L'amore della politica. Pensiero, passioni e corpi nel disordine mondiale di Valerio Romitelli

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Valerio Romitelli

l’amore della politica

Il lungo ciclo del materialismo storico, del socialismo, del comunismo e dei partiti di classe è finito. Ma non ha fallito. Ha sperimentato una singolare tendenza alla giustizia sociale. Quella culminata nel glorioso trentennio 1945/75: possibile solo perché in mezzo mondo c’erano regimi capaci di dimostrare, anche a costo di terribili sacrifici, che politiche egualitarie erano universalmente realizzabili. Sulla base di questi presupposti si offre un inedito taglio dei maggiori problemi del nostro tempo quale l’incipiente crisi del capitalismo e delle democrazie improntate al modello americano, nonché il rapido dilatarsi di popolazioni che i governi abbandonano a un destino di sfruttamento e sofferenza sociale. Al cuore del libro si trova una formulazione di un nuovo possibile orizzonte di sperimentazione politica: l’orizzonte di un materialismo politico, nel quale protagonisti siano il pensiero, anziché la coscienza, le passioni, anziché gli interessi, e a condizione che prendano corpo in nuove “particelle” organizzative, come quelle già sporadicamente operanti nel secolo scorso, specie attorno al ’68. L’amore della politica risulta così una vera e propria energia materiale, discontinua, come ogni grande passione, ma con conseguenze irreversibili. Un’energia oggi latitante, che va ripensata e riorganizzata.

l’amore della politica

Pensiero, passioni e corpi nel disordine mondiale

Valerio Romitelli, insegna Storia dei movimenti e dei partiti politici presso l’Università di Bologna. Ha fondato e coordina il Grep ( Gruppo di ricerca di etnografia del pensiero). Ha tradotto e introdotto (assieme ad Alessandro Russo) il primo libro in italiano di Alain Badiou e Sylvain Lazarus, La politica è pensabile?, 1987. Oltre a vari altri saggi di storia politica ed etnografia, ha scritto (assieme a Mirco degli Esposti) Quando si è fatto politica in Italia. Storia di situazioni pubbliche, 2001; Etnografia del pensiero, 2005; L’odio per i partigiani. Come e perché contrastarlo, 2007 e Fuori della società della conoscenza, 2009.

Valerio Romitelli

isbn 978-88-7000-624-7

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9 788870 006247

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Nella stessa collana Pierfranco Pellizzetti Libertà come critica e conflitto. Un’altra idea di Liberalismo. Media Mutations. Gli ecosistemi narrativi nello scenario mediale contemporaneo. Spazi, modelli, usi sociali. A cura di Claudio Bisoni e Veronica Innocenti Angelo d’Orsi Gramsciana. Saggi su Antonio Gramsci.


Valerio Romitelli

l’amore della politica pensiero, passioni e corpi nel disordine mondiale

Mucchi Editore


isbn 978-88-7000-624-7 La legge 22 aprile 1941 sulla protezione del diritto d’Autore, modificata dalla legge 18 agosto 2000, tutela la proprietà intellettuale e i diritti connessi al suo esercizio. Senza autorizzazione sono vietate la riproduzione e l’archiviazione, anche parziali, e per uso didattico, con qualsiasi mezzo, del contenuto di quest’opera nella forma editoriale con la quale essa è pubblicata. Fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nel limite del 15% di ciascun volume o fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le riproduzioni per uso differente da quello personale potranno avvenire solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata dall’editore o dagli aventi diritto.

Grafica Mucchi Editore (MO), stampa Editografica (BO) In copertina, il “Bosone di Higgs” Per l’immagine, l’Editore rimane a disposizione degli eventuali detentori dei diritti che non è riuscito a definire, nè a rintracciare.

© STEM Mucchi Editore via Emilia est, 1741 - 41122 Modena info@mucchieditore.it mucchieditore.it facebook.com/mucchieditore twitter.com/mucchieditore pinterest.com/mucchieditore I edizione pubblicata in Modena nel 2014


Indice Prefazione...........................................................................................................9 Premessa Odi et amo.........................................................................................................11 Le ragioni..........................................................................................................13 Le parole............................................................................................................15 PARTE PRIMA Capitolo I - Politica e partito Il senso della politica...........................................................................................19 Il senso del partito...............................................................................................20 Classismo, anticlassismo, interclassismo................................................................21 Vizio d’origine....................................................................................................24 “Aristocrazia operaia”?........................................................................................26 Rinascere dalle ceneri..........................................................................................27 Il “faro” sovietico................................................................................................29 Apogeo ideologico e anti-ideologico.......................................................................32 I trent’anni gloriosi del welfare............................................................................35 Esplosione di “particelle non allineate”.................................................................37 Capitolo II - Oggi Miraggio democratico.........................................................................................39 Nixon / Reagan..................................................................................................42 Superclassismo e declassamento degli Stati............................................................45 Crisi della Storia?...............................................................................................47 Crisi dell’economia?............................................................................................49 La presunzione del primato.................................................................................51 Quarto potere.....................................................................................................53 L’inganno dei “diritti umani”.............................................................................56 Nostalgie............................................................................................................59 PARTE SECONDA Capitolo I - Per un materialismo politico Organizzazioni post-marxiste..............................................................................75 Passione versus interesse......................................................................................77 Nuovi (s)oggetti della politica..............................................................................79


Capitolo II - Democrazia e/o dittatura? Autori ed invenzioni...........................................................................................81 Verifica..............................................................................................................82 PARTE TERZA Capitolo I – Le espressioni della politica Prima e dopo Cristo............................................................................................87 Verso il disordine................................................................................................89 Il comunismo tra ordine e sperimentazione..........................................................91 Il pensiero conservatore.......................................................................................93 Il pensiero sperimentale.......................................................................................95 Esempi...............................................................................................................98 Il pensiero reazionario......................................................................................100 Il ritorno della “Grande Restaurazione”.............................................................102 Capitolo II – Passioni politiche Le passioni politiche: una questione irrisolta.......................................................105 Le “Categorie del Politico”................................................................................111 Effetto sorpresa.................................................................................................113 Martirio e vittimismo.......................................................................................115 Corpi organizzati.............................................................................................118 Entusiasmo .....................................................................................................121 Amanti e amati................................................................................................123 Quando gli “ultimi” erano i “primi”: dell’Urss e del lungo ’68............................126 Capitolo III - Corpi politici Alla ricerca di alternative..................................................................................133 Burocratismo partitico e “governo dei cittadini”.................................................136 Il destino della “cosa pubblica”..........................................................................141 Di questo e altri mondi.....................................................................................143 Conclusione Per una rieducazione sentimentale e intellettuale alla politica.............................151 Post Scriptum.................................................................................................155 Indice dei nomi...............................................................................................157


“E, su tutto, lo sventolio, l’umile, pigro sventolio delle bandiere rosse. Dio! belle bandiere degli Anni Quaranta” Pier Paolo Pasolini



Prefazione La proposta di Valerio Romitelli tocca uno dei punti più sensibili della crisi contemporanea della politica: nell’epoca della mondializzazione spinta – nei contesti sistemici del finanzcapitalismo, del biocapitalismo cognitivo, dell’infocapitalismo (etc.) – quale posto possono ricoprire corpo e passioni dei soggetti che ancora tentano di trasformare il mondo? E ancora: esiste la possibilità di far rivivere l’amore per la politica, laddove indifferenza e apatia sembrano segnare comportamenti e disimpegno diffusi, particolarmente tra le nuove generazioni? Romitelli, mettendo in campo argomentazioni articolate e complesse, di carattere teorico e di riflessione storiografica, suggerisce una decisa prospettiva di materialismo politico post-marxista in grado di rilanciare il senso sperimentale della politica rivoluzionaria: quella politica che è stata capace di dare vita ad una molteplicità di sequenze storiche caratterizzate da scarti e innovazioni rivolte alla realizzazione di giustizia sociale (dalla rivoluzione francese all’esperienza dei soviet in Russia, dalla Comune parigina al biennio rosso, dalle resistenze al nazifascismo alla rivoluzione cinese); soprattutto, al centro della riflessione, l’analisi dell’affermazione e della crisi del fenomeno del capitalismo democratico nel trentennio 1945/75 e degli eventi straordinari del ’68. Lo stretto legame di amore e politica è stato immaginato e praticato dal corpo particolare dei partiti: materia organica/inorganica, espressione di sentimenti collettivi, il partito ha costituito dalla fine dell’800 il vettore della politica rivoluzionaria nel bene e nel male, nelle forme dell’ardore leninista e nelle discusse versioni stalinista e maoista. A sedare il calore delle passioni rivoluzionarie avrebbero invece contribuito le tradizioni diverse delle politiche conservatrici o reazionarie: in particolare, dagli anni novanta in poi, il processo di democratizzazione messo in campo dal neoliberismo avrebbe segnato il ritorno della grande Restaurazione intervenuta come conseguenza del termine del bipolarismo USA/URSS e dalla fine dei comunismi. L’autore mette certamente sull’avviso che non tutte le passioni sono positive sul piano pubblico e collettivo: le passioni sono oggi di moda, la loro esibizione mediatica contribuisce ad assegnare credibilità e vantaggi ai marchi della pubblicità e all’esercizio delle leadership politiche. Tuttavia si insiste sulla prospettiva secondo cui solo l’amore per la politica può spianare il terreno a percorsi di quella felicità che – per chi si appassiona alla politica – consiste nel sentirsi protagonisti, nel vivere eventi autentici. Si può dunque denunciare 9


Gianfranco Borrelli

l’impoverimento dei partiti causato dalle tecnologie mediatiche e dal burocratismo degli apparati, ma non si può rinunciare al nesso tra passioni e politica. Conviene certamente riferire, a conferma delle argomentazioni di Romitelli, che l’amore per la politica non è una necessità maturata nei tempi recenti; vorrei ricordare la bella espressione di Marc Antoine Jullien – prototipo del rivoluzionario di professione, attivo dagli eventi rivoluzionari parigini del 1789 fino alla rivoluzione europea del 1848 – che così descriveva quello stretto rapporto: «J’ai toujours suivi, dans ma missione le même système que, pour rendre la révolution amaible, il fallait la faire aimer». Si tratta dunque non di affermare in astratto la verità della rivoluzione: ancora oggi, nel contesto ideale e strategico delle resistenze attive in tante parti del pianeta, solo le passioni possono motivare enormi popolazioni trascurate dai governi: solo grazie alla sintonia dei sentimenti e all’amore si può procedere nella lotta alle ingiustizie assieme a questi soggetti che riescono a stento a sopravvivere. Allora, proprio per questo aspetto che restituisce in pieno cura e responsabilità ai percorsi di singolarità bisogna esprimere un dissenso nei confronti dell’autore relativamente alla centralità che viene assegnata al corpo materiale e passionale del partito. Si può richiamare a tale proposito un suggerimento che proviene da Michel Foucault nei corsi dedicati ai temi dell’Ermeneutica del soggetto (1981-82) e de Il coraggio della verità (1983-84), laddove viene lanciato il problema di approfondire cosa significa conversione alla rivoluzione, vale a dire la costituzione di una specifica soggettività moderna proiettata a esercitare una serie di pratiche di sé rivolte al governo ed alla trasformazione di se stessi e degli altri: subordinare il vivere privato alla dimensione pubblica, esercitare uno stile sobrio di vita, rendersi pronti alla militanza armata e ad ogni genere di sacrificio, dalla prigione alla morte, e così via. Seguendo questa traccia, la militanza avrebbe incontrato storicamente nei partiti certamente la forma del contenitore delle passioni, rivolto però in prevalenza a realizzare l’ammorbidimento e lo snaturamento delle soggettività rivoluzionarie, venute difatti a scomparire nei paesi europei negli anni quaranta dello scorso secolo. Bisogna allora riconoscere all’autore di essere riuscito nell’intento principale di suscitare curiosità e importanti spunti per un approfondimento critico: per molti dei lettori i contenuti del libro potrebbero suscitare l’impegno a riflettere su eventi contemporanei di difficile interpretazione e a mettere in discussione passaggi e discorsi politici che si preferisce ancora oggi assegnare al silenzio. Gianfranco Borrelli 10


Premessa Odi et amo Avendo avuto i fatidici vent’anni nel ’68, mi è capitato di vivere un’esperienza impensabile oggi: fare politica come qualcosa di assai prossimo a una passione amorosa. Non è di questo in particolare che tratto nel presente testo, ma delle conseguenze che da una simile esperienza si possono trarre a livello di pensiero politico. Allo stesso modo in cui si parla di amore in senso lato, cioè anche per l’arte o per la scienza, mi azzardo dunque a parlare di amore per la politica1. E ciò nonostante l’assoluta impertinenza di tale espressione nel tempo presente. Tutto si può dire oggi, infatti, tranne che la politica sia qualcosa di appassionante. Anche sulle nuove generazioni sembra piuttosto allungarsi una sorta di maledizione paragonabile a quella di un personaggio letterario che, bruciato da un trascorso amoroso tormentato, per paura di ricascarci si ostina a evitare ogni occasione simile con cinismo, ipocrisia e autoinganni. In effetti, dal “tutto è politica” con cui il ’68 esprimeva l’esaltazione delle sue passioni, si è passati, con il loro esaurirsi, all’enigmatica convinzione che “il personale è politico”, per arrivare infine alla conclusione disarmante che “in democrazia” non c’è più problema politico che non sia risolvibile nelle relazioni tra persona e persona, tra eletto e elettore, tra comunità e comunità. Dal momento che da tempo nulla contraddice questa conclusione, alla politica in quanto tale non restano dunque che sospetto, antipatia e sopratutto apatia2. Questo il risultato dell’opinione, ma non del tutto a torto. La politica infatti da circa una trentina d’anni è caduta prigioniera di un regime che la snerva, riducendola, al pari di quasi ogni altra possibile esperienza, a fatto di lucro e comunicazione. Si tratta di un regime che sarebbe meno scandaloso qualificare con termini denigratori, come “autoritario”, “deformato” o “neoliberista”, ma che invece va chiamato come esso stesso pretende da non più di una trentina di anni in qua: semplicemente “democratico”. A costo di rischiare la bestemmia e di attirarmi ogni sorta di anatema, dico subito che è precisamente questa una delle mie tesi salienti: che è proprio la democrazia che si pretende realizzata in quanto tale a togliere alla politica ogni attrattiva intellettuale e passionale. 11


Valerio Romitelli

La crisi in corso, notoriamente la più devastante del capitalismo, pare riattizzare le attese nei confronti della politica, che viene chiamata a rimediare i presunti mali di un’economia globale troppo incline a sregolatezze finanziarie. E le diagnosi di tali mali non mancano certo. Le più convincenti arrivano anche a indicare rimedi del tutto ragionevoli3. Ma ogni dibattito economico a questo riguardo è costretto a concludersi lamentando la latitanza di politiche in grado di somministrare tali rimedi. Circolano allora numerose profezie e riti propiziatori per ingannare l’attesa. E non scarseggiano neppure le accuse più crude contro l’inettitudine e la corruzione dei politici e la perfidia dei grandi interessi da essi coperti. Molto meno di frequente ci si chiede però da dove e come dovrebbero venire fuori politiche all’altezza della crisi attuale. Ora è questa una delle domande centrali di questo testo, il cui discorso inizia proprio, senza alcuna pretesa di invaderne il campo, dove quello economico si arresta. Personalmente l’esigenza di politiche del tutto diverse da quelle attuali mi si è riproposta a partire dalle ricerche etnografiche che da più di dieci anni conduco assieme al Grep (Gruppo di Ricerca di Etnografia del Pensiero)4 tra popolazioni che faticano a decidere della propria esistenza. Elaborando le loro parole e i loro pensieri intorno ai luoghi dove lavorano, offrono o fruiscono di servizi sociali fondamentali, ogni nostro rapporto di inchiesta arriva a formulare prescrizioni utili a migliorare le condizioni di tali luoghi. Siamo convinti che questa metodologia possa offrire un contributo alla conoscenza antropologica della realtà sociale contemporanea, ma anche favorire politiche atte a sperimentare praticamente tali prescrizioni. Tuttavia, perché ciò possa avvenire, dovrebbero esserci organizzazioni politiche che abbiano la giustizia sociale come obiettivo principale. Ogni impresa, amministrazione e partito sembrerebbe non dedicarsi ad altro, visti gli obiettivi di democratizzazione, partecipazione ed empowerment che vengono continuamente rivendicati. Ma simili obiettivi sono dichiaratamente perseguiti solo per rendere più funzionale, più credibile, più comunicativa, la gestione del potere esistente, senza che le sue maggiori iniquità siano mai profondamente rimesse in discussione. Così le prescrizioni elaborate dalle nostre ricerche, benché per lo più accolte con rispetto da parte dei vari responsabili della governance dei luoghi su cui abbiamo condotto le inchieste, si ritrovano a cadere nel vuoto. Anziché immaginarci altre tipologie di governance più sensibili alle nostre proposte, ci siamo allora più che mai convinti che politiche alternative 12


Premessa

alle attuali potrebbero presentarsi solo se le popolazioni governate, interpellate dalle nostre inchieste, trovassero modo di invertire la tendenza che le vede sempre più disperse e divise persino da contraddizioni intestine. Sarebbe dunque solo tra queste popolazioni che politiche effettivamente innovatrici potrebbero vedere la luce e mettersi alla prova. A tal scopo se ne devono però stabilire almeno alcuni riferimenti generali. E vista l’apatia politica oggi dominante non resta che andarli a cercare altrove, in un altro tempo rispetto a quello attuale. Ed è precisamente tale ricerca che si vuole affrontare in questo libro. Un filosofo può cercare in tutte le epoche più o meno conosciute, dal momento che il suo punto di osservazione scruta il divenire del mondo dall’esterno di una metafisica, come insegna Badiou5. Ma non è questa la mia scelta. L’amore che provo a ripensare e a riproporre lo cerco nella contemporaneità della politica, come possibilità tra quel che è stato fatto e quello che ci sarebbe da fare a questo proposito. È per aprire tale possibilità che qui si cercherà di rompere la chiusure del presente rispetto al passato più prossimo, che attualmente appare quanto mai lontano. Anziché avallare la caricatura oggi obbligatoria del secolo scorso come secolo della violenza, è proprio lì, e nei suoi precedenti ottocenteschi, che cerco ispirazione. Fino a una trentina d’anni fa, infatti, parlare e pensare di politica non era un parlare e pensare anzitutto di democrazia e mercati, perché in cima alle agende politiche c’era, poco importa se spesso solo per ipocrisia, la riduzione delle ingiustizie su scala planetaria. Per ripensare oggi questo tempo andato, senza nostalgia né rinnegamenti, ma cercando di capire se ha ancora qualcosa da insegnarci, e non solo in negativo, ci vuole però un “dispositivo” problematico singolare. L’insieme di questo libro ne tenta un abbozzo.

Le ragioni Per rendere il più possibile intelligibile la trama del libro ecco stenografati gli argomenti delle sue parti e dei suoi capitoli. La prima parte, dopo aver fornito alcune istruzioni per l’uso della parola “politica”, tratta del partito come figura che dalla fine dell’800 a una trentina di anni fa si era dimostrata capace di catalizzare le più in13


Valerio Romitelli

tense passioni politiche. La domanda centrale è come mai oggi tale figura susciti invece più che altro antipatie. Quale storia preceda questa svolta e come si sia giunti a essa saranno i temi principali del primo capitolo. Perché il discredito attuale del partito sia così profondo è quanto poi si chiede il secondo capitolo. Temi centrali qui sono le conseguenze superclassiste dell’egemonia conquistata una trentina d’anni fa da quella che si qualifica come “la più grande democrazia del mondo”. Il capitolo successivo, il terzo, è invece dedicato a mostrare l’anacronismo delle principali critiche classiste, da un lato, e liberali dall’altro, rivolte al nostro tempo. Quanto alla seconda parte, essa costituisce una sorta di cerniera tra la prima, più descrittiva e critica, e la terza, più teoricamente propositiva. Qui sono quindi fornite alcune indicazioni sul metodo seguito in questo testo: da un lato si rivendica una nuova impostazione problematica post-marxista, che viene chiamata “materialismo politico”; dall’altro si mette in risalto l’equivocità dell’opposizione attualmente obbligatoria tra dittatura e democrazia, in alternativa alla quale si propone un ripensamento delle distinzioni tra politiche conservatrici, reazionarie e rivoluzionarie. A tale ripensamento è quindi dedicata la terza parte. Come orientamenti generali sono qui richiamate le due grandi scansioni epocali, da una parte tra tempo antico e tempo cristiano, dall’altra tra il “mondo chiuso” d’impostazione tolemaica, da cui provengono teologia e giurisprudenza, e l’“Universo infinito” post-copernicano, in cui è emerso il paradigma rivoluzionario. In riferimento a quest’ultima scansione epocale si propone la distinzione tra due modi di pensare in esteriorità la politica (conservatore e reazionario) e uno in interiorità (sperimentale), offrendo esempi di questa triplice casistica. Si avanzano quindi alcuni punti per pensare le passioni politiche e, dopo avere preso le distanze da una delle più rilevanti teorie a questo proposito, quella del “Politico”, si giunge a trattare direttamente di come la politica possa implicare l’amore, segnalando qualche esempio storico a riguardo. L’ultimo capitolo riguarda poi la distinzione tra corpi apatici (religiosi, statali ed economici) e corpi passionali della politica (le organizzazioni dette un tempo “rivoluzionarie” e qui chiamate “sperimentali”), il tutto corredato da riflessioni critiche intorno alle tematiche della bio-politica e della de-materializzazione. Infine, tema della conclusione è una possibile rieducazione sentimentale e intellettuale alla politica. 14


Premessa

Le parole Qui non si seguono dunque canoni o ortodossie, ma non si vuole nemmeno vagare alla cieca. Vincoli al pensare la politica ne sono posti, ma singolari, o se si preferisce eccentrici. In ogni caso difficilmente etichettabili come di centro, né di destra, né di sinistra. Non potendo, né volendo, rivolgersi a nessuna comunità di esperti, il linguaggio adottato è frutto di una scommessa: quella di provare a farsi intendere da chiunque sappia anche solo un minimo di marxismo, religione e diritto, e che ovviamente voglia interessarsi alla politica, e quindi alla sua storia. Data l’ampiezza delle questioni affrontate, l’orizzonte di riferimento non può che essere mondiale, senza rinnegare che lo sguardo resta essenzialmente italiano. Il che significa particolarmente esposto almeno a quattro o cinque tipi di condizionamenti tanto profondi da restare sempre più inconsci che consci. Uno è evidentemente quello cattolico, posto che la Chiesa di Roma sia la più unita, organizzata e potente del globo, e dunque con influenze difficilmente calcolabili per chiunque abiti nel nostro paese e ragioni con la sua lingua. Un altro è quello che viene dalla storia di un Partito comunista che ha avuto importanti momenti di protagonismo nazionale e mondiale, ma che si è anche dissolto in un assordante silenzio, per poi riciclare i suoi resti in un orientamento marcatamente atlantista. Un altro ancora è proprio l’incombenza geopolitica e culturale della diplomazia americana, che nell’Italia del Secondo dopoguerra ha saputo crearsi un consenso particolarmente ligio. Infine, l’ultimo, ma non per importanza, è il retaggio non tanto del Ventennio fascista, quanto del modo in cui è stato liquidato e assorbito dalla fondazione della Repubblica, obliterando lo slancio innovatore dell’esperienza partigiana. Operazione del resto che si è ripetuta, mutatis mutandis, col ’68. Una serie di non detti, dunque, che inevitabilmente tornano quando si parla di politica con questa lingua. Il primissimo passo sarà dunque provare ad andare al di là del senso più corrente che ha la parola “politica” e chiedersi se abbia avuto e se possa avere in avvenire altri possibili sensi. Cominciamo dunque ponendo subito almeno un discrimine minimo, ma abissale, a proposito di questa parola.

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Valerio Romitelli

Note - Premessa   Riferimento importante a tal proposito viene da S. Lazarus (a cura di Natacha Michel), L’intelligence de la politique, Paris, Al Dante 2013, ma anche dalle riflessioni intorno a quanto pensava Louis Althusser quando ricorreva a formule folgoranti come «la politica divide unendo, mentre la filosofia unisce dividendo», in Risposta a John Lewis in Umanesimo e stalinismo. Fondamenti teorici della deviazione staliniana, Bari, De Donato 1973. Se interessano poi le divergenze dell’approccio qui proposto e quello “populista” di Laclau si può vedere il mio intervento Post-marxismo e populismo (pp. 192-204) in M. Baldissari e D. Melegari (a cura di), Populismo e democrazia radicale, Verona, Ombre Corte 2012. 1

2   Conferma ne viene anche dal fatto che il massimo dell’antipolitica, come quella espressamente rivendicata dal Movimento 5 Stelle in Italia, abbia cominciato a far la voce grossa anche tra i seggi parlamentari. 3   Vedi i due libri: V. Romitelli (a cura di), Etnografia del pensiero. Ipotesi e ricerche, Roma, Carocci pressonline 2005 e V. Romitelli (a cura di), Fuori della società della conoscenza. Ricerche di etnografia del pensiero, Roma, Infinito edizioni 2009. 4   Senza discutere delle differenze, penso a nomi d’eccellenza mondiale come P. Krugman, Fuori da questa crisi adesso!, Milano, Garzanti 2012; J. Stiglitz, Bancarotta. L’economia mondiale in caduta libera, Torino, Einaudi 2010; A. Bagnai Il tramonto dell’euro, come e perché la fine della moneta salverebbe democrazia e benessere in Europa, Reggio Emilia, Imprimatur 2012; L. Gallino, Finanzcapitalismo. La civiltà del denaro in crisi, Torino, Einaudi 2011; A. Giannuli, Uscire dalla crisi è possibile. Riformare la finanza, promuovere l’eguaglianza, ripensare la globalizzazione: per un nuovo primato della politica e dell’economia reale, Milano, Ponte alle grazie 2012; o un gruppo come quello francese de Les économistes atterrés (www.atterrés.org), rimasto inascoltato. 5   La filosofia di questo autore è qui riferimento imprescindibile, anche se tenuto a distanza e non senza riserve critiche.

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Parte Prima



capitolo i Politica e partito

Il senso della politica L’etimologia della parola non è del tutto certa, nonostante il riferimento più evidente sia quello al termine greco πόλις, che indica la città autogovernata – detta anche molto impropriamente “città-Stato” – tipica dell’antica Grecia. Dovrebbe quindi sembrare più conseguente ritenere che il suo significato derivi a sua volta da πόλος, il polo, il centro di quel tipo di città dove la popolazione poteva riunirsi per decidere i propri destini; luogo, questo, ben distinto da quello del mercato in cui si facevano gli affari. Esiste però un’altra interpretazione, secondo la quale la parola “politica” deriverebbe invece da πόλεμος1, indicante guerra, combattimento. Semplificando all’estremo, si può dire che nella prima opzione è privilegiata la visione della politica come attività volta a riunire, a unificare una popolazione altrimenti disunita o dispersa, mentre nella seconda si presumono almeno due popolazioni che si uniscono in una lotta reciproca volta a far prevalere una sull’altra. Si tratta dunque di un’alternativa metodologica radicale, che come vedremo è densa di conseguenze. Qui la scelta è per la prima opzione. Parlando di politica faccio riferimento a qualcosa di simile all’immagine della calamita, che attrae la polvere di ferro più vicina separandola da quella più lontana e sempre dispersa in quanto non raggiunta dalla forza d’attrazione. Ne consegue che la forza essenziale di ogni politica sta nel riuscire ad attrarre chi desidera unirsi ad altri il più indistintamente possibile, cioè non per motivi personali o particolaristici, d’identità o di appartenenza comunitaria; e respinge o lascia indifferente invece chi privilegia questi ultimi motivi, centrifughi rispetto alla stessa politica. Si comprende così che essa non può interessare e appassionare tutti nella stessa misura, anche se le sue conseguenze, quando ci sono, non risparmiano nessuno. Il che spiega perché parlare di politica è comunque sempre un parlare 19


Valerio Romitelli

delle condizioni di “tutti” senza distinzione, di universalismo, dunque di giustizia sociale2. Ne consegue un altro punto decisivo quanto al rapporto tra politica e verità. In poche parole: può ritenersi vera la politica che dice quel che fa per la giustizia sociale, mentre è da ritenersi falsa la politica che non fa quel che dice in favore della giustizia sociale. Tradizionalmente le popolazioni di cui si occupa la politica sono delimitate in base a criteri nazionali, e ancor oggi questo aspetto merita sempre grande attenzione. Non fosse che per le vaste implicazioni che ha una lingua piuttosto che un’altra nel pensare e nell’agire per la collettività. Tuttavia, attualmente gli Stati, pur mantenendo o addirittura accrescendo il loro potere, sono sempre più condizionati da poteri che trascendono ogni quadro nazionale. Cosicché è divenuto problematico finanche il capire quale sia il popolo o i popoli coinvolti dalle strategie di questi poteri. Nel disordine globale che così si alimenta, riscuote consensi l’opinione secondo la quale al fondo della crisi in atto, la più grande mai conosciuta dal capitalismo, ci si possano sempre attendere grandi sollevazioni popolari. Ma anche se così fosse, niente escluderebbe che potrebbe seguirne una dispersione ancora maggiore tra i protagonisti di tali moti. Che siano rivolte estese oppure guerre locali o globali quelle che riserva l’avvenire, il problema politico principale resta lo stesso, è cioè come sia possibile dar corpo a organizzazioni senza ambizione di potere e dedite alla realizzazione di una maggiore giustizia sociale3.

Il senso del partito Il partito, va da sé, è rappresentanza presso sedi parlamentari di un segmento della volontà popolare in cui si esprimono interessi socio-economici particolari. Dunque, perché ci siano i partiti basta che ci siano tali sedi istituzionali, di Stato. A ragionare in questo modo però non si capisce nulla di tantissime questioni politicamente cruciali. Anzitutto, come mai in Europa i partiti diventano così politicamente decisivi dalla fine dell’800 e come mai proprio questo sia il tempo in cui diventano così potenti partiti socialisti che rappresentano popolazioni senza proprietà, né potere. Si noti allora che con la parola “rappresentanza” si allude a una ripresentazione, cioè alla presentazione una seconda volta di qualcosa di 20


Politica e partito

già esistente. “Partito”, da questa angolatura, risulta fondamentalmente una funzione, un rapporto senza consistenza propria. A essere consistenti non sarebbero così che la volontà popolare e il parlamento, in quanto potere dello Stato. La convinzione che ogni partito sia qualcosa comunque privo di un proprio corpo fa sì, per esempio, che se ne parli spesso solo come “forma”. In effetti parlare di “forma partito” è praticamente obbligatorio se si ritiene che i suoi veri contenuti stiano “sotto” e “sopra” di esso. Qui si propone un’altra prospettiva, volta invece proprio a ripensare i partiti come corpi dotati di una propria consistenza organizzativa4. Solo così, infatti, si può non ridurli a una funzione, forma o mediazione, ma pensarli come soggetti materiali capaci di mobilitare politicamente intelligenza e energie passionali altrimenti impossibili. Il senso dello Stato si sa cosa sia, anche se assai confusamente. Il senso del partito, no. Oggi, dato che questa figura è solo l’ombra di quel che è stata fino a una trentina di anni fa, è opportuno chiederselo.

Classismo, anticlassismo, interclassismo Tra le versioni moderne del partito politico sono state preminenti quelle che lo identificavano come un’organizzazione di una classe sociale nei confronti di altre. Si tratta anzitutto dei partiti che si sono detti “socialisti” e “comunisti”. L’importanza di tali partiti, che chiameremo classisti, è stata tale da costituire un riferimento imprescindibile anche per i partiti avversi, che per ciò si possono qualificare come anticlassisti e interclassisti, i quali hanno sempre avuto come ossessione ricorrente la ripulsa di ogni partito, movimento o associazione dichiaratamente classisti. Reagire frontalmente a essi, mimandone linguaggi e corpi organizzativi, è stata per esempio la prima condizione della nascita e dello sviluppo di quei partiti fascisti o nazisti che rappresentano il modello principale dell’anticlassismo in politica. Patria privilegiata dell’anticlassismo è comunque sempre stata l’America, dove però è quasi del tutto mancata l’imitazione dei partiti classisti da parte della coppia di partiti, quello repubblicano e quello democratico, che si sono alternati al governo di questo paese sempre rivendicando strategie interclassiste. Tattica anticlassista 21


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