Pink Magazine n 3

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LE REGINE DEL ROMANCE KIMBERLY BROCK RECENSIONI I MIGLIORI ROMANCE DI SEMPRE

LA POSTA DI PAOLA PICASSO QUATTRO PASSI CON L’AUTRICE VIVIANA GIORGI

SELEZIONATI PER VOI DA PINK

RACCONTI INEDITI

ROMANCE


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MAGAZINEITALIA

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E Editoriale

La redazione di Pink augura a tutti voi un sereno Natale e felice anno nuovo, con un numero pieno di racconti e di recensioni...

Buone feste


Pink

SOMMARIO Dicembre 2014

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Le interviste di Pink: Kimberly Brock di Cinzia Giorgio

10 Cinema e letteratura: Shirley di Susanna Bruna Mozzoni

14 Lui - Lo sguardo di un uomo di Sam Stoner

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Racconti a cura di Alessandra Bazardi

Gelosia formato spiaggia di Francesca Baldacci Promesse di Angela D’Angelo,

Cercasi Babbo Natale di Ledra e Luce Loi, I guardiani di Lucilla Noviello Una storia di Natale di Viviana Giorgi

4 KIMBERLY BROCK Intervistata da Pink

23 Quattro passi con l’autrice: Viviana Giorgi di Alessandra Bazardi

25 Recensioni Storia erotica d’Italia La macchina della felicità E dopo Carosello tutte a nanna Vacanze da Tiffany

30 La posta di Paola Picasso di Paola Picasso

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Pink

10 CINEMA Shirley .

15 RACCONTI Storie di donne. Le lettrici di Pink Magazine diventano protagoniste.

23 QUATTRO PASSI CON L’AUTRICE In questo numero Viviana Giorgi si racconta.

25 RECENSIONI

30 LA POSTA DI PAOLA PICASSO La famosa scrittrice Paola Picasso, risponde alle lettere delle lettrici.


Pink|Interviste

KIMBERLY

BROCK La disciplina della felicitĂ

Arrivata al primo posto della classifica Amazon bestseller, conquistando il pubblico e la critica, Kimberly Brock si è aggiudicata il prestigioso premio Georgia Author of the Year 2013. Pink

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Pink

di Cinzia Giorgio

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affatto. Il libro si apre sul dolore di Roslyn per la recente perdita del bambino che portava in grembo. Roslyn non ha radici, anche se ha alle spalle l'eredità affettiva di una famiglia è molto unita. Durante la sua infanzia però Roslyn è stata strappata alla sua famiglia allargata e ora si sente insicura sulla sua identità perché non ha il supporto di una comunità alle spalle. Damascus Trezevant è una donna di mare, che dovrebbe, anagraficamente, essere solo una ragazzina ma che nella realtà non lo è affatto. È cresciuta in una comunità isolata dal resto del mondo, è sola al mondo e piange la perdita di sua madre. Damascus conosce ben poco del mondo che si trova oltre la sua isola e il suo ristretto ambiente familiare. Entrambe sono però profondamente sole. Cercano entrambe una ragione per vivere e sono lo specchio l'una dell'altra per quanto riguarda i cambiamenti, le decisioni da prendere per riappropriarsi della loro vita. Puoi spiegare ai nostri lettori perché hai scelto il titolo "The River Witch" (La Strega del fiume)? La storia ci ha sempre narrato di donne che sono state temute, criticate, punite e abbandonate a se stesse solo perché avevano il potere di conoscere la natura e I frutti della terra. In particolare, vi sono moltissimi romanzi e racconti (anche popolari) che parlano di donne capaci di trasformarsi in sirene, serpenti o alter creature magiche proprio in virtù delle loro conoscenze. Mi

on il suo romanzo d'esordio The River Witch (Bell Brigde Books, 2011) la scrittrice statunitense Kimberly Brock è subito arrivata al primo posto della classifica Amazon bestseller, conquistando il pubblico e la critica. La Brock, che ha alle spalle un passato da attrice e di educatrice di ragazzi difficili, si è inoltre aggiudicata il prestigioso premio Georgia Author of the Year 2013. Il suo romanzo evoca e celebra la gente del Sud degli Stati Uniti, le tradizioni, le canzoni popolari, le credenze e le superstizioni che caratterizzano il sostrato culturale della stessa Brock e che hanno accompagnato la sua infanzia. The River Witch narra della giovane Roslyn Byrne, una promessa della danza che, dopo un incidente e il conseguente aborto, decide di isolarsi dal mondo e di andare a vivere in un'isola sperduta. Ma la gente del luogo non le permetterà di rimuginare su se stessa e Roslyn, aiutando gli altri e superando i suoi stessi fantasmi, riuscirà a capire il senso della vita e dell'amore. Augurandoci una traduzione italiana del romanzo, abbiamo chiesto a Kimberly di parlarci del suo lavoro. Roslyn Byrne e Damascus Trezevant sono leprotagoniste del tuo romanzo d'esordio The River Witch. Cos'hanno in comune queste due donne e in cosa si differenziano? Roslyn Byrne è una ragazza di montagna che dovrebbe, anagraficamente, essere già una donna matura ma che nella realtà non lo è

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Pink|Interviste

sembrava che anche se Roslyn arriva a Manny's Island per vivere nella casa di una donna tacciata di stregoneria, tutti i personaggi del mio romanzo hanno un'idea diversa di cosa significhi per loro essere una strega o cosa significhi subirne l'influenza di una donna che ha dei poteri. Mi piaceva l'idea di porre agli stessi lettori la questione del rapporto tra donna e potere. Volevo che i lettori cercassero la risposta non solo all'interno del mio romanzo ma nelle loro vite. Ero già molto avanti nella stesura di The River Witch quando mi sono accorta che avrei voluto inserire anche la mitologia nella mia storia di ambientazione contemporanea. In particolare, a libro terminato, ho scoperto delle affinità scioccanti tra The River Witch e il suggestivo mito di Melusine, la vergine che fu maledetta che viveva in un'isola sperduta e che mentre faceva il bagno si trasformava in un serpente marino.

sapremmo riconoscere la nostra anima gemella quando e se la dovessimo incontrare

chi e delle coste della Georgia. Ho amato questa mescolanza di tradizioni e di caratteri, perché rivelano quanto queste storie siano senza tempo. Ma mi piace lasciar decidere al lettore cosa vuol trarre dal mio libro. Nel tuo romanzo si trovano infatti molti riferimenti alle tante leggende e tradizioni del Sud degli Stati Uniti. Puoi svelarci la natura di alcune di queste tradizioni e perché hai deciso di inserirle nel libro? Tutti i popoli hanno le loro tradizioni e superstizioni. Tutto questo perché la nostra comprensione del mondo e della natura è molto limitata. Le superstizioni in tal senso sono il

Questa duplice natura femminile l'idea di una donna bellissima con un terribile segreto, uno sfortunato amante, una donna che canta una canzone piena di dolore, che cerca di superare il confine tra il mondo reale e quello della percezione, una donna che ha perso un bambino e che vaga in esilio perché il suo lato oscuro ha avuto il sopravvento. Roslyn, e non solo lei, è il simbolo di tutte le donne del mio romanzo. Senza rendermene conto ho concentrato in lei l'antico mito, incorporandolo al mio background culturale e al contesto dei monti Appala

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riflesso di questi limiti e del nostro anelare verso il divino. Per quanto mi riguarda, sono una persona molto spirituale e intuitiva. Credo in un potere che è sopra di noi e mi interrogo sui misteri dell'universo. Credo negli spiriti, nelle anime di coloro che sono dipartite e che ritornano a avvisare le persone che hanno amato quando le sanno in pericolo prima che sia arrivata la loro ora. Nella mia famiglia vi sono stati casi del genere e comunque io stessa credo in un mondo metafisico, come molte americane del Sud. Le nostre nonne ci hanno cresciute con i loro racconti, la loro musica e tutto questo ha chiaramente influenzato le nostre vite. Le credenze popolari sono solo un aspetto della cultura delle genti del Sud. A me interessano anche le loro reazioni verso ciò che li spaventa o li attrae, il loro rapporto con la morte, con il dolore e specialmente la loro grande fede. Ho forgiato il personaggio di Roslyn basandolo sul credo religioso protestante di mia nonna; mentre per la gente di Manny's Island, ho fatto in modo che le loro personali idee sulla natura, sul divino, sulla famiglia, sulla fede e sulla morte derivassero in qualche modo dalla cultura degli indiani Seminole e Geechee, che hanno abitata quelle terre per generazioni. Tutti i personaggi sono capaci, come i loro avi, di non portare rancore e di perdonare tutto questo grazie alla mescolanza di superstizioni, credenze e fedi tutte riunite in loro. I personaggi di The River Witch, coloro optano per il perdono, coloro che ricambiano il male con il bene, sanno che è l'unica via possibile per sopravvivere. Ma soprattutto sanno che l'amore è l'unica cosa che conta nella vita. Pensi che le nostre vite siano già tracciate dal fato o dal destino? Entrambe le cose. Credo che ognuno di noi sia nato per uno scopo ben preciso e che se abbiamo dei doni dobbiamo usarli non solo per noi ma per tutti, perché ognuno di noi nel suo piccolo può cambiare il mondo. Credo che siamo nati per amare e che tutti sappiamo riconoscere la nostra anima gemella quando e se la dovessimo incontrare. Credo inoltre che le nostre scelte personali valgano non solo per le nostre vite e che stiamo

percorrendo un cammino già segnato: progettare un viaggio, scalare una montagna, prendere una nave o vagare nel deserto… non importa, perché la destinazione è sempre la nostra vita. E alla fine si ritorna sempre a casa. Quanto è importante la musica in questo tuo percorso di vita e di lavoro? La musica è un elemento per me vitale,soprattutto i canti che provengono dalla mia infanzia. Quando ascolto della musica, trovo che vi siano delle connessioni interessanti fra antico e moderno. La musica parla alle viscere del corpo e ne sentiamo il ritmo non solo con le orecchie, ma anche con il cuore in un fondersi tra anima e copro che altre arti non trasmettono così immediatamente. A me piace molto cantare, inoltre, perché mi dà una sensazione di potere magico, di assoluta poesia. La musica ha il potere di evocare ricordi e sensazioni e nel mio romanzo tutti i personaggi usano la musica per combattere il loro dolore, specialmente Roslyn Byrne. Tra le più importanti e influenti tradizioni musicali americane c'è la ballata Sacred Harp, che riporta Roslyn alla

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Pink|Interviste

sua infanzia. Viene sempre cantata a cappella ed è una ballata tipica americana, che però affonda le sue radici in una vasta tradizione di musica corale sacra - la country parish music – nata nei primi del XVIII secolo in Inghilterra. Non vi era una voce predominante che fa da guida alle altre voci, ma tutti i partecipanti, a turno, cantavano la loro strofa, in piedi in mezzo a una piazza piena di gente. È proprio grazie alla musica che Roslyn comincia il suo percorso interiore. Anzi, è riascoltando Sacred Harp che ritrova la sua perduta identità e sente di appartenere alla comunità dei popoli stanziati presso i monti Appalachi. Man mano che il romanzo procede, inoltre, Roslyn si immerge sempre più in questo mondo musicale che appartiene al suo passato e ne riconosce la forte e sacra componente che ha nella sua vita. Stai scrivendo un secondo romanzo? Puoi farci qualche anticipazione riguardo ai temi e ai personaggi? Sì, sto scrivendo un altro romanzo, ambientato sempre nei territori mistici e tranquilli del Sud degli Stati Uniti. Stavolta però mi concentrerò su una storia americana vera, ma dimenticata. Il romanzo che sto ultimando ha come sfondo la Georgia della fine della Seconda Guerra Mondiale e parla di una donna che ha subito un forte trauma ma che possiede un potere straordinario. Sarà una sua discendente a trovare la forza di scavare nel passato e far risentire la voce della sua antenata dopo secoli di oblio. Il romanzo è un inno alla verità e alla fede che sono in ognuno di noi e che dovremmo imparare ad ascoltare per farci guidare nel percorso della nostra esistenza. Sei mai stata in Italia o ti piacerebbe visitarla? Sì, ci sono venuta con mio marito. Eravamo andati in Francia qualche anno fa e in una folle notte d'estate, abbiamo deciso di prendere la macchina e di passare il confine per raggiungere l'Italia. Abbiamo visto spuntare l'alba su paesaggi incantati e incantevoli: piccole cittadine fatte di case antiche, negozi e botteghe, chiese superbe e la bella gente allegra che solo in Italia si può conoscere. Ci eravamo fermati a un semaforo quando alcu-

CURIOSITA’ Andate su Amazon e scaricate A cup of Christmas, un'antologia di storie toccanti. Tr e n t u n o a u t o r i condividono storie, memorie, poesie e un paio di gustose ricette in questa antologia natalizia. In vendita solo su A m a z o n . Tro v e re t e storie avvincenti e divertenti di tutti i generi: Romance, urban fantasy, un misterioso ragazzo etereo, un uomo anziano con una nuova prospettiva di vita, un matrimonio complicato, Babbo Natale innamorato, un concorso di bellezza del Texas e una favola per il vostro cuore. Questi alcuni dei temi trattati nei racconti. L'elenco potrebbe continuare. Tutti i proventi di questo libro vanno a First Book per aiutare l'alfabetizzazione per i bambini.

ni danzatori hanno improvvisato una danza per noi. Ne siamo rimasti affascinati! Purtroppo la mia esperienza italiana finisce qui, ma ho ferma intenzione di tornarci. Ogni volta che ci ripenso vengo presa dalla magia del vostro bellissimo Paese e mi assale la voglia di prendere il primo aereo e venire da voi. E chissà che non lo faccia nell'immediato futuro!

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Lezioni seminariali di alta formazione per chi vuole fare della scrittura una professione Dal venerdì (h. 19-21) al Sabato (h. 11-13 e 15-18) 23-24 gennaio 2015: Le basi della narrativa 21-22 febbraio 2015: L'esperienza del narrare in tutte le sue forme 21-22 marzo 2015: Riconoscere il proprio genere letterario 22-23 maggio 2015: Scrivere un romanzo 6 giugno 2015: La traduzione letteraria

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BENEDETTO COCCIA (Leussô) - CINZIA GIORGIO (Leussô) ALESSANDRA BAZARDI (Agente Letterario) - ALESSANDRA PENNA (Editor) MARCELLO SIMONI (NewtonCompton) - ROBERTO GENOVESI (Rizzoli, NewtonCompton) STEVE BALSAMO (Songwriter) - UMBERTO BROCCOLI (RAI, Mondadori) CARLA CUCCHIARELLI (Tg3 Lazio) - PAOLA PICASSO (Mondadori) LETIZIA TRICHES (NewtonCompton) - FRANCESCA BERTUZZI (NewtonCompton) GIULIO LEONI (Mondadori, Nord) - ILARIA BELTRAMME (NewtonCompton)

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Pink|Cinema

SHIRLEY visioni della realtĂ

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di Susanna Bruna Mozzoni

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on necessariamente America e non necessariamente donna ma entrambe e molto, molto altro ancora. Questo è Edward Hopper, l'autore capace di inchiodare sulla tela l'America e la donna. Dio fece lo stesso qualche tempo fa, be' lo stesso, diciamo con le dovute differenze. Del resto l'Onnipotente trasuda attimi, escogita frammenti, si cimenta con l'infinito quindi, per la sua opera, chiamò l'umanità intera. In giro si dice che ci vollero sette giorni esatti per infilare lì dentro tutto il suo gregge. Hopper invece ci mette poche cose, quasi niente, spazza via perfino le briciole, lucida e illumina l'indispensabile. Poi rassetta l'immobilità che è tutt'attorno. La riposiziona meticolosamente. La donna sa che sarà dipinta avanti al nulla, come sempre. Ogni volta Hopper la chiama senza pronunciare il suo nome e, al cenno, lei va a collocarsi spontaneamente nel mezzo della scena. Radunando tutto il silenzio, ha scoperto che può lasciarsi sopraffare da quella

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realtà impeccabile e ormai ammissibile, alla quale, quasi s'è arresa. Non è per cinismo che Dio e Hopper s'appassionano a osservare come queste anime reagiscono all'imposizione della loro arte. Ambedue spingono nel vuoto le proprie creature, poi si siedono e rimangono ad aspettare. Quel che interessa è il loro precipitare, la condizione d'emergenza che le indurrà a individuare l'appiglio che le potrà salvare. Ed è qui che si colloca il regista austriaco Gustav Deutsch, che ha voluto “accendere” tredici opere di Hopper, mettendole in fila, una dopo l'altra realizzando il lungometraggio "Shirley - Visioni della realtà". Deutsch ha deciso di dare voce ai dipinti di Hopper, una voce che è quella dei colori, delle luce, dell'immobilità metafisica e soprattutto della donna ritratta, nel film Shirley e nella vita Josephine Nivison, moglie e unica modella del grande artista statunitense. Sono curiosa, mi hanno parlato di quest'opera con toni entusiastici, così mi intrufolo tra il gruppo che è venuto all'anteprima. Siamo in sala ancora in piedi e sparsi nel brusio eccitato che anticipa l'inizio. Le luci si abbassano, lo schermo si accende.


Pink|Interviste

Scrutandone le scene ci sembra di sporgerci dai finestrini illuminati di un treno che viaggia muovendosi appena. Verifichiamo che dentro non si sia infiltrato il tempo, controlliamo che nulla sia scosso e che identico resti il silenzio. Poi cerchiamo la donna. Lì per lì non la troviamo. Io, che sono impaziente, vorrei chiamarla ma non so il suo nome e, inoltre, non posso alzare la voce. Dove si è cacciata, non ha sempre abitato qui ? Mi sento sfiorare la spalla e mi volto. - Mi stavate cercando? A proposito, io sono Shirley – dice rivolgendosi a me, ma domandandolo a tutti. - Come mai è uscita dal quadro, - le chiede un signore col cappello e col tono apprensivo. Ero certo di trovarla seduta in scena. - Mi trovavo in un altro dipinto, per l'esattezza nell'ultimo tra quelli prescelti, poi vi ho veduti ed eccomi qui. – Rivolgendosi a me dice: - Torniamo nel primo così iniziamo, lei entra con me ? La seguo senza risponderle mentre il resto del pubblico si accomoda in sala. - Si accomodi su questa poltrona, le preparo un caffè ? Ma dov'è la donna inchiodata alla tela, muta, trasognata, sgomenta ? Non smetto di guardarla, noto che mantiene il sorriso tranquillo di quando si è presentata, ne sono sicura anche adesso che mi sta dando la schiena. Spiega un grembiule stirato di fresco, lo annoda in vita mentre il caffè sta bollendo.

- Lei sembra una donna tranquilla – dico - e qui tutto è calmo, pacato, ordinato. Si tratta di pace? - Oh non creda, e voi altri in sala nemmeno, qui c'è anche la guerra, sappiatelo, Edward era un uomo esigente e troppo sincero, non ha voluto nascondermi niente. Ha insistito che io entrassi nei suoi quadri perché qui, in questo poco, pochissimo, quasi niente, c'è il vuoto che incuba tutte le forme e accoglie tutte le assenze. In queste stanze spoglie, nell'ora ferma, nello spazio angusto che addensa le infinite possibilità della creazione, io mi sono persa. Così come lui temeva, sperava e mi augurava generosamente. Era tutto programmato e ho dovuto darmi a una caccia forsennata di me stessa per stanarmi e approdare finalmente a me, pronunciando a voce alta proprio il mio nome. - Il nome dunque, questo sarebbe stato l'appiglio? - Non era uno sprovveduto, mi ha chiusa qui dentro consapevolmente, per prepararmi alla verità che è sempre claustrofobica, perché non ci offre la possibilità di voltarle le spalle, perché si insinua tutt'attorno e avvinghia anime e cose, perché è doppia e ti vuole dividere, ridurre. Non è che non avessi capito anch'io. Pure non lo sapevo ancora, non del tutto, che la mia coscienza doveva subire una sottrazione e che quella moltitudine di grappoli, quell'inesauribilità di acini in

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lei contenuti, avrebbero dovuto ridursi ad un nome, sintetizzarsi in una scelta obiettiva, ardua per un frammento. L'obiettività è così difficile quando hai un nome. A quel punto sei tutto dalla parte dei tuoi limiti, delle tue prerogative, non riconosci più le ragioni del cielo. - Si diventa forastici in questi frangenti, non lo dico per supposizione. - È così, non si può farsene o farne una colpa. Credere in se stessi è sempre una rivoluzione, stagliarsi dal tutto poi è cosa a cui non avrei mai voluto arrivare, io che sono una donna. La mia fede nella coesione rifiutava di cedere questa volontà alla speranza pretendendo che restasse un imperativo per me e per tutti, sempre. Faceva queste confessioni liberamente, versando il caffè, scostando i capelli, sorridendo lo stesso sorriso ormai da mezz'ora, snodando il grembiule da poco infilato, sedendo paziente e illuminata dall'abbondante pulviscolo che si lanciava esattamente su di lei, entrando dalla finestra spalancata, di lato a me, al centro della scena. - Suo marito, lucido e attento, le ha dedicato un atto generoso. Con i suoi quadri, immutabili, le ha restituito tutto. - Io lo ringrazio, infatti, mi ha indicato l'unico modo, non cento, non mille, ma l'unico, quello preciso, esatto, senza alternative. Mi ha obbligata a trovare il punto medio e non approssimato tra il nulla e Dio, a trascinare i miei passi dall'uno all'altro per conoscerli così a fondo da assomigliarli e prendere tutte le loro sembianze, imitarli, finché zero e infinito nella mia anima hanno coinciso! - Al di la dell'imposizione di suo marito cosa l'ha aiutata a comprendere? - Non saprei dirle, è nel silenzio che mi sono resa conto, ero sfinita e bisogna essere sfiniti per arrivare alla persuasione piena, lecita, possibile, e che contempla la contraddizione, acconsentire e dire: va bene. Ci sono stati momenti che avrei voluto piangere, arrabbiarmi o scappare ma poi sono rimasta ferma, sono rimasta seduta nella stanza, ho pettinato i miei capelli, ripetuto a memoria versi di Emily Dickin-

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son, sognato un vestito ampio e scollato color verde Tiffany, letto il quotidiano, preparato caffè. A proposito era buono, ho imparato a farlo bene il caffè? Ma adesso mi dia pure la tazzina, un attimo solo per sciacquarla e rimetterla al suo posto. Le luci si spengono. Inizia il film.

Letture consigliate «Edward Hopper. Biografia intima», tradotto in italiano dalla casa editrice milanese Johan & Levi (Anno 2014, pagg. 768, 35 euro)


Pink|Lui

di Sam Stoner

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on si capisce come la donna cada ancora nella rete dell'uomo, nella migliore delle ipotesi, l'uomo cacciatore, nella peggiore del sadico manipolatore. Eppure, a ben vedere, ci sono dei chiari segnali che questa tipologia di uomini trasmette, e trattandosi di uomini parliamo di segnali piuttosto palesi e sgraziati. Forse è il desiderio del sogno d'amore o del più semplice bisogno di non restare sole? Comprensibile ma non giustificabile. Insomma, anche se siete donne sole, siete pur sempre donne, quindi creature che per definizione hanno risorse e qualità a non finire. Come ci si può ridurre così in basso da accettare nella propria vita una grottesca caricatura di uomo pur di non essere fieramente single. Se l'essere sole e indipendenti vi crea così tanti problemi compratevi un cane da salotto, quelli microscopici da borsetta per esempio, molto fashion da portare nella vostra Kelly o nella vostra Guess, anche al cinema o in un appuntamento galante. Sì, persino al primo appuntamento con un uomo. L'uomo che non ama gli animali non può amare nemmeno voi, la sola accortezza è non farlo mordere dal vostro tesoruccio peloso oppure permettergli di fare pipì in auto. Al cagnolino intendo, non all'uomo. Potrete prendervi cura dell'amico a quattro zampe così come fareste di un partner ma con evidenti vantaggi. Potrete preparargli da mangiare e sarà sempre tutto delizioso, non ci sarà alcun tipo di critica e lamentela, potrete fargli il bagnetto quando desiderate evitando minacce

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Lui

Lo sfrontato sguardo di un uomo

Uomini? Per carità, meglio fuffy. solo per fargli toccare dell'acqua. Potrete coccolarlo all'infinito senza riottosi grugniti di disapprovazione, potrete chiamarlo “amore” tutte le volte che desiderate senza che si irriti. Sarà generoso nel darvi bacetti e leccatine almeno una ventina di volte al giorno, tanto nel caso ci fosse un uomo in casa, nel migliore dei casi, riuscireste a rubare un distratto bacio al ritorno dal lavoro. Non ci sarà bisogno di raccogliere calzini dal pavimento né di assistere alla devastazione del bagno dopo una semplice doccia (quella mensile, ovviamente), né troverete la tavoletta del water perennemente alzata. La casa sarà sempre in ordine e nessu14

no si lamenterà perché dopo dieci ore di lavoro e dopo la spesa serale, voi rientrando in casa non avete preparato nulla. Riguardo l'aspetto sessuale, il cagnolino non può essere utile in alcun modo se non per farvi rimorchiare avvenenti maschi. Mi permetterei di lanciare un consiglio agli uomini: fate un piccolo sforzo di fantasia, quando si è con una donna è del tutto inutile e improduttivo ostentare carte di credito, torace palestrato, puerili citazioni letterarie e decantare prestazioni da porno attore. Ci dev'essere di più. Molto di più.


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Racconti che parlano di donne, di emozioni, di amori persi e ritrovati, di sogni

LE

DONNE

Gelosia formato spiaggia di Francesca Baldacci Promesse di Angela D’angelo Cercasi Babbo Natale di Ledra e Luce Loi

I guardiani di Lucilla Noviello Una storia di Natale di Viviana Giorgi

a cura di Alessandra Bazardi

FOTO ARCHIVIO LIFE 1955

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Pink|Racconti

GELOSIA FORMATO SPIAGGIA di Francesca Baldacci Odioso. Fedifrago. Infame. Lurido individuo. Lancio un'occhiata all'indietro, verso il locale poco lontano. Un'occhiata assassina, tanto per intenderci: di quelle che incenerirebbero il posto, e tutto intero anche. Mi immagino perfino le volute di fumo. Ah, quando mi ci metto con la fantasia, riesco a figurarmi di tutto. E invece quel che vedono i miei occhi – nella realtà, si capisce – è la luce intermittente che esce dal pub, di quelle che abbagliano. E si sente anche la musica, quella specie di bam-bam assordante e continuo, non meglio definito, che nemmeno si capisce cosa sia. Io sono accoccolata sulla riva del mare. Alla musica stile “bambam” preferisco il rumore della risacca. E alle luci abbaglianti preferisco la visione notturna delle onde, che lambiscono i miei poveri piedi, martoriati da un gran tacco dodici che stasera ho

esibito, insieme al mio tubino chiaro. Infame e fedifrago lui, ingenua e stupida io. Ma che mi è preso, di innamorarmi di quello? Dovevo aspettarmelo, che finisse così. Andrea è abituato a ragazze DOC, di quelle che esibiscono abitini griffati al cento per cento, magre come stambecchi – o come top model, a seconda dei punti di vista – e non a donne del mio stampo. Ebbene sì, non ricordo il

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Non ricordo il giorno in cui ho calzato sandali tacco dodici 18

giorno in cui ho calzato sandali tacco dodici. È un peccato mortale? A quanto pare, sì. Per lui, però, per il mio amore, Andrea, in questa bellissima sera d'estate al mare, ho fatto anche questo. Certo i miei movimenti sono un tantino impacciati e qualche smorfiosa si è anche messa a ridere. Non so se sia stato questo, oppure no. Ma quando ci si è presentata davanti lei, Elena, fasciata da un


Pink «Andrea! » «Tieni» dice allungandomi un pacchetto di fazzoletti di carta. Mi ha letto nel pensiero, il lurido individuo? Mi asciugo gli occhi, il naso, tutta la faccia, e intanto alzo su di lui un'occhiata carica di astio. «Mmm» è il mio commento. «Che ti è successo, si può sapere?» incalza tentando goffamente di abbracciarmi. E io lo allontano: mi ha presa per una deficiente? «Sei gelosa di Elena? Ma dai. Guarda che stai sbagliando tutto. Non è come credi tu.» Mamma mia che pena. Crede che ci caschi? Non è nemmeno capace di recitare bene. Vorrei scappare via e invece resto incollata alla sabbia, al bagnasciuga. Finisce che lo ascolto, anche. «Elena e io siamo come fratelli, ci conosciamo da quando eravamo all'asilo e quando ci vediamo, scherziamo sempre. Lei è fidanzatissima, al momento, solo che il suo uomo arriverà domani. Contenta? Non hai motivo di essere gelosa. Neanche un po'. Se vuoi ti faccio parlare con lei.» «E pretendi che ti creda?» tuono, ma un po' meno arrabbiata. Allora Andrea mi toglie una ciocca di capelli dalla faccia. Ci era rimasta appiccicata sopra, con il trucco sciolto. Che orrore. Vorrei sprofondare sotto la sabbia. «Sì che devi credermi. Ti amo, Genny. Ti amo da matti. Così come sei.» A questo punto dovrei mollargli uno sberlone, forse. O mandarlo semplicemente al diavolo in malo modo. Invece no. Invece lascio che mi abbracci, mi baci, mi sussurri parole carine. Okay, lo ammetto: ho voglia di credergli. Se sbaglio non lo so. Ci penserò poi…

abito bianco che sembrava quasi incandescente, tutto lustrini, e tacco rigorosamente quindici, su cui stava a meraviglia, a suo agio come in pantofole, Andrea – il mio Andrea – non ha avuto occhi che per lei. Non in maniera sfacciata, intendiamoci: ma quasi. Lanciava un'occhiata fugace a Elena, poi cercava di rassicurare me con abbracci teneri che, man mano che il tempo passava, mi ingannavano sempre meno. E come se non fosse bastato questo, ci si è messa pure lei, quella vamp da urlo, ad ammiccarecivettare-cinguettare a tutto spiano. Nemmeno ho capito cosa stava dicendo. Battiti di ciglia feroci, sguardi languidi, voce rocae-suadente, a un certo punto perfino un mezzo abbraccio. Poco ci è mancato che non le dessi un bello spintone per farla finire in piscina (già, perché il suddetto locale super chic, pur essendo a due passi dal mare, ha pure una piscina interna). Temevo però che nello slancio ci sarei finita dentro per prima io, che su questi dannati tacchi alti non sto in piedi. Più di una volta ho incespicato e rischiato di volare. Per fortuna lo stesso Andrea è stato pronto e mi ha sorretto. «Ops! Fa' attenzione!» Me lo ha ripetuto almeno tre-quattro volte, questa sera. Poi però, quando si è avvicinato a Elena con uno sguardo da rubacuori che faceva impressione, per sussurrarle qualcosa, e le loro braccia si sono sfiorate di nuovo, non ci ho visto più. Anche perché ho captato, al volo, il luccichio di gioia negli occhi di lei. Che cosa le aveva detto il mio Andrea? Perché Elena lo guardava così, dannazione? Allora… allora ho sbraitato l'impossibile. Che cosa? Ah, non mi ricordo affatto. Credo che la mia memoria abbia rimosso l'accaduto. Devo avergliene dette di ogni. Poi… poi sono corsa qui, sulla riva del mare. Non so nemmeno come ci sono arrivata senza cadere, con i miei tacchi orribili. Me li sono tolti, adesso sono qui, accanto a me, simbolo di questa serata tremenda. E ho anche il trucco tutto sfatto – mascara, ombretto eccetera. Penso che se dovessi guardarmi allo specchio ora, mi prenderei un accidenti. E non ho nemmeno un fazzoletto di carta con me. Mica posso sciacquarmi gli occhi con l'acqua di mare. Poi, all'improvviso… Sì, qualcuno si è materializzato accanto a me. Come una specie di fantasma. Invece è…

FRANCESCA BALDACCI Del 1979 la sua prima pubblicazione, un racconto su Bolero. Da allora ha collezionato numerosissime esperienze giornalistiche e non. Del 2012 è la biografia con Gabriele Lorenzi, tastierista della Formula 3, “La macchina del tempo” (Miremi) e del 2014 “Vacanze da Tiffany” (Sperling & Kupfer).

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PROMESSE di Angela D’Angelo

I'll be home for Christmas, you can count on me... Clara tirò su con il naso. Era poco elegante e decisamente inopportuno, ma non riuscì a trattenersi. La canzone di Bing Crosby era triste anche quando non sembrava esser stata scritta per lei. «Sarò a casa il prossimo Natale, conta su di me.» Non aveva dubitato della parola di Paolo, ma poi lei aveva perso la supplenza e il mutuo non si paga da solo, no? Così il suo soldato era partito per una nuova missione. Cosa saranno sei mesi?, si era detta. Avrebbero pagato le rate della macchina e quel dannato mutuo che li stava prosciugando. Un donna indaffarata la urtò e Clara sussultò. La signora le lasciò uno sguardo infastidito, poi si accorse della sua condizione e sorrise contrita. «Mi dispiace» si scusò, prima di voltarsi nuovamente. Era così nei centri commerciali. Tutti correvano, cercando di acciuffare al volo gli ultimi regali. Scosse la testa ed entrò in negozio di abbigliamento pieno di persone, risate e contrattazioni. Scacciò via la tristezza e sorrise.

Mancavano tre giorni a Natale e lei era pur sempre una donna in giro a fare shopping. Un po' di acquisti le avrebbero tirato su il morale. «Desidera qualcosa?» Si voltò, intercettando l'espressione gentile e stanca della commessa. Aveva gli occhi cerchiati, i capelli sfatti ma un sorriso impeccabile. Le sorrise di rimando, apprezzando lo sforzo. Al suo posto, Clara avrebbe già cacciato tutti dal negozio, soprattutto i due bambini che si stavano nascondendo tra gli stand inseguiti da una madre a un passo dal piangere per la disperazione. «Un vestitino in lana, comodo ma molto carino. Qualcosa che faccia colpo.» La ragazza la squadrò da capo a piedi poi annuì impercettibilmente. «Ho ciò che fa per lei.» Si voltò e Clara si affrettò a seguirla. In un paio di punti

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dovette rallentare. Ehi, mica poteva correre come una ragazzina magra e con le caviglie della giusta dimensione? La commessa iniziò ad ammucchiare sul braccio vestiti di ogni colore. C'era persino qualcosa che assomigliava a un albero di Natale, verde e rosso con delle figure sospette sull'orlo. Clara era convinta fossero renne, ma non c'avrebbe giurato. «Può bastare» affermò, spaventata dalla prospettiva di dover improvvisare un salvataggio se la ragazza fosse stata sepolta da una valanga di lana. «Ha detto che vuole fare colpo» si giustificò, dirigendosi verso un bancone quadrato per appoggiare la merce. Clara sbatté le palpebre e lasciò che la commessa le illustrasse le qualità di ogni pezzo di stoffa. Il panico la assalì al pensiero di spogliarsi. Il riscaldamento era acceso ma era pur sempre dicembre e lei non era sicura di poter indossare la metà dei vestiti senza un aiuto. «Ferma» ordinò alla giovane, che stava per scartare un batuffolo di lana color crema con dei disegni marroni. «Questo» disse indicando il modello, che era soffice al tatto almeno quanto sembrava appetitoso alla vista. Paolo lo avrebbe adorato. La commessa glielo tese e Clara


Pink si diresse verso i camerini, sollevata che non ci fossero cerniere. Appoggiò la borsa su uno sgabello e appese il giaccone, i jeans comodi e il maglioncino. Infilò il vestito e si ripromise di comprarlo anche se non le fosse entrato. Era così morbido! Uscì dal camerino e raggiunse lo specchio. Mise le mani sui fianchi e si girò di profilo. Non le faceva il sedere troppo grosso. Magra consolazione. Con i capelli biondi pettinati sulle spalle in onde naturali e un po' di mascara a enfatizzare i grandi occhi nocciola, avrebbe fatto la sua figura. «Sempre che non guardi te!» concluse ad alta voce, mentre tendeva la stoffa sul pancione. «La mamma dovrà lottare un bel po' perché papà la guardi in viso» considerò con un sorriso. Suo marito avrebbe guardato prima il pancione, poi le sue tette (più abbondanti del solito) e infine l'avrebbe salutata. Strinse gli occhi e deglutì un paio di volte. Erano gli ormoni, il Natale e... si sentiva sola. Si rifugiò nel camerino, scongiurando la possibilità di crollare in un negozio affollato. Si sedette sullo sgabello e abbracciò il ventre voluminoso. Altri due mesi pensò, cercando di respirare in un modo che non le facesse bruciare i polmoni. «Dopodomani la mamma si farà carina per la videochiamata, sorriderà e farà finta che va tutto bene» disse alla bambina. Aveva iniziato a parlarle appena aveva scoperto di essere incinta. L'aveva letto su un libro, ma poco importava. Nel letto vuoto c'erano solo lei e la sua bimba. Il lato di Paolo era vuoto e lei non voleva dargli preoccupazioni. Era nel fottuto Afghanistan, per la miseria! Così la piccola era diventata la sua più fidata confidente. Inspirò ed espirò come le avevano insegnato al corso preparto. «Ora compriamo questo coso che mi fa sembrare una meringa e aspettiamo.»

fa sembrare una meringa e aspettiamo.» Aspettiamo. Una brezza calda le sfiorava il viso, sollevandole i capelli sulla tempia. Sentiva un odore di polvere,un lieve sentore di sudore e di qualcosa che le faceva venire voglia di piangere. Si agitò sotto le coperte. Ogni notte vedeva gli occhi chiari di Paolo, i capelli a spazzola e il suo luminoso sorriso. Nei suoi sogni facevano l'amore nei luoghi che avevano visitato, davanti al camino in soggiorno, su una spiaggia delle Bahamas che avevano visto in foto. La mattina si svegliava sempre con le guance bagnate, il respiro affannoso e la voglia di abbracciarlo. «Non piangere piccola, sono qui.» In quel dormiveglia agitato sentì la voce roca di Paolo. Dolce e calda, una carezza per il suo cuore. «Mi manchi» sussurrò, con gli occhi chiusi e la gola stretta. «Piccola, apri gli occhi.» Sembrava così vicino. «Se li apro, te ne andrai.» Due labbra morbide sfiorarono le sue. Mugolò, prima di rendersi conto che due pollici ruvidi le asciugavano le lacrime. Gli occhi le si sbarrarono e il cuore le diede un balzo nel petto. Paolo la baciò prima che potesse urlare per lo spavento. La sua bocca sapeva di caffè e di bisogno, del suo uomo. Il riconoscimento la paralizzò, poi gli buttò le braccia al collo e rispose a quel bacio come se fosse l'ultimo, con disperazione, desiderio e paura. Non ci fu spazio per pensieri razionali, passò dal sonno al sogno, lasciandosi guidare dal trasporto di Paolo e dall'emozione. Poi piansero, l'uno tra le braccia dell'altro. Si asciugarono le lacrime con teneri baci, in un silenzio fatto di pace ritrovata, sospiri spezzati e carezze concitate. Ritrovarono l'amore in un abbraccio senza fine, nelle loro mani strette le une nelle altre. Il giorno successivo avrebbero parlato del congedo, di quella sorpresa, di tutti i perché che ci sono dietro i grandi gesti. Ma non in quel momento, quando con gli occhi umidi si abbeveravano l'uno dell'amore dell'altro. «Sei qui» riuscì solo a dire Clara. Paolo le accarezzò il pancione e la guardò come se fosse il suo miracolo. «L'avevo promesso.»

ANGELA D’ANGELO Angela D'Angelo è nata a Napoli. Fin da bambina scopre la passione per la lettura grazie alle fiabe di Andersen. Studia Biotecnologie Mediche, ha pubblicato racconti ed è una delle founder del blog Insaziabili Letture.

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CERCASI URGENTEMENTE BABBO NATALE di Ledra e Luce Loi Stefano, con un sospiro, lesse i requisiti dell'annuncio e realizzò di averli tutti. Era alto, ben piantato, con gli occhi azzurri e non temeva l'assalto dei bambini. Le mamme, invece, lo preoccupavano un po' ma, si disse, non doveva andare troppo sul sottile. Se fare il finto Babbo Natale in un centro commerciale era l'unico lavoro disponibile, lo avrebbe ottenuto a tutti i costi e sarebbe stato il miglior Babbo che avessero mai avuto. Cominciò a fare le prove dell'impostazione della voce e i suoi «Oh Oh Oh!» risuonarono nella cucina desolata. Si sentiva triste e scoraggiato, ma l'alternativa era digiunare proprio a Natale. Da quando aveva perso il posto di ingegnere navale per fallimento dell'azienda in cui lavorava da quindici anni, non era più riuscito a trovare nulla. Troppo qualificato per certi lavori e non adatto per altri. Anche Emma se n'era andata, non più attratta da un fallito. Un sorriso ironico gli solcò il viso mentre rifletteva su com'era passato dal figo super desiderato allo sfigato da evitare. Diana uscì di casa chiudendo la porta e sorrise ai suoi bambini. Paolo le prese un braccio, incapace di trattenere la gioia. Giusy le afferrò l'altro.

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Angelo se n'era andato con la sua amante. Da allora Diana si era rimboccata le maniche

«Andiamo, Babbo Natale ci aspetta.» Era contenta di portarli al centro commerciale. Nelle loro vite c'era bisogno di un po' di magia, soprattutto dopo che Angelo se n'era andato con la sua amante. Da allora Diana si era rimboccata le maniche e aveva fatto di tutto per crescere Giusy e Paolo come due bambini sereni. Le difficoltà c'erano, ma non si era mai arresa. Sorrise loro e disse: «Su, non tiratemi e fate i bravi. Babbo Natale non scappa». Ma, quando arrivò al centro commerciale, capì subito di essere stata ottimista. Babbo Natale era assediato da centinaia di bambini e avvicinarsi non sarebbe stato facile. Diana non invidiò quel poveretto che si nascondeva sotto la barba bianca, anche se affrontava i bambini con una risata perfetta e con un'allegria contagiosa.

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«Mamma! Voglio la foto con Babbo Natale!» Paolo la tirò con una forza insospettabile in un bambino di sei anni, e lei perse l'equilibrio, rovinando sulle renne di pelouche che circondavano Babbo Natale. Stefano se la vide planare fra le braccia. Una grossa renna piena di acari gli solleticò il naso e lui si mise a starnutire con forza. I bambini intorno si misero a ridere a crepapelle mentre le madri lo guardavano esterrefatte. Si alzò in piedi, borbottando, e rimise a posto le renne prima di accorgersi che, spiaccicata a terra, c'era la donna più carina che avesse mai visto. Due bambini cercavano di farla alzare ma lei se ne stava imbarazzata lunga distesa con la gonna arrampicatesi a metà coscia. In una mano stringeva un sacchetto di popcorn quasi vuoto e nell'altra la macchina fotografica miracolosamente intatta. Le si avvicinò con impeto mentre lei lo scrutava terrorizzata. «Babbo Natale, mi scusi, non volevo, non l'ho fatto apposta» cercò di giustificarsi avvampando e cercando di rimettersi seduta. I due bambini, più che aiutarla, in realtà le impedivano i movimenti. Stefano le si avvicinò e con determinazione le prese la mano con il sacchetto, lo diede alla


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bambina e la rimise in piedi come se fosse una piuma. «Non si preoccupi, Babbo Natale è indistruttibile. Lei, invece, come sta? Ha fatto una brutta caduta» le chiese guardando in quegli occhi della sfumatura del muschio. Diana, passandosi le mani ripetutamente sulla gonna, rispose: «Devo dire che altre volte sono stata meglio». Il vociare dei bambini impedì loro di dirsi altro. Diana vide Babbo Natale voltarsi e improvvisare un racconto per calmare i bambini. Una storia fatta di renne dispettose e polverine magiche, che provocavano strani effetti sugli umani. «Babbo Natale non porta solo i regali, bambini» disse lui, convincente e appassionato. Diana si accorse di pendere dalle sue labbra così come tutti i piccoli. «Deve anche impedire che gli esseri fatati combinino guai nel mondo degli umani. E quindi dobbiamo controllare tutti che questa bella signora non abbia ancora addosso la polverina magica.» «E come facciamo?» chiese Paolo. «Lei è la mia mamma!» spiegò agli altri bambini, eccitato. «Soffiamo tutti insieme. Se c'è la polverina magica, allora succederà una cosa che nessuno di voi ha mai visto.» I bambini soffiarono, con tutta la forza dei loro piccoli polmoni. Diana sorrise e chiuse gli occhi, ma quando sentì le loro esclamazioni di stupore non poté non riaprirli. E si ritrovò circondata di bolle di sapone. Doveva esserci uno sparabolle da quelle parti, ma l'effetto era lo stesso sorprendente. Al punto che un signore, appena dietro una coppia di bambini, iniziò ad applaudire. E, dopo di lui, il battito delle mani si estese a macchia d'olio, fino a risuonare nell'intero centro commerciale. Stefano riprese fiato. Il trucco delle bolle aveva funzionato. E, doveva ammetterlo, quegli applausi erano gratificanti. «E ora bambini, visto che la bella signora ci ha regalato questa magia, Babbo Natale dovrà farle un dono, che ne dite?» La guardò e la vide avvampare. Si stupì che nel ventunesimo secolo ci fosse ancora una donna capace d'imbarazzarsi e capì d'aver incontrato una perla rara. Si sentì tirare la manica e guardò in basso. Una deliziosa bambina lo guardava con occhi incantati e gli fece cenno di abbassarsi. Quando il suo orecchio fu all'altezza della piccola bocca, lei mormorò:«Io so di cosa ha bisogno la mamma» gli disse compita. Stefano la guardò, in attesa di scoprire il segreto. – Ha bisogno di un fidanzato, uno che porti fuori la spazzatura come faceva papà prima di andarsene con la sua nuova fidanzata» gli disse la bambina con

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il viso splendente di speranza. Lui annuì e si mise eretto ed esclamò: – Babbo Natale promette il regalo entro domani». E ricominciò, con un sorriso, a distribuire doni e a fare foto con i bambini e le mamme tenendo sempre d'occhio quella giovane donna che lo incuriosiva sempre più. Il pomeriggio volò in fretta. Stefano stava per alzarsi per terminare il lavoro quando la scorse prendere i due bambini e avvicinarsi per salutarlo. Si alzò in piedi e troneggiò su di lei. Era così minuta e delicata che sembrava una bambola di porcellana, ma doveva avere un carattere d'acciaio per essere sopravvissuta al tradimento. «Grazie Babbo Natale per il bel pomeriggio» gli disse, poi continuò: «Bambini salutate Babbo Natale che dobbiamo andare». Stefano accettò con un sorriso e una carezza sulla testa i saluti dei piccoli. Poi, fissandola negli occhi, le sussurrò: «Babbo Natale le deve un dono. L'aspetto domani pomeriggio per una cioccolata con panna nella Pasticceria Flora. Vedrà che il regalo le piacerà» continuò sorridendo. La vide sbiancare e si preparò a un rifiuto. Poi lei annuì come se avesse preso una decisione importante, prese i bambini e si allontanò in fretta. «Potrei parlarle?» Stefano si voltò. Era l'uomo che l'aveva applaudito, prima. «Dica pure.» «Avrei una proposta da farle.» Gli spiegò che aveva un canale televisivo e che stava cercando un presentatore per la sua trasmissione per bambini. «Voglio qualcuno che sappia bucare lo schermo e ammaliarli, proprio come lei. Che ne dice? Se le interessa venga domani da me e ci metteremo d'accordo per il compenso.» Stefano lo guardò, stupefatto. Si affrettò a prendere il suo biglietto da visita. Una strana euforia lo invase. La possibilità di un nuovo lavoro e, soprattutto, quella bella donna che aveva appena incontrato. Forse la sua vita stava davvero cambiando, final-


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I GUARDIANI

di Lucilla Noviello La luce bianca che restava appiccicata nella sua retina era come quella dell'obitorio: tanto impietosa quanto limpida. Per questa ragione pur tornando a casa di notte la sua memoria conservava, per ogni immagine della giornata, un'idea continua, persistente e immutabile, di chiarezza. Il cadavere che aveva ricucito, ricomposto, lavato e poi riposto era privo di morbidezza e di calore eppure ogni volta le sembrava che, poggiato sull'ac-ciaio, riuscisse a risplendere almeno di un riflesso di luce tiepida, la quale, ovviamente, non bastava né a resuscitarlo né a destare la possibilità di una tenerezza, neppure nuova, con cui manipolarlo o, alla fine, accudirlo. Ogni giorno però c'era un corpo morto che, in particolare, riusciva a imporre la sua presenza. Ciò non accadeva per le particolari ferite procurate o inferte alla sua carne, per la sua bellezza o per la sua gioventù. Anche se, piuttosto spesso, era il cadavere di un adolescente

quello che invadeva il pensiero e soprattutto, in seguito, la sua memoria. Ragazzi sdraiati, candidi, con gli occhi chiusi o, ancor meglio, con gli occhi aperti, che pur riempiendo lo spazio privilegiato del ricordo del giorno, nel corso delle settimane, dei mesi, degli anni, sembravano sciogliersi gli uni negli altri e diventare nella memoria nuovamente tutti uguali. Il loro capo biondo, le loro bianche vesti, le gambe snelle e lunghe. La morte restituiva a tutti un magro senso di appartenenza, un ultimo vivido sentimento di imposizione che li delineava – come fossero solo perimetro e non densa fisicità, un tempo anche dotata di movimento e pensiero - sdraiati su un'asse materiale. Erano dunque amabili e belli: ma di una bellezza spaventosa, poiché immota e immutabile – se non infine per disfacimento. Ma

nell'attimo in cui lei li ricordava, ancora non si era avviato il processo di decomposizione, né eventualmente quello della cremazione. La loro era una bellezza tutta bianca. Senza musica. E del tutto priva di pudore. Nella sua memoria quei corpi, pur non respirando, restavano sempre svegli, tutti in cerchio intorno ad ogni suo pensiero. La coscienza del suo camminare; l'entrare oltre le porte scorrevoli della metropolitana; il sedersi a tavola; lo spremere un frutto e poi berne il succo. Ogni cosa, ogni gesto, ogni atto era compiuto all'interno del magico cerchio di cui quei giovani morti – diventati tutti gemelli, bianchi e crudelmente belli – erano i custodi. Un cerchio le cui presenze si andavano man mano affollando, poiché ogni giorno, all'obitorio, il cadavere di un adolescente – la cui morte aveva una causa da accertare oppure il cui triste passaggio da lì era comunque obbligatorio – non mancava: la città era grande e le disgrazie vi accadevano in numero maggiore che altrove. Tali custodi perciò si infittivano sui punti del cerchio e sempre di più, dentro la sua testa, assumevano l'aspetto di guardiani.

Erano dunque amabili e belli: ma di una bellezza spaventosa

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ne sorvegliavano ogni mossa. Senza cantare, senza battere i piedi; senza parlare né spostare gli oggetti. Completamente luminosi e bianchi: come amanti implacabili e ossessivi, come stelle immote e immanenti; inafferrabili ma presenti, le impedivano l'immaginazione del buio e del silenzio.

Come poteva liberare da quei ricordi, dalla fusione sottile e pietosa, quella catena di persone che avrebbero meritato molte altre possibilità e il cui ciclo di passioni, gusto, felicità si era invece interrotto? Poiché non esisteva una logica che potesse ragionevolmente fornire una risposta sulle motivazioni – se non quella che i medici svelavano pesando, misurando e analizzando gli organi di tutti i morti, compiendo le ultime analisi e trovando la soluzione facile a ogni equazione di ogni malattia – l'unica cosa che lei aveva potuto fare – e all'inizio solo per pietà umana, per alleviare l'ingiustizia della loro fine sgomenta – era donargli il tempo: proprio quello che non avevano avuto – ricordandoli tutti, tutti. Ma poi, nello scorrere in avanti dell'esistenza stessa, la sua capacità insufficiente, la sua fallace memoria, aveva accavallato e confuso visi e capelli; mani e polpacci; piedini e tendini dei polsi. I ragazzi erano diventati così simili – così terribilmente simili – da essere tutti nuovamente morti. E allora, vendicativi, insaziabili, onnipresenti, si erano rifiutati di lasciare in pace il suo pensiero, la sua coscienza, quel cervello che li aveva ospitati e dove ora abitavano per sempre e – tutti lì –

LUCILLA NOVIELLO Vive a Roma. Giornalista, conduce da anni le trasmissioni radiofoniche di Rai Radio1, tra cui le rubriche Libri per la notte e Cartellone teatrale. Su Affari Italiani ha pubblicato la raccolta di racconti Miracoli erotici. Nel 2011 ha vinto la 3a edizione del premio Ossi di seppia e nello stesso anno ha pubblicato il romanzo L'amore in nero, editore Agra. Nel 2014 ha pubblicato il romanzo Amanti editore Cavallo di ferro.

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UNA STORIA DI NATALE di Viviana Giorgi

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e c'era una cosa che Valentina non sopportava, era il Natale. Ne aveva viste così tante in quel giorno, che ormai ogni inizio di dicembre si rifugiava a San Giulio, un villaggio di poche anime incastonato in una valle aspra e fredda delle Dolomiti. Lì, nonostante il mercatino natalizio e la processione della vigilia, poteva scordarsi il Natale ed evitare seccature continue quali inviti, regali inutili e abbracci da perfetti sconosciuti. O sguardi compassionevoli. Eh sì, perché, fra le varie cose spiacevoli che le erano successe il 25 dicembre, tre anni prima c'era stato anche il tanti saluti e baci del suo fidanzato. E le litigate dei suoi genitori, allora? Puntuali a Natale. Non c'era da sorprendersi che lo odiasse. Anche quell'anno Vale si rintanò a San Giulio e la mattina della vigilia scese in paese per le ultime spese; lo fece un po' più presto del solito, per evitare la nevicata prodigiosa che, a sentire Karl, il Giuliacci locale, sarebbe cominciata proprio quel pomeriggio.

«Ciao Fale» la salutò Ulrich non appena mise piede all'emporio. Ex nazionale di discesa libera e ora maestro di sci, non aveva ancora abbandonato la speranza di portarsela a letto. «Non fieni con me alla fiacolata, stanotte?» le chiese con quel suo accento alla Gustav Thoeni tentando un approccio tra gli scaffali della pasta. «Quante volte ti devo ripetere che ho chiuso con voi maschi bastardi?» rispose lei ridendo. «Una notte con me, e kampieresti idea.» Lei alzò un sopracciglio dubbioso, gli appoggiò entrambe le mani

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Se c'era una cosa che Valentina non sopportava, era il Natale

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sul petto e lo spinse via. Fu in quel momento che il campanello della porta tintinnò e un uomo si affacciò alla soglia. Aveva il volto stravolto e arrossato e, a giudicare dagli abiti firmati che indossava, non doveva essere di quelle parti. «Avete visto un bambino di otto anni, alto così, con i capelli rossi e una giacca a vento blu?» chiese affannato. «Temo di no» rispose Agnese, la proprietaria dell'emporio. «Guardi più avanti, c'è un negozio che vende giocattoli, magari lì.» L'uomo, in evidente stato confusionale, accennò un saluto e uscì facendo di nuovo tintinnare il campanello. «Un altro stronzo che si è perso il figlio» commentò acida Vale, che conosceva bene quel tipo d'uomo, avendone avuto uno per padre. Lo chalet di Valentina si trovava a un paio di chilometri a nord del paese, tra la pista di fondo e un bosco di abeti. Per Vale non esisteva luogo più bello al mondo, soprattutto quando la neve era


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così alta e l'aria profumava di resina e di legna bruciata. Parcheggiò il fuoristrada, prese le borse della spesa dal baule ed entrò in casa, accolta da un gatto grasso, multicolor e di certo un po' sordo, perché neppure lui si accorse dell'ospite misterioso che scivolò silenzioso fuori dalla Jeep e si infilò subito dopo in casa. Vale si preparò un panino poi, col piatto in mano, andò in soggiorno dove il computer già l'aspettava acceso a pagina 129 del suo nuovo romanzo. Addentò il sandwich e rilesse le ultime righe, ancora indecisa su come proseguire. Aveva bisogno di un piccolo colpo di scena, qualcosa di inaspettato, come…come… One way or another degli One Direction suonata a tutto volume? Facendo volare in aria il panino, si alzò di scatto e, pur non desiderando altro che darsela a gambe, si guardò intorno per cercare di individuare la sorgente di quella musica infernale, che nel frattempo era già finita. Ecco, lì, dietro il divano, qualcosa si stava muovendo. E non era il gatto multicolor. «Chi c'è?» chiese Vale, brandendo una sedia come un domatore di tigri. «So che sei lì dietro, fatti avanti.» Gli One Direction ci riprovarono una seconda volta, ma vennero di nuovo zittiti. Vale si avvicinò al divano, col cuore in gola per il terrore, sperando di non trovare lì dietro i fantasmi del Natale in visita di cortesia come a casa Scrooge. «Vieni fuori da lì» ordinò, con voce un po' stridula e il cuore che sembrava uscirle dal petto. Fu allora che dalla spalliera del divano spuntò una zazzera di capelli rossi, subito seguita dal viso terrorizzato di un ragazzino. Avete visto un bambino di otto anni, alto così, con i capelli rossi e una giacca a vento blu? aveva chiesto quell'uomo. Be', eccolo lì. In carne e ossa e a casa sua.

Non esisteva luogo più bello al mondo, soprattutto quando la neve era alta e l'aria profumava di resina e di legna bruciata

«Marco, sai che tuo padre ti sta cercando e che a questo punto avrà chiamato anche l'Interpool, sempre che non sia già morto di paura?» «Il papà è morto?» chiese il ragazzino spalancando anche la bocca. «Be'… è possibile. E se è così ce l'avrai sulla coscienza per tutta la vita» gli disse, più perfida della strega cattiva del Mago di Oz. E infatti, il piccolo scoppiò a piangere. Mannaggia, ci mancavano le lacrime! Ma che ne sapeva lei di ragazzini, a parte che erano insopportabili almeno quanto il Natale? Di nuovo gli One Direction. «Non sarà mica la suoneria di un cellulare, quella?» gli chiese. Il ragazzino la fissò con occhi grandi, tondi e ora anche bagnati e impauriti. Lei si avvicinò con la mano tesa, inflessibile come la signorina Rottenmeier. «Avanti dammelo, che sarà tuo padre. Non ci tieni a sapere se è ancora vivo?» Il ragazzino mosse la testa in su e giù in modo frenetico, poi stese il braccio e le passò il cellulare, mentre una grossa lacrima gli rotolava giù dalla guancia. Lei schiacciò recall e il padre stronzo rispose al primo trillo. «Marco, dove diavolo sei?» «Non sono Marco. Mi chiamo Valentina e stia tranquillo, suo figlio è sano e salvo a casa mia. Non mi chieda come abbia fatto ad arrivare fin qui, perché non lo so. Venga invece subito a riprenderselo.» Gli diede quindi le indicazioni necessarie e tolse la comunicazione. Con un sospiro si lasciò cadere sul divano e con sorpresa vide il piccolo uscire dal suo nascondiglio e sistemarsi come un cucciolo spauri

Vale lasciò andare un respiro di sollievo. «Sei solo un ragazzino e per poco mi hai causato un infarto. O forse è stata quella canzone! Non ti piacciono gli One Direction?» «Preferisco gli Stones.» «Chi sono?» «Chi sonoooo? Ma senti questo moccioso!» Gli occhi del piccolo diventarono ancora più grandi e tondi. «Allora, bambino pestifero, come ti chiami?» «Marco.»

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to accanto lei. Era caldo e tenero, e orrendamente bagnaticcio di lacrime. «Perché tu non hai l'albero di Natale?» le chiese. Il padre distratto arrivò dieci minuti dopo, sempre più in stato confusionale, ma, forse un po' meno stronzo di prima. Irruppe nello chalet come uno SWAT, ma, non appena vide il visetto del figlio, lasciò perdere ogni discorso preconfezionato e pensò solo a stringerlo fra le braccia, con uno sguardo così carico d'amore e di riconoscenza che Vale sentì qualcosa partirle dal petto, arrivarle in gola e stringerla sino quasi a soffocarla. Con la scusa di lasciare padre e figlio soli a risolvere i loro problemi, scappò in cucina dove per un po' lottò con quello stupido groppo che non le andava né su né giù. Poi, per non pensarci, si mise a trafficare finché un bel vassoio non fu carico di cibo. «Ho immaginato che il bambino avesse fame» disse rientrando in salotto col vassoio. Fu allora che li vide, il padre seduto sul divano, il ragazzino addormentato, abbarbicato a lui come un cucciolo di coala. L'uomo le sorrise e le tese la mano. Aveva occhi blu che brillavano di felicità e un sorriso che le si infilò nel cuore e glielo scaldò più di un raggio di sole. «Mi chiamo Andrea» le disse, mentre lei gli stringeva la mano con troppa forza. «Grazie per quello che ha fatto per Marco.»

«Oh, non ho fatto nulla. Temo che sia stato suo figlio a fare qualcosa per me» mormorò confusa, sedendosi al suo fianco. I loro occhi si incontrarono e per qualche secondo si parlarono come solo gli occhi sanno fare. «Credo che oggi questo ragazzino abbia fatto molto anche per me» disse infine lui, sospirando e appoggiando le labbra sulla fronte del piccolo. Vale assentì col capo, poi, sorprendo se stessa, chiese: «Mi accompagnerebbe con suo figlio a comprare un albero di Natale, più tardi?». «Tutti gli alberi che vuole. Non ho altri programmi, questo Natale.» «Forse nevicherà.» «Bene, adoro la neve.» «Anch'io.»

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I loro occhi si incontrarono e per qualche secondo si parlarono come solo gli occhi sanno fare

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Pink L’autrice Pink|

di Alessandra Bazardi

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x giornalista, milanese, amante dei bassotti e dei gatti rossi, Viviana Giorgi scrive per lo più commedie romantiche contemporanee, più speziate che sfumate, con eroine decise, ma un po' imbranate e non certo sofisticate, ed eroi gloriosamente da sballo. Tra una romantic comedy e l'altra, ogni tanto si lascia tentare anche dal lato più sorridente e vivace del romance storico, suo primo indimenticato amore. Il lieto fine per lei? Obbligatorio e altamente glicemico, sia che la sua eroina vesta in jeans o in stile impero. Perché, come ripete spesso: se si deve sognare, meglio farlo alla grande, no? Che cosa rappresenta per te la scrittura? Innanzitutto, grazie Pink, sono onorata e felice di esser qui insieme a voi. Dunque, la scrittura…credo che all'inizio sia stata una specie di terapia, oggi è un piacere puro. Lo è talmente che a volte mi sento quasi in colpa, come se passassi tutto il giorno a divertirmi senza occuparmi delle cose importanti della vita. Poi ci ripenso e mi dico: ehi, ragazza – per modo di dire – guarda che scrivere è il tuo lavoro! E allora mi rendo conto che piacere e lavoro nel mio caso si sovrappongono e mi sento felice (anche perché io scrivo storie sempre venate di ironia che mi diverto a raccontare). Ciò detto, non significa che non ci siano momenti duri, in cui ogni parola scritta diventa quasi una prova da superare. Quali sono i tre romanzi che hanno segnato la tua carriera? Rispondo con i tre titoli che hanno significato di più per me, forse non per le lettrici. Il primo è di sicuro “Bang Bang, tutta colpa di un gatto rosso”, che è anche il mio primo romanzo a essere stato pubblicato e che ancora oggi, a quasi tre anni di distanza dalla sua uscita, va benissimo. Il secondo è un'altra romantic comedy, “Tutta colpa del vento (e di un cowboy dagli occhi verdi)”, il romanzo cui

Viviana Giorgi

Quattro passi con l’autrice VIVIANA GIORGI

sono più attaccata. Un po' perché si svolge nel Wyoming e ha un cowboy come protagonista maschile (adoro il West!), un po' perché è il primo che ho scritto in terza persona, cosa che gli conferisce una maggiore profondità rispetto ai precedenti, scritti in prima. Il terzo titolo, infine, è “Un amore di fine secolo”, uno storico che si svolge a New York alla fine del diciannovesimo secolo, nel mondo dell'editoria e della high society. È quello su cui ho lavorato di più a causa delle ricerche storiche che ho dovuto fare, ma anche per via

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del liguaggio utilizzato, molto più complesso di quello di un contemporaneo. Tutti e tre, come gli altri miei romanzi, sono editi da EmmaBooks, una casa editrice digitale e femminile che ha creduto subito in me e con la quale mi trovo benissimo. A cosa stai lavorando ora? Ho appena consegnato a EmmaBooks una novella che uscirà prima di Natale, il cui titolo è “Un amore di fine secolo. La traversata”. È il seguito di “Un amore di fine secolo” e racconta l'incontro di Ken Benton – l'altro, l'antagonista di “Un amore di fine secolo” – con la donna della sua vita. A questa novella, ambientata durante una traversata atlantica nel gennaio del 1900, seguirà il romanzo vero e proprio, dove la storia di Ken verrà ripresa e sviluppata. Ho deciso di scrivere questi due sequel perché Ken è un personaggio di cui tutte le lettrici si sono innamorate, come è successo a me, d'altronde. Ora sono alle prese con un'altra commedia romantica contemporanea, in cui la protagonista è una delle femmine folli del Gatto Rosso. Dovrebbe uscire nei primi mesi del 2015, se va bene per San Valentino. Cosa consigli a una giovane scrittrice che vorrebbe seguire le tue orme? Non mi permetto di dare consigli, perché anch'io, anche se non dal punto di vista anagrafico, sono ancora una giovane scrittrice. Ciò che posso dire a chi incomincia è di investire del denaro in un editor prima di pubblicare, di non far leggere il manoscritto solo all'amica del cuore. Il self publishing è una gran cosa, e sarà pure democratico, ma non sempre va d'accordo con sintassi e grammatica. E neppure con l'ortografia. Ah! Consiglio anche di stare attente al punto di vista, e di non pensare che con la prima persona sia valido tutto. E infine, altro consiglio inevitabile, leggete, gente, leggete. Sempre e di tutto.

Per Emma Books ha pubblicato romanzi e novelle. I romanzi: Bang Bang tutta colpa di un gatto rosso, Alta Marea a C a p e L o v e , Tu t t a colpa del vento (e di un cowboy dagli occhi verdi) e lo storico Un amore di fine secolo. Le novelle: Un cuore nella bufera, Ritorno a Cape Love, Prime Impressioni (all'interno dell'antologia Amore, Orgoglio e Pregiudizio), Al diavolo la logica! (storico, antologia Buon Lavoro) e Donna Francesca (antologia Voci a Matera). Potete incontrarla sul suo sito ( www.vivianagiorgi.it )

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P NK MAGAZINEITALIA

Uno sguardo alle nuove uscite, ai classici e al mondo digitale delle letteratura al femminile

RECENSIONI Francesca Baldacci Ewwa Cinzia Giorgio Flavio Insinna

a cura della Redazione

FOTO ARCHIVIO LIFE 1955

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Pink|Saggistica Storia erotica d’Italia Cinzia Giorgio NewtonCompton Recensione a cura di Corinne Savarese

Ricordate la famosissima maglietta che Madonna sfoggiava con grande ostentazione “ITALIANS DO IT BETTER”, come se fosse stata una grande estimatrice e potesse dirlo con cognizione di causa? Avrà davvero condotto un'indagine di mercato per poter affermare che gli italiani lo fanno meglio? E da cosa nasce questo mito? Ma soprattutto… sarà vero? Non avremo una risposta sulla veridicità o meno della suddetta leggenda, ma attraverso la "Storia Erotica d'Italia" Cinzia Giorgio ci porterà attraverso fatti realmente avvenuti che spieghino perché la sessualità sia sempre stata oggetto di interesse per il popolo italiano. Dal passato ai giorni d'oggi saremo testimoni invisibili delle vicende, degli amori, gli scandali, il sesso e la vita privata in una versione inedita del nostro Paese dai fasti dell'impero romano, dove convivevano castità forzata e orge, al Medioevo boccaccesco, per arrivare al Rinascimento e alla lussuria dei Borgia. E poi ancora il mito di Casanova, per giungere, in tempi più vicini a noi, al divorzio scandaloso della contessa Lara. Per finire, passando per gli amori di Mussolini e D'Annunzio, con le vicende dei nostri giorni: dalla legge Merlin al caso Pasolini, dal video di Marrazzo fino a Berlusconi e il Rubygate. Ho letto questo saggio godendomelo a piccole dosi, per assaporare ogni notte una nuova chicca. Come un piatto di nouvelle cuisine, ricco di sapori, odori nuovi da scoprire e gustare. È una tempesta di informazioni, di fatti veri, descritti in maniera ineccepibile tanto che sembra di essere parte dei protagonisti, è come rivivere le loro vite, con i loro occhi, ma le nostre sensazioni. Ho ritrovato in essa parecchie storie di cui ero a conoscenza. Tra queste, la Monaca di Monza, antico retaggio del Manzoni con i suoi "Promessi Sposi", qui raccontata in maniera più dettagliata e veritiera. E proprio questa vicenda è l'incarnazione di quanto il sesso sia importante per l'uomo, che arriva a uccidere, nascondere, negare e rinnegare, per la semplice colpa di averlo commesso. Irriverente, intrigante, interessante, con uno stile chiaro e deciso Cinzia Giorgio ci illumina sul contrastante rapporto di amore e odio che gli italiani hanno avuto con il sesso attraverso uno studio accurato e approfondito, passeremo dai baccanali romani, la promiscuità nei rapporti sessuali tra uomini e donne, alle persecuzioni sull'illegalità del sesso al di fuori del matrimonio e poi di nuovo all'emancipazione dei giorni d'oggi, dove internet ha reso tutto così facile. Le videochat, i siti d'incontri. La nostra storia è tutto un ciclo continuo di repressione ed espressione della sessualità e il ripetersi di essa un dato di fatto. Personalmente ho adorato la Storia erotica d'Italia e questo saggio rimarrà sul mio comodino per un bel po'.

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Pink| La macchina della felicità di Flavio Insinna Mondadori Recensione a cura di Alessandra Rinaldi Chi dice di diffidare di coloro che sanno far bene molte cose, evidentemente non conosce Flavio Insinna: attore di talento, presentatore di successo e ora anche scrittore dalle doti inaspettate. Dopo l'esordio con “Neanche con un morso all'orecchio” infatti, è appena uscito in tutte le librerie il suo nuovo romanzo “La macchina della felicità”, edito da Mondadori e che lo conferma autore brillante, da leggere tutto d'un fiato. Ma quanto Flavio c'è in Vittorio, il protagonista di questa fiaba romantica, ma ricca di umanità? Tanto, ma non troppo, come solo i veri scrittori sanno fare. Vittorio è un uomo solo, cinico e disilluso, lavora in un Casinò e soffre d'insonnia. La sua unica vera passione è il cinema, dove si reca ogni martedì sera a vedere sempre un film d'insuccesso. Laura lavora alla cassa del cinema. È bellissima, ironica, sognatrice e insegue seconde possibilità in qualche lontano posto di mare, dove poter ricominciare da capo. Tra i due scocca un'inaspettata scintilla che, in un crescendo di colpi di scena, ci conduce a un finale sorprendente. Una storia semplice, ma solo in apparenza. La capacità dell'autore di entrare dentro i personaggi e plasmarli con tatto e delicatezza è ciò che davvero conquista, sin dalla prima pagina. Insinna è sicuro di sé, non perché stia parlando di sé stesso, ma perché racconta di tutti noi. Dei sacrifici e delle insicurezze della vita quotidiana in una grande città, affollata di storie e ricca di possibilità, ma dove è fin troppo facile sentirsi incredibilmente soli, disperando di trovare il vero amore. Il legame che si crea tra i protagonisti è intenso e profondo, a tratti commovente, come lo stile dell'autore: ironico, diretto, scorrevole, ma di grande capacità introspettiva. Una storia d'amore da regalare e da regalarsi, in attesa di scoprire quale altro talento nasconda questo autore così poliedrico e imprevedibile.

E dopo Carosello tutte a nanna AA.VV. EWWA Recensione a cura di Simona Liubicich “La Rai, Radio Televisione Italiana, inizia oggi il suo regolare servizio di trasmissioni televisive” Questo l'annuncio del 3 gennaio del 1954, affidato alla "signorina buonasera" Fulvia Colombo. La lunga e soprattutto grande storia della Rai, compie sessant'anni ed è una ricorrenza davvero speciale. Un lungo cammino fatto di impegno e professionalità, entrato nelle case degli italiani con notizie da ogni parte del mondo: attualità, politica, spettacolo, musica e teatro. Un patrimonio di storia e tradizione italiana riconosciuto a livello mondiale. In occasione dei 60 anni della Rai EWWA, European Writing Women Association, ha pubblicato "E dopo carosello tutte a nanna, storie di donne e Mamma RAI” un'antologia alla cui realizzazione hanno collaborato oltre 80 autrici iscritte all'Associazione. L'opera è già in vendita su Amazon e Kobo a 2,99. Elisabetta Flumeri, presidente di EWWA, apre la prefazione dell'antologia così: "I 60 anni della Rai ci sono sembrati una splendida occasione per realizzare qualcosa che ci rappresentasse e fosse il simbolo di quello che volevamo promuovere e sostenere, tutte insieme”. Syusy Blady, socia onoraria EWWA, testimonial dell'antologia e attiva degli eventi, ha scritto nella sua introduzione all'antologia: "La tivù è stata la mia istitutrice, mi ha dato informazioni che forse non mi sarebbero arrivate, mi ha dato aspirazioni che forse non avrei avuto, mi ha fatto vedere il mondo ed è diventata il mio mezzo di comunicazione ideale. Era inevitabile che poi la volessi fare davvero da grande.” Un'opera tutta al femminile, quindi, per una grande "mamma" che ci ha viste piccole, entusiaste di fronte a quella televisione che sapeva di futuro, di felicità e che ci ha tenute per mano sino a oggi. EWWIWA la RAI!

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Pink| Vacanze da Tiffany di Francesca Baldacci Sperling & Kupfer Recensione a cura di Ramona Granato (http://ingranato.blogspot.it) “Ecco perché mi piace venire da Tiffany: per l'atmosfera tranquilla e serena che si respira, non per i gioielli. Sinceramente a me non piacciono i gioielli, ma solo i diamanti.” Audrey Hepburn/Holly Golightly in Colazione da Tiffany L'atmosfera tranquilla e serena perfetta per una vacanza, non credete? Soprattutto se, come Angela, la protagonista di "Vacanze da Tiffany" di Francesca Baldacci avete il cuore spezzato. Il Tiffany è un graziosissimo hotel sulla Riviera delle Palme di proprietà delle pittoresche zie di Angy e che diventa il suo rifugio dopo che il suo fidanzato l'ha lasciata a due mesi dal matrimonio. L'albergo possiede tutta la magia del famoso film con Audrey Hepburn di cui le zie sono appassionate e che ripropongono insieme ad altri film della stessa epoca per gli affezionati ospiti. Così come Audrey che crede che da Tiffany non può accadere niente di male, anche Angy si lascia avvolgere totalmente dalla magia del luogo tanto che, quando meno se lo aspetta, la vita le riserverà sorprese molto eccitanti. La scrittura di Francesca Baldacci ha il pregio di rapire il lettore e portarlo seduta stante al Tiffany Hotel, in quell'atmosfera rilassata che si respira già dal bancone della reception e che ha il sapore di quei tempi in cui i ritmi erano diversi da oggi e un sorriso diventava il biglietto da visita per una nuova conoscenza e, chissà, per qualcosa di più. La delicatezza della scelta linguistica riesce a descrivere il carattere della protagonista - che è un vero peperino - senza sfociare in quell'aggressività tanto di moda in certi romanzi degli ultimi tempi. "Vacanze da Tiffany" in forma cartacea gode di un rinnovato successo dopo che, per mesi, è rimasto in cima alle classifiche degli ebook autopubblicati più venduti su Amazon. Più o meno un anno fa, pubblicai un’intervista a Francesca Baldacci e, quando ho saputo che faceva parte anche lei di questa ondata inarrestabile (per fortuna!) di autrici che, dal self publishing sono passate alle case editrici, non ho potuto fare a meno di rileggere il libro nella nuova edizione e riscoprirne il fascino intatto. E non vi nego che mi è venuta voglia di trovare davvero un albergo come il Tiffany, dove lasciare andare liberi i sogni e i pensieri. In fondo, è questo il periodo giusto, no? O forse è solo la magia di Tiffany che Francesca Baldacci ha saputo trasmettere così bene dalle pagine del suo libro. Anche questo fa parte della magia di Tiffany...



Pink|Lettere

la posta di Paola

Picasso Irene, Roma MIO GENERO E’ PIU’ GRANDE DI ME! Cara Paola, sono divorziata, vivo con mia figlia di sedici anni. Tutto andava benissimo, lei ha ottimi voti a scuola e non mi ha dato mai problemi, ma la scorsa settimana sono venuta a sapere che frequenta un uomo di 34 anni. Ho parlato con questo tizio ma si dichiara innamorato. Ogni mio tentativo di dissuadere mia figlia non fa altro che allontanarla da me. Non riesca capire cosa stia accadendo ma credo che l'amore centri ben poco. Spero tu possa darmi qualche consiglio utile. Gentile Irene, il problema che devi affrontare non è di facile soluzione. Una figlia sedicenne, sicuramente immatura ma convinta di sapersi gestire benissimo, invaghita di un uomo di 34 anni che per legarla si mostra nella sua veste migliore, dichiara di capirla meglio di te e sa come confortarla è una situazione di alto rischio. Non ti consiglio uno scontro diretto perché tu sei la parte perdente, quella meno forte. Contrastando questo folle amore, ti faresti detestare e forse tua figlia scapperebbe con lui. Fingi, mia cara. Fingi di capirla e di voler stare dalla sua parte, pur spiegandole le tue perplessità. Dille che sei pronta ad aiutarla perché vuoi solo che sia felice, purché lei prenda tempo per conoscere meglio il suo amore, per valutarlo e creare con lui un rapporto concreto, che posi su delle basi solide. Lascia che lo frequenti, ormai se c'è stato il danno, non è rimediabile. Portala dalla tua ginecologa perché le insegni a evitare una gravidanza inopportuna e invita questo Romeo a casa tua, accogliendolo nel modo migliore. Solo così, forse, si eviterà il peggio. Auguri di cuore e scrivimi. Paoladalla tua lettera non capisco se il tuo rapporto con quest'uomo si sia mai completato, o se sia rimasto a uno stadio platonico. Se è come

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presumo, a mio avviso significa che lui ti ha sempre e solo considerata un'amica con cui conversare piacevolmente, tenendo per sé le emozioni più profonde. Così facendo, non ha tradito un amore che non ti ha mai manifestato apertamente. Ha nascosto quello vero, forse intuendo che dicendoti la verità, ti avrebbe ferita e probabilmente persa. Temo che tu ti sia illusa e che non abbia mai avuto il coraggio di andare a fondo nel vostro rapporto. Un' amicizia, perché sia vera, richiede una sincerità maggiore. Purtroppo molti uomini e molte donne sono pusillanimi ed egoisti. Vogliono avere sia le scarpe che le pantofole perché fanno comodo entrambe.

Bertina, Cesena fUGA DALL’AMORE Cara Paola, ho 62 anni, sono ancora una bella donna ma credo di essere sfortunata in amore. Sono molti anni che non riesco ad avere una storia lunga, stabile. Circa un mese fa ho conosciuto un uomo più giovane su internet. Si è dimostrato molto amorevole, simpatico, sensibile. Dopo un paio di settimane di telefonate in cui si mostrava molto premuroso nei miei riguardi l'ho invitato a passare un fine settimana da me. Abitiamo a circa settecento chilometri di distanza. È venuto da me un paio di volte e tutto è stato bellissimo ma sono quattro giorni che è scomparso. Lo chiamo molte volte al giorno ma non risponde, gli ho inviato decine di messaggi ma sono senza risposta, eppure quando ci siamo lasciati tutto andava bene. Perché questo comportamento o forse sono io sbagliata?


Pink Paola Picasso Scrittrice, saggista, traduttrice. Ha pubblicato oltre 200 romanzi con Mondadori, Penguin, Starbooks. Vive e lavora a Roma. Sul suo sito le ultime novità editoriali: www.paolapicasso.alte rvista.com

Potete scrivere le vostre lettere a redazione@velutlunapress.com

Cara Bertina, anche tu vittima di Internet. Ti confesso che comincio a odiare questo mondo virtuale in cui s'incontrano le anime assetate d'amore con altre che nella migliore delle ipotesi, amano avere un'agenda piena di cuori trafitti. Questo Lui così simpatico, piacevole e spero gentile si è goduto per due volte la sua ospitalità, poi si è dato. Perché? Ha avuto un incidente? Si è ammalato? Oppure ha contattato un'altra donna fragile e illusa? Fossi in te non gli scriverei più. Se vorrà, si rifarà vivo lui, ma accoglilo con grande diffidenza e per il momento opponigli un dignitoso silenzio. Sii consapevole del tuo valore ed evita di buttarti via. Se il destino vorrà, incontrerai un vero UOMO. Altrimenti…meglio soli che male accompagnati. Ti faccio tanti auguri di serenità. Paola

conosciuto un uomo che mi ha fatto rivivere l'emozione dell'amore. Siamo usciti un paio di volte e con lui mi sento rinata anche se mi sembra che gli vada bene questa situazione in cui ognuno è per conto proprio. Cosa devo fare? Mi sento schiacciata in una situazione senza via d'uscita. Carissima Annachiara, il tuo bel nome non rispecchia il tuo carattere che dimostra poca chiarezza. Vivi da un anno con un compagno e ti sembra che il vostro rapporto si sia logorato, che le effusioni siano meccaniche e poco appaganti. Colpa sua o tua? Come mai per due anni, quando non coabitavate, andava tutto bene? Non pensi che ti succederebbe la stessa cosa se ti trasferissi armi e bagagli presso il nuovo amico che ti fa palpitare di nuovo, dimostrando chiaramente di voler far battere il tuo cuore inviandoti degli impulsi da casa sua? Tutto quello che è un po' proibito, stuzzica, ma il vero pregio delle cose fatte di nascosto è che ti evitano ogni responsabilità, quindi sono molto comode. Rifletti bene prima di muoverti. Il mio consiglio sommesso è di provare a rinverdire la tua storia un po' stantia con qualche slancio imprevedibile, con un pizzico d'inventiva. A volte ci si riesce e si ritrova l'armonia. Auguri, mia cara. Paola

Annachiara, Caserta

CONVIVENZA: PRIGIONE O EDEN? Gentile Paola, ho 47 anni, convivo da un anno dopo circa tre anni di fidanzamento, se così vogliamo chiamarlo, in cui ognuno era a casa propria. Purtroppo le cose non vanno molto bene. In casa siamo due amici, non due amanti. Facciamo sesso ma tutto sembra scritto in un copione che ormai conosco a memoria. Ho

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Pink|Redazione Pink Magazine Italia Anno 1 - n. 3 - DICEMBRE 2014

Alessandra Bazardi @ABazardi

Direttore Responsabile ALESSANDRA BAZARDI Caporedattore CINZIA GIORGIO

Cinzia Giorgio @CinziaGiorgio

Responsabile Editoriale SAM STONER Redattori ALESSANDRA PENNA PAOLA PICASSO SARA RANIA CORINNE SAVARESE

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Collaboratori ANGELA D’ANGELO FRANCESCA BALDACCI VIVIANA GIORGI RAMONA GRANATO LEDRA E LUCE LOI SUSANNA BRUNA MOZZONI LUCILLA NOVIELLO ALESSANDRA RINALDI

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Paola Picasso www.paolapicasso.altervista.org

Fotografie MONICA FERZI DANIELA CONTINI

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