 mq popolato da piante e ulivi, in un’atmosfera mediterranea e inaspettata nel cuore della città.

Accanto al ristorante, la sorpresa: uno speakeasy dai toni rosso e blu, arredato con pezzi Natuzzi, che richiama scenari teatrali e apre a una nightlife più giocosa ed espressiva. Un doppio volto, tra natura e design, che rende Casa Giardino un indirizzo da vivere a ogni ora.

foto courtesy > © Mandarin Oriental Hotel Group – Talea by Antonio Guida, Emirates Palace, Abu Dhabi

Per chi trascorre le feste tra Dubai e Abu Dhabi ma non rinuncia al piacere della cucina italiana, Talea by Antonio Guida è l’indirizzo giusto.

Situato all’interno dell’Emirates Palace Mandarin Oriental, il ristorante si inserisce nell’architettura monumentale progettata dallo studio WATG Architects, reinterpretandone la classicità con un design più contemporaneo e luminoso.

Firmato dallo chef due stelle Michelin Antonio Guida, Talea porta negli Emirati la filosofia della Cucina di Famiglia: una cucina autentica, elegante e senza eccessi, guidata dal suo allievo Luigi Stinga

Un’esperienza che unisce gastronomia e design, perfetta per chi ama mangiare bene in luoghi che appagano anche gli occhi.

TALEA BY ANTONIO GUIDA IL GUSTO ITALIANO NEL CUORE DELL’EMIRATES PALACE
foto > © PAOLO RIOLZI

OLM

L’ANTI-HOTEL CHE RISCRIVE LE REGOLE DELLE VACANZE

Avveniristico, ecologico e circolare. Nel cuore della Valle

Aurina, in Alto Adige, l’indirizzo da segnare in agenda per la tua settimana bianca è OLM Nature Escape: un luogo che si definisce “anti-hotel”, dove non ci sono orari né obblighi, solo libertà. Progettato da Andreas Gruber Architects, è un edificio circolare rivestito in legno di larice, autosufficiente grazie a fotovoltaico e geotermia, certificato GSTC per il turismo sostenibile.

Le 33 ApartSuite, di cui 25 con sauna privata, sono rifugi intimi e indipendenti: qui ognuno può vivere il proprio tempo senza vincoli, tra autonomia quotidiana e silenzio rigenerante.

Il design minimalista elimina il superfluo, lasciando spazio all’essenziale.

All’esterno, un laghetto naturale balneabile completa l’armonia tra architettura e paesaggio.

Forse il vero lusso di OLM è proprio questo: l’assenza.

Di orari, di convenzioni, di rumore. Un invito a riscoprire la libertà come condizione permanente.

ph > © MARCO ZANTA

DESIGN DAL MONDO

ph > © Niamh Barry Photography

POUTx

LA CLINICA CHE SEMBRA UN SET FUTURISTA

Nel cuore di Toronto, la clinica di iniezioni (lip filler e Botox) POUTx ridefinisce il concetto di spazio medico con un approccio estetico radicale. Firmata dallo studio canadese Author, ha vinto il premio AZURE Award 2025 for Design Excellence grazie al suo linguaggio visivo audace e contemporaneo. Pensata per migliorare e levigare l’aspetto fisico della clientela, la clinica si presenta come un’estensione della sua stessa filosofia: essere straordinaria, ma autentica. Il team ha scelto una palette ipersatura ispirata al rossetto, giocando su tonalità rosse e rosa lucide che avvolgono superfici metalliche, specchi convessi e luci al neon. L’effetto è cinematografico e vibrante, ma ancorato a una base industriale che mantiene l’ambiente funzionale e reale. Ogni cabina è dotata di una postazione infermieristica in acciaio inox, un grande specchio circolare retroilluminato e un’illuminazione chirurgica regolabile, trasformando la pratica clinica in un’esperienza immersiva di cura e performance. Non più bianco ospedaliero, ma un manifesto di libertà estetica che celebra l’individualità contemporanea, a dimostrazione che il design può essere ovunque.

Nel distretto di Daxing, a sud di Pechino, un’ex fabbrica rinasce come studio floreale d’avanguardia firmato dall’architetto Fangwei.

Only Flower è un laboratorio di 280 mq e un cortile di 180, dove natura e tecnologia dialogano per dare vita a un nuovo modo di vivere l’arte floreale.

All’interno, pareti curve in mattoni rossi e vetro si alternano a texture morbide e vegetazione rigogliosa, creando un set giunglesco.

Ma la vera innovazione è invisibile: dietro le pareti si nasconde un sofisticato sistema di raffreddamento a intercapedine che garantisce la freschezza dei fiori.

L’aria fredda viene immessa all’interno di una cavità tra i mattoni di vetro e i vasi, scorrendo lungo tutta la parete e raggiungendo ogni contenitore attraverso piccoli fori di ventilazione nascosti. In questo modo, ogni fiore riceve una temperatura controllata e costante, come in una serra naturale capovolta.

Sul retro, la struttura si completa con un magazzino refrigerato per la conservazione a lungo termine: un giardino che vive di luce e aria, dove architettura e tecnologia diventano parte del respiro dei fiori.

TESORI DEI FARAONI

DAL CAIRO A ROMA, UN VIAGGIO NELL’ANTICO EGITTO

Per la prima volta in Italia, arriva alle Scuderie del Quirinale (Roma), una delle più importanti collezioni mai uscite dal Museo Egizio del Cairo: Tesori dei Faraoni

Un percorso espositivo che racconta oltre 3.000 anni di civiltà, tra gioielli, sculture, amuleti e oggetti di vita quotidiana provenienti dalle tombe dei sovrani d’Egitto.

Un viaggio nella storia e nella spiritualità di un popolo che ha trasformato l’arte in culto e la materia in simbolo d’eternità.

Un’occasione imperdibile per riscoprire, attraverso reperti originali e installazioni immersive, l’universo estetico e religioso dei faraoni.

> Dal 24 ottobre 2025 al 3 maggio 2026 info: scuderiequirinale.it

ph > © Yumeng Zhu

> Nunziarecommunity

LE VOCI CHE FANNO NOTIZIA

> Dalle conversazioni online alle pagine del giornale, Nunziare ascolta e rilancia le opinioni della sua community. In questa sezione raccogliamo i post più seguiti e i commenti che hanno fatto parlare la rete, per continuare a costruire - insieme - una comunità che pensa l’abitare.

> Punta Bianca, il concorso che divide

> Il contesto

A settembre abbiamo pubblicato il progetto firmato dall’architetto greco George Genovezos , che - pur non essendo risultato vincitore - ha trovato ampio spazio sui media internazionali. L’opera, tra i finalisti del concorso lanciato da TerraViva Competitions per la valorizzazione di Punta Bianca , in Sicilia, ha acceso il dibattito su un luogo straordinario e fragile, dove si confrontano due visioni: quella della tutela paesaggistica e quella di una possibile rinascita architettonica.

> Il sentimento generale

Le reazioni degli utenti riassumono bene il contrasto tra la visione “globale” dei concorsi di architettura e la sensibilità locale verso un sito simbolico.

Mentre tra i lettori dei media esteri il progetto ha suscitato entusiasmo, sui nostri canali si è acceso un confronto animato: c’è chi teme un’alterazione del paesaggio in un’area protetta, chi ha bocciato la proposta in vetro e chi invece auspica un recupero controllato e rispettoso.

> I commenti scelti

Li abbiamo scelti perché rappresentano due voci emblematiche del dibattito: una più critica, radicata nella difesa del paesaggio, e l’altra più aperta alla sperimentazione.

Due voci diverse, ma sincere, che ci ricordano quanto ogni progetto - prima ancora di essere costruito - debba essere ascoltato.

> Il post più virale

Con 267.955 visualizzazioni · 2.663 like · 78 commenti · e 418 salvataggi è stato uno dei post più commentati del trimestre, con una valanga di opinioni spesso contrapposte. Un segnale chiaro: quando l’architettura tocca identità e memoria, non importa ciò che piace alla stampa, i progetti devono piacere a chi vive i territori.

E proprio per questo abbiamo scelto di dare spazio alle vostre opinioni: per capire cosa pensate dei progetti che pubblichiamo, per misurare il polso reale delle persone, per conoscere da vicino chi ci segue e lasciarci ispirare dai suoi spunti.

> Il meglio (e il più discusso) dai social C’è chi commenta, chi critica, chi propone. Noi leggiamo tutto. Ad ogni uscita selezioniamo i post più virali e le opinioni che hanno acceso la conversazione sui nostri canali. Un piccolo tributo a una community che ci permette di mantenere la conversazione sempre aperta.

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> EDIT Napoli 2025

> Dentro la fiera che ha fatto di Napoli la voce del design consapevole

> Mai come quest’anno valeva la pena fare un salto a EDIT Napoli , che anche in questa edizione si è confermata una piattaforma raffinata di pensiero, oltre che di esposizione.

Al centro, come di consueto, il designer-creatore - artigiano, produttore e narratore insieme - capace di scardinare la catena tradizionale di produzione e distribuzione per cercare modelli più consapevoli e relazioni dirette con la materia e con il pubblico.

L’edizione 2025 ha trovato casa a La Santissima , nel cuore dei Quartieri Spagnoli, un edificio affascinante rinato all’interno dell’ex Ospedale Militare, oggi centro di innovazione culturale e urbana.

Fondata nel 2019 da Emilia Petruccelli e Domitilla Dardi , la fiera è diventata in pochi anni un laboratorio internazionale per quella generazione di progettisti che ha scelto di unire artigianato e tecnologia, ricerca e sensibilità sociale, costruendo un modo nuovo di intendere il design contemporaneo.

lA SANTISSIMA - L’ANIMA DEL DESIGN

INDIPENDENTE

Dopo sette anni e innumerevoli sedi diffuse, EDIT è salita “sui tetti” della città, trovando nell’ex ospedale la sua nuova casa e, insieme, il proprio punto di vista simbolico.

L’ingresso alla Santissima si apriva su un blu

sospeso, un’installazione tessile di Lemonot che evocava il mare di Partenope.

Varcare quella soglia è stato come entrare in un’atmosfera rarefatta, dove il tempo rallentava e il design diventava esperienza sensoriale.

Dentro, la fiera rivelava un paesaggio di linguaggi diversi ma uniti da un filo comune: la consapevolezza della materia.

< di DANIELA IAVOLATO >

> Fondata da Emilia Petruccelli e Domitilla Dardi, la fiera –dal 10 al 12 ottobre – ha unito progettisti, artigiani e brand internazionali in un racconto diffuso tra mare, materia e città. Un viaggio nella consapevolezza del fare, dove ogni progetto riflette la vitalità di Napoli, co-autrice silenziosa dell’intera manifestazione.

ph > © DARIO TUCCI / e immagini tratte dal web per fini editoriali

A partire da Rehub Glass, startup muranese che ha brevettato un processo per rigenerare gli scarti di vetro “formalmente non riciclabili” trasformandoli in superfici per l’architettura e l’interior. Un progetto che nasce dal rifiuto ma parla di futuro: dal waste al paste, dal materiale scartato a quello che ricuce. (foto 1)

Con un tono più giocoso, IPER-collettivo ha presentato una panca scultorea dal ritmo cosmico e iper-colorato, composta da moduli in plastica rigenerata e coni tessili recuperati da filiere di scarto. Un oggetto che oscilla tra arte e ironia e riporta nel design la leggerezza del colore e l’energia del riuso. (foto 2)

Tra le pareti scrostate e gli affreschi consumati, Made of Matter - studio francese specializzato in pattern e tessuti di alta gamma - ha portato le Children’s Canopy Tents: mini-tende sospese cucite a mano, piccole architetture per l’infanzia che mescolano décor e memoria. (foto 3)

Dal Malawi è arrivata People of the Sun, progetto fondato dall’architetta Maria Haralambidou che unisce design e comunità: lampade e oggetti intrecciati da artigiane locali che restituiscono dignità al lavoro manuale e raccontano un modello di cooperazione creativa. (foto 4)

Con Ultra Functionalism, l’azienda Chroma® ha spinto verso un rigore quasi architettonico, riducendo marmi e polimeri di recupero all’essenza strutturale. (foto 5)

Shell Life ha portato il mare nel cuore della fiera, trasformando i rifiuti dei molluschi in materiali architettonici rigenerativi: un design bio-based che parte dalla riva per tornare alla riva, chiudendo il ciclo della materia. (foto 6)

Il secondo piano proseguiva con la Chair Sculpture di Andi Ranzó, una sedia-fantasma avvolta in una rete bianca, fragile e sospesa, che trasforma l’oggetto domestico in riflessione sulla memoria. (foto 7)

VYC – Vinyl Case di dla design lab ha riportato il progetto nella sfera affettiva: una consolle per giradischi elegante e rétro, pensata per accogliere la musica e la ritualità dell’ascolto. (foto 8)

Da Istanbul, Studio Lugo ha intrecciato tecniche anatoliche e forme totemiche, unendo legno tornito e fibre naturali in una narrazione che parla di tempo e cura. (foto 9)

Tra le sorprese di quest’anno, Sara Bologna con il collettivo Co/Fab, spin-off del programma di incubazione Co/Rizom.

In collaborazione con l’azienda sociale nigeriana Mitimeth, ha presentato una lampada realizzata con giacinto d’acqua essiccato e intrecciato, una pianta che soffoca gli ecosistemi e mette in crisi le già fragili economie fluviali del Lago Vittoria. Una risposta a un’emergenza ambientale trasformata in economia circolare e speranza per le comunità locali. (foto 10)

Con Sciscioré - Il gioco come gesto alpino, a cura di Anna Quinz, ventiquattro designer hanno reinterpretato la cultura montana come terreno di sperimentazione, tra ironia e artigianato. (foto 11)

«Mi auguro che Sciscioré possa attirare l’attenzione dei designer più giovani sul patrimonio di saperi artigianali delle aree montane», ha raccontato la curatrice.

Infine, Pietro Corraini, con le sue installazioni, ha ricordato che il design può essere anche gioco, partecipazione e stupore. (foto 12)

Come da tradizione, la fiera si è articolata in più sedi: Edit Fair negli spazi de La Santissima, fino alle esposizioni Cult nel circuito diffuso che ha coinvolto la Certosa di San Martino, Castel Sant’Elmo e Villa Floridiana, trasformando Napoli in un museo urbano del design contemporaneo. Ma è alla Santissima, cuore pulsante della fiera, che il dialogo tra design e città ha trovato la sua forma più autentica. Ogni installazione, ogni progetto sembrava dialogare con la sua luce e la sua imperfezione, respirandone l’energia vitale.

EDIT 2025 è stata molto più di una fiera: un modo di scoprire Napoli da nuove prospettive. Una città che non fa da sfondo ma che ispira, accoglie e partecipa.

Ci dispiace per quelli che non siamo riusciti a menzionare: una giornata sola non bastava per vedere tutto. Una certezza però resta: EDIT Napoli non è una fiera che espone oggetti, ma idee. Un design che nasce dal basso, fatto di materiali poveri e pensieri ricchi. Un racconto collettivo, in cui ogni gesto diventa possibilità.

NAPOLI, CO-CURATRICE SILENZIOSA

NUNZIARE NOVA

> La nuova stella del sistema Nunziare

> Una nuova stella si accende nell’universo Nunziare. Si chiama Nunziare Nova ed è la nuova linea residenziale firmata Cecere Management. Un progetto che segna un cambio di passo: affianca la linea storica Nunziare senza sostituirla, e apre la strada a interventi più ampi, immersi nel verde e pensati per favorire la socialità.

LA VISIONE

Nova nasce per chi immagina il futuro con consapevolezza.

Pensata per giovani famiglie, coppie alla prima casa, single e professionisti, questa nuova linea porta con sé la qualità progettuale, il rigore costruttivo e l’attenzione all’ambiente che da sempre contraddistinguono il DNA Nunziare, ma li traduce in un concept più vicino alle esigenze della vita contemporanea.

Supera l’idea tradizionale di condominio per abbracciare una visione di comunità: progetti più ampi, contesti integrati, parchi e spazi verdi attrezzati, servizi e aree comuni per grandi e bambini, percorsi pedonali e zone di aggregazione. Ogni intervento diventa un piccolo ecosistema urbano, dove casa e servizi convivono in armonia e il vivere quotidiano si trasforma in un’esperienza più ricca e connessa.

LA DIFFERENZA

Nunziare Nova non sostituisce la linea storica, ma la completa.

Se Nunziare continuerà a identificare progetti di nicchia, appartamenti eleganti pensati per un

pubblico che ama la riservatezza e la tranquillità, Nova guarda a interventi più ampi, inclusivi e comunitari: un nuovo modello di abitare che riflette i valori di sostenibilità, design e innovazione sociale e che contribuisce a generare valore per i territori in cui si inserisce.

Nei prossimi mesi i primi progetti saranno svelati: quartieri residenziali integrati, con parchi, spazi per il gioco e il tempo libero, servizi condivisi e soluzioni tecnologiche che migliorano il comfort e riducono i consumi.

Un modello abitativo che accompagna le persone nei loro primi passi importanti e inaugura una nuova stagione del vivere contemporaneo.

> IL SIGNIFICATO DI “NOVA”

Il nome Nova nasce da un attento lavoro di ricerca e di branding. Breve, sonoro e internazionale, richiama i nuovi inizi e l’immagine di una stella che si accende nel cielo portando nuova luce. È il simbolo perfetto per rappresentare il punto di partenza di chi sceglie la prima casa e costruisce il proprio futuro.

> RIFERIMENTI : Instagram: @nunziarenova | info@ceceremanagement.it | www.ceceremanagement.it

www.nunziaremagazine.it

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