Prose dal dissesto. Antiromanzo e avanguardia negli anni sessanta di Massimiliano Borelli

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1.3 Proposte per l’antitesi

to della parola sganciato da una radice ideologica della scrittura. Illusione che rivela tutta la sua pericolosità di diagnosi nel momento in cui se ne deriva la conseguente «nozione “liberata” di realtà» 128, feticcio di un’innocenza edenica del tutto mistificatorio e mistificato. Una simile posizione non è d’altronde molto distante dalla successiva affermazione “debolista” della “fine delle ideologie”, da cui seguirebbe la possibilità di un’esistenza finalmente emancipata da condizionamenti e vettori storico-ideologici, “libera” di assecondare il vertiginoso corso del mondo. Alfredo Giuliani insiste, da una prospettiva non troppo distante, sulla necessità di rifiutare qualunque pretesa di “verità”, qualunque tentazione edificatoria, quale che sia «avventura come educazione sentimentale» 129 (che egli riscontrava, oltre che negli antecedenti modernisti, pure nel Capriccio italiano di Sanguineti), in vista di un’immaginazione linguistica forte di una polisemia inesausta della parola, scollegata dalle pretese organizzatrici della storia (in senso genettiano, qui, di contenuto della narrazione). In questa sede Giuliani parla virtualmente in doppia veste: come critico, promuovendo il modello di prosa enciclopedica e mista offerto dal Tesoretto di Brunetto Latini come archetipo narrativo italiano ed esempio da riproporre per il rinnovamento del codice romanzesco; attraverso il lancio, al contempo, dell’appena uscita Hilarotragoedia manganelliana, eterodossa formazione antinarrativa. Come “figurale” autore in proprio, poi, di un’operetta disarticolata come Il giovane Max, che uscirà nel 1972, del tutto aliena a ogni residuo di plot e alla ricerca sfrenata di un’invenzione semantica inaudita. Sulla reciproca estraneità, determinata da una condizione storica, tuttavia, tra realtà e romanzo si espone, con la consueta concisione nell’unico intervento registrato, Nanni Balestrini. Il romanzo per lui non ha ambizioni conoscitive né rappresentative, ma al contrario è chiuso in un «meccanismo puramente verbale» 130, tutto «artificiale» e costruito secondo un «disegno strutturale» 131 assimilabile alla regolarità coercitiva della forma poetica. Cosmo linguistico che fonda un universo autonomo, con proprie leggi compositive che tuttavia rispondono, pur non dichiarandola, a una propria implicita ideologia.   Ivi, p. 91.   Ivi, p. 71. 130   Ivi, p. 133. 131   Ivi, p. 134. 128 129

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