Thinkpink n 2 2015

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Think | pare inspiegabile, se decontestualizzato dalle regole che vigevano agli inizi del 1600. Il Tassi, per rimediare alla sua colpa e restituire l’onorabilità alla famiglia Gentileschi, avrebbe dovuto sposare Artemisia, ma essendo egli già sposato, aveva bisogno di tempo per trovare una soluzione consona alla vicenda. “Veggasi che Agostino non ha voluto sposare Artemitia conforme alla promessa”

[Atti processuali]

Dunque, Orazio Gentileschi intenta causa al Tassi, non tanto per lo stupro della figlia, ma, soprattutto, per la mancanza della parola datagli, cioè quella di ridare onorabilità al suo nome. Il primo atto di investigazione, da parte del Governatore di Roma, fu l’ interrogatorio di Artemisia. “…Io sentivo che m’ incendeva forte e mi faceva gran male che io per l’ impedimento che mi teneva alla bocca non potevo gridare, pure cercavo di strillare meglio che potevo chiamando Tutia e gli sgraffignai il viso e gli strappai li capelli et avanti che lo metesse dentro anco gli detti una matta stretta al membro che gli ne levai anco un pezzo di carne. Con tutto ciò lui non stimò niente e continuò a fare il fatto suo.”.

[Atti processuali]

La vivida descrizione di Artemisia, per quanto riguardo il suo stupro, è finalizzata non al provare di essere stata vittima, ma di aver tentato in ogni modo di difendere la sua verginità, poiché secondo gli Statuti di Roma del 1580, lo stupro era indissolubilmente legato alla verginità della vittima di tale atto. Orazio Gentileschi basò la sua accusa, quindi, non tanto sulla violenza subita dalla figlia, ma sulla promessa di matrimonio non mantenuta e sull’ offesa arrecatagli dall’ amico, spesso ospite della sua casa. Agostino, da parte sua, basò la sua difesa, non tanto sul negare l’ atto di possessione, ma sullo screditare l’ onorabilità della giovane, diffamandola e sostenendo che non vi fosse stato alcun stuprum, essendo la fanciulla già stata deflorata in precedenza, da uno dei numerosi uomini che erano soliti frequentare la casa. Per fugare ogni dubbio sull’ onorabilità della giovane, Artemisia fu torturata, così da mettere alla prova le sue parole. Venne così sottoposta alla Sibilla, per dare così credibilità alla sua deposizione. Fu interrogata per l’ennesima volta, mentre le dita le venivano strozzate e profondamente escoriate dalle corde avvolte attorno ad ogni singolo dito, sino al sanguinamento degli arti. Tassi tentò in ogni modo di dimostrare la disonestà della donna, facendo intervenire testimoni, i quali narravano dei diversi uomini fatti introdurre da Artemisia nella sa stanza. Allo stesso modo, il Gentileschi produsse testimonianze in senso contrario, per provare che la sua casa era frequentata solo dai parenti o tutt’ al più dai modelli per i quadri, solo quando lo stesso pittore era a casa. Il Tassi venne infine condannato all’ esilio, pena che non scontò mai, essendo strettamente legato alla famiglia Borghese, per la quale aveva dei lavori in corso da terminare. La colpevolezza, riconosciuta al Tassi, però non poté certo essere una grande consolazione per Artemisia, la cui onorabilità era ancora compromessa. Nonostante la sua travagliata e sofferta vita personale, la Gentileschi divenne una pittrice eccelsa, prima donna ad essere ammessa all’ Accademia delle Arti del Disegno, nel 1616 a Firenze. Artemisia, grazie alla sua arte, fu una donna indipendente, soprattutto sul piano economico, al punto di poter abbandonare il marito, in maniera definitiva, e di crescere da sola i suoi figli, divenendo così una figura simbolo del femminismo e del desiderio di emancipazione dal potere maschile. Con il saggio di Roberto Longhi, “Gentileschi padre e figlia”, si segnò il riconoscimento

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