Porta del cielo

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io benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in

esso aveva cessato da ogni lavoro che egli creando aveva fatto" (Gen 2, 3). Dall’analisi di questo passo, gli antichi commentatori della Torà svilupparono una interessante interpretazione. Poiché al settimo giorno veniva nominato il riposo di Dio, arrivarono alla conclusione che “vi è un atto di creazione del settimo giorno”, la “menuchà”, il sabato. Questa è la creazione del riposo. Ma secondo questa antica tradizione la “menuchà” non è solo il riposo, è quella esperienza di silenzio, di pace e di armonia che i Sabato (per gli Ebrei) diffonde nell’universo, consentendo quella pienezza di senso che è un’anticipazione della vita eterna. Il Santuario di San Donato in Ripacandida è questa esperienza della “menuchà”, è l’esperienza del silenzio e della contemplazione di fronte ai “mirabilia Dei”, le meraviglie del creato. “Laudato sie, mi' Signore cum tucte le Tue creature…” A Ripacandida come ad Assisi, salendo verso il Santuario, si fa l’esperienza della “menuchà”. 3


Chi viene dal frastuono alienante della città riesce a percepire in modo inequivocabile il silenzio della contemplazione di fronte ai capolavori dell’arte e della fede! Ma questo silenzio, che è anche stupore ed emozione, non è assopimento. Esso si concretizza in una sapiente e progressiva mistagogia. A Ripacandida, nel Santuario di San Donato, il pellegrino orante è condotto per mano; introdotto progressivamente nella esperienza del Mistero, attraverso un impianto iconografico sapiente e biblicamente fondato: a partire dalla “Risurrezione di Gesù” e dal “Sepolcro vuoto”, posti rispettivamente sul primo pilastro a sinistra e su quello di destra entrando in chiesa, dagli episodi del Vangelo e i Novissimi (Il Giudizio, il Paradiso, l’Inferno…), nella prima campata, fino alle storie dei Santi e alla Genesi, rispettivamente, nella seconda e nella terza campata e sulle pareti. E’ la lettura “omèga”, che solo una sapiente progettazione dell’intera chiesa poteva prevedere. Il più antico documento sul Santuario di San Donato risale ad una bolla papale di Eugenio III del 1152. 4


L’interno della chiesa è stato interamente affrescato. Si possono individuare almeno tre successivi interventi, a prescindere da quello della metà del ‘700, sull’arcone ogivale posto dell’altare, dovuto al modesto Pietro di Giampietro da Brienza: 1) il ciclo della Genesi, nella terza e nella seconda campata, dovuto probabilmente a Nicola da Novi, che firma e data nel 1513 un “Cristo in Pietà” e una “Eva impudica” nell’antico chiostro dei Minori a Senise; 2) il ciclo cristologico nella prima campata, dovuto ad Antonello Palumbo di Chiaromonte sul Sinni, lo stesso che firmò nel 1498 la “Madonna in Maestà” nella chiesa di San Francesco a Pietrapertosa; 3) il ciclo dei Santi, dovuto ad un secondo intervento di Nicola da Novi, agli inizi del terzo decennio del 1500. Fa parte di questo ultimo ciclo il capolavoro di Ripacandida, il “San Francesco che riceve le stimmate”. Ed è in questo affresco che, con gli occhi di Giotto, le mani di Nicola da Novi e il cuore di Francesco d’Assisi, la “menuchà”, la contemplazione orante delle meraviglie di Dio raggiunge il suo culmine. 5


A Ripacandida come ad Assisi. Ecco il senso profondo del gemellaggio fra le due chiese e le due comunità. Un gemellaggio che coniuga sapientemente la fede e l’arte e fa dell’artista-orante, come gli antichi iconografi bizantini, un punto di riferimento di quella catechesi perenne che la Chiesa offre ai credenti, ma anche agli scettici, perché il messaggio di Francesco d’Assisi è un messaggio che affascina tutti.

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V

archiamo la soglia di questa porta e riceviamo il primo grande annuncio: «Cristo è risorto!». Sono le due raffigurazioni, La Risurrezione di Cristo e Il Sepolcro vuoto, rispettivamente a sinistra e a destra entrando. Stupefatti dalla visione d’insieme dell’interno della chiesa, siamo spinti ad avvicinarci all’altare e lì, alzando gli occhi, ammiriamo la volta della terza campata, composta da 18 riquadri disposti su due livelli. Il primo riquadro è in alto a sinistra guardando l'altare: 1 - Dio separa la luce dalle tenebre (Gen 1, 1-4) Il gesto solenne del Creatore separa appunto la luce dalla tenebre, rappresentate dal Sole e dalla Luna. Lo Spirito in forma di colomba aleggia sulle acque, nelle quali sprofonda il caos, rappresentato da volti grotteschi con le corna. Il racconto della creazione procede sulla volta in senso antiorario, su 10 riquadri del livello più alto, che rappresentano la creazione del mondo e dell'uomo e della donna fino alla cacciata dall'Eden; poi prosegue nel livello inferiore della stessa volta con altri otto riquadri che descrivono la condizione dei progenitori dopo il peccato, fino all'uccisione di Abele e alla maledizione di Caino.

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Il secondo riquadro: 2 – Dio crea la Terra (Gen 1, 9-10) La Terra è piatta, galleggia sul mare ed è circondata dai cieli circolari. Una visione precopernicana, anzi addirittura pre-colombiana, che tende a retrodatare gli affreschi. Il creatore è rappresentato come il grande architetto dell'universo, una definizione che più tardi sarà adottata dalla Massoneria, ma che in realtà simboleggia l'ordine universale voluto dal Creatore. 3 - La creazione del degli alberi, del sole e della luna (Gen 1, 11-19) Il Creatore crea le piante e la Luna e il Sole, ne dispone il movimento intorno alla Terra con un percorso che interseca quello dei diversi cieli, quasi a voler superare il sistema tolemaico, senza tuttavia indulgere al copernicanesimo, contrario alla lettera della Scrittura, secondo la quale la Terra "in aeternum stat" , è ferma al centro dell'universo. Dio, seduto ieraticamente in trono - prevale qui 8


la tradizione sacerdotale della Genesi - è racchiuso nella Mandorla Mystica, o Vescica Piscis, che indica l'intersezione delle due sfere, il Sole e la Luna, cioè il giorno e la notte, che si racchiudono nell'Uno-Tutto. 4 - Dio crea gli uccelli e i pesci (Gen 1, 20-23) La rappresentazione ha un carattere naturalistico e leggiadro, con diverse specie di uccelli, tutti rivolti verso il Creatore, nell'atteggiamento di ricevere la Sua ua benedizione, come recita il testo biblico. I pesci invece sono rappresentati in branco, come attratti da una meta, sembra la stessa riva, dove poter essere accolti come cibo buono, anzi come il vero cibo, ΙΧΘΥΣ (Iesus Xristòs Theoù Yiòs Sotèr), il Pesce che Gesù Cristo Figlio di Dio il Salvatore. Salvatore 5 - Dio crea le bestie selvatiche (Gen 1, 24-25) Il riquadro, essenziale per impianto e simbologia, rappresenta una piccola varietà di animali, ordinati e tendenzialmente eleganti. Anch'essi ricevono la benedizione del Creatore, 9


assiso nella Mandorla sorretta da due angeli. 6 - Dio crea Adamo (Gen 1, 26; 2, 7) Anche in questo riquadro due angeli sorreggono la Mandorla nella quale è assiso il Creatore. da Lui si sprigiona un "soffio" che "anima" l'uomo, nudo, a cui le parti intime sono state ricoperte di foglie, molto probabilmente in secondo momento. Il volto dell'uomo è aggraziato e sereno, quasi ad esprimere la sua condizione di innocenza originale, quando conviveva pacificamente con gli animali feroci, come il leoncello rappresentato in alto (Is 11, 6). 7 - Dio crea Eva (Gen 2, 21-22) Il Creatore, nell'atteggiamento di una levatrice rassicurante, fa nascere Eva - nulla è impossibile a Dio - dal costato di Adamo, addormentato e sereno. Anche qui le parti intime della donna e dell'uomo sono state vistosamente ricoperte, probabilmente in un secondo momento; il seno della donna è invece nettamente visibile come a voler rappresentare la "madre di tutti i 10


viventi" (Gen 3, 2). Ma dall'alto, dietro la Mandorla, il Nemico è in agguato ed è rappresentato, come nella mitologia greca, come una donna-serpente. 8 - Il peccato di Adamo ed Eva (Gen 3, 1-6) Lo scenario è quello dell'Eden, il giardino-delizia: gli alberi pieni di frutti, con al centro l'albero della vita e l'albero della conoscenza del bene e del male; Dall'Eden escono i quattro fiumi, Pison (Gange?), Ghicon (Nilo?), Tigri ed Eufrate (Gen 2, 8-14). Il peccato è rappresentato come una disobbedienza indotta dal serpente alla donna e dalla donna all'uomo, che si schermisce, ma che, come è noto, poi cede alla tentazione. 9 - Dio rimprovera Adamo ed Eva (Gen 3, 9-13) Il rimprovero di Dio sorprende l'uomo e la donna che provano vergogna per la loro nudità hanno infatti perduto l'abito della Grazia - che tentano di coprire con foglie di fico (Gen 3, 7). (La differenza tra queste foglie e quelle dipinte nei riquadri precedenti depone a 11


favore della tesi di una successiva sovrapposizione di queste ultime.) La scena è rappresentata in modo essenziale, quasi a volerne immaginare immediatamente la conseguenza: 10 - La cacciata dall'Eden (Gen 3, 23-24) Una scena poco leggibile e certamente rimaneggiata, ma che riesce ancora a comunicare l'atm-osfera drammatica e la sensazione di angoscia che si prova nell'allon-tanarsi dalla propria casa, nel recidere le radici con le proprie origini. 11 - Il lavoro di Adamo ed Eva e 12 - La sofferenza dei Progenitori (Gen 3, 16-22) Le due scene, poco leggibili e molto rimaneggiate, il dramma esistenziale, non solo di Adamo ed Eva, ma dell'intera famiglia umana. Su di essa incombe la maledizione del peccato, e non si intravede nessuna speranza di salvezza.

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13 - Le offerte di Caino e Abele (Gen 4, 3-6) Dio gradisce le offerte di Abele ma non quelle di Caino e lo respinge. La scena è piuttosto rimaneggiata, ma presenta con efficacia la rivalità tra i fratelli e prepara al tragico epilogo della scena successiva.

14 - L'uccisione di Abele (Gen 4, 8) Un solo versetto, ma rappresentato con estrema drammaticità. La violenza del colpo fatale produce un doppio effetto: la morte di Abele e l'ascesa della sua anima verso il cielo. Una raffigurazione, quest'ultima, molto singolare, che forse è il risultato di un rimaneggiamento. 15 - Dio rimprovera Caino (Gen 4, 9-16) Come nell'analogo riquadro di Adamo ed Eva dopo il peccato, Dio irrompe nella scena quasio a sorprendere il peccatore, per chiedergli conto del suo operato. Qui gli chiede cosa ha fatto di 13


suo fratello. In effetti Dio ci rende responsabili gli uni degli altri: non dobbiamo rispondere tanto di noi stessi, ma piuttosto di quello che abbiamo fatto o non fatto agli altri. Il volto di Caino è contratto, la postura è quella del fuggitivo, l'arma del delitto è ancora nelle sue mani. Colto in flagrante, Caino non può che subire una severa maledizione. Ma paradossalmente il suo volto non è molto diverso da quello di ognuno di noi, anche da quello di chi è unanimemente ritenuto santo (il volto di Caino è infatti identico a quello di San Francesco), come a voler rappresentare una intera umanità peccatrice, che può essere redenta solo dall'opera Cristo e non da quelle degli uomini. 16 - Costruzione dell'Arca (Gen 6, 13-16) Una grandiosa scena, questa della creazione dell'Arca. Vi sono rappresentati carpentieri e maestri d'ascia con i loro attrezzi, ligi e attenti esecutori degli ordini dello stesso Noè, che sovrintende ai lavori. Il riquadro è tra quelli meglio conservati e non presenta forti rimaneggiamenti; le raffigurazioni del vestiario e degli attrezzi ci potrebbero aiutare anche a datare l'affresco. 14


17 - Ingresso nell'Arca (Gen 7, 6-9) E' certamente tra le scene più belle della chiesa di San Donato. La fedeltà al testo biblico, la cura nella rappresentazione del vestiario, delle acconciature; la varietà degli animali, che, nella parte bassa della vela, diventa una vera e propria rassegna del bestiario medievale, con la donnola o grillo gotico, l'unicorno, il leone antropomorfo, sono elementi di grande interesse. Noè sovrasta l'intera scena, come in quella della costruzione dell'Arca, e accompagna a due a due le bestie all'ingresso. I figli tra loro e le nuore con la madre conversano con un fare cortese, tipico di una corte rinascimentale. 18 - Il Diluvio (Gen 7, 17-20) Il riquadro, abbastanza deteriorato, conserva tutta la sua drammaticità, rappresentando la distruzione dell'umanità peccatrice. Una piaggia incessante, una vera e propria bomba d'acqua, è foriera di morte e distruzione. Su di essa galleggia l'Arca. Dio irrompe nella scena realizzando il suo progetto di rigenerazione dell'umanità.

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19 - La fine del Diluvio (Gen 8, 1-12) Anche questo riquadro è esemplare per la fedeltà al testo biblico: l'Arca che si posa sul monte di Ararat, il corvo e la colomba che Noè fa uscire dall'Arca, il ramoscello d'ulivo che indica a Noè la fine del Diluvio.

20 - L'uscita dall'Arca (Gen 8, 18-22) Noè, la moglie, le nuore e i figli fanno la loro offerta di ringraziamento al Signore. Una vera e propria liturgia davanti all'altare. Il mondo ha ripreso il suo corso, i pochi animali ancora smarriti sono in ancora alla ricerca di una tana. E nel cielo torna a risplendere il firmamento.

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21 - Costruzione della Torre di Babele (Gen 11, 1-4) Come nella costruzione dell'Arca, anche in questo affresco sono rappresentati carpentieri, muratori e maestri d'ascia con i loro attrezzi e con un abbigliamento interessante. Lo stesso capomastro, di dimensioni enormi rispetta tutti gli altri data la sua importanza e autorevolezza, impartisce gli ordini con determinazione e questi vengono eseguiti puntigliosamente. Un collaboratore del capomastro regge un'asticella, forse un'unità di misura, come un punto di riferimento per i manovali. 22 - La confusione delle lingue (Gen 11, 5-7) A prima vista sembra un doppione della scena precedente, ma a guardarla bene ci si accorge che è mutata la sostanza della rappresentazione. All'intesa che pre-valeva nella scena precedente si sostituisce lo smarrimen17


to, l'incomprensione fra gli artieri e fra loro e il capomastro, che pare gesticolare inutilmente. L'angelo, in alto, mandato da Dio è intervenuto per punire l'ambizione umana e ha confuso le lingue. Il peccato d'origine, quello che aveva allontanato, l'uomo da Dio, l'uomo dalla donna, il fratello dal fratello, l'uomo dalla natura, ora diviene un pandemonio, una confusione generale. 23 - La distruzione di Sodoma (Gen 19, 23-26) A Lot era stato ingiunto di non guardare indietro mentre fuggivano da Sodoma, ma la moglie di Lot disattese questo divieto e divenne una statua di sale. Una tragedia nella tragedia, e come scenario una città fortificata incendiata dalla collera di Dio, a causa delle sue scelleratezze. Il riquadro presenta notevoli manomissioni nella rappresentazione del castello e nella sua forte ricolorazione, ma mantiene intatta la sua efficace resa scenografica.

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24 - L'Angelo appare ad Abramo (Gen 12, 1-3) La pazienza di Dio è infinita e con la stirpe di Abramo prepara una nuova rigenerazione dell'umanità. Il riquadro rappresenta la vocazione e la promessa fatta Abramo. L'affresco, piuttosto essenziale nella rappresentazione, presenta alcuni segni di manomissione soprattutto nel volto dell'angelo.

25 - Il sacrificio di Isacco (Gen 22, 12-13) Ad una promessa segue la paradossale ingiunzione di sacrificare suo figlio. E Abramo, padre di ogni credente, si accinge a sacrificare il suo unigenito Isacco, che, come Cristo, è obbediente fino alla morte. Ma l'Angelo mandato da Dio sottrae Isacco al sacrificio e lo sostituisce con un montone. Un dramma a lieto fine, che è rappresentato come una scenetta bucolica.

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26 - Giacobbe carpisce la benedizione di Isacco (Gen 27, 18-29) Esaù aveva ceduto a Giacobbe la sua primogenitura in cambio di un piatto di lenticchie (Gen 25, 30-34). E Giacobbe, vantando questo diritto e appoggiato dalla madre Rebecca, chiese ed ottenne la benedizione dal padre Isacco, vecchio e cieco, ma con l'inganno, fingendosi Esaù. Il riquadro rappresenta questo inganno: Esaù che è a caccia e Giacobbe che, complice la madre, carpisce la benedizione di Isacco. L'affresco sembra conservato molto bene, nei disegni e nei colori. 27 - Esaù chiede la benedizione ad Isacco (Gen 27, 30-33) Esaù ritorna dalla caccia e offre ad Isacco il suo piatto preferito, ma Isacco si schermisce, riferendo di essere stato raggirato da Giacobbe. Ma ormai la benedizione al falso primogenito non si può ritrattare. Il riquadro è lacunoso nella parte che certamente rappresentava Giacobbe in fuga. Per il resto si presenta in buone condizioni. 20


28 - Il sogno di Giacobbe e la lotta con l'Angelo (Gen 28, 10-22) Il riquadro raggruppa due episodi analoghi perché rappre-sentano l'incontro di Giacobbe con Dio. Il primo è un sogno: gli angeli salgono su una scala verso il cielo e Dio gli rinnova la promessa fatta a suo padre Abramo. E' in questa occasione che Giacobbe esclama: «Quanto è terribile questo luogo! Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo» (Gen 28, 17). La seconda scena racconta della lotta di Giacobbe con l'Angelo (Gen 32, 25-33). Nell'affresco la lotta, che in effetti è benefica per Giacobbe, perché è l'incontro con Dio, si trasforma in un abbraccio. 29 - Giacobbe accolto da Labano (Gen 29, 13-14) Dallo zio Labano Giacobbe è accolto con l'impegno di sposare Rachele dopo sette anni di lavoro per Lui; ma Labano, ligio alla tradizione, con l'inganno gli diede in sposa Lia, la figlia maggiore.

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30 - Matrimonio di Giacobbe e Rachele (Gen 29, 27-30) Dopo altri sette anni di lavoro per lo zio Labano, Giacobbe finalmente ottiene in sposa l'amata Rachele. Il riquadro ha un impianto curato nelle proporzioni e nella prospettiva. Una bel rito nuziale, con tanto di celebrante, testimoni e stretta di mano. 30a - Scimmia che beve un uovo (?) Una strana rappresentazione, sulla quale si possono fare, a mio parere, solo supposizioni, sia pure suggestive. Una potrebbe essere questa: l'uomo, con il peccato, si trasforma in una bestia che beve un uovo, cioè distrugge la vita. Ma è solo una ipotesi suggestiva. 31 - Fuga di Giacobbe e riappacificazione con Esaù (Gen 33, 1-4) Una grandiosa e composita raffigurazione. Sulla sinistra le due mogli di Giacobbe, Lia e Rachele, con i loro figli e il seguito. A destra campeggia l'abbraccio di Giacobbe ed Esaù, con sullo sfondo eleganti cavalli e 22


cavalieri. In basso le greggi e gli armenti, governati dai pastori e vigilati da un suonatore di zampogna, una figura che è poi ripetuta nella riquadro della Natività. La scena, affollata di personaggi e di animali, è in parte manomessa dalla ridipintura, ma rivela chiaramente la impostazione a piani sovrapposti ed il gusto da scenetta popolare che accoglie anche il grazioso e l'aneddotico, mentre sconfina nel leggendario. 32 - Il sogno di Giuseppe (Gen 37, 5-10) Il riquadro è diviso in due parti e rappresenta, a destra, il sogno dei covoni, a sinistra il racconto che Giuseppe fa del suo sogno al pa-dre Giacobbe e ai suoi fratelli. Curiosamente, qui in tutto i figli di Giacobbe sono undici e non dodici. Forse manca Ruben, cioè il fratello che poi salverà Giuseppe dal pozzo? E' una supposizione. 33 - Giuseppe calato nel pozzo (Gen 37, 23-25) Qui i fratelli sono in tutto dodici. Ed è proprio Ruben che suggerisce di non ucciderlo, ma di lasciarlo morire nella cisterna. Aveva infatti intenzione di salvarlo, infatti la cisterna era vuota. L'affresco

ha

un'impostazione 23


essenziale ma è in buone condizioni. 34 - Giacobbe si dispera per la morte di Giuseppe (Gen 37, 31-34) La disperazione di Isacco è rappresentata in modo efficace. Gli vengono presentate le vesti insaguinate di Giuseppe, che cosÏ viene creduto morto. Termina con questo racconto della Genesi.

riquadro

il

Dall'ingresso della chiesa, sulla volta, sono invece rappresentati gli episodi salienti del Nuovo Testamento. Alla base delle vele appena descritte sono raffigurati due esponenti principali dell'Ordine dei Predicatori: 35 - San Domenico Il giglio e il libro solitamente rappresentano questo Santo vissuto fra il XII e il XIII secolo. E' lui stesso il Fondatore dell'Ordine dei Predicatori, detti anche Domenicani.

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36 - San Tommaso Anche lui domenicano, vissuto nel XIII secolo, è rappresentato nell'atto di spiegare la Trinità Gli affreschi del Nuovo Testamento sono perlopiÚ rimaneggiati. In molti di essi è quasi impossibile risalire al disegno e originario, dovuto probabilmente ad Antonello Palumbo. Ma l'impianto complessivo si inserisce in maniera coerente con quello dell'intera chiesa. 37 - L'Annunciazione Inizia con questo ri-quadro il ciclo cri-stologico, interamente e grossolanamente ridi-pinto. Sulla prima vela in alto a destra nella prima campata. In posizione simmetrica rispetto al riquadro della "Separazione della luce dalle tenebre", nella terza campata. Come se un filo conduttore legasse i due "fiat" e attraversasse l'intera storia della salvezza! 38 - La visita a Santa Elisabetta Le scene si susseguono sempre con un andamento circolare, in senso antiorario.

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39 - La Natività Resta ben poco di un riquadro che, sia pure notevolmente ridipinto, fino a qualche decennio fa era ancora visibile! Notevole la figura del suonatore di zampogna, che abbiamo già visto nella vela della Riappacificazione fra Giacobbe ed Esaù. 40 - I Magi 41 - La strage degli innocenti 42 - La presentazione al Tempio 43 - Gesù fra i dottori nel Tempio Spesso le scene dei questa prima campata sono accompagnate da didascalie. Queste, di epoca successiva agli affreschi, avevano lo scopo di accompagnare e sostenere la predicazione delle quaresime o delle novene da parte dei frati francescani. 44 - Gesù cambia l'acqua in vino (Gesù e discepoli di Emmaus) Questo riquadro, pur identificato nella didascalia con le Nozze di Cana, rappresenta, invece, l'incontro di Gesù con i discepoli di Emmaus. Mancano infatti gli sposi e la scena si svolge fuori della città, sulla strada, 26


dove appunto GesĂš si affianca ai discepoli e viene riconosciuto nello spezzare il pane. 45 e 46 - Scene della Passione e frammenti della controfacciata Queste scene, i frammenti della controfacciata e tutte le storie del Nuovo Testamento sono sicuramente opera di un unico frescante, probabilmente Antonello Palumbo, che potrebbe averle realizzate utilizzando lo schema compositivo dell'intera chiesa ideato da Nicola da Novi. 47 - Giustizia e Sibilla. 48 - Prudenza e Sibilla 49 Temperanza e Sibilla. 50 - Fortezza e Sibilla Alla base delle quattro vele della prima campata sono rappresentate, nella zona superiore, le quattro virtĂš cardinali, la Giustizia con il simbolo della bilancia, la Prudenza con quello del serpente, la Temperanza con quello della spada, la Forza con il simbolo del leone. Nella zona inferiore delle stesse vele sono rappresentate altrettante Sibille. Si riteneva infatti che esse, come i profeti, avevano previsto e annunciato la venuta di GesĂš e la salvezza dell'umanitĂ . 27


Coro Delicatamente intagliato e ben conservato, è stato fatto costruire dai Francescani per la recita dell'Ufficio. Arcone dell'altare La decorazione pittorica della chiesa è stata completata, forse da Pietro Di Giampietro da Brienza, verso la metà del '700 con immagini di Santi francescani (San Diego, San Giovanni da Capestrano, San Giovanni della Marca, ed altri), presentati anche sui pilastri, ma a metà busto ed in finte nicchie a conchiglia e con schiere di putti addensati nella fronte dell'arcone.

P1 - Gesù risorto e P2 - Il sepolcro vuoto Sono il primo fondamentale annuncio fatto al pellegrino in preghiera che entra in chiesa: Gesù è risorto!

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P5 - San Bonaventura Il Santo, probabilmente San Bonaventura, ma potrebbe essere Sant'Antonio, raffigurato anche - forse per un'altro committente - sul primo pilastro a destra, ha il viso marcato plasticamente negli zigomi e nel mento; il volto è triangolare e sproporzionato rispetto alle spalle ed all'intera persona; il saio in vita riallarga a campana verso i piedi sensibilmente divaricati. P6- Il trionfo della Morte La "Morte" è rappresentata come un corpo scheletrico nudo che brandisce una grande falce, la cui lama, come i nimbi di alcuni santi negli altri riquadri, sconfina oltre la zona delimitata dalla semplice cornice a finto rincasso. Tra i suoi piedi sono i cadaveri di ogni classe sociale, tra cui si distinguono un Papa col triregno, un cardinale ed un vescovo. Sul lato sinistro del pannello c'è una scritta: YO SO LA MORTE CRODELE... (il resto non è leggibile). C'è infatti qualcosa di grottesco nei particolari del disegno, come nei piedi e nelle mani della "Morte" e nei cadaveri dipinti nella zona inferiore del riquadro. Questi ultimi, accatastati sono marionette, denunziano nel loro disegno sommario e rigido una scarsa articolazione che li pone molto vicini ai dannati ridipinti nella scena dell'"Inferno". Il tema 29


della morte riecheggia, variandone il motivo contenutistico, il tema del "contrasto dei vivi e dei morti", già presente a Melfi nella "Cripta" di S. Margherita e ad Atri nella cattedrale, e poi ripreso in una variante che potremmo ritenere più prossima alla formula di San Donato. Ma nell'esemplare di S. Donato è venuto definitivamente meno il motivo del "contrasto", per porre l'accento sulla sola "inesorabilità della morte", tema ben lontano dalla cultura laica federiciana, alla quale pare possano ricondursi le raffigurazioni di Melfi e di Atri. Un'altra didascalia è scritta sul riquadro posto subito al di sopra di quello in esame, sul peduccio della vela cu cui è dipinta una "Sibilla": LOMO VOLE ESSERE FORTE CONTRA LA ... MORTE. Questo prova ancora una volta che il dipinto in questione è stato ritoccato, poiché, non essendo sufficiente lo spazio a disposizione, il ridipintore ha preferito collocare la seconda frase sul riquadro più vicino. P7 - San Francesco che riceve le stigmate E' sicuramente il capolavoro di San Donato. La chiara impostazione dei diversi piani prospettatici e l'equilibrio compositivo, nella distribuzione delle immagini, fanno di questa scena una delle più belle varianti del 30


tema tradizionale. Il santo, con le mani alzate fino alle spalle e il capo ripiegato sensibilmente all'indietro, è in ginocchio in un atteggiamento complicato; al ginocchio poggiato appena per terra ed al busto leggermente arretrato si contrappone le gamba sinistra alquanto divaricata e portata in avanti: questo conferisce alla figura del santo una tensione particolare che traduce con espressività i pochi attimi del miracolo. Ad un osservazione più accurata non possono sfuggire neanche i tratti duri e marcati del volto allungato e leggermente deforme. Elementi questi che apparentano alla lontana i modi stilistici del Nostro con quelli adottati nella chiesa di S. Caterina a Galatina (si vedano ad esempio i particolari del volto nella "preghiera di S. Gioacchino" del "ciclo mariologico") All'atteggiamento dinamico e teso del Santo fa contrasto evidente la figuretta composta e serena del frate Leone intento a meditare sul vangelo, ed anche il paesaggio roccioso, a ripiani salienti, quasi deserti, dove tra i monti in lontananza si vede una chiesetta. In alto a destra è il Cristo rappresentato come un cherubino con ali di fuoco, a cui si rivolge lo sguardo del Santo. A parte gli elementi iconografici e l'impostazione delle scene, tipici di molte pitture del genere e diffusissimi nel sec. XIV, quello che a noi preme porre in risalto è proprio il particolare atteggiamento teso e di sorpresa presente nel San Francesco del quadro in esame: una caratteristica che lo avvicina alle figure di ascendenza giottesca. Il frescante, dalle raffigurazioni di Giotto (ad esempio quella di Assisi, nella basilica superiore, e l'altra ora al museo del Louvre) e da quelle di Taddeo Gaddi e del Lorenzetti (anche quest'ultima ad Assisi, nella basilica inferiore) ha potuto trarre il particolare atteggiamento umanizzante di tensione e sorpresa. 31


L'impostazione della scena non è lontana neanche da quella adottata nel dipinto – sempre un "S. Francesco che riceve le stimmate" – attribuito ad un "maestro delle tempere francescane", forse Pietro Orimina; tuttavia il riquadro in esame sorpassa, certo, i canoni "pauperisitici" che avevano ispirato il dipinto napoletano. P8 - Sant'Antonio da Padova Questa è certamente una delle meglio conservate fra le immagini dei santi. Il Santo è rappresentato secondo l'iconografia più comune; ha un libro chiuso nella mano sinistra ed un giglio nella destra; il capo, scoperto a un'ampia tonsura, è leggermente inclinato e lo sguardo rivolto con dolcezza verso il libro dei Vangeli. Il volto rotondo e reso plasticamente col colore fuso, le mani oltremodo curate nei particolari, le pieghe del saio ottenute insistendo, più che su linee incisive, su lievi sfumature di colore scuro, conferiscono a tutta la figura un aspetto "cortese", accentuato dal leggero spostarsi in avanti della gamba sinistra.

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P9 - San Lorenzo Il santo nella destra ha una piccola graticola, simbolo del martirio, e nella sinistra un libro aperto; il volto, rotondo e roseo, è leggermente rivolto verso destra; è vestito di una pesante tunicella rossa, dove peraltro non sono piÚ visibili i tratti del panneggio; un camice bianco ricopre interamente i piedi, dove invece le pieghe si fanno aggrovigliate e leziose. In basso, a destra, appena visibile, è una piccola immagine di orante; certamente il committente del pannello. P10 - San Ludovico Discreto appare lo stato di conservazione del dipinto. Il santo vescovo francescano, rivolto leggermente vero destra, indossa un ampio piviale rosso, che, stretto intorno al collo, gira ad ansa sulla destra benedicente alla latina, da una parte, e, raccolto per un lembo sull'altro braccio scende con 33


profonde e ripetute pieghe fino ai piedi seminascosti del camice bianco, dove, quasi con virtuosismo si infittisce il panneggio. Notevole è l'insistenza con la quale il frescante moltiplica le sinuosità del bordo piviale, con un accentuato gusto per la linea decorativa ed una sensibilità coloristica evidente, nell'accostamento della tinta del manto a quella del risvolto. P11 - San Giovanni Battista Il modulo accentuatamente allungato della figura le conferisce particolare eleganza. L'affresco è tra i più elaborati di tutta la serie e, particolarmente nel complicato panneggio del mantello verde dal risvolto rosso, rivela una tecnica disegnativa nient'affatto artigianale. Notevole è non solo l'abbinamento dei colori del manto e del risvolto, ma anche l'espediente, peraltro non comune, di far passare un lembo del mantello sotto il piede destro per continuare fino al bordo del riquadro l'elegante fluire delle linee del panneggio. Il Santo, il cui volto segnato è circondato dai capelli incolti – ma non stilizzati come nella iconografica tradizionale d'ascendenza bizantina – e dalla corta barba, ha il capo leggermente inclinato; nella destra ha un cartiglio su cui attualmente non è leggibile alcuna scritta, e con la sinistra indica in alto 34


verso un piccolo 'Agnus Dei'. P12 - San Bernardino Il dipinto è molto rovinato; in esso però si può notare un accenno a strutture architettoniche nello sfondo della figurazione; particolare che nel "ciclo dei santi" è presene solo in questo pannello. Il santo, benedicente, ha nella sinistra un libro aperto su cui è una scritta orami illeggibile. Anche il volto, diversamente da quello degli altri santi, appare più disegnato negli zigomi, quasi triangolare. P13 - Sant'Onofrio Nella tradizionale immagine di un eremita ricoperto solo della sua lunga barba e dei capelli. Tra le mani, di una grazia particolarissima nel disegno, ha un nodoso bastone, che anche qui attraversa in diagonale tutto il riquadro, e un rosario. Il volto, incorniciato dalla incolta

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capigliatura e dalla lunga barba, è sereno, ma le pesanti occhiaie e la fronte accigliata lo rappresentano come un penitente. Particolare è la decorazione a broccato del fondo che a noi pare sia il risultato della ridipintura. P14- San Paolo Eremita Il Santo indossa il caratteristico abito degli eremiti a vimini intrecciati; tra le mani ha un bastone col manico ad 'U', anch'esso della iconografica bizantina del santo, e un rosario. Il volto, sfumato, dal rosa pallido al bruno, e incorniciato dalla incolta e stilizzata capigliatura e dalla lunga barba, è rivolto leggermente in basso a destra.

P15 - San Biagio Rivolto di tre quarti verso destra, il Santo, benedicente, indossa gli abiti pontificali: la mitria, una casula, sulla quale sono appena visibili tracce di colore verde, una tunicella gialla ed un camice. Nella sinistra ha lo strumento del martirio (al santo martire fu strappata la pelle). 36


Se si fa eccezione per la zona superiore, il resto del dipinto appare lacunoso: non sono più visibili parte dei colori e del panneggio. P16 - Santo Stefano Rivolto di tre quarti a sinistra è raffigurato con una pietra sul capo sanguinate, simbolo del suo martirio. Indossa una dalmatica verde fortemente segnata nel panneggio, certo dalla ridipintura, con pennellate scure; in una mano ha la palma del martirio, nell'altra il libro dei vangeli. La parte inferiore, dal polpaccio in giù, è andata completamente perduta. P17 - San Nicola Raffigurato in una posizione nettamente frontale, con una grossa chierica, lo sguardo fisso e la barba corta ed arricciata, benedicente sempre alla latina, il santo indossa una casula rossa, su una tunicella gialla ed un camice bianco che copre quasi interamente i piedi; nella sinistra ha un pastorale che attraversa in diagonale quasi tutto il riquadro. Mediocre e lacunoso è lo stato di conservazione del dipinto. 37


P18 - Santa Lucia La figura è nettamente frontale. La Santa, sorridente e con lo sguardo fisso, regge nelle mani i simboli del martirio: nella destra ha un lungo pugnale e nella sinistra una pisside nella quale sono i due occhi. Anche questo riquadro è tagliato nella zona inferiore; l'immagine, comunque, appare chiaramente ridipinta quasi per intero. Isx- Paradiso o Giudizio Gli affreschi, poco leggibili e notevolmente rimaneggiato, fanno pensare a un Giudizio, con la struttura tipica dei pittori toscani del Trecento: il Cristo al centro in alto, quasi totalmente cancellato dall'apertura di una finestra, con ai lati gli angeli disposti in piÚ registri, che pregano o suonano i piÚ svariati strumenti musicali. Nella zona inferiore, qualche demonio e, nella parte opposta, una schiera di anime che vengono, ad una ad una, vestite da un angelo di una tunicella bianca. Nella parte centrale "S. Pietro che accompagna un'anima alla porta del Paradiso", molto simile a quelle raffigurate nei "Giudizi" di S. Maria del Casale a Brindisi e S. Stefano a Soleto in provincia di Lecce. 38


Idx - Inferno

Così come oggi appare, la scena risulta disorganica ed imprecisa nell'impostazione, se si esclude la zona centrale superiore in cui è raffigurata, con mura merlate ed alte torri, la Città di Dite, che funge, nell'intero affresco, da unico punto di riferimento della composizione; il resto è tutto uno svolazzare di diavoli con i dannati tra le grinfie. Nella parte sinistra si nota un mostro a sette teste di colore verde chiaro, quasi acquerellato, poco curato nel disegno e nei particolari; più sotto è Lucifero, enorme nelle dimensioni e mostruoso; ha tre volti ed è nell'atto di divorare tre dannati che fuoriescono dalle sue bocche. Un particolare notevole è costituito dalle scritte poste vicino ad ogni diavolo, che ne indicano il nome, nello stesso tempo alludono alla pena che ciascuno è incaricato di eseguire. Un espediente vagamente simile è adottato nel Giudizio affrescato nella chiesetta di S. Stefano a Soleto, dove però sono 39


i dannati a reggere tra le mani un cartiglio su cui è scritto in nome del mestiere che ha dato loro l'occasione di peccare. IIsx - Organo e frammenti Su un cartiglio incollato sul somiere si legge: < Hic Labor: hoc opus laboravit Provectus Dominus Leonardus Carella Neapolitanus, gerens in Vallo Nove[?]. Tempore Guardianatus Reverendi Patris Francisci Antonij a Rubis, Lectoris, et Missionarij Apostolici. A.D. MDCCX XXV>. Quindi è stato costruito nel 1735. L’organo è incastonato in una struttura lignea decorata e scolpita in perfetto stile barocco, ma purtroppo compromesso progressivamente dai tarli. Ha una sola tastiera ed una pedaliera per i bassi di un’ottava; tra i registri fondamentali, il principale, il flauto, la decima, la decima-nona e gli effetti undamaris e ottava b. Il riferimento cronologico preciso per l’organo è anche un indizio molto attendibile di una fase di grande splendore della chiesa di San Donato, quella appunto della metà del ‘700, in cui si è sentita l’esigenza di installarvi un organo pregevole. E pensare che nel 1735, l’anno in cui quest’organo è stato costruito, Bach aveva 50 anni.

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IIdx - Storie di Sant'Antonio e San Paolo eremiti Sono i riquadri superstiti dipinti sulla parete destra della seconda campata (alla parete fu sovrapposto un altare, ora rimosso, e vi fu aperta una finestra). Gli episodi sono distribuiti in registri sovrapposti a scomparti, divisi da fasce a finto rincasso. Le singole scene seguono in genere i criteri stilistici e formali comuni alle altre raffigurazioni: esuberanza aneddotica, particolarmente nell'affastellarsi di piĂš episodi in un solo riquadro, raffigurazione ambientale arcaizzante, spesso in contrasto con moduli stilistici piĂš moderni; vivacitĂ descrittiva nelle scenette graziose ed un po' "naives" come nella "costruzione della chiesa", dove ancora le dimensioni dei personaggi seguono un'arcaica gerarchia mensurale.

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IIIsx - San Francesco fra Sante e Santi francescani - Pietà Il vasto riquadro è mutilo della parete centrale; ma noi in base ad un confronto che ci sembra abbastanza attendibile col "S. Francesco che dà la Regola agli ordini da lui fondati", già nella sala capitolare a S. Lorenzo in Napoli, possiamo avanzare l'ipotesi che anche questa scena possa essere riferita allo stesso tema iconografico; d'altra parte, oltre all'impostazione che è la medesima, è visibile nella zona destra una santa con le braccia protese, appunto, crediamo, nell'atto di ricevere la Regola. Nel registro inferiore della stessa parete, vi è una "Pietà". Ben visibile è la Vergine dalla vita in su: ricoperta con un manto scuro su cui contrasta il biondo dei capelli, la

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Madonna ha le braccia aperte; ma più che un gesto disperato, il suo è quello di una madre rasserenata che contempla il suo figliolo. In basso a sinistra si vede una parte della testa di Gesù che posa con l'intero corpo sulle ginocchia della Madre, secondo l'iconografia settentrionale.

IIIdx - Pellegrini Data la frammentarietà dei riquadri superstiti e la genericità del racconto, non siamo riusciti ad identificare con precisione l'affresco, che rappresenta verosimilmente un gruppo pellegrini al Santuario.

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Legenda 37 - L’Annunciazione 38 - La visita a Santa Elisabetta 39 - La Natività 40 - I Magi 41 - La strage degli innocenti 42 - La presentazione al Tempio 43 - Gesù fra i dottori nel Tempio 44 - Gesù cambia l’acqua in vino 45 - Scene della Passione 46 - Scene della Passione 47 - Giustizia e Sibilla 48 - Prudenza e Sibilla 49 - Temperanza e Sibilla 50 - Fortezza e Sibilla Coro Arcone dell’altare Controfacciata P1 - Gesù risorto P2 - Il sepolcro vuoto P3 - L’Angelo del Paradiso P4 - Frammenti P5 - San Bonaventura P6- Il trionfo della Morte P7 - San Francesco P8 - Sant’Antonio da Padova P9 - San Lorenzo P10 - San Ludovico P11 - San Giovanni Battista P12 - San Bernardino P13 - Sant’Onofrio P14- San Paolo Eremita P15 - San Biagio P16 - Santo Stefano P17 - San Nicola P18 - Santa Lucia Isx- Paradiso Idx - Inferno IIsx - Organo e frammenti IIdx - Storie di Sant’Antonio e San Paolo eremiti IIIsx - San Francesco fra Sante e Santi francescani - Pietà IIIdx - Pellegrini

1 - Dio separa la luce dalle tenebre 2 - Dio crea la Terra 3 - La creazione del degli alberi, del sole e della luna 4 - Dio crea gli uccelli e i pesci 5 - Dio crea le bestie selvatiche 6 - Dio crea Adamo 7 - Dio crea Eva 8 - Il peccato di Adamo ed Eva 9 - Dio rimprovera Adamo ed Eva 10 - La cacciata dall’Eden 11 - Il lavoro di Adamo ed Eva 12 - La sofferenza dei Progenitori 13 - Le offerte di Caino e Abele 14 - L’uccisione di Abele 15 - Dio rimprovera Caino 16 - Costruzione dell’Arca 17 - Ingresso nell’Arca 18 - Il Diluvio 19 - La fine del Diluvio 20 - L’uscita dall’Arca 21 - Costruzione della Torre di Babele 22 - La confusione delle lingue 23 - La distruzione di Sodoma 24 - L’Angelo appare ad Abramo 25 - Il sacrificio di Isacco 26 - Giacobbe carpisce la benedizione di Isacco 27 - Esaù chiede la benedizione ad Isacco 28 - Il sogno di Giacobbe e la lotta con l’Angelo 29 - Giacobbe accolto da Labano 30 - Matrimonio di Giacobbe e Rachele 30a - Scimmia che beve un uovo 31 - Fuga di Giacobbe e riappacificazione con Esaù 32 - Il sogno di Giuseppe 33 - Giuseppe calato nel pozzo 34 - Giacobbe si dispera per la morte di Giuseppe 35 - San Domenico 36 - San Tommaso

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na pagina di storia del Santuario

Michele Labriola1 Il gemellaggio della chiesa di San Donato con la Basilica di san Francesco in Assisi. A dieci anni dalla celebrazione.

Il 20 agosto 2005 si è svolta nel santuario di S. Donato la cerimonia di chiusura del gemellaggio tra la Basilica Patriarcale di Assisi e il santuario di S. Donato di Ripacandida. Prologo a questa ultima cerimonia sono state la cerimonia preliminare del 4 agosto 2004 a Ripacandida e la cerimonia del 4 dicembre 2004 ad Assisi. A sancire il gemellaggio è stata la firma di due pergamene da parte di Padre Vincenzo Coli, Custode del sacro convento di Assisi e del parroco di Ripacandida don Ferdinando Castriotti. Le pergamene sono state controfirmate dai due presidenti delle Pro loco: Francesco Fiorelli di Assisi e Gerardo Cripezzi di Ripacandida. Il gemellaggio, promosso dalle Pro loco, incoraggiato dal vescovo di Melfi Gianfranco Todisco, ha trovato in Padre Vincenzo Coli un sostenitore convinto ed entusiasta. Di questo si è fatto interprete, ringraziandolo, il professore Nicola Tricarico, che ha introdotto e condotto la cerimonia ed ha definito il gemellaggio come la gratificazione più grande per l’immane sforzo profuso dalla Pro loco di Ripacandida per sottrarre da una ingiusta marginalità la chiesa di S. Donato, “una perla preziosa, che stupisce quanti la conoscono”. A Padre Vincenzo Coli e alla giornalista Rai Tina Lepri è stato assegnato il 1° Premio nazionale “Fede e Arte”consistente in una targa in argento con la riproduzione dell’affresco del S. Francesco di Ripacandida che riceve le stimmate. La cerimonia, intervallata nei suoi vari momenti dai canti, eseguiti con grande maestria dalla corale “GF. Hendel” di Manfredonia, che ha avuto il plauso di tutto il gremitissimo santuario, è iniziata con la lettura del primo capitolo della Genesi da parte di padre Rocco Rizzo francescano Rripacandidese.

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Docente in pensione, già sindaco di Ripacandida

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Sono seguite due relazioni: una avente per tema “Teologia e iconologia negli affreschi di S. Donato di don Biagio Grilli, l’altra “La spiritualità francescana degli affreschi di S. Donato di Padre Vincenzo Coli. Don Biagio Grilli, partendo dai primi versetti della Genesi, richiamati nella campata vicino all’altare maggiore, ha fatto una rilettura teologica degli affreschi che invitano a riscoprire la parola di Dio. “Una parola che ci trasmette l’uomo come icona di Dio. Un recupero più urgente oggi, nell’era dell’informatica, in cui si assegna il nome di icona a tutto tranne che all’uomo, che è poi l’icona vivente del Dio invisibile”. Padre Vincenzo Coli ha affermato che: “ la collocazione, entrando nella chiesa, delle due scene evangeliche del sepolcro vuoto e di Cristo risorto ci offrono la chiave interpretativa di tutto il programma iconografico presente in S. Donato, cioè sia delle storie bibliche sia di quelle dei santi nei quali risplende la grazia liberatrice e redentrice del Figlio di Dio: Gesù Cristo, centro, compimento e senso di tutta la realtà”. Ha proseguito poi dicendo: “Il riferimento al Crocifisso ci porta a posare lo sguardo, pieno di stupore, sul brano pittorico più prestigioso di tutto il Santuario: l’estasi di San Francesco o l’episodio delle stimmate, per comprendere, oggi, tre valori fondamentali sui quali tessere un realistico dialogo tra i credenti delle così dette religioni abramitiche (Ebrei, Cristiani, Mussulmani), evidenziando così l’unità della famiglia umana. Dio, l’uomo, il creato/la natura” La sovrintendente Agata Altavilla, dopo aver ricordato che Sabino Iusco aveva definito la Chiesa di S. Donato la piccola Assisi di Basilicata, ha affermato che: “gli splendidi dipinti di S. Donato suscitano emozioni, che ci consentono di cogliere pienamente l’elegante orditura delle immagini, lo sfavillante esito cromatico e, soprattutto, un profondo, solenne senso religioso che l’architettura e l’intelaiatura promano”. Dopo gli interventi dei responsabili culturali delle due Pro loco, Edoarda Pronti per Assisi e Giovanni Petrelli per Ripacandida, e del Sindaco di Ripacandida,G. Mastantuono, Padre V. Coli ha donato al Santuario di S. Donato una reliquia del corpo di S. Francesco, con la quale don Ferdinando, parroco di Ripacandida, ha impartito la benedizione.

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L

a Pro Loco di Ripacandida, in particolare in quest’ultimo decennio, ha svolto la sua attività principale nella direzione della valorizzazione del patrimonio storico-culturale, individuando nella tradizione della fede popolare e nella cultura contadina le principali strade da percorrere per risvegliare le coscienze verso le bellezze sommerse e dimenticate presenti nel nostro territorio. Nel piccolo centro del Vulture, dal XII secolo, è presente il Santuario dedicato a San Donato. Annesso alla chiesa vi è un convento che ha visto la presenza dei Francescani, che ai primi del Cinquecento hanno arricchito il Santuario di preziosi affreschi che narrano le Storie dell’Antico e del Nuovo Testamento. Esso oggi è ancora custodito con premura dalle Suore Francescane Missionarie di Gesù Bambino. Negli ultimi anni, il Santuario di San Donato a Ripacandida e i suoi preziosi affreschi hanno guadagnato la ribalta regionale e nazionale, grazie alle molteplici iniziative dell’Associazione Pro Loco. Queste iniziative hanno avuto e continuano ad avere il loro culmine nel Gemellaggio fra la Chiesa di San Donato e la Basilica di San Francesco in Assisi. Le attività che in questi anni ci hanno permesso di diventare un riferimento concreto per i visitatori che arrivano nel Vulture e nella Basilicata sono state realizzate con grande passione dalla Pro Loco con il coinvolgimento di altri Enti, in particolare l’Amministrazione Comunale, la Comunità Montana del Vulture, la Provincia di Potenza, la Regione Basilicata, l’A.P.T., il Gal, il Club UNESCO del Vulture, la Sovrintendenza ai Beni Artistici e Monumentali di Basilicata. Siamo consapevoli di quanto manchi ancora per far conoscere e fruire adeguatamente il nostro territorio e i suoi tesori nascosti. Per questa ragione la Pro Loco di Ripacandida si adopera senza riserve, nel solco della più proficua sussidiarietà, per ideare e realizzare o collaborare a progetti di promozione del Santuario di San Donato, grata verso chi incoraggia e sostiene questo sforzo di valorizzazione del patrimonio della nostra Comunità.

Gerardo Cripezzi Presidente della Pro Loco di Ripacandida

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