Numero 2/2010

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esso è particolarmente idoneo ad assorbire e ad inserire lavorativamente alcune fasce svantaggiate tra cui donne, immigrati e disabili. In tal senso, si predispone un programma di intervento congiunto tra formazione ed impiego, vale a dire corsi di formazione indirizzati a giovani, immigrati e donne che intendono perseguire un percorso di autoimpiego, aiutandoli nella costruzione progressiva dell’iniziativa imprenditoriale e supportandoli finanziariamente con dei micro-capitali per l’investimento iniziale (start-up). La nascita, lo sviluppo ed il consolidamento di imprese per il sociale è affiancato da forme di intermediazione, da parte dell’ente regionale, con le strutture bancarie. La Regione si fa carico delle dovute garanzie patrimoniali, facilitando così il rapporto fiduciario tra i promotori dell’iniziativa progettuale e le banche, aggirando uno dei principali ostacoli che spesso si frappongono tra l’idea imprenditoriale e la sua realizzazione, cioè le stringenti garanzie che esse richiedono per finanziare il progetto. L’economia sociale può contribuire a generare una crescita dei servizi utili alla collettività, per esempio nel caso della sanità, dove andrebbe potenziato il collegamento, ancora fragile, tra i servizi sociali e questo comparto. Molti dei fabbisogni socio-sanitari, soprattutto quelli provenienti dall’assistenza agli anziani e causati dalle emergenti problematiche nate più in generale dall’innalzamento dell’età media dei cittadini, sviluppano opportunità lavorative che, adeguatamente sostenute, creano ed ampliano la domanda di riferimento delle imprese sociali. Le criticità finanziarie, infrastrutturali ed organizzative del comparto pubblico sanitario, possono così essere compensate dal rapporto sinergico che esso instaura con i soggetti del terzo

settore (si pensi alla vasta area dell’assistenza domiciliare integrata, ai servizi di sostegno ai disabili e agli anziani). Per di più, oltre a un fattore di cooperazione, si innescano meccanismi di competizione favorevoli all’innalzamento degli standard qualitativi nella fornitura e nella gestione dei servizi sociali. Su questo fronte, si agisce promuovendo a) azioni che innalzino il livello di condivisione e di compartecipazione tra le strutture sanitarie e gli organismi del terzo settore; b) riqualificando le conoscenze e le competenze, attraverso la realizzazione di attività formative mirate, delle risorse umane impiegate nelle organizzazioni del terzo settore.

Potenziare le strutture cooperative Infine, date le difficoltà che incontrano donne ed immigrati ad inserirsi stabilmente nel mercato del lavoro regionale, questa linea incentiva la creazione e il potenziamento delle strutture cooperative che si dedicano ai bisogni specifici della prima infanzia, degli anziani e dei disabili, in modo tale da coniugare: 1) la creazione di posti di lavoro, soprattutto per quella fascia di disoccupazione femminile in costante crescita nella regione; 2) il sostegno alle esigenze di conciliazione, sempre al femminile, tra tempi di lavoro e tempi di cura per la crescita di strutture dedicate alla soddisfazione dei bisogni della prima infanzia (asili nido); 3) la stabilizzazione di esperienze di lavoro irregolari in cui è coinvolta la fascia immigrata – è il caso delle badanti – attraverso la spinta all’autoimpiego. I due esempi descritti sono soltanto una parte di quanto si potrebbe concretamente realizzare. Ovviamente, quali che siano le proposte, da sole esse non sono sufficienti a promuovere il cambiamento. La sfida del Pd, in questo periodo, oltre all’elaborazione di buone e realizzabili idee programmatiche, consiste nel costruire una classe dirigente adeguata e all’altezza delle funzioni da svolgere in uno scenario politico, economico e sociale caratterizzato da una crescente complessità. Nel caso campano, oltre all’adeguatezza, è necessario ed urgente anche che tale classe dirigente sia eticamente compatibile con i ruoli che ricopre. Durante la campagna elettorale – ed ancora adesso – i miei potenziali elettori mi hanno continuamente ribadito che avrebbero votato la mia persona, non il partito che rappresentavo. Io mi sono spesso ritrovata a spiegare che per me non

si trattava di un complimento, anche se mi faceva ovviamente piacere sentirlo dire. Quando chiedevo le ragioni della disaffezione verso il Pd, in molti mi rispondevano che hanno governato male e che, spesso, hanno favorito interessi propri o clientelari. Io aggiungo che, oltre a questa critica, ve n’è un’altra da fare: si sono dedicati scarsamente alla cura del rapporto con la cittadinanza, dando per scontato che si governa privilegiando il mantenimento della propria autoreferenzialità – i circoli chiusi – piuttosto che allargando all’esterno la sfera dell’influenza democratica. C’è stato una burocratizzazione della classe politica del Pd, che trova faticoso andare tra le persone, capirne i bisogni, trovare i rimedi ai problemi. Trova più facile discutere all’infinito nei salotti buoni, nelle televisioni e sui giornali. Da qui la questione del mancato radicamento territoriale e dell’erosione del consenso. Per questo, ritornando agli elettori, essi aggiungevano che il P.D. si può rilanciare soltanto se rifonda profondamente se stesso attraverso un ricambio delle donne e degli uomini che gli danno vita. In verità, posso tranquillamente affermare che l’esito delle elezioni regionali ha riconfermato, attraverso gli eletti in Consiglio regionale, una sostanziale riproposizione dello status quo. La mia vicenda, capolista di un partito che, è bene saperlo, mi ha chiesto dieci giorni prima della chiusura della lista di candidarmi, ma non mi ha appoggiato quasi per niente, è emblematico di ciò di cui sto discutendo. Sul piano personale, i settemila settecento voti assegnatimi da un elettorato composto da persone che non sarebbero andate a votare, o avrebbero per protesta votato il centrodestra, sono per me una grande conquista e un’enorme responsabilità. Si tratta di un capitale di risorsa politica che comunque esiste e che è stata capace di riattivare, ma che il Pd ha trascurato e trascura. Per questo la base elettorale ha dato fiducia alle mie credenziali, piuttosto che al partito. Questi voti sono, allo stesso tempo, il segnale della disfatta di un partito che fa soltanto finta di credere nel rinnovamento. Per tali ragioni sarà difficile uccidere il vecchio per far nascere il nuovo, come affermava Morin, ma sarà altrettanto difficile che il vecchio possa vivere a lungo nelle condizioni in cui si è. A questo punto è evidente che, se si prosegue così, si morirà tutti insieme. Docente di “Sociologia Economica” Università degli studi di Napoli “Federico II”.


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