Numero 4/2010

Page 1

4 Luglio/agosto 2010 – Anno XI

Reg. al Trib. di Napoli n. 5112 del 24/02/2000. Spedizione in abbonamento postale 70% Direzione Commerciale Imprese Regione Campania

I

Periodico della Fondazione Mezzogiorno Europa – Direttore Andrea Geremicca – Art director Luciano Pennino

Sul mezzogiorno si gioca l’avvenire del paese

l Mezzogiorno, assieme al Federalismo e alla Giustizia, è il terreno sul quale si decideranno i rapporti di forza al’interno dell’attuale maggioranza. E l’esistenza stessa di una maggioranza di centro destra. Sull’altro fronte si avrà la conferma o meno del centro sinistra come grande forza

NEL CAMMINO DELLE DONNE IL VOLTO DEL NUOVO SUD Giuseppe Provenzano

utile e nazionale. Alle prese com’è con la Questione settentrionale (che, tra l’altro, come questione non esiste) e con l’esigenza di contenere l’aggressione al proprio elettorato da parte della Lega e del PDL, il centro sinistra si pone e pone, certo, il problema del Mezzogiorno. Ma non sembra crederci più di tanto. Così stando le cose, si potrebbe dire che il Mezzogiorno è tornato al centro dell’agenda politica nazionale. Forse si. Ma sembra tornare tutto dentro un gioco tattico pre-elettorale, teso ciascuno a conquistare comunque consensi al Sud anziché porre il Sud realmente al centro di idee, proposte, strategie, programmi e progetti che guardino e si riferiscano agli interessi del paese e dell’Europa. Il problema è cogente e inquietante. Perché senza C’è un modo speciale per parlare di Sud: parlarne al femminile. E parlarne con le cronache, che nel Mezzogiorno hanno sempre del metaforico: cronache meridionali, si diceva una volta. Prendiamo lo scandalo di fine agosto, ridotto alla trama essenziale. A Messina, due uomini

| Andrea Geremicca

una prospettiva lunga e un respiro profondo il dualismo è destinato ad aggravarsi. E l’Italia a farsi sempre più piccola e meno competitiva. E ad approfondirsi il solco che divide il Nord e il Sud – una sorta di secessione strisciante – nella coscienza nazionale.

Tra le tante riflessioni su questi temi, colpisce quella esposta sul Corriere della Sera di fine Agosto da Ernesto Galli della Loggia, per il quale la questione che domina su tutte le altre la politica italiana è quella della coesione nazionale, ovvero il problea pagina 2 Ê ma di come…

Il futuro del Mezzogiorno è più che mai in Europa

Sudafrica Dopo la Coppa del Mondo torna il silenzio

Enzo Giustino

Enzo Nucci

Quando alcuni anni fa Giorgio Napolitano insieme ad alcuni suoi amici, in particolare Andrea Geremicca, scelse il binomio “Mezzogiorno Europa”, penso che non intendesse solo dare un nome ad un’associazione, oggi fondazione, ed un titolo ad una rivista. a pagina 4 Ê

L’arbitro inglese Howard Webb non ha avuto il tempo di fischiare il fine partita tra Spagna e Olanda che le strade polverose e malridotte delle township del Sudafrica sono tornate a bruciare come due anni fa. In realtà già una settimana a pagina 13 Ê prima…

litigano per invidie e gelosie, arrivano a menare le mani di fronte ad una donna, al corpo di una donna, che aveva bisogno di aiuto e ha rischiato la vita nell’indifferente furia cieca dei galli da combattimento. Il fatto che questi due uomini fossero dei medici dice poco, il fatto che fosse-

ro in sala parto è raccapricciante, il fatto che la donna fosse partoriente, che un maschietto di nome Antonio sia venuto al mondo in queste circostanze e che la conseguenza della rissa sia stata l’asportazione dell’utero della donna infittiscono l’ordito metaforico. a pagina 7 Ê

Le immagini che illustrano questo numero sono manifesti politici del Novecento dedicati alle donne.


2

| Andrea Geremicca

segue» Sul mezzogiorno si gioca l’avvenire del paese dalla prima pagina Ê

…tenere ancora assieme il Nord e il Sud del Paese. E mette a fuoco i due poli della “protesta” che rischia di lacerare il paese. Quella “nordista”, che pone problemi che non sono specifici del Nord, bensì dello Stato nazionale anche se al Nord se ne sente di più il peso. E quella “sudista” che si presenta come rivalsa antinordista, portatrice di un rivendicazionismo risanatore per il proprio mancato sviluppo. La “protesta” del Nord si accompagna, secondo l’Autore, all’affermazione in loco di una nuova classe politica, mentre quella del Sud non tiene in alcun conto il principale ostacolo di qualsiasi possibile sviluppo del Mezzogiorno: la pochezza delle classi dirigenti locali, che continuano a stare al loro posto perché votate dai propri elettori, i quali non si rendono conto

che le ragioni del Sud ci sono, ma non sono presentabili all’opinione pubblica del paese con qualche possibilità di successo fintanto che non le si strappa dalla mani di chi finora ha governato il Mezzogiorno, da destra e da sinistra. Abbiamo riportato diffusamente il ragionamento di Galli della Loggia perché ci sembra per molti versi convincente. D’altronde il problema, o meglio il danno di una mancata autocritica del Mezzogiorno è il tratto principale (da varie parti non condiviso, anzi contestato) della Fondazione Mezzogiorno Europa e di questa rivista. Ed è l’assillo del Presidente della Repubblica, al quale pare testualmente riferirsi Galli della Loggia: Se ci si sottrae ad un esercizio di responsabilità per quello che riguarda l’amministrazione della cosa pubblica nel Mezzogiorno – ha

osservato Giorgio Napolitano in un recente intervento a Napoli – non si hanno poi i titoli per resistere anche a interpretazioni le più perverse del Federalismo fiscale. Detto tutto questo, e riconosciuto quello che va riconosciuto, occorre tener presente un paio di questioni. Primo. Al netto dalla “pochezza” delle classi dirigenti meridionali, per gli interventi di propria competenza al Sud lo Stato nazionale può davvero dire di essere più trasparente ed efficiente dei poteri locali? E il governo nazionale, che ogni tanto lancia, chiude nel cassetto e rilancia il fantomatico “piano per il Mezzogiorno” (una scatola vuota, niente più di un titolo nei rapporti con i media e nel braccio di ferro tra le varie componenti interne, e quel poco di “pieno” che c’è, e un pieno per un verso insufficiente, per l’altro pericoloso), può davvero

sostenere di avere una reale strategia, un sistema organico di politiche pubbliche per il Mezzogiorno? Senza ripetere le cifre del divario, ormai note e arcinote, vogliamo parlare delle risorse destinate al Sud da alcuni Ministeri-chiave? A cominciare dai fondi per attrezzare gli Uffici giudiziari, spesso in condizioni penose, o per supportare le forze di Polizia, costrette alla lesina per la benzina, gli uomini e i mezzi in territori difficilissimi? Eppure si tratta di settori nei quali il Governo può legittimamente vantare qualche successo per l’intelligenza, l’impegno e il sacrificio degli addetti ai lavori. Figuriamoci gli altri. Secondo. Il Mezzogiorno è diventato come la tovaglia del barbiere: anche il più sprovveduto se lo può passare sulla faccia. Allora, al di là dei lamenti pietosi, chiediamoci se i governi e le forze politiche nazionali

sommario

Reagire alla decadenza Rilancio europeo Andrea Pierucci

Focus

Rapport UE‑Russia Carmine Zaccaria

he Afric Altroe nale i rnaz o r k   i n te

Europa

»

»

Andrea Pierucci

i l t u r a l t e   c u s i v i r d i   ee europ n e   ed  a c i r f a

da pag. 12 a

permanente

Euronote

Net w

23

»

»

27

»

»

34

I

N

T

E

S

A

S

pag. 20

A

N

P

A

O

L

O

Paesi del Sud del Mediterraneo. Crescita e opportunità di business nel contesto delle relazioni con l’Unione Europea A

L

C

E

N

T

R

O

D

E

L

L

A

R

I

V

I

S

T A


3

possono dire sul serio di non avere mai “utilizzato” per puro calcolo di potere le classi dirigenti meridionali, così come sono, per i voti che portano? Magari turandosi il naso: Rinunciando però a condurre una forte battaglia civile, culturale e politica per il risanamento e il rinnovamento del sistema politico e istituzionale meridionale. Ci si obietta: ma in democrazia sono gli elettori a dover procedere al ricambio delle proprie rappresentanze. Lasciamo stare la retorica. In un paese civile l’affermazione della democrazia e il consolidamento della coesione nazionale in ogni parte del territorio sono il frutto di politiche responsabili a livello locale e nazionale, di sistemi strutturati di partecipazione popolare, di un clima complessivo di crescita civile. Nel vuoto, prevalgono rassegnazione, sfiducia, conformismo e trasformismo. Trovano spazio da una parte le spinte “sudiste”, dall’altra quelle “nordiste”, che stressano il tessuto connettivo del Paese. La sollecitazione, da parte nostra, di un giudizio responsabile ed equilibrato sulle responsabilità da un lato delle classi dirigenti locali, dall’altro di quelle nazionali, non deriva solo da ragioni di correttezza e

oggettività. Deriva dalla preoccupata consapevolezza di una tendenza in atto, che va denunciata e combattuta: l’uso strumentale della “pochezza” delle classi dirigenti locali, della crisi (usiamola questa parola!) del regionalismo meridionale, per rilanciare in qualche modo una nuova centralizzazione dell’intervento pubblico nel Mezzogiorno. Mi riferisco

alla “Cabina di regia” che dovrebbe mettere assieme Stato e Regioni per programmare infrastrutture strategiche da attuare attraverso una Agenzia per lo sviluppo. Intendiamoci: il coordinamento dei diversi livelli istituzionali e dei diversi Fondi, europei compresi, (che assommano a circa 100 miliardi di lire) è cosa buona. E l’ipotesi di un’unica tecnostruttura

per realizzarli non ci fa gridare al pericolo di una nuova “Cassa”, può funzionare. Il rischio è che le Regioni, intimidite e condizionate dal fallimento pluridecennale della spesa pubblica nazionale ed europea attraverso una miriade di minuscoli interventi (a livello del cortile o del condominio), nel sacrosanto tentativo di reagire a spinte localistiche, deleghino di fatto i propri poteri di programmazione e controllo. E si lascino prendere la mano da opere faraoniche e inutili (penso al Ponte sullo Stretto) che con i reali interessi delle popolazioni meridionali hanno poco a che vedere. Staremo comunque a vedere il “punto sul Mezzogiorno” preannunciato da Berlusconi per ricucire il centro destra (e per evitare l’erosione elettorale al Sud da parte di Fini). Staremo a vedere l’ennesima riedizione del “piano per il Mezzogiorno”. Staremo a vedere le proposte delle minoranze. Auspicando che non si limitino a vedere e chiosare ma che sappiano promuovere il coinvolgimento e la partecipazione dei cittadini su un programma concreto e una prospettiva alta di sviluppo e rinnovamento. Alla quale questa rivista non mancherà di dare il proprio contributo.


4 Il futuro del Mezzogiorno è più che mai in Europa

Enzo Giustino dalla prima pagina Ê

…Egli con quell’espressione, a mio sommesso parere, intendeva anche riassumere il senso di una politica, l’unica concepibile per configurare un futuro per il Mezzogiorno. Sin da allora infatti, in ragione della sua lunga esperienza politica, in Italia e in Europa, all’attuale Presidente della Repubblica risultava abbastanza chiaro che il Mezzogiorno, con il declino del meridionalismo, ed il suo definitivo tramonto, poteva concepire il proprio futuro insieme al resto del paese certamente, ma solo in una prospettiva Europea. Con queste affermazioni non ho certamente la pretesa di voler o poter essere l’interprete del pensiero del Presidente, ma non posso nemmeno non ricordare che fu questa l’indicazione di fondo che ne ricavai quando in quegli anni fui tra coloro che ebbero il privilegio di essere chiamati a collaborare per dar vita all’associazione e alla rivista. In questi ultimi anni naturalmente molte cose sono cambiate. L’economia globale si è andata sempre più consolidando e l’ingresso sui mercati di grandi paesi ha sovvertito profondamente gli antichi equilibri. È poi intervenuta la crisi finanziaria ed economica, che pur essendo nata al di là dell’Atlantico, nell’era globale, non poteva non coinvolgere il mondo intero. In particolare l’Europa, con i suoi negativi riflessi sul suo cammino verso una unione politica e sociale, oltre che economica. Un obiettivo questo quanto mai importante per realizzare ciò che Neisbitt definì il “sogno europeo”. Una unione di Stati cioè fondata sulla democrazia, la libertà, la pace, lo


5 sviluppo economico, ma insieme anche la solidarietà sociale. Tra l’altro una via, come ci ha insegnato Jean Monnet – osservavo in occasione della ripubblicazione del suo libro di memorie – per perseguire con maggiore successo il bene supremo della pace in un continente storicamente litigioso. Tra l’altro, va ricordato ai giovani, capace di scatenare due guerre mondiali in meno di 26 anni nella prima metà del secolo scorso. Il problema che si pone oggi quindi, come conseguenza della crisi ancora in atto, è che quel processo ha subito una pericolosa battuta di arresto, con conseguenti tentazioni da parte dei paesi membri dell’Unione, per un ritorno a politiche protezionistiche. “L’Unione Europea sta morendo” ha scritto Charles Kupchan, su Il Sole 24 Ore; “Non una morte drammatica o improvvisa, ha aggiunto, ma una morte lenta e prolungata”. Come scongiurare tutto questo rilanciando il grande disegno dell’Europa unita, sembrerebbe essere divenuta l’autentica sfida del nostro tempo, una sfida che la Commissione Europea si è già posta, stimolata proprio dall’interessante dibattito che si va sviluppando tra autorevoli esponenti della politica, della cultura, dell’economia, del giornalismo. E i punti di riferimento per affrontare questa sfida, come si è già avuto occasione di ricordare in altra sede, sono essenzialmente due: Il rapporto sul mercato unico di Mario Monti, commissionato dal Presidente Barroso; il documento “Europa 2020”; “una strategia per una crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva” varato dalla Commissione Europea. Ma fermo restante l’importanza di quei documenti ed il prezioso contenuto degli stessi, ciò che va sottolineato sono le motivazioni che animano i responsabili della costruzione europea. In una recente intervista al Corriere della Sera, il Presidente Bar-

roso, commentando l’aspirazione dell’America a poter contare su una Europa più forte, ha testualmente affermato: “Immaginatevi in un mondo globalizzato come oggi se la Francia, la Germania o l’Italia si dovessero muovere da sole. Non sarebbero in grado di proteggere i loro interessi. Ai 27 diversi governi nazionali oggi conviene trovare una visione comune”. E questo ci riporta in Italia, e quindi al Mezzogiorno; al problema di come poter conciliare le aspirazioni del Nord – ma sarebbe più opportuno definirle interessi – con quelle del Sud. Ma anche qui parlare di interessi nemmeno sarebbe sbagliato. E proprio a questo riguardo, ciò che appare assolutamente certo è che il rilancio dell’Europa potrebbe essere vissuto dal Mezzogiorno come una opportunità. Soprattutto se il Mezzogiorno fosse in grado di creare al suo interno le condizioni atte a consolidare questa opportunità, assumendo tra l’altro una posizione strategica nel Mediterraneo con l’Europa e per l’Europa, si è sostenuto negli anni. Peraltro ancora prima che fosse progettata l’area Mediterranea di libero scambio e, successivamente, l’Unione per il Mediterraneo. Certamente, il Mezzogiorno, come è stato autorevolmente sostenuto, non può fare da solo. Ma i presupposti affinché possa essere valutato positivamente dal resto d’Italia e, soprattutto dall’Europa, e dal Mediterraneo, il Mezzogiorno non può che crearli da solo, al suo interno. Valorizzando le potenzialità e le risorse di cui dispone, dotandosi delle caratteristiche necessarie per indurre i possibili partners italiani, europei e mediterranei ad avere fiducia e conseguentemente a scommettere. E a questo proposito vale la pena richiamare ancora una volta Jean Monnet e l’ammonimento con cui conclude le sue memorie: “non possiamo fermarci quando introno a noi il mondo intero è in movimento”.


Internet, telefono,Tv o cellulare? Tutti e quattro.

FASTWEB si è fatta in quattro per te, ora è il tuo momento. Non più solo internet, telefono e Tv: da oggi puoi fare un altro passo avanti. Come? Fatti il cellulare FASTWEB. Anche perché sottoscrivere quattro servizi con un unico operatore non solo semplifica la vita, ma conviene. Entra anche tu nell’unica famiglia che può darti tutto questo: FASTWEB.

www.fastweb.it

chiama

192 192

Per info su copertura, costi di attivazione, tcg e offerta, visita www.fastweb.it, chiama 192 192 o rivolgiti presso i punti vendita.


NEL CAMMINO DELLE DONNE IL VOLTO DEL NUOVO SUD | Giuseppe Provenzano dalla prima pagina Ê

Chi ha avuto la ventura di trovarsi, quest’estate, dove non arrivano i giornali o tardano fino all’ora in cui la voglia e il bisogno di quotidiano finiscono, e ha poi provato a rimettersi in pari con gli arretrati, avrebbe potuto ritrovare un filo rosso dalle cronache: l’estate dei maschi e l’estate delle donne. Uomini (politici, per lo più – maschi politici) impegnati in duelli senza onore e cavalleria, soggetti a gossip diffamatori che hanno sempre per oggetto le donne, i loro tinelli. E poi le donne: corpi di donne in pubblicità per cui proviamo, con colpevole ritardo, un filo rosso di vergogna. E ancora, donne corpo del reato – un filo rosso di sangue: assassini selvaggi per strada, assassini domestici, stupri, abusi e “malamore”. Forse è giunto il momento di rimettersi a discutere, seriamente, di maschi e femmine, in un Paese che ancora dovrà fare i conti con le questioni dell’integrazione, e che oggi accoglie spudoratamente Gheddafi, commercia e converte hostess. Viene il sospetto che queste cronache al femminile siano solo i frammenti di uno specchio e restituiscano l’immagine, parziale e grave, della condizione femminile nel nostro Paese. Di qui l’urgenza di risalire dalla cronaca alla società, alle sue istituzioni, all’economia. Guardando all’Italia da Sud, laddove duole. A fine luglio, insieme a Luca Bianchi, Vicedirettore della SVIMEZ, abbiamo presentato un dossier sulla condizione femminile al Sud. Se c’è una questione femminile nel nostro Paese – come denunciano anche i recenti dati OCSE sul mercato del lavoro – è essenzialmente una questione meridionale. Le statistiche – le statistiche economiche, in particolare – arrivano molto dopo le storie di ogni stagione che tuttavia conquistano pagine e co-

7

ridotta, ma soprattutto si sono inesorabilmente chiuse le porte di accesso al lavoro per le giovani del Sud, nonostante, come vedremo, gli elevati tassi di scolarità. La dinamica aggrava dunque un contesto in cui la partecipazione al mercato del lavoro delle donne e dei giovani è già bassissima. Diversamente che in Europa, in Italia le differenze di genere nel tasso di disoccupazione continuano a essere elevate (6,8% per gli uomini e 9,3% per le donne). Nel Mezzogiorno, il tasso di disoccupazione femminile raggiunge, nei primi tre mesi del 2010, la percentuale del 17,6% (cinque punti in più di quello maschile, e più del doppio di quello delle donne settentrionali). Ma il tasso di disoccupazione racconta solo una parte della verità sul rapporto tra donne e lavoro al Sud: anche nella ricerca del lavoro si registra una sistematica emarginazione femminile. Il divario delle opportunità occupazionali rispetto agli uomini, alle donne del Nord, e soprattutto a quelle dell’Europa, emerge chiaramente dal tasso di occupazione. lonne nella stanca dell’agosto e, si sa, possono essere un formidabile anestetico. Ma metterle in fila tutte insieme fa una certa impressione. Perché i numeri stanno lì da tempo, offrono un’intelligenza fredda, fin troppo precisa: tanto da non sapere bene se siano più astratte le vicende individuali e le cronache elevate a simbolo o la cognizione complessiva dei fenomeni sociali. E allora, molto prima delle immagini sporche di sangue, eccole le fotografie della condizione delle donne nel Mezzogiorno: meno di una donna su tre lavora ufficialmente; una ragazza su tre, tra i 15 e i 29 anni, è fuori dal mercato del lavoro e dal sistema formativo; le donne sono più vulnerabili, più esposte al rischio di po-

Il tasso di occupazione nel Mezvertà e a condizioni di marginalità zogiorno, per una popolazione che e disagio sociale. va dai 15 ai 64 anni, ha raggiunto nel 2009 il valore allarmante del 44,7%, Le donne e per quanto riguarda la componente nella crisi femminile di appena il 30,6%: meno di una donna su tre, appunto – e in Nel 2009 in Italia hanno perso il Campania, Sicilia, Calabria e Puglia lavoro per la crisi 380mila persone: meno di 3 su 10. Sono percentuali nel solo Mezzogiorno 194mila, di cui molto distanti non solo dal resto del 125mila giovani tra i 15 e i 29 anni e Paese (dove il tasso di occupazione 49mila donne. Il calo della componen- è del 64,5% e quello femminile del te femminile, pur non raggiungendo 55,1%) ma anche dal resto dell’UE l’intensità di quello giovanile, emerge a 27 (rispettivamente il 64,6% e il in tutta la sua drammaticità se letto 58,6%): il tasso di occupazione delle insieme ai dati strutturali del mercato donne del Sud è di trenta punti infedel lavoro relativi alla disoccupazio- riore all’obiettivo fissato a Lisbona. ne e alla inattività femminile. Con la Come chiamarla, se non emergenza? crisi, la già modesta quota di donne Potrebbe mai essere materia da gomeridionali con un’occupazione si è verno tecnico?


8

NEL CAMMINO DELLE DONNE IL VOLTO DEL NUOVO SUD

La nuova forma di emarginazione sociale L’«inattività» delle giovani donne

Il grande paradosso delle donne (e dei giovani) meridionali

Nel 2009 i giovani italiani Neet (Not in education, employment or training), cioè che non studiano, non lavorano, né lo cercano, sono aumentati del 6,6% rispetto al 2008, superando i 2 milioni. Di questi, 850mila al Centro-Nord e 1,2 milioni al Sud. In quest’area, con poco più del 40% della popolazione di riferimento, si concentra circa il 60% dei Neet, che rappresentano il 30% della popolazione tra i 15 ed i 29 anni (a fronte del 15% del Centro-Nord). Le giovani donne Neet sono 1,1 milioni, di cui 646 mila vivono al Sud. L’incidenza della componente femminile nelle regioni del Mezzogiorno è drammatica: una ragazza di 15-29 anni su tre nel 2009 non ha svolto né attività di studio né risulta attiva sul mercato del lavoro; quasi due giovani Neet su tre sono donne. Bamboccioni, fannulloni – come direbbe la nostra classe dirigente? La verità è che questi dati rivelano come nel Mezzogiorno il modello familiare tradizionale, basato su un unico percettore di reddito e su ruoli sociali rigidamente divisi tra uomini e donne, lungi dall’essere al tramonto, trovi ancora una certa diffusione anche tra le nuove generazioni. In tal modo, le attese per un allargamento della partecipazione al mercato del lavoro e per un innalzamento dei tassi di occupazione femminili, secondo quanto previsto dagli obiettivi di Lisbona, ne risultano in larga misura frustrate.

generale aumentato la propensione all’«inattività», con un impatto più drastico per la componente femminile, mentre gli uomini, pur cercando meno attivamente, mantengono ancora qualche legame con il mercato del lavoro. Deve far riflettere, tuttavia, il fatto che nel 2009 il tasso di attività sia sceso al Sud al 51,1%: ciò vuol dire che una persona su due in età lavorativa è completamente estranea al mercato del lavoro regolare (non solo non ha una occupazione ma non segue i formali canali di ricerca di lavoro previsti dall’indagine ISTAT). Si tratta di un esercito di oltre sei milioni e mezzo di donne e uomini che partecipa ad Le difficoltà generate dalla fase un mondo “grigio”, tra l’attività irrerecessiva sembrano aver in linea golare nell’economia sommersa e la

ricerca estemporanea di lavori saltuari, attraverso canali informali se non di carattere clientelare; in molti casi, donne e uomini esposti al ricatto della criminalità organizzata e dell’economia mafiosa. Alla luce di queste considerazioni, il tasso di disoccupazione ufficiale è molto lontano dalla realtà, e in base alle correzioni SVIMEZ, raggiungerebbe nel Mezzogiorno il valore del 32,4%: un valore sicuramente più prossimo alle condizioni reali delle donne meridionali in quanto tiene conto delle tante “scoraggiate” che hanno smesso di compiere azioni formali di ricerca del lavoro perché hanno perso pure la speranza di trovarlo.

Il Mezzogiorno è una società doppiamente ingiusta dove le crescente disuguaglianza sociale si combina, accentuata, con una sempre più marcata disuguaglianza territoriale, e a fare le spese dell’una e dell’altra sono i giovani e le donne – soggetti deboli e risorse sottoutilizzate – in un curioso e terribile paradosso: essere le punte più avanzate della “modernizzazione” del Sud (persino sul piano civile) – perché hanno investito in un percorso di formazione e di conoscenza che li rende depositari di quel “capitale umano” che serve per competere nel mondo di oggi e per accumulare il “capitale sociale” necessario a porre le basi di una società diversa – e insieme le vittime designate di una società più immobile che altrove, e dunque più ingiusta, che finisce per sottoutilizzare o “espellere” le sue energie migliori. Negli ultimi anni, i giovani, e in particolare le donne, meridionali sono stati protagonisti di una rivoluzione che ha avuto al centro il mondo della scuola e dell’università. Almeno con riferimento all’istruzione primaria e secondaria, il divario tra Nord e Sud è stato colmato. E sono proprio le ragazze del Sud che hanno compiuto un balzo straordinario, passando dal 85,1% del 2000-2001 al 93,9% del 2008-2009 (una percentuale superiore al 92,9% del Centro-Nord). Ha inciso molto il minor tasso di abbandoni precoci delle ragazze rispetto ai ragazzi. E riflessi di questa migliore scolarizzazione si evincono dai risultati delle indagini sul rendimento degli studi che mostrano buone capacità


NEL CAMMINO DELLE DONNE IL VOLTO DEL NUOVO SUD | Giuseppe Provenzano

delle ragazze meridionali (in particolare in italiano).

alti livelli di formazione, sono in costante aumento. Il 2009, infatti, vede un sensibile aumento del peso delle donne pendolari in parte ascrivibile però alla parziale tenuta della componente femminile nella fase recessiva, a fronte di una forte flessione per gli uomini. Le donne rappresentano il 34,4% dell’occupazione totale del Mezzogiorno e salgono dal 21,6% al 23,6% degli occupati che lavorano altrove. Se studiare, per le donne, serve soprattutto ad emigrare, allora conviene prendere d’anticipo la via del Nord, già al momento della scelta universitaria o subito dopo la laurea. Per fornire l’ultima istantanea disponibile: nel 2007 gli emigranti post lauream erano il 24% del totale dei laureati meridionali (in maggioranza donne) e i mobili non tornati il 17,5%, percentuali entrambe in crescita rispetto al 2004, mentre i mobili tornati erano solo il 9,5% del totale (per lo più uomini), in diminuzione rispetto all’indagine precedente. Insomma, le donne, una volta emigrate, tendono a non tornare.

Con riferimento all’istruzione terziaria, i progressi sono ancora più evidenti. La quota di donne meridionali laureate, con 25 anni, è pari al 50% della popolazione di riferimento, avendo raggiunto negli ultimi anni i livelli del Centro-Nord. È una percentuale ben più elevata rispetto a quella maschile, che si arresta nel Sud al 34,8% (contro il 37,1% del resto del Paese). Straordinari passi avanti sono evidenziati dal tasso di iscrizione all’Università: le giovani donne del Sud, dal 2004 al 2009, sono passate da un tasso di iscrizione universitaria del 45,6% al 51,3% – non solo di gran lunga superiore a quella maschile (35,5%), ma ben al di sopra del tasso di iscrizione femminile del Centro-Nord (41,1%). Tuttavia, questi grandi progressi rischiano di essere vanificati da un’insufficiente capacità del sistema produttivo di assorbire queste preziose risorse umane, che in mancanza di opportunità di lavoro, sono destinate inevitabilmente alla emigrazione, specie dei giovani maggiormente qualificati. E negli ultimi anni, infatti, il tasso di passaggio all’università, dopo un forte incremento, comincia a declinare. La condizione lavorativa dei giovani, al Sud, molto più che al CentroNord, è infatti di “mala occupazione”: ad esempio, la mancata corrispondenza, soprattutto per i giovani meridionali, tra titolo di studio e posizione professionale. In base agli ultimi dati disponibili, nel 2005, ben 3,7 milioni di persone in Italia erano sottoccupate, possedevano cioè un titolo superiore a quello richiesto dalla professione. Di questi, oltre la metà erano giovani che lavoravano da meno di cinque anni. Il fenomeno assumeva un’intensità intollerabile per le giovani

9

donne laureate che, in oltre la metà dei casi, risultavano “sottoinquadrate”, svolgevano una professione che richiedeva una qualifica più bassa rispetto a quella posseduta. Eufemismi, per una nuova forma, e subdola, di sfruttamento del lavoro.

Le giovani donne “espulse” dal Mezzogiorno Anche il fenomeno migratorio negli ultimi quindici anni riflette i profondi cambiamenti che hanno interessato la struttura economica e la società meridionale – caratterizzandosi infatti per il crescente coinvolgimento della componente giovanile

più scolarizzata e per una maggiore partecipazione delle donne. È proprio quest’ultimo uno dei principali elementi di diversità rispetto alle emigrazioni degli anni Sessanta: una presenza femminile che rappresenta ormai stabilmente quasi la metà dei migranti e in alcune realtà territoriali costituisce la maggioranza. All’emigrazione “tradizionale”, si aggiunge una “nuova” emigrazione che prende il nome di “pendolarismo di lungo raggio” (residenti meridionali che lavorano nel Centro-Nord, un’emigrazione “precaria” che non consente il trasferimento di residenza). Tale fenomeno rivela una sua peculiarità anche con riferimento al genere. Tra i pendolari, le donne, giovani e con

È settembre, e questi numeri si volgono più facilmente in volti. Tra tutti, nella mente sfila l’esercito di insegnanti meridionali (per lo più, donne) che, per effetto dei tagli della Gelmini (incomprensibilmente – cioè, comprensibilmente – squilibrati a livello territoriale), non trovano più un posto di lavoro nel Mezzogiorno e sono costrette ad accettare gli incarichi annuali al Nord per continuare a fare il lavoro che amano, con la paura della reazione dei figli e una buona dose di orgoglio, per resistere alle umiliazioni del nuovo razzismo nordista al potere. Tra loro si chiamano “le deportate” – e stanno lottando e digiunando per protesta, di fronte ai provveditorati, al Ministero, al Parlamento, suscitando le reazioni scandalosamente tarde e lente di fine


10

NEL CAMMINO DELLE DONNE IL VOLTO DEL NUOVO SUD

estate. Sono il frammento dolente di un’intera generazione di donne meridionali cacciate, o in fuga.

Nord, in un quadro in cui, tuttavia, l’andamento decrescente dei matrimoni, nel Mezzogiorno, a partire dagli anni Ottanta, è stato più regolare e intenso. Ormai, non esistono più le giovani mogli e madri “prolifiche” del Sud, con tutto l’apparato simbolico e le conseguenze realissime – spesso nefaste – che ne derivavano.

Le conseguenze di un modello sociale che penalizza le donne meridionali

Gli altri volti del Sud

Ci sono diversi motivi per ritenere che il basso livello di attività e di occupazione femminile siano le principali determinanti della povertà e dell’arretratezza del Sud. Le inadeguatezze e i divari dello “stato dei beni pubblici”, del sistema di welfare, gravano in larga misura sulla condizione delle donne meridionali, determinando conseguenze sul piano individuale, sociale e demografico. La mancanza di lavoro è sicuramente la principale causa dell’esposizione al rischio di povertà: le donne meridionali sono le più vulnerabili. Su un totale di 11 milioni e 152 mila persone a rischio di povertà in Italia (18,7% degli individui), 6 milioni e 838 mila risiedono nel Mezzogiorno. Il rischio di povertà riguarda oltre 3 milioni e seicento mila donne meridionali, il 34% contro il 12,6% delle donne settentrionali. Percentuali in entrambi i casi sensibilmente superiori a quelle maschili. Il maggior numero di persone a carico e il minor numero di percettori di reddito (il 40% a un solo percettore – e dunque, il maschio – contro il 30% del Centro-Nord) fa emergere la debolezza strutturale delle famiglie meridionali, ancora più esposte nella crisi. In particolare, le famiglie del Mezzogiorno con un solo percettore (e dunque, il maschio) hanno, nel 30,9% dei casi, due o più familiari a carico (e il 17,7% ne ha più di tre).

In Sicilia, per dire, le famiglie con un Eppure le condizioni socio-econosolo percettore superano la metà miche finiscono per modificare anche del totale. comportamenti sociali e propensioni culturali ben radicate. Un mercato Il sistema di welfare familiare e del lavoro che non offre opportunità informale che ancora in molti casi è occupazionali, un sistema di welfare dominante nel Mezzogiorno, si regge che sfavorisce la conciliazione lavosulla donna, non lavoratrice, relega- ro-famiglia, di fatto precludono, o ta ad un ruolo casalingo secondo un comunque ritardano, la scelta di fare modello sociale tradizionale: alleva- figli. Nel 2008 il numero medio di fire i bambini, accudire gli anziani. Lo gli per donna è stato 1,34 nel Mezè “istituzionalmente”, se nel 2006 zogiorno e 1,42 nel Centro-Nord. Anappena 4 bambini da 0 a 3 anni su che se il sorpasso del Nord è dovuto 100 hanno potuto usufruire degli asi- principalmente alle donne straniere. li nido, contro i 16 del Centro-Nord. L’età media della maternità è stata E non va meglio sul fronte anziani: nel 2008 di 32 anni al Centro-Nord nel 2008 la percentuale di over 65 contro i 30,7 del Sud. Del resto, retrattati con assistenza domiciliare siste al Sud la tendenza a contrarre integrata è stata al Sud la metà del matrimonio a un’età media relativaCentro-Nord. mente più giovane rispetto al Centro-

Se è vero che la struttura sociale (e istituzionale) del Mezzogiorno tende a consolidare e riproporre un ruolo “marginale” delle donne è vero l’esatto l’inverso: è proprio questa condizione delle donne che contribuisce a mantenere lo stato delle cose al Sud. Tuttavia, sfuggono a questo circolo vizioso un numero sempre crescente di donne che si vanno affermando nel mondo delle professioni liberali, nel mondo della scuola (le insegnanti, l’esercito di maestre elementari), nel terzo settore, nell’industria culturale, nel mondo dell’arte. Ad una loro crescente presenza, tuttavia, non sempre (anzi, assai di rado) corrisponde il relativo peso in posizioni apicali – di cui, la rappresentanza politica è per molti versi un aspetto. Eppure, questi segnali indicano che il processo di affermazione economica e sociale della donna – benché “istituzionalmente” sfavorito – anche nel Mezzogiorno si avvia al compimento. Le giovani donne che studiano, quelle che lottano per conquistare posizioni lavorative adeguate o quelle versano in “mala occupazione”, quelle in marcia verso il Centro-Nord, smentiscono definitivamente quel luogo comune radicato sulle donne meridionali “remissive”, subordinate al maschio e veicolo di un sistema di valori regressivo. C’è una complessità storica in questo luogo comune urticante che nemmeno la superficialità di


NEL CAMMINO DELLE DONNE IL VOLTO DEL NUOVO SUD | Giuseppe Provenzano

quest’epoca del politicamente corretto può rimuovere. E con cui bisogna provare a fare i conti. Leonardo Sciascia, in una sua scandalosa intervista di quasi quarant’anni fa, parlò delle “zie di Sicilia”, evidenziando come al limitato ruolo pubblico corrispondeva – in Sicilia, al Sud – il dominio assoluto della donna all’interno del nucleo familiare. Proprio nella centralità delle figure femminili nella struttura chiusa della casa e delle relazioni di vicinato (“il matriarcato meridionale”), Sciascia denunciava la funzione di tramandare un malinteso corredo valoriale di onore (più spesso, sessuale) e di vincoli arcaici di sangue da cui scaturisce violenza e vendetta: le radici della mafiosità. Tesi estrema, nel senso propriamente sciasciano di portare alle estreme conseguenze un ragionamento: eppure, non può essere un caso che Cosa Nostra venga chiamata dagli affiliati “Mamma Santissima”. Il ruolo crescente e recente delle donne nell’organizzazione criminale – a cui sono affidate mansioni precise e talvolta la reggenza della cosca nell’assenza dell’uomo (il marito, il padre) arrestato o latitante – un po’ trasforma e un po’ riafferma questa ascendenza matriarcale. Discorso complesso, da affrontare altrove. Uscendo da una dimensione propriamente mafiologica e isolana, tuttavia, questa figura femminile denunciata da Sciascia, ricorda molto da vicino la “casalinga di Montegrano”, su cui Banfield si concentra nella sua fortunata (benché discutibile) indagine sul “familismo amorale”. Già la storia del Mezzogiorno, antica e recente, si è incaricata di fornire esempi eccelsi di ben altro immaginario femminile, che affermano il ruolo “progressivo” della donna nella società meridionale. Sia consentito, ancora, un necessario richiamo alla Sicilia. Durante le rivolte dei fasci contadini di fine Ottocento, non furono rari i casi in cui furono

straordinariamente protagoniste le donne contadine, e vittime di odiose violenze nella repressione. Dagli anni che vanno dal secondo dopoguerra ad oggi, attinge il bel libro di Nando dalla Chiesa, intitolato “Le ribelli. Storie di donne che hanno sfidato la mafia per amore”. Racconta sei storie, più o meno recenti, talvolta tragiche e drammatiche, che testimoniano non solo l’amore (materno, filiale, fraterno, carnale: sentimenti che potrebbe essere malintesi nel nostro ragionamento) ma la tempra morale, il valore, il coraggio di un universo femminile che sfida Cosa Nostra e lo Stato, che rompono con un modello culturale che avrebbe reso impossibile i loro gesti e la loro testimonianza. Altri volti del Sud.

L’archetipo di quest’altra figura di donna siciliana, meridionale, rimane Francesca Serio, la madre del sindacalista socialista e contadino Salvatore Carnevale, il suo unico figlio ucciso dalla mafia del feudo di Sciara, provincia di Palermo. Rimangono le parole, memorabili, con cui Carlo Levi descrive le sue rughe e il suo dolore: «Parla, racconta, ragiona, discute, accusa, rapidissima e precisa, alternando il dialetto e l’italiano, la narrazione distesa e la logica dell’interpretazione, ed è tutta e soltanto in quel continuo discorso senza fine, tutta intera: la sua vita di contadina, il suo passato di donna abbandonata e poi vedova, il suo lavoro di anni, la morte del figlio, e la solitudine e la casa, e Sciara, e la Sicilia, e la vita tutta,

11

chiusa in quel corso violento e ordinato di parole. Niente altro esiste di lei e per lei, se non questo processo del feudo, della condizione servile contadina, il processo della mafia e dello Stato. Così questa donna si è fatta in un giorno: le lacrime non sono più lacrime ma parole, e le parole sono pietre». Non serve aggiungere altro, si può solo rammentare che in quel processo – che poi si tenne a Napoli – si fronteggiarono due avvocati, quello dei mandanti mafiosi e quello di parte civile: Giovanni Leone e Sandro Pertini… Ora – e con ciò vorremmo concludere, provando a resistere alla retorica che s’accosta minacciosa – a raccogliere un’eredità speciale ed eccezionale delle donne meridionali impegnate nelle lotte contadine, nelle battaglie di civiltà, delle ribelli alla mafia, è una generazione intera. Nelle tante giovani donne in marcia per formarsi altrove, nelle tante precarie della scuola “deportate”, in quelle che rimangono a lottare per un lavoro alla loro altezza, sembra di scorgere le Antigoni moderne di un Sud che, per un nuovo progetto e modello di sviluppo, ha bisogno di far saltare regole e convenzioni sociali che ne ostacolano l’affermazione. E che, senza coerenti politiche di sviluppo, continuerà a fornire elementi di fondatezza a quel luogo comune che ripudiamo. D’estate, nel Mezzogiorno, può capitare di andare giro per uno di quei paesini dove tardano i giornali, i giorni e la modernità. E di incontrare, come una bizzarria dell’agosto, ragazze di vent’anni che hanno studiato, che probabilmente se ne sarebbero andate e che invece rimangono tra mille difficoltà a fare cose belle e importanti. Guidano associazioni, sono impegnate nella cosa pubblica, qualcuna fa il sindaco. A vederle, sembra di scorgere il volto nuovo del Sud.


12

|  AltreAfriche  |

Sudafrica Dopo la Coppa del Mondo torna il silenzio

ferite negli scontri tra sudafricani di colore e immigrati, mentre un giovane commesso somalo di 19 anni era stato ucciso nel corso di un saccheggio del negozio dove aiutava un parente. Esercizi commerciali gestiti da stranieri attaccati, saccheggiati e bruciati. Nel mirino immigrati provenienti da Somalia, Zimbabwe, Malawi, Mozambico, Nigeria, paesi da cui scappano per cercare pane e libertà Enzo Nucci in quella che per antonomasia viene dalla prima pagina Ê di Kya Sands (nella regione del We- indicata come la “nazione arcobalestern Cape, principale epicentro del- no” per il crogiuolo di culture, etnie e …della finale dei mondiali di calcio ci le violenze) 5 persone erano rimaste religioni diverse che faticosamente sono stati i primi sanguinosi segnali che la fragile pace sociale era giunta di nuovo al capolinea. Nessun organo di informazione ha dato infatti notizia che già dal 4 luglio erano ripresi gli attacchi xenofobi contro gli stranieri. Così come nell’imminenza dei campionati sono sparite dai giornali le indiscrezioni su uno strano suicidio di una delle guardie del corpo della terza moglie del presidente Jacob Zuma, al centro di uno scandalo sessuale. Insomma la classe dirigente sudafricana ha perfettamente capito che la Coppa del Mondo (per la prima volta approdata in Africa) era una occasione storica per richiamare l’attenzione di almeno due miliardi di telespettatori. Una chance mediatica seconda per importanza soltanto alla liberazione di Nelson Mandela dal carcere di Robben Island nel 1990, dopo 27 anni di detenzione. E quindi era necessario che la festa continuasse senza brutte notizie, accantonando sotto il tappeto problemi e polemiche. È stato un silenzioso passa parola a diffondere le informazioni che nella township

convivono. A drammatizzare una situazione già difficile c’è stato l’esodo silenzioso cominciato il 4 luglio dalla township di Paarl (sempre nell’area di Città del Capo) di un nutrito gruppo di immigrati clandestini dello Zimbabwe che per sfuggire alle violenze ha cercato disperatamente di raggiungere in massa Johannesburg per cercare di tornare nel paese d’origine, con la consapevolezza di andare incontro a dure sanzioni per essere usciti clandestinamente dal paese e consegnarsi quindi nelle braccia della bieca dittatura di Robert Mugabe con la prospettiva di morire in carcere di inedia. In Sudafrica la xenofobia è una emergenza che rischia di acquisire caratteri endemici. La caccia allo straniero scuote ciclicamente il paese con una violenza inaudita, l’ultima in ordine di tempo si è registrata nel maggio 2008. Milioni di stranieri si sono riversati qui in cerca di lavoro e libertà dopo la fine dell’apartheid nel 1990. Scappano da pae­si poveri e oppressi da sanguinose dittature. Il numero esatto non si conosce ma alcuni analisti ipotizzano che gli immigrati clandestini siano tra i due ed i tre milioni. Sono tutti disposti a fare i lavori più umili e duri con salari inferiori a quelli previsti dalla legge. Nasce così la guerra tra poveri con le accuse nei confronti degli immigrati di “rubare il lavoro”. Eppure una gran parte del miracolo economico sudafricano è dovuto proprio a questa forza lavoro a basso costo ma qualificata, senza diritti sindacali e che non accede allo stato sociale. Le township (dove sono concentrate le masse disperate di colore) si infiammano, scatta così la caccia agli stranieri che diventano capri


|  AltreAfriche  | Gli analisti politici sudafricani sottolineano la mancanza di una legislazione adeguata sulla immigrazione

espiatori per i diseredati delle periferie, delusi dalla lentezza del cambiamento. N e r i contro neri, fratelli contro fratelli, poveri contro coloro che sono ancora più poveri. Linciaggi, saccheggi, negozi dati alle fiamme, poveracci bruciati vivi o uccisi a bastonate. Le bidonville di Johannesburg e quelle di Capetown invase da polizia ed esercito, troppo spesso colti di sorpresa da queste ondate di violenza ed incapaci di contenerle. Specialmente per un europeo è difficile comprendere la natura di questi rigurgiti xenofobici in un paese con il 90 per cento della popolazione di colore contro disperati in fuga da paesi vicini che in passato hanno anche sostenuto la lotta contro la segregazione razziale. Eppure le autorità di Pretoria continuano a definire questi attacchi come “episodi legati alla criminalità”. Il presidente Zuma rincara la dose aggiungendo che “non ci sarebbero prove certe che si tratti di xenofobia”. Ma il 18 luglio in occasione del compleanno di Mandela è stato costretto a rivolgere un invito alla tolleranza “prendendo esempio dal primo presidente di colore sudafricano che è stato aiutato da amici e cugini degli altri paesi confinanti durante gli anni della lotta all’apartheid”. Come sottolinea “The Migrant” (inserto settimanale del diffuso quotidiano “The Star” di Johannesburg), “la xenofobia in Sudafrica resterà irrisolta fino a quando sarà negata l’esistenza del problema. La colpa viene attribuita genericamente ai criminali delle township o ai braccianti rimasti senza

13

lavoro ma non si affrontano i problemi di un paese con confini facili da attraversare. Manca una politica per l’occupazione e la distribuzione della terra, programmi per

l’istruzione e sanitari”. Per “The Migrant” stiamo assistendo “alla lotta per la sopravvivenza tra i poveri. Come si spiega altrimenti il fatto che la comunità sudafricana per decenni ha assistito senza colpo ferire all’arrivo di migliaia di minatori provenienti da tutta l’Africa Sub­ sahariana?”. Il giornale accusa il governo di inefficienza per non avere avviato una politica per accogliere profughi ed immigrati. Non è casuale – afferma un notista politico – che le manifestazioni contro gli stranieri siano più forti in quelle comunità rimaste deluse dalle molte promesse non mantenute e dove le autorità locali sono completamente impotenti nel gestire l’emergenza. “Come integrare i bambini stranieri con quelli delle comunità stanziali? Come fa il sistema sanitario già al collasso a gestire l’afflusso di milioni di immigrati e fronteggiare aids e tubercolosi? Qualcuno ha pensato di fermare lo sfruttamento degli immigrati nel settore agricolo bloccando anche le grandi aziende che ne approfittano violando le leggi sul lavoro? A tutto questo si aggiunge un trattamento inumano e ingiusto da parte delle forze di sicurezza” conclude l’editoriale del giornale. Gli analisti politici sudafricani sottolineano la mancanza di una legislazione adeguata sulla immigrazione, al contrario dei paesi confinanti dove i

flussi sono regolati rigidamente. In queste nazioni i richiedenti asilo sono interrogati velocemente dalla polizia per stabilire se ne hanno diritto. Poi vengono affidati all’Unhcr (l’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite) ed in Botswana ad esempio vengono portati in campi appositi dove vengono alloggiati, sfamati e percepiscono anche uno stipendio mensile. Questi profughi restano ospiti delle strutture fino a quando non hanno un lavoro, corsi di studio da seguire. Mentre i loro datori di lavoro devono dimostrare che non ci sono connazionali pronti a svolgere quel particolare lavoro. Insomma un sistema molto rigido – osservano gli analisti – ma che non produce frizioni sociali. Il dibattito sulla violenza contro gli stranieri appassiona più gli intellettuali che i politici. Nadine Gordimer, vincitri-

ce del premio Nobel per la letteratura nel 1991, attivista fin dagli anni cinquanta contro l’apartheid, spiega che “xenofobia è il risultato di una somma di problemi, quello più grave è la povertà. Il Sudafrica sta dando rifugio a milioni di immigrati. La loro presenza crea un conflitto di interessi con coloro che si ritengono gli unici proprietari dei mezzi di produzione. Mandela ha restituito la libertà anche agli oppressori bianchi liberandoli dai loro sensi di colpa. Ma penso che in realtà il razzismo non sia mai stato sconfitto completamente. Bianchi, neri e meticci non sono in realtà parte di un processo unitario di sviluppo. E negli ultimi anni c’è stata una nuova frattura con l’avanzata della crisi economica”. Per comprendere la gravità del fenomeno, basta visitare la Chiesa Metodista Centrale di Johannesburg


14

|  AltreAfriche  |

dove da 4 anni vivono accampati tremila immigrati. Qui nessuno ha permessi di soggiorno o di lavoro: sono tutti clandestini senza diritti e identità. Questi “invisibili” dormono in chiesa a terra, nei corridoi, dove riescono a trovare posto. Le condizioni igieniche sono precarie e la promiscuità favorisce le violenze. La chiesa nel maggio del 2008 fu attaccata da bande di facinorosi. La decisione di aprire le porte del tempio è stata presa tra molte polemiche da Paul Verryn, vescovo della chiesa metodista, che sottolinea come tra questi immigrati (provenienti da Zimbabwe, Congo, Burundi, Uganda, Kenya e Mozambico) ci sono anche senza tetto sudafricani. Molti di loro hanno titoli di studio di alto livello e qualificazione professionale ma i datori di lavoro li sfruttano anche per due settimane e poi non li pagano con la minaccia di denunciarli come clandestini alle autorità, spalancando quindi le porte del carcere e la successiva espulsione dal paese. L’alto prelato (un bianco di 57 anni, in prima fila durante la lotta all’apartheid) aggiunge che sulle violenze del 2008 non è mai stata avviata nessuna inchiesta giudiziaria per individuare i responsabili degli incidenti xenofobi. E sintetizza che “oggi lo scontro in Sudafrica non è tra neri e bianchi ma tra ricchi e poveri perché il 4 per cento della popolazione qui è proprietario del 40 per cento delle risorse. Certo, è un miracolo che il paese sia cambiato così profondamente in modo pacifico e a velocità sostenuta. Ma siamo diventati compiacenti e arroganti, con una enorme mancanza di rispetto verso le persone. Ed anche il mondo religioso sta facendo poco per cambiare”. Il vescovo con questa affermazione mette il dito nella piaga. C’è ormai consapevolezza che dal 1994 (anno della fine dell’apartheid) ad oggi il vero

segno di cambiamento è stata la creazione del “black diamond” (il diamante nero), una espressione che indica la ricca ed elitaria borghesia di colore in ascesa. Questi nuovi ricchi sono collegati al gruppo dirigente dell’African National Congress al potere ed hanno trasformato la loro militanza politica o in alcuni casi il coinvolgimento nella lotta di liberazione nel facile strumento di successo imprenditoriale. Nonostante che il 40 per cento della popolazione sopravviva con due dollari al giorno, la filosofia dell’arricchimento personale è stata promossa dagli stessi leader dell’Anc, un partito politicamente molto composito ma con salde radici nella cultura panafricana e socialista comune alla gran parte dei vecchi movimenti di liberazione del continente nero. È ancora scolpita nella memoria il richiamo dell’ex presidente Phumzile Mlambo-Nguka al diritto dei sudafricani neri di diventare degli “sporchi ricchi”: insomma una rivalsa nei confronti degli ex oppressori bianchi ma che non cambia nei fatti un modello di sviluppo iniquo. Ecco dunque tra gli eroi della liberazione un fiorire di industriali di colore impegnati nei settori dell’estrazione dei diamanti e petrolio, banche, assicurazioni, telecomunicazioni, energia. Ed anche qui il conflitto di interessi è all’ordine del giorno perché molti di questi industriali sono anche esponenti di punta della dirigenza dell’Anc che lavorano grazie ad appalti e concessioni ottenute dal governo retto dall’Anc. A favorire l’ascesa di questa élite è stato il Bee (Black Economic Empower­ment), una riforma varata per agevolare l’ingresso della gente di colore – storicamente emarginata – in posizioni dirigenziali nelle industrie. Ma il Bee ha finito per favorire solo una ristretta cerchia di persone lanciandole in ruoli manageriali (e troppo spesso senza alcun merito o

competenza) garantendo alle società un canale preferenziale per i finanziamenti pubblici. Questo ha provocato una caccia da parte dei gruppi economici a cittadini di colore cui affidare ruoli di semplice rappresentanza per percepire soldi pubblici e continuando a mantenere saldamente il controllo in mani bianche. I risultati sono disastrosi perché il Bee è servito a creare una comunità di top manager di scarse capacità senza favorire l’imprenditorialità nera e senza alcuna trasformazione del sistema produttivo, favorendo così la de-industrializzazione e quindi il generale impoverimento dell’economia sudafricana. Insomma quello che era stato pensato da Mandela come “il colpo di grazia all’oligarchia dell’apartheid si è rivelato un boomerang che ha favorito una classe ristretta di plutocrati dal-

la pelle scura” ha scritto l’economista nero Moeletsi Mbeki, fratello dell’ex presidente Thabo Mbeki. A Jacob Zuma, eletto il 23 aprile 2009, spetta il ruolo più difficile. Il neo­ presidente è passato indenne attraverso due grandi scandali: una violenza sessuale commessa nei confronti di una donna sieropositiva ed una brutta storia di tangenti elargite da una società francese per una fornitura d’armi allo stato. Zuma è stato appoggiato dai sindacati e dalle ali estremiste dell’Anc a cui ha promesso molte cose. Ad un anno dal suo insediamento non è ancora riuscito a tener fede agli impegni assunti in campagna elettorale. E le contestazioni cominciano a farsi sentire con scioperi e cortei di medici, tassisti e altre categorie. Gli investimenti pubblici per la World Cup di calcio sono stati enormi


|  AltreAfriche  | ed hanno contribuito a contenere la recessione che ha caratterizzato l’economia mondiale. Il potenziamento della rete stradale e dei sistemi di trasporto pubblico dovrebbe cominciare a dare impulso alla produttività. I campionati hanno generato la creazione di 129 mila posti di lavoro tra diretti e indiretti, anche se in gran parte stagionali. Tutto questo ha contribuito alla ripresa nei primi sei mesi di quest’anno dopo la forte contrazione del 2009: gli economisti prevedono infatti una crescita economica superiore al 3 per cento. Ma nessuno si illude che i campionati del mondo possano risolvere tutti i problemi dei 50 milioni di abitanti. Il Sudafrica da solo produce un quarto del reddito dell’intero continente nero eppure la disoccupazione supera il 26 per cento mentre 20 milioni di persone vivono al di sotto della soglia di povertà. I problemi connessi alla diffusa indigenza sono enormi. Il 76 per cento dei casi di violenza domestica è legato all’abuso di alcol mentre il 25 per cento delle donne subisce aggressioni da parte del proprio partner. La nazione arcobaleno detiene il triste primato del più alto livello al mondo di omicidi di donne commessi dal partner: una donna è uccisa ogni sei ore mentre si registra uno stupro ogni 26 secondi. Sono 5 milioni e 700 mila le persone infette dall’Hiv che fanno del Sudafrica la nazione con la più alta incidenza di contagio al mondo. Ogni giorno qui il virus infetta

mille persone mentre sono 800 mila quelle sottoposte a trattamento farmaceutico con gli antiretrovirali ma la mortalità resta altissima. L’Aids miete 800 vittime al giorno con un impat to enorme sulla vita sociale e sull’economia. La malattia ha prodotto un milione di orfani per la morte di entrambi i genitori. Mark Heywood è il vice presidente del Sanac (South Africa National Aids Council), l’organismo pubblico che monitora il virus. Spiega che l’infezione ha avuto una diffusione esponenziale durante i dieci anni di presidenza della repubblica di Thabo Mbeki tra il 1999 ed il 2008. Mbeki è addirittura arrivato a negare l’esistenza dell’Aids, considerato il frutto della cospirazione della industria farmaceutica al servizio di quanti accusavano la popolazione di colore di incontinenza sessuale: insomma un modo per dimostrare che i neri non erano in grado di governare. Una posizione che ancora oggi resta inspiegabile per un presidente colto, con studi di economia in Inghilterra ma che ha contribuito alla colpevole trasmissione del virus. Non è casuale che l’unica volta che Nelson Mandela è intervenuto sulla politica interna sudafricana dopo la fine del suo mandato presidenziale sia stato proprio per attaccare Mbeki e le sue tesi “negazioniste” dell’aids. Il nuovo presidente Jacob Zuma ha invertito la rotta decidendo grandi investimenti nel settore sanitario anche per

Dalla fine dell’apartheid il vero segno di cambiamento è l’ascesa del “black diamond”, ricca ed elitaria borghesia di colore

fermare la pericolosa espansione della tubercolosi. Campagne di informazione stanno bombardando il paese in una disperata corsa contro il tempo perduto. Per Zuma la strada si presenta in salita spiega Raenette Taljaard, docente di scienze politiche all’università di Città del Capo, editorialista di importanti quotidiani, che vanta anche il primato di essere stata la più giovane donna eletta al parlamento sudafricano, prima di lasciarlo nel 2004. “È un momento delicato per la vita del paese – spiega la docente – e Zuma non ha poteri sufficienti, la sua azione politica è limitata. Non ha il controllo totale del governo. La sua credibilità è compromessa dalle polemiche sulla sua vita privata, le cinque mogli, i 20 figli. La coalizione che lo sostiene è fortemente condizionata dal piccolo ma influente partito comunista e dai sindacati, un’alleanza nata durante gli anni della transizione ma che oggi rischia di paralizzare l’attività governativa. La corruzione è una epidemia che infetta i centri decisionali locali e nazionali, ai livelli alti e bassi: nonostante le tante chiacchiere non c’è ancora nessuna iniziativa concreta per arginare un fenomeno che rischia di travolgere il paese”. L’African National Congress resta il partito più rappresentativo del Sudafrica post-apartheid in grado di raccogliere quasi il 65 per cento dei voti. La mancanza di altri raggruppamenti in grado di impensierire seriamente la leadership ne garantisce la continuità della linea politica. Il partito di Mandela non è un monolite ma al suo interno convivono anime di diversa ispirazione. George Bizos è stato per decenni l’avvocato difensore di Mandela durante gli anni dell’apartheid. È amico personale del grande leader. La sua famiglia fuggì dalla Grecia invasa dai nazisti e trovò rifugio in Sudafrica.

15

Bizos è uno dei padri della nuova costituzione sudafricana. Ci spiega che “diritto a casa, educazione, salute, eguaglianza sono i pilastri della carta costituzionale. Certo siamo ancora lontani dalla completa realizzazione ma in 16 anni sono state costruite 2 milioni e duecentomila nuove abitazioni e molti più bambini frequentano le scuole. La povertà è ancora diffusa, le donne non occupano posti di comando e molti ancora confondono i privilegi con i diritti. Ci vuole tempo, molto tempo”. Anche in Sudafrica la Cina è entrata a gamba tesa per conquistare spazi e potere all’interno di quella che è stata definitiva la “locomotrice” economica del continente. L’industria tessile, una volta fiore all’occhiello del paese, è stata cancellata dall’invasione di prodotti del Dragone: a farne le spese ancora una volta migliaia di lavoratori di colore che sono rimasti senza lavoro. Ma per comprendere il crescente peso politico di Pechino sulla politica sudafricana, basti pensare che poco prima dei Mondiali le autorità di Pretoria hanno negato il visto di ingresso al Dalai Lama che doveva partecipare ad una manifestazione promossa da molti premi Nobel. Il “niet” è arrivato su pressione neanche tanto occulta della Cina facendo aprire il dibattito su una classe dirigente formatasi nella lotta all’apartheid e che oggi applica gli stessi metodi dei propri oppressori. Una brutta pagina della politica sudafricana, su cui restano appuntate molte speranze per il riscatto di un continente dalle grandi potenzialità. Mai come oggi il Sudafrica guarda all’Europa ed agli Stati Uniti in particolare. I modelli di riferimento sono ancorati saldamente nell’occidente a tal punto da fare del Sudafrica il paese meno africano del continente. Forse c’è ancora tempo per salvaguardare l’eredità di Mandela.


16

|  AltreAfriche  |

Nasce il Centro Studi Partenopeo “Altre Afriche”

I n una partnership dai contenuti innovativi e dalle modalità condivise, l’Università degli Studi di Napoli “Parthenope”e la Fondazione “Mezzogiorno Europa” inaugurano con la nascita del Centro Studi “Altre Afriche” una nuova stagione di ricerca e di internazionalizzazione della conoscenza. Attraversare il continente africano a nord e a sud del Sahara e connetterlo con le macroaree dell’Europa e del Mediterraneo, è un viaggio e un progetto, è la definizione di una infrastruttura che ci porta lontano lungo le rotte della conoscenza. Siamo in un periodo di grande Uliana Guarnaccia – Anna Maria Valentino* fermento per gli studi di africanistica e nel contempo si aprono nuove prospettive per il superamento della crisi economica. Questi due elementi sono legati da una sperimentazione su più livelli nel campo della ricerca, mentre il dibattito si sposta dalla mera conta dei danni della crisi all’individuazione di soluzioni originali. La terza via del mercato e il capitalismo solidale diventano possibili vie d’uscita da una ricetta contro la crisi che fin qui ha tagliato in modo indiscriminato le finanze pubbliche e i servizi sociali, senza tener conto che la domanda di welfare cresce in prossimità del disagio e della disoccupazione. Sull’onda di una impasse che coinvolge governanti del nord e dei Sud del mondo, si fa strada una terapia che vede al centro la figura dell’imprenditore sociale, in una contaminazione tra efficienza del management d’impresa e impegno per la lotta alle diseguaglianze sociali. La nomina recente a vicesindaco di New York di Stephen Goldsmith autore del libro “The power of social innovation”, è un segnale che anche nel cuore del capitalismo si sta pensando di battere strade nuove per reinventare lo Stato. L’Etica economica e la Responsabilità Sociale d’Impresa si

per l’Etica Economica e la Comunicazione, un luogo inedito della ricerca e dell’internazionalizzazione

emancipano dalle ideologie e sperimentano nuovi modelli: in cima alla filiera troviamo personalità tra loro distanti per formazione e provenienza geografica, Muhammad Yunus e Bill Gates che tra microcredito e attività filantropica vincono il Nobel per la Pace (Yunus) e trasferiscono da Microsoft all’impresa sociale il genio dell’efficienza (Gates). Il fattore “comunicazione” diventa lo snodo di una rete interconnessa di mobilitazione civica e di informazione che corre lungo i crinali della “globalizzazione che funziona” e implementa il quadro strategico delineato dall’UNESCO per l’Africa (Diversità e Pluralismo culturale nell’ambito dello Sviluppo Sostenibile) anche in termini di diritti umani e culturali, di ambiente e salute, di clima e democrazia, di flussi dal basso dell’informazione. Numerosi sembrano essere stati negli ultimi anni gli elementi che hanno contribuito a ridimensionare o quantomeno a bilanciare il ruolo dei grandi assetti proprietari nella circolazione dei flussi di comunicazione a livello mondiale. I citizen journalists, l’informazione dal basso e le nuove di-


|  AltreAfriche  | namiche di partecipazione basate sulle reti informatiche e sull’integrazione tra mezzi di comunicazione e contenuti diversi, hanno indubbiamente corroso almeno in parte i monopoli informativi detenuti dai grandi attori che avevano fino a poco più di un decennio fa dominato la scena mondiale per lo più incontrastati. Ma se le innovazioni tecnologiche e l’incentivo alla partecipazione dei singoli individui alla diffusione delle informazioni hanno portato indubbiamente ad una crescita esponenziale della quantità delle informazioni disponibili su singoli temi di attualità, rimangono pur sempre i grandi gruppi editoriali, le grandi agenzie di stampa e i network occidentali a delimitare l’agenda delle priorità e dei focus di interesse su cui un pubblico globale è invitato di volta in volta a concentrarsi. Una mappatura informativa dominante che continua ad essere in gran parte basata – per necessaria sintesi dei contenuti ed efficacia commerciale – su lacune e asimmetrie; che riduce il mondo ad un centro striminzito circondato da una periferia indistinta, con poche alture illuminate che continuano a lasciare interi continenti in ombra. Parallelamente all’importante azione delle reti informative e comunitarie dal basso, rimane altrettanto centrale il ruolo di tutti quegli attori della vita culturale, intellettuale e artistica che, riuscendo a interagire al di sopra o tra i margini delle logiche economiche dominanti, possono contribuire a riportare al centro dell’attenzione voci e luoghi destinati altrimenti (come le Afriche) ad un inevitabile oblio mediatico. Attori che, particolarmente nel caso di quelli istituzionali, devono essere in grado di cogliere i fermenti già in atto sul versante delle nuove esigenze di partecipazione alla vita pubblica e alla gestione delle comunità allargate, che in tempi di crisi economica non pos-

sono continuare ad essere del tutto manchevoli in termini di servizi e di feedback al cittadino; mentre allo stesso tempo non mancano esempi brillanti di auto-organizzazione sociale o di innovazione tecnologica dal basso in aree fino a poco fa decentrate che si riflettono positivamente sia sulla comunità di appartenenza geografica che trasversalmente su comunità o singoli raggiunti attraverso reti informative. E la ridefinizione di nuovi parametri economici e culturali di crescita non potrà più prescindere da una nuova classificazione degli indici del benessere, mentre i criteri del PIL così come sono subiranno una progressiva emarginazione, non contemplando le variabili che misurano gli stili di vita (v. qualità dei servizi sociali e grado di avanzamento culturale, sostenibilità ambientale ma soprattutto diffusione dell’informazione libera). Le finalità del Centro Studi “Altre Afriche” hanno dunque questo contesto. E le attività di analisi, ricerca, studio e formazione sui territori andranno a costruire una rete globale di scienziati, ricercatori, intellettuali, artisti con l’obiettivo di costruire l’ “infrastruttura culturale” che proverà a decodificare le Afriche subsahariane. Il cuore di questa operazione è costituito dal Network internazionale di riviste e media AltreAfriche creato dalla Fondazione Mezzogiorno Europa e di cui si è scritto su questa rivista qualche numero fa. E le Afriche e i Sud del mondo diventano il luogo dell’elaborazione e del dialogo pubblico tra istituzioni, società civile, attori non statali, università, imprese e loro stakeholder per promuovere studi interdisciplinari nel solco della cooperazione internazionale, della solidarietà, della pace. *Fondazione Mezzogiorno Europa

17


18

|  AltreAfriche  |

Ho conosciuto Mamadou Diarra, Governatore della Regione di Mopti, della Repubblica del Mali, circa due anni fa. Volle conoscermi avendo saputo della mia ormai quadriennale attività d’architetto in Mali, fondata sull’utilizzazione massima delle risorse locali, in materiali e mano d’opera e sul rispetto del paesaggio. Queste mie scelte coincidono infatti con la sua visione dello sviluppo. Al primo incontro mi disse: “Un paese come il nostro non si può sviluppare se non impara a risolvere i propri problemi utilizzando le proprie risorse umane e materiali”. Pochi giorni dopo mi ha invitato ad assistere al Consiglio Regionale. In quella occasione ha parlato delle zone della riva sinistra che per 7 mesi all’anno sono isolate a causa dell’abbassamento del livello del fiume che impedisce la navigazione e perciò la commercializzazione dei prodotti. La strada che scorre lungo la riva sinistra è interrotta più volte da canali di drenaggio verso il fiume. È pertanto necessario prevedere dei ponti per permettere la libera circolazione tutto l’anno. A questo punto sono intervenuto suggerendo di realizzare i ponti con pietra locale piuttosto che in cemento armato, con grande risparmio di importazione. Mentre il Governatore ha immediatamente aderito alla proposta, la maggior parte dei consiglieri ha mostrato dubbi e diffidenza. Ho spiegato loro che il cemento armato esiste da meno di due secoli mentre le costruzioni in pietra o in mattoni, dai tempi antichi sono ancora oggi presenti e in ottimo stato. IL Governatore mi ha incaricato di istruire degli operai maliani a realizzare un prototipo di ponte; mi ha inviato 10 taglia pietre, 10 car-

CONVERSAZIONE CON IL GOVERNATORE DI MOPTI USO DELLE RISORSE LOCALI E COINVOLGIMENTO DELLE POPOLAZIONI Fabrizio Carola*

pentieri e 10 muratori con i quali abbiamo realizzato sul mio cantiere un ponte di 4 metri di luce. Siamo ora in fase di studio per realizza-

re 10 ponti di varia portata. Dopo la Regione e che saranno realizzati questo esperimento mi ha chiesto con i materiali locali. una serie di progetti che rientrano Oggi, 20 agosto, sono nel suo nel suo programma di sviluppo del- ufficio per porgli alcune domande. Signor Governatore, vorrei che spiegasse ai lettori italiani quali sono per lei i nuovi criteri di sviluppo. Per decine di anni è stata adottata dai pae­si occidentali una politica di aiuti all’Africa basati sull’aiuto alimentare e sull’importazione di oggetti fabbricati in Europa e imposti sui mercati Africani. Questa politica, non solo non ha prodotto sviluppo ma ha falsato la cultura locale e creato dei falsi bisogni che hanno impoverito le popolazioni perché possono essere soddisfatti solo tramite una costosa importazione. Adesso sto adottando un nuova strada da percorrere, basata su due punti essenziali: massimo utilizzo delle risorse locali e coinvolgimento delle popolazioni nelle scelte e nelle decisioni. Questo però presuppone informazione e formazione: scuole, insegnanti e formatori. Lei è venuto a Napoli il mese scorso, ci racconta questa esperienza? Sono venuto a Napoli accompagnato da 4 funzionari della Regione


|  AltreAfriche  | di Mopti, invitato dai Lyons di Napoli. L’obiettivo era di concordare con loro una azione nella mia Regione. Precedentemente i Lyons avevano manifestato l’intenzione di sperimentare una nuova forma di aiuto allo sviluppo contando soprattutto sulla formazione e creazione di attività. Mi hanno chiesto di scegliere un villaggio campione sul quale avrebbero concentrato il loro impegno per sperimentare il nuovo processo di sviluppo. La proposta mi sembrava coerente con quanto affermato da me precedentemente. D’accordo con il Consiglio Regionale ho accettato la sfida e l’invito a Napoli. Abbiamo siglato un protocollo d’accordo e un programma d’azione che prevede come primo obiettivo la produzione di conserva di pomodoro. È un prodotto che fa parte della nostra dieta alimentare ma che siamo obbligati di importare dall’Europa perché non sappiamo produrlo. È solo il primo esperimento: se riesce sarà seguito da molte altre attività che impegneranno le popolazioni rurali nella direzione di uno sviluppo autonomo. Che impressione ha avuto di Napoli? È una città bellissima! Abbiamo avuto un’accoglienza principesca fin dallo sbarco all’aeroporto. Ci hanno poi portato a Pompei dove abbiamo partecipato alla cerimonia di insediamento del nuovo Presidente dei Lions. Siamo stati presentati alla assemblea dei soci e invitati a una grande cena. Nei giorni seguenti siamo stati condotti a visitare Sorrento, Capri, la Reggia di Caserta e, naturalmente, Napoli. Devo dire che siamo rimasti molto impressionati dalla bellezza delle architetture e dei paesaggi e dalla gentilezza delle persone. Abbiamo avuto la possibilità di stabilire fruttuosi accordi con i nostri amici dei Lions Club per la produzione delle conserve di pomodoro e la lotta contro il paludismo che è molto presente nel nostro territorio. Vorrei dire ancora che per me Capri è stato sempre un mito e, a causa di una canzone francese che parlava di Capri, ero convinto che fosse in Francia… Sono stato molto contento di scoprirla davanti a me a Napoli e finalmente di visitarla. Ho potuto anche constatare che la pietra,

come affermava Fabrizio, è un materiale da costruzione solido e duraturo molto usato in Europa fin dai tempi antichi e cercheremo di diffonderne l’uso in Mali al posto del cemento armato di importazione. Ringrazio il Dottor Ermanno Bocchini, il Pre-

19

sidente e tutti i membri del Lions Club di Napoli per la generosa accoglienza e per lo sforzo che vorranno sostenere per il miglioramento delle condizioni di vita del mio Paese. *Architetto, Presidente Associazione Napoli: Europa Africa (N:EA)


20 |

AltreAfriche  |

6-7-8 settembre 2010- Université de Bordeaux CEAN – IEP de Bordeaux Il Congresso sugli Studi Africani in Francia, che segue quello del 2006, è organizzato da una delle Reti Tematiche Pluridisciplinari (settore Africa) del Consiglio Nazionale della Ricerca Scientifica (CNRS), dall’Università di Bordeaux, dal Centro di Studi d’Africa Nera (CEAN), dall’Istituto di Studi Politici di Bordeaux, dall’Università di Pau e dei Pays de l’Adour e dalla regione Aquitania. Già il titolo provocatorio Reiventare l’Africa? è indicativo della situazione degli Studi Africani in Francia e ne riassume lo stato della ricerca, evidenziandone l’intenzione di riposizionarsi. Il Congresso sviluppa relazioni, dibattiti, una tavola rotonda di riviste e pubblicazioni, incontri tra i luoghi della formazione (master e dottorati). In programma anche due documentari e un film che propongono con diverse declinazioni il tema della rottura dei legami di dipendenza e dell’affermarsi delle rivendicazioni per uno sviluppo autocentrato e plurale. Sullo sfondo emerge la necessità di acquisire e sistematizzare i dati in flussi coerenti di ricerca scientifica. Le tematiche: una riflessione sugli Obiettivi di Sviluppo del Millennio nella loro declinazione africana, una lettura critica del cinquantenario delle indipendenze, un riesame delle tematiche classiche: lo Stato in Africa, la parentela, le classi sociali, la territorialità, le costituzioni, la sanità, secondo le evoluzioni che le società africane hanno conosciuto nel corso degli ultimi venti anni. Ecco dunque l’idea della nuova genesi dell’Africa nello spirito dei ricercatori francesi. Dal punto di vista della storia degli studi africanisti questo secondo congresso vuole essere il proseguimento di un rito di rifondazione dell’oggetto e dei metodi della ricerca. In attesa delle conclusioni del congresso di Bordeaux, si evince oggi la necessità, non solo in Francia, di una nuova produzione di senso nell’approccio epistemologico e simbolico del rapporto con l’Africa. * Antropologo Buudu Africa (Centro Internazionale per l’Africa), Roma

Reinventare l’Africa? Anteprima del 2° Congresso di Studi Africani in Francia Godefroy Sankara*



Web Application Web Solution

E-commerce

www.kiui.it

Mobile Application

Siti e Portali aziendali

Web-tv

Web marketing Web design

Vuoi rinfrescarti sul Web

?


L

a sensazione generale che provo personalmente guardando i fatti della politica e dell’economia in molti paesi europei – l’Italia non è certamente un’eccezione – è che ci sia rassegnati alla decadenza dell’Europa e dei paesi in questione e che si agisca solo per governarla. In altre parole, mi pare che, visto l’affacciarsi sulla scena internazionale di paesi finora poveri ed affamati o esclusi da questa scena per ragioni politiche, si consideri che a noi resta solo una fetta decrescente del benessere mondiale. Bisogna far buon viso a cattivo gioco. Salari più bassi, distribuzione del reddito da paese povero (pochi ricchissimi e molti poverissimi), rinuncia all’eccellenza nell’educazione e nella ricerca, profilo internazionale basso o bassissimo. Per condire il tutto e far ingoiare la pillola, i media, televisione in testa, propongono modelli umani tristemente decadenti, i comportamenti sociali ordinari divengono aggressivi, talora chiaramente razzisti e più volgari; più precisamente, si fa di tutto perché questo appaia o accada e la propaganda filogovernativa, almeno in Italia, valorizza tali comportamenti. Il bello (o, piuttosto, il brutto) è che questa linea si presenta come egemone, ove più ove meno, in questi paesi e coinvolge pienamente governo e opposizioni. Questo è meno vero se si guarda l’Europa, come strutture ed istituzioni dell’Unione europea. Qua la linea è ancora quella della “pace e del progresso” secondo i Trattati istitutivi. La contraddizione è stridente, anche perché una parte dei protagonisti sono proprio quei governi nazionali che, a casa loro, favoriscono il processo di decadenza. Vediamo qualche elemento concreto a sostegno di questa riflessione. La crisi finanziaria iniziata nel 2007 sembra più o meno finita, con molti effetti negativi, specie nella sfera sociale, ma senza i disastri di quella del 1929. Le due crisi si sono rivelate differenti anche per il diverso assetto politico internazionale e per la stessa presenza dell’Unione europea, che ha giocato un effetto demoltiplicatore delle conseguenze di questa situazione, così come i grandi paesi, la Cina, per esempio, che hanno risentito in modo relativamente modesto della crisi. È particolarmente importante l’effetto di demoltiplicazione da parte dell’unione europea, allorché si sarebbe voluta prolungare la crisi con un attacco sfrenato ai bilanci degli Stati membri ed ai relativi debiti. L’Unione, come si è visto, ha reagito con qualche esitazione, ma in modo tale

23 Reagire alla decadenza Rilancio europeo Andrea Pierucci

da mettere fuori gioco questa speculazione, con buona pace dei profeti di sciagure, sicuri che l’EURO sarebbe rapidamente scomparso dalla scena monetaria, come diceva da ultimo domenica 20 agosto Enrico Brivio su Il Sole 24 Ore. Il risultato della crisi, in ogni caso è stato duplice. Da un

lato, infatti, siamo “ritornati” alla situazione precedente (valore dell’EURO, stabilità delle banche, fiducia – roba da pazzi – nelle agenzie di rating, ecc.). Dall’altro lato, invece, si sono installate una crisi sociale complessa e gravi difficoltà di bilancio degli Stati membri o, almeno, di alcuni di essi.


24

La risposta è stata: ridurre gli spazi contrattuali, limitare i salari e, soprattutto, i diritti dei lavoratori, sacrificandoli alla competitività ed al rafforzamento dei guadagni degli investitori e, quanto ai bilanci, tagliare a più non posso; in particolare i tagli hanno colpito in molti paesi, primo fra tutti il nostro, le spese che preparano l’avvenire, scuola, ricerca e simili. Le stesse banche non sembrano particolarmente spinte a sostenere l’economia reale, fra il timore degli insoluti e l’aspettativa – ancora! – di guadagni strepitosi con investimenti al limite del brivido.

Anche la Cina ci attacca sul rispetto dei diritti fondamentali Dunque, sembra che per uscire dalla crisi si debba guadagnare di meno (o, più precisamente, ridistribuire il reddito verso “l’alto”, verso i detentori di titoli di proprietà delle imprese, verso il mercato “virtuale” dei titoli esclusivamente speculativi), si debba rinunciare ad un po’ di qualificazione dei cittadini e dei futuri cittadini, magari ad un po’ di cultura, ad un po’ di ricerca e innovazione (qualcuno lo farà per noi, sicuramente!),

a qualche diritto, tanto ce n’abbiamo abbastanza. In una parola, la ricetta magica sembra la decadenza! Si badi, noi continuiamo a prendere come parametri di riferimento i successi e le condizioni degli Stati emergenti, Brasile, India e, soprattutto, Cina. Certo, a breve, una riflessione di brevissimo periodo sulla concorrenza potrebbe consigliarci in questo senso. A più lunga scadenza, la differenza sostanziale sarà che noi “scendiamo” e gli altri “salgono”. La stessa Cina s’interroga sui salari (tant’è che proprio recentemente c’è stato un aumento dei salari minimi in quasi tutte le province di ben il 20% – Le Monde del 19 agosto), sui diritti (più di trecento cattedre universitarie sono state create negli ultimi anni, una scuola europea è stata creata per la formazione di giudici e avvocati sulla questione dei diritti, dal 6 all’8 settembre prossimo si svolgerà un grande Forum nazionale e uno dei soggetti sarà il dialogo sociale), sulla ricerca e sulla produzione ad alti livelli tecnologici, nonché sulla relativa formazione universitaria. Sembra che il trend positivo cinese cominci ormai a toccare anche la politica, se, come le stesse autorità cinesi invocano a gran voce (con un po’ d’ipocrisia e un po’ di buona volontà), è necessaria una società civile efficace e combattiva. Né vale la pena di fare riferimento al Brasile o all’India, dove, mutatis mutandis, troviamo uno scenario di crescita economica, ma anche civile molto importante. Paradossalmente, se la linea europea e quella cinese continueranno secondo questo trend, ci sentiremo chiedere fra un po’ dai Cinesi dei conti sul rispetto dei diritti fondamentali da parte nostra! Peraltro è cosa fatta. I giornali cinesi, il Quotidiano del popolo fra gli altri, critica la Francia per il mancato rispetto dei diritti fondamentali nella questione dei Rom.

Due linee a confronto Ho detto linea europea? Ah! Dobbiamo chiarire la situazione! In effetti, la linea europea sembra un’altra. Vediamo una lista di fattori che indurrebbero a pensare che l’Europa, nel suo complesso, abbia ben altre ambizioni, che, in fondo, non creda affatto nella decadenza come prospettiva e, anzi, lanci proposte d’avvenire. Cominciamo con l’idea di una sorta di “programmazione” lanciata con la strategia di Lisbona e confermata con la strategia Europa 2020 appena adottata (17 giugno) dai Capi di Stato e di governo a partire dal progetto della Commissione Barroso. Non starò a fare l’analisi dei risultati dell’una o delle prospettive dell’altra. Mi limiterò a ricordare che la prima strategia puntava su un’Europa fondata su un’economia della conoscenza, capace di primeggiare o, almeno, di dare un contributo importante nel quadro della globalizzazione. Europa 2020 punta fortemente sulla questione ambientale, fonte di salute e di salvezza del pianeta, ma anche fonte di sviluppo economico sociale e, direi, etico. Entrambe pongono l’accento sul ruolo della ricerca e dell’istruzione come chiavi essenziali della strategia. Certo, indicano anche con forza, la necessità di adattare il sistema sociale alle nuove realtà, ma sempre nel quadro di una strategia di rilancio dell’Europa e di stop al declino. Che ne è negli Stati membri o in molti di essi? Le questioni ambientali? Un freno alla produzione! La ricerca? Costa troppo! Non parliamo poi dell’educazione: nel migliore dei casi si favorisce la scuola privata, nel peggiore si riduce la scolarità. Diceva uno slogan sindacale belga degli anni 90: se l’educazione costa troppo, proviamo con l’ignoranza. Preso in parola! Diritti: avete detto diritti? La Carta dei diritti fondamentali è entrata in vigore in dicembre, è diventata, come si dice, giustiziabile. Inoltre, l’UE ha sviluppato con una collaborazione fra Commissione e Comitato economico e sociale europeo un Forum dell’integrazione. Migranti, Rom, poveri, handicappati e altri soggetti a rischio di marginalità sono visti come soggetti da proteggere e rispetto ai quali fare una politica d’integrazione. A giusto titolo protestiamo quando uno Stato terzo lede i diritti fondamentali. Di nuovo, l’UE si pone in una posizione di progresso, di apertura a tutti gli uomini – certo non senza contraddizioni – di leader mondiale del rispetto dei diritti fondamentali. Bene. È di questi giorni la decisione di Sarkozy di buttar fuori dalla Francia un po’ Rom; si


25 badi, non solo gli extracomunitari, ma soprattutto i Rumeni o gli Ungheresi e, eventualmente, si è detto, i Francesi. Capite, sono zingari….L’Italia. Pomigliano d’Arco. Non so bene i termini della vicenda e non oso pronunciarmi sui singoli fatti. Resta che la FIAT ha chiesto espressamente una limitazione dei diritti dei lavoratori, con l’accordo del governo, la condiscendenza supina di alcuni sindacati, l’ambiguità, salvo la FIOM, del terzo. Cosa si può dire quando si sente un’affermazione di un leader sindacale che dice (a cuor leggero?) che i lavoratori avrebbero comunque vinto il referendum perché potevano votare chi per il lavoro, chi per i diritti! Non parliamo della libertà di stampa. L’Italia è solo un faro luminoso, che altri vorrebbero seguire! Certo, certo la libertà di stampa esiste, forse un po’ condizionata dal fatto che riguarda solo marginalmente il vettore televisivo e che anche i giornali di opposizione non parlano altro che del Capo, pardon del Presidente del Consiglio (il suo nome è la prima parola di quasi tutti i titoli di testa anche del principale giornale di opposizione). Veniamo direttamente al fatto di attualità: le restrizioni di bilancio. Abbiamo visto come le riduzioni di bilancio tocchino fortemente settori nei quali l’Unione chiede invece un più forte impegno (vi ricordate la questione del 3% del PIL dedicato alla ricerca… si fa per ridere…). Ma la contraddizione non concerne solo i principi, le grandi strategie contro i piccoli aggiustamenti quotidiani, la dura necessità della competitività. No, riguardano proprio orientamenti presi a Bruxelles dai Capi di Stato e di governo nel medesimo momento nel quale i sullodati proponevano il contrario a casa loro. Nelle conclusioni (allegato I) del Consiglio europeo del 17 giugno si legge, dopo la

Sulle due prime questioni non c’è discorso: i tagli più dolorosi (non certo i soli) sono avvenuti proprio su istruzione e ricerca. Sul terzo punto, ricorderò che siamo nell’anno della lotta contro la povertà e l’esclusione sociale e che, in quest’occasione, il Consiglio europeo ha approvato piani per ridurre di 20 milioni il numero di poveri in Europa con opportune declinazioni nazionali. A prima vista, questo problema non fa veramente parte delle priorità dei bilanci pubblici. Eppure con percentuali di povertà assoluta e relativa che raggiungono livelli elevatissimi, la china della decadenza è ben bene dotata del suo selciato.

sottolineatura della necessità di risanare i bilanci pubblici, che ci si deve impegnare per: - Migliorare i livelli d’istruzione, in particolare mirando a ridurre i tassi di dispersione scolastica al di sotto del 10% e aumentando la percentuale delle persone tra i 30 e i 34 anni che hanno completato l’istruzione terziaria o equivalente almeno al 40%. - Migliorare le condizioni per la ricerca e lo sviluppo, in particolare allo scopo di portare al 3% del PIL i livelli d’investimento pubblico e privato combinati in tale settore. - Promuovere l’inclusione sociale, in particolare attraverso la riduzione della povertà, mirando a liberare almeno 20 milioni di persone dal rischio di povertà e di esclusione.

C’è un pilota sull’aereo? Ma, perché queste contraddizioni? È vero che i nostri governanti hanno sempre detto una cosa a Bruxelles e ne hanno fatta un’altra a Roma o a Parigi. Niente di nuovo sotto il sole. Invece no. La questione è che oggi vi sono chiaramente strategie di lunga durata contraddittorie. A Bruxelles si punta sul rafforzamento dell’Unione, sul suo mantenimento come struttura chiave della politica (non solo economica) internazionale, come strumento per “la pace ed il progresso” dei suoi Stati membri, secondo le indicazioni dei Trattati, e, appunto a Roma, a Parigi o a Londra, per non fare che degli esempi, si punta ad accettare la decadenza. E, ormai, questa corsa alla decadenza non è più arrestata da nessuno. In Italia neanche il silente Partito Democratico fa troppe storie e per quel che riguarda la sinistra… non si spara sulla Croce Rossa. Oppure s’immagina che una struttura economica e politica che favorisce una distribuzione dei redditi sempre più ineguale sia un serio ostacolo alla decadenza. Se non ricordo male, anche nella teoria economica, è invece proprio un segno di sottosviluppo; non sono sicuro che sia davvero, anche, un pegno di competitività internazionale.



F O

C

U

S

P E R

M A N

E

N T E

A cura di Carmine Zacaria

RAPPORTI UE-RUSSIA In pieno agosto prende il via il Focus Permanente ue‑russia nelle pagine della prestigiosa pubblicazione che ospita questa iniziativa: Mezzogiorno Europa. Coordinare questo Focus è un privilegio ma comporta anche grandi responsabilità. Coniugare le posizioni di chi scrive, da sempre vicine alla Federazione Russa, con l’obbiettività. Il terreno dei rapporti UE-RUSSIA è a volte un campo minato difficile da trattare in Occidente. Affrontare questo viaggio, che è anche un’avventura entusiasmante, diventa semplice partendo da una parola russa: Pravda, verità. Il nostro lavoro sarà all’insegna della verità e della corretta informazione. I grandi giornali del nostro Paese trattano la materia in modo alquanto approssimativo e molte volte proiettando all’esterno un’immagine della Russia non vera. Un autorevole opinionista di un settimanale ha dichiarato che la Russia non è un sole nascente, ma al tramonto. Ecco la cattiva informazione, scampoli di notizie, saldi di fine estate. Oggi la Russia è attore globale negli scenari geopolitici mondiali. Un Focus Permanente servirà anche a questo. Aprire un confronto con i colleghi della nostra stampa nazionale e anche con i colleghi della Stampa Estera ospite in Italia. Daremo la parola a esperti stranieri di politica internazionale e a molti nomi autorevoli del nostro Paese. Ue e Russia coprono il grosso delle terre emerse. E in fondo, verso il Mare di Bering siamo a un passo dall’Alaska. Questo mare è un ponte ideale che ci ricongiunge all’America. Forse è giunto il momento di intensificare i rapporti dell’ Europa (quella vera e definitiva, Ue e Russia insieme) con gli USA per costruire un Mondo all’insegna della Pace e

dello Sviluppo. Terrorismo, fame, grande calamità devono vedere unite queste forze per far fronte a eventi quali quelli occorsi al popolo del Pakistan in queste ore. Non c’è vera Europa senza Russia. Tentare di dialogare direttamente con l’Asia Centrale è tempo perso. Tentare la creazione di Bypass geografici per indebolire la Federazione Russa aggirandola, illudendosi di risolvere i problemi energetici della nostra vecchia e gloriosa Europa, significa non volerli risolvere. L’Eni è sulla buona strada, non freniamola e non svendiamola. L’Italia è in prima fila nel processo di soluzione dei problemi dell’energia che ci necessita in quanto Europa. Il Gas è a poca distanza e con le ulteriori grandi reti in costruzione è sempre più a portata di mano. I paesi del BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) e i loro mercati emergenti hanno fame di energia. Non commettiamo l’errore di spingere le risorge energetiche della Russia verso la Cina, tra le braccia del gigante asiatico che tra l’altro preme agli estremi confini russi con il suo bisogno di spazio. L’Europa, per fare questo, deve uscire da logiche ristrette e pensare in grande non in quanto somma di stati ma come attore unico. Il Focus Permanente dovrà informare innanzitutto, diventare uno strumento a disposizione di chi vuole conoscere e capire in profondità l’Universo Russia e i suoi rapporti profondi con l’Europa e l’Italia in particolare. Dovrà avvicinare a questi scenari uomini politici, imprenditori, studiosi e semplici cittadini. Alla presentazione della seconda parte della ricerca sui rapporti energetici UE-RUSSIA presso l’Unione Industriali di Napoli tanta era la presenza e l’attenzione dei giovani delle nostre Università. Altre iniziative, alcune già in corso, quali pubblicazioni, siti e telegiornali sosterranno lo spirito del Focus. Molte di queste iniziative guardano verso Mosca e saranno presenti in sedi stabili a Mosca e Minsk, garantendo una approfondimento dei temi direttamente dove hanno origine. Tutta questa informazione confluirà verso il Focus che siamo certi possa diventare un punto di riferimento per ulteriori proficui sviluppi nei rapporti UE-Russia a tutti i livelli.

27


F O

C

U

S

28

S

t

P E R

r

a

M A N

l

c

E

i

N T E


F O

C

U

S

Prefazione Umberto Ranieri Lo scenario energetico internazionale negli ultimi dieci anni ha subito radicali mutamenti: il fabbisogno di petrolio e raddoppiato, la Cina e l’India, pur duramente colpite dalla crisi finanziaria, hanno mantenuto alti i livelli di crescita interna e la dipendenza dalle importazioni dell’Unione Europea continua ad aumentare di anno in anno. Le fonti fossili soddisfano più dell’80% del fabbisogno mondiale di energia. Il sistema energetico globale e dunque fortemente dipendente da queste fonti. Una situazione che permarrà nel prossimo decennio. Continuerà a dominare la scena energetica, nei primi anni del XXI secolo, il petrolio, già oggi la principale fonte di energia, coprendo il 35% dei consumi. Il carbone non uscirà dalla scena perche disponibile a basso costo e in notevole quantità negli Stati Uniti e in Germania e soprattutto nei paesi in via di sviluppo, in cui il fabbisogno di energia cresce a ritmi elevatissimi. Il gas, che copre oggi il 21% dei consumi, si affermerà ulteriormente grazie alla disponibilità e alle sue qualità ambientali. La costruzione di lunghi gasdotti per l’esportazione e l’espansione del mercato del gas naturale liquefatto per via nave, hanno fatto si che anche i paesi sprovvisti di questa risorsa ne diventassero consumatori. Le altre fonti, tra cui il solare e l’eolico, non sono riuscite a mettere in discussione il primato dei combustibili fossili. Nel quadro di un aumento del consumo mondiale di energia di quasi il 30% previsto nei prossimi quindici anni, il peso delle energie alternative aumenterà senza che cresca, tuttavia, sensibilmente la loro quota percentuale sul consumo totale. Un maggiore spazio di mercato a queste fonti potrebbe essere garantito solo da notevoli finanziamenti pubblici per l’installazione degli impianti e da un impegno di risorse cospicue nella ricerca di innovazioni tecnologiche nel campo delle energie rinnovabili. E auspicabile che ci si orienti in tale direzione: la ricerca scientifica e tecnologica nel settore dell’energia solare, del nucleare e più in generale delle energie rinnovabili e la

P E R

M A N

scelta strategica per vincere nel tempo la battaglia della sostenibilità energetica. E una scelta obbligata per fronteggiare il rischio di gravi e irreversibili danni ambientali, a partire dai cambiamenti climatici, per migliorare la sicurezza energetica e ridurre le emissioni di gas serra. In questo quadro e importante che Stati Uniti e Unione Europea, consapevoli che a una domanda energetica sempre crescente non corrisponde più un’offerta adeguata da parte dei tradizionali produttori, abbiano avviato un serio dibattito interno – in particolare attorno al tema delle fonti rinnovabili – che sta condizionando non poco sia le strategie produttive di lunga durata sia il quadro dei rapporti internazionali. Tuttavia, anche in questo dibattito, USA e UE non hanno pari forze. Ciò che manca all’Europa, e la possibilità di parlare con un’unica voce. Nonostante gli sforzi delle istituzioni di Bruxelles per sviluppare una posizione europea comune, la strada da percorrere appare ancora lunga. E del tutto evidente che sarebbe indispensabile la realizzazione di un mercato energetico europeo più integrato e interconnesso per garantire una maggior sicurezza, un miglior coordinamento nella realizzazione degli investimenti infrastrutturali, in particolare per quanto riguarda le interconnessioni nel settore elettrico e in quello del gas, un reale potere negoziale nei confronti di fornitori extra europei e paesi di transito e, infine, una maggiore concorrenza tra gli operatori. Il miglior modo, o forse l’unico, per risolvere le questioni legate alla sicurezza energetica si può riassumere nella parola “diversificazione” delle fonti di energia. In una logica di sicurezza degli approvvigionamenti, la politica estera dell’Italia dovrà perseguire due obiettivi complementari: preservare i legami con i fornitori storici come la Federazione Russa e alimentare lo sviluppo di relazioni commerciali con nuovi potenziali fornitori, contribuendo alla realizzazione degli investimenti necessari. Il nostro Paese e, inoltre, interessato a un maggiore coordinamento europeo nei confronti dei paesi fornitori che rafforzerebbe anche la capacita contrattuale dei singoli Stati europei.

E

N T E

Nella visione italiana, l’Unione Europea deve definire regole chiare e omogenee sia sul mercato interno sia nei confronti dei soggetti produttori. Nel contesto di queste regole, gli operatori degli Stati membri mantengono la possibilità di raggiungere accordi. in maniera autonoma. In questa logica l’Italia ritiene essenziale sviluppare i rapporti energetici bilaterali con la Russia. L’UE e inoltre strategicamente interessata a consolidare il proprio ruolo nelle regioni caucasiche e mediorientali, rafforzando i rapporti politici, economici e commerciali e favorendo una maggiore interdipendenza con quelle regioni. Il lavoro, che e qui presentato, si propone di focalizzare l’attenzione, in modo particolare, sul fattore della sicurezza. Se nella prima parte del Rapporto, infatti, la discussione ha posto l’accento sui consumi e sulle disponibilità delle riserve della Russia, la domanda di fondo di questa ricerca e: fino a quando le potenzialità energetiche di uno Stato saranno così strettamente connesse alle relazioni politiche internazionali? E per quanto tempo ancora il mercato dell’energia, fattore indispensabile per lo sviluppo economico e sociale, sarà minacciato dalla crescita dei consumi interni dei paesi produttori e dalle instabilità politiche? La scelta di politiche in grado di contenere il riscaldamento ambientale e garantire la sicurezza e l’affidabilità delle forniture di energia costituisce una sfida tra le più impegnative di questo inizio secolo. L’Italia, in coerenza con la sua tradizione di politica estera, e convinta che la questione energetica e ambientale vada affrontata sulla base del rafforzamento della cooperazione multilaterale e del perseguimento di un partenariato tra i paesi produttori e i paesi consumatori di energia. Se c’e un terreno su cui le tentazioni nazionalistiche non sortiranno alcun risultato, e quello dell’energia. Ecco perche e necessario acquisire la consapevolezza che la sicurezza energetica non può rimanere obiettivo di un singolo paese, e che la conoscenza più approfondita della questione e essenziale a orientare l’operato degli Stati per compiere scelte consapevoli e lungimiranti. Di questo dovrebbe acquisire maggiore consapevolezza l’Unione Europea.

29


F O

C

U

S

Introduzione Carmine Zaccaria Giunge a compimento il secondo volume della ricerca sui rapporti energetici tra la Russia e l’Unione Europea. Questo non e un punto di arrivo, ma di partenza per più ampi scenari. E spiegheremo perche. Ci onora l’impegno della Fondazione Mezzogiorno Europa, che ha coordinato il complesso studio della materia trattata. Ci onora anche, e non poco, la Prefazione a cura dell’Onorevole Umberto Ranieri, tra i riferimenti più alti della Politica Estera italiana. Parlare di Russia in Occidente non è facile. Parlarne alla luce dei rapporti energetici che legano Russia ed Europa, e ancora più complesso e si attraversa un terreno minato. La Russia e, e resta, un partner insostituibile negli scenari futuri nel campo dell’energia e non solo. Tutto questo, se guardiamo a una Grande Europa dei Popoli, alla costruzione della quale ci interessiamo da anni. Europa dei Popoli, quasi un logo scientifico, un discorso da fare, un obiettivo da raggiungere del quale rivendichiamo la primogenitura in tempi moderni, di recente ripreso da personalità di rilievo del mondo politico italiano. Tutto questo mondo da costruire in Europa, e non solo, gira intorno alle fonti energetiche e al loro sfruttamento e utilizzo. Che ci sia, da parte della Russia, un uso strumentale delle proprie risorse energetiche e falso. E solo una leggenda, frutto di fantasia interessata di una parte del mondo Occidentale che ancora rifiuta di fare i conti con la storia, con la realtà. La presentazione della Ricerca coinciderà con l’avvio dei lavori di un Focus Permanente, ospitato nelle pagine della rivista Mezzogiorno Europa, inerente i rapporti Ue-Russia. Ogni ricerca in questo campo, dove i mutamenti sono repentini come nelle alte quote, resta fine a se stessa. Questo intendiamo quando parliamo di punto di partenza. Solo uno strumento che possa cogliere questi mutamenti potrà dare un contributo fattivo ed essere di utilità. Grazie all’impegno della Fondazione Mezzogiorno Europa abbiamo goduto della possibilità di avere con

30

P E R

M A N

noi i maggiori esperti della materia. Chiederemo, nei limiti del possibile, che questo impegno della Fondazione possa avere un seguito. Cosa si propone il Focus? In primis dire la verità e anche le verità nascoste. I media italiani molte volte sono disinformati oppure rispondono a logiche mediate. Se volessimo allargare il campo, potremmo affermare che questa disinformazione trasmessa, quando si parla di Russia, è estesa ai campi più disparati. Dalla cultura all’economia, dalla storia alle libertà. La ricerca tocca, oltre vari temi inerenti le fonti energetiche, l’energia nel suo complesso. Bisogna dedicare qualche riga alle fonti rinnovabili. Ritengo personalmente vada sfatato il mito di questa energia pulita a basso costo. Le fonti rinnovabili, allo stato degli atti, sono poca cosa nello scenario energetico globale. Una goccia in un Oceano, per usare una frase usurata. A noi tocca fare i conti con la storia, storia di oggi. Oggi la storia dell’energia e Gas e Petrolio. Questo lavoro posto in essere e il suo prosieguo, esteso anche ad altri campi, vogliono dare un contributo all’insegna della chiarezza. Possiamo affermare senza tema di essere smentiti che la strada giusta e stata imboccata dall’ENI. Certo si può obiettare che l’Italia e andata da sola verso accordi che garantiscono al Paese le forniture necessarie per gli usi civili e per muovere la macchina industriale. Cosa si poteva fare? Seguire alcune ex repubbliche sovietiche nel contrasto con la Federazione Russa? Pura follia. Le prospettive di crescita della nostra Europa passano per la sicurezza delle forniture. Il Gas ormai muove il Mondo e ne dobbiamo prendere atto. Con l’Europa allargata, solo sottili strisce di terra ci dividono dalla Federazione Russa. La Russia e il nostro vicino, e non fa paura. Anzi è

E

N T E

una grande opportunità sullo scacchiere energetico ma anche su quello geopolitico e della sicurezza. Non c’e bisogno di missili ai confini della Federazione Russa e il Presidente Obama l’ha capito. I consumi interni della Federazione entreranno di prepotenza, negli anni futuri, nello scenario energetico mondiale. La ricerca e attenta e ha toccato questo punto cruciale e si può essere solo d’accordo con l’analisi fatta. L’Europa nel suo complesso ha una grande opportunità d’intervento nella Nuova Russia costruita da Vladimir Putin negli otto anni di presidenza. Potrà intervenire con la sua tecnologia portata da imprese all’avanguardia. Il mercato russo è un mercato aperto, senza barriere. Chi continua ancora a pensare alla Guerra Fredda o alla Cortina di Ferro e incompetente o in mala fede. Queste cose vanno consegnate alla storia. La Russia e pronta a un dialogo profondo e costruttivo con la nostra vecchia Europa. C’e da chiedersi se è pronta l’Europa. C’e da chiedersi se le grandi burocrazie ci permetteranno di volare alto. Per questo sono anni che parliamo di Europa dei Popoli che e cosa ben diversa dall’Europa delle Burocrazie. Come dicevamo, l’Eni vola alto, non sappiamo per quanto tempo. I tentativi di smembramento c’erano e ci sono. La nostra Compagnia potrebbe fungere da battistrada nel dialogo con la Russia e quindi con Gazprom e le altre società del settore energetico russo. Questi colossi dell’Energia sono sotto il diretto controllo dello Stato ed è questa la garanzia maggiore che ci consente il dialogo con la Federazione Russa quale affidabile fornitore, oggi e negli scenari futuri. Tutto questo per lunghi anni grazie a riserve enormi sul proprio territorio e all’influenza che la Russia ha nei mercati asiatici. È inutile cercare scorciatoie, improbabili alleanze in giro per il mondo. Le fonti energetiche ci sono e sono a pochi passi da noi grazie alle grandi reti che attraversano l’Europa, quelle esistenti e quelle da realizzare. In pochi anni nuovi gasdotti porteranno il gas naturale in Europa. Non dobbiamo dimenticare che uno dei grandi uomini della nostra storia ha sacrificato la vita per la nostra indipendenza energetica: Enrico Mattei.


F O

C

U

S

P E R

M A N

E

N T E

Conclusioni del Focus Livello da record per Gazprom nel primo trimestre 2010. Un utile netto di 325 mld di rubli. Se confrontati con i 103,7 mld dell’anno precedente danno il polso della crescita del grande gruppo russo che si conferma leader mondiale del Gas. Cambio favorevole, inverno rigido in Russia e in Europa, aumento dei prezzi e delle vendite hanno spinto Gazprom ancora più in alto nel panorama mondiale dell’energia. Gazprom controlla circa un quarto delle riserve mondiali di gas. Un gigante in crescita esponenziale. Tempo buono e senza perturbazioni all’orizzonte nel mercato mondiale dell’energia. Ai confini della Federazione Russa paesi importanti quali l’Ucraina sono di nuovo alleati e questo sarà determinante nei rapporti energetici della Russia con l’Europa. L’Ucraina, Paese di transito, garantirà senza interruzione i flussi verso l’Europa che potrà guardare con tranquillità all’approvvigionamento necessario a garantire il suo ulteriore sviluppo. La Russia sarà un fornitore affidabile. A Baku, Capitale dell’Azerbaijan, alla presenza dei presidenti dei due paesi, Medvedev e Aliev, è stato firmato in questi giorni un accordo che consentirà al colosso russo di aumentare i suoi acquisti sino a 2 miliardi di metri cubi nel 2011 e oltre dal 2012. L’annuncio è stato dato da Gazprom, Alexiei Miller, a margine dell’ incontro. Mosca raddoppia gli acquisti di gas in questo Paese. Questi acquisti consolidano le riserve di gas della Federazione. E non solo. Si rafforzano le potenzialità di South Stream che vede ulteriormente garantiti i volumi di gas necessari alle proprie pipeline. Quale vuole essere il senso di questa breve analisi? La constatazione che la Russia consolida i rapporti con i paesi ai suoi nuovi confini in Europa e si rafforza in Asia Centrale consolidando vecchie amicizie alla luce di nuovi scenari mondiali. L’Europa, la nostra Europa deve muovere in questa direzione e sfruttare al meglio le opportunità che si creeranno ancora. L’Italia può giocare un ruolo determinante. Guenther Oettinger commissario all’energia ha detto: ‘’Se dicessimo che andiamo tutti insieme a negoziare un contratto per tutto il mercato europeo saremmo in una posizione migliore per ciascun stato membro, per ciascuna Compagnia e per ciascun consumatore dell’Unione’’. Oettinger dimostra di essere un uomo di buona volontà ma dubitare sull’applicabilità di questa strategia e sui possibili risultati pensiamo sia legittimo. Troppo complesso il mercato, troppo poco condizionabili le scelte delle Compagnie. Eni compresa. L’Idea però va approfondita, discussa. Le dichiarazioni e le idee degli uomini di punta dell’Europa non devono finire sulla grande stampa per riempire qualche pagina e poi sparire nel nulla. Molte volte alcune proposte restano notizie di agenzia o servono per entrare a gamba tesa nel dibattito internazionale. Iniziamo da Guenther Oettinger e facciamoci spiegare da lui cosa significa andiamo tutti insieme a negoziare. Dove negoziare lo sappiamo, ma in che modo, con quali speranze. E cosa dire del pericolo più volte segnalato di spingere la Russia verso Oriente? Questo e altri temi andranno affrontati in un contraddittorio che negli spazi di libertà della rivista che ospita il Focus saranno sempre possibili. Chiediamo a Guenther Oettinger, autorevole esponente dell’UE, di chiarirci il suo pensiero.

31


F u r t h e r o n.

Pomigliano D’Arco, Capodichino, Nola e Casoria:

in Campania diamo ALI al futuro da oltre 90 anni



34

Un’estate “calda”

per evitare sorprese “greche”. Tant’è che alla stessa data il Consiglio ha anche approvato nuove regole in materia statistica, proprio Il sole dell’estate (dove c’è stato) avrebbe potuto contro le manipolazioni che hanno mettere un po’ l’Europa a dormire. Un po’, ma non portato, almeno ufficialmente, l’Unione tanto. In realtà bisogna rendere conto di diverse a scoprire i buchi di bilancio, appunto, decisioni di primaria importanza. Intanto la predella Grecia e di qualche altro paese. sidenza semestrale del Consiglio dell’Unione Sempre sul versante del risanamento (si ricorderà che oramai il Presidente del finanziario e della prevenzione di altre crisi Consiglio europeo – i Capi di Stato e di di Andrea Pierucci finanziarie il Consiglio ha approvato le progoverno – è nominato per due anni e poste della Commissione, modificandole, sugli mezzo) è passata dal 1° luglio dagli strumenti di supervisione sulle attività finanziarie Spagnoli (un 6 – è stato il giudizio e delle Banche. Il Parlamento, pur soddisfatto dalla parlamentare su questa presidenza) decisione della Commissione di proporre e del Conai Belgi. Problema: il Belgio non ha siglio di adottare tali regole, ha dato mandato ad una sua un governo pienamente efficace, delegazione di negoziare col Consiglio regole più stringenti. Le anche se legittimo, dopo le elezioni Autorità europee di sorveglianza dovrebbero, secondo il Parlamenche hanno visto nel Nord un successo to essere in grado di prendere decisioni con effetti diretti nei confronti dei nazionalisti fiamminghi e nel Sud dei di un istituto di credito, quale una banca, surrogando l’autorità nazionale che socialisti di Elio Di Rupo. Ma non è grave! non sia stata capace di modificarne il comportamento scorretto. Addirittura le In realtà il Belgio ha serie difficoltà ad avere un Autorità europee di sorveglianza dovrebbero poter proibire temporaneamente vero governo, politicamente solido, da almeno due anni, nonostante due elezioni alcuni tipi di attività finanziarie dannose per il corretto funzionamento del politiche. Tuttavia, l’azione delle presidenze belghe è sempre stata incisiva al livello sistema finanziario. Completa il pacchetto l’approvazione di una decisione europeo: vedremo. È interessante notare che alla tradizionale lista delle priorità del Parlamento e del Consiglio che presto sarà legge e che tende a ridurre proposte dai Belgi, il presidente della Commissione José Manuel Barroso abbia stipendi e bonus dei grandi banchieri, in particolare per le banche salvate con chiesto di aggiungere due punti: il rilancio del mercato interno (seguendo le indidenaro pubblico. La stabilità delle banche, oltre ad interessare al massimo cazioni del rapporto stilato da Mario Monti), e il futuro della politica commerciale. grado il Parlamento, è stata oggetto di uno “stress test”, pubblicati il 23 luglio “È nei momenti di crisi, che l’Europa mostra di poter superare le difficoltà”. dal comitato delle autorità europee di vigilanza bancaria (CEBS). Alcune decisioni cruciali hanno poi visto la luce. La relazione ha messo in evidenza che, su un campione di 91 banche, Una prima è di semplice attualità: il Consiglio ha stretto i cordoni della 84 hanno passato il test e dovrebbero quindi essere in grado di far fronte borsa, approvando un progetto di bilancio piuttosto riduttivo. anche a una drammatica recessione a due cifre se questa dovesse verificarsi Una seconda è più complessa e riguarda l’effettiva creazione del Servizio in Europa. D’altra parte, il lavoro delle Istituzioni in questo settore procede d’azione esterna, una delle grandi innovazioni del Trattato di Lisbona. rapidamente; il Commissario Barnier ha annunciato alla plenaria del Comitato Inoltre, è di nuovo tornata sul tappeto la questione della trasmissioni economico e sociale europeo che entro marzo tutto il pacchetto d’iniziative d’informazioni personali o finanziarie agli Stati Uniti, nel quadro della lotta al sulla supervisione degli istituti finanziari sarà sulla tavola. Egli ha poi insistiterrorismo – la giustificazione di tutti le decisioni liberticide, ormai (Swift II)! L’acto, come ha poi fatto Barroso davanti al Parlamento, sulla decisione della cordo con gli Stati Uniti è stato approvato anche dal Parlamento europeo. Commissione di presentare una proposta di grandi dimensioni sul mercato interno, partendo dal rapporto Monti “Una nuova strategia per il mercato unico” presentato il 9 maggio scorso.

Euronote

Bilancio dell’Unione 2011

e politica in materia finanziaria Il 27 luglio il Consiglio ha approvato il progetto di bilancio per il 2011, preoccupandosi, in primo luogo di non contraddire le politiche di bilancio nazionali. Così ha votato impegni di spesa per 141,777 miliardi di Euro, tagliando di 787, 83 milioni il bilancio proposto dalla Commissione e 126, 527 miliardi di impegni di pagamento (- 3.609 miliardi). La battaglia in Consiglio è stata dura se ben 7 Stati hanno votato contro. Ora la parola passa al Parlamento. D’interessante in questa vicenda c’è il legame fatto con i bilanci nazionali, essi stessi sottoposti, dal prossimo anno, ad un esame comunitario preventivo,

Servizio diplomatico dell’UE. Il Parlamento conferma l’accordo di Madrid

Ormai siamo già ai primi vagiti: nasce il servizio diplomatico dell’UE. Questa struttura è destinata ad aiutare la Alta rappresentante dell’UE per la Politica estera e di sicurezza comune, vice presidente della Commissione


35 e Presidente del Consiglio affari esteri. Esso comprenderà funzionari delle istituzioni (Commissione e Consiglio per oltre il 60%) e funzionari nazionali distaccati. Sulla base dell’accordo – che adesso dovrà tradursi in riforme dello statuto dei funzionari e del regolamento finanziario – le delegazioni (ambasciate) dell’Unione negli Stati terzi passeranno dalla Commissione alle dipendenze dell’Alto responsabile, salvo per le questioni di gestione dei finanziamenti e degli aiuti ai paesi terzi e in parte della politica commerciale. Una consistente struttura di qualche migliaio di persone prenderà in carico sia la gestione strategica della politica estera, sia la gestione per settori geografici. Il Parlamento ha poi evitato che, dal punto di vista della responsabilità finanziaria e di quella politica, il nuovo Servizio vivesse in una “zona grigia”, come hanno sottolineato i relatori della risoluzione parlamentare Elmar Brok (PPE), Guy Verhofstadt (ALDE) e l’italiano Roberto Gualtieri (PD/S&D).. Quest’ accordo è molto importante poiché prefigura un po’ la divisione delle responsabilità in materia di politica estera e di sicurezza comune, dalla ripartizione dei compiti fra Commissione, Consiglio e nuova struttura del controllo parlamentare. È ovviamente presto per giudicare l’efficacia della decisione; di certamente positivo c’è il fatto che le decisioni sono state prese in un tempo relativamente breve e senza scatenar l’annunciato conflitto fra le Istituzioni. Lo stesso voto parlamentare (549 voti a favore, 78 contrari e 17 astensioni) prova il raggiungimento di un accordo effettivo.

La signora Ashton a Pechino

Nei prossimi giorni si apre il primo Forum strategico UE-Cina, volto a sviluppare le discussioni politiche utili alla comprensione e cooperazione fra le parti. L’Unione europea sarà rappresentata dalla signora Ashton, Alto rappresentante per la politica estera e la Cina, fra gli altri, dal “guru” della politica estera del Partito comunista, Dai Bingguo. Al tempo stesso, l’Europa sarà presente solo con Tony Blair, il cui compito sarà essenzialmente quello di riferire alla signora Ashton, che riferirà al Consiglio affari esteri. Bah! Il Trattato prevede altre possibilità di rappresentanza più chiaramente politica. Oppure si pensa che l’occasione non sia realmente importante. Brutto segno!

wift.

Via libera definitivo del

Parlamento

Il 28 giugno il Consiglio dell’Unione ed il governo USA hanno firmato un accordo antiterrorismo sul trasferimento dei dati bancari verso gli Stati Uniti. Il Parlamento ha poi approvato giovedì 8 luglio nella nuova versione. I deputati avevano respinto l’accordo precedente 4 mesi fa, ma da allora hanno negoziato alcune garanzie e ottenuto che, a partire dal secondo semestre di quest’anno, l’Unione lavori alla creazione di un sistema che permetta di evitare il trasferimento dei dati in blocco verso gli USA. Le garanzie supplementari date ai deputati riguardano, fra l’altro, un coinvolgimento dell’Unione

(via EUROPOL o via un apposito comitato indipendente di supervisione al quale l’UE partecipa e che è incaricato di controllare l’utilizzazione dei dati). È previsto anche un più efficace diritto di ricorso giurisdizionale dei cittadini europei in caso di violazione delle regole. Il voto è stato nettamente in favore del progetto (484 si, 109 no e 12 astensioni) ed ha visto il concorso dei principali gruppi PPE, S&D (i socialisti), ALDE (i liberali) e ECR (i conservatori) ed il voto contrario di Verdi, sinistra e euroscettici (destra).

Ampliamento

Dopo le crisi legate all’approvazione del Trattato di Lisbona sembrava che l’ampliamento fosse un problema non più all’ordine del giorno. Facevamo i conti senza l’oste! Abbiamo visto che Serbia e, soprattutto, Croazia si avvicinano a grandi passi all’adesione. È di giugno la decisione di dare il via libera all’adesione dell’Islanda, divenuta molto europea dopo aver verificato la difficoltà di trovarsi sola nella crisi finanziaria internazionale. Il 27 luglio il Consiglio, riunito in Conferenza intergovernativa, ha approvato il quadro di negoziato con l’Islanda. Ricordiamo le promesse alla Macedonia e il fatto che il Montenegro ha già l’EURO come propria moneta. Il Parlamento ha approvato una risoluzione ha preso in conto la possibilità di adesione di questi due paesi. Per l’Albania ha chiesto progressi in materia di riforme economiche e in materia di democrazia e per il Kosovo, come condizione preventiva a tutti i possibili discorsi, ha chiesto agli Stati membri di evitare una cacofonia di posizioni. E la Turchia? Silenzio assoluto. A me sembra che adesso la questione della sua adesione divenga sempre più interessante dopo che ha perso un po’ della sua amicizia con gli Stati Uniti! Battute a parte, resta il problema del ruolo della Turchia. Non credo che possiamo dimenticare questo dossier.

La crisi dei Rom

La Francia ha proceduto all’espulsione di un certo numero (un migliaio) di Rom dell’Europa dell’Est, cittadini dell’Unione europea e il nostro ministro dell’interno ha applaudito all’iniziativa, com’era del tutto prevedibile. Il Presidente francese, per sopramisura ha detto che si potrebbero espellere anche un po’ di Rom nazionali, francesi, mescolando il discorso con quello sulla possibilità di togliere la nazionalità francese a elementi turbolenti. Per fortuna, l’Europa è insorta. Viviane Reding, Commissaria europea ha reagito, criticando apertamente la Francia. Raramente un Commissario europeo agisce in questa maniera. Così ha fatto il Presidente del CESE, Mario Sepi. Tutti hanno concordato sulla necessità del rispetto dei diritti fondamentali e dei diritti dei cittadini e sull’esigenza di una politica europea per i Rom. Nei prossimi giorni assisteremo ad un dibattito parlamentare su questo soggetto. L’effetto boomerang della decisione di Sarkozy – criticata da mezzo mondo – dovrebbe significantemente aggravarsi: speriamo, perché davvero non se ne può più del razzismo che avanza e del richiamo all’irrazionalità ed alla paura per la propria propaganda elettorale.





La rivista la puoi trovare presso Le librerie:

Centro librario Molisano Viale Manzoni, 81‑83 CAMPOBASSO – Tf. 08749878 Isola del Tesoro Via Crispi, 7‑11 CATANZARO – Tf. 0961725118

Feltrinelli Via S. Tommaso D’Aquino, 70 NAPOLI – Tf. 0815521436

Tavella Corso G. Nicotera, 150 LAMEZIA TERME

Piazza dei Martiri – Via S. Caterina a Chiaia, 33 NAPOLI – Tf. 0812405411

Domus Luce Corso Italia, 74 COSENZA

Piazzetta Barracano, 3/5 SALERNO – Tf. 089253631

Godel Via Poli, 45 ROMA – Tf. 066798716; 066790331

Largo Argentina, 5a/6a ROMA – Tf. 0668803248

Libreria Rinascita Via delle Botteghe Oscure, 1‑2 ROMA – Tf. 066797460

Via Dante, 91/95 BARI – Tf. 0805219677

Edicola c/o Parlamento Europeo Rue Wiertz – Bruxelles

Via Maqueda, 395/399 PALERMO – Tf. 091587785

Libreria La Conchiglia Via Le Botteghe 12 80073 Capri

Librerie Guida Via Port’Alba, 20 – 23 NAPOLI – Tf. 081446377

Libreria Cues Via Ponte Don Melillo Atrio Facoltà Ingegneria Fisciano (Sa)

Via Merliani, 118 NAPOLI – Tf. 0815560170

C/o Polo delle Scienze e delle Tecnologie – Loc. Montesantangelo Napoli

Via Caduti sul Lavoro, 41‑43 CASERTA – Tf. 0823351288

H3g – Angelo Schinaia C/o Olivetti Ricerca SS 271 Contrada La Marchesa Bitritto (Ba)

Corso Vittorio Emanuele, Galleria “La Magnolia” Avellino – Tf. 082526274

Libreria Colonnese Via S. Pietro a Majella, 32-33 – 80138 Napoli – Tel. +39081459858

Corso Garibaldi, 142 b/c SALERNO – Tf. 089254218 Via F. Flora, 13/15 BENEVENTO – Tf. 0824315764

Le Associazioni, le biblioteche, gli Istituti:

Loffredo Via Kerbaker, 18‑21 NAPOLI – Tf. 0815783534; 0815781521

Ist. Italiano per gli Studi Filosofici Via Monte di Dio, 14 NaPOLI – Tf. 0817642652

Marotta Via dei Mille, 78‑82 NAPOLI – Tf. 081418881

Associazione N:EA Via M. Schipa, 105‑115 NAPOLI – Tf. 081660606

Tullio Pironti Piazza Dante, 30 NAPOLI – Tf. 0815499748; 0815499693

Fondazione Mezzogiorno Europa Via R. De Cesare 31 NAPOLI – Tf. +390812471196

Pisanti Corso Umberto I, 34‑40 NAPOLI – Tf. 0815527105

Archivio Di Stato Di Napoli Via Grande Archivio, 5 Napoli

Alfabeta Corso Vittorio Emanuele, 331 TORRE DEL GRECO – Tf. 0818821488

Archivio Di Stato Di Salerno P.zza Abate Conforti, 7 Salerno

Petrozziello Corso Vittorio Emanuele, 214 AVELLINO – Tf. 082536027

Biblioteca Universitaria Via G. Palladino, 39 Napoli

Diffusione Editoriale Ermes Via Angilla Vecchia, 141 POTENZA – Tf. 0971443012

Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze Piazza Cavalleggeri 1 – Firenze

Masone Viale dei Rettori, 73 BENEVENTO – Tf. 0824317109

Biblioteca Nazionale “V. Emanuele III” P.zza del Plebiscito Palazzo Reale – NaPOLI

Mezzogiorno Europa

Direttore responsabile Andrea Geremicca

Periodico della Fondazione

Art director Luciano Pennino

Mezzogiorno Europa – onlus N. 4 – Anno X – Luglio/agosto 2010 Registrazione al Tribunale di Napoli n. 5112 del 24/02/2000 Via R. De Cesare 31 – Napoli tel. +39 081.2471196 fax +39 081.2471168 mail‑box: fondazione@mezzogiornoeuropa.it

Comitato di redazione Ottavia Beneduce, Osvaldo Cammarota, Cetti Capuano, Uliana Guarnaccia, Luisa Pezone, Marco Plutino, Ivano Russo, Eirene Sbriziolo, Manuela Siano

Consulenti scientifici Sergio Bertolissi, Wanda D’A­­les­sio, Mariano D’Antonio, Vittorio De Cesare, Biagio de Giovanni, Enzo Giustino, Gilbe ­ rto A. Marselli, Gustavo Minervini, Massimo Rosi, Adriano Rossi, Fulvio Tessitore, Sergio Vellante Stampa: Le.g.ma. (Napoli) Tel. +39 081.7411201

Come abbonarsi Si può ricevere Mezzogiorno Europa in abbonamento annuale (6 numeri) al costo di 100,00 euro inviando i propri dati – insieme al recapito e alla copia della ricevuta del versamento – attraverso il modulo online disponibile su www.mezzogiornoeuropa.it o via fax al numero +390812471168.. La quota può essere versata: La quota può essere versata a mezzo bonifico bancario a Fondazione Centro di Iniziativa Mezzogiorno Europa onlus presso Banca Prossima via Manzoni ang. Via Verdi, 20121 Milano filiale 5000 c/c 10008974 IBAN: IT03S0335901600100000008974 BIC: BCITITMX. Specificare la causale: “Abbonamento annuale Rivista Mezzogiorno Europa”. L’ABBONAMENTO DECORRE DAL NUMERO SUCCESSIVO ALLA DATA DI PAGAMENTO


c’è un patrimonio che ci sta particolarmente a cuore. Il nostro pianeta è la cosa più importante che abbiamo. E va protetto. Noi di Intesa Sanpaolo vogliamo dare il nostro contributo, anche offrendo soluzioni dedicate alle famiglie e alle imprese che scelgono l’energia pulita. Perché la natura è il migliore investimento.

www.ambiente.intesasanpaolo.com

Banca del gruppo

Messaggio pubblicitario con finalità promozionale. Per le condizioni contrattuali consultare i Fogli Informativi a disposizione in Filiale. La concessione del finanziamento è soggetta alla valutazione della Banca.


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.