MG marcheguida.it | UNA TERRA STRAORDINARIA - N°4 del 2014/2015 Dicembre-Gennaio - Anno XVI

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aro Babbo Natale, quasi tutti Le hanno scritto, lettere lunghe o corte e tutti Le hanno chiesto di tutto e di più. Io La prego di non mandarmi regali, ma mi piacerebbe capire perché ogni volta che arriva Natale tutti diventano più buoni, ti lasciano passare alla cassa, all’incrocio, sulle scale mobili. Addirittura alcuni dicono grazie e prego, mi scusi, ci mancherebbe, è un piacere. Nel frattempo i grandi capi dei grandi stati pensano alla guerra. Piccola o grande, non importa, ma una la vogliono sempre. Forse per giocare oppure per far pace il giorno di Natale. Siamo veramente strani. C’è gente che organizza pranzi di Natale per i poveri, come se per loro bastasse mangiare una volta all’anno. D’altronde si sa, se si vuole vivere a lungo bisogna mangiare poco. Allora è proprio per questo che dovunque troviamo poveri; davanti alle chiese, davanti alle chiese moderne (i centri commerciali), a tutti gli incroci. Per ogni dove. Siccome mangiano poco sono immortali e ogni anno aumentano. Ma quello che mi meraviglia è perché continuano a chiedere se in realtà grazie alla loro impossibilità di mangiare qualche cosa vivono all’infinito. Chiedono soldi per mangiare loro, i loro figli e anche il loro cane. Forse sono stufi di vivere? Perché lottano tutti i giorni per un tozzo di pane che potrebbe solo abbreviare la loro vita? Addirittura su questo pianeta chiamato Terra, c’è gente che si chiude in grandi stanze insieme ad altri o in piccole stanze (e vi passano il 90% della loro vita) per potersi poi permettere di mangiare lui e la sua famiglia, altri per concedersi di andare a mangiare in lussuosi ristoranti. Ma sono solo due maniere (più o meno eleganti) per morire prima. Il dubbio che mi percorre dal midollo al cervello è questo: la vita è proprio brutta?

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Giuliano Rossetti

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SOMMARIO

DICEMBRE - GENNAIO 2014/2015 SEGUICI SU FACEBOOK: EVENTI

LE INTERVISTE DI MAMO

Barbara Mancia: AMAT Associazione Marchigiana Attività Teatrali

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CALENDARIO DICEMBRE/GENNAIO

Beatrice Giongo: Marche Teatro - Teatro Delle Muse

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PERIODICO BIMESTRALE - DICEMBRE - GENNAIO 2014/2015 ANNO XVI N.4

Nando Ottavi: L’Apprendista Favoloso Andrea Del Brutto: L’Istante Eterno Gian Piero Papasodero: Apprezzare La Vita Paolo Isabettini: Noi ci siamo Oriana Salvucci: La Mia più Grande Passione: Il Lavoro Ilaria Baleani: L’Effimero Universale Francesco Savoretti: L’Etnica Globale Circolo Fotografico Emme: Tutto In Un Clic Mario Mengascini: La Grande Via

MG marcheguida

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CALENDARIO DICEMBRE/GENNAIO

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Michele Biancucci & Francesco Ferracuti: Don Giovanni, Teatro Dell’Aquila

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IN T E RVENTI & RUBRICHE Claudio Pettinari: Art&Scienza Giuseppe Asdrubali: L’Imperatore di Jesi Mirella Battistoni: Start-Up & Rete d’Impresa Claudio Bernacchia: La Galassia Con La G Maiuscola Alessia Cruziani: Un Affetto Vero Giuliano Rossetti: Le Winx Ombretta Buongarzoni: L’Angelo Redazione Gran Galà Web Magazine: London Calling 2014 Michela D’Alessandro: La Felicità Di Ulisse Andrea Braconi L’Alchimia Perfetta Tra Fermo E Londra Paola Olmi: Eccomi: Un’Avventura Appena Iniziata Enrico Filippini: Sembra Ieri Nicola Brignoccolo: Il Mio Nome è Alex Berti Ambrogio Selusi: ????

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Emanuel Vecchioli: I Pidocchi Giuliano Rossetti: Il Vino Cotto, Il Nettare Degli Dei Tunde Stift: Planet Moda TV Camilla Boemia: Una Curatrice Made In Marche Paola Consolati: Una Vita Per L’Aloe Arianna Bitti: La Promozione Della Salute E Della Vitalità Attraverso Il Respiro Marco Bentivoglio: Wellness Giuseppe Parodi: Atlantic Rally For Cruisers Massimo Pigliapoco: PicoMega e FraCanappa Luca Luciani: La Vernaccia Di Serrapetrona: 40 Anni Di Storia, Secoli Di Vita Adele Allegrini: Il Manifesto Di Ottavia

74 78

CONTRIBUTI FOTOGRAFICI Andrea Del Brutto, Cecilia Del Gatto, Circolo Fotografico Emme, Clipvideoservice, Fabio Taccola, Giammario Cardini, Giampaolo Pistola, Giordano Macellari, Mamo, Marche Teatro, Marco Buschi, Relazione Esterne Unicam, Roberto Postacchini, Samuele Travaglini, Uff. Stampa Amat

84 86 88 94 96 102 106 107 108 111 112


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MG marcheguida Direttore Responsabile Giuliano Rossetti direttore@marcheguida.it Editor Alberto Montebello editor@marcheguida.it Art Director Massimo Pigliapoco artdirector@marcheguida.it Graphic Designer Adriano Brando Alessandrini adv@marcheguida.it ___________________________ REDAZIONE redazione@marcheguida.it Via Vanvitelli, 88 62100 Macerata Tel 0733-262602 Fax 0733-267497 PUBBLICITÀ & MARKETING Massimo Pigliapoco marketing@marcheguida.it 340.5973954 EDITORE BERT & ASSOCIATI Via Vanvitelli, 88 62100 Macerata Tel 0733-262602 Fax 0733-267497 info@bertassociati.it www.bertassociati.it AUTORE COPERTINA Andrea Del Brutto Foto di Copertina: Andrea Del Brutto AUTORI DI QUESTO NUMERO 4 DICEMBRE-GENNAIO 2014/2015 Adele Allegrini, Alessia Cruziani, Ambrogio Selusi, Andrea Braconi, Arianna Bitti, Barbara Mancia, Beatrice Giongo, Camilla Boemio, Claudio Bernacchia, Claudio Pettinari, Emanuel Vecchioli, Enrico Filippini, Francesco Di Bitonto, Francesco Ferracuti, Giuliano Rossetti Giuseppe Asdrubali, Giuseppe Parodi, Luca Luciani, Marco Bentivoglio, Marta Abeni, Massimo Pigliapoco , Michele Biancucci, Michele D’alessandro, Mirella Battistoni, Nicola Brignoccolo, Ombretta Buongarzoni Paola Consolati, Paola Olmi, RedazionE Gran Galà Magazine Web, Tunde Stift. STAMPA Bieffe s.r.l. - Recanati (MC) ____________________________ MARCHE GUIDA Reg.Pubblica del 23/04/1998 Aut. del Trib. di Macerata n.418/98


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People


“Le persone raramente fanno quello in cui credono. Fanno ciò che conviene, e poi se ne pentono.”

Bob Dylan

Da piccolo, molto piccolo, ero affascinato dalle foto stampate sui quotidiani che papà giornalmente portava casa, dopo il lavoro. Uno dei miei passatempi era quello di ritagliarle quelle foto, per poi incollarle su un quadernone e scriverci accanto i miei pensieri. Un paio di anni fa, dopo un lungo periodo vissuto in giro per il mondo, pensai che, forse, fosse ora di riprendere quel gioco e pubblicare una rivista per condividere le esperienze di chi, come me, aveva storie da raccontare. Ovviamente non potevo fare le cose da solo, quindi cominciai a parlarne con chi conoscevo. Incontrai molti titubanti, molte perplessità, molte obbiezioni di quelli che definisco “gli scienziati”, mammiferi bipedi dotati di uno straordinario “buon senso”, che permette loro d’intendere tutto, fuorché l’ovvio. Poi un giorno, seduti ad un tavolo, Alberto, Giuliano e Brando mi dissero: “OK, partiamo!” Per dare una connotazione di spessore alla rivista, pensammo di coinvolgere tutti gli amici e i conoscenti che


avevano dato prova di essere dei “grandi” nel loro campo d’applicazione. Con grande gioia, ed enorme soddisfazione, ricevemmo l’appoggio di tutti coloro che contattavamo. E’ grazie a loro che, con questa edizione, siamo arrivati a stampare il 4° numero di MG marcheguida, che completa la serie del 2014. In queste 4 facciate troverete le foto degli intervistati, degli autori delle rubriche, degli artisti, dei fotografi, degli esponenti delle istituzioni, delle associazioni, delle università, e dei ”soci” sostenitori che, grazie al loro generoso contributo, hanno permesso la realizzazione della rivista. Purtroppo la foto di qualche amico non è presente in queste pagine perchè non è arrivata in tempo utile. Per il resto abbiamo controllato e ricontrollato, ma quasi sicuramente qualcuno ci sarà sfuggito. Ovviamente non era nostra intenzione, e se questo è accaduto, mi scuso e ne assumo tutte le responsabilità. Stiamo lavorando sul primo numero del 2015, spinti dalla convinzione che qualsiasi prodotto umano sia migliorabile, e naturalmente la nostra rivista non fa eccezione. Dopo mezzo secolo, quel gioco che facevo da bambino, ancora mi piace. Sempre più! Un abbraccio enorme a tutti. Grazie, grazie, grazie! Buone feste e un sereno anno nuovo.


People

AUGURA BUONE FESTE

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UNO STRAORDINARIO 2015

a tutti i nostri lettori!


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CULTURA

In un momento come quello che stiamo vivendo l’umanità ha bisogno di una nuova ragione creativa. La parola arte è stata troppo spesso associata ad illuminazioni improvvise ed irrazionali: chi non ha quasi sempre considerato l’artista un soggetto “caldo e istintivo” in contrapposizione allo scienziato “freddo e razionale”? Eppure anche in passato non vi era alcuna contrapposizione tra la dimensione estetica e quella scientifica, anzi questa assenza di dualismo tra arte e scienza è perfettamente identificabile nel termine greco techne, che oltre ad essere equivalente al latino ars, tiene in sé il concetto di scienza e tecnologia. E’ nella parola arte che si rinviene la competenza tecnica del mestiere quale la precisione dell’orafo, la conoscenza del corpo umano e dei materiali da parte del pittore e dello scultore, la conoscenza della prospettiva e dello spazio dell’architetto, basti pensare a Leonardo da Vinci che oltre ad impersonare forse più di ogni altro lo scienziato-artista ci dice che dove la natura cessa di creare, l’umanità

Claudio Pettinari comincia, utilizzando cose naturali, con l’aiuto delle quali crea un’infinità di cose nuove. Quando penso alla correlazione tra sapere scientifico e sapere umanistico, a quelli che solo falsamente sembrano due modi distanti di esperire il reale, non posso poi non pensare a van Gogh: nel momento in cui Vincent viene a conoscenza della griglia prospettica (uno strumento, una sorta di cornice vuota con fili incrociati verticali, orizzontali e diagonali al suo interno che consentivano di scomporre e comporre le immagini) utilizzata da un pittore tedesco Albrecht Dürer, ne volle immediatamente una, perché essa avrebbe fornito perfetta indicazione delle linee principali e delle proporzioni, almeno per coloro che hanno un istinto per la prospettiva. La prospettiva diventa così un atto creativo, espressione necessaria per l’artista e lo scienziato che egualmente procedono nelle loro attività quotidiane ad un processo di decodificazione della realtà e a una sua successiva ricomposizione. Ma il link tra arte e scienza non può essere circoscritto a Leonardo e van Gogh. Picasso ad esempio viene sicuramente influenzato nelle sue rappresentazioni artistiche da Einstein: il Cubismo, che può essere definito anche un programma di ricerca, seppur non legato direttamente, ha risentito pesantemente della teoria di Einstein della Relatività. Lo si apprezza facilmente quando vediamo come i pittori cubisti rappresentino su una stessa tela tanti punti di osservazione differenti. Il legame tra arte e scienza è ancora più evidente se andiamo a speculare quando l’uomo inizia a produrre


arte: alcuni riconducono l’inizio ai pittori paleolitici, ad esempio a quelli che hanno dipinto le Grotte di Lascaux, splendide caverne della Francia sud-occidentale. In alcune grotte, ancor più antiche, sono stati di recente scoperti pigmenti quali l’ematite rossa (ossido di ferro) e l’ocra giallo (ossido idrato di ferro) entrambi facilmente e naturalmente reperibili nelle rocce e nei terreni, ma anche carbone, derivato invece dell’uso del fuoco e prodotto “industrialmente” solo quando l’uomo ha avuto controllo sul fuoco, quando l’uomo ha iniziato a studiare e proporre reazioni chimiche. Nel neolitico fece poi la sua comparsa il bianco, carbonato di calcio, ottenuto da ossa di animali domestici calcinati attraverso primi semplici processi chimicofisici. Per applicare tutti questi pigmenti si faceva uso di grasso animale. E’ bello pensare, come dice l’amico Alessandro Delpriori che il bianco (e quindi l’arte) nasca non solo insieme alla pastorizia, ma nasca perché nasce la pastorizia: se la scienza nasce per capire la realtà, l’arte è la rappresentazione artistica per farla capire agli altri, per lasciarla raccontata. Di questo ed altro con Alessandro Delpriori si è discusso durante la notte dei Ricercatori organizzata dall’Università di Camerino il 26 settembre 2014, presso il Museo Piersanti di Matelica. Alessandro, oltre ad essere il sindaco della città di Matelica è un eccellente

ricercatore e storico dell’arte che ci ha fatto percorrere un entusiasmante viaggio tra affascinanti dipinti egiziani, tra tavole del trecento e meravigliose tele del Rinascimento italiano, fino ai più recenti dipinti di van Gogh e Monet, non solo raccontando gli aspetti segreti ed intriganti presenti nelle opere note e meno note al grande pubblico, ma anche mostrando quelle che erano le innovazioni tecnologiche (nuovi pigmenti, nuove tecniche, nuove ricette) che di volta in volta venivano utilizzate dagli artisti: dalla scoperta della biacca, pigmento fortissimo di colore bianco prodotta dagli Egizi con piombo, aceto e concime animale, al cromato di piombo dei girasoli di van Gogh, instabile chimicamente e fotochimicamente, il cui degrado sta tanto preoccupando la comunità scientifica. E’ stata una grande occasione per mostrare come oggi lo scienziato possa portare il proprio contributo alla società civile, anche nel recupero di opere d’arte, restaurate in passato con troppa superficialità e con scarsa conoscenza dei materiali utilizzati e/o necessari per il restauro stesso, un colloquio a due voci accompagnato e intermezzato da un fantastico calice di verdicchio ed eccellente musica jazz.




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IMPRENDITORIA

Presidente della Nuova Simonelli S.p.A. e Presidente di Confindustria Marche: Nando Ottavi.

L’ a p p r e n d i s t a

FAVOLOSO Massimo Pigliapoco

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Le tante leggende che hanno da sempre contraddistinto l’ideale del sogno americano ci narrano aneddoti sulla vita di uomini ingegnosi, che hanno affrontato situazioni ritenute impossibili, e ce l’hanno fatta: i self made man. In realtà, se sappiamo guardarci intorno, non dobbiamo fare tanta strada per incontrare personaggi del genere, anzi, le Marche sono una fucina di talentuosi che non hanno nulla da invidiare a quelli di stampo “iù es ei”. “Presidente, prima di venirla a trovare ho letto qualcosa della sua biografia, ma mi piacerebbe che Lei mi raccontasse dall’inizio.” “Sono entrato in quella che allora si chiamava la Orlando Simonelli quand’ero molto giovane, nel ‘63, come apprendista. Nel ‘71, quando il signor Orlando aveva ormai raggiunto una certa età, e non se la sentiva più di seguire l’azienda, costituimmo, io ed altri colleghi dipendenti, una società per rilevare il marchio e continuare la produzione di macchine da caffè. Fui da subito eletto amministratore e presidente di quella che poi diventò la Nuova Simonelli, e da 45 anni ancora ricopro questa carica.” “Con la nuova conduzione quali furono i cambiamenti?” “La vecchia Simonelli era sorta nel 1936 e durante i suoi 35 anni d’attività la sua politica aziendale non

era cambiata poi molto. All’epoca non esistevano i bar come li intendiamo oggi. L’intento del fondatore era quello di piazzare le macchine che produceva nelle taverne, luoghi dove si andava per mangiare o bere qualcosa, ed eventualmente degustare un caffè. La produzione veniva venduta nelle Marche e in qualche regione limitrofa, tipo Abruzzo, Umbria e qualcosa nel Lazio. Pensammo che il campo d’azione fosse un po’ troppo ristretto, dunque, come prima operazione, cercammo sbocchi commerciali nell’intero territorio nazionale, mirando anche al mercato estero. Ovviamente all’inizio non fu un’impresa facile. Nel ‘75 riuscimmo, grazie all’aiuto di un funzionario dell’ICE, ad essere contattati da un imprenditore americano che ci telefonò per visionare i nostri prodotti. Quella


visita ci permise di chiudere il primo contratto con gli Stati Uniti. Iniziò così una nuova fase. Creammo una consistente rete commerciale, composta da giovani marchigiani intraprendenti, mediante la quale far conoscere i nostri prodotti in giro per il mondo. Parallelamente ampliammo il settore sviluppo e ricerca per produrre macchinari sempre più all’avanguardia.” “Arriviamo ai giorni nostri Sor Nando. Attualmente la Nuova Simonelli che realtà è?” “L’azienda occupa centinaia di collaboratori. Il 90% della produzione viene esportata e le nostre macchine sono presenti in117 paesi dei 5 continenti. Negli

ultimi periodi abbiamo sviluppato importanti contatti di lavoro nel sud-est asiatico, in paesi come Giappone, Australia, Nuova Zelanda, Corea, Thailandia e Cina, mega nazione questa che non pensa solo all’esportazione, ma è anche molto attenta ai prodotti di qualità di provenienza italiana.” “Ho notato, negli ultimi anni, che all’estero sorgono sempre più spesso locali dove si può bere un espresso, cosa difficilissima da trovare fino a una decina d’anni fa. E’ un tentativo espansionistico delle aziende italiane o c’è una vera domanda dei popoli di altre nazioni?” “Direi che i buoni prodotti italiani sono stati sempre


apprezzati dalla gente di altri paesi, e nell’alimentare siamo fortissimi per ,spaghetti, pizza, caffè e cappuccino. C’hai mai fatto caso? Ovunque tu vada il nome di questi prodotti non cambia, non vengono tradotti. La grande diffusione dell’espresso e del cappuccino è in parte dovuto anche al WBC, il Campionato Mondiale dei Baristi, una kermesse di professionisti di 60 paesi diversi che ogni anno si danno appuntamento per confrontare le loro abilità nella preparazione di bevande a base caffè. E’ proprio di questi giorni la riconferma dell’utilizzo delle macchine Nuova Simonelli e Victoria Arduino (un altro marchio storico dell’azienda) per il triennio 2015/2017. Questo è motivo di grande orgoglio naturalmente. L’unico aspetto che stona un po’ è che la manifestazione sia stata creata da un?equipe statunitense. Sai cosa vuol dire questo? Che siamo molto bravi a produrre manufatti, ma non ci sappiamo promuovere, e sotto questo aspetto l’Italia deve crescere molto.” “Lei è presidente di una S.p.A., è presidente della Confindustria Marche, ed è stato presidente della comunità montana dei Monti Sibillini, composta da 15 comuni. La domanda è questa: che tipo di differenze ci sono, se ce ne sono, tra le tre presidenze?” “Le differenze sono sostanziali. Essere presidente di una azienda che produce e commercializza presuppone un notevole dinamismo intellettuale. Innanzi tutto non esistono orari o giorni festivi. Bisogna essere capaci di prendere decisioni nell’immediato, essere costantemente attenti alle minime variazioni di mercato e pronti a cambiare rotta se le circostanze lo richiedono, perché ciò che è valido oggi potrebbe non esserlo più domattina. L’obbiettivo costante è la

crescita aziendale per soddisfare le esigenze dell’impresa, degli azionisti e di coloro che ci lavorano. Guidare una azienda nel mercato globale impegna molto, e se non si nutre una passione sviscerata per quello che si fa non si resiste a lungo. La presidenza della comunità montana invece richiedeva un ruolo di mediazione principalmente, più politico diciamo. Precedentemente ero stato anche sindaco e quell’esperienza mi fu utile per affinare le mie capacità. Quando si devono curare gli interessi di 15 comuni, ognuno con le proprie esigenze e caratteristiche, è necessario assumere una posizione super partes, che non privilegi una comunità a scapito di un’altra, e comunque capaci di risolvere i problemi. Anche in quel caso l’impegno è stato costante, anche se diverso da quello aziendale. Come presidente della Confindustria regionale ho dovuto assumere un ruolo ulteriore rispetto alle altre esperienze. Innanzi tutto occupo questo importante incarico nel periodo “meno felice” degli ultimi 50 anni, per il nostro paese e non solo. Nonostante che il nostro compartimento manufatturiero sia ai primi posti in Europa e nel mondo, ci sono tante aziende in difficoltà che richiedono risposte rapide ed efficaci. Come loro rappresentante il mio interlocutore è sostanzialmente la Regione, organo statale che presuppone necessariamente tempi diversi, meno snelli, più burocratici. I problemi che devo affrontare sono di carattere sociale e di estrema delicatezza, perché se un’azienda chiude non perdiamo soltanto un pezzo di storia che non tornerà mai più, ma decine, se non centinaia di famiglie perderanno l’opportunità di vivere una esistenza dignitosa, fenomeno che non si dovrebbe mai verificare in una società che voglia definirsi tale.” “Ci sono tanti ragazzi alla deriva, che hanno difficoltà ad imboccare la propria strada. Quali sono i suggerimenti di


un uomo della sua esperienza?” “Bella domanda. Provo a rispondere. Credo che dovremmo tornare alla cultura del lavoro, cosa che negli ultimi anni è stata del tutto ignorata. Buona parte delle responsabilità le attribuirei al sistema scolastico che non ha saputo adeguarsi ad un mondo che stava cambiando a velocità sostenuta. La mia impressione è che giovani diplomati o laureati escano dagli istituti con troppa teoria in testa e nessuna, o scarsa, cognizione della pratica. Un sapere senza applicazione non è un sapere. La scuola dovrebbe introdurre i giovani studenti nelle aziende, nelle fabbriche, nelle botteghe artigiane fin dalle prime classi. Sarebbe un ottimo sistema per accostarli ai tanti tipi di attività che un giorno loro stessi potrebbero svolgere. Ci sono lavori estremamente gratificanti che potrebbero risolvere tanti problemi ma nessuno li vuol più fare. Cosa c’è di sbagliato nell’essere un falegname, un fabbro, un pasticcere, un idraulico, un panettiere? Sono tutte attività ben remunerate, ma guarda caso vengono spesso svolte da gente che proviene da altri paesi. Bisognerebbe attenuare un po’ i toni dell’ambizione e andare più sul concreto. Quelli della mia generazione, e ne sono tanti, non si sono mai risparmiati, anche se abbiamo vissuto un periodo dove non c’era niente e tutto era da costruire. Tanti di loro oggi sono il fiore all’occhiello dell’imprenditoria, in Italia e all’estero. Non ci sono segreti. Impegno, impegno e impegno...poi i risultati arrivano. Ho cominciato da apprendista, quindi ne so qualcosa.” Uno degli slogan che utilizziamo per promuovere la nostra rivista è: “Gente straordinaria di una terra straordinaria”. Non l’abbiamo coniata perché fosse una frase ad effetto. L’abbiamo fatta nostra perché ci crediamo. Un abbraccio Presidente, e grazie.



Avevamo in mente un progetto che abbiamo sempre rimandato. Ora lo porterò a compimento, ma non da solo, perchÊ so che tu sarai lÏ. Ci siamo conosciuti con una risata, e con una risata ci siamo salutati l'ultima volta. Il modo migliore. Ciao Luca.


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RACCONTI

di JESI

L’ I M P E R AT O R E

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Giuseppe Asdrubali

ra i numerosi grandi uomini che sono nati nelle Marche, si annovera anche Federico II di Svevia (1194-1256) che viene ricordato anche con l’appellativo di “Stupor Mundi”. Infatti, contrariamente a quanto si potrebbe essere indotti a credere, Federico II non ha visto la luce a Palermo, capitale del Regno di Sicilia di cui la madre Costanza d’Altavilla (1154-1198) era Regina, ma a Jesi nella Marca Anconitana, città di antiche origini celtiche che nel 247 a.C. entrò nell’orbita del dominio di Roma come Municipium Aesis. Oggi Jesi, la più importante città della Vallesina, elegante e operosa con oltre 40.000 abitanti è ricca non solo di monumenti di interesse storico, ma anche di industrie per cui viene detta la Milano delle Marche. Divenuto imperatore Federico II rese celebre la città colmandola di benefici come “Città Regia” e dedicandole uno scritto singolare in cui la chiama la sua “Betlemme”. In quella stessa occasione Federico II avanza un ardito parallelismo fra la “divina madre” che lo aveva generato e la Madre di Cristo. Anche Dante nella sua immortale Divina Commedia, esalta la figura di Costanza d’Altavilla, la divina madre cui si riferiva Federico, presentandola con i versi indimenticabili 118, 119, 120 del III canto del Paradiso: Quest’è

la luce della gran Costanza che del secondo vento di Soave generò ‘l terzo e l’ultima possanza.

Costanza d’Altavilla che nel dantesco cielo della Luna risplende di luce nella eterna beatitudine della contemplazione di Dio, era l’ ultima figlia di Ruggero II, re di Sicilia. Nacque nel 1154 e sposò nel 1185 Enrico VI di Svevia (il secondo vento di Soave cioè il secondo imperatore venuto di Svevia) figlio di Federico I, detto Barbarossa, primo imperatore della dinastia Hoenstaufen. Nel 1189 alla morte di Guglielmo II ultimo re della casa Normanna, ereditò e trasferì nel marito i legittimi diritti della sua famiglia sopra il Regno di Sicilia. Generò nel 1194 il figlio Federico II (terza ed ultima possanza). Rimasta vedova nel 1197 tenne la reggenza del Regno e la tutela del figlio. Presagendo la sua imminente fine, nel 1198 trasferì la tutela del figlio al Papa Innocenzo III (1160-1216), pontefice a soli 38 anni nel 1198, massimo assertore della grandezza e della universalità della Chiesa di Roma, erede dell’Impero Romano. Federico II di Svevia, unico erede di due illustri dinastie, rimase orfano di entrambi i genitori all’età di quattro anni. Come pupillo di Innocenzo III era compito del Papa custodire ed educare il Re, ma il Pontefice assorbito da infinite cure a Roma lo aveva affidato ai suoi legati che però non gli furono maestri. Crescendo in un clima agitato da interessi mutevoli e discordanti formò un carattere chiuso e dissimulatore, sempre sulla difensiva abituato a vedere gli uomini agire solo sulla base dei propri interessi e dell’opportunità delle


25 circostanze. Se riuscì ad apprendere la letteratura, le lingue, la matematica, l’astronomia e il diritto, tutte scienze che dovevano fare di lui l’uomo straordinario che stupirà il mondo, lo deve al contatto della civiltà araba a quel tempo all’apogeo della sua manifestazione anche a Palermo. Precursore dei grandi ideali rinascimentali affermò il principio che la nobiltà non si acquista nascendo ma con il vivere e con le opere. Nella sua insonne ricerca della verità e del perché delle cose radunò nella sua Corte di Palermo il fiore degli ingegni del suo tempo e promosse il sistema di avanzamento meritocratico e con esso un vasto movimento culturale che realizzò la prima poesia d’arte in lingua

italiana (Scuola Poetica Siciliana) e culminò nella fondazione, nel 1224, dell’Università di Napoli, faro di civiltà, insieme a quelle di Bologna (1158) e di Parigi (1180). Con le sue intuizioni e il talento versatile, Federico II contribuì a superare l’arretratezza dell’Europa ancora avvolta nel Medio Evo e a preparare il definitivo riscatto che avverrà con l’Umanesimo e il Rinascimento che segnarono anche il passaggio da una civiltà medioevale ( teocentrica) ad una civiltà moderna ( antropocentrica).

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S

Mirella Battistoni

i sta diffondendo un nuovo concetto di “rete d’impresa innovativa” che porta con se una molteplicità di vantaggi: “massa critica” e “sinergie” per risolvere problemi legati a finanziamenti, gestione, fiscalità, posizionamento sul mercato, opportunità di business. La rete, soprattutto se mette insieme start-up create da giovani e aziende consolidate, consente di combinare le competenze innovative e digitali delle prime con il know how produttivo e commerciale delle seconde, superando lo storico limite dimensionale delle PMI italiane (il 60% delle quali ha 1 solo dipendente ed il 35% meno di 10). Nell’ultimo anno in Italia le start-up innovative sono raddoppiate rispetto allo scorso anno (+120%) ed i contratti di rete hanno raggiunto al 1°ottobre 2014 quota 1.777 (a fine 2012 erano appena 200). Inoltre a breve sarà operativo anche per il centro-nord il bando “Smart&Start” (rif: Decreto MISE 24/9/14) che prevede la concessione di un FINANZIAMENTO A TASSO ZERO da restituire in 10 anni, a copertura del 70% degli investimenti (80% se la start-up è costituita da donne o giovani, oppure se al suo interno c’è un dottore di ricerca che rientra in Italia). Possono presentare la domanda le start-up innovative costituite da non più di 4 anni oppure le persone fisiche che intendono avviarne una. I progetti possono andare da un minimo di 100mila euro ad un massimo di 1,5 mln euro. A breve si potranno presentare le domande anche a valere sul bando “Voucher IT” (rif: Decreto MISE del 23/9/14) rivolto alle micro, piccole e medie imprese che intendono acquistare software, hardware o servizi volti al miglioramento dell’efficienza aziendale, allo sviluppo di soluzioni di e-commerce, banda larga e ultralarga, collegamento internet con tecnologia satellitare e formazione. All’impresa viene riconosciuto un CONTRIBUTO A FONDO PERDUTO fino ad un massimo di 10.000 euro a copertura del 50% delle spese.

Le start-up innovative godono di numerosi

INCENTIVI FISCALI:

esenzione dell’imposta di bollo e delle spese di registro

credito d’imposta pari al 35% delle spese per l’assunzione di personale altamente qualificato

sgravi fiscali per chi investe nel capitale delle start-up innovative: IRPEF del 19% e IRES del 20%, valore che sale rispettivamente al 25% e al 27% per il settore sociale ed energetico.

Per approfondimenti anche su altri bandi www.euro-project.net


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ON THE SEA FRONT

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VETRERIA GORBINI


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FOTOGRAFIA

L’ISTANTE

ETERNO

I ferma tempo, uomini con la visione rettangolare: Andrea Del Brutto.

Massimo Pigliapoco

un regalo elettronico: switchiano ON e vanno per tentativi, tanto è un gioco. La fotografia naturalmente non fa eccezione. Quasi tutti gli “utensili” nel cui interno è contenuto un po’ di silicio sono in grado di scattare immagini, per cui, dalla mattina alla sera, diventiamo tutti fotografi, basta fare una carrellata sui socials, salvo imbattersi in alcuni scatti davanti ai quali rimaniamo senza fiato. A quel punto ci rendiamo conto che possedere un apparato fotografico non è garanzia di qualità, scopriamo che ci sono uomini capaci di dare anima ai loro scatti, capaci di creare opere d’arte mediante il loro talento. Andrea Del Brutto, amico e fotografo al quale abbiamo dedicato la copertina del presente numero della rivista, è uno di quei personaggi, un uomo cioè capace di rendere magico ciò che per la maggioranza non è che un semplice aspetto del quotidiano.

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iamo tutto per scontato...ma non è così. Negli ultimi cinquant’anni, o poco più, la tecnologia ha introdotto sui mercati di tutti i paesi definiti industrializzati una vastissima gamma di prodotti che, con più o meno sacrifici, ognuno di noi può permettersi di acquistare. Una volta comprato l’oggetto ce lo portiamo a casa tutti soddisfatti, senza preoccuparci minimamente se saremo in grado di farne un uso appropriato, spesso saltando a piedi pari la lettura delle istruzioni; ci comportiamo insomma come i bambini quando ricevono

“Andrea, mi parli un po’ dei tuoi inizi?” “La mia passione nasce intorno ai 13 anni, quando abitavo in una scuola elementare che di tanto in tanto era frequentata da un fotografo che veniva da Ancona. Tu sei di qualche anno più giovane di me ma ricorderai che all’epoca era consuetudine scattare delle foto agli alunni, che poi venivano conservate orgogliosamente negli albums, a testimonianza di un percorso culturale. Gli alunni della scuola erano tanti, si che a volte rimaneva per più giorni e spesso mangiava da noi. Era a poco a poco diventato un amico di famiglia e una volta mi portò nel suo laboratorio per mostrarmi come avveniva la magia


della stampa. Rimasi stupefatto, e di questo lui se ne accorse. Qualche giorno dopo venne a casa nostra e mi consegnò un pacchetto: “Tieni Andrea, questa è per te, divertiti.” Quella fu la mia prima macchina fotografica; una Comet Bencini 2°, flash a lampadina estraibile dopo ogni scatto e rulli da 120 mm, era la fine degli anni ‘60. All’epoca esistevano dei corsi di formazione per corrispondenza della Radio Elettra di Torino e tra le tante discipline c’era anche la fotografia. Mi iscrissi e mi feci spedire tutti i volumi e i materiali previsti per la pratica, dopo di che mi tuffai nello studio, non vedevo l’ora di sviluppare la mia prima fotografia. Questa mia pratica procurò qualche disagio in famiglia. La casa era piccola e non avevamo una stanza libera dove potessi esercitarmi, dunque stampavo di notte, in cucina. Puoi immaginare mamma il mattino dopo. La situazione migliorò quando un amico che doveva sposarsi mi chiese di fare il servizio fotografico. Dopo un’iniziale titubanza accettai l’incarico e, vista l’importanza dell’evento, per lo sviluppo mi affidai ad un fotografo professionista il quale disponeva di attrezzature più idonee. I miei scatti gli piacquero particolarmente e mi propose di aiutarlo durante i suoi servizi alle celebrazioni. Iniziò così un periodo, durato circa tre, anni durante il quale quasi tutte le domeniche, con lui e con altri professionisti, le trascorrevo scattando migliaia di foto. Farlo tutte le domeniche è una cosa impegnativa, ma quei lavori mi permisero di acquistare macchine sempre più sofisticate e, cosa non da poco, usufruire delle loro camere oscure per gli sviluppi, con immenso sollievo di mia madre.” “Nei primi anni ‘70 sei entrato all’ENEL come tecnico dell’elettronica; come mai questa scelta e non quella di

diventare un fotografo professionista?” “Quando si è giovani si è facilmente influenzabili, non sempre si ha il coraggio di seguire i propri istinti; siamo propensi ad ascoltare i consigli di chi è più grande,


sono dovuto adeguare alle nuove tecnologie cercando di mantenere alto lo standard dell’immagine, cosa non sempre semplicissima. Alcuni professionisti, che devono giustamente seguire le leggi di mercato, non ne fanno più un dramma, ma per me la cosa è diversa. Io non mangio con la fotografia, per cui posso estremizzare, incurante del tempo e del denaro che impiego. Per questo sono un dilettante.” “Hai degli scatti che consideri più belli?”

ma chi è più grande non sempre conosce le nostre verità, però così è la vita, il più delle volte la scopriamo dopo. Potendo tornare in dietro forse...non lo so, forse questa era la mia strada. Sono rimasto un dilettante che non ha mai smesso di fare scatti.” “La ripeti spesso questa storia del dilettante ma, visti i risultati, come puoi definirti tale?” “Dilettante perché la fotografia non è la mia attività principale, anche se senza macchina fotografica non saprei vivere. La mia è una passione che m’accompagna da circa mezzo secolo e non ha mai avuto un attimo di cedimento, anzi. Nel tempo ho anche studiato molto perché il talento non basta, come per qualsiasi disciplina il talento predispone, ma poi bisogna educarlo. Il passaggio dalla pellicola al digitale è stato traumatico per esempio, perché se conosci l’essenza di una cosa non puoi accontentarti di un surrogato, ma le aziende ormai non producono quasi più rullini, dunque mi

“E’ difficile stabilirlo, che vuoi che ti dica, ho 13 dischetti da un Tera pieni zeppi, e sono tutti momenti unici. Penso che i migliori siano quelli che colpiscono il prossimo. Qualche giorno fa ho aspettato per più di due ore, di notte, che chiudessero il portone della Questura e poi l’ho fotografato. Dopo aver ritoccato leggermente la luce ho pubblicato la foto su facebook. Una signora mi ha fatto i complimenti e mi ha chiesto dove si trovasse quel portone. Dopo aver risposto alla domanda la signora mi ha risposto:”Non l’avevo mai visto così.” Quella signora ha 70 anni e da 50 passa due volte al giorno davanti a quel portone per recarsi da casa a lavoro e viceversa; ecco, questi sono gli scatti più belli!” Eh si maestro, non c’è dubbio. Un conto è guardare, un conto è vedere. Mi sembra che fosse un antico cinese che diceva che gli occidentali non riescono a vedere la foresta per via degli alberi...ahahah...bella vero!? Grazie Andrea, un grande abbraccio.


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ASTRONOMIA

uando Galileo, agli inizi del XVII secolo, primo tra tutti gli uomini, puntò verso il cielo il telescopio che si era costruito con le proprie mani, vide un panorama mozzafiato. Scorse chiaramente i crateri lunari, i satelliti di Giove e tante altre meraviglie. Tra l’altro verificò che la nebulosità della Via Lattea attraverso il cielo era costituita da una miriade di stelle. Queste sue osservazioni, rese note nel 1610 nel “Sidereus Nuncius”, cambiarono profondamente la visione che si aveva dell’universo. In qualche modo, come si dice, nulla fu più come prima. In una lettera del 30 gennaio 1610, indirizzata a Belisario Vinta segretario del granduca di Toscana, Galileo manifestò tutto lo stupore e la meraviglia per quanto aveva osservato: “ …rendo grazie a Dio che si sia compiaciuto di far me solo primo osservatore di cosa ammiranda e tenuta a tutti i secoli occulta”. Sin dall’antichità, gli attenti osservatori del cielo avevano potuto ammirare quella tenue nebulosità che assomiglia al latte disperso a gocce in una caraffa di acqua. Ne dettero una interpretazione mitologica che vedeva coinvolti gli dei, gli uomini e i loro destini. Zeus il più potente degli dei condivideva le passioni e i desideri degli uomini mortali. Approfittando dell’assenza di Anfitrione, ne assunse le sembianze e fece sua la bella moglie Alcmena. Da questa unione nacque il possente Eracle, Ercole. Il padre, desiderando per lui, un destino da immortale, attaccò il bambino al seno della moglie Era addormentata affinché il bambino, nutrito dal latte divino, divenisse immortale. Dopo un po’ la dea si destò e visto che stava nutrendo un bambino sconosciuto lo respinse. Il latte, che il bambino succhiava con forza, sprizzò dalle mammelle di Era e bagnò il cielo notturno dando

Claudio Bernacchia origine alla Via Lattea: la nostra galassia. Nelle profondità del cielo sono situate un numero sterminato di galassie, ma quella che ci interessa di più è certamente quella in cui viviamo. Oltre che con il nome di Via Lattea viene indicata come la “Galassia “ utilizzando la G maiuscola, mentre per tutte le altre ci si limita ad utilizzare la minuscola. La nostra è una galassia a spirale barrata. Il sistema solare trova posto in uno dei suoi bracci. Le dimensioni sono sorprendenti : ha un diametro di 100.000 anni luce. Si tratta in Km di una misura eccezionalmente grande, difficile anche solo da pronunciare. Se accendessimo una torcia ad una sua estremità, la luce impiegherebbe ben 100.000 anni per raggiungere l’estremità opposta. Quante stelle ospita oltre al nostro Sole? Più di 200 miliardi. Per avere un’idea delle sue dimensioni basti pensare che se nel suo complesso il suo diametro fosse di soli 130 Km il sistema solare ne occuperebbe appena 2 mm. La scoperta di queste enormi dimensioni e la verifica che le galassie nel cosmo sono addirittura miliardi, suggerisce uno scenario inaspettato che neanche la scienza riesce a ricondurre in qualche modo ad una dimensione comprensibile. In questo universo sconosciuto ci sono realtà completamente ignote che non riusciamo neanche ad immaginare. Certo anche l’esistenza umana, in una realtà cosi grande e sorprendente, di fronte alle dimensioni minime del vissuto quotidiano, assume una valenza inaspettata. E’ troppo semplice e banale limitarsi a pensare che nulla ha senso ed alcun significato. Le profondità del cosmo continueranno sempre a porci domande a cui dovremo inevitabilmente cercar di dar risposte.


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RACCONTI

UN AFFETTO

VERO

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iceva qualcuno che a Natale siamo tutti più buoni. E se invece iniziassimo solo ad essere semplicemente sinceri? La sincerità comporta l’essere onesti e aperti, congruenti con ciò che pensiamo e desideriamo. Infondo, tutti lo sappiamo, essere sinceri non è facile anzi, ci vuole un gran fegato a volte… ma meglio provarci, dico io, che fingere qualcosa… o no? Un esempio su tutti considerando che a breve ci ritroveremo tra feste e inviti: i regali di Natale. Quante volte ne abbiamo fatti anche se non ne avevamo voglia o ci sono sembrati più un peso che un piacere? Regalare è sinonimo di donare… e non si è mai sentito dire che fare un dono è un qualcosa che ci crea malumore…. Anzi, dovrebbe essere quel “quid” che nasce sinceramente e che, soprattutto,una volta fatto non richiede nulla in cambio! E sapete perché penso ciò? Perché un dono è qualcosa che arriva dal cuore e chi lo riceve lo sente se è fatto col sorriso o con lo stress di chi solo all’ultimo si è messo alla ricerca del pensiero da offrire. Girare per negozi è sempre difficile, soprattutto se non si sa bene cosa regalare e a chi.. quindi, prima di metterci nel caos dello shopping fermiamoci ed ascoltiamo il cuore così da evitarci anche brutte figure

Alessia Cruziani come regalare un vino d’annata ad un astemio o l’ultimo cd del nostro artista rock preferito a chi ascolta solo musica classica. O peggio: riciclare al malcapitato lo stesso pensiero che lui stesso ci ha dato l’anno precedente. Quindi è cosa giusta l’essere buoni ma non il buonismo, va bene portare un regalo ma non se fatto solo con la testa. Un piccolo pensiero personalizzato (come una maglietta con scritte “ad hoc” da far stampare sul fronte), una sciarpa caldissima fatta con le nostre mani (o sotto commissione), una torta preparata da noi o un braccialetto creato con pazienza ed impegno possono essere piccoli omaggi ricercati, originali e molto più sinceri di acquisti fatti con fretta. Infondo se un dono è comperato o realizzato col sorriso chi lo riceve lo sentirà, come sentirà il calore da esso portato… e se pensate che il vostro presente sia piccino, proponetelo con una confezione curata, poiché anche il modo di porlo farà sentire alla persona che lo riceve l’importanza che avete dato a lei/lui e al cadeax che state ponendo. Ma soprattutto, in questi periodi, cerchiamo più che mai di portare sorrisi… e pazienza. Che forse sono i regali che tutti vorrebbero.



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SPETTACOLO

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C

ontinuano i successi della recanatese Rainbow, che però non dimentica le sue origini e la sua attenzione al sociale. La content company di Iginio Straffi nota in tutto il mondo per le sue produzioni animate e multimediali, festeggia l’arrivo del Natale portando la magia e i valori positivi delle Winx a Porto Recanati e presentando una nuova collaborazione con l’Associazione Trenta Ore per la Vita (www. trentaore.org) in occasione dell’apertura del “Villaggio di Natale di Porto Recanati” dall’8 dicembre al 6 gennaio 2015. Il Presidente e Fondatore di Rainbow Iginio Straffi (www.rbw.it) nell’ambito dei China Awards 2014 è stato

Giuliano Rossetti premiato per il secondo anno consecutivo con il “Capital EliteSviluppo sui media cinesi”. Le fatine della Rainbow, insieme al loro creatore Iginio Straffi,hanno sfilato sul tappeto rosso per la serata di apertura della Mostra del Cinema di Venezia. Che dire una bella serie di perle per la Rainbow. Ora le Winx stanno diventando il cartone preferito dai bambini cinesi, visto che sono trasmesse in Cina sul canale tematico dedicato ai bambini della CCTV. Il Presidente e Fonda-


tore di Rainbow Iginio Straffi (www.rbw.it) nell’ambito dei China Awards 2014 è stato premiato per il secondo anno consecutivo con il “Capital Elite-Sviluppo sui media cinesi”. Iginio Straffi ha così commentato:”Varcare le frontiere della tv cinese significa anche superare dei test di qualità legati a standard elevati di contenuto e di grafica. Soprattutto, siamo contenti perché i bambini cinesi potranno volare sulle ali della fantasia con i nostri personaggi e le nostre storie”.Inoltre il red carpet della serata di apertura della Mostra del Cinema di Venezia ha avuto come ospiti le star più magiche del cinema. Le fatine Winx, insieme al loro creatore Iginio Straffi, hanno sfilato sul famosissimo tappeto rosso per festeggiare il nuovo film “Winx Club – Il Mistero degli Abissi” uscito a settembre scorso nelle sale italiane. E’stata un’occasione per regalare emozioni a tutti gli appassionati di animazione. La Rainbow festeggierà l’arrivo del Natale portando la magia e i valori positivi delle Winx a Porto Recanati e presentando una nuova collaborazione con l’Associazione Trenta Ore per la Vita (www.trentaore.org) in occasione dell’apertura del “Villaggio di Natale di Porto Recanati” dall’8 dicembre al 6 gennaio 2015. Un’iniziativa molto importante per Rainbow perché per la prima volta una strada di una città si tinge di rosa dando vita alla “Winx Christmas Avenue”

(Corso Matteotti) per celebrare la magia delle eroine più amate del mondo; un’iniziativa che Rainbow ha pensato per festeggiare il Natale insieme alle famiglie partendo proprio dalla regione che ha visto la sua nascita, le Marche - di cui le fatine sono anche le testimonial nello spot volto a promuovere il territorio.


L'azienda nasce nel 1999 come piccolo laboratorio artigianale, ma avendo alle spalle già una esperienza decennale lavorando sempre per aziende di grande prestigio a livello mondiale, con il tempo sono riuscito ad allargare i miei orizzonti e fare nuovi investimenti senza mai smettere di sognare e guardare al futuro. Oggi è quasi un venticinquennio che mi occupo di Tappezzeria , sempre come allora lavorando per marchi di grande prestigio maturando così una buona esperienza nella produzione propria di divani, letti, poltrone e sedie anche su misura o su disegni tecnici o clienti in genere sia in tessuto che in pelle, restaurando ogni tipo di divano e poltrone di ogni epoca. Nelle mie lavorazioni si usa solo pelle a pieno fiore e tessuti di alta qualità 100% MADE IN ITALY per avere alla fine un prodotto di alta qualità senza spendere una fortuna. Massimo Gentili



Monti Sibillini...Gole del Fiastrone - ph. Giammario Cardini


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RACCONTI

a notte era di fuoco, sembrava che il cielo e la terra conciliati assieme fossero l’immagine stessa dell’esistenza divina, il vento faceva loro una cornice di carezze e l’immensità dell’attimo era piu intensa di qualsiasi vibrazione, emozione provata fino a quel momento. Il grande uomo era chino nei suoi pensieri, assorto in totale meditazione senza neppure accorgersi di ciò che stava accadendo. Nella sua grandezza non prestava attenzione alla maestosità dell’amore che vibrava attorno a lui. Era sempre chino anche quando il grande angelo entrò dalla porta spargendo polvere di stelle, parlandogli con tale soavità che anche gli uccelli smisero di cantare per ascoltare quella musica. Non si voltò neanche quando lei recise le ali e gliele diede in dono, neppure quando con le mani a coppa raccolse le ultime lacrime per lavarne i suoi pensieri. Si voltò solo quando udì un grido di disperazione..allora la vide lacerarsi le membra e strapparsi il cuore dal petto e con le mani donarglielo con tale dolcezza che ne fu sconvolto. Il corpo esangue era disteso a terra, sul bel viso cereo il

Ombretta Buongarzoni caldo sorriso dava ancora una parvenza di vitalità. Solo il vento ruppe l’incantesimo sbattendo violentemente la porta, ricoprendo quel corpo ormai inerte del suo stesso vestito. L’uomo, con il cuore in mano, gridò la sua follia alla notte. Non c’era nessuno ad ascoltare. Sembrava che il silenzio alleato con il mondo lo avessero condannato ad un’esistenza dannata. Si chiuse la porta alle spalle cercando la dolce creatura, il pavimento era vuoto, tutto era tornato alla normalità. Alzò la testa pensando che la mente gli avesse giocato un brutto scherzo ma per quanto avesse sognato o immaginato, un profondo stato di malessere lo accompagnò fino alla fine della sua esistenza.

Opera di Ombretta Buongarzoni “L’ANGELO”


CURIOSITÀ

2014 CALLING L O N D O N

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o scorso Ottobre in occasione del Salon International a Londra la redazione del Gran Galà Magazine si è resa partecipe di alcuni significativi interventi sul tema “mode e tendenze dagli anni ’80 ad oggi”. Per la moda Tunde Stift, conduttrice del programma Planet Moda, la quale e’ rimasta piacevolmente sorpresa

dalle splendide acconciature viste in pedana oltre che dalle molteplici novita’ sul mondo dell’hair stilyst , una in particolare pero’ e’ stata il fatto di accostare linee e colori a secondo del tipo di personalita’, in moda da creare un’identita’ davvero unica e particolare. Finalmente dunque una citta’ dove ognuno e’ libero di esprimere la propria personalita’senza essere giudicato dai vari stereotipi e regole. Una citta’ dove ti e’ permesso “OSARE”. Per il settore musicale Nicola Brignoccolo, DJ e profondo conoscitore degli stili musicali, ha dichiarato:c’è senza dubbio un grande ritorno delle tonalità e dei suoni anni ’70 e 80 con dinamiche e qualità tutte in chiave moderna. Per Hairstyle il Dr. Vittorio Vecchioli ha confermato che la moda della prossima

stagione sarà caratterizzata da una forte evoluzione di colori che vanno dal biondissimo al rame, fino a riproporre tecniche di colorazione come quelle del maculato. Linee anni ’70 e 80, con frange cortissime messe in risalto da interessanti azzardi di colore sono state proposte da stilisti storici del calibro di Tony & Guy e Vidal Sassoon. Un radio show in diretta dall’Exel condotto da David Romano per Radio Linea il quale ha dichiarato: “Un’esperienza entusiasmante dal punto di vista comunicativo dove uno scenario non solo stilistico per quanto riguarda la moda capelli mondiale, ma anche influenze cultu-


rali attinte dalla capitale Britannica.” “La parte migliore dell’anno scolastico” e’ invece quanto e’ stato dichiarato dai giovani aspiranti parrucchieri dell’istituto professionale Ial di Falconara capitanati dal Prof. Emanuel Vecchioli e Silvia Piersimoni che per la prima volta li ha visti partecipare ad un evento cosi’ inportante in ambito internazionale. Redazione Gran Galà Magazine Web


ph. Cecilia Del Gatto

Cecilia Del Gatto Photography


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FILOSOFIA

LA FELICITÀ DI

ULISSE

P

Michela D’Alessandro

artito da valoroso guerriero alla conquista della città di Troia, Ulisse torna in patria come uomo felice. Non è di certo il successo dell’ingegnoso stratagemma del cavallo di legno, con il quale viene violato lo spazio sacro della città rivale, a cagionare la sua felicità. Non sono neppure solo l’intelligenza, l’astuzia e la maestria grazie alle quali si destreggia tra i numerosi e ardui ostacoli che incontra sulla via del ritorno a Itaca. Né la sola sete di conoscenza, né il solo amore per la famiglia, per i compagni e per la patria. La felicità di Ulisse è quella di un uomo mai vinto dalla vita perché sceglie consapevolmente di conoscere se stesso, accettando la durezza delle sfide che gli si presentano. La caduta in trappole, insidie, incantesimi e la successiva liberazione da questi sanciscono la vera virtù dell’eroe greco. Essendo orientato a conoscersi nella sua dimensione più profonda, egli si rende capace di vagliare i propri limiti e le proprie potenzialità e, di conseguenza, di emanciparsi da condizionamenti esterni e autoinganni. Questo percorso di autoconoscenza è alimentato dalla sua stessa capacità di guardare sé come un altro: piaceri e turbamenti, motivazioni e consapevolezze, suscitati delle particolari circostanze in cui si trova, vengono di volta in volta riconsiderati alla luce delle motivazioni originarie che muovono il suo viaggio. Ulisse viaggia non per perdersi, ma per ritrovarsi. La complessità delle prove e la mutevolezza degli eventi non scoraggiano, bensì promuovono lo sviluppo della sua individualità. L’uomo tornato a Itaca è un uomo nuovo: è l’uomo consapevole del proprio potere personale; l’uomo che, avendo conosciuto il proprio demone buono interiore, è in grado di dare, in conformità alle proprie capacità naturali, la forma migliore al proprio vivere quotidiano. La felicità di Ulisse è la felicità dell’uomo di ogni tempo. E’ questa, per noi, la lezione più importante dell’etica antica. Non cerchiamo la felicità altrove da noi stessi, non la troveremo. Non quantifichiamola, falliremo. In quanto bene propriamente umano, infatti, la felicità non è piacere immediato, né assenza di dolore e non coincide con uno stato psicologico, né con una condizione di benessere generale. E’, piuttosto, quel processo di sviluppo delle particolari potenzialità personali che conduce alla fioritura del nostro essere in quanto tale. Conoscere se stessi è un imperativo morale. Diventare se stessi è la felicità. Comprendere questa fioritura dell’umanità di cui siamo portatori è la meraviglia. Opera di Michela D’Alessandro “DIALETTICA” (pittura materica, 50x70, Mica 2014)


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AVVENTURA

APPREZZARE

L A V I TA Abbandonare le scontato per tuffarsi nell’avventura: Gian Piero Papasodero.

L

e parole del titolo di questo racconto non sono mie. E’ la risposta all’ultima domanda che ho rivolto a Gian Piero nel momento in cui ci siamo salutati, dopo aver bevuto un aperitivo, seduti al tavolino di un bar, all’aperto, in una soleggiata mattina di fine ottobre. Una laurea in architettura conseguita nell’Indiana, un brevetto da istruttore di nuoto, ex nazionale di football americano ( ha anche giocato con in Dolphins di Ancona) e motociclista da più di vent’anni. Per essere un ragazzo di 42 anni troppe ne ha fatte, ma ciò che l’ha portato sotto la luce dei riflettori è un viaggio che ha effettuato nel 2013 percorrendo 4000 Km lungo la no-

Massimo Pigliapoco

stra penisola, con un sidecar attaccato alla sua Harley Davidson, a bordo del quale ha ospitato un suo amico d’infanzia, disabile motorio al 100% fin dalla nascita. “Gian Piero, come è nata l’idea di questo tour?” “E’ frutto di una mia utopia. Non accetto che alcune persone debbano fare una fatica infinita per compiere le funzioni che io, che tu, che ognuno di noi normalmente svolgiamo. E’ un fatto istintivo. Quando cammino per strada e incontro qualcuno costretto su una carrozzella mi devo fermare, ci devo parlare, sento che devo dare qualcosa, perché ho scoperto che


51 un’esperienza del genere, finché un meccanico, intuendo che facevo sul serio, mi disse: “Ti serve un sidecar? Eccolo lì,

prendilo.”

Non ti sto a raccontare tutti gli aneddoti e le peripezie di quei 20 giorni, sto scrivendo un libro, ma una cosa è certa: insieme abbiamo vissuto un’esperienza unica, piena di significato.” “Posso solo immaginare quello che hai dovuto affrontare. Lo rifaresti?”

quel qualcosa fa bene anche a me. Il I° giro d’Italia in sidecar che l’anno scorso ho realizzato con Piero mi ha dato molto. Quei 20 giorni con 25 tappe sono stati un’esperienza incredibile.” “Conoscevi da tanto Piero?” “Ci siamo conosciuti circa trent’anni fa perché andava a scuola con mia sorella, ma siamo diventati amici per un fatto un po’ bizzarro; grazie a lui ho beccato la prima denuncia per lesioni e percosse, avevo 16 anni. Giocavo già a football americano. Un giorno, mentre me ne tornavo a casa dalla palestra, vidi Piero sdraiato sul marciapiede e intorno a lui due ragazzi che se la ridevano. Subito pensai ad un piccolo incidente, magari era inciampato, fino a quando non vidi uno dei due sferrare un calcio al carrellino che normalmente Piero usava per i suoi spostamenti. Accadde tutto in un attimo. Gettai la sacca, afferrai uno dei simpaticoni e lo scaraventai contro la serranda di un negozio. Nello stesso istante, un mio compagno di squadra detto “Mazinga”, pur non avendo assistito all’accaduto, pensò bene di sistemare l’altro buontempone. Da quel giorno con Piero diventammo come fratelli. Passarono gli anni e, prima per motivi di studio, poi per lo sport e il lavoro, mi trasferii lontano da casa, per cui lo frequentavo solo quando tornavo a Crotone, la mia città natale. Un giorno lo trovai sotto casa che girava intorno alla mia Harley e, dopo avermi salutato, mi disse:

“Quanto è bella! Sai io ho un sogno. Mi piacerebbe fare un bel giro in moto, ma non un giro intorno al palazzo, un viaggio vero e proprio.”

Rimasi congelato. Come potevo fare per accontentarlo? Dovevo aiutarlo a realizzare quel sogno. La ricerca del sidecar non fu facile. Quasi tutti coloro ai quali mi rivolgevo mi guardavano con titubanza; non credevano che fossi in grado di affrontare

“Anche adesso! Anzi,...sto preparando un nuovo progetto che realizzerò a breve e che sarà ancora più complesso.” “Come riesci a conciliare queste iniziative con il tuo lavoro di designer?” “Con il tempo ho imparato anche questo. Fino al 2002 avevo un’impresa con 25 dipendenti e un certo fatturato da portare a casa ogni mese. Non era vita! Ho resettato la mia esistenza ed ora faccio solo quello che mi da piacere. Amo molto il mio lavoro e mi dedico non solo alla progettazione, ma anche alla realizzazione delle mie creazioni. Diciamo che mi piace sporcarmi le mani. So che ti sembrerà altisonante ma il mio modello è Leonardo da Vinci, e come lui mi concentro nella ricerca e nella sperimentazione. Il denaro che guadagno dalla vendita dei miei manufatti me li faccio bastare, e appena posso mi svesto degli abiti dell’architettoartigiano e indosso quelli dell’uomo. La vita serba tesori che i soldi non potranno mai comprare.” C’è una pagina facebook, “Con Piero in moto per l’Italia”, dove Gian Piero ha riportato, giorno per giorno, le sue esperienze vissute durante quei 20 giorni. Scorrere quei posts e i relativi commenti fa capire quanta solidarietà, con il senno del poi, abbia suscitato in tutti coloro che inizialmente storcevano il naso....”...e tutti salirono sul carro del vincitore”. Ah!..Non vi ho detto cosa ho chiesto a Gian Piero prima di alzarci da quel tavolino. La domanda è stata: “Sapresti definire con 3 parole cosa ti ha dato vivere un’esperienza del genere?” Rileggete il titolo. Grazie Gian Piero, auguroni per la tua prossima impresa, e un grosso abbraccio.


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IMPRENDITORIA

w w w. c re a t i c i t y f a b l a b . c o m

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NOI CI SIAMO Credere in un progetto è da sognatori; realizzarlo è da uomini: Paolo Isabettini.

R

iporto un paio di frasi tratte da un articolo del Corriere della Sera.it pubblicato il 3 Maggio 2013: “E con questo fanno 40. CREATICITY FAB LAB di Tolentino, nelle Marche, ha aperto i battenti poche settimane fa. E’ l’ultimo Fab Lab italiano.” (mentre sto scrivendo il numero è salito a 56) Letteralmente “Laboratorio di Fabbricazione”, un luogo che dà la possibilità di trasformare un’idea in qualcosa di concreto. Più in generale un incubatore di start up hardware (materiali)..........Fab Lab è uno spazio aperto al pubblico, dotato di strumenti di produzione: mette alla portata di tutti attrezzature che prima erano alla portata soltanto delle aziende, consentendo a chiunque abbia un’idea di realizzarla fisicamente. Gli utenti sono privati, studenti, ricercatori, ma anche piccole e medie imprese e società pubbliche, prime fra tutte le scuole, che li stanno utilizzando per insegnare ai giovani la “cultura del fare” (making).”

Massimo Pigliapoco E’ facile sparare a zero sui giovani, lamentandosi della loro mancanza d’iniziativa e dell’incapacità di affrontare con coraggio e determinazione gli ostacoli della vita. Questo è un concetto ormai diffuso, e per certi versi anche vero. Volendo ricercare le cause di questo fenomeno, dovremmo ripercorrere un lungo tragitto indietro nel tempo che, forse, non farebbe comodo a tanti di noi cosiddetti “maturi”. Per contro, esistono ragazzi abili e volenterosi che ci fanno ben sperare in un futuro degno di essere vissuto. “Come è nata l’idea di CREATICITY FAB LAB Paolo?” “Subito dopo la laurea in architettura ho fatto un’esperienza di lavoro in Germania, in un atelier di un artista contemporaneo. Oltre alla progettazione, quel professionista cercava architetti che sapessero anche adoperare le mani per realizzare gli allestimenti di grandi mostre ed eventi. Dunque mi trovai a


svolgere la doppia funzione di designer e di artigiano. Un giorno mi capitò di leggere su una rivista un articolo che descriveva la possibilità di utilizzare la tecnologia delle stampanti in 3D, delle quali erano scaduti molti brevetti. L’articolo riportava anche la possibilità di presentare un business plan per la creazione di un’azienda che utilizzasse tali strumenti tecnologici. Avendo sperimentato di persona, in un periodo precedente, quanto fosse difficile prototipere un oggetto che avevo ideato affidandomi alle aziende presenti sul mercato, pensai che fosse una buona opportunità per tutti coloro che, come me, avevano idee da sviluppare ma non il denaro per realizzarle. In buona sostanza, mi sarebbe piaciuto aprire un laboratorio e condividerlo con altri creativi per costruire l’oggetto singolo, a basso prezzo, e presentarlo sul mercato prima di dover affrontare i costi proibitivi della produzione in larga scala. Nonostante avessi una proposta di lavoro in Germania, presentai il mio progetto, e con grande gioia vinsi il bando.” Nati nei pensatoi del MIT di Boston nel 2004, i “laboratori di fabbricazione” si sono replicati, in circa 10 anni, in tutto il mondo e, grazie ai collegamenti WEB, interagiscono quotidianamente come una grande comunità. “Quali sono le attività che svolgete all’interno del CREATICITY?” “Sostanzialmente forniamo strua tutti coloro che ne hanno bisogno, logici e di know how, appianando divario sociale che permette di fare coloro che dispongono di risorse. e artigianale sono i due canali che ci sano. Disponiamo di piccoli macchipermettono a chiunque di realizzare mente i progetti, senza dover ricorreproduzione industriale. Personalcon i colleghi del gruppo, siamo a sizione per qualsiasi suggerimento richiesto, inerente le nostre compeIn più, svolgiamo anche dei corsi esperti di settore istruiscono tutti cohanno voglia di imparare un’abilità mestiere. Si spazia dalla realizzaziostampanti in 3D alla post produ-

menti tecnoquel solo a Digitale interesnari che fisicare alla mente, dispofosse tenze. dove loro che o un ne con zione

digitale, dalla modellistica al taglio e cucito, dai tagli laser alla grafica vettoriale, e tanto altro.” “Chi volesse frequentare il vostro laboratorio, quali caratteristiche deve avere?” “E’ ben accetto chiunque voglia insegnare qualcosa, imparare qualcosa, condividere qualcosa. Il nostro vuol essere un laboratorio delle idee, applicate e da sviluppare, mediante il quale si abbia la possibilità rendere fisicamente possibile un progetto. Sono del parere che l’istruzione scolastica non sia sufficiente a garantire un posto di lavoro. Ho sperimentato di persona che la sola teoria, senza la pratica, ha ben poco valore. Bisogna anche saper fare con le mani!” Sbaglio continuamente le attribuzioni, ma questa volta m’arrischio. Mi sembra fosse Goethe che diceva. “Non basta sapere, bisogna anche applicare; non è abbastanza volere, si deve anche fare.” I miei migliori auguri Paolo. Grazie e un abbraccio.


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CULTURA

L A M I A P IÙ GR ANDE

PA S S I O N E :

I L L AV O R O

Vivere accanto alle grandi menti: Oriana Salvucci.

“O

Massimo Pigliapoco gni uomo in buona salute può fare a meno di mangiare per due giorni; della poesia, mai.” C.Baudelaire

Insegnante di lettere e filosofia, titolare di uno studio di comunicazione, curatrice di mostre d’arte, direttrice artistica di rassegne da lei ideate, ha collaborato per oltre un decennio con l’Accademia della Belle Arti di Macerata. “Oriana, mi sembra che la tua vita sia molto dinamica, e la cultura la linfa che ti sostiene.” “Una linfa e un amore, ritrovato. A volte la vita ci allontana dai luoghi familiari, facendoci percorrere strade che non avremmo mai immaginato, come per saggiarci, per metterci alla prova. Probabilmente sono deviazioni necessarie per comprendere chi siamo, e qual’è il nostro ruolo nella vita. Il mio è stato un itinerario, per certi versi, anomalo. Affascinata dal pensiero dei grandi uomini, da quel che ricordo, da sempre, da giovane frequentai la facoltà di lettere e filosofia, a Roma. Il giorno della discussione della tesi fui valutata 110 su 110, ma non ottenni la lode. Quel fatto mi sconvolse! Fin dagli anni giovanili avevo provato un grande trasporto per le arti letterarie, ed ero fermamente convinta che quello sarebbe stato il mio ruolo, da protagonista. Il mancato riconoscimento di piena ap-

provazione di quella commissione d’esame annichilì all’istante ogni mia aspirazione. Mi sentii completamente svuotata. Trovai impiego nell’ufficio marketing di una casa editrice. Io che sognavo di abitare il magico mondo della poesia, della prosa, della composizione, mi ritrovai a gestire titoli di credito, assegni e cambiali, realtà delle quali, fino ad un attimo prima, ignoravo del tutto l’esistenza. Nonostante fosse un universo diametralmente opposto a quello che avevo pensato di contemplare, fu una bella esperienza. Durò circa sette anni, passati tra Bologna e Milano. Nel frattempo avevo stretto contatti con degli editori marchigiani, con i quali potevo collaborare, il che mi incoraggiò a far ritorno a casa. Trascorsi ancora qualche anno da free lands e poi, circa 15 anni fa, aprii uno studio tutto mio, che ancora gestisco con l’ausilio dei miei collaboratori. Anche se le operazioni di marketing che importanti aziende mi avevano affidato, e l’insegnamento nelle scuole, impegnavano molto del mio tempo, non trascurai mai di alimentare la continua voglia di cultura, intesa come conoscenza dell’infinito che ci circonda. Sai, quando qualcosa di pervade l’anima, è impossibile distaccarsene.”


“E così hai iniziato a creare eventi che riscuotono un enorme successo.” “La cosa è nata un po’ per caso. Mi sembra fosse il 1999 o il 2000, io con gli anni non ci prendo molto. Una mia amica, che era alla presidenza di Confindustria giovani, mi chiese di organizzare una manifestazione che facesse da contorno al passaggio di consegne, dal momento che era scaduto il suo mandato. Fui entusiasta dell’idea, e tutto cominciò da lì. La prima rassegna, che è arrivata alla 5° edizione, la intitolai “Non a voce sola”. Un percorso di conoscenza all’interno del pensiero femminile: poesia, filosofia, narrativa, arte e musica, tutto al femminile. “Parlare futuro” (3° edizione) nasce invece come laboratorio dell’avvenire, nella convinzione che il futuro è aperto e dipende dalle nostre scelte; un’occasione, una possibilità per ri-pensare il nostro rapporto con l’esistente. Infine c’è “Fermo sui libri”, 2 edizioni. L’evento è dedicato al libro come metafora, come simbolo, come attivatore di pensiero. In ogni rassegna ospitiamo i grandi intellettuali della cultura contemporanea, nazionale e internazionale: pensatori, filosofi, economisti, registi, musicisti e quanto di meglio ci si possa augurare come alimento per il proprio spirito. Oltre questi piacevolissimi impegni, sto curando per la Regione Marche la stesura di 5 libri, uno per provincia, sull’imprenditoria al femminile. Il titolo è: “Diario pubblico, le imprese a governo femminile.” Sono già uscite le edizioni Macerata e Fermo; a febbraio uscirà quello d’Ancona.” “Forse quella lode non ti avrebbe dato così tante soddisfazioni.” “Non lo so, forse era questa la mia strada. Una cosa è certa: quello che sto facendo mi dà tanta felicità.” Avrei potuto concludere con un mio pensiero,...ma chi me lo fa fare! Ho in mente una bellissima riflessione di Flaubert che , in quattro parole, dà forza ad un concetto che forse io non sarei riuscito ad esprimere neanche con un intero capitolo a disposizione: “Non leggete, come fanno i bambini, per divertirvi, o, come gli ambiziosi, per istruirvi. No, leggete per vivere.” E’ così! Grazie Oriana, un grande abbraccio.


MUSICA

ph. Cecilia Del Gatto

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L’ALCHIMIA PERFETTA Intervista alla band LaSonda dopo la registrazione oltremanica. In attesa dell’uscita del loro primo EP

M

etti una settimana a Londra in uno studio di registrazione. Aggiungi un tecnico del suono di altissimo profilo e cinque ragazzi pieni di entusiasmo. Un’alchimia perfetta, che presto si trasformerà in un EP, tra i più attesi del 2015. Loro sono Andrea Postacchini (voce), Michele Arcangeli (chitarra), Matteo Cipelletti (basso), Adriano Brando Alessandrini (chitarra) e Luca Cruciani (batteria/cori). Da un anno e mezzo si sono chiusi in una sala prove di Torre San Patrizio - anche se la maggior parte vive a Fermo - raccogliendo sotto il marchio LaSonda risultati prestigiosi, come il Gulliver Rock, oltre che consensi in numerose eventi live. E lo scorso ottobre sono partiti alla volta del Regno Unito, scommettendo sul loro futuro. Partiamo dal Battersea Park Studio e dal vostro lavoro in studio. “Grazie a Mirko Petrini, un amico prima che un musicista, abbiamo registrato lì il singolo “Lezione di astronomia” e altri tre brani: “La dea dell’incoscienza”, “Delirio onirico” e “Il rossetto di Sophia”. Sono canzoni che toccano temi differenti e che si muovono lungo molteplici binari da un punto di vista musicale: ci siamo sempre mossi, infatti, in

equilibrio tra rock e pop, includendo profonde venature indie ed influenze stoner.” Perchè proprio Londra? “Perchè abbiamo colto l’occasione per registrare ad un prezzo accettabile ma, soprattutto, perchè sapevamo di trovare condizioni diverse in studio rispetto all’Italia, a partire dalla creazione di suoni più attinenti al nostro stile. Abbiamo registrato con Juan Luis Ayala, che ha lavorato con Bryan


TRA FERMO E LONDRA Andrea Braconi Adams. Un personaggio preparatissimo ma umile, una persona vera che ci ha fatto sentire a casa. Il ricordo più bello, poi, è quello al termine della registrazione, mentre sorseggiavamo birra in un pub della zona. Una serata di chiacchiere tra calcio, musica messicana e le esperienze passate di Juan, davvero singolari. In studio, poi, abbiamo suonato in stanze accanto a quelle dei Duran Duran, di Peter John Vettese dei Jethro Tull e dei Simply Red.” E la vostra reazione nel vederli? “Li abbiamo conosciuti e il batterista dei Simply Red, Roman Roth, ci ha addirittura aiutati a montare la nostra batteria. E alla fine siamo anche stati catapultati alla festa di compleanno del produttore di un disco dei Placebo. Tutto è finito a prosecco e torte...” Ora cosa farete di questi brani? “Per il momento siamo in attesa di fare i mixaggi, per arrivare poi alla realizzazione di un EP che divulgheremo durante le prossime date. E’ un obiettivo al quale teniamo molto perchè, per la prima volta, metteremo su disco le nostre idee, testate anche dal vivo.” A proposito di live: come vi preparate e che tipo di

concerto proponete al pubblico? “Ci prepariamo suonando per settimane la scaletta, che comprende al momento 9 brani. Siamo molto meticolosi, discutiamo tra noi con una certa costanza, anche con i coltelli tra i denti... ma alla fine l’obiettivo comune è quello di regalare a noi stessi ed al pubblico un’ora intesa e coinvolgente. In questo momento siamo costantemente in sala prove, a partorire nuovi brani che dovrebbero essere pronti per l’estate.”


WWW.RADIOLINEA.IT


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CULTURA

ECCOMI un’avventura appena iniziata Paola Olmi

S

imone Riccioni, 26 anni, attore di origini marchigiane ( la famiglia è di Corridonia in provincia di Macerata ) - con alle spalle sette film e una sessantina di pubblicità - è nato in Uganda dove i suoi genitori (medico lui e insegnante lei) sono stati in missione a cavallo fra gli anni ’80 e ’90 per poi rientrare in Italia. Ad aprile ha deciso di scrivere un libro, terminato ad agosto, dal titolo “Eccomi - un’avventura appena iniziata”. Lanciato a ottobre insieme con un cortometraggio a cura di Alessandro Valori sta incuriosendo molto il pubblico che segue con interesse dal vivo e su web le sue presentazioni in giro per l’Italia. Il tutto è prodotto dalla Linfa Srl. “Leggere le prime pagine delle bozze scritte da Simone - spiega il regista Valori - e decidere di girare un corto è stato un tutt’uno. Lo stile della scrittura e gli episodi raccontati mi hanno immediatamente fatto visualizzare le immagini, il ritmo e le atmosfere che poi ho realizzato nel film. Ho anche pensato - continua - che Simone ha raccontato la sua storia come un’avventura straordinaria allo stesso modo del protagonista di Big Fish: tutti pensavano fossero storie esagerate e invece era tutto vero”. Ma facciamo qualche domanda a Simone Riccioni. Come nasce l’idea del libro? Ho avuto una proposta da una grande casa editrice che mi ha sollecitato a scrivere perché avevo una bella storia da condividere. E’ vero la mia vita è una bella avven-

tura ed è stato sempre un mio sogno raccontare la mia Africa, dove sono vissuto fino ai 7 anni e tutto quello che è arrivato dopo quando sono venuto in Italia. Poi, però, ho deciso di autoprodurlo perché non ho accettato alcuni compromessi e perché sono uscito nei cinema con “E fu sera e fu mattina”, un film di Emanuele Caruso che ha fatto scalpore, con un messaggio che il regista è riuscito a trasmettere con il film e che io vorrei trasmettere con il libro: si può ancora riuscire a fare qualcosa in maniera autodidatta che sia competitiva ma, soprattutto, che sia veramente la propria storia ? Io dico sì. Che messaggio vuoi lanciare con questa pubblicazione e a chi? Vorrei dedicarla a tutti come ho fatto in quarta di copertina, ma in particolar modo ai giovani e giovanissimi, e dire loro di concederci un tempo prezioso, il tempo dei nostri sogni. Vorrei che i ragazzi gli dedicassero due ore per leggerlo tutto e ne uscissero entusiasti e coinvolti al punto di voler decidere anche loro di scrivere le proprie storie con il valore immenso che è contenuto in ciascuna di esse.


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MUSICA

L’EFFIMERO

UNIVERSALE Una straordinaria pianista di una terra straordinaria: Ilaria Baleani

C’

è un aneddoto su Einstein che ogni tanto mi piace ricordare. Si racconta che una volta trasferitosi negli Stati Uniti, in una delle tante cene ufficiali, alla quale si sarebbe volentieri sottratto vista la sua predisposizione alla solitudine, conobbe un famoso pianista con il quale si intrattenne tutta la serata, essendo anche lui un grande appassionato di musica e capace violinista. A fine cena si diedero appuntamento per il pomeriggio successivo, per poter suonare qualcosa insieme. L’indomani si recò a casa del pianista e, dopo qualche chiacchiera, trascorsero un paio d’ore eseguendo brani di diverso genere che evidentemente erano parte di un repertorio comune. Quando giunse l’ora di tornare a casa il pianista accompagnò lo scienziato sull’uscio della porta e, ringraziandolo della visita, sembra che si sia espresso in questi termini: “Professore, io di fisica non ne capisco niente, però, visto il suo modo d’interpretare la metrica, mi sto avvicinando molto al suo concetto di Relatività.” Probabilmente questo è solo un piacevole aneddoto perché alcune fonti ci dicono che fosse anche un ottimo violinista, però un fatto del genere l’ho personalmente vissuto quando sono salito in macchina con Ilaria per raggiungere la redazione, dove avremo avuto una piacevole conver-

Massimo Pigliapoco sazione il cui contenuto è parte di questo racconto. Dopo un paio di rotonde ho pensato: “Se questa è la sua concezione del codice della strada, sicuramente quando assisterò al suo concerto proverò delle grandi emozioni.” “Ilaria, raccontati da sola.” “Ah, la fai facile! OK. Sono una pianista nata e cresciuta a Recanati, in una terra che come anche voi dite ritengo straordinaria, dove l’arte è di casa. Diplomata al Conservatorio Rossini di Pesaro e perfezionata all’Ecole Normale de Musique Alfred Cortot di Parigi. Sono docente presso il Liceo Musicale di Tolentino e giro il mondo esibendomi nei teatri.” “A beh, in quanto a semplicità anche tu non scherzi. Ricominciamo da capo; come è avvenuto l’incontro con la musica?” “Da piccola, in famiglia. Mia nonna era una cantante lirica, soprano; mio zio è compositore e direttore d’orchestra, mamma, papà e mia sorella tutti amanti della musica, per cui in casa la melodia era consuetudine. Quando avevo più o meno tre anni papà mi regalò una tastiera giocattolo della Bontempi. Una sera ascoltai in TV un motivo di una pubblicità della Barilla; presi la tastiera e la

riprodussi tale e quale. In casa intuirono che in me c’erano delle capacità. Papà disegnò dei pallini colorati sul pentagramma, abbinando ad ogni nota un colore, e iniziò a dedicarmi del tempo affinché prendessi confidenza con la tastiera. Quando un giorno s’accorse che avevo ormai acquistato le posizioni delle note senza i colori, decise di affidarmi alle cure di un maestro, Il maestro Beccacece, il quale, dopo qualche anno, mi condusse all’ingresso del


...avevo capito che con un impegno continuo i sogni si possono realizzare.

Conservatorio; ne avevo 12. Al Rossini fui allevata da una insegnante argentina, Maria Teresa Canuchio, e con lei perfezionai la simbiosi con il pianoforte.” “Hai tenuto il tuo primo concerto a 8 anni e nonostante la tua giovane età sei arrivata a quota più 200; cosa significa per te esibirti in pubblico?” “Sai, la risposta a questa domanda me la sono data solo ultimamente,

dopo una lunga ricerca. Anch’io mi sono sempre chiesta perché fossi così affascinata dal palcoscenico, e sono giunta alla conclusione che esprimermi con lo strumento che amo mi permette di trasmettere alla gente ciò che difficilmente saprei fare a parole. Lo so che essere al centro dell’attenzione dovrebbe esaltare ancor più la timidezza che mi è naturale, ma in quei momenti riesco a concentrarmi totalmente nell’esecuzione del brano tanto da non

avvertire più ciò che mi circonda, è una specie di trance, non so se riesci a capire ciò che intendo, o meglio non so se riesco a spiegartelo. Quando avevo 15 anni vinsi il mio primo concorso e, al di la della competizione nuda e cruda, quel fatto mi accompagnò sul sentiero dell’autostima; avevo capito che con un impegno continuo i sogni si possono realizzare. Questo è un concetto che spiego sempre ai miei allievi, cioè che la musica oltre che un piacere


...tutto è vibrazione, tutto è ritmo, tutto è musica... è il risultato di tanta autodisciplina, e infatti, come un buon atleta, l’allenamento è parte integrante di qualsiasi buon musicista. Inoltre suonare permette la magia della comunicazione, perché chiunque è raggiungibile tramite la musica. Pensa all’Universo: tutto è vibrazione, tutto è ritmo, tutto è musica, e quando asserisco questo non mi riferisco solo alla classica, anche se per me questo genere è la vita, ma intendo tutti i generi musicali. Personalmente sono aperta a qualsiasi tipo di contaminazione perché, ad esempio, ora che sto accompa-

gnando anche la danza contemporanea, mi rendo conto che il tipo di formazione ricevuto al Conservatorio è sotto certi aspetti limitante. Sai com’è? Sono di Recanati, dove l’infinito è la regola, nell’infinito mi trovo a mio agio.” Sono andato a leggere qualcosa su Alfred Cortot, il fondatore dell’Ecole Normale de Musique, il tempio mondiale per i pianisti di classica e dove Ilaria si è perfezionata. Il maestro imponeva ai suoi discepoli lo studio delle biografie dei compositori prima di accostarsi alle loro opere, perché

solo così potevano compenetrarsi nella mente degli autori. Quando, con Brando, lo scorso 22 novembre abbiamo assistito al concerto di “Ilaria Baleani & Friends”, ho ripensato a quel tragitto in auto con Ilaria alla guida. Quei pochi chilometri insieme mi hanno permesso di capire come sono fatti i fenomeni. Grazie Ilaria, un grande abbraccio.


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DAL 1976 La

Platea Delle Marche

“Il teatro non deve rispondere. Ha solo una funzione: lasciarci nudi di fronte alle domande.” Peter Brook

Pollenza, Porto San Giorgio, Porto Sant’Elpidio, Potenza Picena, Recanati, Ripatransone, San Benedetto del Tronto, San Costanzo, San Ginesio, San Lorenzo in Campo, San Severino Marche, Sant’Angelo in Vado, Sant’Elpidio a Mare, Sassocorvaro, Senigallia, Tolentino, Treia, Urbania, Urbino. Calendari completi e informazioni su amatmarche.net. (Uff. Comunicazione AMAT)

ph. Andrea Del Brutto

Il teatro per sua natura ha bisogno di uno stupore che possa coglierlo. Ad essere partecipi di questo stupore l’AMAT, Associazione Marchigiana Attività Teatrali, e i Comuni della regione Marche invitano il publico. Vi aspettiamo nei teatri di Ascoli Piceno, Camerino, Chiaravalle, Civitanova Marche, Corinaldo, Corridonia, Fabriano, Fano, Fermo, Gradara, Grottammare, Grottazzolina, Jesi, Loreto, Macerata, Macerata Feltria, Maiolati Spontini, Matelica, Mogliano, Mombaroccio, Mondavio, Monte Urano, Montecarotto, Montegranaro, Montemarciano, Osimo, Pedaso, Pergola, Pesaro, Pievebovigliana,


CALENDARI PESARO

TEATRO ROSSINI

PROSA & DANZA (2014/2015) Comune di Pesaro | AMATcon il contributo di Regione Marche Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo Per informazioni: biglietteria del Teatro 0721 387621 30-31/01 & 01/02 Stefano Accorsi DECAMERONE 16-18/01 Angela Finocchiaro & Ma- VIZI, VIRTÙ, PASSIONI regia Marco Baliani ria Amelia Monti LA SCENA regia Cristina Comencini PROSA

DANZA 12/12 ATERBALLETTO ROSSINI CARDS & DON Q. - DON QUIXOTE

03/01 ROYAL BALLET OF MOSCOW LO SCHIACCIANOCI

MACERATA

TEATRO LAURO ROSSI STAGIONE 2014/2015

Comune di Macerata | AMAT | con il contributo di Regione MarcheMinistero dei beni e delle attività culturali e del turismo Biglietteria: piazza Mazzini, 10 Macerata - 0733 230735 4-5/12

COMPAGNIA JUNIOR BALLETTO DI TOSCANA diretta da Cristina Bozzolini GISELLE drammaturgia, regia e coreografia Eugenio Scigliano 18-19/12

Fattore K. / Romaeuropa Festival / L’UOVO Teatro Stabile di Innovazione

CLAUDIO SANTAMARIA in GOSPODIN uno spettacolo di Giorgio Barberio Corsetti

9-10/12 Pierfrancesco Pisani / OFFROME in collaborazione con Nidodiragno Produzione e Distribuzione / Infinito

IAIA FORTE in HANNO TUTTI RAGIONE di Paolo Sorrentino


2014/2015 FERMO

TEATRO DELL’AQUILA

STAGIONE DI PROSA (2014/2015) Regione Marche | Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo Per informazioni: biglietteria del Teatro 0734 284295 9/01 Compagnia della Rancia in collaborazione con Medina Produzioni PAOLO RUFFINI, MANUEL FRATTINI in CERCASI CENERENTOLA regia Saverio Marconi e Marco Iacomelli

24-25/01

Camelia SABRINA FERILLI e MAURIZIO MICHELI in SIGNORI...LE PATEÉ DE LA MAISON! regia Maurizio Micheli

INFORMAZIONI AMAT | Tel. 071 2072439 - www.amatmarche.net VENDITA ONLINE | www.amatmarche.net - www.vivaticket.it 20-21/12 Fattore K | L’UOVO Teatro Stabile di Innovazione in collaborazione con Romaeuropa Festival CLAUDIO SANTAMARIA in GOSPODIN da Philipp Löhle e messa in scena di Giorgio Barberio Corsetti

6-7/01

Goldenart Production ALESSANDRO HABER, ALESSIO BONI In IL VISITATORE di Éric-Emmanuel Schmitt, adattamento e regia Valerio Binasco

27-28/01

Teatro Stabile del Veneto Carlo Goldoni / Teatro Stabile di Torino / Società per Attori con la partecipazione produttiva di Lugano InScena ALESSANDRO GASSMANN in RIII - RICCARDO TERZO di William Shakespeare e regia Alessandro Gassmann

ASCOLI PICENO

TEATRO VENTIDIO BASSO

STAGIONE IN ABBONAMENTO (2014/2015) Comune di Ascoli Piceno | AMAT | con il contributo di Regione Marche Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo Nuovi abbonamenti dal 28 ottobre Per informazioni: biglietteria del teatro tel. 0736 244970.


DICEMBRE 2014 - GENNAIO 2015

Ad Ancona MARCHE TEATRO-Teatro Stabile Pubblico prosegue la ricca attività di programmazione con i cartelloni che spaziano dal teatro classico, contemporaneo, danza e teatro ragazzi. Il 2015 si apre con la danza, durante le feste natalizie e precisamente il 4 gennaio 2015 alle ore 16.30 al Teatro delle Muse l’appuntamento è con il balletto classico LO SCHIACCIANOCI con le coinvolgenti musiche di Tcaikovsky portato in scena da una delle formazioni europee più prestigiose Royal Ballet of Moscow -The Crown of Russia. Gli appuntamenti proseguono con Scena Contemporanea che vede al Teatro Sperimentale, HOSPICE di Glen Çaçi
 il 10 gennaio. Lo spettacolo, prodotto da MARCHE TEATRO, evoca un luogo dove non esistono possibilità di scelta e i gesti, le azioni, gli stessi incontri sono gli ultimi possibili, assumendo una dimensione di assoluta compiutezza. Un viaggio attraverso il diario di un uomo, la poetica di Derek Jarman e le paure di Glen Çaçi
. Per la Stagione Teatrale in abbonamento al Teatro delle Muse dal 23 al 25 gennaio arriva L’ISPETTORE GENERALE di Nikolaj Vasil’evic Gogol’, con adattamento drammaturgico e regia di Damiano Michieletto, con Alessandro Albertin, Luca Altavilla, Alberto Fasoli, Emanuele Fortunati, Michele Maccagno, Fabrizio Matteini, Eleonora Panizzo, Silvia Paoli, Pietro Pilla, Giacomo Rossetto, Stefano Scandaletti. Dalla Russia zarista alla Serbia di oggi. Damiano Michieletto il regista 38enne osannato e ricercatissimo per i suoi allestimenti lirici porta inscena con una regia “pulita” questo testo poco frequentato di Gogol’. Non ci sono rego-

le, né leggi per i personaggi di Gogol’. Un’umanità gretta e sporca, compressa nella paura e pronta a esplodere in una catartica liberazione. La produzione è del Teatro Stabile del Veneto e del Teatro Stabile dell’Umbria. La rassegna di teatro contemporaneo chiude con la compagnia Teatro Sotterraneo, in esclusiva regionale, il 7 febbraio al Teatro Sperimentale con lo spettacolo BE NORMAL! Daimon Project, concept e regia di Teatro Sotterraneo, in scena Sara Bonaventura, Claudio Cirri e la scrittura Daniele Villa. Teatro Sotterraneo non lavora sulla narrazione in senso stretto e non inscena personaggi fissi: il gruppo sviluppa da sempre una scrittura scenica fatta di quadri, visioni che si alternano, cambi repentini, un meccanismo in cui l’interazione diretta col pubblico, ludica quanto “scomoda”, diventa parte integrante dello spettacolo. Gli spettacoli saranno arricchiti dalla programmazione del teatro ragazzi curata dal Teatro del Canguro e da incontri che le compagnie della Stagione in abbonamento faranno con il pubblico al musecaffé nei sabati di spettacolo.

Per tutte le informazioni biglietteria Teatro delle Muse 071 52525 biglietteria@teatrodellemuse.org, biglietti on-line www.geticket.it www.marcheteatro.it

STAGIONE TEATRALE 2014 dal 4 al 7 dicembre

ESCLUSIVA REGIONALE

ADDIO ALLE ARMI di Ernest Hemingway scrittura e regia di Andrew Quick and Pete Brooks dal 18 al al 21 dicembre FALSTAFF da William Shakespeare regia Andrea De Rosa

dal 23 al 25 gennaio L’ISPETTORE GENERALE di Nikolaj Vasil’evic Gogol’ 
 adattamento drammaturgico e regia di Damiano Michieletto Teatro Stabile del Veneto - Teatro Stabile dell’Umbria Beatrice Giongo Responsabile Comunicazione e Ufficio Stampa - www.marcheteatro.it


TEATRO CONTEMPORANEO 2015 10 gennaio ore 20:45 / teatro sperimentale HOSPICE di GLEN ÇAÇI
 Hospice con Glen Çaçi, Silvia Mai
 produzione MARCHE TEATRO Teatro Stabile Pubblico – Inteatro e Fondazione Musica per Roma - con il sostegno del Consorzio Marche Spettacolo
 nell’ambito del progetto REFRESH Lo spettacolo delle Marche per le Nuove Generazioni
 in collaborazione con Associazione Culturale dello Scompiglio // coproduzione Parc de la Villette nell’ambito di Résidences d’artistes // un ringraziamento particolare al Comune di San Ginesio, Sergio Longombardi Spettacolo vincitore Premio Equilibrio 2013

Addio Alle Armi

DANZA ALLE MUSE 2015 4 gennaio

LO SCHIACCIANOCI

Balletto in due atti ispirato ad un racconto di E.T.A. Hoffman con il Corpo di Ballo e Solisti del Royal Ballet of Moscow The Crown of Russia musica Pyotr Ilyich Tchaikovsky coreografia Lev Ivanov, Marius Petipa - adattamento A. Emelyanov libretto M. Petipa – adattamento A. Emelyanov scene e costumi Valentin Fedorov

Lo Schiaccianoci


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MUSICA

L’ E T N I C A

GLOBALE

S

vizzera, Austria, Germania, Croazia, Bosnia Herzegovina, Canada, Stati Uniti, Sud Africa, Australia, Nuova Zelanda, Indonesia, Thailandia, India, Cina, Corea del Sud e naturalmente Italia. Quella che avete appena letto non è il programma di voli di una compagnia aerea; sono i luoghi dove Francesco Savoretti si è esibito nei tanti Jazz Festivals, e sicuramente ne ho dimenticato qualcuno. Oltre che suonare con i più famosi musicisti mondiali, vanta numerose collaborazioni con diverse realtà teatrali e cinematografiche, opere musicate e colonne sonore. Per comodità cito soltanto Giorgio Strehler per il teatro e Buena Honda Films per il cinema. “Francè, nonostante la giovane età il tuo curriculum è impressionante; raccontami.” “Sono un percussionista, etnico. Ho

Simpatia, semplicità e buonumore, praticamente un grande: Francesco Savoretti.

Massimo Pigliapoco iniziato da piccolo suonando la batteria, in casa, perché anche papà era un batterista. Quello delle percussioni in genere però è un pallino che ho avuto da sempre, forse trasmessomi dal mio bisnonno che suonava il tamburello, quello marchigiano, che suonava durante le ricorrenze di paese. Diventato un po’ più grande sono andato a studiare percussioni afro-cubane a Roma, all’università della musica. Poi ho frequantato Siena e Friburgo, dove da più di dieci anni esiste la più attrezzata scuola di percussioni jazz, la Tamburi Mundi. Infine ho studiato a Creta per assimilare i plettri extra europei, con maestri provenienti dal medio e lontano Oriente.” “Amo particolarmente la musica e penso che il mondo delle percussioni sia molto vasto.” “Vasto è dire poco, lo definirei sconfinato. Basta pensare alle timbriche,

ne esistono una marea, e poi c’è da considerare che ogni tradizione culturale ha sviluppato una propria ritmica peculiare dunque, se esistono circa 6000 lingue riconosciute, figurati le cadenze musicali. La ricerca non conosce pause, è uno studio continuo ed immenso. A tal proposito, sei anni fa, con Andrea Piccioni, Paolo Rossetti e Peppe Frana abbiamo fondato la FRAME DRUMS ITALIA, un organismo che opera in campo nazionale ed internazionale, il cui obbiettivo è quello di diffondere le arti e la cultura legati al mondo dei Tamburi a Cornice, strumenti a percussione dalla storia millenaria, sviluppatasi negli angoli più remoti del pianeta. Nel 2014 siamo arrivati alla 6° edizione e, ogni volta, i partecipanti provengono da tutto il mondo. Ad aiutarci in questo compito, nelle varie edizioni, abbiamo invitato i più autorevoli musicisti in circolazione, che ovviamente hanno dato ancor


più prestigio alle manifestazioni. Lo dico con enorme soddisfazione, il nostro è considerato uno dei maggiori Festival mondiali del settore, grazie anche la splendida location dove si svolge, “La Foresteria del Viandante” del monastero di Montelparo (FM).” “Qui nelle Marche partecipi a tutte le rassegne più importanti, però hai anche suonato sui palchi di tutto il mondo. Dove hai provato le più forti emozioni?” “Uno è sicuramente il Montreal Jazz Festival; ogni volta salire su quel palco ti fa tremare le gambe, te lo assicuro. Un altro è quello di Bombay, perché l’India ha la tradizione più

sviluppata, dunque mette sempre un po’ di soggezione, rispettosa soggezione. Qualcosa di magico l’ho provato anche quando ho suonato nell’anfiteatro di Spoleto, al Festival dei Due Mondi qualche anno fa. Quel posto emana un’energia particolare che viene percepita sia dai musicisti che dalla platea; è sempre bellissimo suonare lì.” “Cosa si prova ad esibirsi davanti a migliaia di persone?” “Ma sai, non è tanto importante la vastità della platea. Quando saliamo sul palco l’impressione che ci trasmette la folla dura un attimo; importante è quanta sintonia esista in quel momento tra noi musicisti.

Capita spesso di guardarci negli occhi, e se sorridiamo vuol dire che stiamo facendo bene il nostro lavoro. Allora 100 o 10.000 persone non fanno la differenza, la soddisfazione è grande comunque.” E’ sempre un piacere incontrare personaggi come Francesco, gente con l’armonia dentro, capaci di dare sonorità anche al semplice stare insieme. Ci vediamo ai tuoi concerti maestro... un grande abbraccio.



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MUSICA

Enrico Filippini

E

SEMBRA IERI

ccomi di nuovo qua, questa volta a parlarvi delle origini dei locali da ballo. Essendo io un “diversamente giovane”, ho una discreta esperienza a riguardo e vista anche la vastità dell’argomento proverò ad esporvelo in diversi appuntamenti qui su MG. Bisogna partire dagli anni 60 per spiegare il fenomeno delle discoteche e capire quale fu realmente la ventata di novità che queste portarono. Negli anni 60 si ballava, come del resto nei decenni precedenti, ma la musica veniva affidata a musicisti che suonavano dal vivo. Si facevano quindi i famosi Matinée danzanti (parola di origini transalpine, che al tempo faceva molto figo) cioè i pomeriggi per i più giovani, e naturalmente le soirée, ma tutti, rigorosamente, con musica dal vivo. I dischi venivano destinati solo alle feste in casa, suonati con il mangiadischi (per chi non lo conosce, era un oggetto principalmente di plastica che poteva anche funzionare a batteria, in cui tu infilavi il disco 45 giri). I vari locali in cui si ballava erano principalmente sale di Hotel, anticamere di teatri o cinema o naturalmente locali all’aperto, sparsi nelle riviere di moda. Una cosa che ricordo con nostalgia erano i primi club privati che venivano aperti con gli amici. Una stanza, un faretto colorato per l’atmosfera e un giradischi per la musica. Molti avevano anche l’angolo dello “struscio ed oltre”, con annesso materasso. I balli più in voga

nei club? Naturalmente i balli lenti, quelli da ballare stretti stretti, per soddisfare le giovanili pulsioni sessuali. A quel tempo, il re dei giradischi era la Fonovaligia Stereo della Lesa, un giradischi portatile che aveva le casse che fungevano da coperchio in posizione di riposo. Sceglievi dove metterlo, aprivi le casse e mettevi il disco. Questo venne prodotto in seguito alla conversione delle registrazioni dei vinili da mono a stereo, un passo molto importante nella qualità di ascolto della musica. Naturalmente ci fu un fiorire di nuovi balli, tutti di provenienza principalmente anglosassone o americana. I nostri artisti riproducevano per lo più canzoni straniere, sostituendo le parole con quelle in italiano scritte da loro. Un esempio: L’ora dell’Amore dei Camaleonti niente non era che Homburg dei Procol Harum, oppure Sognando California dei Dik Dik era la cover di California dreaming dei Mamas and Papas. Orbene, siccome lo spazio a mia disposizione è finito, per ora, vi rimando alla prossima puntata per questa storia dei locali da ballo. Ciao!!!



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MUSICA

Dopo diverse collaborazioni, partecipazione a programmi televisivi e interviste in occasione dei molteplici eventi organizzati dal Gran Gala’ magazine web, e’ giunto il momento di presentarlo.....

LIGA VASCO E PELU’...

IL MIO NOME E’ ALEX BERTI

A

Nicola Brignoccolo

lessandro Berti nasce il 01/08/1977 a Castelfidardo, una vita dedicata alla musica, fra rock e fisarmonica, strumento simbolo della sua amata città. Il lavoro lo eredita dalla famiglia, prima dal nonno e poi dallo zio, entrambi accordatori di fisarmoniche. Nel 1995 inizia ad imparare il mestiere ed oggi lavora come accordatore per le migliore ditte produttrici dello strumento made in Castelfidardo. E il rock? Passione, tanta passione ereditata anch’essa dal padre, fondatore di una radio locale negli anni ‘70, passione che porta ogni volta nei suoi concerti live. Inizia a suonare la chitarra all’età di 6 anni per poi dedicarsi al canto. Oggi propone veri e propri omaggi ai rockers che hanno fatto la storia della musica italiana, quali Ligabue, Litfiba e Vasco Rossi. Grande esperienza live maturata nel corso degli anni nei locali e nelle piazze di tutta Italia. Non si reputa un vero e proprio musicista, ma un semplice uomo che con la sua faccia, il suo cuore e la propria energia cerca sempre di trasmettere le proprie emozioni a chi si imbatte nel suo cammino. Cosa manca? Beh, una sua canzone! Per il momento ha sempre qualche pensiero o sentimento da trascrivere su un foglio di carta, oggi molti di questi sentimenti sono piccole poesie ancora in cerca delle giuste note. Alex, quali sono i tui progetti per il futuro: “Area x Ligabue continuera’ per tutto il 2015, in collaborazione con l’agenzia “ISOLANI SPETTACOLI di Recanati (MC)”, nelle piazze Marchigiane e non solo...” In alternativa allo spettacolo show di Luciano Ligabue, viene presentata nelle varie location della Regione la Alex Berti Band, lo spettacolo del rock italiano, con Ligabue, Piero Pelu’ e Vasco Rossi. Da ricordare che, come cantautore, Alex Berti si esibisce raccontando delle sue poesie in acustico, con il titolo....”La Vita di Ogni Giorno tra Poesia e Canzoni”. CREDO Credo che siamo nati per vivere la nostra vita e non per respirare il fumo delle vite degli altri Credo che una vita “normale” sia piena di verità Credo che una vita “meravigliosa” sia piena di sogni Credo che una vita “facile” sia piena di menzogne Credo che dove non si sta bene, non sia mai vergogna scappare Credo che un Dio ce lo voglia tutti i giorni e non solo quando ne abbiamo bisogno Credo che il denaro riempia più un cuore povero che uno stomaco vuoto Credo che una lacrima vada sempre lasciata cadere a terra e mai asciugata con una banconota Credo che l’amore sia molto più vicino al sesso e un giorno possa prima o poi trovare una fine, credo invece che il bene sia molto più vicino ad un abbraccio e resterà indelebile nel tempo Credo che se ti trovi “in quella stanza” devi sempre prendere tutto quello che c’è, perchè forse non riuscirai mai più a sentire quelle emozioni Credo che “in vino veritas”, “in droga” solo tante bugie Credo che la morte cambi veramente tutto Credo che in fondo sia giusto così, se nascessimo vecchi, una volta bambini, il pensiero della fine ci impedirebbe di giocare Credo che la vita sia una salita nella quale bisogna sempre dare tutto quello che SI HA, ma alla fine solo la discesa ci dirà realmente se avremo imparato a ‘GUIDARE’


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TEATRO

Don Giovanni

T E AT R O D E L L’ A Q U I L A

L’

apertura della stagione di prosa al Teatro dell’Aquila di Fermo, martedi 4 novembre 2014, ha presentato un Don Giovanni decisamente sotto tono; Alessandro Preziosi, regista e interprete di Don Giovanni affronta il testo di Molière ma non riesce ad allontanare una generale sensazione di poca incisività espressiva. L’attore e regista partenopeo fatica moltissimo a calarsi nel ruolo di Don Giovanni: una creatura dal profilo psicologico tortuoso, frastagliato ed estremamente complesso che Preziosi affronta con una recitazione poco coinvolgente, a tratti didascalica e mai davvero penetrante; servendosi della sua avvenenza inerziale, l’ attore delinea un Don Giovanni scontato: immarcescibile donnaiolo, peccatore fedifrago, vile, temerario e impenitente; manca, nell’ atto recitativo di Preziosi, l’ approfondimento della figura tragica, dell’ uomo perennemente annoiato e insoddisfatto, irretito nel vortice di una personalità irrisolta e fragile, insicura e instabile, vanamente esorcizzata attraverso l’ autoaffermazione libertina esercitata con perfido, patologico, disprezzo. Logorato dalla presunzione compiaciuta dell’immunità rispetto al dolore e alla tragedia che gloriosamente ge-

Michele Biancucci & Francesco Ferracuti nera, Don Giovanni viene sconfitto e divorato dalle fiamme di un’ alterigia onnipotente che lo arde dal profondo e gli nega la salvezza al cospetto del commendatore di pietra. Di contro, maramaldeggia la figura di Sganarello, servitore di Don Giovanni, magistralmente interpretato da un imponente Fernando “ Nando “ Paone, il vero protagonista di questo spettacolo! Nando Paone fa suo un personaggio che gli si cuce perfettamente addosso nel senso più stretto e letterale del termine: supportato da una mimica e da una fisicità emaciate e filiformi, quasi “ sguscianti “ proprio come suggerito dall’ allitterazione fonetica del suo nome “Sganarello“ nonché dai tratti caratteriali che ne delineano il personaggio, Nando Paone convince ed entusiasma: forte di una padronanza drammaturgica da consumato attore di rango e di una approfondita comprensione e assimilazione delle sfaccettature tragicomiche di Sganarello, l’ attore partenopeo dispiega al meglio e con eccellente maestria recitativa il ventaglio di napoletanità del suo personaggio: opportunista ma riverente, venale ma accondiscendente, accompagnato da un calcolatissimo buonsenso, biasima l’ intemperante, pernicioso cinismo libertino del suo padrone, invitandolo conti-

nuamente ma vanamente alla “resa” e alla compunzione fino alla pretesa del compenso dopo la sua morte, ponendosi così come efficacissimo e convincente contraltare tragicomico del suo padrone. Il resto della compagnia attoriale svolge il proprio compito “a memoria”, restando appena al discrimine della sufficienza. L’ambientazione settecentesca, ben resa dagli ottimi costumi a cura di Marta Crisolini Malatesta, è integrata ad una costruzione scenografica minimale attraversata da tecnologie di moderno videomapping architettonico, a tratti suggestiva ed evocativa di luoghi e circostanze, ma nel finale fuori contesto e troppo influenzata da una cultura del videogioco francamente inappropriata. L’accompagnamento musicale è pressoché assente, se si esclude una “IF” dei Pink Floyd in apertura che suscita non poche perplessità (il testo vuole probabilmente alludere ad una sorta di “mea culpa” autoanalitico) e qualche rado stacco strumentale. Nel complesso, un prodotto teatrale dallo spessore discutibile.



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CULTURA

Con il presente articolo relativo alla cultura cinese, l’Istituto Confucio dell’Università di Macerata è lieto di inaugurare un rapporto di collaborazione con la rivista MG marcheguida, con lo scopo di rafforzare la conoscenza della cultura cinese nella nostra regione. Selusi Ambrogio, autore di questo articolo, è docente di “storia del pensiero cinese” presso l’Università di Macerata e collaboratore dell’Istituto Confucio.

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Ambrogio Selusi

ensare in Cina ha a che fare col percorrere una via e via è proprio il significato del conosciutissimo termine dao o tao 道, un concetto trasversale a tutto il pensiero speculativo cinese. Ciascuno percorre una propria via o strada (dao) che deve essere in armonia con la via (dao) del cosmo. Lo scopo di questo articolo è quello di esplicitare alcune delle chiavi fondamentali del pensiero cinese. Immaginiamoci come il turista che visita il monumento cinese per eccellenza: la “Citta Proibita”, il complesso architettonico dei palazzi imperiali. Le grandi porte che permettono l’accesso al complesso monumentale sono quattro e proprio quattro sono i caratteri scelti come chiavi per aprirle e così avere accesso (dao) alla complessità di questo pensiero.


La prima porta è il li 禮, il cerimoniale, che non è solo il culto ma un insieme di pratiche, norme, usi e costumi. Il li è il principio d’ordine che garantisce il mantenimento di uno stato di equilibrio che dal sociale passa al cosmico. Nella tradizione storiografica cinese le dinastie cadevano proprio per aver mancato nel rispetto delle varie forme di li, avendo quindi perso la leggittimazione sociale e cosmica. Lo stesso Confucio si presentò come ristabilitore del cerimoniale che si era perso o corrotto nei secoli precedenti. Per la Cina di oggi rispettare il li è estremamente importante. A Taiwan sono svolti annuali cerimonie guidate dagli attuali discendenti di Confucio e in ogni tempio buddhista i riti sono effettuati di continuo dai monaci per i laici. Ma li è anche la prassi di vuotare in un sorso il bicchiere di vino offertoci o l’evitare di lasciare le bacchette infilate verticalmente nella ciotola di riso o rispettare la gerarchia d’età o i diversi significati di numeri e colori.


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La seconda porta è il de 德 , la morale o etica, che costituisce il centro del pensiero di Confucio. L’uomo morale è detto “uomo nobile” e ha nei confronti degli altri uomini un atteggiamento di benevolenza o ren 仁, carattere formato dal radicale persona (人) a cui segue il numero due (二), proprio a significare questo mettersi in relazione, sentire ciò che sente l’altro. Ma questo atteggiamento non è semplice da realizzare e da codificare, per questo l’impianto etico cinese è estremamente complesso e gerarchico. Su tutte le relazioni sociali prevale quella padre-figlio: all’amorevole inflessibilità del primo risponde l’amorevole sottomissione rispettosa del secondo, che viene detta amore filiale (xiao 孝) e che si ritrova in tutte le relazioni, anche in quella imperatore-suddito. Nel primo cortile del palazzo imperiale l’imperatore riceveva le persone esterne al palazzo e quindi lì agiva da “uomo nobile”. La letteratura cinese narra di figli che per rispettare la morale filiale giungono a rinunciare alla propria felicità o addirittura alla vita. Ciò non perché l’infelicità sia gradita al sistema cinese ma perché la felicità del singolo, se rompe l’equilibrio morale, non può portare ad altro che al disordine e quindi all’infelicità della società. In tal modo, ancora oggi i giovani cinesi rispondono alla pressione dei genitori affinché si sposino e abbiano figli cercando di assecondarla al più presto. Perché in Cina l’anziano è molto più rispettato che in Occidente e l’età è un principio di gerarchia forte che si sente anche nell’amicizia o nel lavoro.


Ora apriamo la terza porta, quella dello 學 xue, lo studio, il vero mezzo che secondo Confucio permette di perfezionare se stessi, perché ci porta a conoscere e comprendere ciò che ci circonda, ci fa distinguere il giusto e lo sbagliato nelle situazioni, ci permette di attingere alle esperienze storiche passate e ci offre modelli di comportamento. Lo studio permette di conoscere le pratiche cerimoniali e sociali, il li, così come i comportamenti etici e la giusta condotta, il de. Solo così l’uomo può divenire “uomo nobile” ed essere quindi capace di ricoprire un ruolo attivo e positivo nella società. Sulla base di questo assunto l’impero cinese istituì i famosi “Esami imperiali” ai diversi livelli e gli esami per i ranghi più elevati si svolgevano in uno dei palazzi della “Città proibita” ed erano quindi la via di accesso alla corte. Ancora oggi in Cina il punteggio del diploma, l’ammissione ad una università prestigiosa ed il curriculum accademico sono vissuti come una necessità ineludibile, perché lo studio è la vera chiave del successo.


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Varchiamo infine l’ultima porta, quella del 和 he, l’armonia o unione che è il massimo stato da raggiungere a livello sociale e cosmico. Nel “Palazzo dell’Unione”, centro della “Città Proibita”, si aveva l’incontro tra lo yang 陽 dell’imperatore e lo yin 陰 dell’imperatrice, attivo e passivo, maschile e femminile, che sono i due principi della fisica e cosmologia cinese. L’armonia è l’unico mezzo per permettere la sintesi culturale tra le diverse etnie e i culti che abitano un impero così vasto. È un’armonia insieme del cosmo, della società e del singolo. Armonia non vuol dire eliminare la differenza ma trovarne un attivo e mutevole equilibrio. Così il Palazzo imperiale con i suoi edifici rappresenta il li 理, l’essenza di tutte cose, come un esagramma del Classico dei mutamenti o un mandala tibetano. E la morale, la politica o l’aspetto più misterioso del trascendentale sono i diversi aspetti di questa essenza che il pensiero cinese nel suo millenario cammino (dao) ha percorso. In questo articolo abbiamo solo voluto aprirvi le “porte” di un immenso palazzo che merita lunghe esplorazioni al suo interno.



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TRICOLOGIA

I PIDOCCHI

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l pidocchio del capo (pediculus humanus capitis) rappresenta per l’uomo, da quando e’ comparso sulla terra un vero e proprio problema. L’infestazione che esso produce viene chiamata “pediculosi”. Questi piccoli parassiti vivono tra la capigliatura, si nutrono del sangue dell’uomo e sono difficili da eliminare perche’ si attaccano alla base del capello, inoltre pungendo il cuoio capelluto provocano irritazione e un fastidioso prurito. Le zone predilette sono quelle piu’ ricche di capelli: la nuca e dietro le orecchie. La femmina produce fino a 300 uova , le quali si schiudono nell’arco di una settimana. Ogni anno in italia colpisce un milione e mezzo di individui tra adulti e bambini. I pidocchi non saltano da un capo all’altro e non volano, ma si trasmette per contatto testa a testa. Senza dubbio e’ piu’ facile prenderli se si frequentano luoghi affollati e se si sta in comunita’, ma il contagio puo’ avvenire anche attraverso lo scambio di pettini, cappelli o dormendo su un cuscino dove e’ presente tale parassita. Non e’ assolutamente vero inoltre che prediligano chi ha una scarsa igene personale, infatti amano nutrirsi di sebo e cheratina freschi. Cio’ non e’ un invito a lavarsi di meno ma vorrei sottolineare l’inutile accanimento igenico di alcune mamme. Il mercato offre numerosissimi prodotti destinati al trattamento della pediculosi. Per la scelta il piu’ delle volte ci si affida al consiglio del farmacista o alle proprie conoscenze in base a precedenti esperienze. Diversi prodotti pero’ sono controindicati nei bambini con meno di 6 mesi, donne in gravidanza e in fase d’ allattamento. In queste condizioni sono da prediligere alcuni metodi e trattamenti che vi andiamo a suggerire:

Emanuel Vecchioli

1 – Prendere del normale balsamo e dopo aver diviso i capelli in zone passare un’abbondante quantita’ di prodotto dal cuoio capelluto fino alle punte. Coprire con una cuffia da doccia per circa 10 minuti. Prendere un pettine antipediculosi e cercando di passarlo il piu’ vicino possibile alla cute iniziare a pettinare i capelli. Il balsamo non ha un effetto soffocante, ma li intrappola, li rende lenti e non riescono a scappare dal pettine favorendo l’eliminazione degli stessi. Risciaquare abbondantemente. 2- Un altro suggerimento è di fare un mix con: shampoo, 3 cucchiai di olio d’oliva, 1 di tea-tree oil e 1 di eucalipto. Cospargete tutta la testa, coprite con della pellicola, lasciate agire per 1 ora. Risciacquate con una miscela in parti uguali di acqua e aceto. Lasciando agire per 10 minuti prima di sciacquare la testa con acqua. Il collante con cui le uova sono attaccate ai capelli, puo’ essere sciolto solo con acidi potenti, e’ per questa ragione che si consiglia il risciacquo con l’aceto, perche’ la sua acidita’ puo’ aiutare la lendini a staccarsi piu’ facilmente dai capelli. Infine asciugare i capelli con il phon e magari la piastra partendo e soffermandosi per qualche secondo sulla radice dei capelli. Perché le alte temperature fanno morire sia il pidocchio adulto che le lendini. 3 - Gli olii essenziali sono in genere tossici per i pidocchi in misura variabile. Tra questi i più attivi sono gli olii essenziali di anice, di menta piperita, di rosmarino, di eucalipto, di maggiorana e di lavanda. L’olio essenziale di lavanda è considerato uno dei più attivi, anche ai bassi dosaggi. E’ la presenza di chetoni e fenoli negli oli essenziali che costringono i pidocchi ad allontanarsi.


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ENOLOGIA

IL VINO COTTO il nettare degli dei

Loro Piceno, in provincia di Macerata, è la patria del “vino cotto”, un vino rosso perfetto da servire a fine pasto con i dolci, magari le locali, ottime, ciambelline al vino.

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li imperatori romani utilizzavano il vino cotto quale bevanda di fine pasto e già Plinio e Columella ne descrivevano dettagliatamente la preparazione per nulla diversa da quella ancora in uso. Non c’era contadino che non ne producesse almeno una botticella, utilizzando il vino cotto mescolato ad acqua come dissetante per i duri lavori dei campi; ma anche come sostanza utile per curare tutti i malanni e per massaggiare la pelle dei neonati. Era consuetudine che alla nascita del primo figlio si riempisse di Vino Cotto una botticella, il cui contenuto era assaggiato per la prima volta nel giorno del suo matrimonio. Nelle famiglie benestanti, la botte era chiusa a chiave e solo il padrone si occupava della spillatura, riservata alle grandi occasioni. Uno studio effettuato dall’università di

Giuliano Rossetti

Teramo, ha di recente provato che il vino cotto ha proprietà antiossidanti, combatte i radicali liberi e aiuta a prevenire le malattie tumorali e cardiovascolari. Nella fase di cottura del mosto, infatti, si provoca la caramellizzazione degli zuccheri che danno al vino cotto un potere antiossidante due o tre

“I cotti hanno il sapor loro e non quel del vino” afferma Plinio, mentre queste sono le parole del sommo poeta Dante Alighieri “Guarda il calor del sol che si fa vino, giunto all’umor che da la vite cola”


ph. Roberto Postacchini

volte superiore a quello del vino bianco. Il vino cotto di Loro Piceno ha ottenuto finalmente il riconoscimento che meritava: con decreto ministeriale del 18 luglio 2000 è stato inserito nell’elenco nazionale dei prodotti tradizionali. Ciò significa che può continuare ad essere non solo prodotto, ma anche commercializzato. Il piccolo borgo marchigiano di Loro Piceno, in provincia di Macerata, è la patria del “vino cotto”, un vino rosso perfetto da servire a fine pasto con i dolci, magari le locali, ottime, ciambelline al vino. Loro Piceno è il paese che vanta la più alta qualità nella regione per la produzione del vino cotto, gli dedica ogni anno una festa ricca di manifestazioni: la rinomata Sagra del Vino Cotto, che quest’anno avrà anche una edizione invernale con “Cotto & Dintorni” Vino Cotto Festival.Iniziata nel 1948 come Festa dell’Uva con festeggiamenti semplici e popolari, con carri allegorici addobbati con viti e grano, è giunta oggi ad essere un avvenimento apprezzato a livello regionale. Il piccolo borgo marchigiano di Loro Piceno, in provincia di Macerata, è la patria del “vino cotto”, un vino rosso perfetto da servire a fine pasto con i dolci, magari le locali, ttime, ciambelline al vino. All’interno del borgo, neipalazzi nobiliari e padronali che fiancheggiano le caratteristiche vie del paese, si è sviluppata una interessante architettura in funzione della pigiatura dell’uva e della bollitura del mosto nelle voluminose caldaie di rame in una struttura in muratura alla cui base vi è lo spazio necessario per la legna da ardere.


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MODA

Tunde Stift

Ciao a tutti i lettori

di MG marcheguida

N

el 2014 siamo stati protagonisti in varie sfilate di moda ed eventi mondani, dove essere fashion è fondamentale. Con le telecamere di Planet Moda Tv abbiamo intervistato tanti protagonisti della moda e abbiamo accompagnato diverse selezioni dei concorsi di bellezza, dove eleganza e glamour sono state le protagoniste. Possiamo dire “Ne abbiamo viste di tutti colori”. Si, perché la moda del 2014 è stata davvero molto colorata. La fine dell’anno è alle porte e le feste si stanno avvicinando. Parte la corsa per i regali passando da un negozio all’altro, all’affannosa ricerca dell’articolo giusto per essere alla moda anche sotto il Natale. E’ infatti questo il periodo durante il quale possiamo sfoggiare i migliori capi del nostro armadio, impazienti di essere indossati. La domanda sorge spontanea…cosa metto?... Perfetto per una cena natalizia è il velluto, soprattutto nella sua nuova e fascinosa versione nera, che, dopo tanto tempo, è tornato con furore, esprimendo eleganza e classe, conferendo un indiscutibile aspetto aristocratico. Ma il look di Natale non è davvero natalizio se non avete qualche cosa che luccichi tantissimo! Quindi via con gli accessori; collane, braccialetti e orecchini che devono illuminare il nostro outfit. Se invece non riuscite a resistere al fascino dello sparkling, prestate molta attenzione alle scarpe: è il momento di tirare fuori i vostri tacchi a spillo dorati, abbinati a pantaloni a sigaretta e camicia dal taglio classico e morbido. Invece se siete tipi sportivi, e magari trascorrete festa in casa e volete essere assolutamente comode, potete optare per le tute fatte in ciniglia, molto eleganti, e se preferite non indossare gioielli, puntate tutto sullo smalto,


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che deve essere assolutamente con glitter dorati, argentati, o anche colorati. L’importante è che tutto luccichi. Il look di Capodanno deve essere assolutamente brillante e scintillante, ma prima di scegliere il vostro outfit, dovreste valutare quello più indicato alla circostanza nella quale vi troverete quella sera! Se andate in montagna dovrete essere anche comode e calde, quindi ben vengano i cappotti o i gilet di pelliccia, ecologica preferibilmente. Se invece il vostro capodanno sarà in discoteca, saranno validissimi i mini abiti, con calze pesanti dalle fantasie

floreali. Ma se volete essere davvero “CULT”, almeno per la cena lasciate il vostro smartphone in camera e godetevi la compagnia di parenti e amici, riscoprendo il piacere di conversare guardandosi negli occhi. Il mondo corre così veloce, che spesso trascuriamo quei momenti semplici che rendono meravigliosa la nostra vita, e quale momento migliore se non il Natale per riscoprirli? Qualcuno dirà: “Ma c’è crisi!” Una ragione in più per sorridere con i nostri cari, perché non c’è trucco più economico di un bel sorriso per renderci più belle e luminose. Tanti auguri di Buone Feste a tutti voi lettori!

Mi raccomando seguiteci su www.planetmodatv.it sempre insieme con MG marcheguida.


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FOTOGRAFIA

Consiglio Direttivo: Nocelli Massimo,Fabrizio Pascucci, Loredana Pallotti, Giuseppe Cicconi, Giammario Cardini, Egidio Picchio.

Un’associazione il cui obbiettivo non è soltanto quello della Reflex: il Circolo Fotografico Emme

N

ella nostra rivista più del 90% delle foto che pubblichiamo sono inedite e originali, grazie ai tanti fotografi amici che ci aiutano con i loro meravigliosi scatti. Se è vero, come è vero, che anche l’occhio vuole la sua parte, crediamo che il successo di una pubblicazione sia da attribuire in larga misura alla qualità delle immagini. Il loro impatto è immediato e, quando sono veramente belle, possono persino indurre a leggere quanto è scritto accanto. La fotografia è un’arte, per cui ci rivolgiamo sempre a personaggi competenti, e tra questi ci sono i componenti del Circolo Fotografico Emme. “L’associazione nasce ufficialmente nel maggio del

Massimo Pigliapoco 2013 – mi racconta Loredana, la portavoce del gruppo – ma già tempo prima ci frequentavamo e organizzavamo delle uscite. L’anno scorso abbiamo deciso di legittimare il gruppo, costituito inizialmente da 6 componenti, perché abbiamo percepito l’esigenza di rendere accessibile a chiunque l’approccio alla cultura fotografica. Incontrarci, confrontarci e condividere per crescere insieme; questo potrebbe essere lo slogan che ci descrive e contraddistingue. Grazie al primo FotoContest che abbiamo organizzato, abbiamo subito avuto un exploit di iscritti provenienti non solo da Macerata ma anche dalle province limitrofe. Attualmente siamo 85 fotoamatori appartenenti al circolo, il che ci permette di essere tra


i gruppi più nutriti della regione.” “Qual’è la ragione di un successo così immediato?” “Probabilmente perché fin dalle prime apparizioni ci siamo posti sul piano dell’umiltà. La nostra associazione permette l’ingresso a chiunque, sia al fotoamatore principiante che a quello avanzato, consapevoli che per ognuno di noi c’è un inizio, e solo coltivando gradatamente le proprie passioni si può progredire. Ovviamente i più esperti, se richiesto, sono sempre disponibili a dare qualche consiglio ai neofiti, senza mai però prevaricare, e la dimostrazione di quello che sto dicendo è confermata dal fatto che quando organizziamo una mostra, tutti i componenti del circolo possono esibire i loro lavori, anche l’ultimo arrivato. Da noi non esistono le prime donne – aggiunge Massimo, il presidente del circolo -. Ne ho girati tanti prima di fondare il nostro, e molto spesso accade che i nuovi iscritti vengano monitorati come fossero degli alieni. Mi è capitato di assistere a puerili fenomeni di nonnismo; invidie e meschinità senso senso, come se l’ingresso del nuovo socio togliesse la sedia di sotto ai più anziani. Nel nostro circolo questo non accade, perché memori di quando abbiamo cominciato, sappiamo che nessuno nasce imparato, e che noi più anziani dobbiamo essere d’aiuto per chi si affaccia per la prima volta allo sconfinato mondo della fotografia. Con questo non voglio dire che il nostro circolo sia il migliore, perché nelle Marche ce ne sono di storici e di tutto rispetto, ma mi piace ribadire che chi viene da noi può trovare il conforto di una grande famiglia, il cui scopo è quello di divertirsi crescendo culturalmente, tutti insieme:” “Di solito come vi organizzate?” “Le iniziative che promuoviamo sono prese coralmente – mi risponde Gianmario, uno dei soci fondatori -, consideriamo le proposte e, di volta in volta, raggiungiamo il luoghi suggeriti. Come già accennato da

Loredana, principalmente tendiamo a scattare immagini del nostro territorio, e a secondo delle stagioni, privilegiamo dei posti piuttosto che altri. Due volte l’anno esponiamo i nostri lavori nelle due principali rassegne che organizziamo. Quello che abbiamo fin qui svolto ci ha dato grosse soddisfazioni tanto che, con Umbertide e Arezzo, per numero di partecipanti e espositori siamo un punto di riferimento a livello nazionale.” “Domanda stupida, ma la faccio lo stesso: cos’è la fotografia?” “E’ un punto di vista, e un ricordo – è sempre Gianmario a parlare -. Quando usciamo non siamo mai meno di 15/20 persone. Fissato l’oggetto del nostro interesse cominciamo a scattare. Quando torniamo in sede confrontiamo le foto, e non ce n’è una simile all’altra; ciò fa capire quanta varietà esista nelle nostre interpretazioni. Poi c’è il ricordo. Quando si riprende in mano una vecchia foto si rivivono quei momenti e riaffiorano le emozioni di quegli attimi. Questo ovviamente accadeva prima, quando ancora esisteva la pellicola e si sviluppava in camera oscura. C’è ancora qualcuno che lo fa, ma il digitale ha ormai preso il sopravento, e temo che tanti ricordi rimarranno sepolti nelle memorie dei computers, perché passato un po’ di tempo quegli scatti non si andrà più a rivederli.” Si, la penso anch’io così. Lo so, la tecnologia avanza e fa proseliti, ma chi ha vissuto le valvole prima dei trnsistors, chi ha passato l’infanzia con i vinile prima dei CD, chi ha guidato auto sportive senza il minimo ausilio dell’elettronica, conosce emozioni che un progresso in larga scala non può replicare. La qualità non potrà mai essere un fenomeno di massa e a basso costo, e questo vale per tutto lo scibile ovviamente. Voi continuate a scattare ragazzi, che a fermare i ricordi su carta ci pensiamo noi. Grazie a tutti e un abbraccio.



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LE INTERVISTE ARTE

UNA CURATRICE

MADE IN MARCHE Camilla Boemio

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amilla Boemio è una trasversale curatrice d’ arte contemporanea, teorica, consulente universitaria e critica delle political practises e dell’ interazione tra tecnologie – scienza ed arte. Ama le Marche che le hanno dato i natali, prediligendo la costa Adriatica, la bellezza del capoluogo Dorico e l’ eleganza della città di Pesaro. Le Marche sono un luogo dove pensare nel quale ha sempre invitato: artisti, registi, intellettuali internazionali che hanno preso parte ai suoi progetti o che semplicemente sono legati da stima ed amicizia reciproca. Riassumendo brevemente il suo percorso lavorativo, magistrale è stata la sua consulenza, per la sezione nuovi media ed applicazione della bio tech art/nanotecnologie nell’ arte contemporanea, all’ ISWA European Project con il coordinamento dell’ Università Politecnica delle Marche. Tra le varie attività svolte la curatela della mostra ‘After the Crash’ all’ Orto Botanico di Roma (2011). Seguono curatele in musei: in California, mostre al MACRO, all’ Auditorium Parco della Musica a Roma. Pubblicazioni di vari libri tra i quali: Adolescence editore Landscape Stories, Balere / Gian Luca Perrone editore Risuardi e ‘After the Crash’ pubblicato da

Camilla Boemio UNIPVM. Un attenzione particolare è dedicata alla sperimentazione ed ai talenti emergenti, co – fondando con Fabrizio Orsini nel 2007, AAC Platform. Una piattaforma internazionale nomade volta alla ricerca dell’ arte contemporanea nella quale lo scambio e le progettualità sono strutturate in una fitta attività di mostre, simposi internazionali come Water Wheel (Australia) e partecipazioni a Fiere di settore, tra le quali: ART Platform Los Angeles (2012) e Independents ad Art Verona Project Fair (2014). E’ stata Deputy Curator del Padiglione delle Maldive alla 55.Biennale di Venezia. Ha ripresentato il Padiglione delle Maldive in una versione inedita, con l’ Arch. Claudio Orazi nel mese di Ottobre, al Centro Arti Visive Fondazione Pescheria a Pesaro. “Portable Nation” vive così un periodo più lungo rispetto il consueto iter dei padiglioni nazionali della Biennale di Venezia, affiancato da una pubblicazione presentata ad Arte Fiera e pubblicata da Maretti editore. Il tema si presta ad ulteriori, e continui, approfondimenti, rimettendo in gioco le linee globali eco – politiche, scardinando certezze ed economie dedite solo alla massimizzazione del profitto.


Nella versione site specific curata al Centro Arti Visive Fondazione Pescheria le scelte delle quattro video installazioni, degli artisti Ursula Biemann, Sama Alshaibi, Stefano Cagol, e degli Australiani Josephine Starrs & Leon Cmielewski, dialogano con l’ottagonale Chiesa del Suffragio con proiezioni a parete, dislocate nelle due stanze, o all’interno di strutture rettangolari elegantemente adagiate nei vari punti dello spazio; componendo un puzzle visivo complementare e poliedrico; in un’atmosfera immersiva. Le Maldive rappresentano “il vicino” più debole ed ad alto rischio, la mostra “Portable Nation” illustra quando siano collegati globalmente, le Alpi, il Canada, il Bangladesh, l’Australia con il nord ed il sud del mondo. Se il film d’essay “Deep Weather” della Biemann ricrea le maglie di un sistema di collegamenti; lo scioglimento del Monolite di Cagol rappresenta l’immane tragedia e la necessaria consapevolezza nell’abbandonare lo sfruttamento rampante delle risorse Il video di Ursula Biemann disegna il collegamento della portata inarrestabile delle risorse fossili con il loro impatto tossico sul clima, e le conseguenze che questo ha per le popolazioni indigene in parti remote del mondo. Il video di Sama Alshaibi, Silsila (riproposto in una versione specifica per la mostra alla Fondazione Pescheria) ritrae tre anni di cammino di Alshaibi attraverso i deserti e le fonti d’acqua in via di estinzione della regione del Medio Oriente e del Nord Africa attraverso le acque abbondanti delle Maldive. Collegando le performance nei deserti e nelle acque del mondo storico islamico con le tradizioni nomadi della regione, e le riviste di viaggio del grande esploratore orientale 14° secolo, Ibn Battuta, Alshaibi cerca di portare alla luce una storia di continuità nel contesto di un futuro minacciato. Silsila si ispira al poeta Sufi Assadi Ali, un racconto di una storia comune e di un futuro ancora da scrivere –nel quale i racconti dei rifugiati climatici, la loro voce

geografica, e la nostra ricerca di collegamento tra i popoli e le nazioni afflitte dall’ incertezza fanno eco intersecandosi. Se il lavoro della Biemann illustra disastri e connessioni in modo metodico e scientifico, il lavoro della Alshaibi coniuga poesia e lirismo. L’installazione “Elementi incompatibili”, di Josephine Starrs & Leon Cmielewski, ri-presenta il rapporto tra natura e cultura riconfigurando la terra come attiva, piuttosto che neutra, verbale piuttosto che muta, e quindi in grado di commentare direttamente sugli impatti dei cambiamenti climatici. L’installazione di media art si colloca in un punto di congiunzione tra: cinema, visualizzazione di informazioni e paesaggi sublimi. Basandosi sulla lunga tradizione di artisti che combinano testo e immagine per comunicare idee e concetti, i testi poetici sono digitalmente integrati nelle immagini satellitari di paesaggi in crisi. I prossimi progetti tratteranno tematiche d’ analisi socio – politiche ed un attenzione particolare all’arte pubblica.


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SALUTE&BENESSERE

UNA VITA

PER L’ALOE Dott. Pasquale Palazzo

P

ercorrendo la sponda destra del fiume Tenna tesori del passato e del presente si offrono ai visitatori di questa parte delle Marche, attraversate nel Medioevo da capitani di ventura, monaci farfensi e camaldolesi, cavalieri templari, maestranze artistiche come quelle dei veneti Carlo e Vittore Crivelli. Al confine tra i comuni di Amandola e Smerillo, in un terra che si distingue per eccellenze gastronomiche, espressioni di artigianato tradizionale e biodiversità ambientali, si erge l’abbazia romanica dei SS. Ruffino e Vitale, risalente alla seconda metà dell’ XI secolo. L’edificio religioso, ora nel Comune di Amandola ma in età medievale di pertinenza dei Signori di Smerillo, conserva al suo interno un singolare ipogeo scavato nell’arenaria che costituisce un unicum nel patrimonio artistico delle Marche del Sud. All’interno di una vano absidato ieratiche figure di santi ai lati di un Cristo Pantocrator accolgono i visitatori ricordando loro l’agapè, l’amore fraterno che legava le prime comunità religiose. Il ciclo pittorico di età tardo-imperiale e di stile orientale, presenta sorprendenti somiglianze con quello di San Vincenzo al Vol-

Paola Consolati turno. L’ipogeo, risalente al VI sec. A.C, era probabilmente riservato al culto della Dea Bona, divinità picena e latina della fertilità; ivi confluivano le acque termali delle vicine sorgenti termali, con spiccate proprietà curative nelle affezioni della pelle. La salute del corpo si fondeva con quella dello spirito, come ben sapevano i vari ordini monastici che si stabilirono nelle valli del Tronto e dell’Aso in prossimità di sorgenti curative e di selve ricche di erbe medicamentose, e come testimoniarono i Templari, i monaci guerrieri che curavano con l’olio di S.Giovanni, l’iperico. Proprio all’ordine templare, che aveva creato da Falerone ad Ascoli una vera e propria rete di ospedali per poveri e viandanti, Simonetto di Monte Passillo, uno dei nobili che avevano voluto l’erezione dell’abbazia dei SS. Ruffino e Vitale, nel 1280 donò con disposizione testamentaria tutti i suoi averi per il sostegno materiale dei pellegrini che si recavano in Terrasanta. La memoria della vocazione naturale che questo territorio ha della cura della persona è ancora forte ed ai nostri giorni trova una significativa testimonianza nella scelta di vita di un farmacista di origini lucane, il Dott. Pasquale Palazzo, che nei

pressi dell’abbazia e a breve distanza di un antico mulino ad acqua, in un luogo dove il tempo sembra fermarsi, ha aperto un laboratorio di ricerca fitoterapica e cosmetica, la San Ruffino Cosmetics, dove con rigorosi metodi tradizionali vengono creati numerosi preparati a base di aloe. Denominata pianta regina, fonte di giovinezza, guaritore silenzioso, pianta dei bruciati, l’ aloe è conosciuta sin dall’antichità per le sue spiccate proprietà lenitive ed infiammatorie. Menzionata da fonti mesopotamiche ed egizie, è stata una delle piante più studiate dalla mistica dell’XI secolo Ildegarda di Bingen, la prima donna a scrivere di medicina naturale, e dal fondatore dell’Antroposofia, Rudolph Steiner. Il succo contenuto nelle foglie, che si presenta sotto forma di gel trasparente, è ricco di polisaccaridi. Attualmente l’impiego di questa pianta è particolarmente diffuso sul mercato e dall’ambito erboristico si è trasposto anche in quello alimentare, arrivando perfino ad essere proposto da alcune aziende del territorio nella ricetta di base della pasta marchigiana per eccellenza, le tagliatelle. Ma perché avvicinarsi a questa pianta fino a farne una ragione di vita e sperimentarne quotidianamente ed in vario


modo l’impiego? Parliamone con il Dott.Palazzo. Quando è avvenuto il suo incontro con l’aloe? Diciotto anni fa ho avuto l’occasione di incontrare un medico di origini Sioux, la Dott.ssa Aline Vergano. Avevo avuto un trauma importante alla gamba destra e dovevo fare i conti con una dolorosa ecchimosi che mi impediva nei movimenti. Aline mi propose di provare un gel a base di aloe; il giorno seguente stavo già molto meglio fino a giungere in breve tempo alla completa cicatrizzazione, da allora non ho più abbandonato questa pianta straordinaria. Dopo l’esperienza della farmacia, aperta nel 1988, la mia attenzione si è concentrata sull’erboristeria, a cui mi dedico dal 2008.

come avere un medico in casa; per il suo alto potere idratante il gel contenuto all’interno delle foglie può essere applicato su scottature, ferite vive, abrasioni, tagli e cicatrici anche di vecchia data; la parte esterna verde ha un effetto lassativo ed agisce sulla gastrite ed il mal di stomaco. Bisogna

Quale utilizzo domestico si può fare dell’aloe? Venerarla innanzitutto, perché è

Come ha visto cambiare negli anni l’approccio degli Italiani verso questa pianta? Quali difficoltà ha incontrato nell’introdurla in modo pionieristico in territorio marchigiano? I marchigiani, notoriamente diffidenti, si sono avvicinati a piccoli passi, mentre sin dagli inizi le regioni italiane del nord-est hanno mostrato una grande apertura. L’aloe è un medicamento adattogeno naturale che risana molti squilibri dell’organismo spesso causa di gravi patologie. Nonostante il suo vasto impiego non può essere considerata un antitumorale, quanto piuttosto una sussidiaria nel rafforzamento del sistema immunitario capace di innescare nell’organismo una risposta alla malattia.

Che cosa l’ha spinta a sperimentare intorno a questa pianta? L’esperienza personale è stata determinante, si è aggiunto poi il desiderio di estendere i benefici dell’aloe ad altre persone, tuttora dopo tanti anni studio ogni giorno l’impiego dell’aloe in sinergia con altre piante della farmacopea tradizionale. Ho lasciato il mio paese. Scanzano Ionico, perché nella mia terra non c’era modo di esprimersi attraverso la ricerca. Nelle Marche sono approdato per amore, il verde che circonda i luoghi in cui abito ed opero sono per me una cura quotidiana ed un ideale contesto per approfondire e divulgare la conoscenza dell’aloe. Qui nel 1988 ho aperto una piccola famacia.

ganismo, non è la dose che importa ma il ‘’ricordo’’ della sostanza.

Quale risultato ottenuto con l’aloe Le ha dato maggiore soddisfazione?

essere molto cauti per quanto riguarda l’uso interno, da un grammo di parte verde si ricavano ben 5 compresse lassative! E’ bene assumere l’aloe a digiuno o comunque lontano dai pasti, la si può utilizzare anche per accelerare la cicatrizzazione di tagli e ferite dei nostri animali. L’assunzione di aloe richiede una certa continuità? L’importante è dare la traccia all’or-

Ogni giorno questa pianta mi riempie di soddisfazioni, potrei citare tra i tanti casi quelli di pazienti affetti dal morbo di Crohn, da artrite reumatoide e da sclerosi multipla, che con l’aggiunta di aloe alla terapia in atto hanno visto progressivi miglioramenti nel loro sistema immunitario. Numerosi sono gli esiti positivi testati su persone che soffrono di ulcere, gastriti, psoriasi, artrosi. La lascio al suo prezioso lavoro, grazie Dott. Palazzo.




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SPORT

LA GRANDE

VIA

5° DAN, 45 anni di Judo, più di 1000 allievi ed un solo obbiettivo: il miglior impiego dell’energia. Mario Mengascini. Massimo Pigliapoco

O

nestà, coraggio, benevolenza, educazione, sincerità, amore, lealtà. Sono queste le qualità sulle quali si poggia il codice morale del fondatore del Judo, Jigoro Kano, alle quali ogni judoista dovrebbe mirare durante la pratica e la vita di tutti i giorni. “Noi Mario ci conosciamo da tanti anni perché sei stato il maestro dei miei figli quando erano piccoli. Ne hai allevati tanti di cuccioli, ma tu come hai cominciato?” “Direi che ho iniziato tardi, a vent’anni, dopo il servizio militare. Praticavo già attività fisica e pesi, ma un giorno fui invitato da alcuni amici in una palestra di Judo e rimasi colpito dalle loro evoluzioni. L’idea di poter acquisire l’antica arte dei Samurai, riveduta e corretta dal fondatore Jigoro Kano, mi entusiasmò. Mi iscrissi a quella palestra di Roma, perché è lì che risiedevo in quel periodo, e iniziai ad allenarmi. Dopo qualche mese mi cimentai nelle prime competizioni amatoriali, alle quali seguirono altre di livello via via crescente, proporzionali al mio livello di preparazione. Tornato a Recanati continuai ad allenarmi con un altro maestro di Civitanova Marche, grazie al quale vinsi un campionato regionale e una finale di Coppa Italia, valida per l’ammissione ai Nazionali. Dopo dieci anni di gare, arrivato ai 30 anni, la carriera agonistica ormai volgeva al termine, ma non me la sentivo di abbandonare del tutto questa disciplina che mi aveva dato tanto, sotto l’aspetto fisico, ma soprattutto mentale. Decisi di mettermi a studiare per sostenere l’esame di abilitazione all’insegnamento e, una volta superato, iniziai questa avventura che dura ormai da 35 anni.” “Penso che sia una piacevole sensazione poter trasmettere il proprio sapere e far crescere tanti giovani.” “Si, sicuramente, ma le cose non sono state sempre facili, e a volte non lo sono neanche oggi.”


“Spiegami.” “Quando ero giovane la mia idea fissa era quella di portare il Judo a Recanati, perché, nonostante fosse già all’epoca uno degli sport più diffusi al mondo, la mia città non aveva una palestra dove poterlo praticare. Quante tribolazioni per trovare i locali adatti, e quanti ne ho dovuti cambiare. Quanti sacrifici per poter conciliare il lavoro con gli allenamenti, pur di poter seguire la preparazione degli agonisti. Quante dimostrazioni nelle scuole e nelle piazze per propagandare no si riscontra più o meno in tutte le discipline sportive, e bisogna farci il callo.” “OK, che all’inizio si facciano delle prove ci sta. Come ti spieghi invece che ragazzi che sono arrivati alla marrone, o addirittura alla cintura nera, abbandonino?” questa arte e avvicinare i giovani alla pratica. Però ho trovato sempre la forza per andare avanti, convinto dell’idea che educare i ragazzi al rispetto delle regole sia l’unica strada per creare un mondo migliore. Lo so che detto così sembrano parole grosse, ma il Judo è una filosofia e uno stile di vita, ancor prima che un’attività fisica.” “Gioie e dolori Mario.” “Gioie poche, dolori tanti..eh si... Ho avuto qualche allievo che mi ha dato delle soddisfazioni, ma possiamo contarli sulle dita di una mano. Quando si arriva a certi livelli i più si perdono, e a me dispiace, te l’assicuro. Nonostante il mio impegno sia profuso al massimo, a volte ho pensato che fosse colpa mia, ma poi, guardando meglio, sono giunto alla conclusione che non esiste determinazione nella maggioranza dei giovani. Ogni anno si iscrivono una cinquantina di nuovi bambini, e per me è ovviamente una gioia, ma poi quando arrivano alla cintura gialla o arancione la maggior parte da forfait. Comunque questo fenome-

“Non so, forse per presunzione, e anche per mancanza di stimoli. La presunzione sta nel fatto di sentirsi arrivati, ma arrivati dove? Tu conosci le regole del Judo; quando si arriva al 10° DAN si ripassa alla cintura bianca. Questo vuol insegnare che la progressione non ha un limite definito, e che non c’è un limite all’evoluzione. Però i ragazzi si sentono arrivati! Poi c’è il discorso degli stimoli, che ognuno deve darseli da solo. Quando il mio maestro mi diceva che per imparare una tecnica bisognava ripeterla cento volte, io la eseguivo duecento, trecento volte, finché non mi veniva naturale. Quando sei in combattimento non puoi stare a pensare cosa tirare; ogni movimento deve essere spontaneo e fulmineo, altrimenti sei già a terra. Il Judo è un’arte marziale, presuppone disciplina ed autostima. La disciplina la si acquisi-

sce seguendo le regole; l’autostima mettendosi alla prova. Questi sono i parametri della Grande Via per diventare individui migliori, e solo migliorando se stessi si può migliorare il mondo.” Come spesso accade, quando tratto qualche argomento vado a scuficchiare tra i miei libri per saperne un po’ di più. Ho letto che il dottor Kano, per i suoi insegnamenti, utilizzava un ideale giapponese molto antico: “La cultura senza forza è inefficace; la forza senza cultura è barbarica.” Kansha Sensei Mario, un grande abbraccio.


www.ariannabitti.it ...continua dal numero precedente

I

Arianna Bitti

l Rebirthing- Breathwork o Respirazione Consapevole può collegarsi a varie psicoterapie corporee come ad esempio quelle di Reich e Lowen e già Freud attraverso il concetto di conversione isterica accennava al problema mente - corpo. In Oriente le tecniche di respirazione sono usate da millenni, come il TAO e Lo Yoga e in particolare le pratiche di Pranayama. Possiamo parlare di Rebirthing - Breathwork come insieme di tecniche e strumenti per un lavoro accurato sul corpo e sulla mente che funge anche da veicolo di crescita personale e sviluppo dei nostri potenziali . Possiamo affermare con certezza che il più grande investimento che possiamo fare per la nostra salute e vitalità è apprendere la tecnica del Rebirthing - Breathwork perchè oltre ad una corretta respirazione è un contributo imperdibile per la propria guarigione da schemi e meccanismi obsoleti che non ci aiutano a raggiungere i nostri obiettivi personali e professionali. Se non siamo in salute e pieni di energia qualsiasi nostra performance risulterà scadente. Se noi siamo un esempio di mediocrità anche ciò che facciamo e produciamo lo sarà. In questo CONTESTO dobbiamo sottolineaare come il nostro respiro sia una mappa di informazioni su cui è scritto il nostro piano di vita e agendo su di esso possiamo riplasmare il nostro destino fisiologico , emozionale ed esistenziale. Consideriamo alcune degli argomenti che regolano il rapporto tra respiro e processi di nascita, con particolare attenzione alla fase prenatale. Il processo di nascita è inteso come la somma degli avvenimenti che portano alla venuta al mondo di un nuovo essere: concepimento, periodo fetale, uscita, e accoglimento. Nello stesso tempo il processo di nascita è il sottofondo emozionale inconscio che pervade l’intera vita dell’essere umano. La consapevolezza dei momenti iniziali di vita dà avvio ad un eccellente percorso di crescita personale, che consente di rivivere il gioco delle emozioni collegate alla nascita e di rimuovere i traumi che hanno origine in questo periodo infatti: gli imprinting inconsci d’origine prenatale sono il fondamento della personalità complessiva e i loro effetti si possono osservare in tutte le situazioni esistenziali. In modo specifico si è notato che influiscono sulla decisione di diventare consapevolmente genitori, sul patto che si stabilisce con il nuovo nato; inoltre il vissuto genitoriale stabilisce la qualità della comunicazione tra padre-madrebambino. Gli stati di coscienza che si riferiscono alla nascita sono parte di una speciale zona dell’inconscio. Essi si presentano in una fase precedente lo stadio razionale e verbale; e maturano in una condizione sensoriale non paragonabile a quella dell’essere già nato. Non arrivano che raramente alla coscienza proprio perché radicalmente diversi da tutte le esperienze successive dell’essere. L’adulto, in condizioni normali, non potrebbe nemmeno immaginare il tipo di vita che conduce un bambino nella placenta. E non ne può comprendere la qualità e il tipo di emozioni sulla base di un approccio di pura consapevolezza. Vedremo come le tecniche respiratorie si propongono come lo strumento efficace per rivivere la fase di nascita e diventarne coscienti. Per arrivare in area prenatale, la base della piramide della vita psichica e fisica, conviene adottare procedure differenti da quelle in uso per indagare gli stadi successivi dell’essere. L’approccio basato su tecniche respiratorie si è rivelato in grado di superare l’ostacolo dovuto al differente modo che ha il feto di organizzare esperienze ed emozioni alla assenza di una struttura logica, perlomeno secondo gli schemi di una mente adulta. Per entrare nel mondo emozionale dell’essere fetale, per entrare in contatto con la manifestazione prima della vita, l’adulto ha bisogno di uno strumento che sia diretta espressione delle forze vitali. Il respiro è la forza che nell’immaginario individuale, nelle tradizioni e negli archetipi, oltrechè per la fisiologia, esprime la vita, la creazione, la nascita.

(...to be continued)



Sul lungomare di San Benedetto D.T., un lounge-bar-restaurant portavoce dell’arte

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Marta Abeni

pazio Isi gioca con il nome della titolare, Isadora, sovrapposto all’ “easy” della comoda accoglienza, della vita slow, assaporata... Entrando nel locale, l’impatto è di ampio respiro, nonostante la ricerca accurata di ogni particolare. Gli accostamenti dei colori, dei tessuti, delle luci rendono soffuso e morbido l’ambiente. Gli stili antitetici di elementi moderni e di salotti d’antan oculatamente amalgamati da permettere a ciascun cliente di sentirsi sempre a proprio agio. L’eleganza morbida ed informale di Spazio Isi è particolarmente adatta a feste di compleanno, di laurea, addii al celibato/nubilato, a cenette riservate o conviviali. Lo spazio veranda offre salotti racchiusi, perfetti per trascorrere del tempo tra amici anche nel dopo cena o nella tarda notte. L’ambiziosa scommessa - iniziata nell’agosto 2012 - di portare in una città di poche migliaia di abitanti l’aria ricercata e cosmopolita di Milano (città in cui Isadora, la titolare, dopo la laure all’accademia di belle Arti di Brera e in cui ha vissuto per molto tempo) si sta tutt’ora giocando su più livelli: Infatti Spazio Isi è vetrina espositiva a artistii Marchigiani e non di diversa tipologia (pittori, scultori, teatranti e tutto quello che è arte) ed a produttori agro-alimentari di nicchia, legando così tutte le forme artistiche: musicali, design, culinarie, visive e plastiche, con opere costantemente presenti ed esposizioni itineranti. Inoltre Spazio Isi vuole far conoscere alle Marche piatti, sapori, suoni e dialetti della Lombardia: nascono così le serate a tema “L’usilin dela comare” del martedì sera con polenta e oseì scappacc, spiedo, manzo all’olio, coniglio Rina,... Spazio Isi permette di apprezzare le famose bollicine della terra di Franciacorta, lo spumante italiano che riesce a tener testa in tutto il mondo al famoso champagne dei cugini d’Oltr-Alpe. Perchè per Spazio Isi l’Italia dai mille e mille campanili è pur sempre una sola nazione e gli italiani un solo popolo Tuttavia la cucina di Spazio Isi non si limita alla Lombardia perchè a capo della cucina, vi è il


bravo e attento Martino, abruzzese con molti anni trascorsi al nord: così gli ingredienti del nord e del sud spesso si mischiano, acquistando un sapore unico e di carattere che ogni commensale potrà apprezzare, prenotando un tavolo serale. L’aperitivo cenato “Easy & Crazy” della domenica sera, ricco e completo, con un prezzo decisamente allettante di 7 euro a persona, permette ad ogni famiglia di trascorrere alcune ore serene prima di riprendere la settimana lavorativa. Le serate “Fish & Live” del venerdì permettono a gruppi underground di esibirsi, accompagnati da un menù a base di pesce, rivisitato con uno sguardo lombardo, come accade per le croccanti polpette/canederli di pesce. Ambiziosa scommessa si sta attuando, piano piano... Spazio Isi si presenta come un locale davvero unico nella sua progettualità nel panorama della periferia marchigiana.

SPAZIO ISI ____________ Viale Marconi 24 63074 San Benedetto Del Tronto (AP) Tel. 0735 84573 Cell. 329 4684796 spazioisi.arts@gmail.com www.spazioisi.it


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SPORT & FITNESS

I consigli del campione Istruttore federale di arti marziali. Vincitore di due medaglie di bronzo ai mondiali in Vietnam 2007 e 2011

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Marco Bentivoglio

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uesto termine ormai in uso nel nostro quotidiano da qualche anno è un’evoluzione del concetto fitness, cioè si riferisce ad una filosofia di vita che mette persona e benessere al centro dell’attenzione; propone attività sportive, pratiche rigeneranti, una corretta alimentazione per uno stato di benessere ed equilibrio psicofisico. Per quanto riguarda le condizioni fisiche abbiamo: le attività cardiovascolari da eseguire ad una intensità adeguata sia all’età, sia allo stato di salute. Sviluppo del tono muscolare a corpo libero o con l’ausilio di macchinari da sala pesi. Esercizi per il miglioramento della flessibilità ed infine esercizi di rilassamento. Associato a questo è sempre consigliata una corretta alimentazione, “siamo ciò che mangiamo”. Alimentazione varia e sana, mediterranea, ricca di carboidrati e proteine, frutta e verdura di stagione, povera di frittura, dolci, bevande gassate ed alcool. Bisogna pensare che il nostro corpo invecchia e se non si rispettano queste regole semplici, si andrà incontro a problemi anche seri, sia fisici che psichici, man mano che andiamo avanti. Perciò movimento e alimentarsi correttamente.


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SPORT

AT L A N T I C R A L LY

FOR CRUISERS

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novembre l’ARC Rally, Atlantic Rally for Cruisers. Una regata che si tiene ogni due anni con partenza da Las Palmas (Gran Canaria) e arrivo a St.Lucia (Caraibi). 2.700 miglia, percorse da una flotta di 250 barche, e che quest’anno come nell’ultima edizione del 2012 è iniziata all’insegna del mal tempo. Gli alisei che in questo periodo dovrebbero condurre le imbarcazioni con il vento in poppa a destinazione, sono un po’ capricciosi. L’equipaggio di Tyke, il Felci 61, è ormai alla sua terza partecipazione. “Nel 2012 abbiamo affrontato situazioni veramente difficili, che prolungate per 13 giorni ci hanno messo

Giuseppe Parodi a dura prova, quest’anno speriamo nella clemenza del meteo anche se al momento le previsioni non sembrano delle migliori, ma siamo comunque pronti per affrontare un’altra volta l’Atlantico” Queste sono le parole dell’armatore Marco Serafini, reduce dai successi ottenuti nella stagione estiva 2014 con il TP52 Hurakan, è risalito a bordo affrontando l’oceano per la terza volta. Parte dell’equipaggio e quello ormai consolidato da anni. Bruno Zirilli, è il navigatore che ormai da tempo affianca l’armatore timoniere, e che anche quest’anno proverà a destreggiarsi con un meteo tanto inclemente. Non potevano mancare i talentuosi atleti del Club Vela Portocivitanova come Luca Pierdomenico armatore di MP30+10, Fausto Ottaviani dell’equipaggio di Adrenalina, Giuseppe ciotti, veterano delle traversate ed il grande atleta Giacomo Sabatini. Alessandro Santangelo preso in prestito da Hurakan e Michele Zambelli campione mini transat. Le new entry nella rosa dei 10, sono invece Pietro Corbucci e Ana Maria Diaz, per la prima volta su questo 61 piedi. Tyke cercherà anche quest’anno di battere il suo record di traversata di 13 giorni e 5 ore. Lo svolgimento della regata sul link www.worldcruising.com/arc/eventfleetviewer.aspx. Buon vento!


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PENSIERI

PICOMEGA E FRACANAPPA Conversazioni di due amici nel rispetto della propria autonomia intellettuale. “E’ meglio accendere una candela che maledire l’oscurità”

Massimo Pigliapoco

F

ra Canapa è seduto al tavolino del bar dove è solito darsi appuntamento con il suo amico, per sorseggiare il caffè del mattino. Ad un certo punto eccolo, arriva Pico Mega.

F. Ciao Pico, dormito bene? P. Buongiorno Fraky, magnificamente. Tu tutto bene? F. Bè, andava tutto bene fino a dieci minuti fa, poi un pensiero m’ha sballato l’umore.

P. Ahahah…ch’è successo Fraky? Quale uragano si è

abbattuto sulla mente di un uomo come te, che non si scompone neanche se un fulmine dovesse cadergli tra i piedi?

F. Quando sono arrivato, sul nostro tavolino c’era

appoggiato un giornale e mentre t’aspettavo gli ho dato

una scorsa. Dopo aver letto un articolo ho alzato gli occhi e ho guardato il serpentone dei ragazzi tristi, molto tristi, che piegati da improbabili zainetti riempiti non so di che cosa si recavano a scuola: sono stato percorso da un brivido!

P. Ahahah Fraky, stamattina hai voglia di tenermi sulle spine: ma che c’era scritto su quell’articolo?

F. Non lo so! Mezzo secolo di studio dei classici di tutti

i tempi non mi sono di nessun aiuto. Io che non ho mai avuto difficoltà a tradurre dal latino, dal greco, dal sanscrito, io che ho dimestichezza con geroglifici, ideogrammi e cuneiforme, leggendo le righe di un giornalista che ha riportato il discorso di un politico ad una conferenza non so dove sbattere la testa, non so decifrare il contenuto di quel messaggio, non so decriptare. Sono sinceramente preoccupato perché mi rendo conto di quanto, in casi come questo, siano del tutto inutili le mie ricerche. Forse tu con la tua fisica quantistica…un algoritmo…


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P. Ahahah…vedere il mio grande amico Fra Canapa scombussolato da un articolo scritto su un giornale.. scusa ma ahahah…ma si può sapere che c’è scritto?

F. Te lo leggo!

“Il bisogno emergente riconduce a sintesi il riorientamento delle linee di tendenza in atto secondo un modulo programmatico di interdipendenza trasversale, non sottacendo mai, ma anzi puntualizzando, in un ambito omogeneo a diversi livelli, nel contesto di un sistema integrato, l’adozione di una metodologia differenziata, tesa all’appianamento di discrepanze e discrasie esistenti, senza mai trascurare il consolidamento delle eccellenze ispiratrici un futuro migliore e quant’altro, in ottemperanza alle leggi di una nazione democratica, strutturata sui più alti ideali, anzi, i supremi.” Che dici? Telefoniamo al CERN di Ginevra o andiamo direttamente a Huston?

P. Ahahah…Fraky mio, prima o poi mi farai morire! Ti sei imbattuto nell’ermetismo, ahahah…..

F. Ma dai Pico, non scherziamo! Ma quale ermetismo?

Questo è vaniloquio! Pensa se un individuo del genere parlasse dentro casa con lo stesso frasario, al cospetto della madre o della moglie; in brevissimo tempo si ritroverebbe in mezzo la strada con la valigia di cartone, inseguito da una camionetta della neuro o delle forze speciali. Come può la società stupirsi che i giovani vadano in cerca di esperienze alternative?

P. Ahahah…scusa Fraky…sto ridendo per la faccia che

fai ovviamente e non per l’argomento che stai trattando che è serio, cosmicamente serio. Maschera e menzogna! Questo è il cammino del mondo, come dice il nostro amico di Weimar. Tutti noi veniamo allevati nell’incubatrice dell’inganno fin dalla più tenera età. Pensa a Babbo Natale, alla Befana, all’uomo nero, alle fate, al cavolo, alla cicogna e alle mille stupidaggini che ci raccontano da piccoli: a che serve? Tutti pensano che siano delle invenzioni innocue quando invece sono veri tarli che si insinuano nella nostra mente e spesso la polverizzano. Accade dalla notte dei tempi purtroppo, ed è per

questo che l’evoluzione intellettuale e spirituale viaggia a ritmo di lumaca. L’apparire piuttosto che l’essere spesso è sufficiente per influenzare il prossimo. I nostri sensi sono per lo più imperfetti ma hanno la prevalenza sulla realtà. Paradossalmente il verosimile è più forte del vero.

F. D’accordo Pico, conosciamo bene la storia di questo

mondo ed è per questo che abbiamo preso le nostre distanze, come tanti altri nostri amici hanno dovuto fare per non essere triturati dall’assurdo, ma un minimo di contatto lo manteniamo sempre, e spesso è sconcertante assistere a tanto delirio. Mi preoccupo per i ragazzi: ma che hanno fatto di male per meritare tali assurdità?

P. Uhmm…la domanda di riserva ce l’hai? Secondo me

l’uomo non ha la forza, la pazienza, e forse neanche la capacità per crescere: invecchia ma non cresce. Per evolversi ci vuole dedizione, volontà, tenacia, pazienza, sudore, ma questo è un prezzo che in pochi sono capaci di pagare; l’uomo medio vuole tutto e subito, come i bambini. Non potendo arrivare all’essere si rifugia nell’apparire, è uno specialista del travestimento. Non solo indossa i costumi più fantasiosi per impressionare; dopo un po’ li da per scontati e finisce nel crederci lui stesso, dimenticando che stava recitando. Il bello è che incontrando un altro individuo, anche lui travestito, fa finta di non accorgersene, per non mettere a rischio il suo costume. Che vuoi che ti dica? Se ci pensi bene è la più schietta ammissione di non piacersi; si vorrebbe essere qualcun altro da quello che si è.

F. Ha ragione quel nostro amico di Stratford quando si pone la domanda: “Dio ti ha dato un volto e tu indossi una maschera?”


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ENOLOGIA

ECCOMI un’avventura appena iniziata

“P

iove più forte quando arriviamo, affamati, a Serra Petrona. L’aspetto del luogo, cupo, roccioso, addossato ad un pendio ripidissimo e quasi in una gola montana, non tradisce la suggestione iniziale del nome. Ma la Vernaccia... la Vernaccia non esiste.” Così descrive Mario Soldati nel 1976 nel suo reportage “Vino al Vino” il conturbante territorio di Serrapetrona dove troviamo la tipica Vernaccia di Serrapetrona spumante DOCG. Vino raro quanto particolare manifesta le sue caratteristiche nel colore, che va dal colore rosso rubino al granato, al tipico olfatto vinoso con una grana persistente e fine, in bocca leggermente amarognolo invece ha le sue sfumature dalla versione secca alla dolce. La versione spumante diventa DOCG nel 1971 detenendo il primato nelle Marche mentre per la versione ferma si deve attribuire DOC in etichetta. Viene prodotta con Vernaccia nera per l’85% e per il 15% con vitigni a bacca rossa idonei alla coltivazione nella provincia di Macerata. Studi sul vitigno trova linee di congiuntura con il Nebbiolo e con il Cannonau. Radicata profondamente nel territorio come suggerisce il nome Vernaccia che da Vernacùlus in latino, “del posto”, riferito alla lingua, vernacòlo poi in volgare sembra sia invidiata un po’ da tutta Europa come è riportato nella guida storico-artistica “Storia di Camerino e dintorni” dove è riportata una nota storica curiosa in cui si narra di un polacco al soldo di truppe mercenarie che abbia esclamato dopo aver assaggiato la Vernaccia “Domine, Domine quare non Borgianasti regiones nostras”, che tradotto significa: “Signore, Signore, perché non hai fatto le

Luca Luciani nostre terre come Borgiano?”. Borgiano è una frazione del Comune di Serrapetrona. Più antiche citazioni storiche le troviamo da testi che vanno 1875 in avanti anche se sporadiche e confuse. La sua particolarità è data soprattutto dalla tecnica di vinificazione. Dai suoi 66 ha di superficie vitata, secondo disciplinare, si può avere una resa che non supera il 58%, poi viene per il 60% del raccolto vinificata subito, mentre il restante (tutta vernaccia nera), viene messa in appassimento per circa 2 mesi. La pigiatura avviene verso la fine di gennaio. Si fa appassire in graticci con i grappoli legati a due a due. Conclude la lavorazione l’unione del vino di base già in fermentazione con il mosto delle uve appassite. Si abbina molto bene alla pasticceria secca e crostate di marmellata ma secondo il mio modesto punto di vista va rilanciato come fuori pasto ed aperitivo. La Vernaccia di Serrapetrona è un vino che da sempre è stato poco conosciuto e bevuto ancora meno, rispetto a vernacce italiane più famose come quella sarda di Oristano o quella ligure di San Gimignano, quindi deve essere valorizzato e preso maggiormente in considerazione insieme al suo territorio di produzione. Se vi capita fermatevi nella zona di Serrapetrona, magari ad un bar della zona, dove troverete gli anziani del posto che discutono spesso animatamente in dialetto ed unitevi a loro, per bene in compagnia un buon bicchiere di Vernaccia!


Il Manifesto di Ottavia Adele Allegrini Accadeva a Roma tra il I° e il III° sec. d.C. durante la dinastia Giulio-Claudia, era il tempo dei primi cristiani e degli apostoli Pietro e Paolo; Ottavia, principessa di animo buono e ben voluta dal popolo, fu la nobile e tenera vittima degli abusi di Agrippina e Nerone. A lei toccarono accuse infamanti, un esilio silenzioso e un’atroce morte a 23 anni. Nel XXI° sec. Ottavia è il nome dato alla bambola concepita con amore e maestria, immagine di una giovane donna che ha cavalcato il tempo ed è arrivata fino a noi per portare amore, pace e dolcezza al servizio degli umili e dei bisognosi e per un mondo libero che possa ritrovare la forza dei sogni in chi li vuole cercare.

Sotto il nome di Ottavia si fonda un progetto laico il cui scopo è: - Promuovere e dare centralità alle capacità umane come valore fondante economico e sociale con particolare attenzione ai settori della libera creatività, dell’artigianato artistico, dei mestieri legati alla tradizione e quelli basati sulle tecnologie digitali; - Assistere, supportare e far uscire da una condizione disagiata tutte le persone che necessitano d’aiuto e volenterose di ritrovare autostima e forza in se come individui, lavoratori e membri attivi della comunità. - Produrre a regola d’arte la bambola Ottavia e ogni simbolo di pace e solidarietà da diffondere nel mondo; - Affiancare le istituzioni e l’associazionismo del territorio per sensibilizzare, formare e dare un percorso proattivo con particolare orientamento alla manualità e alle arti alle persone diversamente abili e con difficoltà d’inserimento sociale; - Contribuire a realizzare progetti ed eventi nel territorio che sviluppino economia e nuovi posti di lavoro.

La Casa di Ottavia è il luogo dove si accoglierà, si lavorerà, si costruiranno progetti e si divulgherà il sogno. Ottavia adotta ogni strumento di comunicazione coordinato, sistematico e diffuso alla massima scala per far conoscere la sua missione e attrarre le persone bisognose e quelle disposte all’aiuto da ovunque esse vengano e per qualsiasi motivo esse lo desiderino. Ottavia è protetta da una Fondazione che ne prende il nome e ne sviluppa la missione, sostenuta da donazioni e da ogni contributo che vorrà essere elargito con spirito caritatevole.




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